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12 Giugno

Il magico studio fotografico di Hirasaka

di Sanaka Hiiragi

Feltrinelli Editore

Narrativa

Pagg. 160

ISBN 9788807035579

Prezzo Euro 16,00

Un libro magico

Ci sono dei libriccini, pochi in verità, capaci di affrontare i grandi temi della vita con una semplicità e una leggerezza che sono invidiabili e che a lettura ultimata lasciano sazi di una serenità che è la consapevolezza di aver trovato conferma delle proprie convinzioni, o di avere appreso qualcosa di importante per la propria esistenza. E’ questo il caso del giapponese Il magico studio fotografico di Hirasaka, dove Hirasaka è il titolare di un laboratorio fotografico del tutto particolare, perché lì, con un’accoglienza familiare, con una gentilezza particolare che si rivela anche con l’offerta di una tazza di tè si accolgono quelli che ormai hanno lasciato il nostro mondo e si apprestano ad entrare nell’altro; ed è sempre lì che a tutti vengono consegnati degli scatoloni che contengono foto ricordo della loro vita, dando altresì l’opportunità di sceglierne una per ogni anno vissuto, al fine di comporre una lanterna magica che proietta ciò che è stata la propria esistenza. Non si esaurisce qui il servizio del signor Hirasaka, perché offre la possibilità di rivivere quello che considerano il ricordo più bello, più prezioso, scattando di quello nuovamente la fotografia. Così vedremo Hirasaka alle prese con una insegnante novantenne, con un appartenente allo yazuka, la mafia giapponese, e con una ragazzina. Ognuno dei tre ha qualcosa da raccontare di sé: la signora novantenne del suo amore per i bambini e per la dedizione profusa nella sua attività di educatrice, il malavitoso che si rende conto che nonostante tutto è riuscito a fare anche una buona azione e la ragazzina che ha avuto un trascorso non certo dei migliori.

Questo libro è straordinario perché parla della morte attraverso la memoria della vita, perché ci fa sentire più vivi che mai, consapevoli che vivere bene è indispensabile non solo per noi stessi, ma anche per i nostri cari, anche per gli altri, senza dimenticare che ribadisce il valore assoluto della memoria, perché quello che non ricordiamo è come se non fosse mai avvenuto, e invece quello che è rimasto in noi, che ogni tanto siamo capaci di far riemergere, ci dà la misura del grado di consapevolezza di ciò che siamo in quanto siamo stati.

Al termine della lettura, capace di provocare emozioni anche insospettabili, saremo in preda a uno stato d’animo a cui volentieri abbandonarsi, perché la serenità è scesa piano piano in noi, e sta sempre a noi conservarla il più a lungo possibile.

Questo romanzo è un autentico capolavoro.

Sanaka Hiiragi (1974, Prefettura di Kagawa) è un’autrice giapponese. Cresciuta nella prefettura di Hyogo, vive a Tokyo.

Renzo Montagnoli
 

 

 

6 Giugno

L’arma segreta del Duce.

