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Dal 4 al 15 Dicembre le pubblicazioni sono sospese
2024
Luglio - Dicembre
1-2-3 Dicembre
Un augurio speciale al professore Spadavecchia
Carissimo Prof.Spadavecchia
Questa poesia porta con sé un'atmosfera di inquietudine e di mistero, come se la voce che chiama non fosse solo una mera evocazione, ma un richiamo che affonda nella solitudine esistenziale del poeta. Il mare, in tutta la sua vastità e potenza, diventa metafora del caos interiore, del continuo ritorno dell'onda che "sembra una ricotta", una similitudine che stravolge le aspettative e fa vibrare un'eco di assenza, di una realtà sfuocata.
Le immagini del vento, della pioggia che "vuol farmi irretire" e della fatica del corpo che "arranca", suggeriscono un corpo e una mente oppressi, ma non sconfitti. La ricerca della voce, che risuona come quella di un "parente spento", diventa simbolo di una presenza lontana eppure inesorabile. Il tema della morte, che si fa esplicito nel riferimento ad Atropo, la tessitrice del destino, conferisce alla poesia un carattere quasi mistico e tragico, come se il poeta, sospeso tra il mondo visibile e quello invisibile, si trovasse in bilico tra la vita e la fine.
Questa poesia, come una lunga, inquietante preghiera, sfida il lettore a rimanere nel silenzio e ad ascoltare la propria voce interiore, quella che grida dal fondo, come il mare, come l’eco di un’anima che non si arrende alla dissoluzione.
La lode degli alberi, che diventa quasi una liturgia, è al centro di questa poesia, dove il simbolismo del bosco si fa sacro. L'albero è il custode della vita, una realtà perpetua che sfida la morte con il suo ciclo di fioritura e appassimento. In questo contesto, il poeta racconta la perdita di una connessione profonda con la natura, una "morte simbolica" che si riflette nella frustrazione di chi non ha più "per bosco in cui pregare".
L'immagine degli "olocausti di sillabe" è estremamente potente: essa evoca una sorta di sacrificio sterile, un atto rituale che però non ha più la forza sacra di un tempo. L'inchiostro sostituisce la linfa vitale, e l'albero sacro diventa carta su cui scrivere, ma senza la stessa spiritualità che animava i riti degli avi.
In questo distacco, che si fa anche tristezza, si intravede una meditazione sulla crisi contemporanea: l'umanità si è allontanata dalla sacralità della natura, sacrificando le proprie radici spirituali in favore di un "tempio vuoto", dove l'unica eco che risuona è quella di un passato che ormai non è più ascoltato.
La riflessione qui sembra volgersi verso una dimensione metafisica, quella di una realtà "al di là delle nuvole", simbolo della separazione tra ciò che è visibile e ciò che è invisibile. La poesia si fa, in questo caso, una sorta di "esplorazione" dell'interiorità, di una vita nascosta che, purtroppo, non possiamo raggiungere completamente. Si intravede l'aspirazione a una forma di esistenza superiore, dove il confine tra il tangibile e l'intangibile scompare.
Il "al di là delle nuvole" diventa un’utopia, ma anche una promessa di libertà, di possibilità non ancora svelate. La poesia, dunque, offre una riflessione sulla condizione umana, sospesa tra il desiderio di una realtà migliore e la consapevolezza che essa è irraggiungibile.
Il paesaggio descritto in questa poesia diventa metafora di uno stato d'animo, di pensieri che "vanno e vengono", come nuvole che attraversano un cielo "pallido e grigiastro". Il tramonto, con la sua luce rosa e i raggi che "saettano come strali", introduce un movimento di emozioni contrastanti, tra il doloroso trascorrere del tempo e la bellezza effimera della luce che svanisce. Il contrasto tra la "solitudine serena" e il turbinio del vento che schizza "gocce irrequiete" enfatizza la tensione tra l'anima in cerca di pace e la realtà che non smette di agitarsi.
Le immagini del paesaggio naturale si intrecciano con quelle dei pensieri del poeta, creando una fusione tra l'esterno e l'interno, come se l'autunno fosse un riflesso della mente del poeta stesso. Qui, la poesia si fa specchio della caducità della vita, ma anche della sua eterna bellezza, che persiste nel ricordo.
Questa poesia, in entrambe le lingue, esplora l'idea della lingua come forza creatrice e distruttrice. La lingua, come una fabbrica, non è solo uno strumento per esprimere il pensiero, ma qualcosa che costruisce e, al contempo, dissolve. La lingua "costruisce un corpo che si scioglie", un corpo che non è solo fisico ma anche psichico, simbolo di una tensione tra il desiderio di esprimere se stessi e la consapevolezza che ogni espressione verbale porta con sé un vuoto, un "lungo silenzio" che la parola stessa non può colmare. L'atto di "masticare" e "tradurre" in silenzio potrebbe suggerire una riflessione sul processo di digestione linguistica, in cui la verità o il significato si perdono o si trasformano attraverso il filtro del linguaggio. Questo silenzio non è solo il vuoto, ma la distanza tra ciò che vogliamo dire e ciò che possiamo veramente comunicare. Il linguaggio, dunque, diventa un atto di creazione e annichilimento al contempo, un tema che tocca le corde più profonde della riflessione esistenziale.
Questa poesia si offre come una preghiera intima, una supplica di amore e speranza che si ripiega sulla devozione. La figura divina, qui evocata come quella che "porta pace nel silenzio", è una presenza rassicurante che offre conforto nell'incertezza. L'immagine delle "mani" è un potente simbolo di accoglienza e sostegno, ma anche di protezione e di amore che trascende il mondo visibile. La lingua qui diventa un atto di abbandono e di fiducia, come se ogni parola fosse un atto di sacrificio, di resa al divino. La forza di questa poesia risiede nella sua semplicità: l'autore si appella a una forza più grande, e la poesia stessa diventa atto di fede, con una struttura che si fa quasi liturgica, un'invocazione continua a quella presenza che può risollevare l'anima e darle speranza.
La poesia di Tartagni è una riflessione sul male, sulla lotta interiore tra il bene e il male, e sul gesto di resistenza spirituale attraverso la preghiera. Il poeta ammette la sua solitudine interiore, ma trova nel "pensierino" della preghiera una fonte di forza, nonostante l'incertezza e il dubbio riguardo all'esistenza di un "spirito esterno". La "brevissima intensa preghierina" non è altro che un frammento di spiritualità, ma questo frammento, pur piccolo e impercettibile, diventa l'ancora a cui il poeta si aggrappa. Il segno della Croce di Cristo diventa il punto di passaggio da un "millisecondo di spiritualità" a un atto di resistenza contro le insistenze del male. È una poesia che esplora la fragilità della condizione umana, ma anche la resilienza che nasce nella preghiera, nella capacità di fare uno sforzo minimo ma significativo per resistere alla tentazione del nulla. L'approccio di Tartagni si colloca in una dimensione quotidiana e profonda allo stesso tempo: ogni piccolo atto di fede, per quanto impercettibile, è comunque un atto di resistenza contro la disperazione.
Questa poesia è una riflessione sul potere della parola e sulla sua capacità di dar forma all'esperienza. Le parole, in questo caso, assumono un valore che va oltre il semplice linguaggio: sono veicolo di significato profondo, ma anche di incomprensione e perdita. Con l'imbrunire, le parole "assumono il valore che mancava", suggerendo che la sera, il silenzio, il riflesso di un giorno che sta passando, portano con sé una sorta di purificazione linguistica. La solitudine, che si fa più palpabile con l'abbassarsi della luce, sembra invitare al dialogo con se stessi, alla ricerca di parole che, a volte, "non si trovano", a volte "non si vogliono trovare". Questo tema della parola che sfugge, che si frantuma nei "pozzi dei silenzi", è anche un tema di alienazione, di quella frattura tra il pensiero e l'espressione che spesso ci condanna all'impotenza comunicativa. Eppure, il poeta suggerisce anche che nella solitudine, nel silenzio, c'è un possibile riemergere di quella forza linguistica che può sciogliere i "nodi" della confusione quotidiana. La poesia di Bettozzi lascia un senso di nostalgia e speranza, come se il "clic" finale che spegne la paura delle ombre possa segnare una liberazione, anche parziale, da ciò che non possiamo dire.
Questa poesia è intrisa di tensione e di movimento, un continuo divenire che sembra scivolare tra il desiderio di sopraffazione e la consapevolezza della sua fugacità. L'immagine iniziale del campo "fitto di candele" introduce subito una scena carica di simbolismo: ogni candela è un'individualità, che si affanna a prevalere sull'altra, ma è destinata a estinguersi. Il vento che "spira da scaturigini ignote" suggerisce una forza incontrollabile, che muove questo gioco di sopraffazione, rendendo tutto effimero.
La "preda ammanettata" che si dibatte sulla "sabbia frusciante di memorie" è una potente metafora della condizione umana, intrappolata nelle sue stesse memorie, che non possono essere cambiate o sfuggite. La sabbia evoca il tempo che scorre inesorabile e l’impossibilità di fermarlo. Il "verso" che si allunga suggerisce l'idea di un cammino che non ha mai una conclusione chiara: l’unico "alibi" che resta è il "tonfo", il segno di una presenza che resta, ma che non può più essere cambiata.
La "consultazione del libro" che può avvenire solo "nell’archivio del deserto" suggerisce l'idea di un sapere che non ha più applicazione pratica, che è solo memoria senza possibilità di intervento sul presente. La poesia lascia aperta una riflessione sul destino, sul cambiamento, sulla lotta che si consuma nel vuoto, sulla ricerca di significato che sembra non trovare mai un vero approdo.
Questa poesia si struttura come una ricerca incessante, come una litania che esprime il desiderio di trovare un'altra persona, un altro essere, o forse un’idea di amore o di pienezza. "Ti cerco nell’immensità del tempo" suggerisce un movimento che va oltre il presente, attraversando gli strati del passato e del futuro. La ricerca è senza tregua e si riflette in una serie di immagini naturali che vanno dal "volo di una rondine" al "profumo di una rosa", dal "sussulto del cuore" alla "pioggia". Questi elementi, pur nella loro bellezza, sembrano sfuggenti, suggerendo che la persona cercata non è mai davvero raggiungibile, ma sempre un po' più lontana.
Il "sorriso" finale, che appare nel cuore del poeta, sembra un segno di speranza, di accettazione, come se la ricerca stessa, pur senza un incontro definitivo, fosse il vero scopo, e che in essa il poeta trovasse almeno un riflesso di ciò che cercava. L’immagine della clessidra, con la sabbia che scivola, fa pensare alla fragilità del tempo e all’impossibilità di fermarlo. Il poeta sembra trovare conforto non tanto nel trovare la persona amata, ma nel cercarla, nel processo stesso, che diventa il cuore pulsante della sua vita interiore.
In questa poesia, il tono è più riflessivo e quotidiano, ma non privo di una certa malinconia. Il verso "Forse piangere un po' va bene" introduce una visione della vulnerabilità come un atto umano naturale, qualcosa che non necessita di spiegazione o giustificazione. Il pianto, in questo contesto, diventa una liberazione, un rilascio che prepara il poeta a "scaldare l'acqua per il mate", un gesto semplice e quotidiano che racchiude un senso di sollievo e di cura.
Il contrasto tra il tramonto e l'alba, due momenti altrettanto "imponenti", riflette una scelta del poeta di concentrarsi sull'addio, sul "pianto", sul lasciar andare, piuttosto che sulla speranza del nuovo inizio che l'alba rappresenterebbe. Il tramonto qui diventa simbolo di una riflessione più profonda sull'esistenza e sulla bellezza dei "momenti finali", quando tutto si svela e si conclude. La poesia di Rial invita a riflettere sul valore degli "addii", sul loro carico simbolico, sulla consapevolezza che ogni fine è anche un atto di accettazione.
La poesia di Serino si concentra sul mistero del divino e della resurrezione, un tema che affonda le radici nella tradizione cristiana ma che viene qui reso con un linguaggio poetico ricco di immagini forti. "Lasciarsi sorprendere dal divino" è un atto di accoglienza, una disponibilità a essere trasformati, e "aspersi da acqua e sangue" richiama inevitabilmente alla mente il sacrificio e la redenzione. La "vita nascosta nel Risorto" è una vita che emerge dalla morte, una vita che non è semplicemente fisica ma anche spirituale, trasformativa.
Il "rotolare di massi" che escono dal "cuore" e che si aprono alla luce suggerisce un processo di purificazione, un movimento di liberazione che attraversa le profondità dell'anima. La luce, in questo caso, diventa simbolo di una verità che finalmente emerge dopo il buio, un atto di rinascita che è insieme fisico e spirituale. La poesia trasmette un senso di speranza, ma anche di lotta: il poeta non ci presenta una resurrezione come un dato di fatto, ma come una conquista, un’apertura graduale alla luce, una liberazione dalla "morte" che ci trattiene.
Questo haiku si distacca dalla forma classica per concentrarsi sulla potenza delle immagini evocative in un linguaggio che sembra quasi una riflessione ortografica sulla realtà. La scena descritta è delicata ma intrisa di una certa intensità sensoriale: "lenti scalpiccii", che suggeriscono un passo lento e meditativo, che si sovrappone all'immagine degli "ellebori neri", fiori che in molte tradizioni simbolizzano il lutto e il mistero. L'idea del fiore che cresce in un ambiente freddo e rigido, come la "bianca neve", crea un contrasto affascinante: vita e morte, bellezza e durezza, silenzio e movimento si intrecciano in questo breve e suggestivo haiku. La natura qui diventa non solo uno sfondo, ma un luogo di riflessione, quasi un invito a considerare la bellezza anche nei momenti di apparente freddezza o di solitudine.
Questa poesia è un atto di contemplazione dell'amore e del tempo, un elogio a una relazione che segna profondamente il poeta. La vita, descritta come un "percorso tra la nascita e la morte", diventa il contesto in cui l'incontro con l'amata assume un'importanza quasi epica. La donna appare come una figura quasi divina, come un "quadro del Modigliani", un'icona che non è solo fisica, ma spirituale e ideale. La fragranza della donna è descritta come "inebriante e lussuriosa", un richiamo sensuale che attraversa l'aria e si unisce al corpo e all'anima. Il poeta esprime il desiderio di "catturare questo istante per l'eternità", di imprimere il ricordo nel "DNA dell'Anima", come se il momento fosse una parte indissolubile di lui, qualcosa che va oltre il tempo e la morte. La chiusura, con l'immagine della "Sirena" che ha amato il poeta, suggerisce l'idea di un amore che ha la forza di resistere all'oblio, di rimanere vivo nel cuore, nonostante il passare del tempo. Un sentimento di gratitudine per l'amore vissuto, ma anche una consapevolezza di ciò che è stato e che, forse, non tornerà più.
Questa poesia, scritta in dialetto veneto, porta con sé un senso di nostalgia e di riflessione sul passato, sulla colpa e sul perdono. Il titolo stesso, "Sassìn", suggerisce una pietra, un frammento di realtà solida, immutabile, che si fa simbolo di una colpa radicata, di un errore che non si può cancellare. La figura della "disperada" (disperata) che cerca i "raggi del tuo sole" fa riferimento a una ricerca incessante, forse una ricerca d'amore, di significato o di salvezza. Il poeta confessa di aver "spezzato il tuo stelo", un'immagine potente che simboleggia la distruzione di qualcosa di fragile e prezioso. Il "giallo vivo" dei "raggi del tuo sole" richiama un contrasto tra vita e morte, tra calore e freddo, ma anche tra speranza e delusione. La ripetizione di "Mea culpa" e "pietà" suggerisce una preghiera di perdono, un atto di espiazione che cerca di riparare un errore che non può essere annullato. La poesia si chiude con una riflessione sulla morte, sul distacco definitivo, ma anche sulla possibilità di perdono, come se il poeta, con il suo atto di confessione, cercasse un legame con ciò che è ormai perduto.
Questa poesia, di tono breve ma incisivo, celebra la vitalità della terra e dei suoi cicli. In pochi versi, l'autore riesce a trasmettere una visione dinamica e vitale della natura, in cui ogni elemento è in movimento: "Il fiume scorre verso il mare", il mare è "perpetuo movimento", il vento "spira lento o impetuoso". La terra non è solo un luogo fisico, ma un essere vivente che "genera il germoglio dalle zolle", dando vita a un continuo rinnovarsi che è in relazione con l'universo. Il mare e il vento, in questo contesto, diventano espressioni di una forza cosmica che si intreccia con il ciclo della vita. La terra è viva, non solo in senso biologico, ma in un senso spirituale: è il luogo in cui nascono, vivono e muoiono le esperienze, le emozioni, le storie. In questo senso, la poesia di Romanini sembra un invito a riconnettersi con la natura, con il suo ritmo perpetuo, a comprendere la propria esistenza come parte di un movimento più grande e continuo.
Con immenso affetto e stima
vostro Ben Tartamo
Il vento, il respiro stesso della vita, mi scuote, mi penetra. Mi trascina in una danza che un tempo era gioia, pura libertà, come quella del lino che ondeggia sotto il cielo. Ma ora, oh! Ora, sono di nuovo bambino, ma il mio corpo è un peso. Lo straccio che mi rimane è lento, stanco, quasi rassegnato. Ogni fibra di questo lino spezzato è un ricordo di un tempo che non ritorna. Eppure, figlio del vento, continuo a sognare… sogno il broccato di una luce che mai si spegne, un faro che guida le anime perse. La poesia non è mai in fuga, è sempre un ritorno. Il vento soffia, ma è il mio spirito che si rialza, che invoca la memoria, che brucia nel fuoco del ricordo.
Che cosa serve, davvero, per sentirsi completi? Solo un nebbione che avvolge tutto, che ammutolisce i pensieri e nutre il cuore con la sua dolcezza. Una casa, calda, umile, che sa di pane appena sfornato. Una gatta che dorme, un suono lieve, quasi impercettibile, che ti avvolge come una carezza. Eppure, non è solo questo: c'è una lotta silenziosa nel cuore, un amore che batte per qualcuno che manca, che torna forse... forse un giorno, con il ritorno della primavera e il cinguettio delle rondini. La speranza non muore mai. Il fuoco nel caminetto, il calore, sono il rifugio di una solitudine che sa di attesa, di desiderio, di dolcezza.
Il momento finale, l'istante che scivola tra le mani come sabbia. L’ultimo secondo è irreparabile, non puoi tornare indietro, ma chi se ne importa! Ecco, il corpo svanisce, la forma cede, ma la mente, ah, la mente è libera. Si dissolve nelle viscere del cosmo, in un respiro senza confini, senza argini. Tutto è chimica, tutto è marcio eppure, è bello, come il volo che si fa paura, come la rinascita che segue la fine. E tu, figlio del cosmo, ti stacchi dal terreno, dalle tue radici, e voli senza paura. La lingua che non ha mai assaporato la pioggia, i sogni che non sono mai stati sporcati dalla realtà, ma che ora sono pura realtà. La mente non sente più dolore. Ecco, vola. Vola senza più catene. Sei l’idiota che inseguiva i sogni, ma ora sei tutto ciò che sei stato: puro spirito.
In una valle che sa di eterno, dove le acque si gettano nel mare come un sogno senza fine, nasce un amore che non conosce fine. Aci, il pastore gentile, e Galatea, la ninfa che amava, si incontrano nel cuore di una terra selvaggia e pura. Ma ahimè, la violenza di Polifemo, il gigante che non conosce il cuore, li separa. La furia di un amore non ricambiato diventa tempesta, e la morte si abbatte sul giovane pastore. Ma la natura, che ha ascoltato il pianto di Galatea, li riunisce, per sempre, in un abbraccio eterno. Le acque li avvolgono, li trasformano, e li rendono immortali. Una lezione di amore e sacrificio, che sfida la morte stessa, come un fiume che scorre senza mai fermarsi, che continua a cantare il loro amore, più forte di tutto.
La vita è un gioco di parole, una cura che non guarirà mai, una medicina che curerà il cuore, ma non l’anima. E io, scrittore di miserie, di parole taglienti, continuo a vivere nella mia cella di parole. Il surrealismo come sciroppo, il simbolismo come iniezione, un vaccino contro la realtà. Ogni giorno una puntura di verismo, un attimo di lucidità che poi si dissolve nel fumo dell’illusione. La vita, la scuola, le aule, tutto si riduce a un susseguirsi di parole che non vogliono guarire, che non vogliono sanare l’anima. La mia vita si è fermata in questo frangente, ma il mio cuore batte ancora per le parole, per un sogno che non morirà mai. Non importa quanto il mondo mi schiacci: io respiro in poesia.
Un dialetto che suona come un grido. La voce del poeta che non chiede perdono, ma implora. Il sassìn, che è simbolo di colpa e di redenzione, parla a me, ma anche al mondo. La furia della natura si è abbattuta su un amore che è stato spezzato, e ora un'ape, simbolo di vita e di amore, cerca invano il suo sole. Ma è troppo tardi, la colpa è come un peso che non si può sfuggire. "Mea culpa", ripete il poeta, ma la pietà non basta. Le radici sono morte, e con esse il sogno. È un atto di purificazione, ma anche di condanna, il tutto racchiuso in un canto antico e dolente.
Lasciarsi sorprendere dalla divinità. È un atto di purezza, di rinascita. L’acqua che bagna la carne, il sangue che scorre nelle vene: sono le stimmate di un risveglio. La morte, che sembra la fine, si trasforma in una nuova possibilità. I massi che rotolano dal cuore sono simboli di ciò che si distrugge per fare posto a ciò che deve venire. Il cuore batte ancora, e la luce si fa largo tra le ombre. La resurrezione è qui, è dentro di noi, è il corpo che si rialza, è il sogno che diventa realtà.
Ogni parola è un sussurro di nostalgia, ogni verso è una ricerca senza fine. Ti cerco nell’immensità del cielo, nei voli delle rondini, nel profumo della rosa che si perde nell’aria. Ti cerco nel battito del mio cuore, nel vento che scuote le foglie, nei miei sogni che sembrano sempre sfuggire. Ogni istante è un'inquietudine, un desiderio di trovarsi, di ricongiungersi. La tua immagine è scolpita dentro di me, un'ombra che non se ne va mai. Ma forse, è proprio questa la bellezza: cercarti in ogni angolo del mio essere, ogni giorno, ogni notte, senza mai trovare una fine.
Un tramonto che sembra prendere tutta la vita con sé, che porta via la luce e lascia spazio solo al silenzio. La nebbia, che avvolge la terra, rende tutto più intimo, più profondo. I colori del cielo si mescolano con quelli della terra, e il vento sussurra segreti che non voglio sentire. Eppure, c’è una bellezza in questo passaggio, un senso di pienezza che nasce dal lasciare andare. La poesia si fa come il crepuscolo, dolce e malinconica, ma con una promessa di nuova vita.
La vita è un cammino fatto di incontri, di sguardi rubati, di respiri condivisi. E in questo percorso, tu sei la luce che illumina il mio sentiero. Ogni mattina che apre gli occhi su di te, ogni notte che ti stringe tra le braccia, è un pezzo di eternità che mi appartiene. Tu sei il quadro perfetto, il sogno che si materializza. E anche se il tempo ci separa, anche se la distanza ci scava dentro, il mio cuore è ancora il tuo. In ogni passo che faccio, ti cerco, ti trovo. Sei la mia primavera, il mio cielo.
Laura Lapietra** La neve che cade, silenziosa, pulita. Gli ellebori neri si stagliano contro il bianco assoluto, come ombre in un sogno. L’assenza di parole, la purezza del pensiero che scivola via come fiocco di neve, è un atto di grazia. Un haiku che cattura l’attimo prima che tutto scompaia. La bellezza di un istante eterno, cristallizzato nel silenzio di una scrittura che non ha bisogno di spiegazioni.
La terra che ci sostiene, che ci nutre. È viva, pulsante, è il cuore di tutto ciò che esiste. Il germoglio che nasce, il fiume che scorre, il vento che soffia. Ogni respiro della terra è un invito a ritrovare la nostra connessione con essa. La vita che ci circonda è un ciclo infinito, un movimento che non si ferma mai. E noi siamo parte di questo movimento, di questa danza eterna. La terra è viva, e in essa troviamo il nostro posto.
C'erano i boschi, gli alberi, i miei fratelli. Ora non ci sono più, ma io continuo a cercarli. La natura che un tempo era sacra, che parlava con me, ora è lontana. Ma io non dimentico. Gli alberi sono nel mio cuore, sono la memoria di ciò che è stato e di ciò che ancora potrà essere. L’amore per la natura è un atto di fede, un ritorno alle radici che non dobbiamo mai perdere.
La preghiera è un momento di intimità, di connessione con l'infinito. È il battito del cuore che cerca risposte, che cerca salvezza. La croce, simbolo di dolore, è anche simbolo di speranza, di redenzione. Ma le ombre sono sempre pronte a sopraffare, e la preghiera diventa l’ultimo baluardo contro il caos. La mente si eleva, il cuore si ferma, e l’anima si arrende.
Le parole sono sogni che volano via. Sono eco di voci lontane, che non hanno mai trovato un corpo in cui abitare. Ma io continuo a cercarle, continuo a dare loro forma. Sono il silenzio che grida, la verità che non si dice. Ogni parola che nasce è un segreto, un mistero. Eppure, c'è una bellezza infinita anche nel non dire. Nel lasciare che il silenzio parli.
Gli alberi erano il mio tempio, il mio santuario. In loro c’era la forza, la sacralità. Ma ora, quando li guardo, mi sembra che manchi qualcosa. Forse è la fede, forse è la memoria. La poesia è un atto di rispetto, di riconoscenza verso quella natura che ci ha dato tutto. La dendrolatria non è solo un culto, è un ritorno alla purezza, alla verità del mondo.
vi scrivo questi ultimi commenti, ormai in partenza dal Venezuela e di ritorno nella mia amata Patria, l'Italia. Non so cosa mi attenderà, fuggo perché , 40 anni di sacrifici, impegno civile e culturale, hanno visto prevalere la cecità di un sistema politico dittatoriale orribilmente cinico e criminale. In Venezuela ho perso tutto, da docente di lingua e letteratura italiana tra Maracaibo e il Tachira, mi sono adattato a far di tutto, ridotto in povertà: collaboratore di panificio, guardiano notturno e, infine, badante. Senza dimenticare però, sia l'amore per la poesia e la Bellezza della lingua patria, che la mia, direi meglio, la nostra dignità di italiani costretti all'emigrazione... ripeto, non so cosa mi aspetta... quelle poche centinaia di dollari mi serviranno per un alloggio di fortuna in cerca di lavoro alla mia bella età di 71 anni suonati!!! Andrò a Roma, in attesa di poter finalmente rivedere la mia terra natale, Molfetta... Lascio il compito di seguire questo sacro tempio della Poesia, al mio ''scolaretto'' Ben Tartamo!!! Auguratemi, buona fortuna... ne avrò davvero bisogno!
Marino Spadavecchia
28-29-30 Novembre
L’albero, con le sue radici profonde e la sua testa rivolta al cielo, incarna la lotta contro il vuoto, il richiamo incessante della caduta. Mi ha colpito l'immagine di questa creatura che, pur muta, sfida il tempo e la vertigine. È una poesia che mi fa pensare alla resilienza e al mistero dell’esistenza, ricordandoci che ogni parte del cosmo vive, anche se in modi che non possiamo comprendere. Il verso "determinate a opporvisi, a non cedere" mi ha lasciato una sensazione di speranza, un richiamo a resistere contro le forze invisibili che cercano di trascinarti giù.
Questo componimento è un cerchio che si chiude su sé stesso, una spirale di emozioni che si riflette in un eterno ritorno. "È inverno sotto il sole d’agosto" è un’immagine di una bellezza struggente, che parla del paradosso dell’anima: fredda e vuota anche sotto il calore di un’estate. Mi ha profondamente emozionato la ripetizione a specchio, che amplifica l’idea di un dolore ciclico, di una memoria che non si dissolve mai davvero, nemmeno nel vento.
Un amore che sfida la distanza, il tempo e le difficoltà, mantenendo accesa una fiamma che non si spegne mai. L’immagine del "crepitio delle fiamme" che sussurrano la parola "amore" è di una dolcezza rara, capace di trasportare il lettore in un luogo dove la passione è eterna. Mi ha emozionato il contrasto tra il gelo delle distese innevate e il calore del cuore, che crea un equilibrio perfetto tra fragilità e forza.
La neve che cade lenta e silenziosa crea un’atmosfera sospesa, un ritratto malinconico che parla di solitudine e contemplazione. Mi ha colpito la descrizione della città "vuota", dove tutto sembra immobile sotto il gelo. La poesia evoca un paesaggio che non è solo fisico, ma anche interiore, una metafora del nostro cuore nei momenti di silenzio e attesa. Mi sono ritrovata perso in quel bianco, sentendo ogni fiocco posarsi come un ricordo sulla pelle.
Questa poesia mi ha emozionato per il suo modo di esplorare l’intimità e il tempo che passa, con una sensualità delicata e profonda. La visione della pelle splendente sotto un tessuto trasparente diventa una metafora dell’amore che si offre senza riserve, ma che sfida anche la mortalità. "Scoppia nei cuori ed è rivoluzione" è un verso che eleva il sentimento a un atto di trasformazione, capace di cambiare non solo le persone, ma anche il mondo intorno.
Questo componimento è un inno alla bellezza effimera del quotidiano e al conflitto con il Tempo, che divora tutto. Mi ha emozionato l’immagine del sole che perfora il "ventre nero" delle nuvole, un gesto che sembra rappresentare la lotta tra speranza e oscurità. La chiusa, con la domanda "Vi sarà per me un altro giorno?", è un colpo al cuore, che ci ricorda la nostra fragilità e la preziosità di ogni istante.
Cruda e viscerale, questa poesia mi ha emozionato per la sua forza brutale e il suo linguaggio diretto. La descrizione di un’anima in fuga, che cerca sollievo nella distruzione, è un ritratto devastante di chi lotta contro i propri demoni. Il corpo come "argilla" e il sangue "compromesso" sono immagini potenti, che trasmettono la fragilità di chi è perso ma cerca ancora di urlare al mondo.
La poesia esplora il mistero dell’esistenza con una semplicità che tocca il cuore. La mente che "crepita come una vecchia radio arrugginita" è un’immagine che evoca la fatica di cercare risposte in un universo silenzioso. Mi ha colpito il verso "Ci basti la certezza che pur nel mistero siamo qua", un invito ad abbracciare l’incertezza con gratitudine per il dono della vita.
La storia d’amore e tragedia tra Eloisa e Abelardo è raccontata con una liricità che mi ha lasciato senza parole. Il loro amore, che sfida la morale e il tempo, è descritto con una passione che risuona ancora nei secoli. La chiusa, con il gesto simbolico delle braccia di Abelardo che si aprono per accogliere Eloisa nella morte, è di un’intensità struggente. Questa poesia è una celebrazione dell’amore come forza eterna, capace di sopravvivere a tutto.
Un componimento che si distingue per il suo tono intimo e sincero. Il poeta si rivolge a Dio non con suppliche, ma con un dialogo quasi familiare, chiedendo redenzione per un’umanità ferita. Mi ha emozionato l’immagine della mano che tende un ramo d’ulivo, un simbolo di speranza e di perdono. È una poesia che, pur riconoscendo il dolore del mondo, trova ancora un motivo per credere nella bontà.
Queste poesie, nella loro diversità di temi e stili, hanno
toccato corde profonde della mia anima. Ognuna di esse racconta una verità
universale, che va oltre le parole e si insinua in quella parte di noi dove
risiede la nostra essenza più autentica. La poesia, come la vita, non smette mai
di sorprenderci. Grazie a voi tutti, poeti e leggiadre poetesse.
Marino Spadavecchia
Ringrazio con il cuore
Pur non avendo tempo a disposizione, leggendo i commenti, non ho potuto non notare quello del Prof. Spadavecchia relativo alla mia poesia “L'adulto che non c'è”. Le sue parole mi hanno profondamente toccato il cuore, creando in me una profonda empatia con lui.
Non dimentico ovviamente il commento di Ben Tartamo non solo per questa poesia ma anche per tutte le altre, insieme al Prof. Spadavecchia.
Ringrazio di cuore il Prof. Lorenzo De Ninis, che non solo ci ospita ma è anche uno dei poeti da me preferiti di questo sito. Estendo i miei complimenti a tutti i Sitani per le loro opere.
Vicina col cuore alla Preghiera di Ciro Seccia, che tocca temi esistenziali che sono anche i miei.
Sandra Greggio
In questo componimento, l’immagine di un inverno sotto il sole d'agosto mi sembra l'inizio di un paradosso, dove la realtà viene stravolta, quasi come se l’autrice ci stesse rivelando che nell’anima c'è uno spazio dove le stagioni non obbediscono alle leggi naturali. Il contrasto tra il caldo e il freddo, tra la luce e l'oscurità, è palpabile, ed è come se l’ombra della perdita o del dolore si facesse ancora più profonda e tagliente in quel "sole d'agosto", in una sorta di impossibile coesistenza. L'eco della "polvere" che "bercia in pugni", che si disperde nel vento, crea l'immagine di qualcosa che non ha più forma, che si dissolve. Un’immagine inquietante che parla di qualcosa che, pur essendo presente, sembra svanire nell’aria.
Le parole che iniziano con l'immagine del reggiseno trasparente si fanno subito cariche di sensualità e, insieme, di un desiderio che si rinnova in ogni verso. C'è un gioco di luce e ombra in questa poesia, un gioco di epoche che si intrecciano. La ricerca di una giovinezza perduta si trasforma in un canto di rinascita e speranza. Ma c’è anche un certo senso di "rottura" in questa poesia: l'amore che si svela e si dà senza limiti, l'amore che "scoppia nei cuori" come una rivoluzione che va oltre la consuetudine, che "rinnova le cellule". Il corpo, la mente e l'anima si fondono in un processo che non è mai statico, ma che chiede di evolversi, di cambiarsi. La sensualità diventa un atto rivoluzionario, come se il corpo stesso fosse un microcosmo capace di sfidare il tempo e le leggi della natura.
Questa poesia è un inno alla vita che si manifesta in forme diverse, da quella dell'uomo a quella della natura. L’albero diventa metafora di una resistenza misteriosa, come se ogni sua fibra fosse tessuta dal desiderio di comprendere e opporsi, di sfidare le leggi che ci governano. La vertigine del "non cedere" di fronte al richiamo della morte è anche un richiamo alla lotta, al vivere contro ogni previsione. C'è un’idea di "follia" ma anche una bellezza che risiede nel riconoscere che ogni cosa ha un'anima, anche quella che pare muta, che sembra inerte. Il poeta ci invita a credere che l’universo sia vivo, ma che non sempre abbia il coraggio di rivelarsi, perché l'uomo si è fatto cieco, non più capace di ascoltarlo.
"Camera con vista" si dipana come una riflessione sulla memoria e sul passare del tempo. I "tramonti" e le "albe azzurre chiare" sono immagini che vanno oltre il ricordo, quasi come se fossero sospese in un attimo eterno. Il paesaggio scolorito, le luci che tremano come lampare, sono segnali di un mondo che sta per sfuggire. La "camera" diventa il luogo dell'introspezione, ma anche della visione distorta, di chi guarda e non riesce più a afferrare la realtà, a meno che non la percepisca attraverso il filtro della memoria. È come se la vista non riuscisse più a cogliere il mondo nella sua interezza, ma soltanto frammenti, che si perdono nel tempo.
In questa poesia, la ritmicità del dialetto si fa subito eco di una realtà che è allo stesso tempo concreta e sfuggente. Il cielo che si oscura e il sole che si nasconde tra le nuvole evocano una visione che scivola dal quotidiano alla dimensione dell’invisibile. C'è un movimento di costante trasformazione: il mare che diventa argentato, l'orizzonte che muta da un’allegria a una malinconia improvvisa. Eppure, il ritorno del sole, come una luce che scaccia l’ombra, porta con sé il calore che risveglia il cuore. La stessa tensione tra oscurità e luce si riflette in un amore che è sempre in movimento, simile a una vela che si lascia trasportare dal vento. Il poeta, con il suo "core" che corre dietro a un pensiero dolce, ci invita a vivere l'intensità dell'istante, dove il tempo è sospeso tra il desiderio e la contemplazione.
Questa poesia è un'ode alla nascita di un nuovo giorno, ma anche una riflessione sul suo inesorabile passaggio. La luce che penetra la montagna di nuvole, il mare che risplende sotto il mantello di diamanti, sono immagini che caricano il quotidiano di una bellezza splendente. Ma, come il vento di novembre che carezza le foglie residue sugli alberi, c’è una sensazione di transitorietà, di vita che si strappa via da noi senza che possiamo far nulla. Le immagini di bambini, donne, auto, tutti che vivono senza sosta, si mescolano alla riflessione più profonda sul Tempo, quel "tiranno" che, sebbene ci sembri lontano, è sempre presente con la sua ombra. Eppure, il poeta ci chiede se ci sarà ancora un altro giorno per lui, una domanda che ha il sapore della sfida all'implacabilità della vita e della morte.
Il tono della poesia cambia drasticamente con questa composizione, che si impone per il suo minimalismo inquietante. La scrittura "criminale", che gioca con il suono e il significato in modo spiazzante, emerge come una riflessione sul desiderio e sull’isolamento. L'autrice, nella sua dichiarazione di essere "criminale", sembra esprimere una dissonanza tra la propria identità e il mondo che la circonda, quasi come se si sentisse estranea a ciò che la circonda. L’abbracciare un "palo della luce", simbolo di energia e solitudine, è un atto che potrebbe sembrare assurdo, ma che esprime un bisogno profondo di contatto, di unione con qualcosa di tangibile, ma fuori portata. Il contrasto tra il desiderio di abbraccio e l’oggetto scelto – un palo elettrico, oggetto inanimato e rigido – crea una tensione che potrebbe simboleggiare l’impossibilità di colmare una distanza emotiva, l’incapacità di toccare ciò che veramente desideriamo.
La poesia di Maria Toriaco sembra sospesa nel tempo. La neve che cade lenta e incolore è simbolo di quella quiete che si fa pesante, di quella solitudine che avvolge tutto. La città che diventa vuota, immersa nel silenzio della neve che cade senza rumore, ci ricorda quanto il paesaggio naturale possa diventare uno specchio per l'anima. La malinconia di quel paesaggio è palpabile, come se ogni fiocco di neve fosse una memoria che si deposita lentamente sul cuore. L'assenza di suoni e di vita, l'atmosfera che si prepara a una "cornice di gelo", è una metafora potente della quiete prima della tempesta, ma anche del silenzio interiore, dell'attesa di qualcosa che potrebbe non arrivare mai. La neve diventa allora il vestito di un mondo che nasconde, che si fa invisibile per chi non sa guardare oltre la superficie.
La "tela" che danza nel vento è un'immagine potente di libertà e movimento, ma anche di vulnerabilità. La tela, che è al contempo un oggetto e un soggetto, si fa metafora di un'esperienza fluida, che scivola senza un fine preciso, come la musica che si dissolve nell'aria. La sua bellezza sta proprio nell'assenza di pretese: "senza interessi, senza rappresentazione". Non è un'opera d'arte definita, ma un atto di pura espressione, un'energia che si diffonde nel mondo senza scopo, ma che riesce, però, a sorridere al mondo stesso, a restituirgli un'infinità di colori e sensazioni, come un gioco di pura felicità.
La poesia di Tartagni affronta la solitudine e la disperazione con un linguaggio crudo e diretto. La "droga" non è solo quella fisica, ma anche quella metaforica: l’illusione di fuggire dalla realtà, di smarrirsi in un mondo che offre una parvenza di salvezza. La spinta a cercare l’oblio è il risultato di un dolore profondo, di una vita che ferisce e sminuisce, ma che non offre soluzioni. Le immagini di "corpo di argilla", di "zombi" e di "sangue compromesso" evocano la morte interiore, la perdita di se stessi in una spirale che sembra non avere via d'uscita. La poesia sembra un urlo muto, un richiamo disperato a chi si sente perduto, ma anche un riflesso di un mondo in cui il dolore si nutre di sé stesso.
Questa poesia si immerge nel mistero dell’esistenza umana, nella ricerca incessante di un senso che sfugge e nella consapevolezza della nostra finitezza. L’immagine della mente che “crepita” come una vecchia radio arrugginita è suggestiva e ricca di pathos: la mente, pur cercando risposte, si ritrova intrappolata in un circolo senza fine di domande senza risposta. La poesia esplora il contrasto tra il desiderio di conoscere e l’impossibilità di ottenere certezze. Eppure, in questo caos di pensieri e di incertezze, la certezza di essere "qua" diventa l’unica verità che rimane, una verità che ci tiene legati al mondo nonostante tutto.
La poesia di Bettozzi gioca con il linguaggio epico e il contrasto tra il cavaliere e il lupo, tra il guerriero e il tiranno. Il cavaliere, audace e indomito, sembra incarnare una lotta per la giustizia, ma la sua lotta è anche quella di chi è schiavo di un sistema che non perdona, che premia la sottomissione e condanna la ribellione. La poesia riflette sul concetto di potere, di chi è al "soldo di un tiranno" e su come il "danno" diventi un gioco di equilibri tra vittima e carnefice. C'è una critica alla società e alle sue ingiustizie, eppure la figura del cavaliere rimane intrappolata in un ciclo di violenza e ritorsione. L'immagine della "reazione" come una risposta a un sistema che non perdona risuona come un monito sul perpetuarsi delle dinamiche di potere.
Questa poesia si inserisce in una tradizione che celebra il flusso di coscienza, un movimento continuo e senza fine di pensieri che attraversano paesaggi e stagioni, come il viaggio infinito dell'anima. La ripetizione della frase “I miei pensieri vagabondi” conferisce alla poesia un senso di meditazione, quasi una preghiera, un'implorazione al mondo esterno di rispondere ai desideri e alle inquietudini interiori. Ogni paesaggio descritto (dal mare alla montagna, dalla pioggia alla luna) è un riflesso del movimento dell'anima, che non si ferma mai, ma cerca sempre di approdare a nuovi orizzonti, anche se la ricerca resta solitaria. La chiusura della poesia, con "noi soli liberi vagabondi", racchiude in sé un senso di libertà, ma anche di solitudine, quella che si prova nel viaggio incessante dei pensieri.
La poesia di Rial esplora l'angustia dell'individuo confrontato con la vita quotidiana e le contraddizioni della società. La domanda “Cosa stai cucinando?” è una domanda apparentemente banale, ma che in realtà esplora il tema della riflessione sulla propria esistenza, sul proprio ruolo nel mondo. La poesia sembra denunciare l'insoddisfazione del poeta per una vita che lo costringe a "apparecchiare la tavola" mentre gli altri "affondano la pelle", un'immagine potente che suggerisce la violenza sottile delle dinamiche sociali e quotidiane. La solitudine e la ricerca di un significato si percepiscono attraverso una distanza emotiva che rende ancora più evidente il contrasto tra l'apparente normalità e la sofferenza silenziosa che il poeta avverte.
Questa poesia, cruda e dissacrante, esplora il corpo come luogo di disordine e di perdita, ma anche di esperienze immediate e senza filtri. Il vomito, la "barba di una settimana", la "leccatina" della cagna, sono immagini corporee che evocano un senso di disagio, ma anche di realtà spietata, che si svela senza edulcorazioni. È una poesia che racconta la fatica di vivere, la resistenza alla monotonia del quotidiano e l’estraneità che spesso si prova nei confronti di se stessi. La speranza di una "giornata radiosa" che ripagherà il poeta riflette una tensione tra il dolore e la possibilità di redenzione, come una breccia di luce in un mondo di disillusione.
La poesia di Colonna Romano narra una delle storie d'amore più intense e tragiche della storia medievale, quella di Abelardo ed Eloisa, un amore che è al contempo sacro e profano, spirituale e carnale. La vicenda, raccontata in forma di sonetto, si sviluppa tra l’educazione filosofica, il peccato, il tradimento, e il sacrificio. La poesia esprime la passione che nasce dall'incontro tra due menti brillanti, ma anche la rovina che ne deriva: il tradimento, l’umiliazione, la castrazione di Abelardo, e la separazione dolorosa dei due amanti. La storia di Abelardo ed Eloisa è un'epopea di amore intellettuale, ma anche di dolore fisico e psicologico, di un amore che attraversa la morte ma che non può mai tornare ad essere quello che era. La conclusione della poesia, che ricorda la sepoltura insieme nel cimitero di Père-Lachaise, ha qualcosa di sacro, come se il loro amore, pur distrutto dalla violenza e dalla separazione, trovasse infine pace nell’unione eterna.
Questa poesia è un atto di preghiera laica, una riflessione profonda sulla condizione dell'uomo e sul destino del mondo. Il poeta si rivolge direttamente a Dio, con un tono intimo e disarmato, mettendo in evidenza le contraddizioni dell'umanità: da un lato la violenza e la distruzione, dall’altro il desiderio di salvezza e di redenzione. C’è un senso di inadeguatezza e di rimorso, ma anche una ricerca di speranza, incarnata dall'immagine della mano che tende un ramo d’ulivo, simbolo di pace e di umanità. La lettera diventa quasi una confessione personale, ma anche un appello collettivo per una salvezza che non è solo fisica, ma spirituale, che riguarda i cuori più puri. L’elemento di distacco ("mi ha fatto tornare bambino") dona una dimensione universale alla preghiera, come se la scrittura stessa fosse un atto di ritrovata innocenza.
La poesia di Soldà affronta la questione della realtà e della nostra comprensione di essa. L'idea che siamo "onde di probabilità" richiama le teorie moderne della fisica quantistica, in cui la realtà appare come una serie di possibilità che si materializzano solo quando vengono osservate. L'immagine della "busta" che arriva senza contenuto diventa il simbolo di una ricerca che sembra sfuggire, di una realtà che non può mai essere completamente compresa. Il "buio" e il "brusio del silenzio" riflettono il senso di incertezza e di mistero che circonda l'esistenza. La poesia sembra voler esplorare l'interconnessione tra l'essere umano e l'universo, in un flusso di possibilità che definiscono, ma al contempo sfuggono, la nostra percezione.
Romanini utilizza il mare come metafora di una realtà più profonda e misteriosa, dove il "sale" non è solo il sale delle acque, ma quello che guarisce le ferite interiori. La poesia inizia con l’immagine delle "acque corrugate" e delle "impronte cancellate", richiamando l’idea del passare del tempo e dell'effimero dell'esistenza. Il mare qui non è solo un elemento naturale, ma una sorta di “luogo” dove si va a naufragare, dove il poeta lascia l'inettitudine e si abbandona al "dentro quella solitudine che ciascuno porta dentro di sé". C’è un doppio movimento nella poesia: da un lato la solitudine, dall’altro l’incontro con una dimensione più profonda, forse di riscatto o di riconciliazione. La solitudine non è più solo una condizione dolorosa, ma qualcosa che fa parte di noi, e l’immagine del mare e delle onde diventa quasi una forma di liberazione.
Questa poesia è una dichiarazione di amore profondo e sentito, ma al tempo stesso, una riflessione sulla distanza fisica che separa i due amanti. Il contrasto tra il cuore che "offre emozioni infinite" e la tecnologia che permette loro di restare connessi nonostante la lontananza, evidenzia la tensione tra il desiderio di vicinanza fisica e l’affetto che va oltre lo spazio. Le immagini evocative delle "distese innevate della terra russa" e della neve che "scende incessantemente" aggiungono un’atmosfera di malinconia e di bellezza, che si mescola con l'intensità del fuoco che l'amante ha acceso nel cuore del poeta. Il fuoco che "non può spegnersi" diventa un simbolo di amore eterno, ma anche di speranza in una relazione che resiste alle difficoltà. Il tono è tenero e vulnerabile, ma anche forte nel desiderio di mantenere viva quella passione.
Il testo di Jacqueline Miu è un appello poetico all’amato, scritto in un flusso che mescola il desiderio con la nostalgia e l’idealizzazione dell’amore. La poesia ruota attorno alla visione di una realtà parallela, in cui l’amante è costantemente presente nei sogni e nei pensieri. C’è una fusione tra il mondo concreto, fatto di "corpi di cemento" e "gente che corre con le speranze in auto di ferro", e un mondo più etereo, dove l’amore diventa un mezzo per sfuggire alla routine e alla fatica quotidiana. La figura di Cupido, l’Olimpo, Ares e Venere fanno riferimento all’amore come forza divina e incontrollabile, che va al di là della realtà. In particolare, l’immagine della "Luna che avanza pallida sberla" è un simbolo di amore che sfida il tempo e l’imperfezione del mondo. Il poeta sembra voler vivere quell'amore che è allo stesso tempo struggente e liberatorio.
Questa poesia ha un tono ironico e giocoso, ma anche malinconico, mentre il poeta racconta la propria vita (e la propria formazione) come se fosse un curriculum di esperienze letterarie, dove la "morte" diventa una sorta di allegoria per il passaggio attraverso diversi stili e periodi letterari. La poesia è una riflessione su come la letteratura e la poesia siano diventati strumenti di sopravvivenza emotiva, in un mondo che il poeta ha visto come difficile e lontano dalla felicità. Il riferimento alla "Scapigliatura", "Ermetismo", "Futurismo" e "Romanticismo" allude ai movimenti letterari che hanno caratterizzato la sua formazione, con una nota di disillusione e di ironia sul fatto che questi stili, pur pieni di passione, non siano riusciti a colmare il vuoto della sua vita. Il "triste privilegio" di essere nato senza padre è un motivo ricorrente di riflessione sulla solitudine e sul desiderio di appartenere a qualcosa di più grande.
Vostro Ben Tartamo
25-26-27 Novembre
"Sarò foglia" è una poesia che si fa voce di una metamorfosi silenziosa e potente, in cui l'io lirico si fonde con l'essenza della natura, cercando di coglierne l'anima. La foglia che "giunge alla soglia" è, come ogni essere umano, un frammento di vita che si prepara a varcare una frontiera, a svelare il mistero dell'esistenza in un gesto semplice e simbolico: il dondolio nel vento. L'infinita fragilità della foglia diventa l'emblema dell'essere umano, il cui destino sembra segnato dal vento della vita. La brevità del passo e la dolcezza dell'immagine invitano a riflettere sull'effimero, sul continuo mutamento del nostro cammino. La soglia è il confine tra il visibile e l'invisibile, tra l'esperienza e l'ignoto, ed è su questa linea sottile che l'autore ci invita a camminare, o meglio, a fluttuare. La semplicità della forma, quasi sospesa, rispecchia la profondità dell'intenzione, come un silenzio che fa eco nel cuore.
La poesia di Laura Lapietra si dipana come una riflessione sul passaggio delle stagioni e sul susseguirsi degli elementi naturali, che diventano metafore di un cambiamento più grande, impercettibile ma inevitabile. Le gocce di pioggia, "piccole luci che brillano su foglie", sono l'immagine di una bellezza che sfugge, quasi come se ogni istante fosse un sogno che si dissolve al tocco del vento. Il sole, timido dietro le nubi, rappresenta la luce che non si arrende, che continua a cercare spazio, anche se offuscata dalla difficoltà del mondo. Il paesaggio autunnale, reso "ammaliante", riflette la contraddizione di un tempo che attrae con la sua malinconia, ma che in fondo è segno di un avvicinarsi alla fine. La poesia è un gioco sottile tra l'impercettibile e l'infinito, dove ogni elemento sembra chiacchierare con l'altro in un dialogo muto e struggente.
"Precarietà" è una poesia che affonda radici nell'esperienza del mutamento e della caducità, trattando il tema della vulnerabilità umana e del susseguirsi inevitabile dei giorni. La foglia, simbolo di una vita che avanza e si trasforma, è qui anche il paradigma di una bellezza che svanisce, un’arte della temporaneità che gioca con il passaggio dal verde vibrante alla desolazione del giallo. La riflessione sull'invecchiamento, sulla ruga che "ricama" il volto, restituisce una forza esistenziale nella sua fragilità. Il corpo umano, come la natura, è destinato a mutare, a perdere qualcosa. Eppure, il cuore batte con forza, in un contrasto vibrante tra la fine e la persistente volontà di vivere. La poesia sfiora un tono di denuncia sociale e politica, criticando un mondo in cui i "valori" sono ormai persi, dove le "misérie umane" sembrano ignorate. Ma l'immagine finale della bara, senza tasche né firme, è una riflessione profonda sull'inutilità dell'ostentazione di fronte alla morte, che ci rende tutti uguali nella sua implacabilità. La morte qui è un grande levigatore delle differenze umane, una verità assoluta che non richiede trombe né luci.
La "Leggenda bretone" è un racconto che affonda le sue radici nella memoria ancestrale di una terra che custodisce la sofferenza e la giustizia perduta. La quercia, simbolo di forza e resistenza, è l'elemento che cela dentro di sé il dolore di un uomo trasformato in albero, condannato ingiustamente e privato della sua umanità. La metamorfosi in albero non è un riscatto, ma una prigionia eterna: il corpo "indurito" non è più in grado di esprimere l'urlo della sofferenza, eppure il lamento, seppur invisibile, riecheggia nell'aria, tra il vento e le valli. La sofferenza dell'uomo-bero si trasforma in un "gemito monotono", continuo e doloroso. Questa leggenda non è solo un racconto di ingiustizia, ma anche una meditazione sulla solitudine della pena e sull'impotenza di chi ascolta il dolore senza poterlo alleviare. La quercia, come simbolo di una vita spezzata, è anche un simbolo di resistenza, ma di una resistenza che non trova consolazione, solo l'eco perpetuo di ciò che è stato. La poesia diventa un richiamo alla riflessione sul destino umano e sulla vendetta delle forze invisibili che ci imprigionano.
In questa poesia, "Ultimi bardi" di Guglielmo Aprile, c'è un ritorno a una sapienza primitiva, un richiamo alla sacralità del bosco e alle antiche pratiche di consilio e giuramento che un tempo gli esseri umani tramandavano tra le sue fronde. Il poeta ci immerge nel mistero di un tempo in cui la natura non solo era custode di segreti, ma anche la testimone di verità assolute, incarnate dagli alberi, che erano visti come infallibili tribunali naturali. La figura della "Pizia piumata" evoca l’idea di una profezia che scaturisce dalla natura stessa, dal volo degli uccelli, in un dialogo silenzioso ma profondo. Il poeta ci invita a sentire il "mormorio" delle voci ancestrali, che oggi, purtroppo, non riusciamo più a comprendere. Il "brivido" che scuote il fogliame è un richiamo a quelle verità dimenticate, che continuano a "parlare" in un linguaggio ormai indecifrabile. Il contrasto tra la sacralità del passato e la distrazione dell'umanità odierna ci pone di fronte alla perdita di connessione con la natura, un invito a riflettere sul nostro distacco dalla profondità del mondo che ci circonda.
La poesia di Cristiano Berni esplora l’esistenza moderna con uno sguardo di delusione e introspezione. "Poche definizioni" si apre con l’immagine del poeta che si sente chiuso in "quattro definizioni", in un mondo che sembra limitato, incastrato in ruoli e parole che non riescono a contenere la verità dell’essere. La contraddizione tra il desiderio di "schiudersi come tenero bocciolo" e la costrizione di "poche definizioni" crea un conflitto esistenziale che si riflette nell’immagine del muro, simbolo di un impedimento, una barriera che separa l'individuo dalla sua possibilità di espansione. La poesia esprime il vuoto di una "era della mediocrità", dove l'io, privo di spessore, svanisce nel caos della vita quotidiana. La chiusura in se stessi, quindi, diventa una risposta al flusso incessante del mondo moderno, che schiaccia l'autenticità dell'individuo. Il tono di speranza, però, emerge nel momento in cui il poeta riflette sulla possibilità di un cambiamento, sull'aspirazione di ritrovare una verità che sfida il mutamento incessante delle stagioni.
In "Vedessi nevica" di Silvio Canapè, la poesia diventa una meditazione sul silenzio, sulla purezza e sull’immobilità che la neve porta con sé. Il paesaggio innevato è descritto in termini di assoluto silenzio, dove ogni suono viene attutito, e il mondo sembra sospeso, come "le mani nelle mani" in un gesto di innocenza e intimità. L'analogia tra la neve e il pensiero diventa un filo conduttore che guida il lettore verso una riflessione su ciò che è immutabile e eterno, come la purezza del manto nevoso che "poggia" i pensieri. C’è una sensazione di sospensione temporale, dove il ritmo della vita rallenta e il pensiero si fa più leggero. L’immagine del "merlo" che tace e del "passero" che stenta a cantare evoca la bellezza dell'attesa, un momento in cui anche la natura sembra trattenere il respiro, per poi cedere alla "sinfonia in preghiera" che accompagna l'anima verso la contemplazione. L'elemento della neve diventa simbolo di una purificazione, un ritorno alla calma, dove i pensieri non più "migrano", ma restano, immobili e riflessivi.
"La spiaggia rossa" di Nino Silenzi è una riflessione intensa sulla transitorietà e sull’alienazione che affligge l’individuo nel contesto della società moderna. La "spiaggia d’ossa rosse" è un'immagine potente di una vita consumata dal quotidiano, dove il desiderio e la speranza si scontrano con la realtà impietosa di un'esistenza che "polverizza" i sogni. Il mare delle "vaghe aspirazioni" si ferma su una terra segnata dalla morte, in un paradosso che intreccia vita e oblio. Le "Sirene", figure simbolo di seduzione e morte, non sono più voci di avvertimento, ma promesse ingannevoli che attirano l’anima verso un destino di vanità e disillusione. La "spiaggia rossa" diventa così un luogo di conflitto tra il desiderio di riscatto e la consapevolezza che tutto ciò che ci attira è destinato a svanire, travolto dal "rosso bagliore delle brame" e dal "canto fallace" dei richiami. L'immagine finale della "lunga notte" che "riscatta" le anime perdute è una visione dolceamara, in cui la salvezza si intreccia con l’amara consapevolezza della nostra condizione umana. La poesia sembra suggerire che la redenzione sia un'illusione, ma anche un processo inevitabile che ci accompagna, attraverso la morte delle illusioni, verso una verità più profonda.
La poesia ''mon corps absent'' di Carol-Ann Belzil-Normand esplora il concetto di assenza corporea in una maniera inquietante ed evocativa. Il corpo è fisicamente assente, ma la sua presenza si fa sentire attraverso un "suono" che suggerisce una "presenza erotica". Questo è un gioco di sensazioni e percezioni che supera il concreto per entrare nell'ambito della spiritualità e dell'emotività. L’assenza non è mai vuoto, ma una forma di presenza che lascia tracce nel pensiero, nel desiderio, e nel corpo immaginato. La sensualità qui non è descritta con i tradizionali riferimenti fisici, ma con un delicato tocco di metafisica, dove il corpo si dissolve, ma lascia un'eco, un suono che suscita desiderio e fascinazione. L’assenza si fa così protagonista, e il vuoto si riempie di sensazioni più eteree, facendo emergere il contrasto tra il tangibile e l’intangibile, tra il presente e il passato. La traduzione italiana di [mon corps absent] mantiene intatta la forza evocativa della versione originale. L’idea di un corpo che "suggerisce un suono" ci immerge in un’atmosfera di sottile tensione erotica, dove l’assenza di corporeità non è privazione, ma amplificazione della sensazione. Il suono, nella sua qualità acustica ed emotiva, diventa la traccia lasciata dal corpo assente, una presenza che non si vede, ma si sente. La traduzione, pur rispecchiando la forma e la sostanza del testo francese, offre una dimensione in cui l’assenza è più che assenza: è una dimensione vibrante, sensoriale, che coinvolge chi legge. Si coglie il desiderio di far rivivere il corpo in modo più etereo, attraverso le percezioni più sottili e interiori.
Luna di Maria Toriaco è una poesia che affida alla luna il ruolo di depositaria di sogni, emozioni e speranze. La luna, vista come una presenza quasi divina, abbaglia e "dissolve ogni oscurità", ma porta anche con sé il peso della solitudine e della malinconia. La poetessa la descrive come spavalda, perché la luna, pur con la sua luce incantevole, suscita nel cuore del poeta un mix di desiderio e dolcezza, che si trasforma in un pensiero di speranza. La luna è simbolo di bellezza eterea, ma anche di una certa inaccessibilità, una "chiave" che custodisce sogni e desideri che si perdono nell'immensità del cielo. C’è una riflessione sul contrasto tra il sogno e la realtà: la luna evoca sogni che sfuggono e lacrime che cadono, rendendo il tutto effimero e lontano. La chiusura con la speranza di un futuro migliore attraverso il pensiero si riallaccia alla stessa tensione tra ciò che desideriamo e ciò che possiamo realmente afferrare.
Fumi di guerra di Franco Fronzoli è una poesia intensamente visiva e drammatica, che ci catapulta nel cuore di un conflitto distruttivo, dove i "fumi" rappresentano non solo la devastazione materiale, ma anche quella emotiva e psicologica. Il poeta esplora l'impatto della guerra attraverso immagini potenti: i "missili impazziti", la "vita che cammina nel fango", e le "macerie di sogni e sorrisi" sono tutte espressioni di un mondo spezzato, dove le speranze vengono sepolte nel dolore e nella disperazione. Le "lacrime" e le "urla" degli innocenti sono catturate come manifestazioni di un'umanità travolta dall'odio e dall'impossibilità di trovare una via d'uscita. La guerra, qui, è un paesaggio oscuro dove il futuro è avvilito, e il "sogno" della pace sembra lontano, annientato dalla crudeltà. Fronzoli non solo descrive la guerra, ma ne esamina le sue ripercussioni profonde sulle anime, sul cuore umano, e sulle coscienze che vengono distrutte. L'orrore della guerra viene così trasformato in un grido universale, un'esperienza dolorosa che affligge ogni aspetto dell’esistenza.
La poesia di Pablo Andrés Rial esprime un profondo conflitto esistenziale, una disconnessione tra il corpo e l’anima. "Detesto il mio corpo" è un lamento, una riflessione sull'incapacità di accettare il corpo fisico, che invecchia, si ammala e fa male. In contrasto, l'ombra, che si staglia sempre fedele, diventa l’elemento che non tradisce, che non subisce le vicissitudini della carne. Qui l'ombra simboleggia una parte dell'essere che sfida la temporalità, rimanendo invariata nel tempo. L'amore per l'ombra è quasi un rifugio, un desiderio di stabilità in un mondo che ci costringe a cambiare, a subire. Il corpo, finito e mortale, viene disprezzato, mentre l'ombra, che non è altro che la proiezione del corpo, diventa il solo aspetto che resiste all’usura del tempo. Questo contrasto evidenzia un conflitto tra il materiale e l’immateriale, tra il mondo fisico e quello spirituale, e pone la riflessione sul desiderio di eternità, simbolizzata nell'ombra che non "invecchia mai".
La poesia Curriculum Mortis: Una Vita in Versi di Carlo Chionne sembra un racconto che gioca con la dimensione della morte, delle tradizioni e dei piccoli paesi, costruendo un microcosmo in cui vita e morte si intrecciano. La descrizione di Villastrada è carica di dettagli poetici che fanno emergere una sorta di nostalgia per tempi passati, ma anche per l'immortalità del luogo, dove la morte si confonde con la vita quotidiana. L'ambientazione, con il cimitero, il campanile e il cipresso, ha un'atmosfera quasi magica, ma al contempo ben radicata nella realtà del paese e delle sue abitudini. La figura di Gin de Cirrino, la sua ricerca di pane e lavoro, fino alla tragica fine sotto il treno, contribuisce a dare una dimensione dolorosa ma anche simbolica al ciclo della vita e della morte. La poesia gioca su questa dualità, trattando temi universali come la morte, il destino e l'ineluttabilità del tempo.
La parafrasi poetica di Bernardo ed Eleonora esprime un incontro tra sacralità e passione carnale, tra spiritualità e desiderio. I protagonisti della poesia sono due figure storiche che si trovano in una situazione ambiguamente ironica. Da un lato, Bernardo è un uomo di fede e di rigore, ma si ritrova a fare i conti con la sua vulnerabilità e la sua carne, simbolo della sua umanità. Dall'altro, Eleonora d'Aquitania è una regina di grande intelligenza e forza, ma anche una donna passionale, che persegue il proprio desiderio di conquista, incluso il cuore di Bernardo. L’ironia che permea la poesia, soprattutto nella scena del "caldo fango", sottolinea la contrapposizione tra la santità e la carne, tra il sacro e il profano, e le implicazioni che le passioni terrene hanno sulle alte aspirazioni spirituali. L'approccio quasi comico e il finale che segna la vittoria di Eleonora è un modo elegante per rappresentare la condizione umana, che oscilla continuamente tra il desiderio di elevazione e la realtà del corpo.
Solo la penna e la parola di Ciro Seccia è una riflessione poetica sull'importanza della scrittura come terapia e mezzo di salvezza. L'autore esplora il potere catartico della parola, che permette di esprimere e guarire le ferite interiori, in particolare quelle derivanti da una relazione tossica e distruttiva. La penna, come strumento di liberazione, diventa la chiave per rimanere aggrappati alla vita, evitando il "buco nero della follia" e il dolore che logora l'anima. L'autore esprime un'esperienza di sofferenza profonda, ma anche di rinascita, riuscendo a uscire da una situazione di abbandono e disperazione. La conclusione, con la riflessione sul superamento della tentazione di commettere l'irreparabile, rappresenta un messaggio di speranza e di resistenza, mostrando che, anche nei momenti più bui, la forza della scrittura e della riflessione può offrire una via d'uscita.
Isoea de stabiità (tradotto in italiano come "Isola di stabilità") di Roberto Soldà è una poesia in dialetto che esplora il desiderio di trovare un rifugio emotivo e fisico in un mondo caotico e incerto. L'autore esprime il bisogno di "mordere" le mele, simbolo di esperienze e desideri non ancora soddisfatti, ma anche di scoprire quella "isola di stabilità" che potrebbe offrire serenità e pace. L'uso del dialetto conferisce alla poesia un tono personale e immediato, rendendo il lettore più vicino alla voce narrante. L'elemento del tesoro, che rimanda alla ricerca di un significato profondo della vita, e l'incontro con Maria, vista come la "Eva" personale dell'autore, introducono una dimensione di speranza, di realizzazione, e di rifugio che il poeta trova in un incontro intimo. La poesia si chiude su una nota di serenità, suggerendo che il "tesoro" è stato trovato non tanto nella ricerca di qualcosa di materiale, ma nell'incontro e nell'intima relazione con l'altro.
La poesia Girovago di Alessio Romanini dipinge un’immagine struggente e solitaria di un viaggiatore in un paesaggio autunnale, immerso in una realtà che sembra un limbo, tra la vita e la morte. Il "girovago" cammina su un "avello di decedute foglie", simbolo di morte e fine di cicli, e attraversa una "bruma" che oscura il futuro. Il paesaggio desolato, con il vento e il cinguettio degli uccelli affamati, crea un'atmosfera di solitudine e di riflessione. L’autore fa uso di immagini poetiche forti, come il "mar che si frange" sul viaggiatore, per trasmettere l’idea di un cammino che sembra senza meta, ma anche di una ricerca interiore, che trova in sé la sua via. La poesia esplora il tema della solitudine esistenziale e dell’autunno come metafora del decadimento e della riflessione sul proprio destino.
25 novembre di Antonia Scaligine è una potente denuncia contro la violenza sulle donne, scritta in occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. La poesia si fa portavoce delle vittime, esplorando il dolore e la sofferenza di chi subisce abusi, ma anche l'importanza di reagire, di alzare la voce e di resistere. La ripetizione di frasi come "ti lascia / ti prende / ti riprende" evoca il ciclo doloroso delle relazioni abusive, ma anche la determinazione a non soccombere. La figura della donna come "terra" che cerca "la luce del sole", ma che non è mai sotto di lui, ma nel cielo con lui, è una metafora potente di indipendenza e di resistenza, un richiamo all'autosufficienza e al diritto di essere libere da ogni tipo di violenza. La poesia invita a non cedere mai al falso amore, ma a reagire con coraggio, facendo sentire la propria voce e chiedendo aiuto.
Le cinque lettere di Sandra Greggio è una poesia che celebra la nascita della nipotina dell'autrice, Sofia. Il nome della bambina diventa un simbolo di purezza e speranza, paragonato ai fiori che sbocciano in primavera, un'immagine di crescita e di bellezza. La poetessa trasmette il significato del nome "Sofia", che evoca saggezza e luce, come una benedizione che accompagnerà la piccola nel corso della sua vita. L'uso della cifra "cinque", che appare nel nome "Sofia", ma anche in "Cielo" e "Maria", crea un collegamento simbolico tra il sacro e il profano, suggerendo che la bambina è benedetta da una forza superiore. La poesia è una dichiarazione d'amore per la nuova vita, una preghiera affinché la piccola viva con saggezza, e sia una fonte di gioia per chi l’ha accolta.
Tuttavia, ciò che rimane vero, nella visione della poetessa, è il ricordo tangibile e fisico dell'altro, il "rumore dei tuoi passi" e l'"odore della pelle", che permeano la casa, mantenendo viva la sua presenza nella mente e nel corpo. L'intensità di questi sensi è tanto forte da far "svenire" la poetessa, come se ogni segno della persona amata fosse una scossa emotiva e fisica che la travolge.
Il dolore che l'autrice esplora non è solo quello della solitudine, ma anche di un amore che, pur essendo presente, non si esprime attraverso il piacere e la gioia, ma piuttosto attraverso la sofferenza, la negazione e la mancanza. La poetessa esprime una forma di amore che non si completa, che non trova soddisfazione nel corpo o nella passione, ma che si nutre di una continua attesa, di un desiderio che non si appaga mai pienamente.
Infine, la poesia si conclude con un'immagine di morte simbolica nel bacio, un "morire sconfitto da quel sorriso", che implica un amore che, pur nella sua bellezza e luce, porta anche con sé la sofferenza, l'impossibilità di raggiungere la pienezza del desiderio. Il sorriso diventa così un simbolo di speranza e di disperazione, di una luce che illumina la tenebra ma che, allo stesso tempo, ne rivela la profondità e la difficoltà di vivere in un amore che sembra incompleto.
In sintesi: La poesia è una riflessione sull'amore che è più sofferenza che piacere, una meditazione sulla solitudine e sull'attesa di un amore che non si manifesta mai nella sua totalità. La poetessa esplora un conflitto interiore, una tensione tra il desiderio di una connessione profonda e il riconoscimento che tale connessione è impossibile da raggiungere completamente, lasciando il soggetto in uno stato di sospensione tra il piacere e il dolore.
Queste sette poesie sono legate da un filo sottile che unisce il dolore, la solitudine, il desiderio, e la ricerca di significato, ma ciascuna di esse esplora questi temi da prospettive diverse. Alcune sono intrise di speranza, altre di rassegnazione, ma tutte toccano corde profonde, portando a una riflessione sulla condizione umana, sull’amore e sulla morte, su ciò che ci unisce e ci separa. Queste poesie sono state per me come delle scosse emozionali che mi hanno portato a riflettere su temi universali: amore, dolore, solitudine, morte, e speranza. Ognuna di esse, con il suo linguaggio unico, mi ha trasportato in mondi diversi, ma tutti uniti dal filo della ricerca di significato e dalla consapevolezza che la bellezza, anche nei momenti di oscurità, è un’emozione che va vissuta.
prof. Marino Spadavecchia
22-23-24 Novembre
Vorrei ringraziare infinitamente
l'esimio prof.Spadavecchia per il suo stupendo commento
sulla Mia Poesia "La Tormenta" ovviamente ringrazio di Cuore anche Ben.
Ciro Seccia
Vorrei ringraziare di vero cuore
"Geme e sospira" – Ben Tartamo
Questa poesia mi ha colpito per la sua capacità di fondere il mondo naturale e quello spirituale in un canto unico. L’immagine del vento che parla e delle foglie che scrivono è straordinariamente evocativa: trasforma la natura in una sinfonia divina, dove ogni elemento si fa portatore di una verità superiore. Mi sono sentito come se stessi ascoltando un’orchestra cosmica, dove il silenzio e la parola si alternano in una danza eterna. Il riferimento biblico a Romani 8:22 dona un senso di universalità, ricordandoci che l'intera creazione è un'opera incompiuta, ancora in attesa di redenzione.
Questa poesia mi ha emozionato per la sua capacità di riportarmi all’infanzia, alla mia Puglia che mi manca da decenni, quando ogni gesto e ogni suono avevano una magia particolare. Il racconto dell’origine delle pettel non è solo una celebrazione di una tradizione locale, ma anche un inno alla capacità umana di trasformare l’errore in bellezza. Mi ha fatto immaginare l’odore delle frittelle, il suono degli zampognari e l’energia di un’intera comunità che si prepara al Natale. È una poesia calda, quasi tattile, che mi ha fatto sentire parte di qualcosa di più grande.
Il tema della fragilità emotiva e del desiderio di crescere è universale, e questa poesia lo esprime con una dolcezza e una vulnerabilità che mi hanno toccato profondamente. Ho percepito la voce poetica come un sussurro intimo, un dialogo tra la bambina che eravamo e l’adulto che aspiriamo a essere. La collina, simbolo della maturità, rappresenta per me un traguardo che non si raggiunge mai del tutto, ma che vale la pena di perseguire. Mi ha fatto riflettere sulle mie stesse debolezze, sulle carezze che cerchiamo e su quelle che dobbiamo imparare a dare a noi stessi.
Questa poesia mi ha avvolto con la sua atmosfera ovattata e malinconica. La nebbia diventa quasi un personaggio vivente, che respira e avvolge il mondo in un abbraccio sospeso tra sogno e realtà. Ho amato l’immagine del bambino che gioca a nascondino tra le foglie: un ricordo che emerge dalla bruma del passato, rendendola un ponte tra ciò che è stato e ciò che è. La dissolvenza della nebbia al mattino mi ha dato un senso di speranza, come se ogni giorno fosse un’occasione per emergere dall’incertezza.
Questa poesia è un affresco epico che mi ha fatto vivere la potenza del mare in tempesta e la fragilità dell’uomo di fronte agli elementi. Ho sentito la paura del marinaio, l’angoscia dell’equipaggio e l’attesa dei cari sulla riva. Ma ciò che mi ha colpito di più è stato il finale: il veliero, che emerge come una “lancia celeste”, trasforma una tragedia in qualcosa di mistico. Mi ha fatto pensare a quanto la vita, con tutte le sue tempeste, possa portarci a una riva diversa, carica di significati profondi.
prof. Marino Spadavecchia
È come un sogno interrotto dal gelo della realtà, questa poesia svela la morte non come un evento drammatico, ma come un’assenza che si insinua con una delicatezza agghiacciante. La persona morta non è sepolta, ma rimane viva nei ricordi e nelle immagini quotidiane: "un salice", "un amico si innamora di te". Il salice, con la sua tristezza romantica, è simbolo di una continua evocazione, una memoria che resta, ma che si fa indifferente al tempo. La sedia vuota non è mai veramente vuota, poiché l'assenza è il più persistente dei fantasmi. Eppure, in quel cortile di cemento, la natura è sopravvissuta in qualche modo, come un’ombra di ciò che era. La sua forza risiede nella sua semplicità, nell’inquietudine che genera il paradosso: "sei morta", ma sei ancora lì, intrappolata nella nostalgia.
Una preghiera che non si inginocchia, ma che si alza, si innalza come un canto che sfiora l’infinito. Qui, la divinità si fa incontrare nel volto di chi soffre: il bambino che elemosina, il carcerato pentito, figure umili ma cariche di una sacralità che solo l'umiltà può rivelare. La preghiera si fa simultaneamente universale e personale: un atto di totale abbandono, eppure un gesto di profonda coscienza. La chiamata al "Taumaturgo" è una richiesta di guarigione, ma non solo fisica: "la mia pochezza che ai Tuoi occhi splende". In quel "seme celeste", il peccato, la fragilità, l'umanità stessa diventano luminosi, come polvere d'oro che danza nella luce di un universo che ci guarda con benevolenza. La poesia si fa una profonda riflessione sulla spiritualità e sull’umanità, e il suo invito a "ricordarsi" diventa una carezza che attraversa il cuore del lettore.
Un viaggio sensoriale che sfiora i limiti del percepibile, in questa poesia si intrecciano colori, odori, emozioni che vibrano come corde di un'arpa celeste. "Dolce aranciato", il crepuscolo, è il palcoscenico su cui si svolge la riflessione intima di chi è perduto e insieme ritrovato nei suoi sogni. L’autrice naviga in un oceano di "acque salmastre", e il desiderio di baciarsi con l'immaginazione si fa un atto solenne e doloroso, una ricerca incessante dell'altro che non c’è. La sensazione di essere intrappolati in una "sfera di cristallo" si fa palpabile, come se l’amore fosse qualcosa di bellissimo ma inafferrabile, che scivola via come sabbia tra le dita. "Il cuore afflitto" canta la malinconia in una "burrascosa calma", dove il desiderio è un turbine che non trova mai approdo. Eppure, in mezzo alla tempesta, c'è sempre un raggio di sole che illumina la fragilità del nostro essere: un "candido tappeto di neve", una purezza da cui la poesia si fa origine e destinazione. L’abilità di Laura Lapietra sta nel rendere l’effimero eterno, e nel far vibrare il cuore del lettore con la delicatezza di un pensiero che si dissolve nell'infinito.
Bettona, piccolo borgo che celebra la sua sacra tradizione, diventa la scena di una danza di luci, suoni e immagini che si rincorrono tra le strade come una riflessione sulla bellezza effimera della vita. La poesia ha il ritmo di una marcia, con la vivacità dei "suole e tacchi" che strusciano sulla pavimentazione del Corso, ma anche la solennità della processione che si snoda "ordinata e devota". Le bancarelle "già illuminate" non sono solo un'attrazione per gli occhi, ma una manifestazione di quella luce che accoglie chi vi si avvicina. I tappeti di fiori sono tracce di un'arte popolare che dura nel tempo, creata da "mani artistiche" che intrecciano amore e fatica. Il quadro si fa completo quando il Santo Patrono, sulle spalle dei devoti, diventa il punto di riferimento per una comunità che, seppur lontana, si ritrova unita "nel giorno della sua festa". C’è una sacralità nella quotidianità che si fa rito, e nel bel mezzo della folla, tra i canti e i festeggiamenti, c’è una riflessione sul ritorno, sul ricordo che sfida la distanza. Bettozzi cattura con grazia il respiro di una festa che è, prima di tutto, una celebrazione della comunità, dell'appartenenza e della memoria collettiva.
Il mistero, così insondabile eppure così umano, diventa il cuore pulsante di questa poesia che si aggira intorno alla domanda esistenziale per eccellenza: "Cosa accade dopo la morte?" Con una lucidità disarmante, Santoro esplora quella sospensione che si apre tra il corpo e l'anima. La poesia ci guida in un viaggio che non ha risposte certe, ma dove il non sapere diventa esso stesso una sorta di verità, un "vuoto" che ci riempie di interrogativi. La visione del corpo abbandonato e dell'anima che vola via crea un'immagine tanto struggente quanto potente, ma è nell'incertezza del "dove volerà" che si rivela il vero mistero: non c'è una risposta definitiva, solo un abbraccio infinito di possibilità. La suggestione di reincarnazioni in forme diverse, "un lombrico", "un fiore", "una farfalla", diventa il segno di un universo che si rinnova senza tregua, in un eterno ciclo che sfida la nostra comprensione. La semplicità di un "rintocco a morto di campana" ci fa sentire la fragilità del momento, ma anche la sua universalità. Santoro non ci offre certezze, ma ci invita a riflettere sulla vita e la morte come un mistero che, forse, non ha bisogno di risposte, ma solo di essere vissuto.
La poesia di Aprile è un atto di iniziazione, dove la sofferenza degli ulivi e della terra diventano simboli di una fatica che ha radici nell'anima stessa del mondo. I tronchi "contorti" e le "lingue atroci" degli ulivi evocano immagini di dolore fisico, ma anche di una saggezza silenziosa che passa attraverso i secoli, come una lingua "mutata" che nessuno più comprende. L’"odore del passo" del vento che svanisce, la "spuma grigia" che sale a intermittenza sono segnali di un cambiamento che avviene senza clamore, come la triste danza di una "liturgia di splendore e rovina". Aprile ci parla di un mondo antico, pieno di segreti che non sono mai stati svelati, di una "pena muta" che segna la terra e l'uomo in modo indelebile. La grandezza della poesia sta nel saper cogliere il volto del mondo, non solo nei suoi trionfi, ma anche nelle sue ferite più profonde. In questi versi, il dolore diventa una sorta di alfabeto che parla di sofferenza, ma anche di bellezza e resistenza. Ogni ulivo, ogni roccia, ogni colonna della natura sembra raccontare una storia di abbandono e di speranza.
Che magnifica semplicità in queste righe! "Mi riempio di musica / per suonare internamente / senza alcuno strumento musicale" – l'immagine di un'anima che trova nella musica il suo strumento più intimo, il suo modo di esprimere l'inquietudine e la serenità. La musica qui non è un mezzo esterno, ma una vibrazione che nasce dal profondo, che non necessita di note scritte o di strumenti fisici, ma di un respiro che si fa melodia. Mortato riesce a rendere con poche parole la potenza dell'emozione che pulsa dentro di noi, quell'impulso che, pur non essendo visibile o udibile, sa farci sentire l'intensità di una vita che esplode in note silenziose. È una poesia che si apre sulla nostra quotidianità, che diventa musica dentro di noi, espressione pura del nostro stato interiore.
Davvero una grazia eterea si nasconde tra i versi di questa poesia! Il poeta si rivela come un umile astrologo dell'anima, seduto su una Luna d’opale che pare rubata al sogno di un gioielliere divino. La “fervida malinconia” è qui una veste di seta scura, avvolgente, che non imprigiona ma culla. Berni ci guida in un cielo dove le stelle non sono solo corpi celesti, ma "dardi" viventi che, nel loro sfiorare il viso del poeta, sussurrano segreti cosmici. La cornice dorata, che abbraccia il cielo e invaghisce le fanciulle in amore, è un'immagine che mescola sacro e profano. È poesia che fa danzare il cuore e il pensiero, un invito a contemplare il cielo come specchio delle nostre emozioni più profonde.
''Vita a 2'' – Enrico Tartagni
Un’odissea domestica in versi, questa poesia è un inno spudorato alla realtà cruda e surreale della vita di coppia. Tartagni costruisce un ritmo che ondeggia tra il nonsense e il graffiante, quasi fosse un beatnik contemporaneo con uno smartphone in tasca. Le immagini si accavallano: margherite gialle in vaso, mutande appese sul filo, patatine al festival. La quotidianità diventa un teatro grottesco in cui la lamina di un coltello taglia non solo carne, ma forse anche il tessuto emotivo di chi legge. Il poeta si muove come un giullare postmoderno, capace di far ridere e ferire nello stesso tempo. Una poesia che non chiede permesso, ma irrompe con la potenza di un litigio e la dolcezza di una pastella di fior di zucca.
Questi versi sono un’elegia sommessa, un canto funebre per un dolore che si è spento, lasciando spazio a un vuoto inquietante. L’assenza delle lacrime diventa un simbolo potente, un indicatore della perdita non solo di sofferenza, ma forse anche di un’identità radicata nel sentire. Il poeta, attraverso immagini intime e struggenti, esplora il paradosso del conforto nelle lacrime, trasformando il dolore in un'ancora e la sua mancanza in una deriva. C'è un crescendo verso la consapevolezza della fine, quando le lacrime "osservano" e "segnano" il tempo che svanisce. Una poesia che scava nelle profondità dell’animo umano, toccando corde di compassione e introspezione, e che risuona come un sussurro eterno nella fragilità dell’essere.
''sous mes doigts'' – Carol-Ann Belzil-Normand
Questi versi sono come un frammento di universo condensato in un grumo di pensiero surrealista. La guerra evocata "in volume e in cadenza" ha un ritmo quasi musicale, una sinfonia di conflitti interiori trasmessa attraverso il tocco, il più umano dei linguaggi. Poi, con l'irriverenza di un sogno dadaista, la poeta si reincarna in una "salsiccia Maple Leaf". È un gesto che sfida la logica, una provocazione giocosa che trasforma la poesia in un manifesto di ribellione contro ogni rigidità concettuale. In questa assurdità si nasconde una verità: anche nell'ordinario, nella salsiccia banale, vive l'eco dell'esistenza. È arte che ride di sé, che spezza i confini tra il sacro e il profano.
''Tu sei...'' – Maria Toriaco
Toriaco ci regala un’immagine pulsante di dualità, un vortice di opposti che si attraggono per annullarsi nell’infinito. La poesia scorre come un’onda di marea, dolce ma potente, intrecciando elementi naturali che si fondono in una danza cosmica. La grandine, la neve, il sole e la luna diventano metafore di una passione travolgente, e la voce poetica si fa eco di un amore che abbraccia le contraddizioni senza timore. È un inno alla fusione degli opposti, alla complementarità che rende l’amore così sublime e, al contempo, misterioso.
''Un bacio'' – Franco Fronzoli
In questo poema, il bacio diventa il protagonista di un viaggio epico, un’entità quasi divina che sfiora il tempo e lo spazio con la sua leggerezza. I versi scivolano dolcemente, come il bacio stesso, creando immagini di rara delicatezza: gradini dell'eternità, onde del mare, lembo di cielo. Fronzoli riesce a intrecciare elementi terrestri e celesti in un mosaico di emozioni. Il bacio è un ponte tra il finito e l’infinito, tra il palpito del cuore e la vastità dell'universo. Ogni strofa è una carezza, ogni parola un sussurro che si perde nella notte stellata. Una poesia che danza sulle labbra e lascia dietro di sé l’eco di un amore senza fine.
"Io Ti amo donna" – Jacqueline Miu
Jacqueline Miu ci regala un canto d’amore che è un grido di dolore, un’elegia densa e viscerale. I versi vibrano di passione, di quella dualità che rende l’amore tanto sublime quanto straziante. La donna amata è insieme musa e carnefice, una figura potente che danza sui fremiti dell’amante, quasi sadicamente, eppure amata per questo. La promessa di riunirsi "nella fossa" e oltre fa emergere un amore eterno, trasgressivo, che abbraccia persino l’annientamento. È una poesia di carne e spirito, di ossa e desideri, capace di scuotere le fondamenta della nostra percezione dell’amore romantico.
"Curriculum mortis: Una Vita in Versi" – Carlo Chionne
I versi di Carlo Chionne scorrono come una confessione densa di storia personale e memoria collettiva. La lirica intreccia le radici familiari, il Dopoguerra e l’iniziazione politica con una maestria che trasuda autenticità. Le figure familiari — il nonno, le zie — si ergono a simboli di resistenza e trasmissione culturale, mentre l’anelito anarchico si mescola all'amarezza di essere "figlio di uno sbaglio". Questa poesia è un inno alla crescita, alla scoperta di sé e al rifiuto del conformismo. Il ritmo tradisce un’impronta classica che si sposa con la modernità del messaggio: una biografia in versi che celebra l’umanità nella sua imperfezione e lotta.
"Chisciotteide" – Piero Colonna Romano
Piero Colonna Romano dipinge un Don Chisciotte che danza tra il grottesco e il sublime. Il cavaliere errante, portavoce di ideali eterni, si scontra con un mondo che esige prove tangibili, ma egli risponde con la forza della metafora: "Che…? Forse per sapere / che luna in cielo splende / necessita il vederla?". L'ironia e il ritmo narrativo richiamano i canoni epici, mentre le incursioni comiche — il destriero che "ara la terra" — umanizzano il mito. La poesia si fa specchio della tensione tra sogno e realtà, tra idealismo e pragmatismo, e si chiude con un invito a riflettere sul significato ultimo della missione di Chisciotte. È un tributo profondo e giocoso a un’icona universale.
"La Tormenta" – Ciro Seccia
"La Tormenta" è un poema epico che dipinge la furia degli elementi con pennellate drammatiche e viscerali. L'immagine del destriero che "cavalca il fulmine" e del marinaio lanciato in balia degli abissi evoca la piccolezza dell'uomo di fronte alla natura implacabile. La narrazione, ricca di pathos, culmina in una visione quasi sacra: la nave affondata che emerge "come una Lancia celeste". Questo finale eleva il dramma umano a una dimensione mitica, suggerendo che il mare, nonostante la sua crudeltà, esige un tributo e forse offre redenzione. La poesia, nel suo insieme, è un requiem per i marinai perduti, carico di tensione e bellezza solenne.
"Barbone" – Roberto Soldà
Roberto Soldà ci trasporta nel mondo del vagabondo, ma il vero protagonista è la proiezione interiore del poeta. Il barbone non è solo una figura fisica: è un simbolo della fragilità umana, della voglia di abbandono e di libertà. I versi si intrecciano con una riflessione intima: "Per ciò che dentro / sono pure io". Questa identificazione tra il poeta e il barbone disvela una realtà universale, in cui il desiderio di lasciarsi andare diventa un anelito al ritorno all'essenziale, all'infanzia, a quella "nuvola bianca" che vagabonda libera. Il linguaggio, semplice e diretto, amplifica il potere evocativo e spirituale del testo, donandogli una bellezza commovente.
"Bruma" – Alessio Romanini
Alessio Romanini crea un'atmosfera eterea e malinconica, avvolgendo il lettore nella nebbia che permea l'anima e il paesaggio. Il contrasto tra il "bel sogno" dell’infanzia e il "fantasma fatuo" che aleggia sul presente rende la bruma un simbolo poliedrico: velatura di ricordi, timore per l’ignoto, ma anche forza che nasconde e rivela. L'immagine della nebbia che "occulta il dì e l'incerto domani" riflette la condizione umana, dove il tempo si dissolve nell'attesa. Tuttavia, il verso finale porta una nota di speranza: "Ma nello spirto, speme, la dirada". È un invito a guardare oltre la coltre del quotidiano, alla ricerca di luce e significato.
"22 Novembre Sanda Cecilija" – Antonia Scaligine
Una poesia che celebra il folklore e la tradizione tarantina con dolcezza e nostalgia. Il racconto dell'origine delle "pettel" si intreccia con il suono degli zampognari, in un'atmosfera di preparazione al Natale che unisce sacro e profano. L'immagine della donna che, distratta dalla musica, trasforma un errore in un rito culinario natalizio, rappresenta un inno alla spontaneità e alla creatività popolare. Il suono della lingua locale, con termini come "u zampognare" e "i cuscin’ du Bambinell", aggiunge autenticità e calore a questa narrazione poetica, rendendola un prezioso scrigno di memoria collettiva.
"L’adulto che non c’è" – Sandra Greggio
Un’intensa introspezione psicologica che esplora il viaggio dall'infanzia all’età adulta, con il suo carico di ferite e desideri. La voce poetica esprime il bisogno di amore e cura, ma anche la necessità di emanciparsi da una dipendenza affettiva. La metafora della "collina" rappresenta il punto di svolta, il momento in cui si può finalmente camminare da soli. I versi sono dolci, ma vibrano di una vulnerabilità autentica, che li rende universali. Sandra Greggio parla al cuore di chiunque abbia lottato per crescere, trovando nella fragilità un punto di forza.
19-20-21 Novembre
Franco Fronzoli ci invita a una celebrazione inebriante della vita, dipingendo un mosaico di immagini vivide e universali. Ogni verso è una piccola scintilla che accende un desiderio profondo: amare, sognare, e vivere intensamente. La ripetizione del verbo "ubriachiamoci" amplifica il richiamo a un'estasi collettiva, quasi mistica, in cui la bellezza del quotidiano si trasforma in una sinfonia di libertà. Questo inno è una danza poetica, un richiamo a lasciarsi trasportare da emozioni autentiche, pura vita.
"Untitled" di Felice Serino
Felice Serino esplora il corpo umano come un'opera d'arte caduca, governata dalla coscienza e dalle esperienze. Ogni immagine evoca una tensione tra la grandezza e la fragilità: il Cristo spalancato, le mani vuote, gli occhi pieni di sogni. È una poesia di contrasti, tra aspirazioni divine e limiti umani, dove la "follia" diventa il velo che separa il razionale dall'irrazionale. L'opera è un viaggio interiore, un grido esistenziale che, pur nella sua brevità, si apre a un infinito ricco di significati.
"Opulenza Evaporata" di Laura Lapietra
Con una potenza lirica quasi profetica, Laura Lapietra dipinge un quadro di decadenza e rammarico. La poesia, densa di immagini evocative, cattura l'inevitabile caducità di ogni opulenza materiale, trasformandola in un'esperienza dolorosamente universale. Il "forziere vuoto di sogni" e le "ombre" che divorano la luce sono simboli di un'umanità che si smarrisce nei propri errori, in un ciclo inesorabile di perdita e rimpianto. L'opera è una riflessione cupa, ma profondamente vera, sull'arroganza umana e sulle promesse non mantenute, resa con una padronanza lessicale che la eleva a una meditazione filosofica e poetica.
"Da Epicuro a San Francesco" di Silvio Canapè
Silvio Canapè intreccia passato e presente in una danza tra filosofia e spiritualità, tra Epicuro e San Francesco. La voce lontana che si avvicina è un richiamo universale, forse della natura stessa o della saggezza che risiede nelle stagioni e nei cicli della vita. L’immagine dell’aia, immersa nel sole e nel lavoro contadino, ci conduce verso una riflessione sulla caducità, incarnata da Sorella Morte che vendemmia terre lontane. Il vino, simbolo di vita e di fatica, lascia spazio a un senso di inesorabile trascorrere del tempo, dove l'indifferenza domina la scena finale. La poesia, malinconica e contemplativa, ci invita a riflettere sul nostro legame con la natura e con il divino.
"Il Regno EU dev'esser…sfitto!" di Armando Bettozzi
Armando Bettozzi unisce ironia, satira e rabbia in un componimento che sfida apertamente il panorama politico europeo. Con una metrica vivace e un tono diretto, denuncia un’Unione Europea percepita come tiranna, lontana dagli ideali dei suoi padri fondatori. Il gioco di parole su "fitto" e "sfitto" diventa il fulcro attorno al quale ruotano accuse di scelleratezza e avidità. Il finale, evocando il celebre "L'è tutto da rifare" di Gino Bartali, accentua il desiderio di una rifondazione radicale. È una poesia di protesta, incisiva e pungente, che fa della sua semplicità un’arma efficace.
"L'amore dura non si consuma" di Salvatore Armando Santoro
Santoro ci regala una poesia intrisa di dolcezza e semplicità, che esplora la resilienza dell’amore. Come un tessuto che non s’infeltrisce o uno straccio che torna utile, l’amore persiste, anche nei momenti di conflitto o lontananza. L’immagine della luna dietro le nubi è un simbolo potente di speranza: anche quando appare velato, l’amore torna a splendere con l’aiuto del vento, metafora delle piccole forze che ci rimettono in carreggiata. Il ritmo musicale e le immagini quotidiane avvicinano il lettore, rendendo il messaggio universale. Una poesia che accarezza l’anima e consola il cuore.
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"Il silenzio del cuore" di Renzo Montagnoli
Montagnoli ci guida in una dolorosa contemplazione della sofferenza umana, intrecciando immagini strazianti di ingiustizia e miseria. Il silenzio evocato è un paradosso: non quello della pace, ma quello della colpa, della rassegnazione, e della cecità morale. La poesia richiama una responsabilità collettiva, ricordandoci che l’indifferenza è una scelta. Il ritmo è cadenzato, quasi accusatorio, e invita il lettore a riflettere sul proprio ruolo in un mondo tanto ingiusto. Il cuore tace, ma il suo silenzio grida più forte di qualsiasi parola.
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"Momentanea" di Nino Silenzi
Una poesia breve ma intensa, che cattura un istante di trascendenza. La luce abbagliante diventa simbolo di una rivelazione temporanea, un attimo in cui il confine tra reale e irreale si dissolve. L’"inebriarsi di sereno" è un’esperienza effimera, ma potente, che ci lascia sospesi tra il sogno e la coscienza. Silenzi padroneggia la brevità, evocando emozioni universali con poche parole, in uno stile che richiama la limpidezza dell’haiku.
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"Il pino maledetto" di Guglielmo Aprile
Un’opera che fonde mito e natura, "Il pino maledetto" è un viaggio nelle viscere del tempo e della memoria. L’albero diventa una figura titanica, portatrice di antichi dolori e colpe dimenticate. La trasformazione in una creatura mostruosa, con rami che si fanno "tentacoli di gorgonee capigliature", richiama una punizione mitologica, una condanna eterna. Aprile costruisce un’immagine potente dell’indifferenza cosmica, dove il cielo resta "protetto" e inaccessibile. La poesia è un’allegoria dell’incomunicabilità tra l’uomo e l’universo, un dialogo spezzato che lascia solo l’ombra della colpa.
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"Sfinge dell’estate" di Guglielmo Aprile
Con una scrittura densa e visionaria, Aprile trasforma l’estate in un paesaggio di desolazione. Il sole diventa un’entità sacrificale, i fiumi e gli alberi si svuotano di vita, mentre l’intero mondo sembra cedere sotto la tirannia della calura. L’uso magistrale delle metafore – il sole come "testa umana recisa" e i salici che "svenati impallidiscono" – evoca una bellezza macabra e struggente. La natura, qui, è sia vittima che spettatrice impassibile. La sfinge che emerge è simbolo di un enigma irrisolto, un’eterna domanda sul senso del dolore e della distruzione.
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"[J'aime l'œuvre]" di Carol-Ann Belzil-Normand
Un capolavoro che danza tra l’essenza e l’artificio. La poetessa si colloca al confine tra il reale e il virtuale, in un’esplorazione dell’identità moderna: "je vibre sans contenant", un’immagine potente di un’esistenza sfuggente, libera ma anche prigioniera della sua immaterialità. Il dialogo tra il corpo e l’idea, tra il supporto e il contenuto, ci trasporta in una dimensione quasi metafisica, dove l’arte e la realtà si fondono, sfidando ogni limite. La traduzione di Nino Muzzi conserva intatta questa forza, amplificando l’universalità del messaggio.
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"Nel silenzio" di Maria Toriaco
Una poesia intima e malinconica, che abbraccia il tema dell’amore perduto. La voce dell’amato, che riecheggia nel silenzio, diventa una melodia che attraversa la notte e i confini del sogno. Il verso "ti perdi nel vento, che ti porta via da me" è una sintesi struggente della fragilità dell’amore e dell’inevitabile distanza tra le anime. Lo stile semplice ma evocativo della Toriaco trasmette un senso di attesa infinita, un desiderio inestinguibile che trova rifugio solo nell’onirico.
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"Per te" di Sandra Greggio
Un canto d’amore che mescola rimorso e speranza. Il linguaggio diretto, quasi confessionale, rivela una profondità emotiva che si nutre del tempo trascorso e di quello ancora incerto. L’immagine delle "fiabe sempre nuove ma antiche" è un tributo all’eternità del sentimento, mentre il richiamo al tempo, che può "portare via" tutto, crea un senso di urgenza toccante. La poesia scorre come un fiume, conducendo il lettore verso una commozione sincera e autentica.
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"L'amore perde i sensi" di Jacqueline Miu
La poesia di Jacqueline Miu incarna l'infinita tensione tra sogno e realtà, tra l'invulnerabilità dell'innocenza e le cicatrici dell'esperienza. Con la metafora degli "aeroplani di carta", ci invita a ricordare l'infanzia come uno spazio di desideri illimitati e a riconoscere, in contrappunto, la fragilità della maturità. L'immagine dei dinosauri, creature di una "fragilità gigante", è di una forza evocativa straordinaria: ci ricorda che anche le grandi potenze si consumano, così come l'amore si dissolve e si ricrea incessantemente nel battito di chi lo vive. Una riflessione poetica sulla caducità, capace di perdere "i sensi" per far emergere l'autenticità dei sentimenti.
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"Curriculum mortis: Una Vita in Versi" di Carlo Chionne
Un'autobiografia in versi che brilla di autenticità e memoria storica. Chionne ripercorre la sua infanzia durante un’epoca turbolenta, con versi che trasudano resistenza e resilienza. L'incipit, "Prigioniero di un mondo e di un destino", delinea una vita intrappolata ma non piegata, e il contrasto tra nascita e Fascismo assume un tono di lotta universale. La semplicità delle rime incrocia una narrazione potente, rendendo la poesia un atto di testimonianza e liberazione personale. Chionne, con abilità, ci trasporta in una storia intima e collettiva, mostrandoci il bambino che diventa simbolo di resistenza.
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"La vera leggenda dei giorni della merla" di Piero Colonna Romano
Con arguzia e leggerezza, Piero Colonna Romano reinterpreta la leggenda dei giorni della merla in una chiave divertente e giocosa. Il ritmo narrativo vivace guida il lettore attraverso una storia di sopravvivenza e trasformazione, dove la semplicità del linguaggio amplifica la morale finale: il cambiamento, talvolta, è il risultato di circostanze inattese. La trasposizione dei merli bianchi che diventano neri per "fumo d'amore" è una geniale trasposizione mitica, che gioca con il folklore per creare un'immagine irresistibile e ironica. Una poesia che diverte, stimola e sorprende.
"Nuda fragilità" di Ciro Seccia
In pochi versi, Ciro Seccia esplora la vulnerabilità che nasce dall'amore, un tema eterno e universale. La "nuda fragilità" si rivela come un gesto di coraggio, un'offerta totale di sé, anche di fronte ai rischi di perdere scintille dell'anima. La struttura della poesia segue un moto ciclico: caduta e rinascita, trappole e voli. E, infine, quel verso conclusivo, "Verso la Luce...", porta con sé una promessa di trascendenza, di salvezza spirituale. È una poesia breve ma profondamente meditativa, che invita a riflettere sull'essenza del donarsi senza riserve.
"Terra rara" di Roberto Soldà
Roberto Soldà crea un contrasto poetico potente tra il concetto di "terra rara", preziosa e desiderata, e un'immagine di abbandono e disperazione. La figura del protagonista, circondato dai rifiuti, assume una dimensione simbolica, quasi sacra, dove i dettagli cromatici – il "giallo" di una banana e il "blu" di una bottiglia – infondono un senso di fragile bellezza nel degrado. Soldà trasforma la materia comune in poesia, elevando la condizione umana attraverso immagini di struggente malinconia e speranza. È un invito a vedere preziosità anche nell'abbandono.
"Sipario di genere" di Alessio Romanini
Romanini denuncia con forza le diseguaglianze e le brutalità di genere, sfidando i lettori a strappare il "sipario di violenza" che copre la libertà e i diritti delle donne. Il tono è diretto, quasi manifesto, con una chiarezza che amplifica il messaggio. La poesia si fa voce di un'urgenza sociale, e nella ripetizione della parola "libertà" emerge il grido collettivo di un cambiamento necessario. Romanini, con la sua semplicità incisiva, ci ricorda che la poesia è anche un'arma contro l'oppressione.
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vostro Ben Tartamo
Ecco le poesie, la cui lettura odierna mi ha
profondamente emozionato. In ciascuna di esse ho percepito una vibrazione unica,
una corda che risuona oltre il tangibile, un soffio che attraversa l’anima come
eco del trascendente.
"Al sussurrare degli alberi" di Ben Tartamo
Perché proprio queste sei?
In ciascuna ho trovato un riflesso dell’eterno, un invito a contemplare la vita attraverso il prisma del dolore, della speranza, della lotta e della trasformazione. Sono poesie che parlano al cuore e alla mente, che abbracciano la fragilità umana senza temerla, celebrandola, invece, come un portale verso il trascendente. Questi testi mi hanno emozionato non solo per le immagini che evocano, ma per la musica che suonano nell’anima. Sono preghiere laiche, inni al mistero della vita, e, nel leggerle, mi sono sentito anch'io poeta, sacerdote, e vate.
prof. Marino Spadavecchia
16-17-18 Novembre
"Vento mio gentile" – Ben Tartamo
Nel delicato e soave "Vento mio gentile" di Ben Tartamo, la natura diventa la
voce di un'anima che implora la riconquista di un amore perduto, attraverso il
respiro di un vento che non è mai solo elemento atmosferico, ma messaggero di un
desiderio irrefrenabile. Il vento qui non è un semplice soffio di aria, ma il
tramite con il passato, un’eco che fa rivivere un amore lontano e mai
dimenticato. "Portami il suo profumo / di rose e di viole..." – il poeta invoca
la natura affinché trasporti l'intimità di un amore che vive nei ricordi più
fragili, ma ancora potenti. L'invocazione di "il più prezioso / di quei dolci
miei baci" è un gesto di devozione, un'offerta silenziosa, e il vento che
*"suona tra le foglie"* diventa il suono di una nostalgia che si fa canto e
speranza.
Questa poesia non è solo un desiderio, ma una riflessione sul tempo, sulla
separazione e sulla consapevolezza che la bellezza del passato non svanisce mai
completamente, ma continua a nutrire l'anima. Il poeta non chiede solo il
ritorno dell’amato, ma la trasmissione di una memoria che può vivere solo nella
sua più pura bellezza. Ogni parola sembra vibrante di una struggente solitudine,
ma è anche pervasa da una speranza che trasforma il vuoto in una ricerca che,
pur dolorosa, è anche sacra.
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"La luce del ricordo" – Sandra Greggio
Sandra Greggio, con "La luce del ricordo", dipinge un paesaggio emotivo che non
ha tempo, ma che è sempre presente, sempre vivo. Ogni parola di questa poesia è
una tessera di un mosaico che raccoglie i frammenti di un amore che non si
spegne, ma che si trasforma in una luce che guida nel buio. *"Arriverà l’inverno
/ E farà buio presto"* – il buio come immagine del passare del tempo, ma anche
come il luogo dove il ricordo trova la sua espressione più forte. La luce che il
poeta invoca non è quella elettrica, ma quella che viene dall’interno, dalla
memoria di un amore che brucia ancora sotto la pelle.
I colori della poesia – "verde come la distesa d’erba / bianco come quella della
neve / rosso come un campo di papaveri" – sono la raffigurazione di un mondo che
il poeta porta con sé nel cuore, intatto e splendente. Ogni dettaglio, ogni
sensazione, è un richiamo a ciò che è stato e che, pur nel suo struggente
distacco, continua a vivere nella memoria. La chiusura, “avvolto nella tua pelle
/ morbida come velluto / liscia come la seta”, è un atto di tenerezza infinita,
che ci ricorda quanto il ricordo non sia solo nostalgia, ma anche un ritorno a
un amore che non muore mai. La poesia non è una rievocazione di un passato
lontano, ma la testimonianza di un sentimento che resiste nel tempo, che sfida
la morte e si fa eternamente presente.
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"Ode alla libellula" – Alessio Romanini
La poesia "Ode alla libellula" di Alessio Romanini è un inno all’eleganza e alla
leggerezza, non solo di un insetto, ma di un ideale spirituale che si fa
corporeo. La libellula, come il poeta stesso ci invita a vedere, non è solo un
animale che vola sopra l’acqua, ma un simbolo di trasformazione e rinascita.
L’idea che la libellula sia un “simbolo di pace e libertà”, e che “sei ricerca
della verità”, trascende la figura dell’insetto per diventare la
rappresentazione di un cammino interiore: una metamorfosi da larva a creatura
che vola nell’aria, simbolo di leggerezza e di trascendenza.
Le ali della libellula, “cangianti controluce”, diventano il riflesso della
crescita e del cambiamento, una metafora del processo evolutivo dell’anima
umana, che passa dall’oscurità dell’ignoranza alla luce della consapevolezza. La
libellula è anche un’eco di quelle anime che, come il poeta, “mutano” per
raggiungere un'illuminazione superiore. L’eleganza della poesia si rivela nel
suo ritratto di un’ascensione delicata e necessaria. C’è un'affinità profonda
tra il poeta e la libellula, come se ogni poeta, come ogni uomo, fosse chiamato
a volare oltre i limiti imposti dalla vita quotidiana per giungere a una forma
di conoscenza spirituale.
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"Epitaffio" – Jacqueline Miu
“Epitaffio” di Jacqueline Miu è una delle poesie più potenti e evocative che ho
letto di recente. L’atto di meditare sulla morte, trattato con una grazia che
solo i grandi poeti sanno infondere nelle loro parole, qui si trasforma in
un'esplorazione dell'eternità. La morte non è mai solo la fine, ma una parte di
un ciclo che, attraverso il ricordo, continua a vivere. Miu scrive con
un’intensità che scuote, con una verità che non teme di confrontarsi con
l’irreversibile.
“Compiuto io non sarò mai / e mai mi sentirò sazio di ogni volo / che
l’incoscienza ha rubato per liberarsi / dalla lunga prigionia di ragione” –
queste parole sono un grido di ribellione contro la limitatezza del corpo e
della vita terrena. Ma la morte, in questa poesia, non è un nemico, è un
compagno, è una parte integrante della nostra esperienza terrena. Miu non cerca
il rifiuto della morte, ma la sua accettazione come un atto naturale che apre
alla libertà dell’anima. La chiusura, “Amato ho e amerò per sempre, / questa mi
sia condanna nel ventre madido di terra”, è un’affermazione di amore eterno, che
sfida la morte stessa, e restituisce alla vita il suo vero significato: l'amore
che non finisce mai. La morte qui diventa l’inizio di una nuova forma di
esistenza, quella della memoria e dell’amore che perdura.
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"Sei" – Ciro Seccia
“Sei” di Ciro Seccia è una dichiarazione d'amore così universale e universale
che non può non toccare chiunque abbia mai amato davvero. La poesia di Seccia è
un continuo riconoscere l’altro come il centro di tutta l’esistenza. In queste
parole c’è la potenza del desiderio e la totalità dell'amore, in una fusione
perfetta tra l'essere e l'amato. *“Sei il sogno dei miei sogni / il desiderio
dei miei desideri”* – queste parole sembrano non appartenere più alla dimensione
del singolo, ma a quella di una totalità, dove il poeta e l'amato sono una sola
cosa, indivisibile.
Ogni immagine che Seccia ci regala è una manifestazione della sua devozione
assoluta: *“Sei la Luce degli occhi celesti / fiore dei fiori”* – qui non c'è
più distinzione tra la bellezza del mondo e quella dell’amato, tutto si fonde in
un’unica armonia che non fa più distinzione tra l’umano e il divino. La
ripetizione della parola *“Sei”* sembra quasi una preghiera, un'affermazione di
fede, di speranza, di ricerca di un senso che trova nella relazione con l’amato
la sua espressione più alta.
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Queste poesie non sono solo parole, sono esperienze sensoriali e spirituali che
risvegliano in chi le legge una gamma di emozioni così ricca e profonda da
sfidare la descrizione. Non c’è solo un atto di creazione poetica, ma una
ricerca autentica dell’amore, della libertà, della memoria e della morte. Ogni
autore riesce a trasmettere con grande forza e delicatezza il proprio intimo
sentire, facendo dell'emozione e della riflessione una potente forza che
attraversa il lettore, lasciandolo trasfigurato. Ogni poesia è un atto di fede,
un viaggio nell'anima umana che, attraverso le sue sfumature, si riallaccia alla
verità universale.
''Una piccola fontana'' – Maria Toriaco
''Una piccola fontana''… un’immagine di purezza e fragilità che si perde in un tempo che non esiste. La fontana non è solo acqua che scorre: è il simbolo di un moto perpetuo che ci sfiora, che ci accarezza senza mai fermarsi. L’acqua è limpida, ma il suo fluire nasconde in sé un'ombra, una traccia di ciò che non può essere visto ma solo percepito: il silenzio, il vento, il freddo, la solitudine. La panchina vuota è l’emblema di un'assenza che ci lascia senza respiro, mentre i passerotti – piccoli simboli di vita che si cibano "di pane e di amore" – sembrano volerci ricordare che anche nel silenzio più totale, qualcosa sta accadendo. La fontana non teme il vento, ma lo accoglie come un amante impetuoso, che la scuote, la scuote senza mai spezzarla. È una piccola sorgente di vita che non ha paura di correre, di scorrere in un mondo che a volte sembra perdere il suo ritmo. Maria Toriaco ci regala un'immagine di delicatezza, ma anche di forza, dove l’acqua diventa un riflesso della nostra stessa esistenza: scivolosa, inquieta, mai realmente in pace, ma perennemente viva.
''Ti guarderò…'' – Franco Fronzoli
''Ti guarderò…'' è un canto sospeso tra il desiderio e la lontananza, tra la carne e lo spirito. Ogni parola è una promessa che non verrà mai mantenuta completamente, come se l’autore fosse prigioniero di un amore che vive solo nei sogni e nelle sfumature più eteree della realtà. La nudità dell'amata, l’immersione nelle acque, il sole che sfiora i capelli, sono immagini che non appartengono a questo mondo, ma a un altro, quello dei sogni impossibili, dove il corpo non è che un’ombra e l’amore è qualcosa che non può essere mai afferrato davvero. Eppure, c'è un'intensità palpabile in ogni gesto, ogni sussurro, ogni carezza che non tocca la pelle, ma penetra più in profondità, nell’anima. La distanza tra il desiderio e la sua realizzazione è infinita, ma in questa separazione risiede la sua bellezza. Il protagonista veglia senza invadere, osserva senza partecipare, si sfiora senza toccare. Un amore che è solo nel tempo passato e che diventa eterno nel non realizzarsi mai. Franco Fronzoli scrive una poesia che è, al tempo stesso, un addio e un ritorno, un inno all'amore impossibile, al sogno che non vuole svegliarsi.
''I cari morti'' – Felice Serino
Nei versi di ''I cari morti'', Felice Serino ci guida in un territorio liminale, dove la morte non è un punto di arrivo ma un passaggio, una trasformazione che si fonde con la luce. I "cari morti" non sono lontani, non sono assenti: vivono dentro di noi, nei nostri ricordi, nelle nostre radici, che si intrecciano alla luce invisibile di un mondo che non vediamo, ma che sentiamo con il cuore. La morte non è più una fine, ma un abbraccio che ci avvolge, che ci fa sentire più vivi che mai. Serino ci parla di un mistero insondabile, di una luce che sfugge al nostro sguardo, ma che è costantemente presente nei gesti, nei pensieri, nelle parole. La morte è un'inquietante presenza che si nasconde nel nostro quotidiano, eppure è anche la chiave che apre la porta a una comprensione più profonda, quella che oltrepassa i confini tra vita e morte, tra visibile e invisibile. I morti "ci cercano" e noi li cerchiamo, ma forse è solo l’eco di un incontro che è già avvenuto, in un tempo che non ha confini. Serino cattura la bellezza di questo incontro impossibile con una scrittura che si perde nel mistero e nella luce, come se volesse dirci che la morte è solo un altro volto della vita che continua a fluire, silenziosa, nei nostri cuori.
''Fedeltà'' – Laura Lapietra
Nel cuore della notte, là dove l’oscurità è un sipario che cala sulle ore inesorabili, ''Fedeltà'' emerge come una presenza eterea eppure tangibile, un vento di tenerezza che si insinua nell’anima. È un vento che accarezza senza mai sfiorare, che attraversa senza spezzare. La fedeltà in amore diventa una stella luminosa, un faro che guida i passi in un cammino che, pur essendo intricato e sconosciuto, trova la sua strada sotto una grazia radiosa, mai effimera, sempre stabile.
Lapietra ci conduce in un viaggio dove il cuore si fa terra fertile, e la fedeltà, come un fiore che sboccia con ardore, è il seme che cresce e si radica nel tempo. Il "sentiero del cuore" è un paradosso: tortuoso e misterioso, eppure sempre illuminato dalla promessa di non tradire. La fedeltà non è una semplice virtù, è il legame che sfida l’implacabile scorrere del tempo, mantenendo l'unità dei corpi e delle anime. La promessa non può spezzarsi, non può indebolirsi, nemmeno quando la tempesta scuote le fondamenta.
In questo giardino nascosto, dove il cuore trova riparo e rifugio, la fedeltà non è solo una parola, ma un gesto, una danza, un abbraccio che non teme il futuro. Laura Lapietra scrive una poesia che non è solo un inno all’amore, ma alla sua forza silenziosa, che avanza come una gemma rara e preziosa, capace di proteggere, di guidare e, soprattutto, di rimanere immutata, pur nel flusso incessante della vita.
''Rosa d'autunno'' – Silvio Canapè
''Rosa d'autunno'' è una poesia che, come il silenzio che la permea, entra nell'anima come una pioggia sottile, quasi impercettibile, ma che in realtà sgretola ogni certezza e svela le pieghe più profonde del cuore. Il tempo, qui, non è un concetto lineare; è sospeso, come il filo di ragno che tiene insieme i frammenti di un giorno che sta morendo, mentre la rosa, simbolo di bellezza fragile e scontrosa, si trova ancora lì, in bilico tra la vita e la morte, tra l’autunno e l'inverno.
L’immagine del bocciolo di rosa, "lagrimante sullo spinoso ramo", non è solo una metafora di bellezza, ma un simbolo di sofferenza e malinconia, un cuore che perde la sua freschezza e si lascia invadere dal dolore. Il grigio che sale è il velo che avvolge tutto, ma la rosa, come il cuore stesso, non smette di tremare, di scuotere la monotonia del paesaggio e, con essa, il nostro stesso sguardo.
L’autunno è qui più che una stagione: è un tempo sospeso, un’assenza che si fa presenza, una ricerca di un "canto" che rompe il silenzio, ma che rimane inascoltato. L'autore ci invita a sentire quella ricerca come una necessità, una spinta interiore che ci porta, senza farci capire davvero il perché, a desiderare qualcosa che non possiamo avere. È l'inquietudine di un amore non corrisposto, di un desiderio che rimane sospeso in un mondo che sembra non avere più confini. L’“Ammore” gridato nella solitudine della poesia è una parola che non trova risposta, ma che risuona come un eco nell’aria.
''Le candeline spente'' – Joseph65
''Le candeline spente'' è una riflessione sulla perdita, sulla necessità di tenere viva una memoria che, purtroppo, non può tornare a farsi carne. Ogni candela che si accende, in questo dialogo silenzioso e doloroso, è un gesto che si oppone alla realtà della morte, un atto di speranza che non sa veramente come affrontare l’assenza. La domanda che ricorre ossessivamente – "Che le accendi a fare…" – è la domanda che chiunque si pone di fronte alla perdita: come si può continuare a celebrare qualcosa che è stato, ma non è più? La risposta, tuttavia, non è mai semplice, e Joseph65 ci porta nel cuore del lutto, dove la luce delle candeline diventa un simbolo di resistenza al vuoto che ci invade.
C’è un’illusione in quell’accensione: forse un soffio di vento, forse un segno che la persona amata non è davvero andata via. Ma la risposta finale, quasi rassegnata, arriva con la consapevolezza che bisogna lasciar andare, che le candeline non servono più. Il "dialogo con Caronte", che appare come una figura metaforica, diventa il punto di svolta della poesia: un confronto con la morte che ci costringe a fare i conti con la verità, ma senza mai rinunciare completamente alla speranza. La luce delle candeline, anche se spente, continua a rappresentare quel fragile, tenue filo che ci lega al passato, a un tempo in cui "chi doveva spegnerle" era ancora presente.
Joseph65 esplora la distanza tra ciò che resta e ciò che manca, tra il desiderio di trattenere qualcosa che è scivolato via e la necessità di accettare la perdita. La sua poesia è un abbraccio alla memoria, ma anche un atto di liberazione, dove l’oscurità della morte si incontra con la luce della speranza.
''Fatti, una poesia'' – Armando Bettozzi
*"Fatti, una poesia"* è una discesa nell'abisso di una società che sembra aver perso il controllo delle sue stesse contraddizioni. Armando Bettozzi, in questa riflessione tagliente, ci porta a confrontarci con un mondo dove il sesso, come desiderio e come atto, è ormai ridotto a una merce e a una performance, svuotato di ogni sacralità e innalzato a massimo potere. Le "cronache" del nostro tempo ci parlano di un'esplosione di liberazione sessuale, ma dietro questa facciata si nasconde una lacerante disillusione: il sesso, purtroppo, sembra essere diventato la nuova droga, l’alternativa all’anelito di autenticità che la società non riesce più a riconoscere.
Il "sesso libero" è descritto come un'illusione che ha tradito le promesse di emancipazione e felicità, lasciando dietro di sé il segno di una violenza sistemica, di un abuso che non conosce più confini. La poesia diventa una riflessione disincantata sulla "cultura del corpo", sulla sua mercificazione e sull’incapacità di discernere tra desiderio autentico e abuso. Il linguaggio crudo e diretto di Bettozzi, con il suo registro colloquiale e a tratti satirico, fa emergere la frustrazione di un mondo dove ogni tabù è stato abbattuto, ma dove si è persa la consapevolezza del valore del rispetto e della dignità reciproca. "Senza 'bòncostume' a bacchettà", in un mondo che ha rinunciato all'ipocrisia, ma anche alla capacità di vedere la propria disumanità, Bettozzi ci sfida a chiederci: fino a che punto è davvero "libero" il sesso, quando viene usato come mezzo per l'autodistruzione e il controllo, e non come espressione d’amore genuino?
''L'amore degli anziani'' – Salvatore Armando Santoro
''L'amore degli anziani'' è una poesia che celebra la purezza e la semplicità dell'amore maturo, un amore che non ha bisogno di orpelli, di artifici, ma che trova la sua forza nella genuinità e nell’autenticità. Santoro, con un linguaggio delicato e ricco di immagini sensoriali, ci porta in un giardino segreto dove l'amore non è più frenesia ma una danza pacata, che si snoda tra piccole, dolci provocazioni e sussurri.
L'immagine dell’amore che "sgorga alla fonte" è particolarmente significativa: è un amore che nasce dalla profondità dell'esperienza, che non ha più bisogno di conferme esteriori, ma che si fonda sulla serenità di chi ha vissuto, ha sofferto, ha amato, e sa ormai che la vera intensità non è nel desiderio frenetico, ma nella quiete che accompagna la maturità. La donna che "ti stuzzica in modo assai innocente" non è più una figura di tentazione, ma una compagna di viaggio, un’amica che sa come eccitare i sensi senza mai perdere il rispetto per l’altro.
L'autore non cede alla tentazione di idealizzare l'amore degli anziani, ma lo presenta come un amore che è diventato più consapevole, meno legato ai bisogni fisici e più ancorato ai sentimenti. La "danzatrice" che ci guida è una donna che sa giocare con la dolcezza e la grazia, ma che, al contempo, non perde il suo desiderio di piacere, di stimolare, di avvolgere con il calore di un'affettuosa intimità. Questo amore non ha più il freno della vergogna, ma si nutre della bellezza di ciò che è rimasto: la complicità, l'intimità, l’essenza pura di un sentimento che non ha bisogno di essere dimostrato ma solo vissuto.
''La lingua sconosciuta'' – Guglielmo Aprile
''La lingua sconosciuta'' di Guglielmo Aprile è una riflessione affascinante e silenziosa sulla comunicazione non verbale, quella che sfugge alla comprensione razionale dell'uomo. Aprile immagina un mondo segreto in cui gli alberi, lontani dalla nostra capacità di decifrare, parlano attraverso il movimento delle foglie e il fruscio dei rami, in un linguaggio che è al contempo invisibile eppure onnipresente. C'è una sottilissima ironia nel fatto che l'uomo, non riuscendo a capire la lingua degli alberi, immagina che la loro "parola" sia silenziosa, come se fosse "muta". Ma in realtà, questa mutezza è solo una nostra illusione, un'incapacità di ascoltare la natura in un modo che vada oltre il percepibile. Le foglie che "parlano" tra loro sono come bocche che si scambiano confidenze, una comunicazione segreta che si consuma sotto il nostro naso, nelle pieghe di un universo che non sappiamo osservare con attenzione.
Il passaggio dalla percezione dell'invisibile, dal linguaggio del vento e degli alberi, è descritto con una delicatezza affascinante. Il poeta non vuole solo "vedere" gli alberi, ma "ascoltarli", nella speranza di imparare un linguaggio che non ha parole, ma che risuona nel fruscio e nel movimento. La poesia evoca un senso di perdita, come se la nostra distanza dal mondo naturale fosse anche una perdita di connessione, una separazione dall'origine primitiva della vita, simbolizzata nel "verbo del fulmine e del fiume". Il desiderio di "ascoltare" questa lingua che ci sfugge, è anche un desiderio di riconnettersi con ciò che è profondo e ancestrale, un grido silenzioso di comprensione.
''Pietà degli alberi'' – Guglielmo Aprile
In ''Pietà degli alberi'', Guglielmo Aprile torna a parlare degli alberi, ma con un tono più tragico, intriso di compassione e lutto. La poesia è una riflessione sulla trasformazione degli alberi da esseri vivi e pulsanti a corpi inerti, simboli di una grande perdita, di una maledizione che ha distrutto un'intera stirpe. La "maledizione" a cui fa riferimento il poeta non è solo fisica, ma spirituale, una punizione che li ha condannati a restare immobili, a guardare il mondo senza poter più parteciparvi. Gli alberi, un tempo protagonisti di amori, guerre e passioni, oggi sono ridotti a "scheletri" e "ruderi", emblema di una bellezza che è stata violentata dalla mano dell'uomo o dal destino.
Il tono è severo, ma al contempo dolce e struggente. Aprile non si limita a constatare il decadimento degli alberi, ma ci invita a riflettere su ciò che questa condizione rappresenta per noi. Gli alberi, simbolo di eternità e ciclicità, sono ridotti a cenobiti, assorbiti nella loro penitenza. La loro "strenua e inutile supplica" verso un cielo che non risponde è l'immagine di una solitudine esistenziale, di una sofferenza senza redenzione. L’albero diventa un simbolo del nostro stesso rapporto con il mondo naturale: ci serviamo di esso, ma lo distruggiamo, e alla fine non possiamo fare a meno di provare compassione per la sua sofferenza.
''[ma voix est un corps]'' – Carol-Ann Belzil-Normand
La poesia ''[ma voix est un corps]'' di Carol-Ann Belzil-Normand è una riflessione sulla voce come entità fisica, una presenza corporea che si eleva come un soffio, potente e imprevedibile, ma anche fragile e delicata. L'uso della tempesta e dello streaming come metafore evidenzia la tensione tra il desiderio di esprimersi e la limitazione del mezzo attraverso cui si comunica. La voce è descritta come un canale "a senso unico", come se l'espressione di sé non fosse mai una comunicazione davvero reciproca, ma un flusso che scorre solo in una direzione, verso l'altro, senza possibilità di ritorno. Il sospiro, che appare "dall'altro lato", funge da contrappunto, una risposta silenziosa ma carica di significato, un'eco di ciò che non viene detto, di ciò che resta nell’ombra.
La traduzione di Nino Muzzi mantiene il ritmo e la tensione della lingua originale, trasmettendo il senso di solitudine e di distanza che caratterizzano la condizione umana, ma anche la sua potenza. La poesia solleva interrogativi sul senso stesso dell'espressione, sul fatto che ogni parola, ogni suono, non è mai solo una manifestazione di sé, ma anche un atto di separazione, di incomunicabilità. La voce diventa un corpo che si staglia nello spazio, ma che non sempre riesce a connettersi con l'altro, con il suo "altro lato", lasciando un vuoto che il sospiro tenta, forse inutilmente, di colmare.
''La luce del ricordo'' – Sandra Greggio
La poesia ''La luce del ricordo'' di Sandra Greggio è un riflesso intimo e delicato di un sentimento che scava nel profondo dell'anima, quello della nostalgia. La luce, simbolo di vita e chiarezza, viene contrastata dall'oscurità imminente dell'inverno e del buio che si fa presto. La poetessa suggerisce che, nonostante l'avanzare della notte, ci sarà sempre una luce interiore che potrà guidarci, ma non una luce esterna, elettrica, bensì una più profonda e intima. Il ricordo, che assume tinte di verde, bianco e rosso, diventa il faro che illumina dall'interno. Queste immagini evocano una natura che non è solo fisica, ma anche emotiva: l’erba, la neve, i papaveri sono il riflesso di una bellezza che non può essere toccata, ma solo custodita nel cuore. La poesia sembra suggerire che, anche quando tutto si fa buio, la luce del ricordo, protetta nel rifugio segreto del cuore, è in grado di riscaldare, di ricordare il passato con una dolcezza che non ha bisogno di spiegazioni. La pelle, morbida come velluto e liscia come la seta, racchiude questo "segreto" che solo il corpo sa custodire.
''Epitaffio'' – Jacqueline Miu
''Epitaffio'' di Jacqueline Miu è una poesia di grande intensità, che si sviluppa in un'atmosfera di riflessione sulla vita e sulla morte, sulla memoria e sull'eternità. L'inizio, con il desiderio di una "stretta d'aria" che dura per sempre, evoca la sensazione di un amore infinito e di una lotta interiore che si protrae fino alla fine dei giorni. L’idea di "dare corpo e meta a tutti i pensieri" è un rimpianto per l’impossibilità di realizzare pienamente tutte le proprie aspirazioni. Ma la morte non appare come una fine definitiva, bensì come una transizione inevitabile. La poetessa, che non teme la "prigionia Larva" né i vermi che "ronziano sull'osso magro", sembra guardare alla morte come a una liberazione dall’"incoscienza" che imprigiona. Il passo della persona amata che continua a risuonare anche nella morte diventa il filo che collega la vita alla morte, come una presenza che continua a camminare accanto al poeta. L’invocazione alla memoria e ai "poemi" come soli "occhi" che continueranno a brillare in assenza della luce fisica è un atto di resistenza, una dichiarazione di eternità che si radica nella scrittura e nell'amore che non ha mai fine. L'amore diventa così una condanna, ma anche un atto di redenzione, come un seme che, piantato nel ventre della terra, fiorisce per sempre.
''Curriculum mortis: Una Vita in Versi'' – Carlo Chionne
''Curriculum mortis: Una Vita in Versi'' di Carlo Chionne è una riflessione storica e personale, un mosaico di eventi che attraversano il tempo e la memoria collettiva. La poesia si apre con il riferimento alle stelle e al vento che precedono le lotte della liberazione, simboli di una realtà mutevole, di una storia che non è mai lineare. L’autore si inserisce in questo flusso storico come un "uccellino di nido", un essere fragile e giovane che assiste e partecipa a eventi più grandi di lui. La menzione di personaggi come Ferruccio Parri, Nenni, Togliatti, De Gasperi e altri, ancorché simboli di una politica italiana che ha segnato il Novecento, inserisce la poesia in un contesto storico preciso: il periodo della Resistenza, la nascita della Repubblica Italiana, la Ricostruzione post-bellica. La guerra, i tradimenti, i dolori, ma anche le speranze, sono descritti come momenti di un "cammino" collettivo che ha trovato la sua espressione nel "grido" di libertà. Ma, accanto alla narrazione storica, c’è una forte presenza di simboli e immagini che sanno di mito e di tragedia. La "Costituzione" come fondamento di un nuovo ordine e la "Ricostruzione" come speranza di rinascita, ma anche la consapevolezza che dietro ogni grande cambiamento c'è sempre una lotta, un dolore, una lotta che non si esaurisce mai.