La vera storia del carteggio Churchill – Mussolini

di Mimmo Franzinelli

Rizzoli Editore

Storia

Pagg. 437

ISBN 9788817080583

Prezzo Euro 23,00

Un epistolario inesistente

La seconda guerra mondiale è finita da pochi anni, l’Italia lentamente torna alla normalità, anche se il teatro della politica è caratterizzato dallo scontro ormai aperto fra democristiani e comunisti, tenzone in cui cercano di inserirsi per rivendicare un ruolo strategico gli ex fascisti, usciti indenni da una benevola epurazione. In questo contesto nasce una vicenda che ha quasi dell’incredibile e che ha per oggetto il presunto scambio epistolare fra Benito Mussolini e Winston Churchill. L’ipotesi non è tuttavia infondata, perché c’è la certezza di una lettera inviata il 15 maggio 1940 dal Primo ministro inglese al duce e che ha unicamente come scopo quello di scongiurare la guerra fra le due nazioni; Mussolini risponde tre giorni dopo con una missiva che respinge le possibilità di una intesa senza lasciare aperta la benché minima porta. Ci si domanda, razionalmente, se questo iniziale carteggio ha avuto un seguito e infatti c’è chi poi, in modo del tutto interessato, fornisce la risposta, palesando non tanto la possibilità, ma addirittura la certezza di altra corrispondenza di cui sarebbe in possesso. Per quanto ovvio, la notizia è una di quelle che può essere considerata una bomba e di tanto se ne parlerà, e addirittura ancora se ne parla a distanza di anni dopo che la vicenda si è sgonfiata. Sì, perché si tratta di un falso, di un grossolano falso, come dimostrato dallo storico Mimmo Franzinelli grazie a una molteplicità di documenti inediti, tratti dagli archivi della Rizzoli, della Mondadori e del Foreign Office. Insomma, dopo quelle due lettere del maggio del 1940 non ci fu altra corrispondenza fra i due capi di governo. Eppure, appena concluso il secondo conflitto mondiale, si cominciò a parlare di ben 62 missive che si sarebbero scambiate reciprocamente Churchill e Mussolini, a cui poi si aggiunsero, secondo il principio che nel più ci sta il meno, lettere di Hitler, di De Gasperi, di Badoglio, di Croce e di altri personaggi di primo piano.

Come è stata possibile tutto ciò?

Mimmo Franzinelli racconta una storia di imbroglioni, spesso supportati dai vertici della polizia e dei servizi segreti, cioè da quelli che avrebbero dovuto perseguirli, nonché da esponenti neofascisti. In pratica venne avviata una vera e propria macchina del fango con lo scopo di discolpare il Duce dall’aver portato il paese a una guerra disastrosa, al cui esito negativo avrebbero contribuito in modo non certo marginale gli antifascisti, nonché per “sputtanare” la Gran Bretagna, paese verso la quale c’era sempre stata un’aperta ostilità dell’estrema destra. Nacque così una vera e propria telenovela che come ho accennato raccolse intorno a sé molti interessati, e ancora ce n’è qualcuno anche oggi, nonostante la vicenda si sia spenta da sé, vicenda che presentò non solo risvolti politici, ma che vide anche per alcuni la possibilità di ottenere favori in alto loco per lo svolgimento di attività industriali e commerciali.

L’esito delle ricerche approfondite di Franzinelli è di una vera e propria truffa, quindi senza incertezze, come anche comprovato del fatto che la vicenda, divampata come un fuoco, poi si è chiusa con una cenere che per qualcuno è ancora calda, anche se di nostalgici disposti a credere a cose impossibili se ne dovrebbero trovare sempre meno; tuttavia mi sorge il sospetto che un abile manovratore potrebbe riattivare la fiamma, nonostante tutte le inconfutabili prove portate con la consueta capacità e precisione dallo storico bresciano, anche perché in Italia è possibile anche l’impossibile.

Da leggere, ovviamente.

Mimmo Franzinelli (Cedegolo, 1954) studioso del fascismo e dell´Italia repubblicana, componente del comitato scientifico dell'Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione "Ferruccio Pari", è autore di numerosi libri, fra cui: per Bollati Boringhieri, I tentacoli dell´Ovra (1999, premio Viareggio 2000), Rock & servizi segreti (2010) e Autopsia di un falso. I Diari di Mussolini e la manipolazione della storia (2011); per Mondadori, L´amnistia Togliatti (2006), Il delitto Rosselli (2007), Beneduce. Il finanziere di Mussolini, con Marco Magnani (2009), Il Piano Solo (2010), Il prigioniero di Salò (2012), Tortura (2018); per Rizzoli, La sottile linea nera (2008). Con Feltrinelli ha pubblicato: La Provincia e l´Impero. Il giudizio americano sull´Italia di Berlusconi, con Alessandro Giacone (2011), Delatori. Spie e confidenti anonimi: l´arma segreta del regime fascista (UE 2012), Il Giro d'Italia. Dai pionieri agli anni d'oro (Feltrinelli, 2013), - per gli Annali della Fondazione Feltrinelli - Il riformismo alla prova. Il primo governo Moro nei documenti e nelle parole dei protagonisti (ottobre 1963-agosto 1964), con Alessandro Giacone (2013) e Fascismo anno zero (Mondadori 2019), Croce e il fascismo (Laterza 2024), Mussolini racconta Mussolini (Laterza 2024).