In questa poesia c’è una tensione tra la memoria storica, l’impegno politico e il senso di una vita vissuta in continua evoluzione. L'autore riesce a condensare secoli di storia in versi che parlano di identità, di crescita, di lotte senza mai dimenticare che "l’uccellino" che racconta ha assistito, ma anche vissuto, una vita che si svolge tra gli eventi del mondo e la personale ricerca di un posto in essa.
''Il dubbio'' – Piero Colonna Romano
La poesia ''Il dubbio'' di Piero Colonna Romano affronta una delle vicende più emblematiche della storia e della religione: la condanna di Gesù Cristo. L'immagine della "torre minacciosa" e del giardino profumato di rosa introduce un contrasto forte tra la minaccia della morte e la bellezza dell'innocenza, mentre il mese di Nisan, periodo pasquale, è il contesto storico in cui avviene la passione di Cristo. Pilato, nella sua posizione di prefetto romano, è un personaggio che non trova una risposta definitiva al "dubbio" che lo tormenta: è il custode di una legge che gli impone di condannare, ma il suo senso di giustizia lo spinge a cercare una verità più alta. Nonostante il suo gesto di "lavare le mani", simbolo di un tentativo di slegarsi dalla responsabilità, Pilato non riesce a sottrarsi dalla consapevolezza di aver condannato ingiustamente. La poesia mette in luce l'ambiguità morale, il conflitto tra il dovere e la coscienza, suggerendo che la verità di cui parla Gesù, quella del regno spirituale, è incomprensibile per chi è legato alle leggi terrene. La condanna, pur essendo eseguita, lascia il "dubbio" irrisolto, una domanda che non trova mai risposta.
''Sei'' – Ciro Seccia
''Sei'' di Ciro Seccia è una poesia d'amore in cui il soggetto è idealizzato e venerato in ogni sua forma. Il "tu" della poesia è descritto come l'essenza stessa della bellezza, della luce, e del desiderio, e la ripetizione della parola "Sei" sottolinea l'idea che l'amato è presente in ogni aspetto della vita. Il soggetto non è solo un amore romantico, ma anche il fondamento stesso dell'esistenza: "Sei il passato, il presente, il futuro". La poesia si struttura come una lunga enumerazione, in cui l'amato è paragonato a gemme preziose (zaffiro, smeraldo, rubino), ma anche agli elementi naturali (mare, tempo, alba e tramonto). Queste immagini evocano la perfezione, un amore che è fuori dal tempo e dal mondo. L'ultimo verso, "Per me sei una sola carne, Amore mio", suggerisce un'unione profonda e totale, in cui l'autore si fonde con l'amato, vivendo in un'armonia assoluta. La poesia, con il suo flusso intenso di emozioni, esprime la totalità dell'amore, un amore che riempie ogni spazio e ogni attimo.
''Tajar'' – Roberto Soldà
''Tajar'' di Roberto Soldà è una poesia che gioca sul linguaggio dialettale e sul ricordo del passato, con un tono di nostalgia e di affetto verso la natura e le esperienze della vita. Il verbo "Tajar" (tagliare) è evocato in modo affettuoso, legato al vento e alla neve, elementi naturali che l'autore descrive come amici fedeli che lo accompagnano nei momenti di solitudine e riflessione. La tormenta di neve, che "scalda il sangue" e fa sentire l'autore come Michele Strogoff, il protagonista del celebre romanzo di Jules Verne, diventa un simbolo di resistenza e forza interiore. La neve non è solo una presenza fisica, ma anche un compagno che aiuta a ritrovare il coraggio e la determinazione. L'autore gioca con l'idea del "tagliare" come liberazione: tagliare i fili, rompere i legami, allentare le tensioni. La nostalgia per il passato, e in particolare per il tempo dell'infanzia, emerge quando il poeta racconta di come, da bambino, "poteva facilmente allentare tutti i fili, tagliando la corda senza alcun rimpianto". Questo ricordo di spensieratezza e libertà è contrastato dalla consapevolezza che, da adulto, le scelte e i legami non siano più così semplici da "tagliare". La poesia si nutre di questo contrasto tra il passato e il presente, tra la libertà dell'infanzia e le complessità della vita adulta.
''Ode alla libellula'' – Alessio Romanini
In ''Ode alla libellula'', Alessio Romanini celebra la delicatezza e la trasformazione, utilizzando la figura della libellula come simbolo di libertà e introspezione. Il poeta inizia con una riflessione sulla figura di questa creatura, notando come i grandi poeti non abbiano mai descritto con la dovuta attenzione il suo volo silenzioso e affascinante. La libellula aleggia sopra stagni e acquitrini, simboli di un mondo naturale immutato e misterioso. Le ali sottili e cangianti della libellula sono paragonate a "bocche di luce", che esprimono la purezza e l'incanto che suscita nella mente del poeta e dei bambini. L’immagine della libellula come una ballerina graziosa in volo enfatizza la sua leggerezza e l'eleganza del suo movimento.
Il poeta stabilisce un parallelo tra la libellula e la sua personale evoluzione: da "larva" a "libellula", come simbolo di cambiamento e crescita interiore. La libellula rappresenta la capacità di mutamento, di rinascita, e di lasciare andare i sogni del passato. Inoltre, diventa simbolo di pace e libertà, che per l’autore sono essenziali nella ricerca della verità. L’ode si conclude con un’intima dichiarazione di connessione: la libellula, come un’anima gemella, simboleggia una parte dell’autore stesso, un’espressione della sua stessa essenza in volo verso la libertà. Il poema è pervaso da una bellezza malinconica e da un senso di appartenenza tra l’autore e infinitesimamente piccolo e delicato della natura.
Con affetto e stima
vostro Ben Tartamo
13-14-15 Novembre
"Break Down" di Maude Veilleux (e la sua traduzione di Nino Muzzi, "Collasso")
Maude Veilleux, in questa canzone, fa un atto di disillusione brillante, sussurrato con una saggezza che sa di mestizia e di risate amare. L’opera è un gioco di smembramento, come una poesia urbana che si infiltra nei meandri della realtà quotidiana, là dove la speranza e la miseria convivono e si mischiano. La musicalità stessa del brano, con la sua commistione di francese e inglese, riflette un mondo in cui le lingue e le culture si mescolano, ma la lotta rimane la stessa: sopravvivere, credere, amare, mentre la vita ci travolge con le sue necessità materiali.
Il ritornello in inglese ("don't give up on your faith") e il verso conclusivo ("that's the way it is, babe") potrebbero sembrare una consolazione, un invito alla resistenza, ma sono tinti di una realtà che sa di "collasso" – un sistema che ci inghiotte, nonostante i riti di speranza e le illusioni di prosperità che proviamo a costruire. C’è una realtà tremenda sotto questa canzone: quella della precarietà economica e della necessità di far fronte alla lotta quotidiana, con il "frigidaire vuoto" come emblema della sopravvivenza.
La poetica del "rituale" è affascinante, l’idea di legare la vita creativa a forze cosmiche, come la luna o il gesto di speranza che ci viene dalla “mano del tizio del negozio greco su Fairmount”. La bellezza di questa immagine sta nel fatto che è tanto rituale quanto sarcastica. Si fa dell’arte un atto quasi sciamanico, ma un atto che, alla fine, non può sfuggire alla miseria quotidiana: il mondo dell'arte è anche un mondo di concrete difficoltà materiali.
"Non abbandonare la fiducia", dice la canzone, ma questa fiducia è quasi un atto di resistenza, qualcosa che dobbiamo attuare a dispetto di tutto, perché siamo consapevoli che, proprio come l'arte che produciamo, la nostra stessa esistenza è, per certi versi, in bilico. La disillusione e l’ironia sono, quindi, le voci attraverso cui si racconta l'amara verità della vita artistica e di chi vive "l'utopia" di un sogno che non diventa mai abbastanza solido da non svanire tra le dita.
"Le parole improvvisate" di Giuseppe Stracuzzi
Questa poesia di Giuseppe Stracuzzi è un atto solenne, quasi mistico, di riflessione sull'incontro tra parola e silenzio. "Le parole improvvisate" non sono semplici parole, ma piuttosto impronte lasciate nell’anima, un tremore che si fa poesia attraverso la spontaneità dell'emozione. La poesia nasce da una lacrima del cuore, dice Stracuzzi, ed è questo un atto sacro, un sigillo di verità che si rivela nei momenti più impensati e delicati.
L'immagine che ci propone l’autore è quella di un’anima che ascolta, "attenta", e si eleva "sopra il tempo", un’anima che non dimentica la sua "sponda", il suo punto di partenza, ma che al contempo è capace di volare oltre, verso un’infinita distesa di pensieri e riflessioni.
Il conflitto tra la bramosia dell’ego e la ricerca della pace emerge in modo struggente, come se ogni parola che scriviamo, ogni pensiero che abbiamo, fosse al contempo un passo verso l’illuminazione e un ritorno all'errore, al dolore, a un girovagare senza fine. La "grida dolente" del silenzio diventa il grido stesso della nostra esistenza, quella che ci tormenta e ci sospinge, come un'onda che si frange contro la riva della coscienza.
In quest'opera, le parole non sono mai fini a sé stesse, ma rivelano e celano, danzano in un gioco di visioni e di opposti: il desiderio e la lotta, la luce e l’oscurità. È una poesia che si fa metafora di tutto ciò che non può essere detto, ma che, in fondo, è già presente.
"Poesia per Francesco" di Cristiano Berni
Il saluto poetico di Cristiano Berni a Francesco è, a dir poco, un tributo sincero, una riflessione sulla memoria e sull'eredità che l’arte lascia dietro di sé. La poesia è intrisa di una nostalgia che non è mai triste, ma un ricordo di lotta e di speranza, di "sogno ardente e sincero". L’immagine del "fiume che lento va tra valli e campagne" diventa metafora della vita stessa, del tempo che scorre, ma che non sfugge al battito dell’anima che continua a "cantare" e a sognare, anche quando il mondo attorno sembra così carico di difficoltà.
Nel tributo a Francesco, c'è una riconoscenza profonda per l'opera e per il percorso umano di chi ha scelto l'arte come veicolo di significato. "Volare costante, sapiente e leggero", scrive Berni, evocando il volo come una metafora dell’altezza spirituale e dell'intensità con cui l'artista si immerge nel mistero della sua esistenza.
La citazione della "locomotiva" e il riferimento a "d'un Dio che è morto" ci parlano di una visione più complessa della realtà, fatta di sogni che non sfiorano solo l'utopia, ma che si confrontano con la realtà, spesso grigia e difficile. Non c’è una separazione netta tra la lotta quotidiana e la dimensione spirituale, ma un intreccio che dà vita a una poesia che, pur cantando l'ideale, non sfugge alla concretezza del mondo.
Il tono di questa poesia è di una bellezza intima e delicata, capace di trascendere il tempo, eppure profondamente legata ai "momenti di lotta" e ai "giorni in cui ho sentito il fragore delle parole". È una dichiarazione di affetto, ma anche una riflessione sul potere delle parole di costruire ponti tra gli esseri umani, tra il passato e il presente, tra la morte e la vita.
"Grande Spirito" di Enrico Tartagni
Ah, la poesia di Enrico Tartagni è un viaggio senza tempo, una danza leggera che non si ferma mai, un continuo "passo" che va avanti, invisibile, lasciando dietro di sé tracce che sono quasi eteree, come il respiro stesso del Grande Spirito.
Il poeta si descrive come "uomo volante", un essere che si muove con la rapidità e la libertà di un flusso cosmico. Non guarda mai a destra né a sinistra, non si lascia distrarre: il suo cammino è dritto, come quello di un’anima che sa il proprio destino, che capisce "nell'istante ogni forma del passaggio". E questa consapevolezza dell'infinito, di un "grande campo" che è sia sacro che eterno, sembra diventare il cuore pulsante del suo viaggio.
C’è qualcosa di trascendentale in questo atto di camminare senza lasciare tracce, di essere qui eppure altrove, come se il poeta fosse sia dentro il mondo che sopra di esso. Il "paradiso piantato in terra" è un’immagine potente, dove l’immanenza e il divino si intrecciano. Ogni passo che lascia dietro di sé è come un atto di ringraziamento, una reverenza verso una divinità che abita ogni cosa – dall’erba che cresce nelle notti alle margherite "spellate per sortirne la stagione". Questa scena evoca un ciclo naturale, ma anche spirituale, dove l'uomo, nel suo cammino, diventa parte di un più grande disegno, senza mai smettere di "stupirsi" del paesaggio.
La ripetizione dei versi, l’incantamento di un passo che si fa poesia, non è mai statico, ma piuttosto un continuo fluire, come l'acqua sorgiva che scende dalla montagna: è il continuo mutare e trasformarsi dell'esistenza, che non smette mai di stupirci. Il poeta, così come il Grande Spirito, non lascia tracce, ma è in ogni cosa che vediamo, che tocchiamo, che respiriamo.
"Attendendo... il Natale" di Maria Toriaco
Maria Toriaco ci regala una poesia che si snoda tra luci e ombre, tra la speranza e l’illusione, un vero e proprio atto di attesa, ma anche di riflessione sulla solitudine che spesso accompagna i momenti di festa. Il Natale, simbolo di rinnovamento, di gioia, di luce che penetra nelle ombre del cuore umano, viene qui dipinto come un’"enorme spazio blu", un cielo che custodisce i sogni, ma anche le speranze non sempre realizzabili.
C’è una dolce malinconia nel testo, un’evidente sensazione di distacco, come se la poetessa stesse cercando di capire, nel buio della notte e nel silenzio della sua attesa, quale tipo di "amore" possa realmente scaldare il cuore. Il Natale non è solo gioia, ma anche un invito alla riflessione, alla consapevolezza di quanto la felicità e la serenità siano cose sfuggenti, difficili da afferrare. La poetessa attende "un barlume di speranza, di gioia, di serenità", e mentre attende, si lascia "cullare dalle stelle", quasi come un bambino che cerca conforto nel mistero del cielo.
Il "Natale" non è solo un evento fisico, ma anche un viaggio interiore. Le "luci colorate" e le "stelle dorate" non sono solo decorazioni, ma manifestazioni di una ricerca profonda: quella di "un amore incondizionato verso la vita e le sue bellezze". La bellezza, quindi, non è solo nell’apparenza, ma nella capacità di amare senza condizioni, di guardare oltre la superficie e cercare la verità nascosta nel quotidiano.
"Poesia..." di Franco Fronzoli
Con questa composizione, Franco Fronzoli ci trasporta nella dimensione originaria della poesia, quel flusso primordiale che scorre come acqua sorgiva, che nasce dal cuore stesso della natura. La poesia è il respiro dell’universo, il silenzio che diventa parola, il sorriso che diventa lacrima, la gioia che si fonde con il dolore. C'è un invito a vivere la poesia come una forma di consapevolezza che attraversa tutto ciò che è vivo, da una "foglia che cade" a una "onda del mare che scuote lo scoglio".
Il poeta sembra dirci che la poesia è un atto vitale, che nasce con noi, con il nostro respiro, con il nostro essere nel mondo. Ogni immagine che crea, dall’autunno al mare, dalla luna calante al vento che sfiora i pensieri, è una metafora di quell’interconnessione che unisce tutti gli esseri, e la natura con l’anima umana.
La poesia di Fronzoli non è fatta di parole, ma di essenze, di vibrazioni che arrivano da un mondo dove ogni cosa è poesia, dal sorriso di una persona alla carezza di un vento leggero. C’è un lirismo che sfiora il misticismo, ma anche una profonda connessione con la realtà materiale e sensoriale, con il mondo che percepiamo attraverso i nostri sensi. La poesia, per Fronzoli, non è mai un concetto astratto, ma una percezione viva, che affonda le radici nel nostro essere e nel nostro incontro con il mondo.
"Un cielo bianco di silenzi" di Felice Serino
In questa breve e intensa composizione, Felice Serino crea un paesaggio interiore che, come un'eco lontana, risuona nei silenzi e nelle contraddizioni della vita umana. L’immagine di un "cielo bianco di silenzi" è potente: il bianco, colore dell’assenza, del vuoto, si fonde con il silenzio, che non è solo quiete, ma anche una presenza pesante, quasi spettrale. La sua poesia si concentra su un “purgatorio” che non è più un luogo fisico, ma uno stato esistenziale, una condizione che l'individuo ha creato per sé stesso. Le "strade storte" sono simbolo di scelte sbagliate, di cammini deviati che portano a una sofferenza che sembra immutabile, ma che, allo stesso tempo, fa parte della propria esperienza umana.
Il pellegrinare dell’anima "affamata d’amore" trasmette una ricerca disperata, ma anche un’inquietudine che si insinua nel corpo e nella mente. La ripetizione di "un cielo bianco di silenzi" conferisce alla poesia una dimensione quasi ipnotica, come se ogni immagine fosse sospesa, eternamente in bilico tra l’esperienza del peccato e la speranza di redenzione. Si tratta di un atto di consapevolezza, di riconoscimento di quella solitudine esistenziale che accompagna l’essere umano, ma che, in fondo, lo forma e lo definisce.
"La sinfonia d’autunno" di Renzo Montagnoli
Renzo Montagnoli, con una raffinata delicatezza, ci regala un'ode alla stagione autunnale che va oltre la semplice descrizione del paesaggio. La "sinfonia d’autunno", evocata dal suono della pioggia che rimbalza sul tetto, diventa il cuore pulsante della poesia. La pioggia, con le sue gocce di suono "più greve" e "più acuto", diventa un motore del pensiero, un canto che invade la mente del poeta mentre si trova in un "dormiveglia" che gioca tra la veglia e il sogno.
Il tema del viaggio, simbolo di un percorso interiore, emerge quando l’autore si trova in un’isola "che non c’è", simbolo di un desiderio di scoprire qualcosa di misterioso, di andare oltre la realtà percepita, verso un orizzonte che sembra irraggiungibile. La bellezza della poesia sta nella sua capacità di tradurre in immagini sensoriali il sentimento di ricerca, il desiderio di approdare a una “riva” che rappresenta la sicurezza, la famiglia, l'accoglienza. Ma la realtà irrompe, come la pioggia che interrompe il sogno, lasciando l'autore in uno stato di attesa, nella continua tensione tra il desiderio di raggiungere qualcosa di concreto e la consapevolezza che il viaggio interiore è fatto di continui ritorni e frustrazioni.
La pioggia, suono incalzante, diventa quasi una metafora della vita, che, come la sinfonia, è fatta di alti e bassi, di momenti di quiete e di tumulto. Il finale, con gli occhi spalancati nel buio, ci lascia con la sensazione di un vuoto esistenziale, ma anche con la speranza che il "lido sicuro" esista, da qualche parte, all’orizzonte.
"Gogyohka 2" di Laura Lapietra
Il Gogyohka, forma poetica giapponese moderna che si sviluppa su cinque righe di 5-7-5-7-7 sillabe, in questo caso si trasforma in un grido di bellezza e malinconia, dove ogni parola è un’eco di un sentimento interiore. Il "cielo aranciato" è un’immagine visiva e sensoriale potente, che richiama sia la bellezza del tramonto sia la solitudine del crepuscolo. Questo cielo, che è "specchio che lenisce nostalgie", non è solo una descrizione della natura, ma una riflessione sul potere curativo della memoria, che, come il cielo, riflette e amplifica i sentimenti che portiamo dentro.
L'idea dell’"astratto rotocalco" è evocativa, un’immagine quasi surrealista che richiama l’idea di qualcosa di lontano, impalpabile, come un frammento di un sogno che si scontra con la realtà. Le "nenie del cuore" suggeriscono il canto dell’anima, una melodia che, pur nel suo dolore e nella sua nostalgia, trova una certa dolcezza. "Cirri di trasogni d'anima incendia" sembra essere l’immagine culminante della poesia: cirri, nuvole leggere che si mescolano con i sogni, un incendio che brucia senza consumare, ma che è capace di risvegliare l'anima.
La poesia di Laura Lapietra è un momento di quiete, ma anche di tensione, un viaggio che non si muove mai in una direzione fissa, ma che galleggia, come il cielo aranciato sopra di noi, tra il sogno e la realtà, tra la memoria e il desiderio.
"La vecchia fontana" di Salvatore Armando Santoro
In "La vecchia fontana", Salvatore Armando Santoro crea una riflessione poetica sull'invecchiamento, il cambiamento e la memoria storica, tutte immerse in un paesaggio rurale e quotidiano. La fontana, che un tempo era il fulcro della vita sociale, ora è relegata alla solitudine, un’immagine emblematica di un mondo che cambia e dimentica. La poesia inizia con l’osservazione della fontana, che "mi vede che guardo", come se la fontana stessa fosse una testimone silenziosa di epoche passate, di tempi in cui era "in mezzo alla gente". La figura della fontana, quasi personificata, diventa un simbolo di quel "passato che non è più", ma che rimane fisicamente presente come traccia di un’epoca più semplice e più legata alla comunità.
Il contrasto tra il "prima" e l' "ora" è netto: un tempo la fontana era adorata, centrale nel paesaggio umano, un simbolo di vita e di speranza, ma ora è solitaria, come una vecchia che ha perso la sua comunità. La ripetizione di parole come "sola" e "non era" suggerisce la perdita, ma anche la resistenza del ricordo. L’immagine della fontana, che "dissetava" e "levava la sete", si fa più complessa e simbolica, suggerendo che, mentre la fontana offriva acqua, ora si trova in un mondo in cui la sete – non solo quella fisica, ma anche quella affettiva e sociale – è rimasta insoddisfatta. La solitudine della fontana diventa metafora della solitudine della vecchiaia e della transitorietà dei luoghi e delle relazioni. Il finale, con la menzione della fame, non è solo fisica, ma esprime anche un vuoto emotivo e spirituale, che solo il ricordo e il gesto dell'osservare possono appagare, ma che non possono più essere risolti.
"Perché più non parlate?" di Guglielmo Aprile
Questa poesia è un’introspezione affascinante che fonde l’esperienza umana con quella naturale. Il titolo, "Perché più non parlate?", introduce una riflessione sul silenzio degli alberi e sulla loro esistenza in relazione a noi esseri umani. Guglielmo Aprile dipinge un paesaggio dove gli alberi, simbolo di silenziosa saggezza, sembrano vivere con una propria vita interiore, un cuore che sa di estasi, abbandono, malinconia e letizia. C’è una tensione tra la conoscenza dei sentimenti degli alberi e il loro “riserbo altero”: sebbene possiedano una profondità emotiva, non la condividono con noi, come se il loro "oracolo" fosse troppo grande, troppo misterioso per essere rivelato.
Aprile sembra suggerire che gli alberi siano capaci di sentire il tempo, di essere spettatori e partecipi di un processo di crescita che non può essere compreso completamente da noi. Le loro "ciocche crespe" e "fluenti" che vengono accarezzate dal vento, che li sfiora con "dita tenere", sono immagini sensuali che rimandano a un’intimità che non può essere verbalizzata. Il vento, in questa poesia, diventa il messaggero silenzioso che accarezza e protegge questi esseri, ma che non li obbliga a raccontare la loro storia. Il contrasto tra l’intima vita degli alberi e la nostra "distrazione" nel passare sotto i loro portici e volte rafforza l’idea che, pur essendo vicini alla natura, siamo incapaci di percepire e comprendere appieno il suo linguaggio silenzioso.
Il tono del poeta è contemplativo, quasi misticamente riflessivo, come se stesse cercando di penetrarci in un mondo altro, più profondo, che si nasconde dietro la superficie degli alberi. La poesia non risponde alla domanda iniziale – "Perché più non parlate?" – ma lascia che sia il lettore a riflettere sul nostro rapporto con la natura, che spesso ignoriamo o trattiamo con superficialità, senza comprendere le sue sfumature emotive e spirituali.
"Romita panchina" di Alessio Romanini
La poesia di Alessio Romanini "Romita panchina" esplora il tema della solitudine e della resistenza del tempo attraverso la personificazione di una panchina, che diventa simbolo di attesa, di silenzio e di osservazione. La panchina, "così bella", è "vestita di foglie dipinte, a forma di cuore", creando un’atmosfera di intimità e dolcezza. Sebbene la panchina sembri un semplice oggetto, diventa un contenitore di vita, di emozioni e di storie. L’immagine della panchina "aspettando la vita che scorre" suggerisce un’attesa senza fine, una resistenza alla solitudine e alla frenesia del mondo circostante.
Romanini fa in modo che la panchina diventi un riflesso della condizione umana: "Ama ogni giorno", ascolta "tutti i momenti di oggi e ieri". Non è mai passiva, ma partecipa a tutte le vicende che le si avvicinano. La panchina non sente la solitudine, non "avverte" il dolore del ritorno o il "penare" di chi siede su di essa, perché è radicata nella sua essenza di "osservatrice", un'entità che non giudica, ma è sempre presente, disponibile ad accogliere chiunque. L’idea di "tutti uguali", dal "scolaretto" al "senzatetto", rimarca l’universalità della panchina come simbolo di accoglienza, un luogo dove ogni persona, indipendentemente dalla sua condizione sociale, può fermarsi e riflettere.
La poesia sembra voler trasmettere un senso di pace e serenità che la panchina, nella sua "grande anima", infonde a chi la utilizza, ma senza mai essere "toccata" direttamente dal dolore o dalla tristezza che accompagna la vita. La panchina è il punto d’incontro di storie, di vita che si intersecano senza mai distruggere la sua quiete e la sua naturalezza. La sua resistenza al tempo e alla solitudine è una forma di bellezza che non ha bisogno di parole. È una poesia che invita alla riflessione sul nostro rapporto con il mondo, con gli altri e con noi stessi, suggerendo che la vera bellezza sta nella capacità di accogliere e osservare senza giudizio.
"La mia stella" di Sandra Greggio
La poesia di Sandra Greggio, "La mia stella", è un intenso invito d'amore, una richiesta di vicinanza e illuminazione. La figura della stella viene evocata come simbolo di speranza, desiderio e luce in un mondo che sembra essere immerso nell'oscurità. L'io poetico si rivolge a una stella, che è allo stesso tempo un'entità astrale e, probabilmente, una figura amata o idealizzata. La prima parte della poesia si concentra sull'atto di aspettare, di essere in attesa della stella, che rappresenta il faro di luce e amore.
La frase "Vieni da me ad illuminarmi" è carica di desiderio, quasi come un invito a colmare il vuoto esistenziale e affettivo dell'io poetico. C’è una simmetria tra la stella e l’anima che sta aspettando, un gioco di opposti che si risolvono nell’incontro tra luce e oscurità. La stella "oscura la mia", in un paradosso che sembra suggerire che, pur nell'attesa, quella luce è al contempo lontana e vicina, una presenza che si fa forte nell’assenza, ma che allo stesso tempo è misteriosa, irraggiungibile. La scrittura di Greggio evoca un’emozione profonda, quella della ricerca di un amore che possa "illuminare" il cuore, ma che allo stesso tempo esprime una consapevolezza dell'impossibilità di possedere completamente l'altro, che rimane sempre un astro lontano e inafferrabile.
"Messo d’amore" di Jacqueline Miu
In "Messo d'amore", Jacqueline Miu utilizza un linguaggio ricco di immagini sensoriali e simboliche per descrivere una relazione che si confronta con la solitudine, la bellezza ideale e il miracolo del tempo sospeso. La poesia inizia con un’immagine di pioggia, una pioggia che non è solo un fenomeno meteorologico, ma un mezzo di comunicazione, un "tormento" che invita il destinatario a immaginare la goccia come un "messo d’amore". L’acqua, che scende e si disperde, diventa simbolo di un amore che si offre, che tenta di raggiungere l’altro, ma che è al contempo fragile e transitorio, come ogni goccia che si perde nel suolo.
La "Musa" invocata nel testo non
è solo una figura di ispirazione artistica, ma anche una guida salvifica,
capace di portare sollievo alla solitudine e alla sofferenza esistenziale. Il
riferimento ai "muri" e alla "prigionia" suggerisce una condizione di
isolamento emotivo e fisico, da cui il poeta spera di liberarsi, o almeno di
trovare conforto, attraverso l’immagine di una bellezza eterna che resiste al
tempo. La chiusura della poesia, "cieli non mortali", allude a un regno
ideale, lontano dalla sofferenza del mondo terrene, dove la bellezza
dell’amore è intatta e immutabile, protetta dalla corruzione del tempo. La
bellezza di questa poesia risiede nella sua capacità di evocare, attraverso un
linguaggio ricco e denso, l’intensità di un sentimento che non trova mai una
piena realizzazione, ma che vive costantemente nella speranza di un incontro
perfetto, senza "tempo che tace", dove il miracolo dell’amore si può
consumare.
"Acronimi" di Carlo Chionne
La poesia "Acronimi" di Carlo Chionne si presenta come un gioco di parole che, partendo da acronimi politici e sociali (MAGA, MEGA, MANGA), si sviluppa in un’affermazione critica e ironica. L'uso di acronimi legati a fenomeni politici e sociali, in particolare il famoso "Make America Great Again" di Donald Trump e la sua corrispondenza con "Make Europe Great Again", crea un dialogo tra contesti geografici e ideologici, evidenziando le contraddizioni insite nei discorsi politici contemporanei.
Il gioco linguistico che Chionne propone va oltre la superficie del significato letterale degli acronimi: passando da MAGA a MEGA, e da MANGA a MENGA, si inserisce un elemento di critica sociale e di riflessione sulla "grandezza" proclamata da certe ideologie politiche, che alla fine sembrano sfociare in un gioco di parole che non ha un fondamento concreto. Il passaggio tra "MAGA" e "MENGA", in particolare, si connota come una sorta di parodia, come se i discorsi sulla grandezza nazionale non fossero altro che slogan vuoti, acclamati senza vera sostanza.
Il tono di "Acronimi" è dunque sarcastico e disincantato, come se l’autore stesse ridicolizzando la logica di certi movimenti politici, suggerendo che le promesse di grandezza sono solo illusioni vuote, tradotte in acronimi che non portano a nulla di sostanziale. L'uso di un linguaggio criptico ma efficace si inserisce in una tradizione di critica sociale e politica che gioca sulla distorsione del linguaggio, per sottolineare il vuoto e l’assurdità di certi ideali che si presentano come messaggi grandiosi, ma che alla fine rimangono prigionieri di una retorica che non ha altro scopo se non quello di intrappolare l'attenzione.
"L'Illuminato" di Piero Colonna Romano
Questa poesia si sviluppa come una sorta di racconto allegorico, in cui il viaggio verso la verità è rappresentato da una lunga odissea nel deserto, simbolo della durezza dell'esistenza umana. I protagonisti, Amal e il suo compagno, sono in cerca di verità, ma ciò che troveranno non è tanto una risposta esterna, quanto un'illuminazione interiore. L'uso di immagini poetiche come "candidi destrieri" (la mente e la fantasia), "la violenza del deserto" (la difficoltà della vita), e la città di Samarcanda (centro di scambi e mercanti, simbolo della confusione umana) accentuano l’idea che la ricerca della verità è un percorso arduo e complesso. Il saggio che incontrano alla fine non fornisce una verità concreta, ma indica che la risposta risiede nell'interiorità di ogni individuo, in un cuore onesto che custodisce la "luce" della verità. La poesia evoca un messaggio di speranza: la verità, infatti, non è qualcosa che si può trovare all'esterno, ma nasce dalla luce dell’amore che abita in ognuno di noi.
Simbolismo:
- Amal: la speranza
- Oxus: il fiume che scorre vicino a Samarcanda, simbolo del fluire della vita
- Wahid: l'ineguagliato, l’unico
- Deserto: il mondo e le difficoltà della vita
- Samarcanda: simbolo di confusione, di luoghi dove i mercanti (simbolo di inganno e falsità) operano
"Era il tempo" di Antonia Scaligine
Questa poesia esplora un senso di nostalgia e malinconia per un tempo passato che ora sembra irraggiungibile. Si avverte la percezione di un cambiamento, una perdita di speranza e una solitudine interiore che subentra in un mondo che non sembra più capace di offrire le stesse emozioni di un tempo. Le "chimere" che si intravedono tra le nubi rappresentano sogni e illusioni che ora non si realizzano più. L'immagine dell'uccello che frusta le nubi del cielo e che "ruba lo sguardo" evoca la ricerca di un senso di libertà e di fuga, ma al tempo stesso è un simbolo di impotenza e di stasi, poiché l'io poetico non riesce più a volare, ma si ferma a osservare il volo di un altro, senza potersi liberare. L'idea di uno specchio che non riflette l'immagine della persona ma quella che la cerca esprime un senso di smarrimento e di disconnessione da sé stessi.
"Stringimi forte" di Ciro Seccia
In questa poesia emerge un tema universale di amore perduto e di nostalgia per qualcosa di irrecuperabile. L’io poetico esprime un intenso desiderio di essere avvolto dall'amore, rappresentato come "luce nel deserto dell’oscurità" e "diamante di rugiada". Le immagini evocative della seta che avvolge il cuore e del diamante che si illumina ai primi raggi del mattino simboleggiano il desiderio di un amore puro e salvifico, ma anche la consapevolezza che questo amore è ormai parte del passato, "nell'orizzonte dei miei ricordi". La tensione tra il desiderio di non aver mai perso l’amore e la realtà che questo è stato "lasciato andare" suggerisce una riflessione sulla fugacità della gioventù e sull’impossibilità di trattenere ciò che è destinato a svanire.
"Autùn" di Roberto Soldà
È una poesia che riflette su temi di memoria, nostalgia e un legame profondo con la terra e le tradizioni. Il poeta esplora la stagione dell'autunno, che per lui non è solo un periodo di decadenza o di fine, ma una "seconda primavera", una stagione di rinascita simbolica, proprio come lo è la primavera per la natura. La poesia è intrisa di immagini rurali e di un forte senso di appartenenza alla terra, alla famiglia e alle radici.
L'autunno, pur essendo tradizionalmente visto come una stagione di declino, viene rappresentato come un' ''altra primavera'', un tempo di riflessione e di ripartenza. Il poeta, seppur consapevole che gli anni "pesano" sulla sua vita, riesce a vedere in questa stagione un'opportunità di rinnovamento e di connessione con ciò che è stato, ma anche con ciò che sarà.
Il poeta riflette su un tempo passato che è legato ai ricordi della sua infanzia e della vita rurale. L'immagine delle "finestre aperte" e dei "rumori della campagna" suggerisce un legame intimo con la natura e la quotidianità della vita contadina. Questi dettagli evocano una sensazione di pace e di radicamento, ma anche di nostalgia per un'epoca che non c'è più.
L'influenza dei genitori emerge come un punto centrale. Il "coraggio" dei genitori, pur nelle difficoltà, e la loro capacità di permettere al poeta di sognare con gli occhi "verdi" (cioè con speranza e vitalità) è un tema potente. Il sogno di "sognare a occhi aperti" suggerisce una crescita interiore, anche quando le circostanze della vita erano difficili.
Le immagini di galline, maiali, mucche ed oche creano un quadro vivido di una vita semplice, radicata nella terra e nel quotidiano. Questi elementi naturali diventano simboli di un mondo in cui ogni cosa ha un suo posto, in cui il tempo scorre lento ma sicuro, e in cui ogni sforzo è parte di un ciclo di vita più grande.
La poesia è scritta in dialetto, il che conferisce un'autenticità e una vicinanza alla tradizione popolare. L'uso di espressioni locali e di una lingua colloquiale rende il testo più personale e diretto, come se il poeta stesse parlando direttamente al lettore, raccontando una storia di vita semplice ma profonda.
L'alternanza tra il presente e il passato, tra il ricordo e la riflessione sul futuro, crea un ritmo meditativo che invita alla contemplazione. L'uso del dialetto in alcuni versi enfatizza il senso di radicamento e di intimità con la propria terra e famiglia, come se il poeta stesse raccontando una storia familiare che affonda le radici nella tradizione.
"Autùn" è una poesia che celebra il ciclo della vita e della natura, mostrando come la memoria e le radici possano offrire conforto e speranza, anche nei momenti di difficoltà. L'autunno, anziché simboleggiare solo la fine, diventa una stagione di riflessione, di rinnovamento interiore e di connessione profonda con ciò che è stato e con ciò che continua a vivere dentro di noi. La poesia invita a non vedere mai la vita come una fine, ma piuttosto come un ciclo che si rinnova continuamente, proprio come le stagioni della natura.
Con affetto e stima, ringraziandovi per il dono delle vostre poesie, vi saluto tutti cordialmente.
Vostro Ben Tartamo
Tra tutte le poesie che ho avuto il piacere di leggere, alcune spiccano per la loro forza emotiva, la profondità dei temi trattati e l'originalità nell'uso del linguaggio. Se dovessi individuare quelle che mi hanno colpito maggiormente e che potrebbero essere meritevoli di un riconoscimento o di un premio, selezionerei le seguenti:
Questa poesia mi ha colpito per la sua potenza evocativa e per la riflessione sul passare del tempo, sulla memoria e sul cambiamento. La fontana, simbolo di vita e di comunità, diventa metafora di un mondo che cambia, di un legame profondo con il passato che, purtroppo, non può più essere rivissuto. L’autore riesce a rendere la figura della fontana non solo un ricordo, ma anche un’icona della trasformazione, quasi a simboleggiare il passaggio da un’epoca a un’altra. La semplicità del linguaggio, insieme alla profondità del messaggio, rende il testo potente e ricco di significato. La poesia offre uno spunto di riflessione sulla solitudine e sul valore delle piccole cose quotidiane, celebrando la memoria senza cedere alla nostalgia fine a se stessa, ma con uno sguardo consapevole e sereno verso ciò che è stato perduto.
La bellezza di questa poesia risiede nell'abilità del poeta di mescolare i sensi, creando una sinestesia che unisce il suono, il colore e l'emozione in un'unica visione poetica. La pioggia che "rimbalza" sul tetto diventa un elemento centrale per evocare stati d'animo profondi, mentre il paesaggio onirico che emerge dai sogni, con la visione di un'isola sconosciuta e la ricerca di un "lido sicuro", suggerisce una riflessione esistenziale sul destino e sul desiderio di un rifugio, sia fisico che emotivo. La poesia non solo esplora la malinconia tipica dell'autunno, ma suggerisce anche una speranza, un anelito a un luogo dove trovare conforto. La struttura onirica e la capacità di far sentire il lettore immerso nel paesaggio emotivo rendono questa poesia una riflessione sulla ricerca di un senso oltre le apparenze.
Questa poesia è una riflessione straordinaria sulla ciclicità della vita e sul valore delle tradizioni e dei ricordi. Il poeta riesce a unire il paesaggio naturale con la dimensione del vissuto interiore, in un testo che, pur nella sua apparente semplicità, offre una visione profonda dell'anima umana. La contrapposizione tra il presente e il passato, e la riflessione sul coraggio dei genitori e sul legame con la terra, sono temi che rendono questo testo particolarmente ricco e toccante. La poesia celebra la bellezza del quotidiano, degli affetti familiari e delle tradizioni, ma al contempo suggerisce che la memoria non è solo un rifugio, ma una fonte di speranza e di continuità. La connessione tra l’autore e la natura, la percezione del cambiamento delle stagioni, rappresenta metaforicamente il cambiamento della vita e il cammino interiore che ci guida.
Questa poesia ha una delicatezza unica, ma anche una grande intensità emotiva. Il tema dell’attesa, del desiderio e della solitudine è esplorato con una semplicità che, però, raggiunge una grande profondità. La stella, simbolo di speranza e di amore, è al centro della poesia, evocata con immagini potenti che comunicano il desiderio di un amore che illumina. Il contrasto tra la ricerca di questa luce e la consapevolezza della solitudine dell’autore conferisce alla poesia una tensione emotiva che riesce a toccare il cuore del lettore. La "stella del cuore" diventa simbolo non solo di amore romantico, ma anche della ricerca di sé e del significato profondo della vita. Questa poesia è un delicato inno alla speranza, ma anche alla consapevolezza di come la ricerca dell’amore possa essere, a volte, una ricerca solitaria.
Questa poesia esplora il tema della ricerca interiore, della sofferenza e dell'attesa, il tutto immerso in un'atmosfera di solitudine che sembra essere un "purgatorio". La riflessione sulla solitudine come occasione di purificazione, sul pellegrinaggio interiore che porta a una comprensione più profonda di sé, è trattata con grande intensità. Il contrasto tra il "purgatorio" e l’idea di una purificazione che passa attraverso il dolore è forte e coinvolgente. Il linguaggio semplice e diretto si fonde con la profondità dei temi trattati, creando una poesia che non solo riflette sul dolore, ma invita anche a considerare la solitudine come una possibilità di crescita. La tensione tra il desiderio di redenzione e la realtà della sofferenza è espressa in modo potentemente evocativo.
È una poesia che colpisce per la sua intensità simbolica e il suo linguaggio immaginifico.
La poesia è costruita attorno a un insieme di immagini potenti che vanno dal cielo all'acqua, dalla natura alle stelle. Il tema della vela che scivola sull'azzurro del cielo suggerisce un movimento di ricerca, un viaggio sia fisico che metafisico, che va ben oltre la dimensione terrena. La "vela" diventa simbolo di libertà, di esplorazione e di un cammino spirituale.
Un altro elemento che emerge con forza è la contrapposizione tra l’infinito e l’umano. L’autore gioca con il concetto del tempo e dell’esistenza, mettendo in relazione l'elemento eterno con la vita quotidiana. L'immagine della danza delle nuvole, delle radici che ondeggiano e l'eco del canto di "Aquarius" contribuiscono a creare una dimensione onirica, che sfuma tra l'immaginazione e la realtà.
La poesia esplora anche temi universali come l’amore e la ricerca di senso. Il verso finale che descrive l'Amore come "chiave d'oro" suggerisce l’idea che l’amore sia la forza universale che svela i misteri dell’esistenza. La chiave non solo "apre le porte" dell’ignoto, ma cambia la percezione della realtà stessa, trasformandola in un sogno, in un "capolavoro". Questa riflessione sull’amore, come fonte di illuminazione e trasformazione, è resa con una grande eleganza linguistica.
La musicalità della poesia è altrettanto significativa. Il ritmo, la scelta dei suoni e la ripetizione delle immagini create dall’autore danno alla lettura un flusso armonioso, che rispecchia l’idea di un "ritmo eterno", nel quale si intrecciano il destino umano e il divino.
C’è una forte componente spirituale che pervade il testo. Le allusioni al divino, come "l’abbraccio che è il mondo sovrano", e il riferimento all’autunno, al profumo e agli incensi, fanno di questa poesia un atto di celebrazione dell’esistenza in tutte le sue sfumature. Non è solo un viaggio fisico, ma un cammino interiore che conduce a una comprensione più profonda della realtà e del nostro posto in essa.
La poesia di Ben Tartamo si distingue per la sua capacità di fondere immagini naturali con riflessioni filosofiche e spirituali, creando una narrazione che appare quasi come una meditazione sul viaggio dell’anima. Il suo linguaggio è ricco di metafore, suoni e simboli che danno al lettore un'esperienza sensoriale e profonda. La poesia merita di essere premiata per la sua bellezza, la sua capacità di emozionare e la profondità dei temi trattati.
Le poesie selezionate non solo sono emotivamente coinvolgenti, ma anche artisticamente rilevanti per l'uso raffinato della lingua, l'esplorazione dei temi universali e la capacità di evocare immagini forti e significative. Ognuna di queste poesie ha una propria caratteristica distintiva che le rende meritevoli di un premio: la riflessione sul tempo e sulla memoria, la sintesi tra il paesaggio e l'emozione, la celebrazione delle tradizioni e degli affetti familiari, il desiderio di luce e amore, e la ricerca interiore.
Se dovessi scegliere le possibili opere da premiare, queste sei rappresentano un equilibrio perfetto tra bellezza formale e profondità contenutistica, e offrono al lettore una ricca esperienza di riflessione e meditazione. Tuttavia, è importante ricordare che la poesia è un campo intrinsecamente soggettivo, e molte altre poesie potrebbero altrettanto meritare riconoscimenti per la loro bellezza e la loro potenza espressiva.
Vostro Marino Spadavecchia
10-11-12 Novembre
Analisi critica di "Tra le mie mani" di Ben Tartamo
La poesia “Tra le mie mani” di Ben Tartamo si configura come un'esplorazione sottile e profonda delle tensioni tra il visibile e l'invisibile, il tangibile e l'intangibile, attraverso il delicato rapporto tra l'individuo e il mistero. La struttura del componimento, insieme alla scelta delle immagini e dei simboli, si muove in un spazio che non è né puramente terreno né completamente trascendente, ma che abita un punto di contatto tra questi due mondi. La poesia, quindi, non si limita a rappresentare una riflessione sull'esistenza, ma invita il lettore a partecipare a una danza tra l’umano e il divino, tra il noto e l'ignoto, tra l’inizio e la fine, nel cuore stesso del mistero della vita.
La Nuvola e l'Infinito: Il Passaggio dalla Finitezza alla Sospensione
Il primo verso, "E tu, come una nuvola," ci introduce immediatamente in un movimento ascensionale, quasi estatico. La nuvola, simbolo di leggerezza e di transitorietà, non solo solca il cielo ma si dirige verso l'Infinito, una dimensione che sfida ogni tentativo di definizione. La nuvola è il punto di contatto tra il materiale e l'immateriale, tra l'umano e l'universale. Quando Tartamo scrive che "per noi, solo fiocchi di te," il poeta sembra alludere a una condizione di frustrazione: l’essenza di ciò che si cerca è troppo grande per essere compresa nella sua totalità, eppure la nostra condizione umana può solo aspirare a quei "fiocchi", frammenti sottili, appena visibili, che si disperdono in un cielo infinito di domande senza risposta.
L’uso della parola "briciola" per descrivere l’anima, che "svanisce coi nostri perché", evoca la fragilità dell'esistenza e la natura evanescente della nostra consapevolezza. Qui la domanda esistenziale ("perché?") non trova risposte definitive, ma svanisce nel non-sapere, in quel silenzioso spazio dove la verità si dissolve e lascia dietro di sé solo l'eco del mistero. La briciola rappresenta non solo la parte più piccola e insignificante dell’essere, ma anche ciò che può essere sfiorato senza essere mai veramente afferrato.
L’Ombra Lieve e il Mistero del Respiro: La Sospensione tra Luce e Oscurità
Nel secondo movimento della poesia, il poeta introduce il concetto di "attimo di luce", ma in modo paradossale, non come una rivelazione pura, ma come il momento in cui, accanto alla luce, si proietta un'ombra. L'ombra che "resta lieve lieve" è una metafora affascinante della condizione umana: pur nell'apparente chiarezza dell'esistenza, permane un’oscurità che non può essere dissipata. Questa ombra non è una semplice assenza di luce, ma una presenza sottile, che ci "parla in un sospiro", un sussurro che va oltre il linguaggio razionale, una comunicazione che non si può comprendere ma solo intuire.
L’ombra lieve è, quindi, il simbolo del mistero che permea ogni cosa: un "respiro" che il cuore, pur cercando di "bere", non può mai totalmente possedere. In questo passaggio, il respiro diventa l’elemento che collega il visibile all'invisibile, un atto di vita che non può essere compreso in termini puramente fisici, ma che è necessario per ogni forma di esistenza, spirituale o materiale. Il cuore che "beve del mistero" non si limita ad assorbire una verità, ma si imbeve della consapevolezza che la verità, in sé, è sempre inafferrabile.
La Danza delle Nuvole: La Trasformazione dell’Essere
La conclusione del componimento segna un momento di progressiva liberazione. Quando il poeta scrive “Ora un po’ so dove vanno / le mie nuvole a danzare,” si intravede un mutamento di prospettiva. La nuvola, che all'inizio era emblema di una ricerca senza fine, ora sembra acquisire una direzione, un senso. Non più solo una metafora della fugacità, ma un simbolo di un viaggio che non si conclude mai, ma si trasforma, si evolve. La consapevolezza del "dove vanno" non significa possedere la destinazione, ma comprendere che, come la nuvola, l’essere umano è in continuo divenire.
Il verso successivo, “e sognando in un domani, / proverò, ma senza affanno,” esprime una resa serena al mistero della vita. Non si tratta più di una lotta per comprendere, ma di una quieta partecipazione al flusso dell'esistenza. La "nuvola a volare" è il simbolo di una condizione di libertà che si ottiene non attraverso il controllo, ma attraverso l’abbandono a un destino che si accetta senza opporsi. È un movimento che riconosce la propria finitezza, ma che accoglie anche l’infinità che sta al di là di essa.
L'immagine finale delle "ali, tra le mie mani", è di una potenza straordinaria. Le mani, simbolo di contatto fisico e concreto, accolgono l'immaterialità delle ali, simbolo di libertà e trascendenza. Non sono ali da possedere, ma da vivere: il poeta non trattiene, ma accompagna l’altro, partecipando al volo senza mai separarsi dalla sua condizione umana.
Conclusione: La Povertà dell’Essere e la Ricchezza del Mistero
In “Tra le mie mani”, Ben Tartamo costruisce una poesia che, pur ancorata alla realtà terrena, non cessa di sollecitare l’elemento spirituale e il desiderio di oltrepassare i confini dell’esperienza quotidiana. La nuvola, il fiocco, l’ombra, il respiro e le ali: sono tutti simboli che non offrono certezze, ma invitano al cammino, a una continua e instancabile ricerca di significato che abita nella bellezza del mistero stesso.
La poesia di Tartamo si distingue per la sua capacità di muoversi tra il visibile e l'invisibile, tra il tangibile e l’eterno. Ogni verso, ogni immagine, ci restituisce l’essenza di un’esperienza che non si può racchiudere in parole, ma che si lascia soltanto intuire, accarezzare, vivere. In questa tensione tra luce e ombra, tra presenza e assenza, il poeta ci invita non a cercare risposte definitive, ma a vivere la domanda, accogliendo la bellezza del non-sapere, dove il cuore si apre al mistero con la serenità di chi ha smesso di combattere contro l’ineffabile.
Questa mia personale lettura, al di là dell'amicizia che mi lega a Benedetto, cerca di esprimere, a mio modesto parere, la poesia di Tartamo come un invito a esplorare la condizione umana nella sua fragilità e nella sua connessione con l'infinito, senza mai perdere il senso di mistero che la pervade. La poesia si fa strumento di meditazione sull’esistenza, lasciando al lettore la libertà di trovarvi la propria verità.
prof. Marino Spadavecchia
''L’albero sradicato'' (Guglielmo Aprile)
Sezione VI
In questa sezione, l’autore invoca una fuga radicale, ma una fuga che non si limita a un semplice abbandono del mondo, bensì una metamorfosi: l'autore chiede di essere "aggrappato" alle nubi e di "veleggiare gli spazi". L'immagine delle nubi piumate porta l'idea di un viaggio quasi celestiale, dove il corpo umano diventa veicolo di un'energia superiore. La sua richiesta di essere disperso "dove fa il nido l’airone" suggerisce un desiderio di fusione con la natura, una simbiosi con l’elemento naturale che va oltre l’umano. C'è una tensione tra il desiderio di evasione e la consapevolezza che tale evasione implica la dissoluzione dell’identità umana in qualcosa di più grande. La "mussola delle ali" e la "flotta" sono simboli di libertà totale e universale, ma anche di solitudine, poiché scomparire in questi spazi non prevede ritorno.
Sezione VII
Nel settimo passo, il "pellegrino dell’orizzonte" sembra un viandante esistenziale, in un continuo cammino verso una meta che non si conosce, ma che è sempre inseguita. I riferimenti agli alberi e alla natura, che qui sono elementi che non solo decorano il paesaggio ma sono i "doni" stessi che la terra offre al viandante, suggeriscono un ritorno al primordiale, un contatto viscerale con la terra. L’“orizzonte che fissa il suo carcere” diventa simbolo della limitazione intrinseca della condizione umana: l’uomo è costretto a cercare la verità, ma la sua ricerca è sempre condizionata da un confine che non può superare senza perdere se stesso. La figura del volto calmo che si svela tra i campi evoca un senso di interconnessione con la natura che trascende il semplice sguardo umano; è un mistero che si svela, ma non si comunica, che lascia "esitare" l'idea di un senso più grande. Il viaggio non ha scopo se non quello di perdersi, pur cercando. Qui, il paesaggio diventa non solo una cornice, ma un attore che partecipa al dramma dell’esistenza. La "febbre" dei passi, che è anche febbre del pensiero, ci riporta al conflitto esistenziale tra il desiderio di fuga e l’impossibilità di comprendere il destino.
''aujourd'hui j'expulse une huile d'orange'' (Maude Veilleux)
In questa poesia, Veilleux gioca con l’ironia del linguaggio e l’intreccio tra la sfera fisica e quella metafisica, in un impianto di riflessione contemporanea che scardina il pensiero naturalista ottocentesco. L’immagine dell’"olio arancione" che viene "espulso" è disturbante, quasi chirurgica. Si parla di "un complotto organico contro me stessa", suggerendo una sorta di auto-alienazione, una guerra interna. Il corpo non è più un ente naturale, ma una macchina costantemente in conflitto, minacciata da forze invisibili e non controllabili.
L’autrice irride il romanticismo di un certo naturalismo ottocentesco in cui la donna e la natura si fondono come oggetti da contemplare, ma lei, al contrario, vuole essere il soggetto attivo, colui che "possiede tutti gli organi per essere un soggetto". Non è più la musa passiva, ma l'agente del proprio destino. La visione del "drone" che bombarda la "foresta interiore" introduce una critica al controllo e alla distruzione della natura, sia esterna che interna. È una visione disincantata, che riflette un senso di crisi, un doppio conflitto: quello con il corpo e quello con un mondo che riduce tutto a una merce da sfruttare. La poesia è un manifesto di sconnessione tra il sé e la natura, ma anche una rivendicazione di autonomia rispetto agli schemi predefiniti della contemplazione passiva.
''Sussulta l’astrofisica'' (Giuseppe Stracuzzi)
Stracuzzi ci regala un’opera in cui la scienza e la spiritualità si incontrano in un abbraccio inquietante. Il titolo stesso, "Sussulta l’astrofisica", suggerisce un momento di perturbazione dell’ordine razionale, una rottura nelle certezze del pensiero scientifico. La "mente povera" che "sprofonda" nei vicoli del mistero è una metafora della condizione umana, sempre alla ricerca di risposte, ma condannata a non trovarle mai in modo definitivo. La "luce vera" che si cerca rimane un ideale inarrivabile, che sollecita continuamente l’anima senza mai concederle un appiglio concreto.
Il passaggio dal "bene e male" che reggono "l’equilibrio" nel pensiero riflette la precarietà dell’essere umano, diviso tra istinti e razionalità, in un continuo bilanciamento tra forze opposte. L’immagine della pioggia e del sole che "straripano" insieme suggerisce un movimento di opposti che, pur nell’apparente disordine, creano una dinamica di energia costante. Ma, alla fine, tutto sembra destinato a "rompere gli argini del cuore". Il cuore, simbolo della parte più intima dell’essere umano, è destinato a cedere di fronte alla complessità del mondo e alla sua infinita lacerazione.
La poesia è pervasa da un senso di "nequizia" – di ingiustizia, di disarmonia – che sembra corrodere la speranza di un equilibrio duraturo. Il "cielo sereno della pace" è solo un miraggio, un'illusione che la mente cerca di rincorrere senza mai afferrarla. La religiosità che emerge in questo testo non è consolatoria, ma drammaticamente umana: la fede, forse, è l’unica risposta alla disperazione della ricerca, ma anche essa resta un atto di coraggio più che di certezza.
"Mi è troppo cara la libertà" (Cristiano Berni)
La poesia di Cristiano Berni si apre con una dichiarazione di intenzione vibrante: la libertà è troppo cara, troppo preziosa per essere sacrificata a qualsiasi condizione che ridurrebbe l'autonomia dell’individuo. La ripetizione del “no!” inizia a costruire una sorta di mantra che marca il rifiuto netto di tutte le costrizioni sociali e personali. Il "mi è troppo cara la libertà" diventa un grido di indipendenza esistenziale, un'esigenza primordiale che si scontra contro le imposizioni della vita quotidiana.
Le immagini che seguono sono un inno alla purezza del desiderio di libertà: "care e dolci muse", "chimere confuse", "calme e nitide solitudini", "voli spiccati pindarici" – tutte sono figure di un'esistenza sognata, lontana dalla realtà, dove l'individuo può elevarsi, perdersi nel sogno e nell’immaginazione. L'autore si sente "ebbro di voluttà", come se la libertà fosse un'ebrezza, una droga che trascende la semplice esperienza fisica. La poesia è intrisa di un senso di rifiuto della realtà terrena, eppure, nella sua continua ricerca del sogno, l'autore non rinuncia mai all’idea di un risveglio, di un continuo "visto di un sogno l'aurora". C’è un'aspirazione a un’esistenza che si ritrova nel sogno più che nella realtà, nella libertà assoluta che è vista come un bene prezioso, al di sopra di qualsiasi altro desiderio.
"La trazzera" (Enrico Tartagni)
La "trazzera" in questa poesia diventa metafora di un cammino che sembra destinato a un incontro inevitabile con il caos, l'ordine spezzato e l'assenza di una via d'uscita chiara. Le prime parole – "Sulla trazzera qualcosa che non va c'è" – introducono immediatamente un senso di dissonanza, come se la realtà fosse fuori posto, non corrispondente a ciò che ci si aspetterebbe. La “trazzera” stessa, una strada campestre e impervia, diventa un simbolo di un percorso tortuoso, confuso e perduto.
Nel corso del poema, c'è una crescente critica alla società, che viene dipinta come una macchina che divide, inganna e manipola. La "polizia" che cerca chi cerca la libertà è un potente simbolo di autorità che reprime il desiderio di un'individualità libera. La rabbia che "imperò" nei "tuoi occhi" è la tensione di chi è oppresso dal sistema, ma la frustrazione sembra destinata a sfociare in una forma di impotenza. La ripetizione della disillusione ("tutto passa") e la descrizione di una società di "furbizia maligna" e "inganni a frutto" portano l’autore a una riflessione sull’incapacità di sfuggire alla rete di potere che, in modo invisibile, avvolge ogni aspetto della vita.
Il finale, con l’immagine del "fantoccio" che inciampa, è tragico, ma anche grottesco, e segnala la distanza fra le aspirazioni individuali e la realtà sociale che sembra sempre pronta a schiacciare ogni forma di resistenza. La poesia, dunque, esplora il tema della libertà come una chimera irraggiungibile, un concetto che si scontra continuamente con le forze più grandi che governano la società.
"Deriva e Declino (la luce falsa)" (Armando Bettozzi)
Bettozzi esplora la tematica del declino e della deriva sociale, in un contesto che mescola la critica politica con una riflessione più amara sul destino umano. Il "senso della deriva" è legato alla perdita di direzione, alla distorsione dei valori sotto l'influenza di poteri occulti, dove l'ideologia e l’economia giocano il ruolo di manipolatori. Il poema è intriso di disillusione, come se l'autore vedesse il corso degli eventi come irreversibile, senza speranza di correzione.
La "luce falsa" che intorbida il destino è una metafora potente del presente distorto, dove ciò che appare come illuminazione è in realtà oscurità, inganno. La critica al potere è esplicita: il politico, ideologico e l’economico sono tutte forze che dominano, alterano la verità e spingono verso il declino, verso una realtà dove i "veri" principi sono sovvertiti e "inventati" al posto di quelli autentici. La "matematica" che insegna che "invertir Verità con 'inventato'" porta alla distruzione è una riflessione sulla necessità di mantenere la fedeltà alla verità, altrimenti si cede alla corruzione e alla decadenza.
L’autore sembra quasi arrendersi, consapevole che l’equilibrio tra verità e inganno è già stato infranto. L'azione "più indegna" di invertire la verità con il falso segna il punto di non ritorno, ma allo stesso tempo, il poema richiama alla consapevolezza della necessità di restare ancorati a una visione onesta, pur nell'incessante lotta contro le forze di controllo e manipolazione.
"Attimo" (Maria Toriaco)
Maria Toriaco ci regala una poesia che esplora la fugacità del momento, il mistero dell’alba e la sua capacità di risvegliare emozioni profonde. L'incipit è intriso di un’atmosfera sospesa, quasi magica, dove l’osservazione dei colori del cielo, ricca di sfumature, diventa il veicolo per un’esperienza estatica: un sogno senza fine che invade i sensi. La parola "pace" risuona come un rifugio, mentre il "silenzio" si fa simbolo di una serenità che non è solo fisica, ma anche interiore, quasi una sospensione dal mondo.
Il passaggio dal "sorriso" che si fa quasi spontaneo alla "voce che accarezza il cuore" crea una scena di intimità e bellezza, in cui l’autrice sembra vivere un momento di compiutezza, dove tutto è in armonia. Il vento che soffia leggero è una metafora di delicatezza e fluidità, che sfiora la scena senza alterarla, come a ribadire che la bellezza si nasconde negli attimi più fugaci.
Il finale, dove si torna a osservare l'immensità del cielo, conferma la tensione tra il desiderio di un attimo perfetto e la consapevolezza della sua evanescenza. L’infinità del cielo contrasta con l’effimero di un’esperienza che, pur essendo intensa, è destinata a sfuggire appena raggiunta. La poesia cattura proprio questo paradosso: l'attimo che sfugge ma che lascia, nell’impossibilità di afferrarlo, un senso di profondità e di pienezza.
"Sogno…" (Franco Fronzoli)
La poesia di Franco Fronzoli si presenta come una riflessione sul sogno, che diventa una costante, un fiume sotterraneo che attraversa la realtà e la fantasia. Il sogno non è qualcosa di fuggevole come in Toriaco, ma un’entità persistente, "ostinata", "irriducibile", che resiste al tempo e si insinua tra i ricordi, gli "attimi vissuti" e la percezione del mondo.
Il linguaggio di Fronzoli è volutamente frammentato, come se il sogno stesso fosse un mosaico di immagini e sensazioni che non si possono definire in modo netto. I riferimenti al pittore Monet e al mare, con le sue "onde azzurre", sembrano evocare una qualità quasi impressionista della percezione, un'impressione visiva che scivola tra il concreto e l'intangibile, il vivido e l'evanescente.
Il sogno è descritto come una memoria di "un tempo passato" che si fa presente nei "passi del tempo", un ciclo senza fine di "albe" e "tramonti", che appaiono come immagini ricorrenti nella mente del poeta. La fiammella di vita che accende gli occhi è simbolo di vitalità, ma è anche fragile, bagnata da "gocce di pioggia", come se il sogno fosse sempre in bilico tra la realtà e l’oblio, tra il desiderio di eternità e l’impossibilità di trattenere l’effimero.
Alla fine, Fronzoli riconosce che il sogno è "solo un sogno", come se, pur attraverso tutte le sue sfumature e i suoi intrecci, restasse sempre qualcosa di inafferrabile, di irrealizzabile. Questo "sogno solo" è l’ammissione di un’esperienza che, pur nell’apparente concretezza, rimane perennemente sospesa tra il desiderio di significato e l’assoluta indeterminatezza.
"Le mie notti" (Felice Serino)
Felice Serino si immerge in una dimensione onirica, ma con un tono quasi dissacrante, che gioca con il concetto di "notti" come spazio di disorientamento e di straniamento. I "nonsense dei dormiveglia" suggeriscono un'alternanza tra il sonno e la veglia, un momento di non-consapevolezza in cui la mente si perde, tra pensieri vaghi e immagini incerte. Il conteggio delle pecore diventa un atto futile e distante, che non ha più il potere di portare alla tranquillità del sonno, così come l’andare "al frigo" sembra un gesto che non ha più attrattiva, forse a causa della disconnessione emotiva e mentale che l’autore prova.
Le "lettere amorfe" e gli "asimmetrici voli" sembrano rimandare a un mondo interiore in preda al caos, dove la mente si scompone e la logica si frantuma. Questi voli che "si spaccano alla volta del cuore" suggeriscono una ricerca disperata di senso o di comunicazione, ma al contempo una frustrazione nell'impossibilità di raggiungere un significato chiaro.
La poesia è pervasa da un senso di alienazione, come se l’autore fosse intrappolato in un ciclo di pensieri frammentati, senza un centro di gravità. La ripetizione di immagini distorte e il tono di una quotidianità disincantata (come il gesto del frigo) suggeriscono una riflessione sul distacco tra la realtà e il desiderio, tra la parte razionale e quella irrazionale dell’esistenza.
"Essenza di Vita" (Laura Lapietra)
Laura Lapietra esplora la condizione umana con una liricità che gioca tra il sofferto e l’illuminato, un viaggio nell’anima che si fa "trama di intrecciati fati" dove la vita si svela in tutta la sua complessità e contraddizione. La poetessa dipinge un mondo in cui ogni momento, ogni emozione, ogni sofferenza si intrecciano come fili di una tela, destinata a formare una trama che è insieme drammatica e affascinante.
Le immagini sono fortemente visive: il "celato drappo dell'essere incostante", i "vortici di penombre e chiarori", i "calici dolci e amari" ci parlano di una realtà che sfugge alla comprensione razionale, come un sogno che si fa continuamente mutante. C’è una tensione tra la luce e l’ombra, tra la bellezza e il dolore, che conferisce alla poesia un carattere epico, ma anche una vulnerabilità intrinseca.
La "danza" di affetti e aspirazioni che descrive sembra essere una lotta tra il desiderio di redenzione e l’amara consapevolezza della nostra fragilità. La presenza della sofferenza è costante, ma non totale: essa si nasconde, si "sopprime", eppure emerge nei momenti più inattesi, nelle "visioni frantumate", in quelle "serafini dalle ali distorte", immagini di purezza corrotte dalla stessa imperfezione umana.
L’immagine del "dedalo di ardue scelte" ci parla della confusione e dell’incertezza che costellano il nostro cammino. Eppure, c'è una speranza che non muore mai, una resistenza che si rivela nei "versi labirintici" e nelle "parole di perseveranza". Questa "essenza di vita" è un continuo fluire, una realtà in divenire che si manifesta in tutte le sue contraddizioni. La poesia di Lapietra ci invita ad abbracciare l’inquietudine come parte integrante della nostra esperienza, ma anche a trovare una bellezza profonda nel caos che la vita è chiamata a rappresentare.
"La rondine smarrita" (Salvatore Armando Santoro)
Il sonetto di Santoro è un canto di ricerca e di speranza, un'affermazione dolorosa dell'amore che si è perduto e la volontà di ritrovare quel calore che era una volta la casa del cuore. Il tono meditativo e solenne si unisce al dolore di chi ha visto l’affetto svanire, ma non si arrende. La rondine smarrita, simbolo di un ritorno impossibile, diventa l’emblema di un amore che non si è mai dimenticato e che continua a vivere nel cuore del poeta, come un ricordo che non vuole svanire.
Il linguaggio del sonetto è ricco di eleganza e malinconia, con un tocco di passione che si manifesta nel desiderio di riaprire la "porta del perdono", quasi a implorare una seconda possibilità. La figura della rondine, tradizionalmente legata al ritorno e alla ciclicità, appare qui come un simbolo di ciò che è perduto e che potrebbe, forse, essere ritrovato. La dolcezza dell’amore passato e l’ardore di un calore che si spera ancora di ritrovare si fondono in un’immagine struggente, quella della "rondine tornata sotto il tetto". Santoro ci mostra come, nonostante il tempo e la distanza, il cuore possa ancora "proclamare" il desiderio di riconciliazione.
L’introspezione del poeta è
centrata su un tema universale: l’amore che trascende il tempo e la delusione,
e il bisogno umano di un ritorno alla purezza dell’affetto. Il sonetto, pur
nella sua eleganza formale, non rinuncia a una certa nostalgia, come se il
passato avesse ancora il potere di illuminare il cammino del presente.
"El sac" (Traduzione di "Il sacco") (Da Il peso dell'anima)
Con "El sac", siamo di fronte a una poesia che gioca con la lingua e la forma, un linguaggio dialettale che dona alla poesia una dimensione di intimità e autenticità. L’immagine del "sacco" è un simbolo potente di accumulo, di ricerca, ma anche di vuoto e di insoddisfazione. Il poeta si ritrova, nel mondo simbolico del "sacco", come un bambino che, nonostante l’esperienza e il tempo, continua a sperare di raccogliere qualcosa di significativo, ma si trova invece immerso nell’oscurità, nella confusione.
Il "sacco" è un contenitore vuoto, ma anche un oggetto carico di significato: potrebbe simboleggiare il cuore umano, che si riempie e si svuota continuamente, cercando qualcosa che non riesce mai a trovare. Il poeta sembra essere intrappolato in una condizione di incompiutezza, in cui nulla sembra essere veramente raggiungibile. Eppure, c'è una certa nostalgia per il passato ("quando ero bambino"), come se il poeta avesse perso la capacità di vedere il mondo con gli occhi della curiosità e dell’innocenza.
La ripetizione delle immagini di "sacco" e "vuoto" richiama una riflessione esistenziale: forse l’animo del poeta, come il sacco, è "senza fondo". Non è solo una ricerca esterna, ma un viaggio verso l’interno, verso una consapevolezza che non arriva mai a completarsi. La luce dell’alba, che fa "diventare tutto più chiaro", è solo momentanea, una promessa di verità che sfuma nel buio della riflessione.
L'uso del dialetto, con la sua musicalità e immediatezza, arricchisce la poesia di una sensazione di prossimità, di autenticità, come se il poeta stesse parlando direttamente al lettore, svelando senza veli le sue incertezze e le sue inquietudini. La sensazione che ne emerge è quella di un’anima che, pur cercando un senso e una compiutezza, è costantemente di fronte all’insondabilità dell’esistenza.
"Lucertole in autunno" (Alessio Romanini)
Alessio Romanini cattura un attimo di osservazione naturale che si fonde con una riflessione intima ed esistenziale, una quiete autunnale che si fa veicolo di nostalgia e di consapevolezza. L’immagine delle lucertole, che si "inebriano degli ultimi tepenti raggi solari" prima di rifugiarsi nel buio invernale, diventa metafora della nostra condizione effimera: un attimo di luce, di calore, che cede il passo al freddo dell'incertezza e della solitudine.
Il poeta, come uno spettatore che passeggia lentamente, si lascia cullare da questa metamorfosi stagionale. Il cielo "cilestrino" (un azzurro pallido che non promette nulla di più di sé) è il palcoscenico su cui si svolge il suo sogno, un sogno che però è intriso di nostalgia. La bellezza dell’autunno non è solo estetica, ma una dolce consolazione per il "penare" dell'animo, per il dolore che si porta dietro.
Il passaggio da "La vita è amare!" a "La vita è amara!" segna un'oscillazione tra il desiderio di amare e la consapevolezza che l'amore può essere un fardello difficile da portare. È un’amara verità che ci viene sussurrata dall’autunno, la stagione del bilancio, della riflessione sulle stagioni che passano e su ciò che resta di noi. Qui, l’autunno non è solo una stagione naturale, ma una stagione dell’anima, che consola ma anche fa emergere il dolore esistenziale, facendoci comprendere la fugacità di tutto, la transitorietà di ogni piacere.
Romanini gioca su questa ambivalenza, creando una poesia che, pur immersa nella bellezza della natura, si fa riflessione sul tempo, sulle perdite e sulla malinconia.
"Ebbene si!" (Sandra Greggio)
Sandra Greggio disegna in pochi versi l’immagine di un'attesa che è al contempo desiderio e frustrazione. La ripetizione di "ti sto aspettando ancora" non è solo un enunciato, ma un moto perpetuo di un cuore che non smette di sperare, nemmeno quando la sera cede il passo alla notte e la luce sfuma nell'ombra. È il desiderio che si fa carne, che non può essere fermato dalla banalità del quotidiano. La "campana della sera" che "invita ognuno a una preghiera" suggerisce una dimensione di sacralità, di rassegnazione al ritmo del mondo, ma la protagonista non è pronta a lasciar andare il sogno: il suo cuore è in fuga, "rifugiato tra le braccia" di chi ancora non è arrivato.
Questa solitudine d’attesa, tuttavia, è anche un momento di purificazione, in cui l’immaginazione e il sentimento si intrecciano. La figura del "divano" su cui è seduta la speaker, che finge di leggere ma lascia che la mente voli lontano, suggerisce l’immobilità fisica ma l’incessante movimento interiore. C’è qualcosa di magico nel frullio del cuore, nel modo in cui il desiderio, pur non soddisfatto, riesce a incendiare l'animo e lo spinge verso un'inquietudine che è pura vita. La poesia di Greggio è un sussulto di passione che trasforma il quotidiano in uno spazio di attesa infinita, di sospensione fra la realtà e il sogno, dove l’anima si fa "vicina, vicina" all’amore che spera di raggiungere.
"Stalattiti sull’alba" (Jacqueline Miu)
Jacqueline Miu intreccia il desiderio con una visione quasi mistica e cosmica dell’esperienza umana. Il desio, qui, non è più solo un sentimento, ma un "terremoto" che scuote l'anima, un "lavico mostro" che distrugge ma nello stesso tempo plasma, come un artista che modella la materia. La poesia è attraversata da immagini potenti e contrastanti: le "stalattiti fragili" che pendono dall’alba (immagine di fragilità e durata allo stesso tempo), l'"oceano" da cui emerge il cuore, la "scialuppa di sogni" che rappresenta un tentativo di salvezza e di rifugio.
Miu parla di un amore che è sia distruzione che creazione, una forza primordiale che consuma ma che nello stesso tempo dà vita a nuove possibilità. Il desiderio è descritto come una forza scatenata che "acclama gli spazi", spalanca le dimensioni dell'esistenza, eppure è anche una "bolla d’aria" che si perde, incapace di raggiungere il suo pieno compimento. Questo contrasto tra la forza bruciante del desiderio e la sua intima fragilità conferisce alla poesia una tensione che si traduce in un’esperienza lirica molto intensa, capace di rendere la lotta tra l’aspirazione e la realizzazione come una continua emergenza dall'oscurità.
L’immagine del desio come "lavico mostro" sottolinea la natura distruttiva del desiderio, ma anche la sua capacità di plasmare e di dar forma a ciò che non esiste ancora. Un tema che si sviluppa come un continuo rinnovamento, un desiderio che "erige" una "fiamma" dell’amore, che diventa la luce nel caos, ma anche la fiamma che brucia tutto intorno. La poesia di Miu è un viaggio attraverso il fuoco e il mare, un duello tra la bellezza e il dolore, l'incertezza e la passione.
"Curriculum mortis: Una Vita in Versi" (Carlo Chionne)
Carlo Chionne, nel suo Curriculum mortis, traccia con una scrittura epica e riflessiva una biografia che si intreccia con gli eventi storici cruciali della Seconda Guerra Mondiale e dell'Italia post-bellica. Il poeta non si limita a raccontare un'esistenza individuale, ma inserisce la propria vita in un contesto collettivo, dove la Storia si fa protagonista tanto quanto l’individuo.
Il primo verso, “Vissi sub fascio, ancor che fosse tardi”, ci trasporta direttamente nell’Italia fascista, un periodo che segna un destino già tracciato e che vede la nascita del poeta avvenire nel crocevia della fine di un'epoca: la fine del fascismo e l'inizio di un nuovo ordine. L'ironia, pur nella drammaticità del contesto, emerge nelle espressioni che descrivono un contrasto tra “libertà” e “democrazia” come una visione ormai lontana, mentre l'epoca della “Repubblica Sociale” viene smascherata come una forma di oppressione totalitaria, una “agonia” di un popolo tradito da un'ideologia “prigioniera”.
Il poeta celebra la “lotta partigiana” e il risveglio di un popolo che, pur tra le sofferenze e il sacrificio, si rialza e fa giustizia. Il passaggio dall'oscurità alla luce, rappresentato dal “grido di morte al boia”, è simbolo di una liberazione che non è solo politica, ma anche esistenziale: l'inizio di una nuova vita, di una nuova coscienza.
In questa prima parte del poema, il racconto non si limita alla storia politica, ma si fa anche introspezione, interrogando i concetti di libertà, riscatto e la necessità di dar voce alle generazioni che hanno vissuto, e che continuano a vivere, le cicatrici della guerra. Chionne, con una scrittura che mescola la cronaca con la poesia, traccia una testimonianza che ha una forza universale, capace di parlare a chiunque sia stato testimone di un cambiamento radicale nelle proprie terre e nella propria vita.
"Sincretismi" (Piero Colonna Romano)
La poesia *Sincretismi* di Piero Colonna Romano offre una riflessione acuta, ironica e storicizzata sulla difficile, talvolta paradossale, interazione tra il pensiero filosofico pagano e la teologia cristiana nei primi secoli del Cristianesimo. Con tono giocoso e provocatorio, Romano esplora il processo di "adaptatio" (adattamento) che la Chiesa primitiva ha intrapreso per integrare le idee dei grandi filosofi pagani, come Platone e Aristotele, nel tentativo di spiegare la Verità cristiana. Questo processo non è mai privo di contraddizioni, e l’autore lo descrive con l’ironia di chi osserva l’impresa come un tentativo non sempre riuscito, dove l’alto pensiero filosofico sembra essere ridotto a un complicato gioco di compromessi.
L’esempio di Agostino, Cassiodoro, Boezio, Gregorio Magno e Tommaso d’Aquino, che cercarono di armonizzare la filosofia con la rivelazione cristiana, viene esemplificato in maniera quasi comica. Romano suggerisce che, seppur profondi pensatori, questi uomini si trovarono di fronte alla difficoltà di conciliare concetti pagani e cristiani, e per questo i risultati sono talvolta ambigui o paradossali. L’espressione “Salvarono capra, con cavoli pure” diventa così emblematica di un'operazione che cercava di coniugare il meglio dei due mondi, ma che rischiava di tradire l'autenticità della fede cristiana. Romano accusa il pensiero cristiano primitivo di aver "salvato" i filosofi pagani, ma con l'inganno di farli diventare delle figure "della Chiesa", riducendo il messaggio cristiano a una sorta di compromesso filosofico.
La visione proposta da Romano, pur stimolante dal punto di vista storico e filosofico, non può evitare una fondamentale obiezione, soprattutto da un punto di vista spirituale e cristiano. La verità cristiana, infatti, non è semplicemente una "sintesi" di pensieri umani, ma la rivelazione divina che si è concretizzata nella Persona di Gesù Cristo. L’atteggiamento di adattamento delle tradizioni pagane alla teologia cristiana, sebbene comprensibile dal punto di vista storico e apologetico, rischia di ridurre la unicità della rivelazione cristiana a un "combinato disposto" di elementi religiosi e filosofici preesistenti.
Dal punto di vista della fede, la rivelazione cristiana non è un “miglioramento” del pensiero umano, ma una trasformazione radicale della coscienza umana. Il cristianesimo non si limita ad adattare concetti precedenti, ma porta un messaggio nuovo e rivoluzionario che non può essere confuso con il pensiero umano delle antiche civiltà, anche se quest'ultimo può contenere verità parziali. In altre parole, il cristianesimo non "contiene" la filosofia, ma la trascende e la rinnova. La Verità cristiana è rivelata, e non è il frutto di un compromesso tra filosofie. Dio non è solo "il miglior pensiero umano", ma il Dio che si è fatto carne per redimere il mondo.
La visione cristiana della verità, pur accogliendo e rispettando la saggezza di filosofi e pensatori precedenti, rifiuta l’idea di un sincretismo che confonde la luce della rivelazione divina con la luce di razionalità umane non illuminate da quella stessa rivelazione. La Verità cristiana non è una verità da "approvare" o "adattare" a pensieri umani, ma una Verità che viene dall’alto, che è all’origine di ogni pensiero e che può essere accolta solo attraverso la fede in Cristo, che è la Verità stessa.
Quindi, sebbene l’ironia di Romano colga la difficoltà storica e teologica dell'integrazione della filosofia pagana nel cristianesimo, l’obiezione fondamentale rimane: la vera fede cristiana non è un punto d'incontro tra verità religiose, ma l’incontro di Dio con l’uomo in Gesù Cristo, che non si adatta, ma trasforma ogni pensiero umano. La fede cristiana non è un “compromesso filosofico”, ma una nuova creazione.
In sintesi, Sincretismi offre un’interessante lettura storica della difficoltà di conciliare la fede cristiana con il pensiero pagano, ma l’obiezione spirituale è che il cristianesimo, nel suo nucleo, non ha bisogno di tali compromessi: la rivelazione cristiana è pura e assoluta, non un'aggiunta o una sintesi di antiche filosofie.
Con affetto e stima
vostro Ben Tartamo
7-8-9 Novembre
"In un angolo di cuore" di Salvatore Armando Santoro
Questo sonetto ci svela una dimensione intimistica che si offre allo spettatore come un angolo di riflessione. La poesia si costruisce attorno a un cuore che contiene in sé un "nido" di conforto, un angolo di protezione dove l'amore, pur non più presente nella sua pienezza fisica, persiste in una forma altrettanto potente, ma ormai trascurata dalla quotidianità. L’autore si addentra nei meandri di un sentimento che, seppur affievolito, non smette di agire su chi lo custodisce, pur lasciando che il fiume del tempo porti via le pene.
Il verso "le pene tutte porterà via il fiume" suggerisce la purificazione, l’acqua come simbolo di lavaggio emotivo, ma nello stesso tempo non rinuncia a trattenere l’essenza del passato, simbolizzata dall’odore della pelle amata, che non si dimentica. L’immagine del "nido" è centrale: un rifugio, un riparo, ma anche un’idea di protezione che non riesce a mascherare la nostalgia per qualcosa che è andato e che non ritornerà.
Il ritornello che segna la fine del sonetto, l’ "amore che non ha spento", è il segno di una continua tensione interiore, un amore che sopravvive sotto forma di ricordo, di esperienza, ma che non si riaccende. In questo scorcio, Santoro offre una visione tragica e al contempo sublime dell’amore, che rimane sospeso tra l’accettazione e la disperazione, come una fiamma che sfuma ma non si spegne mai completamente.
"L’albero sradicato" IV e V di Guglielmo Aprile
Aprile ci conduce in un universo di visioni che sono insieme sognanti e tormentate. Nei versi IV e V della sua opera, egli si trova ad affrontare la separazione dalla natura, quella purezza d’essere che appartiene agli esseri liberi come gli uccelli, gli "storni", capaci di inseguirsi e volare in un cielo senza confini. L’autore, prigioniero della propria carne e della "pelle di uomo", si sente separato da quel mondo ideale, da quella leggerezza che i bambini e gli uccelli sembrano possedere. L'angoscia che trapela da questa distanza tra l'umano e il naturale si fonde con la frustrazione di non poter appartenere, non più, a quel mondo di pura gioia.
Il cielo, "lucido e liscio come una maiolica", diventa un simbolo della bellezza intangibile, un ideale di perfezione che solo gli occhi della poesia possono veramente abbracciare. Ma, come il cielo stesso, l’uomo è destinato a non appartenervi mai completamente. La fatica dell’esistenza, l’impossibilità di "volare", è un tema che riecheggia nei suoi versi, e l’accusa delle cicale che non cessano mai di suonare è il rumore stesso della coscienza che non trova quiete.
Il contrasto tra l’idealizzazione del cielo e il dolore di non poterlo raggiungere diventa una ferita emotiva, ma è anche la consapevolezza che ogni bellezza, ogni visione, è sempre di un altro. Eppure, il desiderio di abbracciare quella purezza è più forte del dolore che essa genera.
"Les tulipes" di Maude Veilleux
In questo testo, Veilleux ci porta in un viaggio vertiginoso nel frammento di pensieri che si accavallano nel caos della mente. Il suo linguaggio è un fluire incessante di immagini che alternano una crudezza immediata a riflessioni filosofiche sottili. La poetessa sfida la linearità e la razionalità, giocando con il concetto di identità, di presenza e assenza, con una potenza di linguaggio che stravolge le categorie tradizionali della poesia. La morte, la solitudine, il corpo e la psiche si mescolano in un mosaico di frammenti, di visioni che non cercano di trovare risposte, ma di esplorare l'incompiuto, il non detto.
Le "tulipes", da un lato simbolo di bellezza e fragilità, diventano il punto di partenza per riflessioni più dolorose: "peuvent être mortelles pour les chats", evocando un’immagine di pericolo innocente, ma anche la finitezza di ogni cosa. In questa poesia, la scrittura diventa una risposta e una domanda, un dialogo tra chi scrive e chi legge, ma anche un’affermazione di solitudine e di distanza da un mondo che sembra non comprendere mai fino in fondo. L’ironia pungente e la descrizione di un mondo che può sembrare surreale - "je suis une femme, et je suis devenue instantanément un mythe" - ci conduce nel vortice di una realtà altrettanto inquietante quanto affascinante.
L’interpretazione di Veilleux è caotica, ma è un caos che accoglie tutte le sfumature dell’esistenza umana, dalle contraddizioni alla bellezza effimera, fino alla sensazione di smarrimento. Il "je" della poetessa diventa, quindi, il punto di partenza per una riflessione sul sé e sul mondo, come se ogni lettore fosse chiamato a decifrare, pezzo per pezzo, una verità che sfugge continuamente. La poesia di Veilleux non è un racconto, ma un’esperienza sensoriale e mentale, un atto di coraggio che ci invita ad abitare la molteplicità del pensiero e dell'essere.
"Indifferenza" di Giuseppe Stracuzzi
Giuseppe Stracuzzi, con la sua scrittura decisa e silenziosamente ribelle, ci invita a riflettere su quella zona opaca e inquietante della realtà che chiamiamo *indifferenza*. Il verso di apertura, "La conoscenza di soprusi tace", getta un’ombra di rassegnazione su un mondo che sembra accettare la violenza e l’ingiustizia come un dato di fatto, senza nemmeno il minimo accenno di contrasto. È il silenzio del male che persiste, la complicità passiva di chi è consapevole dei soprusi ma non si schiera, non si ribella.
"Proliferano sintomi del male" diventa la condanna di una società che permette che i vizi e le prepotenze si moltiplichino senza scosse. Ma la poesia non è solo denuncia: il "restare ferma" suggerisce anche un'inerzia che non è solo esterna, ma forse anche interiore. È un'anestesia collettiva, una disconnessione tra la mente e il corpo, tra il pensiero e l'azione. La "ferma" incertezza si materializza in un'assenza di movimento, di presa di posizione, mentre le "ombre" – simbolo della negatività che pervade l’anima e il mondo – sembrano giustificarsi nella loro stessa esistenza.
L’immagine di "gorgogliare parcheggiando più lontano" risuona come una metafora di distacco dalla realtà, come se l'indifferenza non fosse solo una scelta, ma una via di fuga, un modo per non affrontare la difficoltà e la pesantezza dell'esistenza. In questo silenzio che "onora" piuttosto che contrastare il male, la poesia rivela l’abisso dell'indifferenza sociale e personale, quella che ci permette di vivere senza sentire, senza agire, senza cambiare.
"Calda notte" di Cristiano Berni
Il titolo di questa poesia, "Calda notte", evoca subito un'atmosfera sensoriale e sensuale, come se il corpo stesso fosse immerso nell’afa di una notte d’estate che non ha più la frescura della solitudine. La prima immagine, "Che notte buia e calda", è pregna di una dualità che si riflette in tutto il testo: da un lato, la densità dell’oscurità, che ricorda una fatica emozionale, dall'altro il calore che richiama l’intensità dei sentimenti, il battito del cuore che "parla" come una voce che sussurra versi d'amore, annodando il corpo alla mente e il desiderio alla realtà.
Nel cuore della notte, mentre "osservo le Stelle e la Luna", Berni invita il lettore a vivere una sorta di sogno ad occhi aperti, dove il passato si mescola al presente e le emozioni vengono ricostruite, "rivivendo gli amori passati come se fossero rinati". Ma questa rinascita non è eterna: "ora esiste il presente", un presente che ha la sua verità nel "silenzio intenso e costante", quell'attimo di contemplazione che immerge il lettore in una quiete dolorosa, come se ogni desiderio fosse ormai un'eco lontana.
Le "cicale" e le "lampare" sono immagini che richiamano una bellezza agreste, ma anche una certa solitudine. La cicala, con il suo incessante canto, fa da contraltare alla "sete" del cuore, un desiderio d'amore che non si estingue, ma che si fa nostalgia. La "calma" e il desiderio di pace convivono qui in una tensione che è al contempo umana e universale: c'è una pace che non è quiete, un desiderio che non è mai completamente appagato. L’amore, purtroppo, non è sempre "puro e vero", ma sempre in qualche modo "desiderato", in bilico tra l’esperienza passata e quella attuale, tra ciò che è stato e ciò che potrebbe essere.
"Balli e razzi" di Enrico Tartagni
Enrico Tartagni sembra giocare con il linguaggio, con l’irrazionalità e con il caos che permeano il nostro vivere quotidiano. In questo brano, la "balera" diventa un luogo simbolico dove si mescolano il ritmo del ballo e il fischio del treno, creando una fusione surreale di immagini, un'intersezione tra il passato e il presente, il divertimento e l’assurdità della vita.
La poesia è come un viaggio che si svolge tra i luoghi e le immagini più disparati, spaziando dalla "polizia che spara" alla "raglia del somaro", passando per il "bus" e la "benzina". Ogni scena, ogni dettaglio sembra slegato, ma in realtà forma un mosaico del nostro tempo: un tempo in cui tutto è interconnesso, ma niente sembra avere una direzione chiara. Tartagni si fa beffe della logica e della struttura, creando una sorta di flusso di coscienza che non risponde alle leggi tradizionali del racconto, ma si sviluppa in un turbinio di percezioni e pensieri sconnessi.
Le immagini di "un sogno sussurra al cuore vai in Cina" e il finale dove si addormenta "beato al lòm dlà lùs", riprendono una sorta di indifferenza verso la realtà stessa, un abbandono alla fluidità dell'esperienza e della parola. È un sogno, ma anche un paradosso: il mondo che Tartagni descrive è quello di un'esistenza che sfugge, che si allontana dalla linearità e dall'ordine, dove tutto è possibile e nulla è definitivo. La poesia si agita tra il comico e il tragico, tra il sogno e la realtà, ma sempre con una leggerezza che nasconde un profondo turbamento, quello di vivere senza certezze, di danzare tra le stelle e i razzi senza sapere dove si andrà a finire.
"Regazzini... assassini" di Armando Bettozzi
In questo intenso e vibrante componimento, Armando Bettozzi dipinge un quadro sconsolato della società contemporanea, un paesaggio urbano dove l'indifferenza, la violenza e la corruzione della coscienza sembrano aver preso piede in ogni angolo. Il titolo stesso, "Regazzini... assassini", lancia un potente j'accuse contro le nuove generazioni, che, più che speranza, sembrano essersi trasformate in "assassini" del futuro, schiavi delle loro passioni e dei loro vizi.
Bettozzi usa il dialetto per conferire alla sua opera un'immediatezza brutale, un ritmo che scava nelle viscere della quotidianità. La poesia si apre con l’immagine di una piega che si fa sempre più "brutta" e "senza speranza", quasi un destino che si condensa nell'inesorabile scorrere del tempo, in un esito finale di abbandono e disillusione. La ripetizione dei termini legati alla morte – "ammazzamenti", "assassinio" – segna il tono di un pezzo che vuole scuotere, che non si limita a raccontare ma urla la realtà di una società che ha smarrito il senso di ogni valore.
La riflessione sull’indifferenza verso le "droghe" e le "prepotenze", il modo in cui si annullano i valori tradizionali in nome di una pseudo-modernità, è tanto amara quanto lucida. La figura del "barcarolo" che si ritira dal mare in tempesta rappresenta un ritorno alla saggezza: evitare lo scontro quando il conflitto sembra irrazionale, quando la violenza dilaga. Bettozzi non fa appello alla speranza, ma alla consapevolezza di ciò che è perduto. Il suo è un lamento, ma non un pianto senza fine, bensì un richiamo a una realtà che ci scivola tra le mani, come sabbia che non si può fermare. In questo scenario, il poeta sembra suggerire che l'unico modo per "tornare a casa sàrvo e tutt'intero" è non affrontare la tempesta, ma fuggirne, lontano dal vortice di autodistruzione
"La voce del poeta" di Maria Toriaco
Nel suo componimento, Maria Toriaco ci guida in un viaggio interiore, dove la voce del poeta emerge come un soffio fragile nell'aria densa del mondo. La poesia si dipana tra il silenzio e la parola, tra l’introspezione e l’esternazione delle emozioni, come se l'autrice volesse raccontarci quel delicato processo in cui l'anima, cercando espressione, si rifugia nella solitudine per ascoltare se stessa. "Nel silenzio, cerchi parole d'amore" è una delle prime immagini che ci colpisce: il poeta è un cercatore, sempre in bilico tra il dire e il non dire, tra l'esigenza di esternare e l'incapacità di dare forma al sentire.
Il giardino del poeta, il suo "rifugio", è simbolo di un luogo di intimità e di riflessione, un angolo protetto in cui i segreti dell'anima sono custoditi, ma anche destinati a essere "spazzati via dal vento", come una riflessione sull'effimero e sull'ineluttabilità del tempo. La poesia stessa è destinata a svanire, a perdersi nel grande ciclo di vita e morte delle emozioni, un processo che è tanto necessario quanto doloroso. Ma nonostante questa consapevolezza di vanità, il poeta non si arrende. Anzi, trova nell'attesa di un "nuovo giorno" l'occasione di ricominciare, di dare "voce ad altre emozioni".
La figura del poeta, qui, diventa quella di un vagabondo in cerca di senso, il cui cammino, pur non avendo certezze, è segnato da un'intensa ricerca. La riflessione sul "giardino" come spazio della creazione poetica è ricca di suggestioni: un luogo dove il poeta può finalmente sentire se stesso, ma anche dove, inevitabilmente, è condannato a vedere le sue parole "portate via dal vento". Eppure, in questo perdersi, c'è forse anche il senso più profondo della scrittura: non il desiderio di fissare il mondo, ma quello di lasciare che il mondo, nelle sue incertezze, possa fluire attraverso di noi.
"La speranza" di Nino Silenzi
Con "La speranza", Nino Silenzi ci offre una riflessione sull’essenza dell’esistenza, su quella forza che ci tiene in piedi anche quando tutto intorno a noi sembra svanire. La speranza, nella sua rappresentazione come "un alberello spoglio", è simbolo di qualcosa che un tempo era pieno di vita, ma che ora è ridotto alla nuda essenza, quasi a un seme che è destinato a germogliare, nonostante il gelo. Questo alberello è la speranza che non molla mai, anche quando tutto sembra svanire, anche quando le difficoltà della vita ci costringono a fare i conti con il nostro fallimento e la nostra solitudine.
L’immagine della speranza che "si è sciolta dall'abbraccio" per poi ritornare "nella radura degli alberi inariditi" evoca la ciclicità della vita, con le sue fasi di crescita e decadenza. È un richiamo a una speranza che non si arrende, ma che è costretta a fare i conti con le crudeltà della realtà. Tuttavia, Silenzi non cede mai alla disperazione. In fondo, "la vita è sempre vita", e anche se la speranza sembra sparire, essa trova sempre un modo di rinascere, come un piccolo albero che sfida l'inverno e la morte.
L'uso di immagini naturali, come l’alberello e il gelo, affonda radici in una visione profondamente ecologica dell’esistenza, dove la speranza non è un concetto astratto, ma una forza tangibile che lotta contro il disfacimento. La poesia, pur non esprimendo una fede cieca, invita a tenere vivo il seme della speranza, perché la vita, per quanto dura e complessa, ha sempre una via per rinnovarsi. In questo cammino, è la tenacia della speranza che, nonostante le avversità, trova la sua redenzione.
"Tempesta" di Franco Fronzoli
Franco Fronzoli, con "Tempesta", ci consegna un’opera che, pur nel suo stile apparentemente semplice e descrittivo, nasconde un'intensa profondità emotiva e una carica simbolica che non può sfuggire al lettore più attento. La tempesta diventa il ritratto di una donna, ma non una figura amorfa o passiva: essa è l'elemento stesso della natura che urla, resiste, sfida, vive. La donna non è solo un soggetto della tempesta, ma ne è l’incarnazione, il suo essere e il suo destino si intrecciano con l’energia primordiale degli elementi. Ogni versetto di Fronzoli ci presenta una scena potente, dove la pioggia batte, i tuoni rimbombano e la donna cammina, inesorabile, nel cuore di tutto ciò, come un fulmine che sa di non potersi fermare.
Il poeta non si limita a descrivere la tempesta in senso letterale, ma la utilizza come metafora della lotta umana contro il caos, la fatica di percorrere un cammino che è tutto fuorché lineare. L’uso del "tu", per la donna, è pregnante, quasi a sottolineare la sua solitudine eroica: essa sfida l’inevitabile, affronta l'incertezza e la distruzione, ma lo fa con una forza straordinaria che si rinnova di continuo. Quella tempesta, che pur sembra condurre a una fine (quando si "placca"), non è mai davvero finita, ma è solo un "oltre" che si spinge al di là del visibile, della realtà stessa, dove non esistono confini.
Fronzoli, insomma, costruisce un’immagine della tempesta come una potenza senza pari, dove il tempo e lo spazio sono vinti dalla volontà indomita della donna-tempesta. L'ultima parte della poesia, quando la tempesta si placa ma la donna resta "oltre gli orizzonti", suggella una visione quasi metafisica del coraggio umano, dove il destino e la forza interiore vanno oltre la comprensione umana e si pongono in relazione con una dimensione più ampia, universale. Qui, la tempesta è tanto esterna quanto interna, espressione di una forza che rifiuta ogni limite e che sfida la verità stessa dell'esistenza.
"Primavera" di Felice Serino
Nel suo breve ma denso componimento, "Primavera", Felice Serino non ha bisogno di parole lunghe per trasmettere l'incanto e la vitalità della natura in una mattina di primavera. Con pochi versi, dipinge un’immagine che appare come una folgorazione istantanea, un momento che sembra sussurrare il respiro stesso del mondo: "mattina sul lago", "si spalma sugli occhi la luce", e subito dopo "intonano melodie uccelli di passo". Il poeta ci invita a entrare in quel luogo, a condividere con lui l’emozione della bellezza del mondo che si risveglia.
La luce che si "spalma sugli occhi" è un atto di grazia, una sorta di benedizione che investe il lettore, come se l'autore volesse donare un frammento di serenità, di contemplazione pura, in un mondo che tende a oscurarsi. La presenza degli "uccelli di passo" e il "fremere di gioia" della pineta evocano l’idea del mutare stagionale, della ciclicità della vita. In questa poesia, la primavera non è solo una stagione, ma un atto di rinascita universale, un invito a fermarsi e a percepire il miracolo che ci circonda. Serino riesce a condensare in poche righe il mistero della vita stessa: una luce che, di tanto in tanto, ci rivela il senso nascosto delle cose. L’immagine della natura che "intonano melodie" non è solo una bella metafora, ma un’affermazione poetica sulla musica segreta che vibra in ogni elemento della terra.
"Incanti Nelle Cicatrici" di Laura Lapietra
Laura Lapietra, in "Incanti Nelle Cicatrici", ci regala un poema intenso e complesso che riflette sull’amore, sul dolore e sulla cicatrice come simbolo di un’esperienza vissuta e mai dimenticata. Le sue immagini sono dense e cariche di una simbolicità che trascende il corpo fisico e si avvicina all’anima, alla psiche. La poesia inizia con l’immagine di "fulgidi rivoli di vita" che scorrono su un "viso spento e affranto", come se le esperienze dolorose si manifestassero in un corpo che, pur segnato, è ancora capace di vita, di "fremito". La cicatrice, dunque, diventa simbolo di resilienza: "muoio d'amore nel freddo di questo inverno", ma non è un morire definitivo, bensì una morte che è necessaria per la rinascita. Il dolore è intrecciato all’amore, ma non come una contraddizione; piuttosto come un processo che, seppur devastante, porta a una forma di purificazione.
I "crisoberilli magici" sussurrati al cuore e i "sorrisi sfavillanti" sono immagini di una bellezza che nonostante la sofferenza, non è mai perduta. Le parole di Lapietra sono fatte di incantesimi che accarezzano la pelle e l’anima, in un gioco di luci e ombre che riempie ogni spazio poetico di mistero. La "cicatrice" si trasforma in un "sacro mausoleo", dove il dolore diventa culto, e dove il tempo si dilata, sospeso tra il passato e il futuro, tra la memoria e l’esperienza presente.
La poetessa gioca con le sue parole, utilizzando immagini che sembrano evocare rituali antichi, incantamenti di un amore eterno che si rinnova, "come fosse ancora la prima volta", ma con la consapevolezza che ogni volta è diversa, ogni volta è "per sempre". L’amore diventa una forza che non si arrende mai, che attraversa le cicatrici senza mai dimenticare. Lapietra scrive un inno all’amore che non è mai perfetto, ma che proprio per questo è ancora più vero, più intenso. Il tema del dolore trasformato in bellezza attraverso l’amore, come una ferita che non smette mai di pulsare, attraversa tutta la poesia, come un canto che si fa lamento e speranza.
"Una storia" di Piero Colonna Romano
La poesia "Una storia" di Piero Colonna Romano si presenta come una riflessione ironica sulla vita di Socrate, filtrata attraverso il punto di vista di chi ne racconta le disavventure con un tono quasi da fiaba. Il poeta costruisce una narrazione che coniuga il gioco di parole e l'umorismo con la saggezza di Socrate, creando un paradosso tra l'uomo che si dedica alla ricerca della verità e il disinteresse che questa suscita nella società.
La figura di Socrate, il "brutto" filosofo, in questo racconto non è solo quella di un pensatore, ma di un uomo che vive con una certa scomodità, sia nell’aspetto che nelle sue abitudini intellettuali. La bellezza e la superficialità del mondo greco si scontrano con l’astrattezza e la profondità di una ricerca che Socrate intraprende pur sapendo di non poter trovare tutte le risposte. La sua domanda continua, il suo "so di non sapere", è messa in contrasto con l'ignoranza dei suoi contemporanei che, pur di non affrontare le domande esistenziali, preferiscono voltargli le spalle.
Il poema termina con un’affermazione che sembra voler risuonare come un insegnamento universale, mettendo in luce il valore della coerenza e dell’onestà intellettuale, e la ricerca incessante del bene e della verità, anche se questi restano concetti sfuggenti. La morte di Socrate, come scelta di coerenza con le sue idee, è qui raccontata come il sacrificio di chi non può fare compromessi, ma la sua eredità vive nei "grandi insegnamenti" che egli lascia, a partire dalla ricerca della verità. La poesia, in fondo, ci invita a riflettere sulla necessità di cercare, anche quando la risposta sembra lontana, e sulla bellezza della ricerca stessa, pur nella sua difficoltà.
"Altrimenti sarei chissà" di Ciro Seccia
La poesia di Ciro Seccia, "Altrimenti sarei chissà", si distingue per una riflessione sulla condizione umana e sull’autenticità dell’esistenza. Con un linguaggio semplice ma incisivo, il poeta si interroga sul significato della vita, suggerendo che, spesso, non siamo altro che pedine in un grande ingranaggio sociale e lavorativo, dove la routine e le aspettative sociali annullano la possibilità di vivere veramente. La ripetitività della vita quotidiana — "alzarsi sempre alla stessa ora", "consumare pasti frugali", "correre a lavoro come posseduti" — è vista come una gabbia che condanna l'individuo alla mera esistenza.
Il poeta, però, non si limita a lamentarsi: egli sottolinea la propria ricerca di un'esistenza che vada oltre il semplice "esistere". La sua ricerca lo porta a esplorare mondi nuovi e a incontrare persone che allargano la sua visione della vita, e il cambiamento stesso diventa il respiro necessario per liberarsi dalle catene della routine. Il poeta non vuole essere uno schiavo delle circostanze e si ribella alla condizione di chi vive solo per adempiere a doveri imposti dalla società. La sua rivendicazione di libertà è legata a una visione più autentica del vivere, una visione che non è solo legata al corpo, ma alla mente e allo spirito.
Tuttavia, la vera forza che lo trattiene "ancorato a terra" è l'amore per i suoi figli, un amore che è, in un certo senso, il motore della sua esistenza e che gli consente di "vivere" piuttosto che "esistere". Con una riflessione sincera e una forte introspezione, Seccia ci invita a non limitare la nostra esistenza a una mera successione di azioni meccaniche, ma a cercare sempre la libertà, il cambiamento e il vero scopo della nostra vita.
"Per niente o poco" di Roberto Soldà
La poesia "Per niente o poco" di Roberto Soldà affronta una tematica di grande attualità: il contrasto tra i grandi progressi scientifici e tecnologici e le disuguaglianze sociali che ancora affliggono gran parte dell'umanità. L'immagine del "bosone di Higgs" e dei "miliardi di dollari" spesi per scoprirlo diventa il simbolo di un mondo che spesso investe enormi risorse in ricerche che sembrano lontane dalla vita quotidiana delle persone, soprattutto quelle che soffrono la fame o la povertà. Il poeta, con il suo tono critico, mette in evidenza la disparità tra il progresso scientifico e l’incapacità di risolvere problemi concreti che riguardano la sopravvivenza di molte persone.
Il contrasto tra la "scoperta del bosone di Higgs" e "chi vive sulla terra senza cibo o senza riparo" diventa la riflessione centrale della poesia, evidenziando un paradosso doloroso: da una parte la ricerca che sfida le leggi dell'universo, dall’altra la lotta quotidiana per la sopravvivenza. La poesia esprime il dolore e l'incredulità del poeta di fronte a un mondo che sembra concentrarsi su questioni astratte, senza dare il giusto peso alla realtà sociale e alle disuguaglianze che la permeano.
Il poeta non si limita alla critica passiva: "per niente o poco" è il "fuoco" che continua a bruciare nella sua anima, segno che la passività di fronte alle ingiustizie non è un'opzione. La poesia, con il suo tono incisivo e diretto, invita il lettore a riflettere sulla sua posizione nel mondo e sulla necessità di guardare oltre la ricerca scientifica per affrontare le disuguaglianze che affliggono il nostro tempo. La domanda che ci lascia è forte e urgente: dove vanno a finire le nostre priorità? Cosa conta davvero? La poesia suggerisce che, mentre l'umanità si sforza di comprendere l’universo, la realtà sociale continua a essere dimenticata, e questo è qualcosa che non possiamo ignorare.
"Un altro dì" di Alessio Romanini
La poesia di Alessio Romanini, "Un altro dì", esplora il tema del tormento interiore attraverso una visione di incubi ricorrenti e di un'intensa lotta psicologica che accompagna il protagonista nella sua notte. La scena è quella di una notte inquieta, dove il respiro stesso sembra soffocato dal peso dei pensieri. Gli incubi e la paura non sono solo la scenografia del sonno, ma la rappresentazione di un conflitto mentale che si estende anche alla veglia, un ciclo senza fine che condanna l'individuo a una lotta continua contro la propria mente.
Il poeta gioca con l'idea di un "dormire incubo", una sensazione in cui il riposo non è mai veramente riposo, ma il preambolo a un altro giorno di angoscia. L'uso delle immagini di "mani astratte che cingono la gola" e di "l'ultimo squittio della civetta" rendono tangibile la sensazione di soffocamento e la paura dell'ignoto. La "gola cinghiata" è il simbolo del silenzio forzato, della paura che non lascia scampo. Quando finalmente arriva il "risveglio" nel "mondo di Morfeo", l'effetto è paradossale: la pace sperata non arriva mai, ma si risveglia solo per essere catapultati in un altro giorno di ansie e lotte. Il giorno che inizia è il ripetersi del tormento notturno: "un altro dì" è come un ciclo che non si rompe mai.
La poesia riflette sull'ineluttabilità di una sofferenza interiore che non trova riposo neppure nel sonno, ma che si risveglia continuamente con l’alba. La tensione tra sonno e veglia diventa il terreno su cui si gioca il conflitto dell’anima.
"A volte" di Antonia Scaligine
La poesia di Antonia Scaligine, "A volte", è una riflessione sull’incertezza e sull'ambiguità della vita, sospesa tra gioia e dolore, speranza e delusione. Con immagini poetiche che oscillano tra luce e oscurità, la poetessa esplora la condizione umana, con le sue fragilità e i suoi desideri irraggiungibili. La vita è presentata come un’esperienza che si alterna tra momenti di felicità e sofferenza, mentre l’autrice scruta il "posto più oscuro" del suo io inconoscibile, tentando di comprendere il significato di esistenza e di morte.
L'idea di "accarezzare la vita" viene declinata in modo contrastante: la gioia, che è come un abbraccio di vento, si scontra con la delusione e la sensazione di inadeguatezza che pervade l'esistenza. C'è un forte desiderio di pace, ma essa sfugge, come un fantasma che si dissolve nel reale. La ricerca di una vita festosa e libera è continuamente ostacolata dalla quotidianità, che sembra impedire la realizzazione di un ideale di felicità.
Il punto culminante della riflessione arriva con l’idea di un “soliloquio” che si trasforma in un “colloquio mistico” con l’infinito, un richiamo a una dimensione superiore che potrebbe forse portare la pace desiderata. L’invito a riflettere sulla morte diventa il trampolino per un pensiero più profondo: l’uomo è chiamato a considerare la sua finitezza, ma anche la possibilità di risorgere nel ricordo e nell’amore, che sono gli unici elementi che possono sopravvivere alla morte fisica.
L’amore, la pace e la speranza sono visti come valori che resistono al tempo e alla morte, e la poesia si conclude con una visione di rinnovamento, come un abbraccio che non morirà mai, nonostante tutte le difficoltà della vita.
"Incendio nel mare" di Sandra Greggio
La poesia di Sandra Greggio, "Incendio nel mare", esplora un tema molto personale e profondo: la lotta interiore per riscoprire e risvegliare il desiderio e la passione, elementi che erano stati soppressi e dimenticati. La voce del cuore, dopo essere stata taciuta per troppo tempo, reclama finalmente la sua parte. La poetessa racconta il momento in cui il cuore, simboleggiato da una voce interiore, si fa sentire con prepotenza, chiedendo di essere ascoltato, di essere vissuto pienamente.
L’immagine del mare, elemento simbolico di profondità e vastità, viene usata per rappresentare la condizione di silenzio e distacco in cui il cuore giaceva "inerme e incosciente". Quando la poetessa si tuffa nel "profondo Me", un "incendio" scoppia, segno della passione che riaffiora improvvisamente dal fondo dell’anima. Questo incendio non è distruttivo, ma è l'esplosione di un’emozione represso che finalmente si libera, dando vita a una nuova consapevolezza. La metafora dell’incendio nel mare crea una tensione tra due elementi che di solito sono opposti: il mare rappresenta la calma, mentre il fuoco rappresenta l’intensità, la passione. L’unione dei due, dunque, rappresenta un cambiamento profondo e liberatorio, che diventa parte della poetessa stessa.
Questa poesia è un viaggio di riconciliazione con la propria interiorità, un incontro con le emozioni più profonde che avevano bisogno di essere liberate. Il fuoco che scoppia nel mare è la passione che emerge dal silenzio e dal dolore, portando con sé una nuova consapevolezza di sé e una rinascita interiore.
''Per amore dell’amata'' di Jacqueline Miu
In questa poesia, ''Per amore dell’amata'', Jacqueline Miu dipinge un amore profondo e tormentato, in cui il poeta si scontra con le proprie emozioni contrastanti e un amore che si fa sia fonte di bellezza che di sofferenza. La poetessa, con una scrittura intensa e vibrante, esplora i confini tra il desiderio e il dolore, tra l’eternità e il tempo, tra la parola e il silenzio. Una lirica che celebra l’amore come un fuoco che brucia, ma che, pur nella sua fiamma, lascia dietro di sé un’impronta incancellabile.
La poesia si apre con un’immagine forte e inquietante della donna amata: "inquieta bella". Non è solo la bellezza dell'amata a colpire, ma anche il suo silenzio, un silenzio che "brucia col tuo silenzio i miei respiri", creando un'atmosfera di tensione e di angoscia. Il poeta si sente "drogato" dalle emozioni che l'amata evoca in lui, come un sogno violento che lo consuma. Il "silenzio" diventa la causa prima di un desiderio inappagato, che si fa ossessione, ed è proprio l'assenza della parola a trasmettere un'intensità inquietante, capace di togliere il fiato e di "drogarlo".
L’amore che il poeta nutre per l'amata è descritto come un fuoco che lo consuma, ma anche come una ricerca costante di qualcosa di eterno. Le "ore senza sonno" e l’ansia che ne deriva sono il tormento di chi è immerso in un desiderio che sembra non trovare mai pace. Ma il poeta si promette che, nonostante la sofferenza, sarà sempre lì, "nei campi del lungo inverno", a cercare la sua amata. Il suo amore è una "sorte", una missione che si fa anche riscatto da una quotidianità che lo appesantisce. Qui il poeta sceglie di amare nonostante tutto, anzi, proprio grazie alla forza che l’amore gli dà. Si aggrappa a questa forza come se fosse l’unico ancoraggio che può reggere il peso della sua esistenza.
La bellezza di questa lirica sta nel fatto che l’amore viene proposto come qualcosa che va oltre il tempo, oltre la carne, oltre le leggi della mortalità. L’amore, infatti, non si costruisce su "castelli di parole" fragili, ma su una base ben più solida e profonda: "l’infinito d’un uomo". Nonostante il poeta sembri costruire il suo amore con "poveri mattoni di dolce verbo", questi mattoni, pur se fragili, sono sorretti da una forza invincibile che è quella della passione e dell’infinito, e che non crollerebbe mai, nemmeno se il mondo dovesse estinguersi. L'amore qui è qualcosa che sfida la morte e il tempo, e il poeta lo riconosce come la sua "salda fondamenta", una base che mai potrebbe vacillare, anche di fronte alle difficoltà più grandi.
Un altro aspetto interessante di questa poesia è come il tormento del poeta diventa l’humus da cui germoglia la sua creatività. Il poeta, infatti, si definisce "abulico parafrasario di un mortale", cioè come qualcuno che, pur essendo un mortale, si sforza di tradurre la sua sofferenza e il suo amore in "liriche sublimi". Questo gioco di parole tra "abulico" (che suggerisce una sensazione di vuoto e impotenza) e "parafrasario" (che evoca l’idea di rielaborazione e trasformazione) esprime l’idea che il poeta, pur soffrendo, ha la capacità di dare forma al suo dolore e alle sue emozioni attraverso la poesia. È come se il tormento stesso diventasse la fonte da cui attinge per creare qualcosa di eterno e bello, che trascende la sua condizione temporale.
La conclusione della poesia porta con sé una richiesta disperata, ma al contempo speranzosa: "restami vicina". Il poeta chiede alla sua amata di non lasciarlo solo nel suo tormento, di rimanere accanto a lui mentre affronta il peso del mondo e del destino. Il suo amore non è solo una fuga dal dolore, ma anche un atto di resistenza. Il desiderio di essere vicino all’amata non è solo un bisogno fisico, ma anche un atto di speranza, di costruzione di un "futuro" che sia duraturo e stabile. Il poeta, infatti, sa che l’unica certezza che ha è quella di "scrivere per l’amore dell’amata", e nella sua scrittura si riflette la sua lotta per tenere viva una bellezza che sfida il tempo e la morte.
Temi e simboli
- Silenzio e parole: Il silenzio dell’amata è il simbolo di un amore non immediatamente comprensibile, che si costruisce nell’assenza. Le parole, sebbene "poveri mattoni", sono quelle che permettono al poeta di costruire il suo amore.
- Infinito e tempo: La dualità tra il finito e l’infinito è una tensione centrale in questa poesia. L’amore del poeta è descritto come eterno, in grado di trascendere la morte, ma è anche radicato nella sua esperienza terrena, fatta di sofferenza e desiderio.
- Sofferenza e bellezza: La sofferenza non è solo una condizione dolorosa, ma una via per arrivare alla bellezza. L’amore che il poeta prova è al contempo fonte di tormento e di creazione poetica.
- Amore come resistenza: Il poeta resiste al dolore e al tempo attraverso l’amore. La sua poesia è la forma di questa resistenza, una resistenza che si fa speranza.
''Per amore dell’amata'' di Jacqueline Miu è una poesia che esplora l’amore come un’emozione che sfida il tempo e la morte. Il poeta si immerge in un universo di silenzi, parole e tormenti, dove il suo amore per l’amata è sia causa di sofferenza che di creazione poetica. L’amore diventa una forza eterna che, pur radicata nella finitezza dell’esistenza umana, trascende la morte e il dolore, creando un legame che non potrà mai dissolversi. La poesia ci invita a riflettere su come, nel cuore del tormento, possediamo la capacità di costruire mondi di bellezza che sfidano le leggi della temporaneità.
Con sempiterno affetto e con l'afflato di chi, leggendovi, par di conoscervi nell'intimo e, nell'intimo amarvi.
Vostro, pur sempre vostro, Ben Tartamo
4-5-6 Novembre
Ciao Ben,
Ringrazio di Cuore Ben Tartamo,il suo commento
"Gogyoshi" di Laura Lapietra
In questo componimento, si disvela un paesaggio intimo e sacrale, un cosmo vegetale che danza sull’orlo del tangibile e dell’eterno. Lapietra canta di "fiori innocenti", creature silenziose eppur vibranti, che sbocciano non solo dalla terra, ma dall’armonia cosmica che regola i cicli del nascere e morire. Le sue parole sono come filamenti d’erba carezzati dal vento, che accolgono l’innocenza con una tenerezza solenne. La scena è quasi un’antica liturgia: la "pura essenza" dei fiori emerge come uno specchio che riflette l’universo, uno specchio fragile, eppur indistruttibile, che porta il segno delle stagioni. Qui ogni petalo diventa il custode di un segreto del tempo, un emblema di bellezza effimera eppure eterna, che commuove chi sa sostare sulla soglia del mistero. Questo è il poema dell’essenziale, del "sincero", che si rivela senza maschere e senza filtri, nella sua nudità sacra. Ogni verso sembra inciso nella pietra cosmica, come un sussurro che risuona all’infinito.
"I seminatori" di Salvatore Armando Santoro
Santoro qui si inoltra nei territori in cui amore e sofferenza si intrecciano come i rami di una vecchia quercia, rugosi e dolenti. "Voglio dare anche a lei un po' d'affetto" — ecco il battito iniziale, una dichiarazione tanto semplice quanto traboccante di vulnerabilità. Il poeta, con un gesto di umiltà rarefatta, cerca di riversare un po' della sua stessa solitudine in un’anima altrettanto ferita. L'ambientazione sul "tetto" è come una metafora esistenziale: elevati dal mondo terreno eppure immersi in un dolore viscerale, i due personaggi si ritrovano nel rifugio delle loro rispettive mancanze. La visione del "sole lento declinare" diventa un emblema dell’amore al tramonto, un desiderio d’amore che non conosce l’ingenuità dei primi istanti, ma anzi, si radica nella consapevolezza dell'effimero e nel tormento dei rimpianti.
Santoro disegna un quadro di umana fragilità, in cui la nostalgia e la speranza si fondono in un gioco di specchi: ogni "affetto" dato e ricevuto è un frammento di cura, un balsamo per le ferite dell’anima. E come un sussurro antico, risuona quella "carezza a cui ogni donna aspira," quell’immagine che diventa totem dell’amore perduto, un soffio di eternità racchiuso in una manciata di versi. Santoro ci regala una poesia che sconfina nel rituale della confessione: ogni parola è un’offerta che si consuma nell’ascolto, un tentativo di riscoprire il senso dell’amore nelle ceneri della disillusione. È una liturgia del patire, dove ogni verso è come un grano seminato, nell’attesa fiduciosa di una rigenerazione che forse non avverrà mai, o che forse, nell’intangibile, è già iniziata.
"L’albero sradicato" di Guglielmo Aprile
In questa sinfonia arborea, Aprile si immerge nella natura come in un santuario profano, tessendo versi che fanno riecheggiare il battito dell'universo. L’albero sradicato non è solo un’immagine visiva ma un simbolo dell’esilio e dell’alienazione umana, una nostalgia di una fratellanza ormai perduta con l’universo verde che ci circonda. La "celeste inquietudine" che trapassa le foglie non è forse l’inquietudine dello stesso poeta, il desiderio di tornare a quella primordiale innocenza in cui uomini e alberi erano uno?
La seconda sezione, dove un dio "schivo" dimora tra i pioppi, evoca una mitologia silente, una teofania privata che l'autore sente sulla pelle come un’antica promessa dimenticata. Aprile cammina tra questi alberi come tra fratelli, una famiglia abbandonata nell’infanzia, e nel loro silenzio ritrova una sorta di perdono ancestrale. La "pietà" degli alberi è il balsamo che risana la separazione, la dolcezza con cui la natura accoglie chi ritorna a sé stesso, libero dai vincoli di un mondo umano che aliena.
La terza parte è una preghiera estatica: il poeta sogna di mutarsi in albero, rinunciando al fardello della memoria, desiderando l’eternità della vegetazione, un'esistenza pura, radicata, lontana dall’effimero umano. Il suo corpo umano, recluso e incapace di fiorire, diviene la prigione che lo separa dall’assoluto, dall'immortalità calma e maestosa dei platani. E Aprile conclude la sua ode con un grido di desiderio: diventare albero, annullarsi nell'eterno respiro della natura. Un canto al contempo nobile e disperato, che svela il profondo desiderio di superare la condizione umana e abbracciare l’immortalità verde, dove ogni radice è parte dell'infinito.
"Perché tu mi volevi davvero bene" di Piacentino Alessandra
Un poema di struggente bellezza, un inno alla perdita, al rimpianto e al silenzio che ci lega ai ricordi più dolorosi. Piacentino scava in profondità, affondando le sue parole come lame nel cuore, evocando quel silenzio pesante, opprimente, che nasce dalla paura, quella vigliacca tentazione di sfuggire al dolore dell'addio. “Non ho risposto alla tua ultima chiamata” — il verso pulsa come una ferita non rimarginata, una spina che continua a pungere nelle notti senza stelle.
C’è una bomba il cui timer suona dentro l’anima, una tortura interiore che ronza come un'eco infinita, segno del mancato coraggio. È qui che la poesia assume una dimensione quasi sacrale: ogni lacrima versata diventa un'offerta, ogni parola un atto di penitenza. Piacentino ci parla di un "coraggio" che si nasconde come "una spada nel cuore", un simbolo potente di redenzione mancata e di redenzione cercata. Eppure, come nella più classica delle tragedie, il momento del coraggio è sfuggito e ha lasciato al poeta solo un silenzio devastante.
Nell'immagine dell' "ultimo fiato", quella solitudine estrema in cui la persona amata è lasciata senza risposte, vi è una dolorosa verità: quella che i legami più profondi sono spesso incapaci di trovare compimento. Il poema termina con una benedizione straziante, "Che il sonno ti sia lieve", un augurio che è anche un’autoassoluzione, una preghiera affinché il tormento di chi rimane possa placarsi nella certezza dell’amore. Piacentino tesse un canto di rimpianto e tenerezza, un lamento che risuona come una melodia antica, un inno all’amore perduto e mai dimenticato.
"Paura notturna" di Davide Paglionico
"Paura notturna" è un canto di sfida lanciato nell’abisso cosmico, un viaggio a cavallo tra spiritualità e pazzia, tra amore e annientamento. Paglionico ci trasporta in un universo in cui il peccato, la redenzione e la ricerca di Dio si sovrappongono in un crescendo visionario. "Monaci ascoltate il mio Mah," proclama, in un tono che evoca un misticismo profondo e insieme un’insolenza sacrilega. È un grido che vibra nella notte, un'implorazione che fende il silenzio come una lama, sfidando l'ordine celeste e reclamando uno spazio nell’eterno.
Il poeta invita a scendere "negli inferi" per trovarvi "solo celle vuote" — una discesa simbolica che non è altro che l’incontro con il nulla, con il vuoto dell’esistenza. La sua voce sembra attingere da una dimensione oscura, un abisso che è anche un riflesso del nostro desiderio di comprensione e di potere. Qui, Paglionico si rivela come il "maledetto" che affronta il tempo con una tazza di caffè, scolpendo la propria follia come un artigiano, trovando nella sofferenza e nella disillusione la propria verità.
E quando scrive "MORIRE – MORIRE – MORIRE," si avverte l’eco di una preghiera blasfema che risuona nel cuore della notte, un mantra di autoannientamento e di ricerca di senso. Il "Rockerynook" diventa così un luogo sacro e infernale insieme, dove l'amore si "cucina," una parola che sembra avvicinare l'amore alla brutalità e alla materia, lontano da ogni idealizzazione. Paglionico ci parla della condizione umana come di un’eterna lotta con la divinità, un conflitto incessante tra la nostra vulnerabilità e il desiderio di immortalità. In questi versi, l’umanità risplende nella sua ribellione, in un canto che è al contempo una preghiera e una maledizione.
"[étrangère à moi-même]" di Carol-Ann Belzil-Normand
Questa breve lirica di Belzil-Normand è un’esplorazione metafisica e glaciale del sé, uno sguardo che fruga tra i frantumi di un’identità smarrita. "étrangère à moi-même", recita il primo verso, e già siamo immersi in un paesaggio di alienazione profonda, dove il sé si allontana da sé stesso come in uno specchio distorto. L'immagine della "mensonge" — la menzogna — che si stende immensa, è quasi il mare che risucchia e avvolge l’io in un vortice di illusioni e inganni.
L'atto di "evitare il desiderio" assume un valore filosofico e ascetico, quasi una rinuncia a tutto ciò che lega il sé alla corporeità e alla passione. Eppure, questa non è una fuga. È una "prassi verbale," un’esistenza che si gioca nelle parole, nel linguaggio come unico territorio abitabile, come ponte tra il nulla e l’essere. La frase "le feel-tu" sfuma in una domanda ironica e forse provocatoria, una fessura in cui l’autrice invita il lettore a percepire, a sentire oltre la superficie.
Nella versione italiana di Nino Muzzi, il "Finalmente" conclusivo appare come un sospiro di sollievo, o forse di rassegnazione, un attimo di chiarezza che svanisce nell’onda di oltraggi. Belzil-Normand ci offre una poesia ellittica e siderale, un mosaico di suoni e silenzi che esprime l’intangibilità dell’identità umana, l’inquietante estraneità di vivere in un corpo e in una mente che non ci appartengono mai del tutto.
"Parlami di te" di Franco Fronzoli
In questi versi, Fronzoli ci invita a un viaggio intimo, un pellegrinaggio nei reami dell’anima e dei suoi ricordi. L’incantato "Parlami..." che si ripete con la dolcezza di un sussurro è come un'eco che attraversa il tempo, che richiama la voce di chi amiamo e di chi abbiamo perso. "Parlami della notte" e dei "momenti sinceri" è una supplica tanto quieta quanto struggente, rivolta all'essenza più pura della memoria e del sentimento umano.
Fronzoli ci esorta a rievocare tutto ciò che ci ha resi vivi: le "primavere", i "colori", i "fiori", gli "arcobaleni" – immagini di una bellezza tanto semplice quanto profonda. In questo invito al ricordo si cela l'inesauribile sete di conoscere l'altro, di abbracciare le sue stagioni, le sue gioie, e persino i suoi silenzi e "raggi di sole". E quando scrive "Parlami… se vuoi", quel punto di sospensione finale diventa una finestra aperta sul mistero della persona amata, lasciando spazio a quel silenzio che ci parla da sé, forse più eloquente di ogni parola. Fronzoli, in questa poesia, sembra accarezzare l’infinito bisogno umano di comunicare e di sentirsi compresi, rendendo la lettura quasi un rituale, una confessione mormorata all'orecchio del tempo.
"Mala tempora currunt" di Felice Serino
"Mala tempora currunt," e già l’inquietudine vibra nel titolo, come un monito che echeggia dal passato. Serino, con una penna tagliente e un’acutezza di spirito quasi spietata, affonda il coltello nella crisi dell'esistenza moderna, in una realtà dove "tutto è sbagliato, tutto da rifare." Il poeta osserva il mondo con uno sguardo disilluso, registrando con una freddezza filosofica l’andamento del tempo come un ago in bilico che oscilla su un versante di "vacche magre."
Ogni verso è asciutto, privo di ornamenti superflui, quasi fosse una sentenza scolpita su una pietra antica. Serino non ci lascia tregua: "da qualche parte c'è sempre una perdita" è una verità amara che avvolge la nostra epoca, dove la speranza sembra aver lasciato il posto a un realismo implacabile. Eppure, proprio in questa schiettezza disarmante, Serino trova la forza della sua visione poetica: come un oracolo, ci parla di cicli che si ripetono, di illusioni che crollano e di equilibri che non si mantengono mai per sempre.
In questi versi scarnificati, l’autore ci mette di fronte a una verità universale, una saggezza antica rivestita di malinconia moderna. "Mala tempora currunt" è dunque un ammonimento a guardare in faccia le nostre incertezze, a comprendere la fragilità della nostra esistenza e a trarre da essa una sorta di austera serenità.
"Genetica d’un rapitore sentimentale" di Jacqueline Miu
In "Genetica d’un rapitore sentimentale", Miu delinea un paesaggio emotivo intriso di malinconia e desiderio. La figura del “rapitore sentimentale” evoca un amore che si nutre dell'ineffabile, del fragile equilibrio tra il calore umano e il freddo della solitudine invernale. La poetessa si muove tra le immagini del "vento" e delle "foglie morte," creando un contrasto potente tra la vita che scorre e la morte che incombe, tra il calore dell’amore e il gelo della distanza.