Renzo Montagnoli

 

 

 

30 Maggio

Memorie di viaggi

di Sergio Menghi e Giuseppina Parcaroli

Edito in proprio

Narrativa di viaggio

Pagg. 106

ISBN 979-8315611967

Prezzo Euro 8,54*

*Acquistabile su Amazon

In viaggio

C’è chi scrive anche per solo semplice diletto (è il mio caso) e c’è chi lo fa per fissare la memoria del suo passato, anche in funzione di un lascito ai propri eredi, di modo che possano avere una traccia scritta di ciò che hanno sperimentato i loro cari. Quest’ultimo è il caso di Memorie di viaggi, di quei viaggi che l’autore, Sergio Menghi, ha fatto con la moglie tanto da renderla partecipe al fatto letterario. Nel libro c’è un po’ di tutto, non solo itinerari di piacere in senso stretto, ma anche rivenienti dall’attività svolta che l’ha portato a soggiornare in alcune città italiane. L’opera è di sicuro interesse per chi l’ha scritta e anche ovviamente per la sua discendenza, forse un po’ meno per i terzi, che, tuttavia, potrebbero trovare gradevoli e tali da soddisfare le loro curiosità quei tragitti che magari hanno in animo prima o poi di percorrere. In questa varietà di narrativa di viaggio così troviamo le gite dei periodi mantovano e romano, compiute spesso, come altre, con un tandem di autarchica costruzione, poi quelle in Olanda e in Belgio, le escursioni sul Danubio e al Lago di Costanza, e immancabili quelle dolomitiche.

Un discorso a parte, perché gli scopi sono non solo turistici e culturali, ma anche religiosi sono i pellegrinaggi, che hanno visto lui da bambino andare alla Santa Casa di Loreto e a Cascia per Santa Rita, poi congiuntamente con la moglie a Santiago di Compostela e a quello che ho sempre desiderato, senza però mai realizzarlo, in Terra Santa. Sono memorie scritte sull’onda del ricordo e che riflettono ancora le emozioni all’epoca vissute, il che si traduce in notizie che più che didascaliche tendono a trasmettere le sensazioni provate.

Il libro si conclude con racconti che non sono rientrati in Aricordete, ma che completano così la produzione di prosa dell’autore.

Nel complesso si tratta di un’opera sicuramente leggibile, anche se non a livello del già citato Aricordete, ma di una cosa sono certo: la funzione di fissare nero su bianco la memoria del passato è senz’altro riuscita.

Sergio Menghi, nativo di Camerino, attualmente vive a Roma. Laureato in economia e commercio ha lavorato alle dipendenze della Banca Nazionale del Lavoro. In pensione da diversi anni un giorno gli è nata la passione di scrivere poesie e racconti. Ha pubblicato, editi in proprio, AricordetePoesieMemorie di viaggi (quest’ultimo scritto con la moglie Giuseppina Parcaroli)..

Renzo Montagnoli

 

 

 

23 Maggio

Ci sono momenti

di Alessandro Ramberti

Fara Editore

Poesia

Pagg. 128

ISBN 978-88-9293-151-0

Prezzo Euro 12,00
 

Di tutto, di più
E’ proprio il caso di dire che Alessandro Ramberti è una fucina poetica, visto che continua a scrivere e a pubblicare poesie a spron battuto, segno di una invidiabile creatività che sta caratterizzando un lungo periodo particolarmente propizio. Infatti, non ho fatto in tempo a leggere e a recensire Non so resistere che è apparsa questa nuova silloge intitolata Ci sono momenti.