“Mi avvicino al tuo cuore con brividi d'aria” è un verso che parla di un’intimità cercata e desiderata, ma anche di fragilità e vulnerabilità. La danza notturna con “antiche maghe” suggerisce un richiamo al mistero e all’arte dell’amore, mentre il “quieto sonno tra i rami” riflette un bisogno di pace e di rifugio, un rifugio dove i sentimenti possano trovare la loro espressione più pura. La poetessa ci trasmette la ricerca di una connessione profonda, di un fuoco che scaldi l’anima, e nel contempo la consapevolezza della transitorietà di tutto ciò che amiamo. La bellezza di questo testo risiede nella sua capacità di evocare emozioni complesse e incerte, trasformando il lettore in un viaggiatore di sensazioni che oscillano tra l’ardore e la malinconia.
"Vos et ipsam Civitatem benedicimus" di Piero Colonna Romano
In questo poema, Colonna Romano ci offre un affresco vibrante e suggestivo della Calabria, mescolando ricordi personali e immagini paesaggistiche con un lirismo evocativo. "Il Pollino imbiancato" e "bei pini loricati" ci introducono a un mondo naturale ricco di bellezza, dove ogni elemento diventa simbolo di una storia più grande, un racconto di vita e di lotta. Le “vestigia d'un maniero” evocano una storia di eroi e leggende, mentre la nebbia che avvolge la scena aggiunge un velo di mistero, invitando il lettore a esplorare non solo il paesaggio ma anche il tessuto della memoria collettiva.
La transizione attraverso “gallerie” e “foreste” diventa un viaggio che è tanto fisico quanto spirituale. Colonna Romano ci conduce da “Falerna” e le sue acque trasparenti fino a "Reggio", un luogo di incontri e scambi, dove “le voci di mercanti” si fondono con la luce del duomo. La sua scrittura è un inno alla terra natale, a una Calabria ricca di storia, cultura e un’identità che si perde nel tempo. Il poeta non dimentica le ferite inflitte dall’oblio e dall’indifferenza dei governanti, e nel suo tono nostalgico si percepisce un desiderio di riscatto. La chiusura del poema, con la menzione di Campanella e della “‘ndrangheta avvilita”, offre una riflessione amara ma necessaria, un richiamo alla consapevolezza e alla memoria storica. Questo testo è, dunque, non solo un omaggio alla bellezza della Calabria, ma anche un atto di denuncia e una richiesta di riconoscimento, un appello a non dimenticare le radici e la cultura di un popolo.
"Figlio mio" di Ciro Seccia
In "Figlio mio," Ciro Seccia dipinge un quadro di profonda sofferenza e nostalgia, esplorando il tema della separazione e della memoria. La figura del padre si trova di fronte all'assenza di un figlio, un'assenza che si fa corpo e peso nel cuore. La lotta per ricordare il volto di un fanciullo, il desiderio di un contatto che si è perso, diventa un atto di amore e di dolore. “Per quanto io mi sforzi”, il poeta esprime il fallimento nel richiamare alla mente un'immagine che una volta era vivida, una testimonianza della mancanza di fotografie, simbolo di un legame spezzato.
La transizione dalla nostalgia alla realtà del “quasi Uomo” evidenzia l’evoluzione del rapporto padre-figlio, un confronto con il presente che si carica di tensione. L’ “aspro e duro” tono del figlio riflette le ferite causate dalla separazione, amplificando il dolore di entrambi. L'immagine di “infinite lame” che trafiggono il cuore comunica una sofferenza profonda e ineludibile, un dolore condiviso che attraversa le generazioni. L’intento di confortare, di abbracciare, di dire “andrà tutto bene,” è un gesto carico di speranza, ma anche di impotenza.
La chiusura del poema, con la mano che si protende verso le stelle, suggerisce una ricerca di connessione, di amore incondizionato che supera le barriere del tempo e dello spazio. La carezza che non riesce a materializzarsi diventa simbolo del desiderio inappagato, un doloroso ricordo di quanto si fosse vicini e quanto ora si sia lontani. La potenza emotiva di questo testo risiede nella sua capacità di esprimere un amore paterno profondo e vulnerabile, un’eco di una solitudine universale.
"Oscurità" di Roberto Soldà
In "Oscurità," Roberto Soldà intraprende un viaggio attraverso il mistero dell'universo e la condizione umana, riflettendo su scoperte scientifiche e la loro connessione con le emozioni umane. L'apertura con la “particella di Dio” e la sua scoperta da parte di Higgs introduce il lettore a un mondo di meraviglia e complessità, dove la scienza offre risposte ma pone anche interrogativi. La “massa all’Universo” diventa un simbolo della vita stessa, un riconoscimento della nostra esistenza fragile e preziosa.
Tuttavia, il poeta non si ferma alla meraviglia; esplora anche l’incertezza e il “mistero dell’oscurità” che avvolge la nostra comprensione del cosmo. Qui emerge un senso di frustrazione: l'aspettativa di un universo “galantuomo” che non acceleri verso il nulla si scontra con la dura realtà di un’espansione infinita e incomprensibile.
L’oscurità che “tutti quanti” percepiamo diventa un riflesso della nostra condizione esistenziale, una metafora della ricerca umana di significato in un mondo che sfugge alla comprensione. L'immagine della “consolazione dell'Eternità” che va alla deriva suggerisce un desiderio di stabilità e senso che sembra eludere i nostri sforzi.
In questo poema, Soldà unisce scienza e poesia, filosofia e realtà, creando un dialogo tra l’universo e l’umanità, tra il noto e l’ignoto. La bellezza del testo sta nella sua capacità di invitare il lettore a riflettere sull’immensità del cosmo e sulla piccolezza della nostra esistenza, senza mai perdere di vista l’intensità emotiva di questa esplorazione.
"Beati gli ultimi…" di Alessio Romanini
In "Beati gli ultimi…", Alessio Romanini si confronta con l’illusione della beatitudine, ponendo una critica affilata alla narrazione romantica che spesso circonda la figura degli emarginati. L’apertura del poema mette in discussione il concetto di felicità associato a chi non possiede beni materiali, sfidando l’idea che la povertà possa portare a una forma di libertà o di beatitudine.
L’immagine del “mantello di stelle” che illumina la notte introduce un contrasto tra la bellezza dell’universo e la cruda realtà della vita di chi vive in miseria. La città diventa un palcoscenico su cui i protagonisti della vita di strada “girovagano” senza meta, esprimendo un senso di smarrimento e solitudine. L’asserzione che siano “Beati perché hanno la panchina ed il mare” suggerisce che ciò che viene considerato un dono — un luogo dove sostare — è in realtà un simbolo della loro condizione di esclusione e precarietà.
La successiva dichiarazione “Non hanno amore!” colpisce come un fulmine, evidenziando la privazione non solo dei beni materiali ma anche delle relazioni significative che danno senso alla vita. I “gettati nel mondo come immondizia” evocano un’immagine di disprezzo e disumanizzazione, una denuncia della società che rifiuta e dimentica coloro che non si conformano ai suoi standard.
Romanini usa la tensione tra libertà e schiavitù per descrivere gli ultimi come “prigionieri della miseria”, una metafora potente che sottolinea la loro incapacità di sfuggire a una vita definita da difficoltà e stigmatizzazione. “Vittime di un’esistenza fallita” e “vittime di una vita non capita” riflettono la sofferenza di chi è costretto a vivere ai margini, non solo fisicamente, ma anche emotivamente e socialmente.
Il poema di Romanini è un atto di empatia e una chiamata all’azione, invitando il lettore a riflettere sulla vera natura della felicità e sulla responsabilità della società nei confronti dei più vulnerabili. L’opera si conclude con una nota di amarezza, suggerendo che, in un mondo che spesso celebra il successo individuale, esiste una realtà dolorosa per molti che resta invisibile. La bellezza del testo risiede nella sua capacità di spingere il lettore a considerare la complessità della vita e la vera natura della beatitudine.
Ben Tartamo
1-2-3 Novembre
Marino Spadavecchia
grazie per i tuoi commenti riesci a rendere una poesia un 'opera
d'arte soprattutto la mia ,grazie ,non solo sei un grande poeta ,ma anche un
esaminatore, indagatore, meglio dire un bravissimo osservatore della poesia
riesci a renderla reale Grazie anche a Jacqueline Miu, ottima la tua poesia : Il
canto della forza
che come un ‘onda
silente avanzi contro gli scogli
distruggi e crei, anche se non ti piace ,grazie
Mi complimento anche con Nino Silenzi
Paesaggio celeste dove la vita può anche sorridere
tra nuvole aggrovigliate, sole e vento , bella poesia nella sua unità di
contenuto , fluida e semplice .
Mi complimento con tutti i poeti per le loro belle poesie ,
a volte ricche di esperienza, di fede , di ironia, sempre con un proprio stile
in grado di dare voce alle loro emozioni
un grazie a tutti
ma il grazie più affettuoso ,profondo va a te Lorenzo per la tua grande capacità
di sopportarci , scherzo , per la tua grande capacità di accoglierci ,
come dire tu sei il nostro regista che mette in scena
i nostri sentimenti e i nostri versi , insomma ,silente e presente fai girare la
giostra del gran sito poetare grazie
Antonia Scaligine
''D'un oltretempo'' di Felice Serino
In ''D'un oltretempo'', Felice Serino ci guida verso un altrove etereo, un "oltretempo" che sembra oscillare tra il sogno e la veglia, come una sospensione che trascende il tempo e la logica ordinaria. L'immagine iniziale, "cose sconnesse senza capo né coda," evoca un regno in cui le connessioni abituali si dissolvono, lasciando il lettore in balia di suggestioni e intuizioni che scivolano tra il reale e l’onirico.
L'espressione "trattengo d'alfabeti perle d'acqua" è straordinariamente delicata e rende l'idea della bellezza e della fragilità della parola poetica, come se ogni verso fosse una goccia preziosa e rara, raccolta da alfabeti che sgorgano direttamente dalle profondità interiori. È un'immagine simbolica, quasi sacra, che eleva la poesia a un rituale di raccolta e trasformazione.
La "barca di carta su onde dipinte" è una metafora affascinante: suggerisce una ricerca creativa che naviga su mari immaginari, un viaggio pericoloso e fragile, ma colmo di sensazioni che invadono i sensi. Quella "barca di carta" può sembrare effimera, ma è tenace; il poeta, infatti, affronta l'infinito "mare aperto dei sensi," un’ardua e appassionante esplorazione dell'interiorità e della percezione.
Infine, la "luna bislacca" appare come un complice strano e surreale, una figura quasi viva che accompagna il poeta nel suo scenario d’oltretempo, con una forza che vibra di una “follia” poetica. La luna illumina questo spazio indefinito con una luce d’argento imprevedibile, che spalanca la porta a visioni e ispirazioni fatue, ma comunque essenziali per la comprensione di questa realtà oltre il tempo.
Serino ha creato una poesia densa di simboli e immagini oniriche, in cui le parole sono usate come strumenti di una ricerca esistenziale e artistica, e in cui ogni verso si fa perla, onda, bagliore. Questa lirica è un invito a chiudere gli occhi, a lasciarsi trasportare dalle correnti sensoriali e a sentirsi, per un attimo, in un universo che sfugge a ogni dimensione terrena.
''Er DNA … imbrojato'' di Armando Bettozzi
In ''Er DNA … imbrojato'', Armando
Bettozzi scolpisce un manifesto ruvido e ironico, che fa vibrare le corde
più profonde della riflessione sociale attraverso la potenza del dialetto
romanesco. È una lirica che riflette una critica profonda alla società
contemporanea, dove il "diritto" è tanto acclamato e rivendicato da far
sembrare i "doveri" un concetto antiquato, persino fastidioso.
Il "DNA," che Bettozzi pone al centro della scena, diventa quasi un codice alterato, "imbrojato," in cui i principi originari della dignità e della responsabilità si sono persi. Il DNA, che porta in sé l'essenza della vita e delle relazioni sociali, sembra ora contenere "solo er seme de tutti li diritti," come se fosse stato manipolato per servire una visione egoistica e distorta della giustizia.
Attraverso versi vivaci e ritmati, Bettozzi dipinge una folla ossessionata dai diritti individuali, ma insensibile al peso dei doveri collettivi. La massa cresce inarrestabile, un'escalation che, da un sussurro, si trasforma in un urlo, capace di "scassa' li cosi tanto che … tutto è concesso." È come se la società fosse preda di un delirio collettivo, una "manfrina" in cui il diritto diventa un mantra vuoto, un desiderio senza argini, che consuma l’essenza stessa del vivere comune.
Il poeta, con un sarcasmo pungente, rievoca un passato in cui i diritti venivano conquistati con sacrificio, col "sangue" se necessario, mentre oggi sembra essersi perso il valore dell'impegno e della misura. E proprio quando "tutto è concesso," l’individuo diventa "derelitto," perduto in un "progresso" che gli offre la libertà superficiale, ma gli toglie il senso della comunità e della reciprocità.
L’ultimo verso colpisce con la sua amarezza: chi chiede "rispetto" per i propri diritti spesso non ne ha per il "Bèr Paese," per l'Italia stessa, per la sua identità e per la sua stabilità. Bettozzi svela qui una contraddizione profonda, un dilemma che risuona nella realtà odierna con tutta la sua intensità.
Bettozzi riesce a unire il dialetto alla satira sociale in una sintesi potente, facendo di questa poesia un grido di richiamo alla responsabilità e alla consapevolezza.
''Il sogno'' di Laura Lapietra
In questa poesia breve e intensa,
Laura Lapietra ci offre un’immersione lirica nel mondo dei sentimenti
profondi, un sogno intriso di malinconia e travolgente tenerezza. ''Il
sogno'' sembra quasi voler catturare l’essenza di un amore idealizzato, in
cui il “vero amore” si manifesta come un colore che riempie l’anima di chi
sogna. C’è un pathos silenzioso, un’intimità che va oltre le parole,
incarnando una “tenerezza che travolge,” capace di sciogliere e consumare,
di “perdere” l’anima.
La poesia è un soffio sospeso tra desiderio e nostalgia, come se lo spazio dell’amore si trovasse ai confini tra sogno e realtà, in un mondo intangibile dove l’anima smarrita si abbandona alla dolcezza, ma anche alla consapevolezza del distacco. Lapietra, con grande delicatezza, crea un ritratto essenziale di questo sentimento, trasformando il sogno in un simbolo di verità che sgorga dal cuore e si incarna in un sospiro.
''Come una foglia morta'' di Salvatore Armando Santoro
In questo sonetto malinconico e
vibrante, Santoro ritrae la caducità della vita attraverso l’immagine
potente della “foglia morta” che si stacca dal ramo, emblema della fragilità
umana di fronte all'incedere del tempo e delle circostanze impreviste. La
foglia, un tempo “spavaldo” elemento della natura, si ritrova ora, in balia
del vento, incapace di opporsi alla forza della burrasca che si è abbattuta
improvvisamente. La metafora è densa di significato: simboleggia l’uomo di
fronte alla vecchiaia, alla perdita di controllo, al confronto con un
destino inesorabile.
Il linguaggio poetico evoca un quadro autunnale di grande intensità, in cui la natura si fa specchio dell’anima. La strofa finale, con la sua ricerca vana di una “chiave” che possa salvare dal tormento, amplifica la sensazione di impotenza e il desiderio di trovare una protezione contro le “burrasche” della vita. È un’immagine struggente, che amplifica la vulnerabilità dell’uomo davanti alla forza del tempo, sottolineando la bellezza e la tristezza della consapevolezza della fine.
Santoro padroneggia la forma del sonetto, guidandoci attraverso una riflessione profonda con un ritmo solenne che ben si addice al tema della caducità, rendendo questo componimento un invito alla riflessione sul nostro destino comune.
''Profezia dell’acacia'' di Guglielmo Aprile
In ''Profezia dell’acacia'', Guglielmo Aprile crea un inno alla resilienza e alla rinascita attraverso l'immagine carismatica dell'acacia in fiore, evocatrice di speranza e di mistero. Questo albero, testimone della ciclicità della natura, diventa metafora vivente del risveglio spirituale e dell’eterno ritorno. Con una voce quasi sacerdotale, il poeta implora l’acacia di “insegnargli a sperare” e descrive il suo rigoglio primaverile come una sorta di corona vivente. La sua immagine, un tempo minacciosa con i suoi “aculei”, ora si trasforma in un’emanazione di purezza e forza: “frecce bianche e dritte”, come raggi di luce, invadono il mondo, annunciando un “risveglio” imminente.
Aprile intesse elementi mitologici e naturali, creando una visione arcaica e potente di una primavera cosmica, una rinascita non solo della terra, ma dell’anima stessa. Questa profezia, dunque, non si limita al ciclo naturale, ma coinvolge un destino universale, una rivelazione profonda che si rinnova ogni anno e ci invita a risvegliarci alla nostra verità interiore. ''Profezia dell’acacia'' è una celebrazione della bellezza e della sacralità della natura, un’opera che unisce un richiamo spirituale e una liricità raffinata, e che ci porta a riconsiderare la nostra connessione con il mondo vegetale come se gli alberi fossero, davvero, nostri fratelli.
''Il ladro'' di Cristiano Berni
Con una voce audace e senza rimorsi, ''Il ladro'' di Cristiano Berni esplora la mente e il cuore di un personaggio complesso e sfuggente, un ladro che si descrive come “cleptomane per natura” e allo stesso tempo come un mito, una figura emblematica che incarna la ribellione e l’indipendenza. In questa poesia, la confessione del poeta-ladro è allo stesso tempo un’affermazione d’orgoglio e una sorta di giustificazione: l’arte del furto diventa un mestiere, una necessità esistenziale, quasi una vocazione.
Berni ci offre un ritratto affascinante di un “ladro” che, più che appropriarsi dei beni materiali, ruba attimi, fugge dalla monotonia e si nutre di “stregonerie” come se queste fossero l’unico cibo possibile per la sua anima affamata. È una figura ribelle, che pur nascendo povera ha imparato a “vender cara la pelle” e a rifiutare il perdono, a vivere nell’ambiguità morale di chi si muove tra il “bene e il male.” Il ladro non si limita a prendere qualcosa di materiale; ruba dall’ordine sociale, dal mondo dei potenti e degli “onnipotenti,” trasformandosi in un “arbitro un po’ parziale,” una figura tra l’eroe e l’antieroe.
Il linguaggio diretto e serrato di Berni, unito all’autoironia e alla profondità psicologica, crea una poesia che cattura il lettore, portandolo a riflettere sulle contraddizioni dell’essere umano e sulla possibilità di trovare dignità e poesia anche nella vita marginale, in un personaggio che si autodefinisce un mito, ma anche un ribelle per necessità.
''Paesaggio celeste'' di Nino Silenzi
In questo affascinante componimento, Silenzi ci invita a una riflessione profonda attraverso il "Paesaggio celeste", dove le nuvole, simboli di transitorietà e mutabilità, si intrecciano con desideri "sfrangiati". La visione di un cielo vasto e una "prateria" evocano non solo l’immensità del firmamento, ma anche un senso di libertà e di aspirazione. I gabbiani bianchi, "lenti solenni", si muovono con grazia, e il mare diventa metafora del "ricordo", spruzzando "memorie" come un delicato mosaico di esperienze passate.
Il sole, pur presente in modo intermittente, rappresenta la speranza, mentre il "vento beato" suggerisce un’armonia sottile tra natura e anima. Le nubi, con il loro contrasto di bianco e nero, simboleggiano le dualità della vita: gioia e dolore, luce e oscurità. Il verso finale, "E anche la vita sorride", è un’affermazione potente che suggella il messaggio di resilienza e di positività, un invito a trovare il sorriso anche nelle avversità. La poesia si erge così come un inno alla bellezza dell’esistenza e all’ineffabile legame tra cielo e cuore.
''Ti amo di un amore dolce'' di Piacentino Alessandra
Questa poesia d’amore, con il suo tono dolce e delicato, esplora le sfumature del sentimento amoroso con una sensibilità che tocca il cuore. L'autrice utilizza un linguaggio semplice ma potente, evocando immagini di tenerezza e vulnerabilità. L’amore, descritto come "la mano di un bimbo appena nato", si presenta come una ricerca fondamentale, una necessità intrinseca che ci collega alla nostra umanità.
Le metafore legate alla natura, come "rugiada e brina", e le allusioni a "stelle e lune", creano un'atmosfera incantata e mistica, dove ogni palpito è un battito del cuore stesso dell'universo. La dicotomia tra "giornate buie e pensieri freddi" e la "verità" che si rivela suggerisce un desiderio di autenticità e di illuminazione, come un faro che guida nelle notti tempestose. Il ritornello dell’amore, "ti amo così", è un'affermazione che riempie di intensità emotiva e sincerità, lasciando il lettore con una sensazione di meraviglia e di speranza. Qui, l’amore si fa poesia e la poesia diventa un canto di vita.
''les mots sont mandolines'' [le parole sono mandolini] di Carol-Ann Belzil-Normand
In questa breve e incisiva poesia, l’autrice ci offre una meditazione sulle parole, elevate a strumenti musicali, a mandolini che vibrano nel silenzio. Il concetto di isolamento è una metafora potente: le parole, quando sono sole, possono sembrare vuote, ma in un contesto di desiderio, diventano "multiformi", ricche di significato e sfumature.
L’invito a riflettere sul potere e sulla versatilità del linguaggio è palpabile; ogni parola può essere una melodia, capace di risuonare con le emozioni più profonde. La scelta del termine "mandolines" evoca un’armonia melodica, suggerendo che le parole, per essere realmente vive, necessitano di un contesto e di un’interazione. La poesia si fa così un inno alla bellezza della comunicazione e all’arte di esprimere l’inesprimibile, abbracciando la dualità del silenzio e del suono, dell’isolamento e del desiderio.
La traduzione di questa poesia non fa altro che enfatizzare il potere espressivo e la musicalità delle parole, un tema che ricorre nell'opera di Belzil-Normand. Qui, la versione italiana mantiene intatta la semplicità e l’eleganza dell’originale francese, sottolineando il legame intrinseco tra il linguaggio e la sua capacità di evocare emozioni e visioni.
Come nella versione originale, il confronto tra l’isolamento e il desiderio rivela la profondità del significato che le parole possono racchiudere. L’idea che le parole possano essere mandolini non è solo una metafora per il suono, ma anche per la risonanza emotiva che esse portano con sé. In questo modo, la poesia diventa un richiamo a esplorare le nostre relazioni con le parole e a riconoscerne il potere di dare vita ai nostri sentimenti più reconditi.
''Camminerò… o mare'' di Franco Fronzoli
Con "Camminerò… o mare", Fronzoli ci offre una poesia che si dispiega come un delicato manto di onde, evocando un’immagine di intimità e connessione profonda con l’elemento marino. La scelta della "sabbia di un mare eterno" ci trasporta in un luogo di calma e riflessione, dove la spuma delle onde si fa carezza, simboleggiando il tocco gentile della natura sulla pelle dell’anima. Qui, il mare diventa un confidente, un compagno di viaggio che accoglie e trasmette emozioni, un’entità viva in cui si riflettono le gioie e le nostalgie dell’esistenza.
Le "orme" cancellate dalle onde rappresentano la transitorietà della vita, un richiamo poetico alla caducità dei momenti e delle esperienze. Le "illusioni" e le "delusioni", portate via dal vento, suggeriscono una vulnerabilità e una ricerca di liberazione da pesi inopportuni. Fronzoli dedica al mare, "irrequieto e avvolto dalla luce di un silente tramonto", le sue più belle canzoni, come se la poesia stessa fosse un canto di amore e gratitudine verso la vastità e il mistero dell’esistenza.
La visione di un "mare di mille colori" che si specchia nel cielo sereno riempie il lettore di meraviglia, creando un’atmosfera quasi onirica. Ogni passo vicino al mare diventa una celebrazione di vita, un’ode alla bellezza e alla serenità che si può trovare anche in mezzo all’inquietudine. La chiusura, con l’immagine di un poeta che si siede su uno scoglio, abbraccia l’infinito del tempo, mentre il volo di mille gabbiani danza nel cielo, evoca una sensazione di libertà e di eternità, un invito a contemplare la magnificenza del presente.
''Attacchi'' di Carlo Chionne
Con "Attacchi", Chionne ci conduce in un viaggio profondo nell’oscurità e nella resilienza dell’anima umana. L’autore affronta il tema delle avversità con una schiettezza che colpisce, rivelando la vulnerabilità insita nella condizione umana. Gli "attacchi della vita" sono tanti e variegati, ma l’affermazione "Finora li ho respinti tutti quanti" svela una forza interiore e una determinazione, un invito a resistere di fronte alle sfide quotidiane.
Tuttavia, l’ombra del "solo uno" che "farà davvero male" introduce un senso di inquietudine e di ineluttabilità, suggerendo che, per quanto si possa combattere, ci sarà sempre una battaglia finale da affrontare. Questa riflessione sulla mortalità è intrisa di un realismo crudo, e il lettore è chiamato a riflettere sulla fragilità della vita e sulla certezza della sua conclusione.
La ripetizione di "sarà … mortale"
risuona come un eco, sottolineando il peso di questa consapevolezza.
Chionne, con la sua penna incisiva, riesce a trasmettere la complessità del
vivere, l’eterna lotta tra resistenza e resa, una danza tragica che si snoda
nell’intimo della psiche. In questo poema, la vulnerabilità diventa un atto
di coraggio, e l’autore invita il lettore a riconoscere la bellezza anche
nei momenti più difficili, trasformando la sofferenza in una parte
integrante della nostra esistenza.
''Il canto della forza di Jacqueline Miu
In "Il canto della forza", Jacqueline Miu ci regala un’affascinante meditazione sul potere e sulla dualità dell’essere, incarnato nella figura dell’onda. L’autrice ci invita a immaginare un'entità che avanza "silente contro gli scogli", suggerendo una forza naturale che è al contempo delicata e devastante. La metafora dell’onda si fa portatrice di un "canto della forza", un inno che celebra la resilienza e il coraggio, rivolto a chi affronta le proprie battaglie interiori, gli "martiri" della vita.
La frase "non saprai mai come mi chiamo" evoca una certa enigmaticità e l’idea che l’identità possa essere fluida e indefinita, proprio come il mare stesso. Qui, Miu suggerisce che l’essenza dell’onda trascende i nomi e le etichette, diventando un simbolo di grandezza. L’onda è vista come un "oceano" per chi "pensa in grande", un'entità imponente che può essere percepita come una minaccia per chi ha "radici leggere", un richiamo alle responsabilità e alla solidità degli esseri umani che si radicano nel bene.
Il contrasto tra distruzione e creazione si riflette nel verso "io distruggo e creo", un potente riconoscimento della dualità della vita e della creatività che emerge dal caos. Miu esprime anche la tensione interiore che accompagna questa forza, con la consapevolezza che il suo potere non sempre porta "pace". La poesia si erge quindi come un atto di celebrazione della vita, della lotta e della bellezza intrinseca nel flusso e riflusso dell’esistenza, invitando il lettore a riflettere sulla propria forza interiore e sulla complessità del vivere.
''Lisistrata'' di Piero Colonna Romano
Con "Lisistrata", Piero Colonna Romano ci regala una reinterpretazione vivace e incisiva della celebre commedia di Aristofane, infondendo una nuova vita ai temi della guerra, del potere e della femminilità. La poesia si apre con un ritratto di donne stanche e frustrate, "poverine", le cui tasche sono "piene" ma non di soddisfazione. Qui, l’autore stabilisce il contesto di un'Atene assediata dalla guerra, in cui gli "eroi" si dedicano a battaglie che non portano a nulla, lasciando le donne a sperimentare un magone, un dolore profondo e inesprimibile.
Lisistrata, figura centrale e carismatica, emerge come una leader rispettata, ma anche come simbolo della resistenza femminile. La sua determinazione di fronte alla mancanza di amore e soddisfazione porta a un'azione audace: il sequestro dell'Acropoli e la proclamazione di uno "sciopero del sesso". Con questo gesto radicale, Colonna Romano ci invita a riflettere sul potere che le donne possono esercitare nella società, un potere che nasce dalla loro capacità di unire le forze per un obiettivo comune.
La narrazione si snoda attraverso un linguaggio incisivo e colorato, ricco di ironia e di profondità. La critica sociale è evidente quando l'autore descrive l’oro che finanzia le guerre e il disguido delle donne che non comprendono subito il valore del loro sciopero. Lisistrata, saggia e astuta, riesce a coinvolgere le sue compagne con parole che risuonano nel profondo, invitandole a riflettere sull'importanza della loro danza e dell’amore negato.
Il passo successivo porta a una mossa strategica: l’invio di Mirrina per "eccitare" i mariti e poi lasciarli a secco, un gesto di astuzia che simboleggia il potere seduttivo e manipolativo delle donne in un mondo dominato dagli uomini. La rappresentazione di ambasciatori subdoli che cercano di piegare le donne alla loro volontà diventa un momento di tensione e conflitto, evocando la battaglia interiore tra desiderio e resistenza.
Ma è il discorso appassionato di Lisistrata che cambia le sorti della storia. La sua voce chiara e forte ricorda a tutti che "la Grecia unita solo nella pace" è un ideale da perseguire. Con un richiamo alla storia e alla speranza, Colonna Romano celebra il potere della parola e della determinazione, ponendo fine al "triste cataclisma" che affligge Atene.
Questa opera non solo rielabora un classico, ma rinnova l'importanza del messaggio originale, evidenziando il coraggio e la resilienza femminile. L’analisi dei temi dell'amore, della guerra e della pace in chiave contemporanea rende "Lisistrata" un canto attuale e significativo, capace di coinvolgere il lettore in una riflessione profonda sulla condizione umana e sulle dinamiche di potere.
''C'é voluto del tempo'' di Ciro Seccia
In "C'é voluto del tempo", Ciro Seccia ci guida attraverso un'introspezione profonda e sincera, un viaggio di accettazione e riconciliazione con se stessi. L'apertura della poesia mette in evidenza un conflitto interiore, dove il poeta si descrive come il "più feroce critico" di se stesso, evidenziando il peso del giudizio altrui e l'impatto che questo ha avuto sulla sua vita. La ripetizione della frase "c'è voluto del tempo" funge da mantra, sottolineando il lungo processo di crescita personale e di autoaccettazione.
Il percorso di Seccia è caratterizzato da una lotta contro le aspettative esterne e una ricerca di autenticità. La consapevolezza che "ero giudicato" diventa un punto di svolta, liberandolo dalle catene del giudizio altrui. La poesia si evolve in un inno alla clemenza e al lasciarsi andare, un invito a smettere di ascoltare le critiche distruttive e a perseguire ciò che è giusto per il proprio benessere. Qui, il lettore percepisce un graduale passaggio da un'esistenza condizionata a una vita vissuta con intenzione e libertà.
Il finale della poesia, che si chiude con un'affermazione di maturità e accettazione, porta con sé un senso di sollievo e liberazione. L'esperienza del tempo, con tutte le sue sfide e insegnamenti, diventa una chiave per la crescita e la serenità interiore.
''Novembre'' di Antonia Scaligine
In "Novembre", Antonia Scaligine esplora la complessità del mese che segna il passaggio dall'autunno all'inverno, un tempo caratterizzato da una natura mutevole e da riflessioni esistenziali. La poetessa descrive un novembre che è "mutabile" e "non certo amabile", una stagione di contrasti in cui bellezza e bruttezza si intrecciano. Con il suo stile vivace, Scaligine ci presenta un panorama atmosferico in cui il sole e la pioggia coesistono, creando un'atmosfera di incertezza e di continua transizione.
Le immagini delle "nuvole a pecorelle" e delle "foglie" cadenti evocano una natura che si trasforma, riflettendo il ciclo della vita e la caducità delle cose. Tuttavia, dietro questa bellezza naturalistica si nasconde un tono di malinconia e inquietudine. La poetessa denuncia le difficoltà della vita moderna, descrivendo un mondo in cui "disonestà e guerra" rendono difficile l'esistenza. Il riferimento a San Martino e al suo mantello diventa simbolico di un'umanità in difficoltà, divisa tra le necessità quotidiane e le incertezze del futuro.
Il passaggio alla dimensione del sacro, con la menzione dei "Santi", introduce una riflessione sulla vita e sulla morte. Scaligine evoca scene di lutto e commemorazione, unendo il quotidiano e il trascendente. Le "candele accese nei cimiteri" e i "fiori e ceri" sulle tombe portano il lettore a confrontarsi con la fragilità della vita e la inevitabilità della morte, enfatizzando la sua capacità di trasformarsi in un "metro" che misura la nostra esistenza.
La poesia si chiude su una nota di accettazione del destino comune che ci attende, suggerendo che ogni "ultimo viaggio" è un atto di passaggio che unisce tutti gli esseri umani. Con un linguaggio evocativo e ricco di simbolismo, Scaligine ci invita a riflettere su temi profondi e universali, facendoci sentire parte di un ciclo più grande.
''La parete nord'' di Roberto Soldà
In "La parete nord", Roberto Soldà dipinge un’immagine metaforica del viaggio interiore, usando l’alpinismo come simbolo di sfide e aspirazioni. Con un linguaggio semplice ma incisivo, il poeta ci guida attraverso la sua onestà e vulnerabilità, rivelando che, pur non essendo un alpinista esperto, riconosce l'importanza della direzione e della determinazione nella vita.
L'incipit, con la dichiarazione "Mi no son on alpinista", stabilisce immediatamente un tono di autenticità e umiltà. L’assenza di conoscenza sull'“alpinismo” diventa un allegoria per la vita stessa, dove le pareti rappresentano le sfide quotidiane. La "parete nord", in particolare, evoca l’idea di ostacoli difficili da affrontare, simbolizzando le prove più ardue che tutti noi ci troviamo a dover scalare, sia fisicamente che emotivamente.
La riflessione sulla propria esperienza di attaccarsi a queste “pareti” esprime una connessione profonda tra l’individuo e il contesto della sua esistenza. La ripetizione di "tante tante volte" non solo sottolinea la perseveranza, ma anche il senso di frustrazione e di impotenza che può accompagnare le nostre lotte. La metafora dell’"ostrica sullo scoglio" è particolarmente potente: essa suggerisce la lotta per trovare stabilità e successo nonostante le avversità, un’immagine che evoca sia tenerezza che resilienza.
Concludendo, Soldà riesce a trasformare un'esperienza personale in un messaggio universale, evidenziando come ognuno di noi, in un modo o nell’altro, sia costretto a confrontarsi con le proprie "pareti". L'invito finale a non arrendersi, ma a cercare la vetta, è un richiamo all’ottimismo e alla forza interiore che ci permette di superare le difficoltà della vita. In questo modo, la poesia diventa un inno alla perseveranza e alla continua ricerca di crescita personale.
''Croci di luce'' di Ben Tartamo
In "Croci di luce", Ben Tartamo ci conduce attraverso un paesaggio emotivo intriso di simbolismo e riflessione esistenziale. La poesia si presenta come un viaggio interiore, dove le “croci” diventano emblemi del dolore, del sacrificio e del passare del tempo.
L’apertura della poesia, “Hanno piantato un’altra croce nel mio petto,” colpisce immediatamente per la sua intensità e il suo drammatico coinvolgimento. Qui, l’immagine della croce, tradizionalmente simbolo di sofferenza e redenzione, viene usata per esprimere un carico emotivo che si accumula, suggerendo una vita segnata da esperienze dolorose. Il “petto” come sede del dolore rimanda a una vulnerabilità profonda, un luogo dove si accumulano non solo le ferite fisiche, ma anche quelle psichiche e spirituali.
La seconda riga, “sulle altre è scesa la sabbia del mio tempo", introduce un elemento temporale che è al contempo lirico e drammatico. La “sabbia” evoca l’idea di un tempo che scivola via, suggerendo che ogni croce portata sul petto contribuisce a una pesantezza esistenziale, come un'eco di ricordi e perdite. La metafora del tempo che si accumula come sabbia sottolinea la fragilità dell'esistenza, in un contrasto netto con la solidità delle croci.
In “Di ognuna ho serbato il dolore e lo sgomento,” l'autore esprime un’introspezione che rivela la complessità dell’esperienza umana. Qui il tono si fa quasi elegiaco, sottolineando l’importanza di ciascuna croce come parte della propria storia personale. L'uso del termine “sgomento” introduce una dimensione di sorpresa e di impotenza di fronte alla vita, come se ogni croce fosse un momento di crescita attraverso la sofferenza.
La transizione nella quarta riga, “Giorno dopo giorno, la vita si sconta morendo,” rappresenta un passaggio profondo e quasi surrealista. Qui si evidenzia la natura ciclica della vita, un continuo "scontare" il proprio esistere, come se la vita fosse un debito che si accumula nel tempo. La potenza di questa immagine evoca il concetto di mortalità e l’ineluttabilità del destino umano, con una dolcezza tragica che permea l’intera composizione.
Il verso finale, “ma il fiume scorre, e il sole non si è spento,” introduce una nota di speranza e resilienza. Il fiume, simbolo di continuità e cambiamento, suggerisce che, nonostante le sofferenze e le croci portate, la vita continua a fluire. La menzione del sole, che non si è spento, rappresenta una luce che persiste, un invito a riconoscere la bellezza e la vita anche in mezzo al dolore.
In conclusione, "Croci di luce" è una poesia che, pur affrontando tematiche di profonda sofferenza, riesce a mantenere una dimensione di speranza e resilienza. Tartamo combina magistralmente elementi di simbolismo, metafore suggestive e una metrica che scorre come un fiume, creando un effetto emotivo potente e riflessivo. La sua scrittura invita il lettore a esplorare le proprie croci, a riconoscerle come parte integrante del viaggio umano, ma anche a trovare nel fluire del tempo e nella luce del sole le ragioni per continuare a sperare e a vivere.
Con sentimenti di sincero affetto e stima per ognuno di voi poeti e poetesse e il più vivo ringraziamento per le emozioni donatemi dalla lettura recitata di ogni vostra opera. Sentimenti che amplio per il nostro prof. De Ninis alias Nino Silenzi per aver reso possibile questo fantasmagorico scintillio creativo senza dimenticare il caro e validissimo Pietro Colonna Romano di cui ci mancano i suoi commenti pregni di profondità interpretativa.
Vostro Marino Spadavecchia
28-31 Ottobre
Cara Jacqueline,
le tue parole scivolano come oro fuso,
accarezzano la mente come un vento profumato di terre lontane
e mi lasciano nel cuore la dolce inquietudine di un viaggio senza confini.
Leggerti, è come ascoltare una musica che parla dritta all’anima,
il ritmo di chi sa che la letteratura è carne e sangue, emozione e tormento,
un universo che respira con il respiro dei
poeti, degli audaci esploratori della parola.
Hai colto in pieno l’essenza di questo tempo,
dove troppo spesso la superficie ruba il trono alla profondità,
e i libri – ahimè! – sembrano più vetrine che scrigni di sogni.
Eppure, tu ci ricordi con ardore
che la vera magia della scrittura si cela dietro ogni copertina,
nel fuoco sacro di chi ha il coraggio di nutrire le anime con la sua stessa essenza.
Che bellissimo destino è il nostro, Jacqueline,
quando accettiamo di diventare umili giardinieri delle emozioni,
di piantare semi di eternità in ogni frase,
consapevoli che forse solo pochi li
vedranno sbocciare.
La tua visione mi travolge, e mi unisco al tuo grido:
Sì, che le biblioteche siano aperte per chiunque,
che i libri tornino ad essere quel porto sicuro,
quel rifugio dal tempo che fugge!!!
E come te, io sogno un mondo
in cui non si debba più scegliere fra il commercio e la verità,
un mondo dove le copertine scintillanti
lascino il posto a pagine intrise di vita,
di quell’alchimia capace di farci viaggiare in mondi invisibili,
di vivere cento, mille vite oltre la
nostra.
Continuiamo a sognare, Jacqueline,
e a credere che persino in mezzo al fragore di copertine vuote,
la letteratura sappia ritrovare la sua strada verso il cuore.
E noi, umili servitori della parola, ci saremo sempre,
pronti a far brillare la bellezza nelle notti più buie,
a scrivere storie che possano sopravvivere
al tempo come piccoli miracoli.
Con affetto e profonda, eterna complicità,
nell'afflato della Bellezza, Dono immenso di Dio,
ti stringo con il triplice bacio e abbraccio.
Ben Tartamo
Per i sitani e prima dei commenti:
L’Estetismo monarchico di una letteratura crepuscolare
La letteratura ha una fase sua evolutiva, dove il culto dei letterati puri è sostituita non solo da altri letterati ma anche dai vandali inventori di “spicciolerie” e celebrati dagli editori. In questa marcata assenza di profondità, si naviga a occhio verso copertine meno succulenti ma a parte il culto del classico, poco resta. Ho notato (senza scendere in pedanti particolari) l’azzardo di grandi editori nel riproporre ai sacri testi dei poeti romantici – nuove traduzioni, lacunose e spesso piene di errori grammaticali. Di chi fidarsi? Dell’intuito perché in coscienza credo che lo scrittore di spessore fatichi a trovare se non a gomitate coi rapper, un posto sullo scaffale delle librerie.
L’estetica va per la maggiore, la copertina laccata in oro e per gli ignoranti in materia editoriale, carattere 18 per aumentare le pagine di un libro che non ne avrebbe nemmeno cinquanta. La qualità potrebbe esserci ma quando nella letteratura parliamo di qualità, parliamo della trasposizione di un’anima nella scrittura.
Parlo di evoluzione perché pure sull’immondizia nascono i fiori, quindi mi aspetto di trovare il genio nella copertina scialba di un autodidatta in cui la sfida delle cellule grigie è nell’arena della lettura dall’inizio alla fine dell’opera. Uno scrittore non deve essere un mendicante di parole che deve scrivere qualunque cosa pur di far soldi. Non è il “meaning” della scrittura. Noi siamo eroi capaci di sovrastare il tempo con le nostre opere e con l’ingegno. Siamo al mondo per nutrire le anime con emozioni che ci bruciano nelle viscere. La bellezza del libro non sta nella sua copertina ma nel viaggio verso un punto ignoto con l’anima di un autore capace di travestirsi, di affascinare, di trovare la chiave del nostro cuore pur non avendoci mai visto. Sarà una frase logora e strausata ma: il minimalismo è la veste del puro la cui opera converge col suo credo. Chi cerca buona letteratura non cerca belle parole ma l’anima. Cerca un autunno ricco di frutti, una favola che resta intesta e continua per conto proprio. Un libro al posto di una pastiglia per il mal di testa e biblioteche aperte di notte per tutti. Oramai adeguati al progresso questi istituti seguono orari prestabiliti, ma il lettore deve essere libero di scegliere il proprio tempo di lettura, il fedele libero di scegliere se andare in chiesa di notte… s’è persa la fiducia o si è perduto l’amore per il tempo lento, tempo dedicato al nostro bene percepito da attività senza scopo di lucro. La cultura, l’amore per essa, diventano circoli chiusi, un poco come i parchi chiusi di notte, come i cimiteri e mi domando, lo facciamo a causa dei vandali? A causa di una volontà di limitare le responsabilità lavorative di chi opera nel settore? Chissà. Oramai ha un prezzo persino pensare fuori dalla propria casa, girare di notte fa paura, gli alberi sono pochi e le libreria incompetenti società che vendono copertine, non più le librerie degli amanti della lettura che sapevano consigliarti cosa leggere…
Voi come la pensate?
Miu
La vita
La vita che ha origine dal granello di sabbia e poi via, via, evolve si disperde nel nulla per poi rinascere. Per l’ispirato Franco fronzoli, la vita è tutto e niente che insieme creano un equilibrio melodico e ben bilanciato.
Franco Fronzoli
La cruna
Ricordo bene il successo del “Il paradiso può attendere” e la sua trascinante storia (film leggero che modestamente consiglio)
Sarà mai banale il pensiero che Ade o Eden sono entrambi in Terra? sempre in chiave ermetica e con l’amo ben teso, Felice Serino gioca bene le carte del mortale e se pensate che bluffi beh, vi sbagliate di grosso. Le sue carte sono sempre vincenti, o quasi.
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virgolettato: film di Warren Beatty e Buck Henry
16.2.24
Felice Serino
Gogyohka
Gogyohka è una forma poetica giapponese di cinque versi, senza titolo. A differenza del tanka, Gogyohka non ha restrizioni sulla lunghezza della linea.
Una ricerca di innocenza e purezza in questa poesia in cui l’autrice Laura Lapietra si arma di conoscenza di forme letterarie giapponesi.
Laura Lapietra ©
Dove sei ora?
Per ritrovare quel ricordo, il grande poeta Renzo Montagnoli indaga negli abissi del proprio cuore. Un amore di gioventù che defibrilla ancora il palpito e riporta alla luce un sorriso capace di scaldare l’autunno della vita. Sono poi le acque dei ruscelli o la natura sposata altre forme di piante o monti che sposano per antonomasia, questa poetica tanto malinconica, quanto salutare.
Da La vecchiaia
Renzo Montagnoli
Urlo d'amore
Smarrimento poetico con grido d’amore annesso, una ricerca senza una traccia e “la chiamata” non esaurisce le energie di questo innamorato senza tempo. Lui sovrasterà ogni ostacolo, a patto lei gli mandi il segnale – anche con un urlo.
enrico tartagni
E miele sarà
Una storia d’amore in cui questo poeta dichiara di non volere essere una macchina del sesso ma una anima capace di irradiare luce e sensibilità sulla propria prescelta.
Davide Paglionico
Canti sciamanici
Complesso di versi ristorativo e contemplativo della storicità umana che impressiona e rafforza il patto con gli amati alberi. Sono opere pittoriche
Da Quando gli alberi erano miei fratelli.
Teofanie silvestri
Guglielmo Aprile
T’amo d’un amore senz’anima
Ostaggio e protagonista di questo amore tatuato sull’anima. Una combattuta emotività da cui si assorbono forti emozioni dipinte con pennellate quasi “furiose”.
Da « Amarsi mentre tutto cambia »
Piacentino Alessandra
[un'idea errata del reale]
Una perla poetica “favoleggiare del tragico” e nemmeno un sermone avrebbe più appiglio sulle anime, come sempre delizia per il palato raffinato dei lettori di pura poesia, l’opera regalata da Nino Muzzi non è mai una qualsiasi è “quella”. Ringrazio Nino Muzzi per la passione che ci mette nel farci leggere delizie dalla natura inversa alla nostra e probabilmente (a volte) persino più evoluta (poeticamente). Il lignaggio poetico è dunque un’aura intorno all’emozione in cui siamo trasportati con l’opera. Ottima scelta di Nino Muzzi.
Carol-Ann Belzil-Normand traduzione di Nino Muzzi
La casetta
Richiami nostalgici all’amata terra e soprattutto a quel cuore rosso, alla nonna con occhi color carbone e la cartolina di una campagna sulla riva del canale. Emozioni dense di pathos che tengono accesa la fiamma di un passato pieno di cari ricordi.
Da Il peso dell'anima
Roberto Soldà
Oltre
Le difficoltà reali, gli ostacoli, il dolore di ogni giorno e le ferite umane sono nulla confronto alla “mancanza”. Condizione che determina e rende insostituibili le anime a noi care o gli affetti perduti. L’ispirata Sandra Greggio non offre cortesie al dolore o al tempo, se privata del sostanziale nutrimento dell’anima, lei parla apertamente togliendo al “ diavolo” il suo potere.
15 novembre 2022
Sandra Greggio
"Quando si fa sera"
La fede trasportata con la preghiera per purificare e rassicurare l’anima di questo devoto poeta.
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8ottobre24
Ben Tartamo
Donna, Vita, Libertà
Donne e libertà per le strade di Teheran, è ciò che il Poeta canta e noi ci uniamo alla sua melodia di fratellanza e libertà per queste anime sacrificate a una fede rigida, fede nate nel paese che ha visto la crescita commerciale, la bellezza delle prime incantevoli metropoli, la matematica e la filosofia. Verrà il tempo in cui cancellati gli ottusi e i dittatori le donne dell’Iran saranno libere. Il poeta ha abilità di coniare versi di struttura storica non solo umana.
Carlo Chionne
Porto cupo
(aprile 2018)
Prendo questa ultima strofa che ben dipinge la realtà italiana sconfitta dai disastri politici che mangiano dalla sanità, dalla ricerca, dalle scuole, dall’immigrazione. Da sempre Battagliero Piero Colonna Romano ci aiuta ad aprire gli occhi che spesso guardano dove gira il collo e il collo gira a convenienza per tutti quanti.
Porto cupo è nel futuro
e così, con buona pace,
da padella, ed era duro,
or cadremo nella brace
di un Paese morituro.
Da …Intricati Pensieri…, Nelle nebbie
Piero Colonna Romano
Vorrei morire fra le braccia tue
anche fosse solo un sogno.
Un cigno dal canto muto questo amore ventricolare che resetta l’animo malinconico del Poeta Alessio Romanini durante il sogno. La liberazione e la forza della passione danzano su una unica melodia. peccato per l’arrivo dell’alba che allontana (mannaggia) la chimera.
Alessio Romanini
Ringrazio l'uomo che ha reso tutto questo possibile, il Magister Lorenzo. Ringrazio Piero Romano Colonna per il pilastro della dottrina che è fondamento del sito. Ringrazio tutti voi per le bellissime letture che mi rendono più forte e sempre più convinta che la bellezza non sta in un lavoro o in una poesia o in una sola persona, ma nell'idea di un grande immaginario armonico e conviviale che ci unisce. A tutti un augurio di buona salute e forza mentale. Siate operosi come le api.
Miu
25-26-27 Ottobre
Per i sitani e prima dei commenti
Quale animale, albero, opera lirica o libro vi rappresenta?
Siamo ciò che leggiamo. Siamo anche molto di più di questo. Siamo resilienza e immaginario che offrono ostacolo ai disagi della vita e chi on ha? Le vostre opere sono un animale, una pianta, una stagione, una canzone, io almeno le traduco così. Mi sforzo di capire cosa mi può comunicare il cuore di chi ha scritto e cosa fare di quel messaggio?
Le anime che combattono per le proprie idee, le anime che non combattono per le proprie idee ma trovano chi le aiuta a farlo, le anime che generano una luce curativa con le loro opere, sono anime che nascono ovunque e possono essere chiunque tranne, quando creano e allora sono speciali e uniche. Io personalmente mi trovo bene con gli abissi. La pressione esorbitante delle acque e della gravità, i fondali che a prescindere il mortale peso, creano vita. Gli abissi non si nascondono, è difficile scoprirli, trovarne i segreti, raccontarli… Pericolosi, seriosi, inquietanti, quanto misteriosi, immensi, sognanti. So di avere scelto una cosa difficile ma chi di noi non ama cose agli altri repellenti, o discutibili…
Vorrei chiamare la vostra attenzione sulla prova di resilienza degli italiani, il coraggio di trovare lavori sempre più brevi e meno sicuri, la fede nella propria fortuna per portare pane in tavola, il buonismo concilianti con l’inflazione che ha portato un litro di latte e un litro di benzina allo stesso prezzo e questo durante l’attuale governo. Tacerò commenti propri che abuserebbero del vostro tempo e mi scaraventerebbe nel ventre di un Ade da cui so di non potere uscire da sola, ma spero ci sia qualcuno che combatta per obiettivi di base quali: la libertà di parola, la democrazia, la liberta di gestione del proprio corpo, e la sopportazione della protuberanza bubbonica quale è l’uscita in pensione in età avanzata. Trovo nel 2024 una poca evoluzione e poco investimento nella ricerca, nella rinascita delle arti… voi cosa pensate?
Miu
[aspiro una cosa]
aspiro una cosa
L’ennesimo gioiellino letterario che Nino Muzzi ci porta. Artista del Quebec che esprime musicalmente un sentimentale rapporto con la propria esistenza. Grazie ancora a Nino Muzzi, e al tuo talento inimitabile nello scovare veritiere opere d’arte letteraria.
Carol-Ann Belzil-Normand traduzione di Nino Muzzi
Notte
Una introduzione luminosa sulla scia del “Bright Star” di Keats, poi ampliata da versi ancora più suggestivi dell’ispirato Franco Fronzoli che unisce lo stellato alla forza dell’amore e tutto diventa di un unico romantico colore che traccia emozioni, davvero spente nel tempo?
Franco Fronzoli
Qualcosa puà ancora accadere
sempre nutri i tuoi scheletri…
C’è della magia nella poetica di Felice Serino, lo conferma questo incipt che va dritto al cuore del poema. Difficile copiare quella sferica energia che potenzia i suoi scritti ora sulla scia dell’ermetismo più puro, ora sulla stoicità collaudata di un autore che rende grazia e giustizia alla propria cultura.
15.2.24
Felice Serino
Trappola Nel Labirinto Digitale
L’amore digitale esiste? Ce ne parla la poetessa Laura Lapietra che narra con la sua intensa penna della difficoltà di esporsi, di credere e di creare emozioni brucianti che non siano banali in un mondo sempre più escluso dal reale che confida nell’etere. Mode? Necessità? Viviamo nuove dinamiche sentimentali che nascondono pericoli ma anche sorprese.
Laura Lapietra ©
I due prigionieri
Lei non ha sostenuti i sogni del poeta e lui la rinnega, scavando per lei un memoriale nell’abisso della storia personale. Ora guarito, Santi Cardella cerca solo il mite conforto di una mano calma che lo accompagni fino alla fine.
Santi Cardella
"Vivian"
Il ricordo di un amore che ha lasciato il suo segno nella memoria del poeta. Una fanciulla piena di gioia e di vita, paragonata a un’ape che succhia il nettare di un fiore, o a una vivace farfalla. Cristiano Berni s’illumina con questi versi dedicati alla fugace magia creata da una creatura oramai diventata chimera.
Cristiano Berni
Pioggia
Una contemplazione stagionale in questa lirica fresca del prezioso Nino Silenzi che si arma di verso per liberare la pioggia e mettere a riposo la scenetta tra i due uccelli nella loro interpretazione dell’autunno. Poetica contrapposta al fuoco autunnale di un Stevenson ci dirigiamo verso la gradazione melanconica e nel substrato emotivo del creatore d’immagini.
Dalle colline al mare
Nino Silenzi
Le metamorfosi
Trascinati dall’incantesimo degli arbusti è dal loro decifrare pittorico della vita, viviamo fiabe custodite dagli alberi e ci immergiamo nelle biblioteche nascoste tra i canneti. Narrazioni suggestive che il bravo Guglielmo Aprile porta su un piano superiore dell’esistenza.
“la terra dorme ma è viva, e creature
senza numero nel suo cuore sacro
racchiuse in forme molteplici ospita”.
Da Quando gli alberi erano miei fratelli.
Teofanie silvestri
Guglielmo Aprile
A di amore
Un mondo freddo non può opporsi a un amore che crea la propria identità in un viaggio organizzato oltre l’orizzonte percepito dalle masse. La A maiuscola è portatrice sana di un fuoco poetico che la brava Piacentino Alessandra riesce a domare e vivere nonostante la realtà intorno non sappia andare oltre la sua gelida maschera.
Piacentino Alessandra
Fiume Stige
(Fiume dell'odio)
Come trovare un potere divino per seccare lo Stige? Usando la poesia o la forza dei versi. Alessio Romanini conosce bene la natura brutale delle acque che portano al Limbo e se seccasse come verrebbero traghettate le anime impure? Che fine farebbe Caronte? Interessante poesia.
[Fiume Eunoè (Fiume di invenzione dantesca-
Canto XXVIII del Purgatorio.)
Significa “Memoria del bene”]
Alessio Romanini
Il punto interrogativo
Al tramonto la natura scompare e all’artista restano altre montagne da scalare, quelle esistenziali. Ironica la chiusa che delizia e toglie un poco della fatica emotiva che si condivide con l’ottimo Roberto Soldà.
E io che sono ancora qui
a scalare altre montagne
mi metto a masticare
una radichetta dolce.
Da Il peso dell'anima
Roberto Soldà
Luce
Il presagio che accompagna la vita di questa autrice, diventare una stella ma non una qualunque, una umanizzata, sensibile e leggermente malinconica. Bella la premessa e molto impegnativa la chiusa che non si toglie mai di dosso, i sentimenti che armano il cuore di chi si specchia nel proprio io e cerca di ricrearsi con solo l’ausilio dei versi.
25 aprile 2022
Sandra Greggio
Quando le R si rafforzano nel teRRore della gueRRa
La tragedia della guerra in Palestina si estende anche in questa sofferta e vera poesia della più che sintonizzata coi fatti Antonia Scaligine.- L’autrice non vuole essere fonte di verità assoluta ma vuole creare una bandiera di pace con versi che valgono più di tutte le armi.
Antonia Scaligine
"La sapienza dell’acqua"
Acqua madre della vita e in questo contesto, mistero che accoglie Dio nel suo infinito segreto mondo che non siamo ancora chiamati a decifrare.
La materia qui sposa la fede del poeta e il potere generato da entrambi sono la chiave del pathos originale durante 8probabilmente) la creazione del mondo. Ma sarà così?
7ottobre24
Ben Tartamo
Bambini … paradisi in terra
L’innocenza del bambino è il vero Paradiso in Terra. Mai versi furono più meritati dalla vita. La gioia che un bambino offre con la sua naturalezza, la sua visione chiara delle persone è pari solo a un Eden sorridente e felice.
Fausto Beretta
Non si salvi chi puo’ ma salviamoci tutti
L’amarezza incontra l’ironia ed entrambe sono generate da un uomo pagato per fare un lavoro che svolge a parole, mentre l’Italia è sommersa da acque – forse l’onorevole vuole che diventiamo tutti dei pesci.
Carlo Chionne
La peste
(maggio 2018 - consultazioni-)
I vecchi imbroglioni e giullari che fanno accordi per governare - mali che ancora oggi viviamo sulla nostra pelle e se non ci fossero i poeti , dei diavoli non parlerebbero nemmeno i giornalisti – qui tutti mangiano se hanno le poltrone per gli altri resta solo “guardare la televisione”
(* l'afflitto Mattarella ** Di Maio *** Salvini)
Da …Intricati Pensieri…, Nelle nebbie
Piero Colonna Romano
Per poi cadere
Lascio per me solo le estremità … mamma mia che versi!!!
L’amore che ci fa toccare il cielo e poi ci fa precipitare, ah quel fuoco, quella magia e poi quel dolore. il poeta le ha sentite tutte queste emozioni e sembra di stare sulle montagne russe, dove il precipitare è violento.
(Perdersi)
24/10/24
Ciro Seccia
Ringrazio l'uomo che ha reso tutto questo possibile, il Magister Lorenzo. Ringrazio Piero Romano Colonna per il pilastro della dottrina che è fondamento del sito. Ringrazio tutti voi per le bellissime letture che mi rendono più forte e sempre più convinta che la bellezza non sta in un lavoro o in una poesia o in una sola persona, ma nell'idea di un grande immaginario armonico e conviviale che ci unisce. Grazie a Ben Tartamo per il suo impegno e valore nel commentarci. Siate operosi come le api.
Miu
- "Aspiro una cosa" di Carol-Ann Belzil-Normand
Vorrei ringraziarvi sentitamente.
22-23-24 Ottobre
Desidero ringraziare vivamente i commentatori del sito, che così bene colgono il significato delle mie poesie, lavoro non sempre facile ma da loro eseguito in modo egregio. Grazie di cuore.
Sandra Greggio
"Respirare accanto alle persone che amo" di Alessandra Piacentino
Questa poesia evoca una forte sensazione di vulnerabilità e desiderio di connessione. La pioggia diventa simbolo di una tristezza che penetra nel cuore, quasi come un assalto che colpisce l’anima. Il contrasto tra la ricerca di un "respiro amico" e la realtà di una perdita - "mi han portato via il passato" - suggerisce un dolore intimo e una nostalgia per relazioni perdute. La ripetizione di "assalti" crea un ritmo incalzante, enfatizzando la lotta interiore del soggetto. La poesia si conclude con una nota di solitudine, sottolineando il bisogno di presenza e supporto, rendendo palpabile la tensione tra il desiderio di vicinanza e l'isolamento.
"[laissez-vous enivrer]" di Maude Veilleux
In questa composizione, l’autrice gioca con il linguaggio in modo provocatorio e surreale. La poesia sembra un invito a lasciarsi andare alle emozioni, nonostante la malinconia. Le immagini del sapone e del "veicolo ideale del désespoir" creano una sensazione di straniamento, come se il lettore fosse guidato in un viaggio tra il desiderio e la disillusione. La contemplazione e il trascendentalismo emergono come possibili vie di fuga, mentre la presenza delle piante che muoiono suggerisce una riflessione sulla fragilità della vita. Il desiderio di "asportare i tatuaggi" per conservarli nel formaldeide è un’immagine potente che parla di memorie persistenti, mentre il "nulla" rappresenta un vuoto esistenziale. La poesia è ricca di introspezione e invita a esplorare le contraddizioni della vita.
"T’amo di un amore che non conosco" di Franco Fronzoli
In questo poema, l’amore è descritto in termini evocativi e viscerali, con immagini che oscillano tra il tangibile e l’intangibile. La dolcezza della primavera contrasta con la nostalgia, mentre l’amore è paragonato a elementi naturali come il mare e i sorrisi dei bambini. La ripetizione di "ti amo" costruisce un senso di continuità e profondità emotiva. La clessidra del tempo, simbolo di scorrere inesorabile, pone il lettore di fronte all’evoluzione dell’amore stesso, rendendolo tanto eterno quanto fugace. L’immagine finale dei bambini che crescono racchiude una sorta di ciclo vitale, sottolineando che l’amore, sebbene possa mutare, resta una costante. La poesia si chiude con un'affermazione potente: "Ed ora più che mai t'amo", lasciando un senso di speranza e resilienza.
"Haiku" di Bruno Amore
Questo haiku, con la sua concisione, riesce a evocare un’immagine potente in poche parole. La lucciola, simbolo di bellezza e fragilità, è accostata a "fiochi i lampi", suggerendo una luminosità tenue e fugace, che contrasta con il dinamismo della "fresca sera". La natura, presente e palpabile, sembra riflettere stati d’animo e atmosfere emotive. La semplicità del linguaggio non sottrae intensità; al contrario, amplifica la meraviglia di momenti effimeri, catturando l’essenza della contemplazione e della vita che scorre.
"Una potenza inconsapevole" di Enrico Tartagni
Questa poesia è un viaggio complesso e intenso, ricco di immagini potenti e concetti astratti. L’autore esplora il tema del tempo e della sua influenza sulla vita umana, utilizzando una lingua quasi metafisica. La "potenza inconsapevole" che domina il tempo suggerisce una forza misteriosa e inevitabile, mentre le "leggende alla storia" evocano l’intersezione tra mito e realtà. La riflessione su "infiniti aborti" e "tribunali d’ogni colore" tocca la vulnerabilità umana di fronte alle sue scelte e alle conseguenze. La poesia, con il suo tono quasi filosofico, invita il lettore a contemplare la propria esistenza e il significato del tempo, rendendo evidente come ogni attimo possa essere carico di significato e di "parole nuove".
"Un attimo e il lampo" di Felice Serino
Questa poesia è intensamente evocativa e carica di emozione. L’immagine del "ragazzo bruciato sul ciglio della notte" si fa simbolo di una realtà dolorosa e di un amore complesso, descritto come "malato". Il riferimento a Mary, con la sua dichiarazione di possesso e la lotta interiore, offre uno spaccato di vulnerabilità. La "lama" rappresenta una dualità: la violenza e il coraggio, il desiderio e la paura. L’idea di "un attimo" e il "lampo" di luce suggerisce un momento di rivelazione, di crisi, di bellezza e di sofferenza che si intrecciano. La poesia si conclude con una nota di impotenza, evidenziando la tensione tra il desiderio di cambiamento e la difficoltà di affrontare la propria interiorità.
"Cuori farciti" di Marino Spadavecchia
Questa poesia si apre con un’immagine evocativa e quasi paradossale: "Cuori farciti" che riflettono una condizione di sofferenza e stagnazione. L'idea di un cielo di "stelle vergini e giurate" suggerisce purezza e speranza, ma anche una sorta di illusione. La dicotomia tra "respira, ma non vive" esprime una profonda inquietudine esistenziale, evidenziando la differenza tra l’esistenza fisica e quella emotiva o spirituale. Le "fisarmoniche sguerce" diventano simbolo di una vita piena di dissonanza, appese a un "muro di cartapesta", che rappresenta fragilità e precarietà. La poesia esplora temi di alienazione e la ricerca di significato in un mondo intriso di dogmi e illusioni, lasciando il lettore con una sensazione di impotenza ma anche di riflessione profonda.
"Azzurro, o nuvoloso" di Armando Bettozzi
Questa poesia è un’intensa meditazione sul cielo e sulla natura, con un tono contemplativo che evoca la bellezza e l'assenza. L’azzurro del cielo, pur essendo bello, è descritto come "monocolore", suggerendo una mancanza di varietà e vitalità. L'assenza di nuvole e di "ali bianche" crea un’atmosfera di immobilismo e di desolazione. La comparazione del cielo a un "mare piatto" senza vento è particolarmente efficace, evocando una sensazione di stagnazione e apatia. L’immagine del "piatto vuoto" riassume il desiderio di completezza e ricchezza, sottolineando l'importanza delle esperienze condivise. La poesia riesce a catturare la complessità delle emozioni umane di fronte alla bellezza della natura, lasciando un senso di nostalgia per ciò che è mancante.
"Mini Haibun" di Laura Lapietra
Questo haibun (forma di scrittura giapponese che combina la prosa e l'haiku) celebra il lavoro e la passione di una madre, creando un legame intimo tra la figura materna e l'arte del cucito. Le "prime gocce di sudore" evocano il sacrificio e l’impegno, mentre la sartoria diventa un luogo di creatività e bellezza. La descrizione di "stoffe e fantasie" trasmette una sensazione di vita e colore, in contrasto con il sudore che rappresenta il lavoro duro. L’immagine della madre che si perde "nello spazio e nello spirito" mette in luce la dedicazione e la connessione emotiva con il suo lavoro. Il verso finale, con l’elemento naturale della "madre in estate", unisce il tema della maternità a quello della creazione, esprimendo una meravigliosa celebrazione della femminilità e della creatività.
"Umanità senz'anima" di Salvatore Armando Santoro
Questa poesia è una meditazione intensa sulla condizione umana e sull’esistenza. L’uso di immagini naturali, come "acqua sorgiva" e "salice", crea un legame tra il ciclo della vita e le emozioni dell’autore. La prima parte esprime un desiderio di vita e creatività, mentre la seconda affronta l'incertezza e il peso del passato. L’incertezza che "m'assale" suggerisce una vulnerabilità profonda, evidenziando come le paure e le tristezze siano parte integrante della vita. La fuga nel "rifugio" della poesia diventa un atto di resistenza contro la follia e l’inevitabilità della morte. La riflessione finale sulla parola che "silenziosa giace" esprime una sorta di impotenza di fronte al mondo, rendendo il tutto intensamente emotivo e profondamente umano.
"Regno di Pan" di Guglielmo Aprile
Questa poesia trasmette un senso di meraviglia e connessione con la natura. L’autore evoca una dimensione magica, in cui gli alberi diventano testimoni di storie umane. Ogni albero è carico di simbolismo: il mandorlo rappresenta l'attesa, il gelso il patto d’amore, mentre altri alberi portano con sé storie di punizione e trasformazione. L’immagine degli alberi come "labbra" che parlano di un tempo sacro è particolarmente potente, suggerendo che la natura stessa custodisce memorie e saggezze dimenticate. La poesia invita a una riflessione profonda sulla connessione tra l’uomo e la natura, richiamando un’epoca in cui il mondo naturale era considerato sacro.
"Driadi" di Guglielmo Aprile
Questa poesia continua il tema della connessione tra uomo e natura, introducendo la presenza delle driadi, spiriti dei boschi. L'autore riesce a creare un'atmosfera incantata, in cui i volti tra i rami e le "labbra insinuanti" delle driadi suggeriscono un'interazione vivace e misteriosa. Il fiume, con il suo "monotono monologo", diventa una metafora della comunicazione naturale, un linguaggio che, pur non essendo compreso, risuona in modo profondo. La poesia si chiude con una nota di ecologia emotiva e spirituale, esprimendo un forte legame con la terra e le sue creature. C’è un senso di meraviglia nell’osservare come la vita possa manifestarsi in forme inaspettate, rendendo i boschi un luogo di bellezza e mistero.
"Aborto" di Ciro Seccia
Questa poesia affronta un tema delicato e complesso con una profondità emotiva che colpisce. L'immagine del "battito di un bimbo" e delle "urla silenziose" evoca una sensazione di vulnerabilità e impotenza. L'atto di essere "strappato alla vita" è reso in modo potente e tragico, evidenziando la brutalità del processo di aborto. L’uso della parola "rifiuto" suggerisce una disumanizzazione dell’esperienza, creando una tensione tra il desiderio di vita e la realtà del dolore. La poesia si presenta come un appello a riconoscere la vita nascente, rendendo il lettore consapevole della complessità e della gravità della scelta. È un lavoro che provoca riflessione e suscita empatia.
"Il primo mese d'autunno" di Alessio Romanini
Questa poesia celebra la transizione dall'estate all'autunno, ricca di nostalgia e malinconia. L’immagine dell'estate che "splende" a settembre trasmette un senso di bellezza effimera, mentre le "chimere abbandoni" evocano la perdita e la fine di un ciclo. Il contrasto tra il calore estivo e l'arrivo del freddo autunnale si riflette nel ritorno delle scuole e nelle illusioni dei giovani. La sinfonia delle foglie suggerisce una connessione profonda con la natura e il tempo che passa. La poesia riesce a catturare l'essenza di un momento di passaggio, invitando il lettore a riflettere su come i cambiamenti stagionali possano influenzare i nostri sentimenti e le nostre esperienze.
"La vigna" di Roberto Soldà
Questa poesia in dialetto veneto offre una visione intima e personale della vendemmia, un momento di celebrazione e lavoro. L'immagine dell'uva "pronta da vendemmiare" è carica di simbolismo, rappresentando la conclusione di un ciclo e il frutto di anni di cura. La dolcezza dell'uva è paragonata a "poche dolci parole", suggerendo un parallelismo tra la vita e l'espressione poetica. La descrizione della vite come "solitaria" e "strana" riflette una condizione di isolamento e introspezione. La frase finale, che menziona l’argilla che "fa urlare", evoca un senso di desolazione, richiamando l’attenzione sulla perdita e sull’assenza. Questa poesia invita a riflettere sulla connessione tra l’individuo e la natura, nonché sulle sfide personali che accompagnano i cicli della vita.
"Luce-Ombra" di Sandra Greggio
Questa poesia gioca con la dualità di luce e ombra, utilizzando il profumo come metafora sensoriale. La richiesta di essere "inondati" dal profumo suggerisce un desiderio profondo di connessione e intimità. La ripetizione del verbo "voglio" esprime urgenza e necessità, mentre l’immagine del profumo che "penetra" anche nei luoghi in cui "non giunge mai il sole" suggerisce un’intensità che va oltre il fisico, raggiungendo l’anima. La poesia riesce a catturare il desiderio di una presenza avvolgente e quasi trascendentale, esprimendo una tensione tra il bisogno di luce e la consapevolezza dell’oscurità. È un inno alla sensualità e alla ricerca di un amore che illumina anche gli angoli più bui dell’esistenza.
"Pensiero" di Antonia Scaligine
Questa poesia esplora il concetto di pensiero in un modo molto dinamico e vivido. L’idea che dal "niente fiorisce" suggerisce un processo creativo e l'emergere di emozioni. La sfida tra idee e concetti, rappresentata dal gioco di parole "chiara/mente", mette in evidenza la complessità del pensiero umano. L’autrice usa immagini di movimento e fluidità, come il "greto oscillante", per descrivere il modo in cui i pensieri si formano e si trasformano. La lotta per liberarsi dalle convinzioni è palpabile e rivela una ricerca di autenticità. La notte e i sogni rappresentano uno spazio di libertà e riflessione, dove il pensiero può incrociarsi con la fantasia. La conclusione, che suggerisce una circolazione di immagini "per la vita", esprime una speranza di rinnovamento e crescita attraverso la creatività.
"Amori veri, nel tempo" di Fausto Beretta
Questa poesia celebra la bellezza delle relazioni autentiche e durature. L’uso di aggettivi come "veri" e "belli" evidenzia la qualità profonda di questi legami. Le immagini delle "dolci ondine" e dei "mari rasserenati" evocano tranquillità e serenità, suggerendo che queste relazioni sono una fonte di gioia e stabilità. La ripetizione della domanda "perché negarli?" pone l’accento sull’importanza di riconoscere e apprezzare questi legami, trasformando la poesia in un inno alla semplicità e alla genuinità dei sentimenti. La conclusione sull’infinito che vive in noi offre una nota di speranza e continuità, sottolineando l'eterna presenza dell'amore.
"Su e giù" di Carlo Chionne
Questa poesia affronta con ironia e cinismo le dinamiche politiche e sociali legate a un viaggio in Albania. Il tono sarcastico si percepisce nei riferimenti a una "gita organizzata" e a una "buffonata", mettendo in discussione la legittimità di certe decisioni governative. La domanda finale rivela un senso di disillusione nei confronti delle autorità, creando un contrasto tra l’apparente leggerezza del viaggio e il sottotesto critico delle politiche pubbliche. Questa poesia invita a riflettere sulle motivazioni e le conseguenze delle azioni politiche in un contesto contemporaneo.
"piccoli diavoli con il defibrillatore per peccati" di Jacqueline Miu
Questa poesia è una critica sociale profonda e provocatoria, che usa immagini forti e surreali per esprimere un senso di alienazione e impotenza. La figura dei "piccoli diavoli" evoca un'umanità in balia di epidemie sociali, mentre il contrasto tra il "desiderio" e la "prostituzione" delle emozioni mette in luce la superficialità delle relazioni moderne. La descrizione della vita urbana come un "embolo di chimere" suggerisce una sensazione di oppressione e confusione. La denuncia della passività di fronte ai problemi sociali, espressa nella frase finale, è incisiva e invita il lettore a riflettere sulla necessità di una vera azione.
"Pasquinate n°3" di Piero Colonna Romano
Questa serie di poesie utilizza il verso satirico per criticare vari aspetti della società contemporanea, dall'autoritarismo alle questioni di fede e famiglia. Ogni strofa affronta un tema diverso, rivelando un approccio provocatorio e irriverente. Le immagini forti, come quelle legate ai vaccini e alla famiglia "formata da maschietti e femminelle", evidenziano le tensioni culturali attuali. La struttura di pasquinata consente all’autore di esprimere una critica acuta in modo giocoso e pungente, rendendo la poesia accessibile e coinvolgente.
un affettuoso saluto ed un vivo ringraziamento a tutti i poeti con espressioni vive di stima al prof. De Ninis per quanto ha reso possibile fino ad oggi.
Ben Tartamo
19-20-21 Ottobre
Qualcuno in mezzo a quei rami mi parla – Guglielmo Aprile
In questa poesia, Aprile ci introduce in un mondo sospeso tra l'ordinario e il sacro, dove la natura si rivela come una presenza vivente, animata da una forza misteriosa che ci sfugge, eppure ci tocca profondamente. Le divinità "nascoste sotto il vegetale inganno" ci riportano alla dimensione arcana e sacra dell'albero, che è allo stesso tempo simbolo di vita e depositario di segreti antichi.
Le "membra umane" che potrebbero riemergere dagli alberi richiamano una profonda connessione tra l'uomo e la natura, una reminiscenza delle origini mitiche dell'umanità. Non possiamo ignorare il parallelo biblico dell'Eden, dove l'albero è testimone della caduta e della redenzione dell'uomo. Qui, Aprile sembra suggerire che gli alberi sono testimoni e custodi di una saggezza perduta, in grado di riconquistare la loro forma umana, ma solo a nostra insaputa. Questo velato riferimento a una possibilità di trasfigurazione introduce un tono quasi escatologico, dove la redenzione e la rivelazione sono sempre possibili, ma non a chi cerca di penetrare il mistero con occhi profani.
Il poeta ci invita a vedere il mondo naturale non come semplice paesaggio, ma come interlocutore silente. "Un miraggio del sole" o "uno scherzo del vento" possono diventare epifanie, rivelazioni della presenza di un amico invisibile, di un Dio che si cela dietro la trama del creato. C'è una dolce malinconia in questo riconoscere i "cenni, ammiccamenti" tra i rami e nelle ombre, segni di una presenza divina che sembra sfuggirci, ma che non è mai del tutto assente.
Alla base di questa poesia vi è una profonda teologia della creazione: il mondo, per Aprile, è un oracolo, un messaggero che ci parla della mente divina "in preda alla mania". Qui l’eco delle parole di San Paolo, secondo cui "la creazione geme in attesa di essere liberata", sembra vibrare tra le righe, suggerendo una tensione tra il visibile e l'invisibile, tra la realtà e l'oltre. Aprile ci invita a non essere ciechi di fronte a questi segni, a leggere la natura come una parabola, una finestra sull’eterno.
Culto dell’albero – Guglielmo Aprile
Questa poesia è un inno agli archetipi, una celebrazione di quella che potremmo chiamare "la religione primordiale", dove gli alberi non erano solo creature della natura, ma manifestazioni divine, colonne portanti del mondo. Aprile qui ricostruisce con straordinaria efficacia il legame sacrale tra l'uomo e l'albero, facendoci rivivere le antiche venerazioni dei nostri antenati, quando ogni albero era un padre, un saggio, un portatore di oracoli.
Il frassino, l'abete, il cedro, la quercia e la betulla sono molto più che semplici nomi botanici: in queste figure si condensano i miti e le leggende delle culture antiche. La scelta del frassino, per esempio, non è casuale: è l’albero cosmico della mitologia norrena, l’Yggdrasil, che tiene insieme i mondi. L’immagine del frassino che "svetta sui mari del Nord" e "a suo arbitrio le briglie scioglie o incatena dei fulmini" evoca una potenza divina che trascende la natura stessa. Questo ci ricorda che gli antichi non vedevano gli alberi come entità statiche, ma come esseri dotati di volontà e potere.
La figura del cedro, che "lamento di un dio rimasto imprigionato nel suo tronco", assume un significato profondamente cristologico. Non possiamo non vedere qui un parallelo con la Passione di Cristo, colui che, pur essendo Dio, accettò di essere inchiodato su un legno, crocifisso, per redimere l’umanità. Il lamento del dio intrappolato nel cedro è un simbolo struggente della condizione umana, una condizione di esilio e sofferenza in attesa della redenzione.
In questa poesia, ogni albero rappresenta una virtù, una qualità divina. La betulla, "la figlia della luna", è la figura virginale, simbolo di purezza e di rivelazione, che offre il suo nettare come fonte di vita. Questo ritorno all'albero come simbolo di resurrezione ("mette foglie ogni anno dal suo scheletro") ci riporta al cuore del messaggio cristiano: dalla morte, dalla desolazione, nasce la vita, il segreto dell'eternità si rivela nel ciclo perpetuo della natura.
Aprile si sofferma sull'immagine dell'albero come "vertice dell’equilibrio tra i mondi". Questo asse invisibile che tiene uniti cielo e terra è il fulcro della spiritualità cosmica, il punto di connessione tra il divino e l’umano. L'albero, con le sue radici che affondano nell'abisso e i suoi rami che si protendono verso l'etere, è il simbolo perfetto di questa dualità. In questo senso, è il mediatore tra la vita e la morte, tra il sacro e il profano, un simbolo del ponte che l'uomo è chiamato a percorrere per avvicinarsi a Dio.
Esplode il vento – Piacentino Alessandra
Questa poesia ha un vigore quasi primordiale, in cui il vento assume una dimensione cosmica, capace di sconvolgere non solo il mondo esterno, ma anche l’interiorità del poeta. Il vento qui non è solo un fenomeno atmosferico: è la forza creatrice e distruttiva che attraversa l’esistenza umana. Il foglio che viene sollevato dal vento diventa il simbolo della vita creativa del poeta, un diario riempito di "frasi, sonetti, metamorfosi e versi". La scrittura, come il vento, è un movimento perpetuo, una continua trasformazione che cattura le emozioni e le trasforma in parole.
Il "cavallo" dentro il poeta è una potente immagine del suo spirito indomito, che corre libero nel vento, mosso da passioni e desideri. Il vento non è quindi solo un elemento esterno, ma una forza interna che guida l'anima attraverso paesaggi metaforici di emozioni e pensieri. Questa "orchestra in pineta" diventa un coro naturale, un accompagnamento musicale che sottolinea il passaggio del tempo e l'armonia tra l’uomo e il cosmo.
L'esplosione del cuore nella "soffitta di emozioni" è un'immagine poetica che allude al peso delle esperienze accumulate nel tempo. La soffitta, spesso associata al passato e ai ricordi, è qui il luogo dove le emozioni, conservate e nascoste, emergono con forza. L'intero testo si muove tra momenti di grande intensità, esplosioni di sentimenti, e una calma lunare, rappresentata dalla "luce della luna" che si inchina al mare. C’è un gioco continuo tra il dinamico e il statico, il travolgente e il contemplativo, che riflette la natura mutevole della vita e dell’arte poetica stessa.
Les souvenirs – Isabelle Duval (traduzione di Nino Muzzi)
In questa poesia, Duval esplora il tema della memoria come qualcosa di invasivo, che si insinua in ogni parte della nostra esistenza fino a modificare la nostra percezione del presente. I "ricordi" qui sono entità vive, capaci di riempire l’orizzonte e di trasformare il percorso della vita in qualcosa di nuovo, di diverso. L’immagine dei ricordi che "si deposita fin dentro alle ossa" evoca una corporeità della memoria, un peso che si fa sentire non solo nella mente, ma anche nel corpo stesso.
La strada che "parla per noi" è una metafora della vita e del tempo. Il sentiero diventa un linguaggio fragile, una comunicazione che non sempre comprendiamo. In questa fragilità si riflette l’incertezza dell’esistenza, il fatto che i ricordi, sebbene costituiscano una parte di noi, ci sfuggano nella loro piena comprensione. Il sentiero non solo ci accompagna, ma ci tiene per mano e, in un gesto quasi ironico e amaro, ci "sputa in faccia". Questo duplice atto rappresenta la dualità dei ricordi: ci confortano e ci tormentano, ci accompagnano ma ci mettono anche di fronte alle nostre fragilità e contraddizioni.
La lingua di questa poesia è volutamente semplice, ma ricca di sottotesti che rivelano una profondità esistenziale. La memoria non è un processo lineare né comprensibile, ma un continuo ondeggiare, una presenza costante che plasma la nostra percezione del mondo. Duval riesce a catturare la complessità del rapporto con il passato, in cui il ricordo è allo stesso tempo amico e nemico, custode della nostra identità e fonte di disagio.
Nella versione italiana di *Les souvenirs*, tradotta da Nino Muzzi, ritroviamo la stessa delicatezza del testo originale. Il traduttore riesce a mantenere la stessa atmosfera sospesa e introspettiva, conservando l’idea di un passato che si fa presente, che modifica il nostro cammino. "Il sentiero parla per noi", ma la "lingua fragile" di cui parla potrebbe anche essere la lingua del cuore, della psiche, che spesso non trova parole per esprimere la complessità di ciò che viviamo.
L'immagine dei "ricordi" che "ci sputa in faccia" acquisisce in italiano una tonalità quasi più ruvida e concreta, ma altrettanto efficace. In questa rudezza si intravede la brutalità della memoria, che ci ricorda ciò che vorremmo dimenticare e, allo stesso tempo, ci mantiene ancorati alla nostra storia personale. La traduzione restituisce con grande fedeltà il senso di precarietà e fragilità esistenziale che attraversa il testo, un sentimento di non completa padronanza di ciò che siamo e di ciò che ricordiamo.
Ti guardo – Franco Fronzoli
In questa poesia, Franco Fronzoli ci offre una rappresentazione struggente di un addio che non viene mai dichiarato apertamente, ma che si sente in ogni verso, in ogni immagine evocata. Il tema della contemplazione è centrale: il poeta guarda, osserva, senza aspettarsi nulla in cambio, e questo sguardo è pervaso da una dolcezza rassegnata. La persona amata si allontana, non solo nello spazio ma anche nel tempo, verso un luogo sconosciuto, rappresentato da un orizzonte "di luce soffusa". C’è una delicatezza nel descrivere la bellezza e l’eleganza di questa figura, che diventa quasi un’apparizione fugace, destinata a svanire "nell'infinito".
L’uso delle foglie d’autunno che volteggiano nel vento riflette il movimento della vita stessa: tutto è destinato a passare, a trasformarsi, e l’amore, come le foglie, viene portato via dal vento verso l’ignoto. La poesia, nella sua semplicità, riesce a trasmettere un senso di perdita e di silenziosa accettazione, dove il poeta non tenta di fermare l'inevitabile, ma lo contempla con una sorta di serena malinconia. Questo è un dialogo muto con il destino, un’esplorazione del tempo e dei desideri che, come in una giostra, ruotano intorno all'infinito senza mai potersi realizzare appieno.
Haiku – Bruno Amore
Questo haiku di Bruno Amore segue la tradizione classica del genere, condensando in poche parole una scena naturale che invita alla meditazione. La "goccia" che cade dalla gronda e le "nubi che passano via" sono immagini semplici ma potenti, che rimandano all’impermanenza della vita. Il "chiaro meriggio" rappresenta un momento di calma e di chiarezza, una pausa tra il flusso costante delle cose.
In queste tre righe, l'autore riesce a catturare l'essenza di un momento che, pur essendo transitorio, lascia una traccia nella mente e nel cuore di chi osserva. L'haiku è un invito a fermarsi e ad apprezzare la bellezza dell'effimero, a trovare la pace nell’accettazione del mutamento, proprio come le nuvole che passano via nel cielo sereno.
Ho visto il bene e il male – Giuseppe Stracuzzi
Giuseppe Stracuzzi ci offre una profonda riflessione morale sul dualismo tra bene e male, due forze opposte ma inseparabili, che convivono nell’animo umano. La poesia esplora la natura ambivalente delle scelte umane, in cui il "bene" e il "male" sono rappresentati come abiti che indossiamo a seconda delle circostanze. L'idea che il bene e il male vivano "nella latebra delle opzioni" suggerisce che ogni scelta è un compromesso, un atto di bilanciamento tra forze contrastanti.
La crudeltà, l'intolleranza e la meschinità si contrappongono alla pietà, alla tenerezza e alla carità, e Stracuzzi riesce a trasmettere l'idea che l'essere umano è capace di entrambi. Il male appare "elegante" e il bene "umile", ma è proprio nella semplicità del bene che risiede la sua forza. La poesia invita a una riflessione profonda sulla natura delle nostre azioni e delle nostre intenzioni, e su quanto sia facile, a volte, indossare "l'abito più buio" senza renderci conto delle conseguenze. Ma allo stesso tempo, la presenza del "buono" ci ricorda che l'umanità ha sempre la possibilità di scegliere la compassione e l’altruismo, anche nelle situazioni più difficili.
Hank – Enrico Tartagni
Enrico Tartagni ci presenta una poesia intensa e frammentata, in cui la figura di "Hank" – che può essere vista come una rappresentazione simbolica di una figura eroica, ribelle o disillusa – si staglia come un'anima errante in bilico tra il cielo e l'inferno. La ripetizione del nome "Hank" funziona come un richiamo costante, quasi un'invocazione, ma allo stesso tempo suggerisce una distanza incolmabile tra il poeta e la figura evocata. Hank, ormai morto, sembra aver trovato una nuova prospettiva, in grado di vedere "l'infinito / dietro l'eterno", uno spazio che noi vivi possiamo solo immaginare.
Il testo si snoda in una serie di immagini potenti e surreali: Hank pesca con le mani nel mare, piange su un iris come un "diadema d'eroe", si confronta con la "viltà violenta del mondo". La poesia, con il suo linguaggio irregolare e spezzato, esprime una sensazione di alienazione e di perdita, mentre Hank diventa una figura quasi mitica, un petalo di rosa posato sulla terra, fragile eppure pieno di significato.
Tartagni mescola elementi di spiritualità con accenni di disillusione, creando un ritratto di un'anima tormentata ma anche libera, in un continuo dialogo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, tra l'azione e la contemplazione. Hank è allo stesso tempo un eroe tragico e un uomo comune, una rosa e un guerriero, e la sua morte non è solo una fine, ma un ingresso in una nuova dimensione, eterna e infinita.
Attendo suoni – Antonietta Ursitti
Nella poesia di Antonietta Ursitti, il tema dell'attesa è centrale. C'è una sorta di sospensione, un momento di quiete in cui la natura sembra trattenere il respiro. Gli alberi, simboli di stabilità e saggezza, "si contano fole" e parlano di tempi passati, ma ancora vivi nelle loro "voci squillanti". L’autrice ci guida in un mondo silenzioso, dove però tutto ha un significato, e solo chi ascolta con attenzione può cogliere le "verità" nascoste tra le foglie.
Questa poesia ci invita a riflettere sull'importanza dell'ascolto, non solo quello uditivo, ma un ascolto più profondo, spirituale. La narrazione della natura, con la sua saggezza millenaria, diventa un modo per connettersi con il passato, ma anche per comprendere il presente. Le foglie, che non lasciano tracce evidenti, sono il simbolo di un sapere sottile, effimero, che tuttavia è sempre presente e accessibile a chi è disposto a cercarlo.
Il tono meditativo e la delicatezza delle immagini suggeriscono un senso di comunione con la natura, una riflessione su come il tempo scorre e le voci del passato possano ancora insegnare e ispirare chi è disposto ad ascoltare. C’è un senso di pace e di quiete, ma anche una profonda malinconia per ciò che è stato e non tornerà più.
Paesaggio triste – Nino Silenzi
Il titolo stesso di questa poesia di Nino Silenzi prepara il lettore a un’immersione in un mondo di desolazione e malinconia. Il paesaggio che ci descrive è spoglio, ridotto all'essenziale: le tife, ingiallite dalla morte imminente, i canali solitari, le acque melmose che si trascinano lentamente, le stoppie grigiastre. Ogni dettaglio contribuisce a creare un’atmosfera di abbandono, di decadenza naturale, che rispecchia la fine di un ciclo vitale.
La natura sembra chiedere perdono, in uno scenario dove la morte è imminente e inevitabile. Gli uccelli affamati che si posano sulle stoppie, le strisce di nebbia leggera che filtrano i raggi del sole, tutto concorre a trasmettere un senso di oppressione e di tristezza. Il "cielo malato" è il culmine di questa visione: il mondo stesso sembra afflitto da una malattia che avvolge ogni cosa in una foschia grigia e deprimente.
La luce, che "infiochisce" verso la fine della poesia, è l’immagine di una speranza che si spegne, di una vita che lentamente cede al buio. Eppure, nel descrivere con tanta cura questo paesaggio desolato, Silenzi riesce a trasmettere una bellezza sottile, nascosta nella tristezza stessa, come se anche la morte e la fine avessero un loro posto naturale nell'ordine delle cose.
Nightmare – Felice Serino
La poesia Nightmare di Felice Serino è un’immersione vertiginosa nel subconscio, dove il sogno si fonde con la realtà in un tentativo disperato di liberazione. Il protagonista, lanciatosi dall’Empire State Building, cerca di sfuggire alla gravità, sia fisica che esistenziale. In questo gesto estremo di volo e sospensione, si avverte la volontà di staccarsi dal "peso" che lo trattiene alla terra, un’immagine potente della fuga dalla sofferenza e dai vincoli terreni.
La poesia esplora il tema della caduta e del desiderio di liberazione spirituale, dove il sogno diventa un campo di battaglia tra la vita e la morte. Nonostante il suo corpo sia sospeso nel "senzatempo", il risveglio lo riporta a una condizione di disorientamento: il cuore non si trova più, forse simbolo della perdita di sé, dell’anima o dell’essenza vitale. *Nightmare* è un canto oscuro e suggestivo, dove il sogno diventa il riflesso di una ricerca fallimentare di libertà, intrisa di una paura sotterranea e universale.
Choka – Laura Lapietra
Il ''Choka'' di Laura Lapietra è una delicata esplorazione della bellezza e della purezza dell’infanzia. Attraverso un linguaggio intimo e riflessivo, la poetessa cattura lo "stupore" che emerge dalle "dolci parole", espressioni innocenti che risuonano come un "vibrante suono" nel cuore di chi le ascolta. Il contrasto tra l’innocenza dell’infante e le "cupe albagie" suggerisce la tensione tra la purezza dell’infanzia e le oscurità del mondo adulto.
La poesia, con la sua struttura di brevi versi, evoca una malinconica riflessione sulla perdita: ciò che l’infante rappresenta, ovvero l’innocenza perduta, è qualcosa che la voce poetica ha smarrito nel tempo. Il ritorno "tra le braccia materne" diventa una metafora per il desiderio di ritrovare quella parte di sé che è stata dimenticata, e che solo nell’infanzia era così viva. Questo *Choka* è un esempio perfetto di come, attraverso pochi versi, si possano esprimere emozioni complesse e profonde.
Nulla turba il silenzio delle notti – Cristiano Berni
La poesia di Cristiano Berni, *Nulla turba il silenzio delle notti*, è un canto malinconico e ricco di suggestioni notturne. Attraverso la ripetizione del verso "Nulla turba il silenzio delle notti", Berni ci introduce in una dimensione sospesa, quasi fuori dal tempo, dove l’oscurità regna incontrastata. Le notti, con il loro silenzio misterioso, sono teatro di passioni e contrasti, dove Eros esplode e i corpi si avvinghiano, ma anche dove il sangue di Cristo viene versato in un’immagine di sacralità e sofferenza.
L’autore, con sapiente maestria, ci guida in un mondo di simboli: la Luna, le Stelle, Chopin che suona un "Notturno", tutto contribuisce a creare un’atmosfera rarefatta, quasi onirica. Le notti di Berni sono il luogo dove la fantasia si mescola con la realtà, e dove i poeti trovano ispirazione. C’è una dolcezza velata di malinconia in queste immagini, che culminano nella consapevolezza che, nonostante tutto il tumulto emotivo che si cela dietro le quinte, nulla disturba veramente il silenzio sacro della notte.
Con questa poesia, Berni ci invita a riflettere sul silenzio, non come assenza, ma come contenitore di tutte le emozioni e i pensieri umani, un silenzio che cela la vita, la morte e tutto ciò che sta in mezzo.
Tramonto a Piombino – Salvatore Armando Santoro
''Tramonto a Piombino'' di Salvatore Armando Santoro è una lirica semplice e intensa, che cattura un momento di contemplazione solitaria di fronte al mare, tra la potenza della natura e una riflessione intima sul senso dell’esistenza. Il poeta, che dichiara di non essere solito pregare o credere nei santi, si arrende alla forza di un tramonto che suscita in lui un moto spontaneo di preghiera.
La poesia dipinge con delicatezza la scena: il cielo plumbeo, l’onda che sbatte contro la scogliera, il freddo della sera e il vento maestrale che soffia gelido dall'Elba. Questi elementi creano un’atmosfera austera e solenne, dove la natura sembra prendere il sopravvento sull’anima umana, portando il poeta a un raro momento di introspezione. L’ultimo sole che si distende sulle onde, con la sua luce residua, sembra portare una tenue gioia che illumina la serata, ma anche un sottile invito a riflettere sull’ineluttabilità del tempo che passa.
La poesia rivela una fusione armonica tra il paesaggio esterno e il mondo interiore del poeta, dove la bellezza del tramonto si specchia in una preghiera che, anche senza fede religiosa, è comunque un atto di resa alla maestosità della natura.
Pasquinate n°2 – Piero Colonna Romano
Con ''Pasquinate n°2'', Piero Colonna Romano ci offre un ironico commentario politico, vestito della tradizione delle pasquinate, brevi satire che prendono di mira i potenti del momento. In questo caso, l’oggetto delle critiche sono i protagonisti della scena politica italiana durante il governo giallo-verde: Salvini, i 5 Stelle e Conte.
La satira mordace del poeta si manifesta attraverso versi brevi e pungenti, dove Salvini emerge come un burattinaio, mentre i 5 Stelle, a cui pensavano di essere fratelli morali, vengono dipinti come infantili e ingenui. La politica viene descritta come un gioco di potere dove Conte, il premier di allora, è ridotto a una pedina che gli altri utilizzano per i propri fini. Il tema della "rinascita" del fascio, con Salvini nel ruolo di duce, è esposto in modo tagliente, e il sarcasmo si intreccia con una profonda disillusione per la deriva politica del momento.
Pasquinate n°2 è una poesia che non si limita alla mera ironia, ma esprime un’amara constatazione sulla fragilità delle promesse politiche e sulla manipolazione dei sogni dei cittadini.
Ho avuto Amanti – Ciro Seccia
In ''Ho avuto Amanti'', Ciro Seccia riflette su un passato amoroso intriso di passione, perdite e memorie. Le amanti sono presentate in un gioco di contrasti tra immagini potenti: la Luna e le Rose rosse come il fuoco, simboli di amore fugace e ardente. Tuttavia, queste figure appaiono ormai sfocate nella memoria, rievocate in bianco e nero, come se il tempo avesse sbiadito i dettagli più tangibili, lasciando solo le sensazioni più profonde.
La poesia è pervasa da un senso di dualismo: piacere e odio, emozioni silenti che si riverberano nell’anima sotto la luce della Luna, assumendo la forma di una chimera, un’immagine irraggiungibile e fugace. La presenza della Luna, ricorrente simbolo di romanticismo e introspezione, fa da cornice a questo viaggio tra il passato e il presente, dove l’amore, pur essendo finito, lascia tracce indelebili nell’anima del poeta.
Con un linguaggio evocativo e un ritmo delicato, Seccia ci conduce in una dimensione intima e nostalgica, dove l'amore vissuto non è mai veramente scomparso, ma continua a vivere sotto forma di ricordi intensi e immutabili.
Vecchierella – Alessio Romanini
In Vecchierella, Alessio Romanini ci racconta, con un linguaggio delicato e profondo, la solitudine e la malinconia della vecchiaia. La protagonista, una donna anziana, è immersa in una scena di silenzio e quiete, in cui il mare, il sole, il vento e persino la sua anima sembrano rispecchiare il suo stato d'animo. La solitudine è descritta come una sorella, una compagna dei suoi giorni, con cui deve fare i conti mentre i ricordi del passato si affollano nel suo cuore rugoso.
L’immagine della vecchierella che "volge il silente guardo all'ultimo rosso tramontare" rappresenta il suo addio alla vita, un momento di riflessione finale sulla sua esistenza. Il tramonto, simbolo dell'approssimarsi della fine, si intreccia con i suoi pensieri di un tempo spensierato e giovanile che ora è solo un ricordo. Il bisbiglio nella tacita notte suggella la poesia, lasciandoci con una sensazione di dolce malinconia e di inevitabilità del destino.
Romanini, con versi classici e armoniosi, riesce a evocare un'intensa empatia verso la condizione umana di fronte alla vecchiaia e alla morte, facendo emergere temi universali come la solitudine e il rimpianto.
El vecio e el mar – Roberto Soldà
In ''El vecio e el mar'', Roberto Soldà propone una riflessione filosofica sul tempo, l'esperienza e la saggezza attraverso il simbolo della barca e del mare. La poesia, scritta in dialetto veneto, ci trasporta in un mondo fatto di giorni e notti passate a pensare, con il vecchio che ha imparato a resistere alle tempeste della vita, proprio come la sua barca che lo attende silenziosa sulla riva del canale.
La barca diventa una metafora della saggezza accumulata attraverso le esperienze, ma anche della consapevolezza della mortalità. L’atto di ingannare il sonno, che Soldà associa all'attesa del varco finale, è una riflessione sul fatto che, pur sapendo molte cose, ci sono misteri della vita e della morte che rimangono irrisolti, anche per chi ha vissuto tanto. La poesia ci invita a contemplare l'inevitabilità della fine e il rapporto che ognuno di noi ha con il tempo e il proprio destino.
Soldà usa il dialetto con maestria per esprimere una visione intima e profonda, dove l’esperienza umana si scontra con le forze naturali e l’enigma della morte, conferendo alla poesia un tono quasi epico.
Addio, vecchio cellulare! – Sandra Greggio
Sandra Greggio, in Addio, vecchio cellulare!, riesce a trasformare un oggetto tecnologico come un vecchio cellulare in una figura poetica, carica di nostalgia e significato emotivo. Il cellulare a conchiglia diventa il simbolo di un tempo passato, un compagno di avventure che, con la sua voce e i suoi suoni, era capace di asciugare lacrime e sorprendere con le sue melodie.
L'immagine del cellulare che ora giace "in fondo al mare", chiuso in un cassetto, rappresenta il distacco dal passato e l'avvento di una nuova era tecnologica, incarnata dal nuovo cellulare, che, nonostante la sua eleganza, è privo di quel valore emotivo e simbolico che caratterizzava il vecchio. Greggio coglie in modo poetico il contrasto tra vecchio e nuovo, tra ciò che è stato carico di ricordi e ciò che, pur essendo moderno, è vuoto di significato.
Con un linguaggio semplice ma efficace, la poetessa ci invita a riflettere su come gli oggetti che fanno parte della nostra vita quotidiana possano assumere un’importanza quasi affettiva, legata ai ricordi e alle emozioni che abbiamo vissuto con loro. Il cellulare diventa così un simbolo di cambiamento e di nostalgia per un passato che non può più tornare.
In questa nuova serie di poesie, i temi della solitudine, della nostalgia, e del rapporto con la natura e la vita si intrecciano in maniera potente, evocando immagini e riflessioni intense sul ciclo dell'esistenza, le emozioni umane e il distacco dal passato.
Danze Tigane– Jacqueline Miu
Danze Tigane è una poesia vibrante e nomadica, in cui Jacqueline Miu esplora il concetto di libertà e schiavitù, il contrasto tra l’anima libera e le catene che imprigionano l'essere umano. La figura del tigano, con il suo cuore nomade e non ancorato, diventa un simbolo di resistenza e ribellione contro la sottomissione. La poesia si muove tra immagini potenti, come il bicchiere di vino all’ultima cena e gli animali strani nei cieli, per evocare una danza mistica tra la vita e la morte, il sogno e la realtà. Il contagio di chimere, che la protagonista desidera trasmettere, diventa una metafora della trasmissione di storie, di leggende e di esperienze che rompono le catene dell’esistenza terrena. La poesia di Miu è carica di simbolismo e di energia, trasportandoci in un viaggio attraverso emozioni forti e universali, tra lacrime e risate, dolore e liberazione.
"Quando ti ho detto che ti amo" di Ben Tartamo
In questo toccante componimento, Tartamo si erge a cantore dell'amore, creando un legame intimo tra l'esperienza emotiva e l'arte poetica. La ripetizione "No, non era una poesia" funge da mantra, come un incantesimo che invita il lettore a esplorare la verità più profonda dietro le parole. Qui, l'amore non è mera espressione stilistica, ma un sentimento palpabile, un'emozione pura e vivente che trascende la forma.
Le immagini evocate – il vento, le onde, la schiuma del mare – dipingono un paesaggio emozionale vibrante, suggerendo la fluidità e l'immediatezza dell'esperienza amorosa. Tartamo gioca con la natura, evocando foglie d'autunno e nuvole leggere, simboli di transitorietà e bellezza effimera, per sottolineare la fragilità di un sentimento che, pur nella sua intensità, è sempre soggetto al passare del tempo.
La luna, le stelle cadenti e i fiori di loto rappresentano un amore che trascende il materiale, innalzandosi verso il sublime. La luce "verde dei tuoi sguardi di lago" suggerisce una connessione profonda e mistica, come se gli sguardi fossero specchi di anime che si riconoscono in un abbraccio eterno.
In questo poema, l'amore diventa un atto di respiro, un momento di sospensione temporale in cui l'infinito si racchiude "in ogni bacio". Con uno stile che ricorda le visioni oniriche dei mistici, Tartamo riesce a infondere una dimensione metafisica nella quotidianità, elevando l'amore a un'esperienza trascendente.
La poesia, dunque, non è solo un linguaggio, ma un modo di vivere, di percepire l'esistenza. Tartamo ci invita a riconoscere che l'amore, nella sua essenza più pura, è una forma d'arte, e che ogni attimo condiviso è un verso scritto nel grande poema dell'universo.
con profondo affetto e stima per tutti e un sentito ringraziamento al vate prof. Lorenzo De Ninis
prof. Marino Spadavecchia
13-14-15 Ottobre
''Non Ti Conoscevo Prima'' di Laura Lapietra
Questa poesia si presenta come un viaggio emotivo, dove il "sospiro di rosa" diventa simbolo di una connessione profonda e sensuale. La ripetizione di "Non ti conoscevo prima" funge da mantra che sottolinea la scoperta dell'amore, un tema universale che risuona con intensità. La liricità dei versi è arricchita da immagini potenti, come "le piaghe aperte al vento", che evocano vulnerabilità e desiderio di cura. Il contrasto tra solitudine e gioia emerge con forza, rendendo palpabile la tensione emotiva che pervade il testo. Questo componimento invita il lettore a riflettere sulla bellezza e la complessità dell'amore, trasformando la nostalgia in una forza vivificante
''Più non m'interessi'' di Salvatore Armando Santoro
La poesia esprime un distacco netto e deciso, rivelando la transitorietà dei sentimenti. La forma ripetitiva, con frasi come "ormai importa niente", accentua il tono di disillusione e libertà ritrovata. Santoro gioca con l’immagine della “mascherina” per descrivere un amore che si è ridotto a una facciata, esprimendo il senso di impotenza e rassegnazione. Il verso finale, con la similitudine tra l’amore e la brina, suggerisce la fragilità dei legami umani. È un'opera che esplora la trasformazione emotiva, mettendo in luce il processo di accettazione e il potere del superamento.
''Vinificar con la Natura'' di Armando Bettozzi
In questo componimento, Bettozzi celebra la simbiosi tra l'uomo e la natura, utilizzando il vino come metafora di creazione e connessione. La poesia si distingue per il suo linguaggio ricco e per l’uso di termini legati alla tradizione vinicola, che riflettono un profondo rispetto per il lavoro contadino. L’idea di "vinificare insieme alla Natura" suggerisce un’alleanza che va oltre il profitto, elevando il processo a un atto di venerazione. Qui, l’aspetto psicologico si manifesta nel riconoscimento della bellezza del ciclo della vita, un invito a celebrare le radici culturali e naturali attraverso il lavoro e la passione.
''Parentela con gli alberi'' di Guglielmo Aprile
Questo testo evoca una connessione mistica tra l’uomo e la natura, dove gli alberi diventano compagni e custodi della solitudine. La riflessione sulla propria identità, espressa attraverso l’immagine di "fratello d’elezione", offre un profondo senso di appartenenza e ricerca di radici. La poesia gioca con l’idea di reincarnazione e di legame ancestrale, creando una narrazione che supera il tempo e lo spazio. L’uso della "rugiada" e dei "canti" suggerisce un risveglio spirituale, mentre l’affermazione finale di appartenenza al "loro sangue" invita a una meditazione sulla condizione umana e sulla nostra relazione con l’ambiente.
''Adunata dei papaveri'' di Guglielmo Aprile
In questa poesia, Aprile dipinge un paesaggio vibrante e al tempo stesso effimero, in cui i papaveri, simboli di bellezza e transitorietà, si radunano in un rituale collettivo. La scelta di immagini ricche e di un linguaggio evocativo crea una forte connessione con la natura, ma anche una riflessione sulla fugacità della vita. La "migranza" dei papaveri, che scompaiono senza lasciare traccia, invita a meditare sulla ciclicità delle esperienze e sull’inevitabile passaggio del tempo. Questa poesia parla di attese e di ritorni, con una melodia che risuona nel cuore del lettore, evocando sia meraviglia che malinconia.
''Piume di rosa'' di Alessandra Piacentino
La lirica di Piacentino si distingue per la sua sensualità e nostalgia, esprimendo un’intensa riflessione sui ricordi di un amore passato. I "capelli di passione" e "l’alba che torna" creano un contrasto tra la bellezza del ricordo e la tristezza della separazione. L’immagine del viaggio di "birra scura" suggerisce una profondità emotiva, evocando momenti intimi e una connessione profonda. La struttura del testo, con le sue suggestive allusioni, invita a un viaggio interiore, facendo emergere il desiderio di rivivere momenti di felicità perduta. È un’opera che cattura l’essenza del tempo e della memoria, mettendo in luce la fragilità delle esperienze umane.
''Tu veux, je veux'' di Elkahna Talbi
Questa poesia esplora la dinamica complessa del desiderio e della lotta interiore, attraverso un linguaggio potente e incisivo. L'alternanza tra "tu veux" e "je veux" crea un dialogo emotivo che riflette tensione e conflitto. La figura della "principessa prigioniera" evoca una dualità tra vulnerabilità e forza, mentre il tema del "miraggio" suggerisce illusioni e disillusioni nei rapporti. Talbi gioca abilmente con le immagini di oppressione e liberazione, rendendo palpabile il tumulto di sentimenti contrastanti. La poesia diventa così un manifesto di una ricerca di identità e autenticità, in cui il desiderio di essere visti e ascoltati risuona con intensità.
''Lascio al vento'' di Franco Fronzoli
Fronzoli utilizza l’immagine del vento come metafora di liberazione e distacco. L’atto di "lasciare" diventa un gesto poetico di abbandono e accettazione, dove pensieri ed emozioni vengono affidati a una forza naturale. La ripetizione delle frasi conferisce un ritmo meditativo, creando uno spazio per la riflessione personale. La poesia è intrisa di nostalgia, richiamando momenti significativi legati all’amore e alla memoria. Il desiderio di un "mondo migliore" sottolinea una speranza universale, rendendo il testo non solo intimo, ma anche profondamente umano.
''Legame'' di Florian Mortato
In questa breve ma intensa poesia, Mortato gioca con le idee di stabilità e cambiamento. La contrapposizione tra "mare mobile e fisso" evoca una sensazione di ambiguità, riflettendo sulla complessità dei legami e delle relazioni. Questo gioco di parole e immagini fa emergere una profonda verità sulla vita: l’immutabilità dei legami che, pur nel loro apparente statico, sono soggetti a flussi e movimenti. La poesia invita a riflettere sull’essenza dei legami umani, mostrando come possano essere sia ancore di stabilità che elementi di fluidità.
''Haiku'' di Bruno Amore
In questo haiku, la semplicità della forma cattura un momento di bellezza quotidiana. L’immagine del "tubare" nel caldo estivo evoca un senso di tranquillità e contemplazione. Il cipresso diventa simbolo di stabilità in un ambiente altrimenti caotico. La brevità del verso, tipica dell’haiku, riesce a condensare un’esperienza intensa e a suggerire una connessione profonda con la natura. È un invito a rallentare e ad ascoltare i suoni silenziosi che ci circondano.
''Come un raggio di sole'' di Giuseppe Stracuzzi
Questa poesia utilizza l’immagine del "raggio di sole" per esplorare la ricerca dell’amore e della connessione. La metafora del calore e della sostanza riflette il desiderio umano di unirsi, di fondere emozioni e corpi. La figura femminile diventa il grembo accogliente dove l’amore può crescere e palpitare. Stracuzzi riesce a trasmettere un senso di intimità e vulnerabilità, rendendo il lettore partecipe di un viaggio emotivo profondo e universale.
''Bacche rosse'' di Nino Silenzi
Silenzi crea un quadro nostalgico e vivace, dove le "bacche autunnali" illuminano ricordi d’infanzia. La poesia è intrisa di immagini sensoriali che evocano un passato felice e semplice, contrapposto alla frenesia della vita presente. La presenza dei genitori, che "lassù" portano serenità, aggiunge una nota di malinconia e riflessione sul tempo che passa. La danza delle onde e il vento che porta pensieri alludono a un desiderio di connessione e di ritorno a momenti puri e gioiosi.
''Muro d'ombra'' di Felice Serino
In questo testo, la poesia si trasforma in un riflesso della passione e delle incertezze. L'immagine del "muro d'ombra" evoca una sensazione di protezione e allo stesso tempo di claustrofobia, suggerendo che l'amore può essere sia rifugio che prigione. Le "parole danzano" nella mente, creando un contrasto tra il desiderio ardente e la realtà che incombe. Serino riesce a trasmettere un senso di urgenza e di vulnerabilità, rendendo palpabile la tensione tra il presente e il futuro incerto.
"Mutevoli cose" di Cristiano Berni
Questa poesia affronta il tema del tempo e della sua ineluttabilità con un linguaggio ricco di immagini evocative. La transizione da "giovanile furore" a una "matura età" esprime la malinconia per la perdita di un tempo che non tornerà. Tuttavia, la metafora della farfalla suggerisce anche una rinascita e una speranza di trasformazione. Berni riesce a trasmettere un messaggio di resilienza, invitando a cercare un nuovo sole e a danzare nella vita, nonostante le difficoltà. La chiusura offre un senso di positività, mostrando che l’esistenza è un continuo evolversi.
"Nell'Attesa" di Ben Tartamo
In questa poesia, Tartamo esplora il tema della pazienza e dell'attesa attraverso un linguaggio ricco e contemplativo. La ricerca della "Pazienza" diventa un viaggio interiore, un'odissea verso le profondità dell'Essere. L’immagine dell’"Io" che si dissolve nell’"eterno Suo respiro" suggerisce una fusione con l'universo, un momento di trascendenza in cui il sé individuale si perde nel Tutto. La riflessione sul Tempo, concepito come un "eterno presente", invita a considerare come la pazienza non sia solo un'attesa passiva, ma un modo per entrare in contatto con una dimensione più profonda della vita. La poesia si riempie di un senso di quiete e contemplazione, mentre l’"infinita Pace" diventa un obiettivo da raggiungere, un ritorno a uno stato di armonia. La chiusura, con il riconoscimento di aver "smesso di cercarti", porta con sé un'intensa vulnerabilità, un'accettazione del momento presente. È un invito a riconoscere che, a volte, la vera pazienza si manifesta nell'abbandono della ricerca frenetica e nell'apertura a ciò che è già presente. Tartamo riesce a evocare una profonda introspezione, rendendo il lettore partecipe di un'esperienza di crescita personale e spirituale.
"L’ultimo soldato" di Jacqueline Miu
Questa poesia affronta in modo potente e crudo il tema della guerra e della sua disumanizzazione. La voce del narratore si esprime da una posizione di vulnerabilità, con la casa "intorno al cuore" che simboleggia la protezione e l'affetto, in contrasto con l'orrore della guerra che invade il corpo esterno. La descrizione di un "cattivo sogno" e di corpi "sopra corpi" crea un’immagine devastante della morte indiscriminata, annullando le distinzioni tra rango e identità. L’uso di metafore come il "fiore" che spunta in un bosco e la "goccia di pioggia" che riempie un'oasi è un richiamo alla speranza e alla vita che resistono anche nel contesto più desolante. Tuttavia, l'ironia del "cattivo sogno" si intensifica con la realtà della guerra che continua a imperversare, mentre il narratore esprime un rifiuto profondo di parteciparvi. La chiusura, con il diretto "Vaffanculo," è un grido di ribellione e un rifiuto dell'assenza di senso che caratterizza il conflitto, rappresentando una forte affermazione di umanità.
"Chiunque abbia una corona sul capo è re" di Jacqueline Miu
In questa poesia, Miu esplora il concetto di potere e identità attraverso la metafora della corona. Il narratore, in uno stato di "letargia d'ottobre", cerca un sogno di grandezza, evidenziando la vacuità delle aspirazioni umane. La corona, un simbolo di regalità, diventa un oggetto di ridicolo, esemplificato dall’incontro con il bambino che lo accusa di essere un "mistificatore". L’immagine del mercato e dell'acquisto di una "corona di presunto oro" suggerisce una critica alla superficialità e al consumismo, dove il potere è indossato come un abito piuttosto che guadagnato con dignità. La riflessione finale sulle "servitute nel nuovo Millennio" porta a una considerazione amara del vero potere, rivelando che anche chi indossa una corona può essere soggetto a una realtà di servitù e oppressione. In questo modo, Miu offre una prospettiva critica sul concetto di regalità e sull’illusione del potere, sottolineando che l’autenticità non deriva dalla posizione sociale, ma dalla consapevolezza della propria umanità.
"Il ciglio" di Alessio Romanini
In questa breve poesia, l’autore usa l’immagine degli occhi come "finestra sul mondo," suggerendo che gli occhi non solo vedono, ma illuminano l’anima. L'idea di luce e oscurità viene esplorata attraverso il concetto di "ciglio," che funge da barriera necessaria per ricevere la luce. La mancanza di ciglio porta al buio, simbolo di paura e inquietudine. Il linguaggio semplice ma evocativo crea un forte impatto emotivo. La metafora degli occhi riflette il modo in cui percepiamo il mondo e come la luce possa allontanare le tenebre interiori. La poesia invita alla riflessione sulla vulnerabilità dell’anima e sull'importanza della protezione emotiva.
"La resurrezione" di Roberto Soldà
"La resurrezione" esplora temi di equilibrio, fede e il mistero della vita. La scrittura colloquiale e l'uso di termini dialettali conferiscono autenticità e vicinanza al lettore. La poesia suggerisce che il respiro delle cose può riportare stabilità e che anche le figure divine, come gli angeli, possono apparire inaspettate. L’immagine dei "vasi" simboleggia la fragilità umana e la dualità della vita: siamo tutti suscettibili a essere svuotati o riempiti. La riflessione sulla risurrezione del sole al mattino offre un messaggio di speranza, ma il tono gioca con l’idea che molti potrebbero non credere in questa visione. L’invito a riconoscere il nostro potenziale di rinascita è palpabile, rendendo la poesia un inno alla resilienza.
"Ma come dare alla vita" di Antonia Scaligine
In questa poesia, Scaligine affronta la complessità della vita, riflettendo sulle sue gioie e dolori. L’autrice si chiede come dare "una giusta regolata" alla vita, mettendo in evidenza il conflitto tra esperienze positive e negative. La vita è presentata come un viaggio di esplorazione, pieno di sorprese, dove la pace e il caos coesistono. Le immagini di "volo" e "inabissamenti" simboleggiano l’oscillazione tra momenti di felicità e difficoltà. L’invocazione a vivere con il cuore enfatizza l'importanza dell’autenticità e della connessione emotiva. La chiusura, che sottolinea l'importanza di vivere ogni attimo, porta un senso di urgenza e di bellezza alla riflessione, rendendo la poesia una celebrazione della vita nella sua complessità.
"Presenza" di Sandra Greggio
-Questa poesia di Sandra Greggio, intitolata "Presenza", è un inno sussurrato alla rivelazione interiore, dove la poetessa si rivolge a una presenza invisibile che risveglia la sua anima creativa. Attraverso un linguaggio delicato, Greggio ci guida in un paesaggio interiore che riflette il ciclo della natura. Le cicale, simbolo dell'estate, affievoliscono il loro canto, lasciando spazio a un silenzio che amplifica l'introspezione. È proprio in questo momento di transizione, tra l’estate che declina e l’autunno che avanza, che l'io lirico si confronta con l'inquietudine della propria anima. L'elemento del mare, vasto e infinito, diventa simbolo di desiderio di pace, un rifugio per l'inquietudine perenne che agita l’animo. La poesia sembra parlare di una ricerca esistenziale, un continuo anelito verso una dimensione che riesca a contenere e placare l'irrequietezza umana. L’interiorità emerge non solo nel bisogno di espressione poetica, ma anche nella consapevolezza che tale ispirazione proviene da una fonte misteriosa e silenziosa, forse spirituale, che si manifesta proprio nel momento in cui il mondo esterno si ritira nel suo crepuscolo. In definitiva, Greggio trasforma la natura in un riflesso dell’anima, dove ogni suono, ogni colore diventa parte di un viaggio personale verso la quiete e l’armonia.
Vostro Marino Spadavecchia
10-11-12 Ottobre
Per i sitani e prima dei commenti
Ogni piccolo pensiero è significativo e ogni lavoro merita la vostra attenzione
Il mio è un gentile invito a scegliere l’opera e le opere che vi offrono maggior trasporto per parlarne. Un commento non è una valutazione ma un encomio sensibile all’opera che in quel giorno si è meglio sintonizzata col vostro essere.
Lasciare un segno del proprio passaggio può aiutare l’autore a migliorarsi e perché no, a ricaricare le sue energie emotive. Come anticipavo, il commento alle opere non è una valutazione ma una riflessione, vista da un punto soggettivo, di come il messaggio di una composizione arrivi differentemente a ognuno di noi. Il commento non vuole essere un ambizioso stravolgimento di ciò che l’autore rappresenta, ma un modesto ammirare con i propri mezzi, ciò che lui ci ha voluto regalare.
Spesso trovo versi criptati ed ermetici e mi sento sinceramente in difetto.
Come capirli? Cosa ha voluto dire l’autore? E’ un messaggio per tutti o una riflessione intima che possa restare velata? Saprò corrispondere in modo utile a quelle emozioni che mi hanno trasportato fino alla fine?
Mi capita di chiedere agli autori il loro parere su con quale approccio andrebbe fatta la lettura del loro lavoro ed è questa consapevolezza di non essere “il lettore perfetto” che rende appagante cercare d’immergermi in quelle parole e nel loro costrutto. Lasciate che la vostra scelta poetica si armi di ispirazione nel commento che donate. Il tributo non è un dovere ma una condivisione di opinioni che possono allargare gli orizzonti, le tematiche e lo spessore del Tempio Azzurro. Mi congratulo con tutti gli autori per la loro capacità rigenerativa che li porta alla maturazione di stili e argomenti. Notevole perseveranza che illumina ogni parola che chi come me, ha il piacere di leggere.
Miu
Nuvole"
Una pennellata di versi che denotano la leggerezza delle nuvole e con le allegorie legate allo zucchero filato, corriamo verso la fine, dove abbracciamo la loro libertà di prendere qualunque forma.
Cristiano Berni
Scriverò
Una bella e liberatoria descrizione amorosa che lascia ancora ferite nell’anima della sensibile poetessa Laura Lapietra. Splendidi versi e da ricordare come quel “viaggiare negli specchi” verso da plausi.
Laura Lapietra ©
Haiku – L'amore
La nascita di una nana corrisponde all’esplosione implosione amorosa, affascinante metafora del nostro Santoro.
(Boccheggiano 23.4.2023 - 14:00)
Salvatore Armando Santoro
Verdi navate
L’innocente verità degli alberi che trainano la mente appassionata del poeta e lo trasforma in un bambino capace di stupori. Un'immersione nel verde che genera vita e rigenera la salute dell’uomo, inclusa quella del suo cuore.
Basiliche di fedi antiche che non abbandonano l’uomo ma lo invitano verso il chiarore, dove il corpo ritrova ristoro e la mente è libera di sognare. Ottimo componimento di Guglielmo Aprile che apre agli occhi del lettore uno spazio immenso in cui ancora egli può stupirsi.
Da Quando gli alberi erano miei fratelli.
Orme nel bosco
Guglielmo Aprile
E poi Alba e Amore
L’amore paragonato alla luce dell’alba che trafigge ogni tenebra. Sensibili e decise pennellate con metafore e gatti che corveggiano prima di essere vinti dall’inevitabile luce che ristora cuore e occhi (come dopo un incubo).
Raccolta Da “travolti in un insolito destino”
Piacentino Alessandra
Lo sparo
Interessante, ironica, riflessione sulla vita e Tartagni con la sua musicalità spara dritto al cuore del lettore che due volte non potrà vivere. Le sue performance hanno uno scenario e una coreografia che diventano uno short thriller.
enrico tartagni
[Non sono avida nella caccia]
Un carisma poetico trascinante e un poema che rivoluziona “la caccia”. Interessante scelta del nostro cacciatore di talenti Nino Muzzi che desidero ringraziare per l’impegno e la mole di lavoro, fatto per offrici letteratura da ogni parte del mondo.
Elkahna Talbi traduzione di Nino Muzzi
Amore improvviso
L’amore che assaggia il primo bacio passando per le notti insonni che accelerano il sognato e il sognatore. L’accelerante è la memoria del poeta che in congiura con nascosti palpiti, riscrive le pagine del tempo.
Franco Fronzoli
Angeli senza ali
Un omaggio agli angeli bianchi, al personale ospedaliero che si prendono cura dei loro degenti con pazienza e affetto. L’encomio poetico ha un indirizzo preciso che Francesco Mitrano vuole lasciare alla storia.
Al personale del reparto nefrologia Ospedale di Polla (SA)
Francesco Mitrano
"Potere al Mare"
Un viaggio marino pittorico e avventuroso, in spalla a una stella marina che apre le branchie poetiche all’autore e poi al lettore.
Florian Mortato
Coccole
Una coccola d’amore sul petto di chi si ama, ascoltare i battiti del cuore del proprio amato. Sandra Greggio offre con una dolcezza di versi, il suo smarrimento poetico dentro una piccola favola a forma di coccola.
7 Ottobre 2024
Sandra Greggio
La profezia
L’intesa tra Renzi e Berlusconi, narratori del futuro italico cui l’agonizzante popolo non fa pietà ad alcuno. Verità politiche di ieri e di oggi e speriamo non ci siano un domani.
Da …Intricati Pensieri…, Nelle nebbie
Piero Colonna Romano
Chiodo scaccia chiodo
Non funzionano i trasporti e il ministro Salvini invece di prendersi la responsabilità commenta: da anni vogliono che io mi dimetta. Altri pensieri per risolvere il problema, questo signore ogni non ne ha.
Carlo Chionne
Perdermi
Amore come sole ardente. L’autore trasportato da questa ondata di energia si arma di una rosa e compone sognate, questa melodia senza tempo.
(Alla follia dell'amare)
6/10/24
Ciro Seccia
L’angelo rosa
Nel mare azzurro pieno di stelle una sola, una sola stella rosa che è il rifugio e la protezione dell’autore. Madre, è invocazione all’unico grande bene che resiste come luce lassù perenne nel cielo.
8 Maggio 2024
Carmine De Masi
Il vento
Un vento possente che alza il moto delle onde ma ha anche il potere di togliere il grigiore dal cuore. Una rinascita emotiva che parla del coraggio che arriva istintivamente, anche sotto forma di follata di vento vicino a uno scenario amabile come è quello marino.
Alessio Romanini
Una collezione strana
Cosa c’è in mezzo tra un bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto? Il poeta ci narra che esiste una collezione segreta che si è arricchita negli anni e fa parte di un tesoro che è difficile da condividere. Sono silenzi, ricchi di sottintese parole o chimere sfuggite ai sogni, il poeta domanda, ora che vogliono parlare, che linguaggio usare?
Da Il peso dell'anima
Roberto Soldà
Ringrazio l'uomo che ha reso tutto questo possibile, il Magister Lorenzo. Ringrazio Piero Romano Colonna per il pilastro della dottrina che è fondamento del sito. Ringrazio tutti voi per le bellissime letture che mi rendono più forte e sempre più convinta che la bellezza non sta in un lavoro o in una poesia o in una sola persona, ma nell'idea di un grande immaginario armonico e conviviale che ci unisce. Siate operosi come le api.
Miu
7-8-9 Ottobre
Per i sitani e prima dei commenti:
Caffè & Poesia
Chi sono i sognatori? Come si muovono i sognatori? Come camminano? Cosa mangiano? Quanto sorridono? Abbracciano mai il lato oscuro?
I sognatori sono unicorni che hanno perduto la memoria del loro mondo. Vivono in mezzo agli uomini ostacolati dalla violenza esagerata del genere umano. Li distingui dallo sguardo che hanno quando ti guardano, occhi sereni pieni di cosmi che hanno lasciato un segno dentro la loro carne. I loro passi, i loro movimenti a volte strani ed esagerati, bizzarri se vogliamo chiamarli così, anarchici, contemplano l’idea di un’armonia tra le anime, metodicamente sfatata dalla cruda realtà con cui si scontrano ogni giorno. Sono esseri liberi. Bisogna lasciarli andare a curarsi da soli da durezza dell’aria che si respira. Porteranno gioia non una gioia rumorosa, chiassosa, plateale ma una gioia contemplativa, discreta e serena, come potrebbe essere il volo di un angelo. Il loro d’oscurità è insito nella fragilità con cui si difendono dagli attacchi del mondo reale. A volte vincono sulle loro paure, altre volte sono succubi di mortale ferite nell’anima da cui non guariscono e si spengono lasciando alla polvere l’unico trionfo del loro nome. C’è però da dire che qualcuno li cerca, qualcuno venuto a conoscenza della loro storia, della loro leggenda così oscura e così densa di patimenti da avere degradato la loro altrimenti luminosa personalità. Di noi non muove veramente mai nulla. Siamo noi che da morti non vediamo, non sentiamo chi fa il nostro nome, chi copia le nostre opere, chi immagina ciò che noi abbiamo immaginato. Il lato oscuro dei sognatori è terribile e violento. Spesso invasivo e malato. Esistono ed esiste questa infernale miseria umana che guarda con la stessa passione le stelle ma i motivi che li spingono a vivere sono avvilenti.
I sognatori (quelli buoni) sono una tribù. Nomadi per esigenza di spazi in cui la libertà non è oppressa da recinti a forma di leggi, dittatori o creature senza scrupoli. I sognatori portano nel loro DNA la poesia che nemmeno con trasfusioni forzate, può essere strappata al suo possessore. Questo attributo offre loro un vip pass per viaggi al limite degli umani. Chi li comprende? Chi si serve di loro? Probabilmente solo i sognatori comprendono altri sognatori, e la loro arte spesso è causa della loro sfortuna più che fortuna. Chi non la comprende la compra, la ruba, la snatura. La vita non facile dei sognatori ha un processo lento e un’evoluzione, come un cambio di muta che li trasforma in pupe dai straordinari colori poco prima del loro transito tra le dimensioni del tempo o tra la vita e la morte. Un sognatore resta tale per sempre. Quando la sua anima si libera dal corpo, l’animale onirico riprende la sua forma aliena originale e vola nel profondo cosmo, verso la piccola stella che è la sua casa.
Sogno Fiorito
Un sogno romantico rappresentato dal continuo fiorire che carica di coraggio la sensibilità immaginativa della poetessa la cui vittoria trapassa le dimensioni temporali.
Laura Lapietra ©
Porto in mezzo ai rami
Inno al vento tra i rami che resta il portavoce naturale dell’intera poesia. Boschi fratelli in cui cercare rifugio e un verde religiosamente bello che rigenera lo spirito di chi ancora si bea di camminarci in mezzo.
Da Quando gli alberi erano miei fratelli.