Il fatto che più sconcerta, ma che anche costituisce motivo di apprezzamento, è la varietà dei temi proposti nella raccolta che arriverei perfino a considerare un diario in poesia delle esperienze maturate giorno per giorno.

Ce ne sono alcune che sono folgoranti, come quella agli inizi (Alea: Come un dado rotolante col destino / ho lasciato poche tracce del passaggio.) e che peraltro non è l’unica, perché già a pagina 43 troviamo Agenda: “Ci sono momenti che spostano date”. In entrambi i casi si tratta di felici intuizioni che sintetizzano profondità di pensiero senza togliere nulla alla chiarezza dell’esposizione. Poi ci sono i viaggi, un argomento che mi pare particolarmente caro ad Alessandro, resoconti in versi di gite dal più vicino, ma sempre incantevole Montefeltro, alla lontana metropoli americana (da Alto Montefeltro: (Con le gambe la distanza è maggiore.) / Vedi laggiù quegli alberi color / foglie di ulivo a cinquecento metri / sparsi in quel campo scosceso fra boschi / di un verde scuro? Lontana si staglia / sul profilo turchese la materia / grigia del Sasso Simone. Mi hai detto:/ “Salici!”) (da Diario Newyorkese:Pensate ad un ventenne solitario / per le strade di una grande città: / ….). Ci sono riferimenti religiosi, ci sono espressioni di emozioni, insomma, per farla breve, c’è un po’ di tutto. Quindi dire che Ramberti ha dato sfogo alla sua creatività è quasi un eufemismo, perché appare evidente il quasi ossimoro fra i momenti che ci sono e i periodi invece che risultano, due eventi temporali in cui magmaticamente fuoriesce lo spirito poetico e si trasforma in versi.

Comunque c’è una poesia che sintetizza non tanto la silloge stessa, ma lo stato di grazia dell’autore e non a caso figura per ultima; mi riferisco a Preghiera, breve, ma molto intensa: Dimmi chi sei ti prego / dimmelo con coraggio e con dolcezza / ti ascolterò come un discepolo il maestro / e poi sarò per te io stesso.

E questo è tutto, una raccolta di istantanee, una galoppata in cui la realtà si trasfigura nella fantasia dell’autore, che la filtra, la media, ce la restituisce accattivante, supportata da una serenità che non viene mai meno.

Alessandro Ramberti  (Santarcangelo, 1960) ha pubblicato: 

Racconti su un chicco di riso (1991), In cerca (2004), Pietrisco (2006), Sotto il sole (sopra il cielo) (2012), Orme intangibili (2015), Al largo (2017), Vecchio e nuovo (2019, Faglia–Fa?lto (2020), Medèla (2021), La simmetria imperfetta (racconto lungo, 2022), Enchiridion celeste (2022), Non so resistere (2024).

Renzo Montagnoli

 

 

 

 

17 Maggio

La stanza del colore provvisorio

di Anna Maria Ercilli

Edizioni ilmiolibro.it

Poesia

Pagg. 51

ISBN 9788891037657

Prezzo Euro 10,00

 

Una raccolta politematica

La raccolta ha mutuato il titolo da una delle poesie che la compongono, appunto La stanza del colore provvisorio (Quel pensiero di parole / non dette ritorna a cadenze / di luce, davanti al mattino / la finestra apre la stanza / del colore provvisorio.). E’ logico pensare che la poetessa si sia affidata a questi versi per esprimere un suo messaggio, che tuttavia non è di facile interpretazione. Il fatto delle parole non dette potrebbe esprimere un sentimento di rimorso per non aver colto un momento per dire qualcosa di importante, poi dimenticata, ma che ogni tanto ritorna, un ricordo radicato che pretende attenzione; tuttavia si parla anche di cadenze di luce, luce che ritorna puntualmente a ogni alba, ma a complicare ulteriormente l’enigma c’è quel “davanti al mattino / la finestra apre la stanza / del colore provvisorio”. Mi sembra che ci troviamo di fronte a una metafora, ma di che? La mia personale interpretazione è il ricorrere della vita, che dopo i dubbi della notte, alla luce del mattino fa ricominciare il percorso di ognuno, un percorso che non conosciamo, ma che intuiamo, un che di provvisorio nelle sfumature di ogni giorno che passa, risveglio dopo risveglio, per procedere a tentoni.

Non so se volesse esprimere questo Anna Maria Ercilli, anche perché la raccolta non è monotematica, ma è fatta di poesie che hanno ispirazioni indubbiamente diverse. Tuttavia, se il fatto che le tematiche siano diverse rende difficile conoscere il significato di questa poesia, è però vero che al lettore è concesso il piacere di leggere una varietà di testi che consentono di valutare meglio le qualità dell’autore.

Non volendo tediare chi legge la presente penso sia meglio proporre un assaggio e così si passa dalla lirica di sentimenti, come Emozione (Conosci l’emozione che non / tiene a freno nulla, la febbre / :..) a quella sulla natura, particolarmente cara ad Anna Maria, che l’apprezza in tutte le sue sfumatura, anche in Dolomiti (Quanta distanza dal mare / calpesto conchiglie e gusci saldati /…).

E’ difficile poi trovare dei riferimenti all’ultima silloge pubblicata (La porpora delle api), se non in una traccia stilistica, qui solo abbozzata, ma più concreta e definita nell’ultima opera edita, insomma senza voler ricorrere a un anglicismo abusato (work in progress) in La stanza del colore provvisorio la poetessa ha gettato altri semi della sua arte, realizzando un indispensabile esercizio, di cui già si riescono a vedere quei frutti che poi meglio si colgono con La porpora delle api.

La lettura, per quanto ovvio, è consigliata.

Anna Maria Ercilli, vive a Trento con memorie liguri. Ha lavorato nel Servizio Sanitario. Ha pubblicato sette sillogi di poesia, scrive racconti e articoli culturali per le riviste «Il Furore dei libri» e «R&S», è inserita in alcune antologie (ControparoleHospiteL’evoluzione delle forme poeticheVivere l’abbandono) e riviste («La Mosca di Milano», «Il Monte Analogo» e altre). Presente anche nel dizionario delle parole perdute Nelle pagine del tempo (EmmeTi 2011) e nei volumi Le stagioni per posta Una lettera importante (entrambi con LUA di Anghiari), Quella volta su un treno (Equinozi 2020), iPoet Lunario in Versi (LietoColle). Fotografa per passione. Presidente della Società Dante Alighieri di Trento nell’anno sociale 2014-2015

Renzo Montagnoli

 

 

 

 

10 Maggio

Precipizio

di Robert Harris

Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.