Orme nel bosco
Guglielmo Aprile
Lapislazzuli blu pieni di baci
Pietre preziose e ricami dell’amore in questo arpeggio di sentimenti e rassegna multicolore. L’unicorno dell’amore della Piancentino Alessandra, attraversa il cielo sotto i nostri occhi, generando i propri arcobaleni che ci contagiano con le loro favole.
Raccolta Da “travolti in un insolito destino”
Piacentino Alessandra
Voi
Un’unità di spirito e di anime è celebrata in questa poesia dell’ispirato Santi Cardella. Non v’è politica dove regna la pace e tutti gli spiriti creatori di bellezza, usando la dignità del lavoro si muovono nella direzione di un’uguaglianza universale.
Santi Cardella
La violenza
Allegorie per una fuga cospirativa contro i mali che ci circondano, armonie segrete che portano a liberi mondi all’umano spirito, ignoti. Un’avanguardia post romantica che declina il verbo vivere sotto gli occhi della morte e di quella dimensione di libertà che in realtà ha troppe maschere.
enrico tartagni
[Tesorino/habibi]
Habibi
Splendido questo poema intonato alla complessità femminile. In molti paesi si usa l’acca aspirata in altri no. La complessità della pronuncia di tale lettera spiega in allegoria la complessità dell’animo femminile. Una piccola perla regalataci dal nostro scovatore di talenti Nino Muzzi. Grazie e plausi per questa dorsale poetica che avvantaggia lo spirito di chi la legge.
Elkahna Talbi traduzione di Nino Muzzi
Silenzio della notte
Chiusi magicamente in questa labirintite notturna, ben inventata da Franco Fronzoli, in cui tutto può accadere “effetto farfalla” e un’emulsione curativa per l’anima che usa i versi finali per acquietare la corsa cosmica.
Franco Fronzoli
"Addolorato"
Esiste il Paradiso dei gatti? La preghiera del poeta ispirato da tristi quanto efferati fatti di cronaca, porta alla luce l’attenzione sugli animali randagi (e non) in particolare il gatto protagonista della nostra poesia. La preghiera arriverà al Dio dei Gatti di sicuro perché quello degli uomini ha abbandonato questa Terra da molto, molto, moltissimo tempo.
Florian Mortato
Occhio per occhio
Una preghiera per la pace ispirata dagli ultimi attacchi tra Israele e Palestina. Dio non è ebreo e nemmeno musulmano, è un Dio che ama ogni essere umano a prescindere chi egli sia o dove egli sia nato, e questo Dio dovrebbe ispirare, come giustamente ricorda a tutti noi il poeta Bruno Amore, una pace armonica universale. (quanto è stupida la guerra)
Bruno Amore [br1]
Fuori dell'orbita
Una preziosa resurrezione di ricordi, una divina accelerazione che potenzia il meccanismo che ci lega ai nostri affetti. Pennellate di grande bellezza e fede si scompongono nei colori delle foglie, sotto gli occhi del lettore che ha come ultima visuale, questi due “Maestro e Discepolo prediletto - titani del cristianesimo” camminare sopra le acque.
Da Il peso dell'anima
Roberto Soldà
Il nostro nuovo sogno
Una brezza che cinga le anime di due innamorati. Uno spettacolo romantico dipinto dall’ispirata Sandra Greggio che scavalca le dimensioni temporali pur di ricominciare il suo amato sogno. Bella l’ultima strofa.
Mi piacerebbe poter raggiungerti
Quando arriverà il momento
Per chiudere gli occhi insieme
E cominciare un nuovo sogno.
29 agosto 2024
Sandra Greggio
"Mentre vago tra la gente"
L’errare coi pensieri a due metri sopra le tristezze umane e la poca felicità che circonda le esistenza. Basterebbe un sorriso, un saluto per dare inizio all’armonia e alla via verso la pace.
28 settembre 2024
Ben Tartamo
Più bella e più grande che pria
(aprile-maggio 2014)
Poveri noi colpevoli di chi votiamo. Satira che porta in vita il tragico folle Nerone coppietta con l’incolto 2014. Si piange dal ridere o ancora ridiamo per non piangere?
Da …Intricati Pensieri…, Nelle nebbie
Piero Colonna Romano
Animal farm
Un amore che prodiga il sesto senso degli animali che temono un solo predatore, l’uomo. Il male di questa umanità che sembra aver preso radice nel suo sangue, parla solo di atti violenti contro ogni forma di vita. Meglio essere animali allora.
Carlo Chionne
Tempo Negato
(Al tempo perduto)
Bisognerebbe implementare la qualità del tempo con i nostri affetti. Renderci partecipi a vite che non rivedremo più. Saggio consiglio poetico del bravo Ciro Seccia che toglie all’ipocrisia immaginaria il velo, manifestando la crudezza del nostro dipartire nell’oblio.
4/10/24
Ciro Seccia
Amore … che si libera
Un’amicizia al confine con l’amore, momenti che sfidano il tempo nella memoria.
Momento di vita,
di vita che sorprende,
momento vero, bello
dall’album dei ricordi,
che sfida la morte.
Fausto Beretta
Parole
Un cielo e un mare dentro che dipingono la vita poetica di questa artista. La grazia con cui stende i suoi versi, diventa la bandiera degli stati d’animo capaci di affrontare le avversità. Le parole diventano un cosmo intero e Antonia libera la sua creatività-
Antonia Scaligine
A Marcello
L’omaggio poetica all’amico Marcello oramai scomparso. Una sequenza di ricordi che lo abbracciano in questo arrivederci fatto di versi intensi, come la sua memoria.
26/giugno/2024
Carmine De Masi
Il Molo della Madonnina
L’umiltà poetica e questo confronto con la natura che spesso insegue l’immaginario di Alessio Romanini, sempre più immerso in una direzione combattiva e coraggiosa dello spirito.
Alessio Romanini
Ringrazio l'uomo che ha reso tutto questo possibile, il Magister Lorenzo. Ringrazio Piero Romano Colonna per il pilastro della dottrina che è fondamento del sito. Ben Tartamo per i suoi commenti sempre dettagliati e ricchi di entusiasmo letterario cui dobbiamo essere tutti grati.
Ringrazio tutti voi per le bellissime letture che mi rendono più forte e sempre più convinta che la bellezza non sta in un lavoro o in una poesia o in una sola persona, ma nell'idea di un grande immaginario armonico e conviviale che ci unisce. Siate operosi come le api.
Miu
4-5-6 Ottobre
Per i sitani e prima dei commenti.
Uomini di tutte le etnie, genderfluid, uomini liberi.
La poesia è destinata a tutto il Genere Umano. Non ha ideologie, una religione, non inizia guerre e parla liberamente del mercato dell’odio. La poetica non si modella e non si plasma. E’ libera dalla forma, è cosmica ed è la cura non invasiva alle infezioni generate dal potere concentrato nelle mani di pochi o è “lo steroide” emotivo accrescitivo di bellezza per chiunque ami il verso. La poesia non è schiavista e non è servile. Gli uomini non la possiedono, è lei che possiede i prescelti. Il suo obiettivo è un nirvana indefinito, una visone astratta dell’utopia.
Questi maestri del “bello”, sono il mezzo con cui l’Immortalità si offre all’uomo.
Cancellati dalla storia gli oligarchi, i belligeranti, i Signori della Morte, i politici invasivi, i tiranni, i dittatori; poggiata la polvere del tempo sopra le i nomi sulle lapidi delle loro tombe, resta Lei eternamente giovane, bella ed incompiuta. Lei melodia creata dalla mano di un nome anonimo, lei emancipata creatura in mezzo a idealista legata a una catena di materiali e solitudini, lei fatta di versi in sincronia col giro gravitazionale di questo piccolo pianeta in cui i sognatori a volte regnano terre di fantasia, dove la pace tra tutti gli esseri è ancora possibile.
Haiku
Bellezza sanguinea e resistenza spinosa in questi versi che parlano di resilienza e bellezza.
Bruno Amore [br1]
"Un giovane vecchio"
Tributo a Mario Monicelli e alle sue produzioni cinematografiche in questo ritratto appassionato reso dal bravo e ispirato Cristiano Berni.
Cristiano Berni
Guardare oltre
And death shall have no dominion. Dylan Thomas
guardare lungo: oltre
la naturale dissoluzione
un'alba rosata ti pettina i pensieri
carezza i progetti del giorno
nulla può la morte
se tendi alla bellezza
21.1.24
Felice Serino
Baishù
Notturno che ispira questa brava poetessa e natura autunnale in cui risaltano, il dono umano di elevarsi sopra l’oscurità e la capacità poetica di orchestrare le sensazioni derivate dall’acquarello nostalgico.
Laura Lapietra ©
Nell’uliveto
Un quadro meditativo e fiabesco girato in mezzo ad un uliveto. Incontri metafisici, allegorie di legni che partono dagli arti umani in trasformazione dopo aver bevuto un filtro magico fatto di linfe, vergini seducenti come nereidi che conducono lo sfortunato curioso nel loro mondo, dove egli resterà intrappolato. Ben dipinti dal poeta Guglielmo Aprile, questi affreschi colorati e vividi che riconoscono agli alberi quel potere di ipnotizzare noi umani.
Da Quando gli alberi erano miei fratelli.
Orme nel bosco
Guglielmo Aprile
Cavalcata notturna
Un’avventura estiva tra le vette fresche dei monti. Una cavalcata notturna di questo ottimo narratore che è Renzo Montagnoli, che eleva il sogno a cura contro l’arsura estiva e lo illude finché l’alba non gli fa aprire gli occhi e perdere quell’appagante sogno.
Da Lungo il cammino
Renzo Montagnoli
Il mare dentro
Una immensità marina intesa come affetto e come grandezza dell’animo materno. Pochi intensi versi dedicati alla madre di questa ispirata poetessa che viaggia con una interiorità ricca di emozioni.
Piacentino Alessandra
Lascia che il vento scompigli
Vento, mare, e parole d’amore orchestrate per definire questa luminosa creatura che appaga i sogni di Franco Fronzoli che si dichiara, se lei lo volesse, suo a vita.
Franco Fronzoli
“Un foglio del mio diario
dal mio inizio immateriale
al mare”
Mare non come frutto della fantasia o della creatività umana come le altre forme di spettacolo, ma come entità naturale che abbraccia il pianeta e gli umani che trovano conforto in esso.
Florian Mortato
Il primo mese d'autunno
(...nell'emisfero boreale)
Ancora splende l'estate a settembre
Una cavalcata di emozioni e indaffarate situazioni portate dall’arrivo di settembre. Alessio Romanini abbandona il momento transitorio e malinconico tra stagioni per farci godere del sole a settembre. Una pennellata fedele alla sua nuova evoluzione sempre più incentrata sull’argomento poetico.
Alessio Romanini
Legato ad un granello di sabbia
Versi dalla sensibilità trascinante e un romantico costrutto con granelli di sabbia che risolve il dilemma amoroso. Maria è l’artefice di tutto e ciò che rimane non è nella volontà del poeta ma nella fisicità dichiara e operativa della sabbia. Una farfalla a Milano e un uragano in Florida cosa hanno in comune? L'effetto farfalla è una locuzione presente in fisica nella teoria del caos. Si ritiene che piccole variazioni nelle condizioni iniziali producano grandi variazioni nel comportamento a lungo termine del sistema.
Da Il peso dell'anima
Roberto Soldà
I “giovinetti “
Un poetico addio ai “giovinetti” che hanno accompagnato la vita e la poetica dell’ottima Sandra Greggio. Una poesia che vale un abbraccio umano ai cari alberi e alla storia che gli hanno accompagnati.
17 giugno 2024
(In occasione dell'addio a tre cipressi del mio giardino che erano ammalati)
Sandra Greggio
"Non è un cristallo"
(canzone)
Un cuore la cui limpidezza non è teorica. Ben Tartamo offre la totalità del suo cuore che regge ogni male e che se ferito, ritorna rigenerato e più forte di prima.
28settembre24
Ben Tartamo
Lo sfasciacarrozze gigliato
(chiedo perdono al collega Sandro M .)
Le disgrazie italiche con nomi che hanno cercato plausi in cattedra come nella politica. Montini, Renziani e Bestie evolute dalle macerie di Partiti agonizzanti, Piero colonna Romano mostra come un Dante moderno, la stoltezza della politica italiana degli ultimi vent’anni.
Da …Intricati Pensieri…, Nelle nebbie
Piero Colonna Romano
Medioriente
Il Medioriente nella sua veste arcaica e dominante da cui non filtra la pace, emerge il mondo arabo come una tribù di invasati che ripropone il Medioevo.
Carlo Chionne
Ringrazio l'uomo che ha reso tutto questo possibile, il Magister Lorenzo. Ringrazio Piero Romano Colonna per il pilastro della dottrina che è fondamento del sito. Ringrazio tutti voi per le bellissime letture che mi rendono più forte e sempre più convinta che la bellezza non sta in un lavoro o in una poesia o in una sola persona, ma nell'idea che ci unisce. Siate operosi come le api.
Miu
Haiku – Bruno Amore
"bacche rubino un rosario spinoso di rosa canina"
In questo haiku, breve ed essenziale, ogni parola è un universo di immagini e simboli. Le bacche di rubino, piccole e preziose, evocano non solo l'aspetto visivo di qualcosa di splendente e vivo, ma richiamano anche un valore sacrale, come se fossero perle di sangue o gemme della terra. Il "rosario spinoso" è una metafora forte: un rosario, che di per sé richiama la preghiera e la spiritualità, è qui spinoso, legato alla sofferenza e alla penitenza. Tuttavia, l'aggiunta di "rosa canina" dà un senso di vitalità naturale, di bellezza che sorge dal dolore, come spesso accade nella vita.
Il sottotesto psicologico di questo haiku si dipana nell'idea di una sacralità dell'esistenza terrena, che si manifesta attraverso elementi semplici ma potenti. Le spine non sono altro che le difficoltà della vita, mentre il rosario rappresenta il tempo, la sequenza delle nostre giornate, che possono essere piene di sofferenza, ma anche di bellezza e grazia. C'è qui un elogio all'accettazione del ciclo naturale, all'inevitabile presenza del dolore, ma anche alla sua capacità di generare qualcosa di prezioso e raro, come la stessa "bacche rubino".
"Un giovane vecchio" – Cristiano Berni
"E così s'è n'è andato, un giovane vecchio dallo spirito indomito burbero e retto."
Questo componimento, scritto in memoria di Mario Monicelli, si muove tra il ricordo personale e una riflessione universale sulla vita e la morte. Monicelli è descritto come "un giovane vecchio", un apparente ossimoro che però definisce perfettamente la sua essenza: una persona caparbia e vigorosa fino all’ultimo respiro. Qui si svela l'inconscio collettivo di una società che trova nei maestri anziani non solo un rimpianto per il passato, ma una continua fonte di insegnamento e vitalità.
Il linguaggio poetico è diretto, quasi scarno, ma questo minimalismo riflette l'urgenza e la sincerità del momento. L'immagine del "volo perfetto" diventa una metafora per la morte, come una scena finale di un film accuratamente diretta, proprio come il lavoro di Monicelli. La vita, in questa lirica, è un'opera d'arte che si costruisce a ogni passo, ma che rimane incompiuta, lasciando un vuoto incolmabile.
E c’è una commistione tra pubblico e privato, tra l'artista e l'uomo, tra il cinema e la realtà. Il poeta ci invita a guardare alla morte con sorpresa e rispetto, perché anche nel momento del distacco, Monicelli si rivela come un regista del suo destino, evitando funerali e cerimonie, rompendo le convenzioni persino nella fine. Il sentimento di lutto qui è profondo, ma è vissuto con la consapevolezza che "la commedia è finita" – una chiusura che è allo stesso tempo un atto di amore e accettazione.
''Guardare oltre – Felice Serino''
"guardare lungo: oltre la naturale dissoluzione un'alba rosata ti pettina i pensieri carezza i progetti del giorno"
Serino inizia la sua poesia con un richiamo all'immortalità dell'anima, citando Dylan Thomas. La frase "guardare lungo: oltre la naturale dissoluzione" porta con sé un imperativo esistenziale: non fermarsi all'apparente caducità delle cose, ma andare oltre, cercare la bellezza che persiste, anche di fronte alla morte. L'alba rosata diventa qui un simbolo di rinascita, ma anche di transitorietà. Questa immagine, delicata e intima, si sovrappone al tema del pensiero e del progetto: ciò che la mente umana crea, nonostante l'incombenza della fine.
L'inconscio del poeta qui sembra rivolgersi alla paura più profonda dell'uomo – la morte – con un moto di resistenza e di ricerca di significato. La morte non ha potere su coloro che tendono alla bellezza, sembra dirci Serino. Ma cosa è la bellezza? Non è solo estetica, è una tensione verso ciò che è oltre, un desiderio di vivere in modo pieno, abbracciando sia la luce che l'ombra.
Questa poesia si apre a molteplici letture: c'è un'eco quasi platonica nell'idea che la verità e la bellezza siano al di là del visibile, ma c’è anche una sensibilità più moderna, che vede nell’atto di creare un progetto, un pensiero, un’espressione personale, una forma di resistenza contro l’oblio. Il poeta, dunque, ci invita a riconoscere la morte, ma a non darle la dominazione ultima sulle nostre vite.
''Baishù'' – Laura Lapietra
"È fredda notte scura sulla mia ombra per la via. Alito quei poemi tra cielo e selciato in solfeggio"
La poesia di Laura Lapietra si svolge nella delicatezza di un’atmosfera notturna, dove il contrasto tra la freddezza della notte e il calore intimo dei "poemi alitanti" crea un'immagine suggestiva di solitudine e riflessione. L'ombra, un doppio del sé, è un compagno silenzioso sulla strada, evocando una presenza che non è mai del tutto assente, ma che si confonde nel crepuscolo.
Il verso "Alito quei poemi tra cielo e selciato in solfeggio" è particolarmente ricco: il poeta non scrive i suoi versi, li respira. Il respiro diventa espressione del legame tra corpo e parola, tra fisico e spirituale. C'è qui una risonanza profonda tra il movimento dell'aria e quello della musica (il "solfeggio"). Questa fusione suggerisce una sorta di danza tra il mondo terreno e il cielo, con la poesia come il ponte fra questi due universi. L’inconscio emerge nell’immagine del solfeggio, quasi a dirci che l’atto creativo è una melodia non sempre controllabile, ma guidata da forze interiori profonde e inconsce.
''Crema al pistacchio'' – Salvatore Armando Santoro
"Sono nata come crema alla pianura al monte come tale vengo espulsa in quattro mura."
In questi versi, il poeta utilizza la metafora del cibo, nello specifico della "crema al pistacchio", per riflettere sulla condizione umana, forse su quella femminile, all’interno di spazi e limiti imposti. La crema è qualcosa di morbido, dolce, un prodotto di piacere e delicatezza, che nasce in un contesto naturale, "la pianura", per essere poi confinata in uno spazio chiuso: "quattro mura". Questo contrasto tra il naturale e l'artificiale, tra l'espansione della natura e la restrizione dell’ambiente umano, crea una tensione significativa.
L'inconscio qui si nasconde dietro l'idea dell'essere "espulso", quasi come un’eco di un trauma o di una costrizione. La nascita e l’espulsione possono suggerire un ciclo che inizia con speranza ma si conclude con un ritorno a una prigione sociale o personale. Il richiamo alla natura e alla cultura si intreccia in un dialogo silenzioso e doloroso, in cui la dolcezza della crema diventa quasi un’ironia rispetto alla condizione di costrizione che viene descritta.
''Ottobre, e le Ottobrate romane''– Armando Bettozzi
"Ed ecco qua di già il…vendemmiatore con le cesoie e i cesti da riempire coi bianchi, o rossi grappoli…da bere per stare bene, e in allegria cantare:"
Questo componimento celebra l'autunno romano, nello specifico le "Ottobrate", in un inno al ciclo agricolo e alla bellezza della natura. Il vendemmiatore, figura simbolica di questo periodo, rappresenta il lavoro e la gioia che derivano dal raccolto. La poesia, con il suo tono vivace, ci porta immediatamente nei campi, tra i colori e i profumi del vino, delle castagne, della frutta autunnale, dipingendo un quadro di abbondanza e calore.
C'è un forte contrasto tra questa ricchezza naturale e l'assenza di risorse economiche: "Però…non porta soldi nelle tasche". Questo senso di carenza in mezzo all'abbondanza esprime una tensione sottile tra il mondo bucolico e quello reale, tra il desiderio di un'esistenza felice e i limiti pratici della vita quotidiana.
Il poeta si lancia in una critica sociale velata ma evidente, soprattutto nella nota finale che denuncia l’abuso delle terre agricole per interessi politici e commerciali. L’uso di "pale" e "pannelli solari" come simboli del progresso che distrugge l’essenza naturale risuona come una denuncia del moderno sfruttamento ambientale. C’è una nostalgia per un mondo in cui l’agricoltura è legata alla vita, alla cultura autentica, e la poesia diventa un atto di difesa di questa armonia.
Il sentimento che emerge dalle righe è duplice: una celebrazione della vita semplice e naturale e un’amara constatazione di come essa venga minacciata da forze esterne. L’inconscio qui si manifesta nel desiderio profondo di protezione, nella speranza che ciò che è naturale e autentico possa sopravvivere, nonostante le minacce del mondo moderno.
''Nell’uliveto – Guglielmo Aprile''
"Come un cieco, in un uliveto penetro e in mezzo ai suoi abitanti mi aggiro..."
L'uliveto, in questa poesia, si trasforma in un regno misterioso, quasi mitico, dove l'io lirico vaga come un cieco. Questa cecità, però, non è una mancanza di visione fisica, ma una cecità interiore, una condizione esistenziale in cui il poeta si muove alla ricerca di risposte. Gli alberi sono personificati, diventano esseri saggi e meditativi, "raccolti in pose meditative", e l'uliveto diventa una sorta di labirinto di enigmi da decifrare.
C'è un forte senso di attesa in questo testo: l'io poetico interroga gli alberi, cerca un responso, ma ciò che emerge è solo il silenzio. Gli alberi sembrano essere sul punto di rivelare un segreto, ma restano muti, trattenuti da una saggezza antica e impenetrabile. In questo contesto, la natura diventa simbolo di qualcosa di insondabile e ineffabile, un riflesso dell'inconscio che l'uomo non può mai pienamente comprendere.
Il tema del silenzio e della reticenza degli alberi suggerisce una tensione tra il desiderio di conoscere e l'impossibilità di raggiungere la verità. La ricerca di un "enigma" da decifrare diventa metafora della condizione umana, costantemente in bilico tra il bisogno di risposte e il mistero che ci circonda. Il poeta è un viandante nell’uliveto della vita, in cerca di verità che, per qualche motivo, restano irraggiungibili.
''Incontro con le ninfe – Guglielmo Aprile''
"Nell’intrico dei rami, un infinito minuto e ombroso..."
Questa poesia richiama l'archetipo classico dell'incontro con il mondo misterioso e seducente delle ninfe, figure mitiche che rappresentano la natura stessa nella sua forma più primordiale e sensuale. Il "verde dedalo" degli alberi diventa un luogo di fascinazione, un labirinto naturale che avvolge e cattura l’io poetico, il quale si trova immerso in un mondo di malia e incanto.
Le ninfe, qui descritte come spiriti di vergini, sono creature potenti e letali, che uccidono seducendo. Questo incontro tra umano e soprannaturale ha una forte valenza simbolica: le ninfe rappresentano forse la forza irresistibile del desiderio, dell'inconscio che seduce e inghiotte. Il poeta si descrive come "complice e consenziente vittima" di un incantesimo, una malia che lo travolge e lo rende vulnerabile.
C'è una dualità intrinseca nella descrizione: la bellezza e la sensualità del bosco sono anche una trappola, un inganno mortale. Il richiamo all'arabesco delle mani e delle braccia delle ninfe, che formano una "morsa vegetale", evoca l'immagine di un abbraccio soffocante, come se la natura stessa potesse diventare un agente di distruzione. Il bosco, quindi, non è solo un luogo di fascino, ma anche di pericolo, un simbolo dell'inconscio dove le forze oscure e seduttive sono sempre pronte a inghiottire chiunque vi si avventuri.
''Cavalcata notturna – Renzo Montagnoli
"Tutto è silenzio in questa notte di un'estate torrida da soffocare..."
In questa poesia, il calore soffocante dell’estate diventa lo sfondo di una condizione di disagio fisico e mentale. Il poeta si trova intrappolato nel caldo opprimente, incapace di dormire, fino a quando, finalmente, il sonno lo coglie e lo porta in un mondo onirico, dove avviene una liberazione. La "cavalcata notturna" rappresenta una fuga dal mondo reale verso un universo fantastico e fresco, in cui l'io poetico cavalca un destriero bianco attraverso paesaggi incantati e rinfrescanti.
Il contrasto tra la realtà del caldo estivo e la libertà del sogno è evidente: mentre nella veglia il corpo soffre, nel sogno c’è una trasformazione, una riconciliazione con la natura. Le "vette innevate", il "lago verde smeraldo", la "cascata" sono immagini che esprimono un desiderio di freschezza, di purificazione e di sollievo. Il sogno diventa quindi un rifugio, un luogo dove la mente può fuggire dalle sofferenze del corpo.
C'è, tuttavia, un'amarezza latente: il sogno viene interrotto dal canto del gallo, simbolo del ritorno alla realtà. L’io poetico si risveglia "accaldato", frustrato dal fatto che la sua cavalcata onirica è stata solo una breve parentesi in una realtà soffocante. Questo risveglio brusco, quasi rabbioso, evidenzia il contrasto tra il desiderio di fuga e la crudele insistenza della realtà. Il sogno rappresenta quindi un'illusione momentanea, una tregua temporanea dalle pressioni della vita, che però non può essere mantenuta.
La poesia, nel suo complesso, riflette il desiderio umano di sfuggire ai limiti fisici e mentali, trovando sollievo in mondi immaginari che, tuttavia, non possono durare.
''Il mare dentro'' – Alessandra Piacentino
"Mamma stai nel letto con me fino a quando non divento grande come te"
Questi versi toccano profondamente l'inconscio attraverso la semplicità disarmante delle parole di un bambino. L'immagine della madre nel letto diventa simbolo di protezione, affetto, e dell'intimità familiare. La frase "fino a quando non divento grande come te" non solo racchiude il desiderio di crescita, ma anche un'aspirazione alla fusione con la figura materna, quasi una ricerca di identificazione.
Il mare, sebbene non esplicitamente menzionato qui, può essere letto come una metafora latente dell'inconscio stesso, un vasto e misterioso elemento che accoglie e culla, proprio come fa la madre. La semplicità di questo breve componimento nasconde il desiderio universale di continuità e protezione, un bisogno di sicurezza che si estende fino all’età adulta.
''Lascia che il vento'' – Franco Fronzoli
"Lascia che il vento scompigli i tuoi capelli... Amami come io ti amo sorridi come io ti sorrido"
In questa poesia, la natura diventa il veicolo per esprimere un amore incondizionato e universale. Il vento, il sole, le onde del mare sono tutti elementi che avvolgono il corpo e l’anima dell’amata, creando un dialogo tra l’individuo e le forze naturali. C'è un invito esplicito a lasciarsi andare, a rinunciare al controllo e a permettere alla vita di svolgersi nel suo corso naturale.
Il poeta esprime una profonda compassione e tenerezza, offrendo un rifugio emotivo all’altra persona. L’immagine delle braccia che accolgono suggerisce una fusione tra il sé e l’altro, un annullamento delle barriere individuali in nome dell'amore. Il mare qui diventa un simbolo di libertà e di forza rigenerativa, capace di lavare via i "tristi pensieri" e di riconnettere l’individuo con se stesso e con il mondo.
L'invito a "essere libera" racchiude un profondo messaggio di emancipazione, non solo dai pregiudizi e dalle falsità, ma anche dalle oscurità interne. È una celebrazione della libertà interiore, una liberazione che avviene nonostante le avversità, e che trova nel rapporto amoroso la sua realizzazione.
''Un foglio del mio diario'' – Florian Mortato
"Credo in me stesso quanto nel mare. Il mare ti chiama... per liberarti dalle illusioni"
Questa poesia è una riflessione filosofica sul mare come simbolo di verità e di autenticità. Il poeta contrappone la realtà del mare al mondo della "cinematografia, del teatro, dello spettacolo", ovvero a tutto ciò che è finzione e apparenza. Il mare diventa un mezzo per raggiungere una sorta di illuminazione, una dimensione di esistenza autentica che permette di liberarsi dalle illusioni.
C'è qui un desiderio di autenticità, di sfuggire a una realtà che il poeta percepisce come ingannevole. Il mare rappresenta la profondità, il luogo in cui si può scoprire una verità nascosta, lontana dalle maschere della società. Le parole sono rare, e proprio per questo cariche di significato: nel silenzio del mare, l'individuo può riconnettersi con se stesso e scoprire ciò che è realmente importante.
Il mare è descritto come "celeste e pacifico", un luogo in cui le contraddizioni della vita terrena si dissolvono. È un'immagine di pace e di tranquillità, un rifugio dall’inganno e dalle illusioni quotidiane. C'è un senso di liberazione spirituale, un invito a riconoscere e abbracciare una dimensione esistenziale più profonda e autentica.
''Il primo mese d'autunno'' – Alessio Romanini
"Ancora splende l'estate a settembre... le foglie suonano la sinfonia"
La poesia cattura il delicato passaggio tra estate e autunno, un momento di transizione che è carico di nostalgia e di attese. Settembre, con il suo clima ancora mite, rappresenta una sospensione tra due stagioni, e il poeta ne coglie la bellezza fugace. Il ritorno alle scuole, le foglie che iniziano a cadere, sono segnali di un cambiamento inevitabile, ma allo stesso tempo, c’è ancora una traccia di estate che resiste.
Le immagini evocate, come le "foglie che suonano la sinfonia" e il "fogliame al vento", donano alla natura una qualità quasi musicale, come se tutto l’ambiente partecipasse a questo delicato momento di trasformazione. La nostalgia per la fine dell'estate si mescola alla consapevolezza del ritorno alla routine, ma c'è anche una malinconia dolce nell'abbandonare le "chimere", ovvero le illusioni estive.
Il tempo, descritto come "utopia", sembra sfuggente e inafferrabile, come se il poeta riconoscesse la fugacità di questi momenti di bellezza e felicità. Settembre diventa quindi un simbolo del passaggio, un ricordo di ciò che è stato e una preparazione per ciò che verrà, con il suo carico di nuove attese e illusioni. La poesia celebra la bellezza di questo breve intermezzo, sospeso tra la luce estiva e le ombre autunnali che avanzano.
''Ligà a on granel de sabia'' – Roberto Soldà
"... e lo ligo col spago ad un granel de sabia come nea nostra canson preferià"
In questo componimento, la sabbia diventa simbolo di fragilità e permanenza allo stesso tempo. Il granello di sabbia è un elemento minuscolo, quasi trascurabile, ma nella memoria affettiva diventa qualcosa di estremamente significativo, un filo che lega momenti intimi e condivisi con una persona amata. La canzone di Nico Fidenco evoca un legame nostalgico, un’epoca passata dove anche l’infinitesimale – il granello di sabbia – è carico di peso emozionale. C’è qui un gioco tra l’effimero e l’eterno, tra la possibilità di volare via o restare legati a un ricordo che, sebbene fragile, persiste nel tempo.
Il dialogo con Maria introduce un’idea quasi filosofica del caos e dell’ordine: una farfalla può generare un uragano, ma un granello di sabbia può resistere, rimanendo saldo. In queste due immagini contrastanti, si delinea una visione del mondo dove il destino e la casualità si intrecciano in modi misteriosi, e l’essere umano cerca di dare un senso a ciò che sembra sfuggente. C’è malinconia, ma anche una certa speranza nella capacità di preservare ciò che è significativo.
''I giovinetti'' – Sandra Greggio
"Addio giovinetti impettiti... Non più racconterete ai nidi fiabe antiche eppur sempre nuove"
In questa poesia, la natura diventa il riflesso di un passato ormai perduto. I "giovinetti", i tre cipressi malati, sono simboli di giovinezza e di un tempo che non ritornerà. Greggio dipinge questi alberi come compagni silenziosi, parte di una memoria collettiva che ora si spezza. L’addio ai cipressi non è solo una questione di perdita fisica, ma anche di una connessione emozionale profonda con la natura, che una volta offriva riparo, storie e protezione.
La ripetizione del "non più" crea un ritmo funebre e malinconico, sottolineando la definitiva fine di un’epoca. Il profumo degli alberi rimane nell’aria come un'eco della loro esistenza, e la parola “giovinetti” evoca il ricordo di tempi più semplici e spensierati. La poesia è un’elegia per la perdita della vitalità, un canto che esprime il dolore ma anche la bellezza di ciò che è stato. È una riflessione sull’impermanenza della vita e sulla dolcezza amara del ricordo.
''bidoo bidaa'' – Jacqueline Miu
"... per essere due infiniti punti di luce nel buio"
Jacqueline Miu crea una tensione tra fragilità e forza attraverso l’immagine del fuoco e della luce. Il soggetto poetico si presenta come vulnerabile, "indiscutibilmente senza difesa davanti ai sogni", ma proprio in questa vulnerabilità risiede la sua capacità di bruciare intensamente. L’immagine del fiore che riceve una carezza dal sole è delicata e poetica, ma allo stesso tempo evoca una forza naturale che supera le fragilità quotidiane.
L’interazione tra i due amanti è una danza intima di confessioni e condivisioni di dolori, culminando in un momento di rivelazione finale dove, spogliati delle maschere quotidiane, diventano "due infiniti punti di luce nel buio". Questo trasforma la loro unione in un momento di pura verità, di connessione spirituale oltre il corpo. La poesia sembra suggerire che solo attraverso l’accettazione della propria vulnerabilità si può raggiungere una forma di trascendenza, un'illuminazione in cui le maschere cadono e resta solo l’essenza.
''Lo sfasciacarrozze gigliato''– Piero Colonna Romano
"Egli è di certo mobile ed è mortal respiro per quel partito immemore"
In questo componimento, Piero Colonna Romano adotta un tono ironico e sarcastico per descrivere la politica contemporanea, giocando con l'immagine del "sfasciacarrozze" come metafora di un leader politico che smantella il sistema. Con un linguaggio che richiama la tradizione classica della poesia satirica, il poeta utilizza versi strutturati e un ritmo ben calibrato per criticare la corruzione e l’immobilismo della classe dirigente.
La "porno intesa" tra Renzi e Forzitalia viene descritta come un disastro politico imminente, una minaccia che grava sulla nazione, paragonata all’onda che travolge il naufrago. La visione apocalittica dell’Italia sotto il dominio di questi leader è rafforzata dall’uso di termini come "sventura" e "miseria", che evocano un sentimento di disillusione e di disperazione.
Colonna Romano mostra una evidente maestria nell’intrecciare critica sociale e politica con un’estetica poetica che richiama il passato. Il risultato è una poesia tagliente e al contempo raffinata, che invita il lettore a riflettere sulla caduta morale della politica moderna e sulla sua distanza dai valori originari.
''Medioriente" di Carlo Chionne
questa poesia diventa una riflessione critica sulla situazione socio-politica del Libano e, più in generale, sull'impatto della religione nelle dinamiche di potere. Il contrasto tra l’antica immagine del Libano come la "Svizzera del Medioriente" – un simbolo di stabilità e prosperità – e la sua attuale decadenza sociale e politica, diventa un punto focale della denuncia del poeta.
Chionne pone una domanda centrale: "Può a tal punto la religione, così ridurre una nazione?". Questo interrogativo introduce una critica sottile e tagliente verso l’uso della religione come strumento di potere, esemplificato dal "Partito di Dio", ovvero Hezbollah, un gruppo politico e militante profondamente radicato nella religione sciita. La poesia solleva il tema dell'oppressione e della regressione che possono emergere quando il potere politico si mescola in maniera preponderante con le ideologie religiose.
L'allusione a un ipotetico mondo dominato dal Vaticano – "Cosa sarebbe il genere umano, se comandasse il Vaticano?" – è un espediente retorico che amplifica il tema, proponendo un parallelo ipotetico che fa riflettere su quanto sarebbe limitante una società governata da un’entità religiosa con un potere assoluto. L'immagine di una società in cui il divorzio e l'aborto sono proibiti, e dove ogni diritto individuale è calpestato, getta una luce cupa su ciò che il poeta percepisce come una potenziale deriva verso l’autoritarismo teocratico.
La conclusione, con il gioco di parole tra Medioriente e Medioevo, non solo accresce la critica, ma ne estende il raggio d’azione: per Chionne, il progresso sociale e politico del Medio Oriente è condizionato dall'uscita da un contesto oscurantista e medievale, un invito a separare la religione dal governo per poter avanzare verso una modernità autentica e giusta.
Il tono ironico e quasi sferzante, unito alla semplicità dei versi e alla forza delle immagini, conferisce alla poesia una grande incisività. Chionne solleva domande scomode sulla libertà individuale e sulla sovrapposizione tra fede e politica, spingendo il lettore a riflettere non solo sul Libano, ma anche su come il potere religioso possa influenzare la vita e i diritti di una popolazione.
Con affetto
vostro Ben Tartamo
1-2-3 Ottobre
Carissima Miu,
Per i sitani e prima dei commenti
Convivialità letteraria e resilienza creativa
Cosmologi della narrativa in versi, responsabili manipolatori del pathos, circensi abilitati ad acrobazie espressive, gli uomini della parola poetica, mirano alla bellezza o alla via di scampo da un Inferno spesso generato dagli umani. I poeti sono i giardinieri dell’immaginario. Nella loro mente crescono piante stoiche le cui radici si trovano nell’ego umano.
I poeti sono stregoni e curanderi che offrono emozioni capaci di generare dipendenza. Questi esseri scrivono senza una corona sulla testa, spesso senza essere pagati per farlo, e lasciano dietro i propri passi che la natura sbocci nuovamente. L’idillio tra uomo e natura è come il bacio tra amanti e i creatori di versi, imparano ad osservarla ad indagarla, plasmandola tra le righe di un foglio a proprio piacere.
Questi artisti combattono le guerre usando solo la parola e uccidono con essa gli orgogli smisurati dei mediocri, dei violenti e dei tiranni.
La solitudine poetica è il mostro di dimensioni titaniche con cui spesso si confrontano. Ogni autore muore e rinasce innumerevolmente – consumandosi per un amore per un amore perfetto che quasi sempre, non uscirà dalla sua testa.
Immortale e duraturo è l’incendio del Poeta che ricorda la nascita dei pianeti e la Pangea primitiva.
La sua è una violenza aristocratica contro tutti i mali che affliggono l’Umanità., ma il vero male che lui combatte è la Morte. Una guerra impari. Perduta in partenza. L’artista con ogni debolezza viene investito da invisibile musa di un Cavalierato Cosmico. Saranno questi soldati che giorno dopo giorno, finché ci sarà esistenza umana trionferanno anche per brevi istanti sulla morte e lo faranno in versi brucianti di sogni pronti al contagio dei prossimi adepti a Poesia.
La strada di un uomo che compone versi, è una strada attraverso le tenebre, inseguendo una stella e armati dell’unica forza che non è mai debole davanti a qualsiasi mostro ed è quella dell’amore.
"Voce del Mare"
Un richiamo alle profondità marine che ci riconoscono come adepti. Un amore ricambiato tra blu, fondali e l’atmosfera poetica ben dipinta dall’autore.
Florian Mortato
Haiku
Un uomo a fine giornata e quel fardello che accompagna il suo passo pesante. La pesantezza è un suono, per me, rassicurante, c’è vita in quell’essere e c’è ancora la forza di battagliare.
Bruno Amore [br1]
"Tempo"
Pilastro delle esistenze e attributo sine qua per questa poesia centrata sul “tempo”. Naturalmente non è un tempo universale ma un figurativo “nemico amico” presente durante ogni viaggio, ogni pensiero e scelta. Un Cristiano Berni ispirato e guidato dalla riflessione sulla cosa che più incide sull’esistenza umana.
4/08/2017
Cristiano Berni
Era solo un sogno 2
Visionaria e chimerica la formattazione onirica nelle sue interpretazioni sintetiche. Plausibile sia un fatto semplice quello che ricorda il poeta ma la sua costanza nel brevettare “normali azioni” rendendole di vitale importanza, non perde il suo valore.
(calura estiva e non poter bere
alla fontanella a due passi
ché la linea se ne "andava"...
-era questa
realtà!)
19.1.24
Felice Serino
Keiryu
Componimento delicatamente dipinto che espone le atmosfere ed i sentimenti malinconici della brava poetessa Laura Lapietra.
Laura Lapietra ©
Il Silenzio
Una miriade di affreschi, metafore e allegorie che inseguono una chimera “regina delle tenebre” che mette in agitazione il cuore ben temprato dell’ottimo Enrico Tartagni. I suoi versi mordicchiano, vezzeggiano e sfiorano il lettore che impercettibilmente si perde nel medesimo sogno.
Bentornato.
enrico tartagni
In morte d'un amico
Una poesia in memoria di un amico non più tra noi. La densità emotiva sovrasta e incide il verso. Un arrivederci e non un addio definitivo, il poeta si congeda con la speranza di ritrovarlo per i viali illuminati dell’Eden, dove faranno conversazione.
Armando Bettozzi
La verde porta
Portali verso mondi superiori, queste chiome verdi che ripagano poeta e lettore. Un universo abilmente descritto in cui le Parche si rigenerano e con loro la qualità umana. Uno scenario che promette ristoro e cura.
Da Quando gli alberi erano miei fratelli.
Orme nel bosco
Guglielmo Aprile
Foglie secche
Amore intrecciato all’autunno e alla partenza delle foglie secche. Una allegoria sentimentale con toni malinconici dentro la perfetta scenografia autunnale.
Piacentino Alessandra
Benvenuto autunno amante sposo amico
Un letargo autunnale e indulgente che è propenso al divulgare colori e sentori di bosco. Versi come pitture in cui immergersi e lo spazio temporale si apre ai libri, al crogiolo dentro una biblioteca, un ozio aristocratico e gentile che contagia di buonumore e sincera ricchezza della terra.
Franco Fronzoli
Hassan Nasrallah
Un richiamo alla pace in Oriente, al compromesso e alla mobilità generale. I razzi sopra i cieli d’Israele che parlano solo di morte e di ingiustizia non sono opera di Dio ma della violenza umana. Carlo Chionne inneggia col suo grido poetico alla Pace!
Carlo Chionne
Imperituro
Un romanticismo trascinate e una chimera vorticosa che dura il battito di ciglia. Trascinante questa danza pensosa in cui il poeta rincorre e si lascia sedurre. Un nuovo e maturo (poeticamente) Alessio parla con il cuore attraverso i versi e sposa la sua causa, quella di non dare vittoria al passato.
Alessio Romanini
L'azione e il verbo
Una dualità di forze ed energie che partono dalla giovinezza col rincaro del tempo, le stesse cambiano e muta anche il sentimento. Una matura consapevolezza usa il materiale umano che resta per una forza poetica che non è povera, anzi è completa ed è franca. Questo è il messaggio della poesia, dire con modestia della vera forza di chi la crea.
Da Il peso dell'anima
Roberto Soldà
Ho raccolto una conchiglia...
Mare coi suoi illimitati confini si avvicina al nostro occhio coi versi dell’ottima Antonia la quale, percependone la vastità ne risalta forma, colore e intensità di forza la stessa con cui ammalia gli occhi umani.
Antonia Scaligine
Stupore
Un affresco luminoso che percorre la via dello stupore per ogni miracolo che ci regala la vita. Spinta da queste belle immagini, la poetessa Sandra Greggio regala momenti che suggeriscono coraggio al lettore, chiedendogli solo di abbandonarsi alle cose belle di questa mera esistenza col suggerimento di stupirsi.
Sandra Greggio
"Tra cielo e terra"
Tra terra e cielo a cercare scampo con la poesia al male umano e a quello che peggio mostra di sé alla natura. Una poesia sincera e forte di emozioni il cui peso resta nel cuore inabilitato a lottare da solo contro i diavoli e cui resta solo alzare gli occhi verso l’azzurro come una preghiera di speranza verso l’Ineffabile.
26settembre24
Ben Tartamo
Solo tu
Una carezza poetica intensa ed affettuosa del bravo Ciro Seccia che rivolge alla madre il suo pensiero d’amore puro e prega perché lei, lassù, sia sempre a sostenerlo. Poesia delicata in cui la commozione è così sincera da abbracciare persino il lettore.
(A Jolanda...mia Madre)
29/9/24
Ciro Seccia
Il sorpasso
(febbraio 2014 Governo Renzi)
La satira che coinvolge un noto “clown arrangione della politica” durante il cui regno la gente intasata da tasse lo ammirava mentre dimostrava al mondo il suo stato di “shock” davanti al Covid 19. Uomo che ha ben pettinato e unto Le Corti di Giustizia per dei problemini di famiglia in cui lui stesso coinvolto, oggi come ieri il suo nome risalta nell’entourage politico dell’Italia moderna. Piero Colonna Romano, illustra questo villano e la sua postura democratica che rende ancora più imbecilli i cittadini che lo hanno votato.
Da …Intricati Pensieri…, Nelle nebbie
Piero Colonna Romano
Ringrazio l'uomo che ha reso tutto questo possibile, il Magister Lorenzo. Ringrazio Piero Romano Colonna per il pilastro della dottrina che è fondamento del sito, cui auguro di rientrare presto con nuove vigorose forze. Era un grande tributo alla conoscenza, leggere le sue opinioni in materia poetica. Ringrazio tutti voi per le bellissime letture che mi rendono più forte e sempre più convinta che la bellezza non sta in un lavoro o in una poesia o in una sola persona, ma nell'idea che ci unisce. Siate operosi come le api.
Miu
Ringraziamenti
Buongiorno, uso la pagina azzurra per estendere i miei
saluti a ognuno di voi e per ringraziare Antonia
Scaligine e Alessio Romanini per la loro dedizione alla poesia e le
gentili parole che mi hanno rivolto. Vorrei dire loro che non faccio nulla di
particolare e che ho la fortuna di viaggiare con menti dalla creatività
esaustiva in cui spesso mi reincarno. Antonia la tua scrittura è rigenerante e
offre sempre una via di salvezza, mentre Alessio, posso vedere la strada che hai
percorso qua dentro dal primo giorno ed i passi che fai lasciano finalmente
delle impronte. Ripeto, siete voi che rendete ciò possibile e con modestia sono
a ringraziarvi del tempo che mi offrite.
Miu
25-26-27 Settembre
Se pur sono sempre a corto di parole non posso non
ringraziarti J.Miu
grazie per le tue profonde parole e commenti , davvero speciali
,spero che un semplice “grazie” renda l’idea di quanto sei brava in tutto
È rassicurante sapere che una poetessa e pittrice come te possa trovare nella
mia poesia qualcosa di buono
Grazie per aver reso insieme al magnifico Lorenzo un sito da non dimenticare,
insieme a tutti i poeti e commentatori .
Cosa dire di Lorenzo, tranne che ce l' ho nel cuore
grazie
Antonia Scaligine
Grazie Miu,
Per i sitani e prima dei commenti:
La circumnavigazione dell’amore con l’ipersensibilità poetica.
A lieta fonte (Tempio Azzurro) trovare l’innesco gioioso della saga artistica cui tutti qui siamo partecipi. Da intendersi l’amore per la Poesia e l’arte poetica. L’inclinazione umana alla forgia di un bello etereo e perfetto. L’esigenza di esprimere questa forza prepotente è parte di quell’immaginario che converte i sogni in idee e le idee in scritti. Non esistono poeti o poemi scadenti, ma solo un viaggio verso quella piccola strana luce che anima l’artista, il quale non ha esigenza di toccarla ma soltanto di sapere che la sua luminescenza si protrarrà anche dopo la sua vita. L’unico ostacolo alla conferma di quanto sopra, può essere solo l’aberrante alienazione di una mente che s’oppone alla propria crescita e a quella dei propri sogni. Generare questo tesoro per quanto possa sembrare facile o accessibile, è sempre frutto di un parto. I libri, gli scritti, i poemi, sono bambini che crescono non in altezza o in età ma nelle menti di chi li legge e non hanno spessore, forma, profumo, odore, colore, peso ma una impercettibile forza elettrica che attraversa i viventi per diventare parte di questi. Scrivere è un atto di coraggio. Condividere è un atto di coraggio. L’amore ci rende un unico essere, ancora in grado di crescere, ancora piccolo rispetto al cosmo in cui dobbiamo avere fiducia.
In questi momenti della storia della letteratura italiana ancora catturata dalla gravità dell’Ancien Régime dobbiamo mostrare la nostra resilienza. Obiettivamente nessun erede di questo monopolio potrebbe non lasciare che la bellezza oltrepassi i confini. Scriviamo per vivere o viviamo per scrivere? Non regaliamo la nostra dignità artistica a nessuno. Stare dieci minuti su un giornale vale meno che stare nel cuore di un lettore che si è appassionato al tuo scrivere. Oggi non abbiamo movimenti letterari che possano sostenere le nostre spalle o siano pavimenti per i nostri passi nelle nebbie pretoriane delle pubblicazioni, ma l’umiltà ci insegna che essere grandi significa farsi piccoli in un mondo gonfio di mode. Nel nostro Tempio Azzurro niente mode, niente bolle che esplodono ma solo bella, terribilmente bella poesia. Continuate a creare, a credere nelle vostre capacità che devono avere il tempo di crescere lungo il proprio viaggio chiamato esistenza.
Ogni opera creata da uno scrittore ha merito e premio di essere letta e come dico sempre nei miei libri, di tutti i versi, di tutte le poesie mai scritte la più bella poesia sei Tu.
J.Miu
Narcisista del mio vecchio cuore
Una vulnerabilità contagiosa che ci trascina nelle notti dense di stelle e comete. E’ un assorbire tacito della natura che consente poi l’elevazione dell’immaginario.
La poetessa zittisce il cuore che assieme allo stellato, hanno tanto da raccontarci.
Piacentino Alessandra
Scende da un pendio breve
Nel ricordo di un amore perduto, fioriscono I bei versi di Franco Fronzoli che hanno un peso sul cuore del lettore. E’ il peso della bellezza dei girasoli, della danza del vento e di quella promessa amorosa rimasta eterea.
Il dolore non vince sull’energia creativa che rende quasi palpabile la natura che circonda l’evento.
nel ricordo di un tramonto
baciato da un raggio
di luna
Franco Fronzoli
Haiku
Piccola e delicata pennellata preautunnale. Un romantico gioco tra stagione a finire e stagione entrante (autunno) in cui il fiore è ancora protagonista potente.
Bruno Amore [br1]
"Le 6 di mattina"
Tra utopia e chimera, la battaglia poetica di Cristiano Berni che si arma ogni mattina di buoni propositi sicuro che altri fatti della giornata potrebbero “inquinarli”. La volontà di credere nella prima innocenza di cui da adulti ci separiamo, lo porta a duellare con questa doppia identità che assume la sua vita, mattina e sera.
Cristiano Berni
Vikinghi
(ispirandomi alla raccapricciante notizia del gatto torturato nel gennaio 2024)
Bravate macabre e personaggi che faranno storia solo per le vigliaccate commesse. Una notizia triste che diventa poesia e quindi condanna.
14.1.24
Felice Serino
Katauta
Un gioco dell’immaginario che genera gioia creativa e questo nel nome dell’amore.
Laura Lapietra ©
Patto antico
Davanti alla maestà dell’albera cade ogni maschera umana.
Dialogo tra un pioppo che potrebbe raccontare la storia e la fragilità dell’uomo e poeta che lo ammira. Guglielmo Aprile estende questa mirabile vocazione e la condivide con grande indiscussa umanità.
Da Quando gli alberi erano miei fratelli.
La via degli eremiti
Guglielmo Aprile
Extracom
Anime in fuga per una vita migliore, sono l’argomento di Piero Colonna Romano che descrive con forte sentimento la tragedia che li aspetta sul fondo del mare. La consapevolezza che poteva essere fatto qualcosa ci rende colpevoli di queste carneficine. Il poeta denuncia con amarezza e durezza la cecità del mondo che guarda con curiosità alle anime disperate e smette di piangere appena cancellate dal Destino.
Da …Intricati Pensieri…, Nelle nebbie
Piero Colonna Romano
Vita solitaria
La cura della natura per un uomo che cerca nutrimento in mezzo a un mondo smarrito e mi viene in mente la scena (anche dalla lettura della biografia) di Einstein che cercava nutrimento e serenità nella natura che col suo culto di purezza assoluta, teneva lontane le anime agitate. La contemplazione dovutamente forzata, diventa un viaggio ricorrente per la brillante creatività di Carlo che s’innesca solo in mezzo a salutari emozioni e come dargli torto…
Carlo Chionne
Nel cuor della fonte
Un percorso creativo e umano che trova godimento nella virtù. Percorso non facile né per l’uomo e nemmeno per il poeta che deve dimenticare le fatiche dello spirito e il bagagli mortali che spesso lo affliggono. Lete riformula la resilienza del cuore di Alessio Romanini che ne esce vittorioso.
Alessio Romanini
Sul marciapiede
Una bellissima riverenza alla vita che mostra la sua bellezza anche tra le crepe di un marciapiedi e un’istantanea per dare vita a una bottiglia di plastica adagiata a terra come testimone del mondo di oggi. Una fotografia impressionante, limpida, dolce e dolorosa allo stesso tempo.
Da Il peso dell'anima
Roberto Soldà
Il ricordo
Ricordi che affliggono l’animo di questa sensibile poetessa che non cancella il quadro quasi doloroso della memoria passata. Fa parte di una scelta l’età, decidere di essere vecchi o decidere di essere saggi. L’immortalità resta nelle mani e nell’inchiostro con cui scrive questa poesia.
Antonia Scaligine
Quella voce
Una potenza divina che deve rispondere alla chiamata della poetessa Sandra Greggio. Un credo che resiste e persiste. un bisogno impellente di nuova energia.
17 Aprile 2021
Sandra Greggio
Ringrazio l'uomo che ha reso tutto questo possibile, il Magister Lorenzo. Ringrazio Piero Romano Colonna per il pilastro della dottrina che è fondamento del sito. Ringrazio tutti voi per le bellissime letture che mi rendono più forte e sempre più convinta che la bellezza non sta in un lavoro o in una poesia o in una sola persona, ma nell'idea che ci unisce. Siate operosi come api.
Miu
22-23-24 Settembre
Per i sitani e prima dei commenti:
La mia riflessione riguarda la Poesia. Ho delle opinioni sull’evoluzione (anche tecnologica della cinematografia, della sceneggiatura e persino dei romanzi ma la poesia può sostenere tale evoluzione?
La sua è una marcia lenta, innata è dovuta al fatto che deve dare tempo alle emozioni nel lettore di svilupparsi. Il tempo poetico non è pari al tempo del romanzo, ha un cuore proprio con aritmie uniche e particolari che si differenziano da poeta a poeta. Ci saranno ancorai sognatori tra 999 anni? Cosa accadrà secondo voi in questo Nuovo Millennio alla sua arte? Chi la influenzerà maggiormente?
P.S. Manca Enrico Tartagni, chi l’ha visto? Enrico spero tu ritorni a scrivere…
Miu
Dono degli alberi
Amici fedele e umili, gli alberi che investiti dal sole, diventano monarchi assoluti di una natura benevola. Guglielmo Aprile vive in questa simbiosi alfabetizzata da linfe possenti e sovrane su tutta la vita che circonda l’uomo.
Da Quando gli alberi erano miei fratelli.
La via degli eremiti
Guglielmo Aprile
Emozioni negli scontrini
La brava poetessa Piacentino ci offre un cuore a batteria sostenibile che passa attraverso i veri stadi del dolore amoroso, delle emozioni spicciole e scontate che portano a un finale alternativo, il ricordo dell’ultimo amore ancora presente nell’essenza umana della scrittrice.
Piacentino Alessandra
Perdersi
Perdiamoci per poi ritrovarci. Bello questo sfondo poetico, dove pennellate sensibili ci mostrano la benevolenza dell’allontanamento come punto di inizio di qualunque storia. Il viaggio è la cosa più preziosa e le sue avventure ci esaltano ogni volta che recuperiamo un buon sentimento.
… immutabilmente
Franco Fronzoli
Sui binari del tempo
il tempo frena
le acrobazie degli anni
verso gli ultimi passi
Plausi a questo ottimo poeta che non rende la vita un miracolo ma che miracolosamente la sostiene passo dopo passo e la colora per come è. Versi forti e incisivi che si sottraggono all’agonia della fine, lasciandoci anca sognare un poco di quello che rimane del mistero oltre la vita.
Giuseppe Stracuzzi
"Il giocatore"
Io esisto nell’azzardo, dichiara poeticamente Cristiano Berni che influenzato da un’ora “infame” e una febbrile spinta al coraggio di arrivare ai propri limiti ed oltre, sfiderà “poeticamente o umanamente” anche la diabolica morte. Instancabile acrobata e protagonista della propria esistenza.
Cristiano Berni
Dove vegliano angeli
Un concentrato del concetto di Ineffabile in cui tutto è bellezza, diventa bellezza o ritorna bellezza. Sintetico e radio sincronizzato con l’Eden. Un concetto fisso dantesco della chiara sfera universale che ha nel suo nucleo “ciò che ogni cosa comanda”.
8.1.24
Felice Serino
Battito...
Il tempo di un battito
Deliziosa cantilena che rivertrebra il tempo dandogli speranza e quell’approccio alla gioia che resta deliziosamente velato. Brava l’autrice in questi versi di chiusura.
Cercando lontano,
quel che hai vicino.
Flora Fazzari
… e il fiume va…
Pioppi ed inquietudine ma non una inquietudine qualunque, una ottusa che deriva dal frenetico provare qualcosa di cui non si sa nulla che sorvegliano un fiume denso del peso delle pene che porta al mare. La magia dell’ineffabile non è per il limpido Nino Silenzi che è reale quanto la forza con cui descrive le amare pene, pene commisurate alle virtù cercate o virtù acquisite e rimaste a fare da bilanciere nella vita. Nereidi nel mare dell’esistenza, chimere e malinconie di ogni natura. L’ultimo banchetto è una festa per un solo invitato, mentre il fiume scorre con le pene d’altri. V’è una metamorfosi con l’atmosfera e il peso elegante di chi è già stato sul palcoscenico della vita e sa, anche uscire senza il servizio degli applausi, come un uomo qualunque in cui ha soggiornato per un po’ la grande arte di Poesia.
Da Le strade della vita
Nino Silenzi
Were Time to Hold Us Prisoners
Un’altra delizia per I palati universalmente formati dei nostri sitani che oramai conoscono le doti di “prodo talent Scout” di Nino Muzzi che ringrazio per ogni scelta che porta sul sito. Attivista indiana e molto prolifica Meena K. offre una sorta di sortilegio nuovo millennio per le menti che non reincarnano più la fisionomia della bellezza sentimentale.
Meena Kandasamy
Traduzione di
Nino Muzzi
Quando
Una traccia dell’evoluzione voluta e non voluta. Una trasformazione che ci mette davanti allo specchio nudi e carichi delle nostre battaglie e nostalgie passate. La ottima Sandra Greggio coraggiosamente apre una valigia in cui chiude tutto: presente, passato e futuro, rifiutandosi di soccombere al dolore.
18 dicembre 2022
Sandra Greggio
H i b a
(dono di Dio)
Una danza gloriosa quella del sapere che parte da questo fiore di titolo Hiba e ci illumina, come solo Piero Colonna Romano sa fare, ci illumina nella carne con profezie di speranza.
Da …Intricati Pensieri…, Nelle nebbie
Piero Colonna Romano
La Penna
Uno scritto per lasciare traccia di sé e che arma la penna di tutti gli stati d’animo del poeta Ciro Seccia. Nulla di divino, solo un uomo coi propri stati d’animo che si manifestano in parola e questi stati sono inarrestabili.
21/09/24
Ciro Seccia
"Ciò ch'è silenzio"
Molto musicale e romantica questa poesia sfornata per dare speranza alle iniziative della natura che libere dall’influenza umana, possono ancora incantare. Una natura vista come un’arnia di piccoli miracoli che ci circondano ogni giorno, cui non prestiamo molta attenzione ma che ci influenzano direttamente o indirettamente la vita. Un dono solare da un artista carico di umanità.
21settembre24
Ben Tartamo
La nostra vita
una considerazione esistenziale che prende forma di ciò che effettivamente è: un viaggio. Riflessione profonda che l’amabile Carlo Chionne dipinge con maestria e v’è il vantaggio dell’ultimo dono, una specie di cerchio, dove tutto quello che finisce poi riparte nuovamente.
… una speranza di rinascita, tra partenze e arrivi e morti che vanno per fare restare i vivi.
Carlo Chionne
Nenia di settembre
Un profumoso autunno carico di colori e vibrante melodia che asseconda questo stato meditativo del nostro poeta Alessio Romanini che diventa sempre più incisivo e sintetico. Bravo.
Alessio Romanini
Ringrazio l'uomo che ha reso tutto questo possibile, il Magister Lorenzo. Ringrazio Piero Romano Colonna per il pilastro della dottrina che è fondamento del sito. Ringrazio tutti voi per le bellissime letture che mi rendono più forte e sempre più convinta che la bellezza non sta in un lavoro o in una poesia o in una sola persona, ma nell'idea che ci unisce. Siate laboriosi come api.
Miu
19-20-21 Settembre
In una pineta, in estate
Da “ conversazioni con la Natura” una poetica luminosa e distintiva. Apprendiamo dagli alberi la cui sintonia è un muto macrocosmo in cui i messaggi si amplificano dalle radici fino ai rami più alti come un ripetitore di molecole linfatiche, ed è piacevole assorbire la musica del bene verde da cui non dovremmo più scappare. Ottima del poeta Guglielmo Aprile.
una complicità ma sottintesa;
e quasi, mentre sembrano guardarci,
una condiscendenza intenerita
verso di noi, una pietà indulgente.
Da Quando gli alberi erano miei fratelli.
La via degli eremiti
Guglielmo Aprile
Sfiorando il mare
Desiderio inappagato
Quello che distrugge i pensieri
E sana i corpi con la sua assenza e presenza impalpabile
Desideri e piccole ermetiche crepuscolari paure, oltre cui indugia un mare dipinto con pennellate decise che non conforta come dovrebbe, lo spirito battagliero della brava poetessa.
Piacentino Alessandra
Stanca età
Se potessi nasconderei la mia
stanca età tra foglie
di un autunno
Romantico e trascinante. Una poesia quella di Franco Fronzoli con obiettivi precisi che rassicurano, rasserenano la mente e l’impazienza del fine lettura. Appagante quanto consolatoria la franchezza umana con cui ci confessa i suoi pensieri.
Franco Fronzoli
Nel campo dell’amore
Campi dell’amore minati da paure, debolezze sessuali e dubbi, tutti attributi prettamente umani e ben distribuiti in questa malinconica feritoia poetica che il Ponte Levatoio di una fortezza pensate quale è Giuseppe Stracuzzi.
Giuseppe Stracuzzi
Il niente di ora
Un poema come un unguento universale, per ogni anima e per tutte le anime. L’intero peso delle difficoltà o agonie si spingono nei versi che non restano letargici sull’impopolarità del male ma avanzano come truppe legionarie verso il lettore spingendolo al suo miglior proposito senza mettergli in spalla peso di colpe che la brutta realtà si trascina giorno, dopo giorno. Bruno Amore lascia la Terra con l’immaginario per un giro nell’Universo che lo ripaga dello sforzo condividendo non solo con lui ma con noi tutti, la sua eterna bellezza.
Eppure l’universo ci abita interamente
con chiare linee guida ci conduce
l’uno e l’altro in assonanze infinite
di una perfezione ch’è bellezza eterna.
Bruno Amore [br1]
I martiri dell’Aldriga
Gli eroi che pagano per essere innocenti emblemi di una fede e di una democrazia. La storia di una fucilazione vergognosa raccontata dalle mani consapevoli di grande storia umana quel è il poeta e scrittore Renzo Montagnoli. Indescrivibile la crudeltà dei boia e l’amarezza rimasta a segnare Aldriga.
Ora sul luogo è cresciuta l’erba,
fra le fronde cantano gli uccelli,
all’Aldriga i dieci riposano in pace.
Da La pietà
Renzo Montagnoli
"Il sopravvissuto"
Il sopravvissuto è la storia di chi vince la morte. Un provato intervento, una angoscia personale che segna mente e corpo ma nonostante tutto, un uomo motivato a guardare il pavimento dell’abisso prima di risalire e lo fa. La scrittura di Critiano Berni è un segno di coraggio che arma OGNI SOPRAVVISSUTO.
Cristiano Berni
Elucubrazioni
Surreale e dicotomico che regge sul suo ermetico impianto ancora in combustione con l’unico poeta capace di farlo: Felice Serino.
3.1.24
Felice Serino
Allora non lasciarmi
La sua bellezza non ha pari e il suo mite fiorire nell’uomo non ha paragoni, Musa traspare dal canto di un ispiratissimo Bruno Castelletti che le chiede di essergli vicino ancora per molto. Poesia è un viaggio nell’ascolto di ciò che l’occhio non vede ma il cuore sa percepire bene e il poeta applaude “la meraviglia” e noi applaudiamo il suo ricordarci di essere parte del grande spettacolo dell’arte sublime che è il “verso”.