Narrativa

Pagg. 420

ISBN 9788804760696

Prezzo Euro 22,00

Una strana spy story

Nell’estate del 1914 l’intera Europa è sull’orlo del precipizio, perché a Sarajevo è stato ucciso l’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria e per il gioco delle alleanze sussiste il rischio dello scoppio di una guerra che finirebbe con il coinvolgere quasi tutti i paesi europei. Inoltre il Regno Unito è minacciato dalla crisi irlandese che potrebbe incrinare irreparabilmente l’intera struttura dell’impero, rivelandosi un problema ben più grave e impellente dell’intervento in un conflitto. E’ questo lo sfondo dell’ultimo libro di Robert Harris, capace, come sempre, di mescolare storia e romanzo. Per far questo ricorre alle lettere inviate da Lord Herbert Asquith, primo ministro dell’epoca, all’amante Venetia Stanley, figlia di un ricco Lord e più giovane di oltre trent’anni. Come precisa l’autore in una nota agli inizi, le lettere succitate sono autentiche, come pure i telegrammi, gli articoli di giornale, i documenti ufficiali, la corrispondenza fra Venetia Stanley e Edwin Montagu. Invece le lettere inviate da Venetia Stanley a Lord Asquith sono frutto d’invenzione, come immaginario è anche l’agente speciale Paul Deemer. La corrispondenza fra il primo ministro e l’amante è giornaliera, e spesso si tratta di più lettere, missive in cui il capo dell’esecutivo il più delle volte cerca uno sfogo e un conforto ai suoi problemi di governo, svelando però eventi e decisioni segretissime, che per fortuna non finiscono nelle mani di una eventuale spia. Tuttavia, inevitabilmente, in tutto quel comunicare con Venetia può accadere un intoppo, come quello del ritrovamento da parte di alcuni cittadini di telegrammi riservati, mostrati all’amante durante i giri in auto del venerdì e poi gettati dal finestrino. E’ così che il nascente servizio segreto inglese si allarma e decide di controllare la posta di Lord Asquith, affidandone l’incarico all’agente Paul Deemer. Il romanzo, che è prevalentemente una storia d’amore, tende ad assumere anche la caratteristica della spy story e poco importa che le notizie riservate non finiscano nelle mani delle spie tedesche (la Gran Bretagna nel frattempo è entrata in guerra con la Germania), perché, a parte la grave irregolarità di comportamento del primo ministro, resta il rischio più che fondato che possano finire nelle mani nemiche. Quindi, benché non siamo in presenza del classico romanzo di spionaggio, la suspense non manca, e comunque l’opera si fa apprezzare soprattutto per questa tormentata vicenda amorosa, che Venetia a un certo punto decise opportunamente di troncare, scegliendo la compagnia di uno spasimante che da tempo era in speranzosa attesa.

Precipizio è un libro particolare, più affine a Monaco che a L’ufficiale e la spia, entrambi dello stesso autore, e si muove nel difficile e infido mondo della politica, ben descritto e in cui si agitano personaggi veri come Churchill.

In alcuni momenti il ritmo rallenta, in altri si velocizza, ma avviene sempre per libera scelta dell’autore, scelta che ho trovato più che giustificata. L’ambiente anglosassone di inizi secolo e le atmosfere sono rese con la consueta abilità e contribuiscono non poco alla piacevolezza di un romanzo che, senza essere il migliore di Harris, rientra tuttavia fra i suoi più riusciti.

Robert Harris, laureato alla Cambridge University, è stato giornalista alla BBC, e uno dei più noti commentatori dell'"Observer" e del "Sunday Times".

È diventato famoso in tutto il mondo nel 1992 con Fatherland, il cui successo lo ha inserito a pieno titolo nel ristretto gruppo di autori che hanno ridefinito e ampliato i confini del thriller. Successo confermato da Enigma (1996), Archangel (1998), Pompei (2003), Imperium (2006), Il ghostwriter (2007), da cui è stato tratto un film diretto da Roman Polanski, Conspirata (2010), L'indice della paura (2011), L'ufficiale e la spia (2014), Conclave (2016), Monaco (2018), Il sonno del mattino (2019). Prima di dedicarsi interamente alla narrativa ha scritto numerosi saggi, fra cui una celebre inchiesta sui falsi diari del Führer, I diari di Hitler (2002). Tutte le sue opere sono edite in Italia da Mondadori.

Renzo Montagnoli

 

 

 

5 Maggio

Isabella d’Este

di Giannetto Bongiovanni

Editoriale Sometti

Storia

Pagg. 336

ISBN 978-88-7495-942-6

Prezzo Euro 18,00

Tanto di cappello

Isabella d’Este (Ferrara, 17 maggio 1474 – Mantova, 13 febbraio 1539).

Inizio con le classiche date di nascita e di morte proprio per porre in risalto il periodo storico, in primis caratterizzato dalle grandi esplorazioni geografiche (la scoperta dell’America è del 1492), e poi dal conflitto pressoché permanente fra Francia e Spagna che si svolse soprattutto in Italia. Ecco, Isabella d’Este è uno dei personaggi, se non il personaggio di maggior rilievo di quest’epoca, una dama, Madama la Marchesa, che non solo sarà poi ricordata per la sua elevata cultura e la passione per le arti, ma anche perché dovette misurarsi con gli eventi di anni turbolenti, caratterizzati da tradimenti nelle alleanze, da voltafaccia, da continui attriti che fecero sì che non ci fu mai un periodo di effettiva pace. E lei, sposa di Francesco II Gonzaga, bruttino e senz’altro meno colto, più dedito alle arti della guerra che all’esercizio della politica, supplì alle carenze del coniuge, destreggiandosi abilmente, a tutela sia della signoria di Mantova acquisita per matrimonio, sia di quelle con i cui reggenti era imparentata, e cioè Ferrara, Urbino e Milano. Era difficile rimanere a galla per un uomo scaltro e possiamo immaginare quanto quasi fosse impossibile per una donna, eppure lei vi riuscì, senza rinunciare peraltro alla sua passione per il bello, per le arti, di cui fu senz’altro un faro per tutta l’Europa. Se pensiamo al significato del termine protagonista, ecco lei fu appunto la grande protagonista, capace di trattare da pari a pari con re, imperatori e pontefici, senza mai venir meno alla sua femminilità che la rendeva bella più di quanto non fosse. A questo punto credo che sorga la curiosità di conoscerla e a ciò ha provveduto con un’opera di grande bellezza il mantovano Giannetto Bongiovanni, fornendo un’immagine che scaturisce vivida dalle pagine, che scorrono con grande piacere, ricche di notizie esposte non in modo pedante, ma molto avvincente, quasi che, anziché di un saggio storico, si trattasse di un romanzo. Viene naturale accostare l’autore a una grande narratrice che tanto ha scritto dei Gonzaga e mi riferisco a Maria Bellonci; in effetti i due non hanno poco in comune, caratterizzati dall’entusiasmo con cui parlano dei loro personaggi, capaci di dare una visione di una dinastia, quella dei Gonzaga, che ha costituito per un non breve lasso di tempo un preciso riferimento a livello europeo. E per quanto Isabella di nascita non fosse una Gonzaga, ma una della casa d’Este, finì con il diventare dei Gonzaga la maggiore e migliore esponente. Fu lei ad arricchire di quadri e di sculture la residenza nobiliare e fu sempre lei che arrivò a dettare la moda, di cui si teneva conto perfino alla corte di Parigi. E poi ancora lei, moglie devota di un marito che la tradiva ripetutamente, spesso con baldracche di infimo ordine, fu il suo più valido consigliere, capace di condurlo nella difficile tenzone dei giochi di potere, in cui lui, esperto uomo d’armi, di certo non eccelleva.

Giannetto Bongiovanni è stato in grado di darci un ritratto esauriente di questa grande donna, dalla sua venuta a Mantova fino alla sua morte, con meticolosità, ma senza risultare greve, insomma vien da dire – e non è esagerato – “tanto di cappello”.

Giannetto Bongiovanni (Dosolo, 8 novembre 1890 – Brescello, 30 novembre 1964) è stato un giornalista e scrittore italiano.