Bruno Castelletti
All'imbrunire...
Un cielo azzurro,
tempestato di nubi.
Il sereno affresco dell’autrice Flora Fazzari che dipinge una natura verso il tramonto che incanta i sensi. Nulla di drammatico. Le melodie degli uccelli prima di sera sono una congiunzione astrale tra noi e natura
Flora Fazzari
A Poet Goes in Search of a Side-Chick Song
Meena Kandasamy
Cortometraggio con sexting e vacanze dei sensi in questa poetessa in cui le storie new Millenium sono fondamenti dell’era che sta cambiando. Grazie di cuore al nostro Talent Scout Nino Muzzi e alla sua prodigiosa caparbietà nel trovare talenti con cui stare a passo coi tempi e migliorarci.
Meena Kandasamy Traduzione di Nino Muzzi
Alveoli polmonari
Una malinconia struggente che vede passeggero solo l’autunno. Una necessità di forti sentimenti e di un fuoco che scaldi o curi “i respiri poetici” del nostro sempre più bravo Alessio Romanini.
Alessio Romanini
Riflessioni sparse
Avere il volto della nostalgia
Perché ti attraversa la mente
Una montagna di ricordi
Avere il volto della tristezza
Per colpa di quei ricordi
Che ti penetrano nelle ossa
Avere il volto dei rimorsi
E dei sensi di colpa
Per non aver vissuto pienamente
Avere il volto come un punto interrogativo
Perché non sai cosa ti riserva il domani
Avere però il volto della speranza
Perché sei viva e credi fermamente
Che la vita è il più prezioso dei doni.
19 dicembre 2021
Sandra Greggio
Furon trecento
(Lampedusa 2/3 ottobre 2013)
La simbiosi tra politici e inganno o politici e miseria umana si avverte in fatti di cronaca in cui non emergono vite ma morti, titolari di disavventure e ridicolezze di partiti governanti. Piero Colonna Romano denuncia per l’ennesima volta la cecità ambigua del nostro governo e mostra i crudeli fatti in cui a pagare sono quelli che si poteva salvare.
Da …Intricati Pensieri…, Nelle nebbie
Piero Colonna Romano
Vita per una natura morta
Fermo immagine con natura morta e scatto di fotografia. Il ritratto poetico dell’arte che fa storia in qualche modo e non si deteriora se diventa anche poesia.
Da Il peso dell'anima
Roberto Soldà
Foglie
Una canzone poetica per salutare l’estate. I primi colori autunnali ed i primi freddi sono nel quadro che hanno ispirato Seccia Ciro.
16/9/24
Seccia Ciro
"Quanta voglia"
Un urlo liberatorio ecco la consolazione poetica dell’ottimo Ben che affonda quella voglia di abbracci e umanità nei versi di questa forte poesia.
Chiusa stupenda che mi fa pensare a certi passaggi di Rimbaud.
Navigare per sfuggire,
altri lidi da cercare,
perché non si può morire,
ma volare, sì volare.....
15settembre24
Ben Tartamo
Saluto e ringrazio in primis il nostro Magister Lorenzo che mi ospita nel Tempio Azzurro; Piero Colonna Romano che ci commenta ed è il dotto pilastro del sito, naturalmente commentatori e sitani che rendono possibile tutto questo. E’ un onore stare in mezzo a voi tutti.
Miu
16-17-18 Settembre
L’intelletto che ci guida
proiettati all’altra sponda
prende luce dal progetto
che conduce il gran cammino
dell’umano a Tuo cospetto
.
Una grande profonda poesia costruita sulla fede e sul messaggio poetico che la forza di questi versi trasmette. La natura biblica di questa Voce e l’espatrio dell’anima, sono presi in esame dalla penna di Giuseppe Stracuzzi che sfiora l’argomento del “gran cammino dell’umano a Tuo cospetto”. L’Oltre su cui quasi tutte le menti poetiche indagano usando come mezzo la letteratura.
Giuseppe Stracuzzi
L’estate va via
L’estate che segna il passaggio della vita umana ma anche momento di facoltose energie e di luminose giornate. Un saluto poetico alla stagione che ferisce con le sue afe, che prende gli occhi con i “cieli d’acciaio” ma che l’ottimo Renzo Montagnoli, attende si ripresenti col suo tripudio di sogni a occhi aperti.
Da Lungo il cammino
Renzo Montagnoli
L'animula
molto ermetica e molto enigmatica – la piccola anima abbandonata di un cane probabilmente che bestie umane abbandonano senza rimorso …
splendida che consuma ed erode ma solo quelli che un’anima ce l’hanno
1.1.24
Felice Serino
Il tuo sorriso
Un canto d’amore paterno, che si trasmette ai figli e ai nipoti. Una promessa poetica ed anche più forte, una promessa umana.
Solo gioia emana questa poesia.
Bruno Castelletti
[mi avvicino irrequieta ai miei oggetti]
L’acchiappa talenti per antonomasia, Nino Muzzi che ringrazio per la ricerca, il tempo e la fatica di decifrare lavori come questi, ci offre questo stuzzichino poetico. Questa pluripremiata poetessa tedesca, ha già un suo filone letterario che muove un realismo monolitico nella direzione del dinamismo umano senza influenza emotiva. E’ una distonia letteraria che spinge valanga nella lettura e si contrae nel nostro essere alla ricerca di uno spazio, dove sia digerita, capita e resa propria. Plausi a Muzzi.
Saskia Warzecha Traduzione di Nino Muzzi
"E che lo dico a fare"
L’amore non riceve premi ma è un continuo dono che non rende povero chi se ne priva. Poetica concentrata sulla fede e sulla speranza che offre una bandiera di speranza all’Umanità imberstialità.
È tutto qui l'Amore,
domanda con risposta:
da un cuore all'altro cuore,
un dono senza sosta!
12settembre24
Ben Tartamo
A Lei
Poesia d’amore che indugia sulla corposità della poetica e indaga la passione dal punto di vista dello scrittore. Una carezza visiva per il lettore.
Alessio Romanini
Piccolo ma immenso
L’infinito in una goccia di rugiada e l’amore per l’uomo d ella propria vita, un matrimonio poetico perfetto, organizzato dalla maestria di Sandra Greggio e dal suo cuore pulsante che infiamma di gioia per la vita.
Sandra Greggio
Che meravigliosa bellezza è il Creato !
La bellezza del creato è un tributo alla natura e alle sue creature, nato dalla natura gioiosa di questa mirabile scrittrice che condivide il suo entusiasmo ed i colori dei suoi versi senza difficoltà. E’ un simposio di bellezza creativa.
Antonia Scaligine
Avanspettacolo
(Governo Letta. Parlamento della Repubblica, 2 ottobre 2013)
L’indagine politica e la telecronaca sarcastica diretta abilmente del nostro magistrale poeta Piero Colonna Romano che narra della natura della “Bestia” nel governo del 2013 e del conglomerato servile .
Da …Intricati Pensieri…, Nelle nebbie
Piero Colonna Romano
Ringrazio e saluto in primis il nostro Magister Lorenzo, Ospite e Filantropo del Tempio Azzurro. Ringrazio Piero Colonna Romano per essere uno dei grandi pilastri di questa Arca Poetica. E’ un onore e un privilegio leggervi, ospiti, scrittori e promesse della letteratura. Siate laboriosi come le api.
Miu
13-14-15 Settembre
Grazie Miu, per i commenti e l'impegno e la passione con cui esprimi le tue emozioni leggendo le nostre poesie.
10-11-12 Settembre
Rilievi Celesti
Una lirica che delizia e appaga. Un quadro celeste in cui liberarsi e cogliere la bellezza dell’insieme cosmico. L’ottima autrice con esemplare scelta di parole rende appagante la lettura e ci trascina. Dalla ricca fantasia all’inchiostro ed è un quadro sempre nel divenire, complimenti all’autrice.
Laura Lapietra ©
Supplica per essere sepolto sulla spiaggia di Sète
Nuova canzone cui prestare attenzione in una poetica trascinante che esonda la necessità umana di avere premio in vita se non un poco di pace. Grande il nostro Nino Muzzi cacciatore di perle letterarie.
Georges Brassens Traduzione di Nino Muzzi
Amore senza tempo
L’amore puro che resta vigile nel tempo, è il genere di sentimento che continua ad appagare il poeta Santoro. Pur non disdegnando i piaceri fisici, lui stesso afferma che è l’amore non soggiogato ad altro desio che la completezza di due, ed è l’unico sentimento di cui regalare la forza nei giorni sempre più pieni di tormento.
Sonetto
(Boccheggiano 4.3.2023 – 11:08)
Salvatore Armando Santoro
La compagnia dell’albero
I
L’uomo che parla agli alberi. Il poeta che indaga nella linfa del legno per estrapolare quelli che possono essere i pensieri e le memorie delle piante. L’amore e l’affetto con cui condivide questa tenera e longeva poetica, sono generati da una vena artistica che denota realmente la bellezza della natura. Lodevole questo avvicinamento al “fratello albero”.
Da Quando gli alberi erano miei fratelli.
Un albero mi ha parlato
Guglielmo Aprile
Il corpo e lo spirito
Corpo e spirito davanti allo specchio e la loro completezza nell’essere uno e unico con quell’aspetto. Squisita poetica che richiama un buon vecchio verso di Whitman …I am the poet of the body and I am the poet of the soul.
Fausto Beretta
Nulla assoluto
Una drammatica immagine della perduta speranza che l’ottimo Marino Spadavecchia vede smarrita. L’illusione di grandi traguardi sconfigge l’uomo e mesto l’animo del saggio cerca conforto nell’ultima luce rimasta – a trovarla però.
8 settembre 24
Marino Spadavecchia
I vecchi
La fine del gioco o emblemi di un mondo passato? I “vecchi” termine in dissonanza con “saggi” eppure appartenenti allo stesso mondo. Un uomo ricco di peripezie poetiche qual è Renzo Montagnoli mostra la vita reale della “vecchia generazione” e non essendoci alcun premio a fine cammino, lui offre un film disilluso e sublime umanità cui spetta almeno il premio del rispetto.
Da La vecchiaia
Renzo Montagnoli
Gira l’universo con il capo riverso
Un sottosopra di girandole dell’immaginario, abilmente orchestrate dalla poetessa Piacentino. Molto colorate divertenti le “magie” create col solo uso di una mente e dell’inchiostro.
Piacentino Alessandra
Poesia
Una poesia che narra la tragedia delle vittime del crollo del Ponte Morandi e la vergogna di un governo è vivo solo a parole ma non nei fatti. Restano dolore e costernazione, mentre il poeta chiede (a nome di tutti noi) una giustizia umana.
18.12.23
Felice Serino
A Sara
Una piccola deliziosa ode alla nipotina Sara che rende il cuore poetico del nostro Bruno Castelletti come un giardino pieno di frutti maturi. Sarà questo grande affetto a seguire i passi principeschi durante la sua crescita. La gioia e l’ottimismo sono l’aura in cui si trova la graziosa figura della bambina.
Bruno Castelletti
Lettera al dott. prof. sen. Monti
(e p.c. al ministro prof.ssa Coccodrillelsa)
(dicembre 2011)
Ha un che di Trumpiano questo cordone ombelicale tra Monti e Vampiri. Piero Colonna Romano parla di questo male che tiene tra i denti la povera Italia ma da innumerevoli governi con Premier bulemici di voti e di sangue umano estorto a tasse. Il tempo passa, un altro Monti, un’altra maschera, ma medesima tortura ai cittadini. vince chi avrà la statua più grande… con rammarico il poeta si ritira dal palcoscenico, dove chi applaude lo fa per inerzia, le mani hanno già votato il/la prossimo/a masturbatore/trice di velluti in Parlamento.
Quell'alta finanza da cui tu dipendi
sì ti sarà grata con gran dividendi
e poi nelle City più ricche del mondo
di marmo il tuo busto vedremo giocondo.
Da …Intricati Pensieri…, Nelle nebbie
Piero Colonna Romano
"Perso nello spazio"
Splendido questo perdersi nello spazio siderale per ritrovare l’armonia nel proprio essere, qualità con cui comporre e creare. Il poeta è un astronauta dell’immaginario e probabilmente Tartamo l’ennesimo grande pioniere?
26agosto24
Ben Tartamo
Note di poesia
(Panta Rei “Tutto Scorre”)
Una rinascita che sposa molto bene l’avanguardia poetico educativa di Alessio Romanini. Mare e vento nel cuore che nutrono le vibrazioni di un uomo sempre in attesa di un bene e se quel bene non arriva allora lui lo crea con le sue preziose parole.
Alessio Romanini
Nonostante tutto sono
Un poema molto provato e maturo della ispirata Sandra Greggio. Una realizzazione amara a causa di un sentimento che non configura gioiosamente con quello che veramente è Sandra Greggio. Lei non cerca lodi e afferra questa amarezza per darle il posto che si merita, c’è ma passerà come ha vissuto e passato altri dolori.
18 maggio 2022
Sandra Greggio
Saluto e ringrazio in primis il nostro Magister Lorenzo che ci premia e ci onora con il soggiorno nel Tempio Azzurro. Ringrazio Piero Colonna Romano per essere un pilastro di questa olimpica arena di Poeti e ogni commentatore del sito. Grazie a tutti gli autori presenti sul sito perché rendono possibile tutto questo. Siate laboriosi come le api.
Miu
7-8-9 Settembre
Nell'angolo del cuore
Viaggio a occhi aperti senza forma umana e oltre tutti i confini, è questo il lavoro del poeta. Arrivare con l’immaginario, oltre il cosmo e con un tocco di magia, potere persino vedere il Paradiso. Eccellente compagno di viaggio il nostro Bruno Castelletti.
Bruno Castelletti
haiku
Un inno all’autunno con ricchezze stagionali e romantica malinconia.
Laura Lapietra ©
Gli uccelli di passo
I borghesi oramai estinti ma ancora cantanti dalle storie di Georges. Sempre intellettualmente stimolante la scelta del nostro straordinario cacciatore di talenti – Nino Muzzi e alle sue traduzioni che non lasciano nulla al caso. Complimenti e grazie Nino.
Georges Brassens Traduzione di Nino Muzzi
La sapienza dell’albero
Figure vegetali dello zodiaco, ricche metafore e acquarelli con maestria dipinti da Guglielmo Aprile. Il mondo vegetale vissuto e interpretato da un attento osservatore poetico.
Da Quando gli alberi erano miei fratelli.
Un albero mi ha parlato
Guglielmo Aprile
Il cagnolino e bambini in fuga.
Un canto di pace contro la violenza prepotente e inarrestabile. Un grido contro i potenti che ignorano le stragi di innocenti. Il vero cambiamento è tagliare radicalmente l’albero marcio oramai le trattative salvano solo i politici non i bambini usati come obiettivi. Radicale e cruda la descrizione lirica del mondo a Gaza e non solo. Chi guadagna da ste guerre?
Fausto Beretta
Un tuffo nel sole di primo mattino
Senso della vita e risvegli del sole, e nella centrifuga luminosa i respiri giornalieri. L’autrice ricama sapientemente le angosce umane, i dubbi e le incertezze con i fili della speranza mattutina, quando il sole si alza e sembra darci qualche piccolo potere.
Antonietta Ursitti
Lacrime oggi
Un pensiero e preghiera ai cari nonni della poetessa Piacentino Alessandra. Abbracci di instancabile fede e augurio di vederli ballare in Eden come sempre hanno fatto quando erano vivi.
- tratto da “raccolta i giri delle bambole”
Piacentino Alessandra
Avrei voluto …
Un regalo d’amore fatto di prati e di fiori fatti di pura poesia. Un percorso romantico con pennellate colorate. Leggera e vivace come gli abbracci primaverili e quei baci o quei sorrisi che Franco Fronzoli non è mai avaro di donare.
Franco Fronzoli
Nel nonsense di onirici pensieri
Ermetica nella sua ectoplasmatica forma con tanta di fuga romantica all’alba. Vie oniriche verso l’Eden?
15.12.23
Felice Serino
Mancanza
Nell’ora di preghiera, in mezzo ad altri fedeli l’autrice rivela la propria debolezza e la regala con affettuose lacrime a chi non c’è più.
8 gennaio 2023
Sandra Greggio
Sergio Tofano docet
(governo Monti : novembre 2011)
Mi sembra ieri – ma oggi nuovo profeta nuova democrazia e Piero quello che vedeva ben tredici anni fa, visione chiara e completa di coordinate geografiche e umane, vede oggi. Passati i Bocconiani con l’assegno pronto all’incasso, dictat dei CasaPound con tanto di cani, carciofi e putt..ne.
Dante sembra che parli dell'Italia di oggi: dice che solo i mediocri fanno politica, che i governi cambiano di continuo e che una legge decisa ad ottobre non arriva a novembre.
Da …Intricati Pensieri…, Nelle nebbie
Piero Colonna Romano
Proibito pensare
L’avanzata dell’intelligenza artificiale e lo stereotipo di masse incollate assenzienti davanti schermi e schemi. Il mondo non rallenta, la gente cercando di facilitarsi la vita, dichiara l’autrice Giusi Falleroni, se la rovina. Come? Con macchine che fanno cose al posto nostro e pensano al posto nuovo, obiettivamente noi a che serviamo? A scrivere poemi ispirati da ogni cosa che ancora la macchina non riconosce come esperienza di vita sensoriale, come questa lirica che mostra il quadro moderno del futuro.
Tratto da: -"Le gravi-danze isteriche"
Giusi Falleroni
"Del respiro dei sogni"`
Nella culla dei sogni l’abbraccio d’amore… ed è con passo ovattato che Ben Tartamo apre le finestre a quei cieli cobalto che già da soli sono una meraviglia per gli occhi e per la mente che li immagina.
21agosto24
Ben Tartamo
Sono vento e mare
Bellissimo titolo per una poesia in cui si stente un poco lo smarrimento emotivo e la forma definitiva dell’uomo che vuole essere del mare e del vento.
Alessio Romanini
Saluto e ringrazio in primis il nostro Magister Lorenzo che mi ospita nel Tempio Azzurro; Piero Colonna Romano che ci commenta ed è il dotto pilastro del sito, naturalmente commentatori e sitani che rendono possibile tutto questo. E’ un onore stare in mezzo a voi tutti.
Miu
4-5-6 Settembre
Quante volte
(disturbo ossessivo)
Scrivere per non soccombere in un ambiente dove l’uomo è “fuori posto”. Poemi che lasciano interrogativi e sublimano la poesia ecco cosa sono gli scritti di Felice Serino. Mi intenerisce “la chiamata” come disturbo ossessivo che è così prioritario da incidere nel presente e nel futuro di ciò che è l’uomo.
10.12.23
Felice Serino
Speranza
La natura lo specchio in cui specchiandosi il poeta ritrova l’immortalità e per quella sua funzione rigenerativa che la natura diventa medico e cura per se stessa e per i mali che le produciamo. Bruno è consapevole di un legame inscindibile e se ne serve per scrivere ottima poesia.
Bruno Castelletti
Oh Mio Girasole
Un fiore oro che compone e irradia vita. Ona lirica entusiasta e positiva in cui la poetessa si ricarica di energie e le codivide.
Laura Lapietra ©
Baciali tutti
Un altro prezioso dono del nostro leggendario ed appassionante Nino Muzzi. Le liriche che sceglie per noi sono nuove vie d’ascolto della poetica, come questa bella lirica, canzone di Georges Brassens.
Georges Brassens Traduzione di Nino Muzzi
Pensieri su di un mandorlo - Insegnamento del salice
Mandorli, salici, dive olimpiche e poetica di spessore che sposa la naturalezza e sviluppa un aspetto divinatorio per queste linfe maestose quasi arroganti. La semplicità oratoria rende le immagini nitide e l’enfasi lirica, quasi un canto.
Da Quando gli alberi erano miei fratelli.
Un albero mi ha parlato
Guglielmo Aprile
Ultimo bacio sotto la pioggia
Poema intenso e ricco di immagini. La poetessa cerca scampo dalla malinconia e si crea con questa ben riuscita lirica, la propria trasparente bolla di sapone.
Piacentino Alessandra
Lentamente …
Definirei fanciullino questo poeta carico di buoni insegnamenti e di leggerezza negli scritti. La morale è un inno all’umanità che tutti dovremmo sapere cantare.
Franco Fronzoli
L'afflato dell'amicizia
Il legame consolatorio e indivisibile dell’amicizia. Uno scritto che dona pace all’animo artistico del poeta che offre al lettore un sentimento dalla purezza del giglio e dopo aver letto la lirica … resta il suo profumo.
Alessio Romanini
Lo stratagemma
Un aiuto celestiale per continuare a vivere contando solo sulle proprie forze. Coraggiosa come sempre l’autrice Sandra Greggio non demorde e combatte con l’aiuto dell’illuminazione, la stessa che probabilmente aveva aiutato Einstein a scoprire la Teoria della relatività. La fede non ha bisogno di ali materiali per farci decollare, ma Sandra Greggio ha riesce a farsele costruire e innestare, tanto che condivide con noi questo miracolo.
8 febbraio 2023
Sandra Greggio
L’estate se ne va …
Un canto, una metafora, la bellezza che resta nonostante l’estate vada via e questo senso che non vuole abbandonarci, di ricchi ricordi, di memorie sbarazzine e di profumi che rendono intensa la vita.
Antonia Scaligine
Ho dato tutto.
Il premio che ci si aspetterebbe dal dare gratuito è “il grazie” che al poeta non viene donato anzi lo si indica come “egoista”. Scrivere questa lirica perché è triste della mancanza di valore che si dà ai nostri gesti.
Seccia Ciro
Così iniziò la storia della nuova Repubblica Italiana:
Splendeva il sole… la poesia quando grida libertà e giustizia, resta solo poesia. I fatti vengono nascosti sotto gli occhi dell’ignorante che si alimenta con ciò che gli si propina di più facile… per non fare pensare troppo il popolo ai veri fatti del Paese. La nobiltà con cui ce la racconta (la storia) Piero Colonna Romano non lascia solo riflettere, fa arrabbiare, ma letteralmente nutre i brividi di sdegno verso chi ancora e da sempre tace pur di dirsi italiano. A mio modesto parere…
Da …Intricati Pensieri…, Nelle nebbie
Piero Colonna Romano
Saluto e ringrazio in primis il nostro Magister Lorenzo che ci premia e ci onora con il soggiorno nel Tempio Azzurro. Ringrazio Piero Colonna Romano per essere un pilastro di questa olimpica arena di Poeti e ogni commentatore del sito. Grazie a tutti gli autori presenti sul sito perché rendono possibile tutto questo. Siate laboriosi come le api.
Miu
1-2-3 Settembre
Buongiorno a tutti Voi azzurri. Bentornati a Poetare. Inizio con i ringraziamenti.
V i v o …
L’uomo o meglio il poeta che apre le braccia alla vita e alla natura e sorride. E’ carica di ottimismo questa lirica che offre una serenità a cui abbandonarci. La leggerezza di questo componimento offre però meditazione, in un mondo che celebra la velocità e la nevrosi, quando è il momento di fermarsi per abbracciare arcobaleni? La risposta è sempre. Ottima.
Franco Fronzoli
Senza titolo (chiamalo sogno o fantasia)
Daimon - Un dèmone è un essere che si pone a metà strada fra ciò che è divino e ciò che è umano. Nella cultura religiosa greco-antica ha funzione di ostacolo tra queste due dimensioni; nella filosofia greca, ha invece funzione di intermediario tra l'uomo e il divino.
Viviamo in una chimera, una visione d’arte e odore di mare sulla costa della California niente poco di meno che la Citta degli Angeli. Un piccolo racconto, denso di fascino e di artisti che hanno firmato la storia. Marilyn di cui tra poco distruggeranno l’ultima casa in cui ha vissuto (nonostante ci sia una petizione per tenerla come luogo storico – famoso per i suoi incontri d’amore con i Kennedy ma anche per esservi deceduta e Andy il pazzoide creativo e lazzarone che ha fatto della fotografia pasticciata un quadro. Grande intuizione poetica su cui la chimera funziona ed è trascinante.
6.12.23
Felice Serino
Solitudine
Ispiratissima e romantica questa solitudine che si amplifica in malinconie ma tutte di assoluta bellezza. Una solitudine che vive con noi da sempre.
Bruno Castelletti
Sei Nelle Mie Braccia
Un poema triste che parla di un dramma forte e di un amore ancora più forte, quello di madre che non dimentica e non abbandona.
Laura Lapietra ©
La ballata dei cimiteri
Splendida e da plausi questa scelta del nostro prode cacciatore di grandi liriche qual è Nino Muzzi. George Brassens grande chansonnier, maestro indiscusso della canzone d’autore e per ironia sepolto al cimitero dei poveri. Il suo teatro è il teatro dei fornicatori, della gente che offre spettacolo di sé e dei sentimenti senza peli sulla lingua. Grazie Nino.
Georges Brassens Traduzione di Nino Muzzi
Angoscia
Freddo, tragico, perentorio e assordante. Un poema che si erge sui pilastri dell’ineffabile e cerca la coda del tempo. Nino non perde il filo e ritrova l’altro capo, forse c’è speranza, forse no, ma l’impossibile si rialza e si realizza, oh che poema! probabilmente è il Big Bang della vita. Da rileggere.
Il vento va,
l'acqua scorre,
il tempo fugge
verso il nulla.
E l'impossibile si realizza.
Dalle colline al mare
Nino silenzi
L’albero è mio maestro
Significativo l’impatto che ha la natura sul poeta che ne decifra i codici e ridipinge in modo umano il sentire “delle linfe”. Bellissimo il finale abbraccio, noi tutti siamo fratelli con gli alberi. Lirica in cui immergersi per un bagno verde ristorativo dell’anima che ispira comunione con le nostre radici.
Da Quando gli alberi erano miei fratelli.
Un albero mi ha parlato
Guglielmo Aprile
Risvegli di Legami invisibili e potenti
Bella soluzione per menti che si abbracciano e si amano. Un finale accattivante e un poema ove lasciare la chiglia essere portata dalle acque romantiche della brava autrice.
Piacentino Alessandra
Timballi
Alessio Romanini in una lirica semplice ci riporta all’amore per la natura col suo canto di cicale che la città assordante cancella. La sua passeggiata liberatoria ci trasporta al lieve passaggio del vento e a quel canto che potrebbe rasserenarci se solo scappassimo dai cementi.
Alessio Romanini
Ricordi
Cari ricordi cui tolti la polvere, ritornano d’oro e brilla molto questa lirica e odora pure di buon cibo cotto nel forno. L’amore non invecchia.
8 agosto 2024
Carmine De Masi
Lo schiaffo
E fu allora che la realtà
Da angelo a essere umano e quel trasporto del dolore e della sofferenza che ci accomuna tutti. Una lirica sensibile e sentita che l’ottima Sandra Greggio non deve abbellire per comunicarne la forza.
24 novembre 2021
Sandra Greggio
La paura
Punti neri fissi nel pensiero che si insinuano ovunque, la lirica sulla paura ha una trama forte e Antonia Scaligine sembra conoscere questo piccolo mostro perché la sua descrizione lo rende quasi visibile.
Antonia Scaligine
Sono un folle.
Essere o non essere? Luce o ombra? Le nostre storie e le chimere che inseguiamo come se fosse tutto importante ma lo è per davvero? Il bravo Seccia Ciro ci lascia molte domande a cui rispondere…
31/8/2024
Seccia Ciro
L'ultimo scherzo
Scherzo con la Morte che se mi vuole toccare sono certo che non mi trova, e Piero Colonna Romano ha le sue oramai addestrate abilità contro l’achiappanime. Divertente e intensa importante che il Poeta mantenga la promessa!
Da …Intricati Pensieri…, Filosofando
Piero Colonna Romano
Jacqueline Miu
4-5-6 Agosto
"Er cocommero e er cocommeraro" di Armando Bettozzi
Armando Bettozzi, con la sua vibrante poesia "Er cocommero e er cocommeraro", ci trasporta in un mondo di semplici piaceri estivi e di tradizioni radicate. L'immagine del cocomero, simbolo di freschezza e abbondanza, diventa un'ode alla vita quotidiana e alla gioia di vivere. La lingua vernacolare romana, con la sua musicalità e immediatezza, conferisce al testo una vivacità che è impossibile ignorare.
In questa celebrazione del frutto estivo per eccellenza, Bettozzi ci invita a immergerci in un'esperienza sensoriale totale: dal rosso brillante della polpa al dolce succo che scorre lungo il mento. La poesia, con i suoi versi ritmati e gioiosi, riesce a trasmettere non solo il piacere fisico di gustare il cocomero, ma anche il senso di comunità e tradizione che esso porta con sé.
Il cocomero diventa, nelle mani del poeta, un simbolo di benessere e felicità condivisa, un momento di pausa e godimento in mezzo alla frenesia quotidiana. Bettozzi ci ricorda che, nonostante le complessità della vita moderna, esistono ancora semplici piaceri che possono portare gioia e connessione. La poesia, con la sua struttura apparentemente semplice, nasconde una profondità emotiva che risuona con chiunque abbia mai trovato conforto nei piccoli piaceri della vita.
"Lungo la passeggiata" di Salvatore Armando Santoro
"Lungo la passeggiata" di Salvatore Armando Santoro è un sonetto che esplora le fragilità e le incomprensioni dell'amore. Il poeta ci conduce lungo una passeggiata fisica e metaforica, dove la ricerca dell'amata diventa una riflessione sull'inevitabile disillusione che spesso accompagna i sentimenti non corrisposti. L'atmosfera è malinconica, e l'uso della prima persona conferisce al testo un'intimità toccante.
Il sonetto si apre con una scena di solitudine e rammarico, il poeta seduto a osservare la folla, riflettendo sulla sua incapacità di trovare la persona amata. La sua età avanzata e l'incompatibilità dei sentimenti emergono come barriere insormontabili, creando un quadro di struggente rassegnazione. Santoro utilizza il tema della traduzione come metafora per le difficoltà comunicative in amore, suggerendo che anche le migliori intenzioni possono essere fraintese.
L'uso di Google Translate come elemento narrativo è particolarmente significativo: un simbolo moderno di comunicazione che, paradossalmente, accentua le distanze anziché colmarle. La poesia ci parla della complessità dei sentimenti e del desiderio di connessione in un mondo sempre più mediato dalla tecnologia, dove l'autenticità dei sentimenti può facilmente perdersi nella traduzione.
La chiusa del sonetto, con l'ammissione che le premure del poeta possano aver soffocato l'entusiasmo dell'amata, aggiunge un ulteriore strato di introspezione psicologica. Il poeta riconosce la propria vulnerabilità e le proprie mancanze, offrendo al lettore una riflessione sincera e profonda sulla natura dell'amore non corrisposto. La poesia di Santoro, con il suo tono pacato e riflessivo, diventa così un inno alla perseveranza emotiva e alla dignità del sentimento umano.
"Fatti siamo di parole" di Fausto Beretta
Fausto Beretta, nella sua poesia "Fatti siamo di parole", esplora la natura essenziale del linguaggio umano e la sua profonda influenza sulla nostra esistenza. Con una prosa poetica densa e riflessiva, Beretta ci invita a considerare le parole come gli elementi costitutivi della nostra identità e delle nostre relazioni.
L'autore inizia con un'affermazione che è sia semplice che universale: siamo fatti di parole. Questa dichiarazione introduce un'esplorazione del bisogno intrinseco che abbiamo di essere riconosciuti e valorizzati attraverso il linguaggio. Le parole amiche, che confermano la nostra esistenza e valore, sono presentate come un'ancora di salvezza in un mondo spesso ostile e pieno di brutture.
Beretta non si ferma alla consolazione del linguaggio positivo; riconosce anche il ruolo cruciale delle parole dure, quelle che ci sfidano e ci spingono a confrontarci con le verità scomode su noi stessi. Queste parole, pur portando dolore, sono necessarie per la crescita personale e per la conoscenza del nostro io più profondo.
Il ritmo della poesia è volutamente cadenzato, quasi a rispecchiare il flusso incessante delle parole nella nostra vita quotidiana. Le parole sono descritte come compagne di viaggio, rendendo il percorso della vita più lieve e significativo.
Beretta ci invita a riflettere su come le parole, se piene di significato, possano essere strumenti di connessione e crescita, mentre, se vuote, perdono la loro potenza. La poesia si chiude con un'ode alle parole vere e amiche, che rendono il viaggio della vita non solo sopportabile, ma anche gioioso.
"Un quadro senza tempo di un piccolo gelsomino abbandonato" di Piacentino Alessandra
In "Un quadro senza tempo di un piccolo gelsomino abbandonato", Piacentino Alessandra dipinge un'immagine di struggente bellezza e malinconia. La poesia, con la sua struttura frammentata e il suo linguaggio evocativo, ci trasporta in un paesaggio emotivo dove il tempo sembra sospeso e ogni momento è carico di significato.
Il gelsomino abbandonato diventa simbolo di fragilità e transitorietà, un piccolo fiore che rappresenta l'inevitabilità della perdita e della separazione. Il vento, che prima accarezza il corpo assonnato del poeta e poi giace spoglio sulla tomba, suggerisce un ciclo di addio e di continuità, un respiro finale che può essere sia un addio definitivo che un arrivederci.
La poesia è permeata da una dualità emotiva: c'è il vuoto lasciato dalla perdita, un vuoto che può essere tanto digerito quanto vomitato, una sensazione che è al contempo felice e triste, malinconica e profonda. Questa dualità rispecchia la complessità dei sentimenti umani, dove il dolore e la gioia spesso si mescolano in modo indissolubile.
Il saluto finale, "Ciao. Ti dico solo ciao.", è di una semplicità disarmante. È un addio che non cerca di essere grandioso o definitivo, ma che riconosce la triste bellezza dell'effimero.
Piacentino Alessandra ci offre una riflessione intensa sulla natura della perdita e sulla capacità del ricordo di essere contemporaneamente una fonte di conforto e di dolore. La sua poesia è un invito a contemplare la bellezza del momento presente, sapendo che ogni attimo è destinato a passare, lasciando dietro di sé un'eco di memoria e sentimento.
"Diamo spazio ai sogni alla musica" di Franco Fronzoli
Franco Fronzoli, con la sua lirica "Diamo spazio ai sogni alla musica", ci offre una delicata meditazione sulla bellezza della vita e sull'importanza di preservare i momenti di pura emozione. La struttura della poesia, con i suoi versi liberi e la disposizione spaziale che crea un ritmo visivo oltre che sonoro, invita il lettore a fermarsi e a contemplare la semplicità del mondo naturale e dei sentimenti umani.
Fronzoli ci esorta a dare spazio ai sogni, alla musica, all'amore, permettendo agli elementi naturali come il vento, la pioggia, e le onde del mare di accompagnare e trasformare le nostre emozioni. Questo invito a lasciarci andare alle forze della natura è un richiamo alla purezza e all'autenticità dei sentimenti, un ritorno a una condizione primordiale in cui siamo in sintonia con il mondo che ci circonda.
La poesia prosegue celebrando i tramonti, la luce delle stelle, la luna, e persino il freddo e la neve dell'inverno, sottolineando come ogni stagione e ogni elemento abbia il suo spazio e il suo momento di bellezza. Fronzoli ci guida attraverso un viaggio emotivo che culmina nell'attesa della primavera, simbolo di rinascita e speranza, esortandoci a riconoscere e ad accogliere i cicli naturali della vita.
Il messaggio di Fronzoli è chiaro: bisogna fermarsi, ascoltare, sognare e rispettare sia la vita che la morte. La sua poesia è un inno alla pazienza e alla contemplazione, un invito a innaffiare le nostre speranze e a trovare bellezza e significato in ogni momento. La lirica, con la sua dolcezza e profondità, ci ricorda che la vita è un viaggio da cullare con attenzione e rispetto.
"Femmina normale" di Enrico Tartagni
Enrico Tartagni, nella sua poesia "Femmina normale", celebra la bellezza e la forza delle donne in tutte le loro forme e sfaccettature. La sua lirica è un inno alla normalità, alla quotidianità e alla genuinità, esaltando le donne per quello che sono, al di là dei canoni estetici e delle aspettative sociali.
Tartagni dipinge un ritratto delle donne che è al tempo stesso affettuoso e realistico, riconoscendo la loro diversità e unicità. La poesia, con il suo tono leggero e giocoso, abbraccia la varietà delle esperienze femminili: dalle modelle alle lottatrici, dalle sportive alle musiciste, mostrando come ogni donna, indipendentemente dalle sue caratteristiche fisiche o dalle sue passioni, possieda una bellezza intrinseca.
Il poeta celebra il sorriso, il bacio, il profumo e gli occhi limpidi delle donne, elementi che rappresentano l'amore, la dolcezza e la sincerità. Questi dettagli evocativi conferiscono alla poesia una qualità sensoriale, rendendo tangibile la presenza femminile e la sua influenza positiva sulla vita quotidiana.
Tartagni non si ferma alla superficie, ma esplora anche la profondità del carattere femminile. Esorta le donne a essere buone e leali, a difendere se stesse per non diventare serve, un messaggio di empowerment che risuona fortemente. La poesia culmina in un richiamo alla resistenza e alla forza interiore, un tributo alla capacità delle donne di affrontare le difficoltà e di emergere con dignità e grazia.
Con "Femmina normale", Tartagni ci ricorda che la bellezza e il valore di una donna risiedono nella sua autenticità e nella sua capacità di vivere con amore e coraggio. La poesia, con la sua struttura semplice e diretta, riesce a trasmettere un messaggio potente e universale, celebrando le donne per quello che sono e per quello che rappresentano.
"Mare" di Nino Silenzi
Nino Silenzi, con la sua poesia "Mare", ci offre un dipinto lirico e affascinante delle infinite sfumature dell'elemento marino. Il mare diventa protagonista di un racconto sensoriale che coinvolge vista, udito e tatto, trasportando il lettore in un luogo di pace e meraviglia. Il cristallino luccichio delle onde, paragonato a "innumeri adamantini diamanti", cattura immediatamente l'attenzione e incanta con la sua bellezza.
Il poeta evoca un mare che non è solo un fenomeno naturale, ma un essere vivente con respiri e murmuri dolci, capace di spruzzare gioia e serenità sotto l'immenso cielo blu. Silenzi utilizza un linguaggio ricco di immagini poetiche per creare un quadro di pura armonia, dove ogni elemento sembra cooperare per creare un senso di tranquillità e felicità.
Il mare, con il suo fresco contatto, ha il potere di ravvivare i desideri sopiti e di sprigionare emozioni vive, trasportando l'io lirico in un viaggio temporale verso la giovinezza e la spensieratezza. La "verde collina" da cui il giovane poeta ammirava il mare rappresenta un luogo di nostalgia e di sogni, un punto di partenza per la riflessione sulla propria crescita e sul passare del tempo.
La poesia, con la sua struttura fluida e il suo ritmo naturale, rispecchia il movimento delle onde e il fluire dei pensieri. "Mare" di Nino Silenzi è un omaggio alla potenza evocativa della natura e alla sua capacità di connetterci con il nostro passato e con le emozioni più profonde. È una celebrazione del mare come fonte di ispirazione, di ricordi e di rinascita interiore.
"Storiella" di Felice Serino
Felice Serino, con la sua poesia "Storiella", ci regala un frammento di vita che si snoda con la semplicità e l'immediatezza di un racconto breve. La poesia si apre con l'immagine di un uomo che suona l'ocarina all'angolo della strada, una figura affascinante e misteriosa che cattura l'attenzione della protagonista. L'incontro tra i due avviene con una spontaneità disarmante: un abbraccio e una richiesta di suonare per lei.
L'attrazione immediata tra i due è descritta con una sincerità che sfiora la poesia pura: "scintilla fu o desiderio?" si chiede Serino, lasciando spazio al lettore per interpretare la natura di quella connessione. L'apertura della casa, il bagno e l'intimità che ne segue sono raccontati con una naturalezza che enfatizza la normalità e l'universalità di tali esperienze.
Tuttavia, la storia è destinata a finire. Il "bel moro" dai lineamenti latini è un amante della libertà, un "uccel di bosco" che non può essere trattenuto. Questa breve relazione, seppur intensa, si chiude con un senso di inevitabilità che è al contempo dolce e amaro. La poesia si chiude con una riflessione sulla natura della realtà e delle favole, suggerendo che, a volte, la vita stessa può essere tanto straordinaria quanto una storia inventata.
"Storiella" di Felice Serino è una narrazione poetica che, pur nella sua brevità, riesce a catturare la complessità delle emozioni umane e la bellezza delle connessioni momentanee. Il linguaggio semplice e diretto permette al lettore di immergersi nella storia, di sentire la spontaneità del momento e di riflettere sulla transitorietà delle relazioni. È una poesia che celebra la vita in tutte le sue sfumature, dalle scintille di passione ai dolori della separazione, con una delicatezza che lascia un'impronta duratura.
"Sera" di Bruno Castelletti
Bruno Castelletti, nella sua poesia "Sera", dipinge un affresco crepuscolare di straordinaria bellezza e delicatezza. La descrizione delle "verdi fronde del salice piangente" che "come in preghiera baciano la terra" evoca un'immagine di serenità e contemplazione, suggerendo una natura in comunione con il divino. Questo salice, con i suoi rami che si piegano dolcemente verso il suolo, rappresenta la calma e la riflessione, un momento di raccoglimento nel silenzio della sera.
Le "stanche nubi" e la "stanca luna" aggiungono un senso di quiete e riposo, come se la natura intera stesse concedendosi una pausa dopo la lunga giornata. La luna, spesso simbolo di guida e di luce notturna, qui sembra prendere un momento di tregua, creando un'atmosfera di calma sospesa.
Il "pianto lungo di stelle" e la "nenia di grilli e di cicale" completano questo quadro serale, aggiungendo una dimensione sonora e emotiva alla scena. Le stelle, con il loro brillare silenzioso, e i grilli e le cicale, con il loro canto continuo, creano una sinfonia naturale che culla l'anima e invita alla meditazione. Questo pianto e nenia sembrano raccontare storie antiche e segreti della notte, rendendo la sera un tempo di introspezione e di connessione profonda con il mondo.
"Sera" di Bruno Castelletti è una poesia che celebra la bellezza semplice e quieta della natura al calar della notte. Con un linguaggio lirico e immagini evocative, Castelletti ci invita a fermarci, ad ascoltare e a lasciarci trasportare dalla magia del crepuscolo. È un richiamo alla serenità interiore e alla contemplazione, un momento per trovare pace e riflessione nel silenzio della sera.
"Haiku" di Laura Lapietra
Laura Lapietra, nel suo haiku, cattura l'essenza di un momento invernale con la precisione e la delicatezza tipiche di questa forma poetica. L'haiku, con la sua struttura di tre versi e diciassette sillabe, richiede una capacità di sintesi e di evocazione che Lapietra padroneggia con eleganza.
"Bei bucaneve" apre l'haiku con una immagine di purezza e rinascita. I bucaneve, fiori che annunciano la fine dell'inverno e l'arrivo della primavera, rappresentano la speranza e la resilienza. Questi fiori delicati, che emergono dalla neve, simboleggiano la bellezza che può nascere anche nelle condizioni più avverse.
"Nel camino in baita sprizzi di faville" completa la scena con una visione calda e accogliente. La baita, rifugio montano per eccellenza, evoca un senso di protezione e comfort. I "sprizzi di faville" nel camino suggeriscono un fuoco che scoppietta, una fonte di calore e luce in una notte fredda. Questo contrasto tra il freddo esterno e il calore interno crea una tensione dinamica che rende l'haiku vivo e vibrante.
L'haiku di Laura Lapietra, con la sua semplicità e profondità, riesce a catturare un momento di intimità e tranquillità. È una poesia che invita a godere dei piccoli piaceri della vita, come il calore di un fuoco e la bellezza di un fiore che sboccia contro ogni previsione. Lapietra ci ricorda che anche nei momenti più freddi e difficili, ci sono segni di speranza e di bellezza che possono riscaldare il cuore.
"Perché sono poeta" di Alessio Romanini
Alessio Romanini, nella sua poesia "Perché sono poeta," ci offre una riflessione intima e sincera sulla nascita della sua vocazione poetica. La poesia, con il suo ritmo classico e la sua struttura elegante, è una dichiarazione di identità che scaturisce dalle profondità del suo animo.
Romanini inizia con una domanda retorica che prelude a una risposta densa di introspezione: "Poeta son diventato dal tedio / spinto nel petto a cercare conforto." Qui, il tedio non è solo una semplice noia, ma una condizione esistenziale che lo spinge a trovare un rifugio nella poesia. Il tedio diventa una forza motrice, un catalizzatore che trasforma l'inquietudine interna in espressione artistica.
Lo "spirto turbato dall'assedio / del penar del viver che dentro porto" rappresenta il peso delle preoccupazioni e delle angosce della vita quotidiana. Romanini trova nella poesia un balsamo per il cuore afflitto, un mezzo per dare voce alle sue sofferenze e per trovare un senso di sollievo. Poetare diventa una forma di autoterapia, un modo per affrontare e superare il dolore esistenziale.
La risposta finale, semplice e diretta, chiude il cerchio: "Poetare al cuor mio da conforto: / la risposta al perché sono poeta." Romanini ci ricorda che la poesia non è solo un atto creativo, ma una necessità interiore, una risposta al bisogno di trovare conforto e comprensione. La sua poesia è un inno alla resilienza dell'animo umano e alla potenza curativa della parola.
"L'invito" di Sandra Greggio
Sandra Greggio, con la sua poesia "L'invito," ci invita a sollevare lo sguardo verso il cielo e a riflettere sulla condizione umana da una prospettiva celeste. La poesia, con la sua struttura semplice e il linguaggio evocativo, è un appello alla speranza e alla ricerca di pace in un mondo afflitto da conflitti e pandemie.
La prima strofa dipinge un'immagine di contemplazione: "Ed è guardando le nuvole / A passeggio per il cielo." Le nuvole, simboli di leggerezza e transitorietà, osservano il nostro mondo travagliato e si interrogano su ciò che vedono. Questo sguardo dall'alto mette in risalto la fragilità della condizione umana e il tumulto che affligge la nostra esistenza.
Greggio poi rivela un dialogo immaginario tra le nuvole: "Io so cosa si dicono / Vieni quassù dove c'è pace." Le nuvole diventano portatrici di un messaggio di consolazione, un invito a lasciare le preoccupazioni terrene e a trovare rifugio nella serenità del cielo. Questo invito a "Posa il tuo dolore su una nuvola / E poi sali qui da noi" è un richiamo alla possibilità di trascendere le difficoltà e di trovare una dimensione di pace e accoglienza.
La poesia di Greggio è un inno alla speranza e alla ricerca di un sollievo spirituale. Il cielo, con le sue nuvole pacifiche, diventa un simbolo di un luogo ideale dove le sofferenze possono essere alleviate e dove l'animo può trovare riposo. "L'invito" è una poesia che incoraggia a non lasciarsi sopraffare dalle difficoltà del mondo, ma a cercare sempre una luce di speranza e una via di fuga verso la serenità.
"Esistere" di Jacqueline Miu
Jacqueline Miu, con "Esistere," ci conduce in un viaggio onirico e profondo attraverso le tenebre della notte e le inquietudini dell'animo umano. La poesia, ricca di simboli e immagini suggestive, esplora il complesso rapporto tra l'individuo e il suo esistere, il suo confronto con le forze oscure e potenti che abitano la sua mente.
L'immagine iniziale della "corona di petali neri" che la notte pone sul capo del poeta evoca un senso di oppressione e di mistero. I petali neri sono un segno di lutto e di introspezione, un simbolo di pensieri oscuri che volano verso "le Larve" e tributano sogni a Morfeo. Questi sogni, tuttavia, non sono sogni di pace, ma di tormento, negati persino alle stelle, i desideri inespressi sono custoditi come calore nel corpo, suggerendo una lotta interna tra speranza e disperazione.
La ricerca del "volo" e del "vero io" tra le trame di streghe e dolci incantesimi riflette il desiderio del poeta di liberarsi dalle catene mentali e trovare una forma di magia che possa dare senso alla sua esistenza. L'immagine dell'aquilone del pensiero, prigioniero del capo, è potente e struggente, rappresentando la tensione tra libertà e confinamento.
Miu crea un contrasto tra il buio dell'insonnia e l'azzurro che scorre nelle vene, un tentativo di trovare armonia nel caos del tempo che sfugge. La poesia si fa più introspezione e metafisica, con il poeta che si vede come "un buon soldato davanti alla Morte," combattendo con l'inchiostro contro la scure della fine. La carne che prova i brividi e l'impotenza eretta a castello segreto rappresentano la fragilità umana e la necessità di proteggere ciò che di buono rimane.
Il riflesso nello specchio, ciò che consuma il poeta, è una metafora della dualità dell'esistenza: il premio e il prezzo dell'essere. La conclusione della poesia, con il poeta che accetta di scontare entrambi, "qui," nel presente, è un atto di rassegnazione e di pacificazione interiore. Jacqueline Miu ci offre un quadro complesso e intenso dell'esistere, una riflessione profonda sulla lotta per trovare significato e pace in un mondo tormentato.
"Il senso" di Piero Colonna Romano
Piero Colonna Romano, con "Il senso", ci invita a una riflessione filosofica e malinconica sul significato dell'esistenza e sulla vanità delle ambizioni umane. La poesia si apre con l'immagine dell'io lirico che indaga "in alto" il senso del passare, cercando risposte che non scaldano l'anima e che non placano la mente, false e mal poste. Questa ricerca infruttuosa del significato rivela la frustrazione e lo smarrimento di fronte alle grandi domande della vita.
La seconda quartina pone una domanda cruciale: "a che mai sia servito / quell'affannarsi a rincorrer la gloria." Qui, Romano esprime un disincanto nei confronti delle illusioni di successo e di riconoscimento, scoprendo quanto siano effimere e illusorie. La gloria rincorsa diventa una chimera che lascia l'individuo smarrito e insoddisfatto, una riflessione amara sulla futilità delle ambizioni terrene.
La poesia prosegue con un'immagine di chiusura: "Scende la notte per chiuder gli affanni." La notte, simbolo di riposo e di fine, rappresenta un sollievo temporaneo dalle preoccupazioni e dai sogni vissuti senza speranza. L'io lirico ha corso la vita per troppi anni, rincorrendo sogni irraggiungibili e ora cerca il mare come ultima stanza. Il mare, con la sua vastità e il suo eterno movimento, diventa un simbolo di ritorno alle origini e di dissoluzione finale.
La chiusa della poesia, con il desiderio di tornare dove si è nati e di sciogliersi alfine appagati, evoca un senso di completamento e di pace. Romano ci suggerisce che il vero appagamento non risiede nelle glorie esterne, ma in un ritorno all'essenza, all'inizio, dove l'anima può finalmente trovare riposo.
"Il senso" di Piero Colonna Romano è una meditazione profonda e malinconica sulla vita, sul tempo e sulle illusioni che spesso guidano le nostre azioni. Con un linguaggio semplice ma potente, Romano ci invita a riflettere sul vero significato della nostra esistenza e sulla pace che possiamo trovare solo guardando dentro noi stessi e tornando alle nostre radici.
"Apnea rosa" di Roberto Soldà
Roberto Soldà, nella sua poesia "Apnea rosa," ci invita a vivere un momento di sospensione e meraviglia, catturato nel tenue bagliore del mattino. La luna, che si dissolve in un delicato rosa prima di andarsene, diventa il fulcro di un attimo incantato, un preludio poetico a una giornata che inizia con una nota di dolcezza e introspezione.
L’immagine della "luna in rosa" rappresenta una bellezza effimera, un'epifania che si svela solo per pochi istanti, offrendo una vista che non ha bisogno di parole, ma che si sente intensamente nel cuore. L'apnea rosa di Soldà è uno stato di sospensione, un respiro trattenuto di fronte alla bellezza pura e silenziosa che avvolge il mondo. Montagne, pianure, valli e acque sono immerse in questo respiro comune, in questa tregua cromatica che collega cielo e terra in un abbraccio cromatico.
Il rito quotidiano del caffè, versato nella tazza e gustato all'aperto, diventa un momento di connessione con la natura e il suo spettacolo. Il caffè, simbolo di routine e di risveglio, assume una dimensione quasi sacra in questa "apnea rosa," elevandosi al di sopra della semplice azione quotidiana per diventare un atto di meditazione e di presenza. Il poeta, con gesti semplici, celebra la bellezza del momento presente, sottolineando la magia nascosta nelle cose ordinarie.
La presenza dell' ''amica pietra" aggiunge una dimensione di stabilità e fedeltà". La pietra, immutabile e fedele, diventa un simbolo di costanza e di eternità in un mondo in continuo cambiamento. Questa pietra, che non cambia mai, rappresenta un punto di riferimento, un amico silenzioso che accompagna il poeta nella sua contemplazione, offrendo una presenza rassicurante e stabile.
"Apnea rosa" di Roberto Soldà è una poesia che celebra la bellezza effimera e la stabilità eterna, il rito quotidiano e la magia del momento. Con un linguaggio semplice ma evocativo, Soldà ci invita a fermarci e a respirare profondamente nella bellezza del mondo, a trovare conforto nelle piccole cose e a riconoscere l'importanza degli amici, anche quelli inanimati, che ci accompagnano nel nostro viaggio. La poesia è un inno alla presenza e alla consapevolezza, una chiamata a vivere ogni istante con attenzione e meraviglia.
"Nen žë comə tə vàsə!" di Ben Tartamo
Ben Tartamo, con "Nen žë comə tə vàsə!," ci offre una lirica intrisa di nostalgia e di dolcezza, dove il ricordo dei baci estivi si mescola con la malinconia del presente. La poesia, scritta in molfettese e accompagnata dalla traduzione in italiano, cattura la bellezza e la fugacità dell'amore giovanile, opponendola alla tristezza di un inverno metaforico.
La prima strofa introduce immediatamente l'immagine delle "labbra di ciliegie," evocando la freschezza e la dolcezza dei baci sotto il cielo d'agosto. Questi baci non sono solo gesti d'affetto, ma momenti di pura gioia, in cui il gusto e il calore del sole estivo si riflettono nei sentimenti del poeta. Il cuore che "sussultava" e il profumo di rose che avvolgeva il petto creano un quadro sensoriale vivido, dove ogni dettaglio contribuisce a costruire un'atmosfera di felicità e di appagamento.
Nella seconda strofa, Tartamo descrive il passaggio dal fulgore dell'estate alla desolazione dell'inverno. La caduta dei frutti rappresenta la fine della stagione fertile e prospera, mentre le "parole amare" e il "nero inverno a lutto" evocano un senso di perdita e di tristezza. Gli occhi, paragonati al mare, riflettono una profondità di emozioni non dette, una vastità di sentimenti inesplorati.
La terza strofa si rivolge direttamente all'amato, chiedendo spiegazioni per il silenzio e l'allontanamento. L'estate della giovinezza, con la sua promessa di eterno amore, è finita, lasciando spazio a un inverno di solitudine e di incomunicabilità. Tuttavia, anche in questo contesto di separazione emotiva, Tartamo trova un barlume di speranza e di resistenza nell'intimità notturna.
La chiusa della poesia, "la notte, zitto zitto, / non sai come ti bacio!," è un’affermazione di amore che persiste nonostante tutto. Anche nel silenzio e nell'oscurità, il bacio del poeta conserva la sua intensità e la sua forza, un gesto di affetto che supera le parole e le difficoltà.
"Non sai come ti bacio!" di Ben Tartamo è una poesia che esplora il dualismo tra l’euforia dell’amore giovanile e la malinconia della perdita. Con un linguaggio ricco di immagini sensoriali e un ritmo che rispecchia il battito del cuore, Tartamo ci offre un ritratto toccante e autentico delle emozioni umane. La sua capacità di evocare sentimenti profondi attraverso dettagli semplici e familiari rende questa poesia un capolavoro di lirismo e di introspezione.
Prof. Marino Spadavecchia
1-2-3 Agosto
Buone vacanze a tutti i poeti del sito, in modo particolare a Lorenzo e a tutti quelli che arricchiscono la pagina azzurra con i loro commenti.
Fausto Beretta
28-29-30-31 Luglio
In un'armoniosa danza tra la terra e il cielo, Bruno Castelletti ci conduce attraverso il ciclo eterno della natura, dove le radici ataviche affondano nel profondo per risalire verso l'infinito. È un inno al perpetuo ritorno della primavera, simbolo di speranza e rinascita. Le immagini di frutti succulenti e grappoli dorati evocano non solo la fertilità della terra, ma anche il frutto dei sogni umani, che crescono e maturano sotto il canto dell'autunno. Il vento, come messaggero celeste, porta con sé profumi e colori, unendo terra e cielo in un abbraccio cosmico.
Con una delicata semplicità, Laura Lapietra cattura l'essenza della purezza e dell'amore attraverso la metafora delle "guance di pesca". Il katauta, breve ma intenso, trasmette l'innocenza dell'infanzia e l'intima sicurezza delle braccia materne. Questa poesia è un frammento di eternità, dove il momento fugace si trasforma in un simbolo universale della tenerezza umana. La scelta delle immagini evoca un mondo di dolcezza e protezione, un santuario di affetti primordiali.
In un mosaico di esperienze vissute con l’autostop, Bettozzi dipinge una nostalgia vibrante di un'epoca passata. Il poeta gioca con il contrasto tra la libertà giovanile e la prudenza moderna, illustrando con vividezza le avventure e le connessioni umane che nascevano lungo la strada. Con toni umoristici e ironici, la poesia diventa una celebrazione della fiducia e della spontaneità, oggi quasi dimenticate. Il linguaggio colloquiale e il dialetto romano aggiungono autenticità e colore, trasformando il testo in una finestra sul passato, dove ogni incontro era un’opportunità e ogni viaggio un’avventura.
Santoro ci trasporta in una struggente riflessione sul desiderio e la perdita. La figura della "gabbianella" simboleggia un amore irraggiungibile, un essere libero e indifferente alle sofferenze del poeta. Le immagini del mare e dei gabbiani, insieme alla neve bianca, evocano un ambiente freddo e distante, specchio del cuore solitario dell’autore. La poesia, ricca di emozioni contrastanti, esprime con delicatezza la vulnerabilità umana di fronte all’amore non corrisposto. La chiusa malinconica, con la porta ancora aperta, riflette un inesausto spirito di speranza e un'eterna attesa.
In "Pienezza", Beretta ci regala una celebrazione della semplicità e della bellezza dei legami umani. Le "parole di miele" e i sorrisi descritti come "raggi di sole" dipingono un quadro idilliaco della felicità quotidiana. La poesia mette in evidenza l'importanza delle relazioni e degli affetti, suggerendo che ciò che davvero conta nella vita non è il possesso materiale ma la condivisione di momenti di gioia. L'uso di immagini luminose e naturali rinforza la sensazione di serenità e appagamento che permea il testo.
Alessandra Piacentino ci guida in un viaggio emotivo attraverso il dolore e la guarigione. La poesia è una richiesta di dolcezza e comprensione, espressa con una delicatezza che ricorda la fragilità umana. Le immagini di "ali di Creta" e "orizzonte lontano" evocano la lotta contro le proprie limitazioni e l'aspirazione verso la libertà e la vicinanza. L'autrice utilizza una serie di metafore sensoriali per descrivere l'intenso desiderio di cura e il potere trasformativo dell'amore. Le "parole che girano come rondini" simboleggiano il ritorno alla speranza e alla pace interiore.
Cristiano Berni esplora la complessità delle emozioni umane attraverso il simbolismo degli occhi. Ogni verso svela un diverso aspetto dell'anima, dalle gioie più profonde ai dolori più laceranti. Gli occhi diventano uno specchio che riflette il caleidoscopio delle esperienze umane: rabbia, felicità, malinconia e amore. La poesia culmina in una potente affermazione dell'umanità come "universo infinito e libero Gabbiano", riconoscendo la vastità e la libertà intrinseche all'essere umano. Berni cattura con maestria l'essenza dell'anima, rendendo gli occhi una porta verso l'universo interiore.
Montagnoli ci offre una finestra sulla serenità rurale, immergendoci in un mondo fatto di lavoro e di semplici gioie. Con un linguaggio ricco di immagini tattili e sensoriali, descrive la fatica dei campi e il piacere del ritorno a casa, sotto il verde gelso. La poesia è intrisa di un languore che sa di pace e di gratitudine per le piccole cose: la brezza della sera, i richiami degli uccelli, la preparazione della cena. È un inno alla famiglia e alla quiete che scende con il tramonto, rappresentando un passo verso una serenità intrinseca, dove la semplicità diventa sinonimo di ricchezza interiore.
In questa poesia, Fronzoli esplora la natura multiforme dell'amore con una serie di immagini delicate e poetiche. Dal tramonto alla luna, dalle onde del mare alle pagine di un libro, l'amore si manifesta come un elemento onnipresente e trasformativo. Ogni verso cattura una sfumatura diversa del sentimento amoroso, dal primo palpito al sorriso, dalla carezza alla lacrima. La poesia è un elogio dell'amore come forza vitale e scintilla creativa, capace di illuminare l'anima e rendere speciale ogni momento della vita. L'uso di metafore naturali e quotidiane rafforza la connessione tra l'amore e le esperienze umane più profonde.
Serino ci porta a riflettere sull'esistenza di una vita oltre la morte, una dimensione parallela di luce e sapienza. La poesia è permeata da un senso di consapevolezza e speranza, dove l'ignoto non è motivo di paura ma di desiderio. Con versi carichi di misticismo, ci invita a immaginare un "infinito mare di luce" e una "giovinezza eterna", trasmettendo un senso di serenità e accoglienza. La "Parola" e la "Sapienza" diventano simboli di conoscenza e protezione, suggerendo che in questa vita parallela si trova un rifugio sicuro e illuminato. L'uso di immagini come le ali e l'ombra aggiunge una dimensione eterea e spirituale, rendendo la poesia una meditazione sulla continuità dell'anima e sul conforto della fede in un aldilà di pace e comprensione.
In "La foce", Piero Colonna Romano ci offre una meditazione profonda sul viaggio della vita attraverso la metafora del fiume che si unisce al mare. La struttura dei versi alessandrini con incrocio di rime conferisce al poema una musicalità solenne e riflessiva, accentuando il senso di un viaggio compiuto.
L’immagine dell’acqua che scorre e si confonde con il mare rappresenta il ciclo della vita, dalla nascita alla morte, ma anche il continuo fluire delle esperienze e delle emozioni. Le "candide schiume" evocano purezza e rinascita, mentre il "percorso, dalla fonte alla riva" rappresenta le tappe della nostra esistenza, con tutte le sue memorie e gli inganni.
Colonna Romano intreccia elementi di nostalgia con un senso di appagamento, riflettendo sui "gran ricordi" e sulle "commozioni profonde" che accompagnano il poeta. L'arte e l'amore emergono come compagni fedeli lungo questo viaggio, offrendo conforto e bellezza anche nelle terre di sogno.
Il climax della poesia è raggiunto con l'immagine della barca alla foce del fiume, pronta a salpare verso il mare. La "dolce risacca" e il "suono a incantare" evocano un senso di pace e di compimento, indicando che il viaggio verso il mare (simbolo dell'aldilà) è visto non come una fine, ma come un traguardo naturale e sereno.
L'ultimo verso, in cui il poeta immagina di diventare "atomi salsi" e di volare verso il "bene raccolto", chiude la poesia con una nota di speranza e continuità. Qui, Colonna Romano unisce il tema della trasformazione fisica con quello della ricompensa spirituale, suggerendo che le esperienze di vita e l'amore che abbiamo dato e ricevuto ci accompagneranno oltre la nostra esistenza terrena.
La poesia, con il suo stile elevato e il suo uso di immagini naturali, riesce a trasmettere un messaggio universale di serenità e accettazione del ciclo vitale, rendendo "La foce" un’opera di grande profondità e bellezza lirica.
Ben Tartamo ci regala una poesia intrisa di spiritualità e introspezione, dove la fragilità umana si incontra con il desiderio di redenzione e forza interiore. Con un linguaggio semplice ma potente, l’autore esplora il tema della vulnerabilità e della trasformazione attraverso immagini evocative e bibliche.
La metafora iniziale della canna che si piega al vento introduce il senso di fragilità e di sottomissione alle forze esterne. La canna, simbolo di debolezza, diventa anche una figura di resilienza, capace di rifiorire nonostante le avversità grazie alle lacrime, segno di pentimento e purificazione.
La seconda strofa riflette un’intima preghiera a Dio, dove il poeta riconosce la sua condizione umana e chiede che il suo dolore venga trasformato in qualcosa di più nobile. L’uso del termine “nitidare” (rendere nitido, purificare) evidenzia il desiderio di chiarezza e di rinnovamento del cuore attraverso la grazia divina.
La terza strofa continua con la richiesta di diventare una “roccia”, simbolo di stabilità e forza. Tuttavia, Tartamo desidera che questa roccia sia “tersa da ogni goccia”, cioè purificata, capace di far sbocciare fiori al sole, un’immagine che unisce la durezza della roccia alla delicatezza e bellezza della vita che emerge da essa.
L’ultima strofa esprime un desiderio di unione mistica con Dio, dove ogni pensiero del poeta diventa un fiume che scorre verso i