Ha scritto, fra l’altro:

  • Consigli a Madlén, Milano, Sonzogno, 1925

  • Cicogne minareti fucilate, Milano, C. Vanelli, 1927

  • Baldessar Castiglione, Milano, Alpes, 1929

  • I Gonzaga, Milano, Athena, 1930

  • La Compagnia del Trivelin, Milano, Sonzogno, 1931

Con Fogazzaro in Valsolda, Vicenza, E. Jacchia, 1935

  • Isabella d'Este, marchesa di Mantova, Milano, Fratelli Treves, 1939

  • Le quattro profezie, Milano, tip. Corriere della Sera, 1939, collana "Il romanzo.mensile", n. 4

  • Al Belvedere si balla, Milano, tip. Corriere della Sera, 1939, collana "Il romanzo mensile", n. 10

  • Il ritratto dell'altra, Milano, tip. Corriere della Sera, 1941, collana “Il romanzo mensile". n...

  • I ranocchi di giada, Roma, "Tribuna illustrata”, 1941

  • Delitto in biblioteca, Milano, Edital, 1941

  • Dal carteggio inedito Verdi-Vigna, Roma, edizioni Il giornale d'Italia, 1941

  • Senorita passione, Milano, tip. Corriere della Sera, 1942, collana "Il romanzo mensile", n. 2

  • Il tesoro dei carraresi, Milano, Editoriale italiana, 1942

  • Il cavaliere errante, Milano, tip. Corriere della Sera, 1943, collana "Il romanzo.mensile", n. 4

  • Sei gocce rosse Milano, tip. Corriere della Sera, 1943, “Il romanzo mensile", n. 11

  • Messaggio segreto, Milano, edizioni Alpe, 1944

  • Misteri al Palazzone, Milano, edizioni Alpe, 1945

  • Quattro occhi azzurri, Milano, Valsecchi, 1945

  • Destino dei Gonzaga, Mantova, edizioni CITEM, 1954

  • L'uomo della giostra, Mantova, edizioni CITEM, 1954

  • Sulle orme di Francesco Petrarca, Milano, Gastaldi, 1955
    Renzo Montagnoli

 

 

 

28 Aprile

Se l’acqua ride

di Paolo Malaguti

Edizioni Einaudi

Narrativa

Pagg. 200

ISBN 9788806244088

Prezzo Euro 18,50

Un gioiello

Se l’acqua ride è un romanzo di formazione che segue l’evoluzione di un personaggio di una simpatia che ha dell’incredibile, oltre a narrarci di un’epoca non da tanto trascorsa, ma che sembra sbocciare sotto gli occhi di chi legge. Indubbiamente Gambeto, il protagonista, membro di una famiglia di barcaroli, è descritto con una grazia e una sagacia invidiabile; simpatico per le ingenuità proprie dell’età, esilarante nelle sue scoperte sul sesso, è una di quelle figure capaci da sole di dare corpo e nerbo a uno scritto. Già agli inizi ci fa ricordare i nostri anni di scuola (in questo caso le medie inferiori) quando al risveglio la mattina si desidererebbe tanto restare a letto e invece si è costretti a vestirsi e ad andare al proprio dovere di studente, in quella classe dove impera il professore Oio, altro personaggio azzeccato. In verità tutti gli interpreti di questa storia sono indovinati, dal padre che avverte l’incertezza del lavoro di barcarolo alla madre, una donna semplice e timorata di Dio, al fratellino Luciano, un po’ in ombra, ma è giusto che sia così perché più giovane. Eccezionale è poi il nonno Caronte, che da una vita conduce il suo burcio, cioè il barcone, che va a vela e non ha il motore e che quando non c’è vento ha necessità per muoversi, se non a favore di corrente, del cavalante che con il suo quadrupede traina l’imbarcazione, tutte professioni che all’epoca in cui è ambientato il romanzo stanno già scomparendo.

Eppure Gambeto che al termine della scuola sarà anche lui un barcarolo è orgoglioso di quel lavoro, perché stare insieme al nonno è un’esperienza esaltante. Quando seguiamo la navigazione nei fiumi e nei canali seguiamo anche lo sviluppo del ragazzo, la sua crescita, la sua maturazione, il suo risveglio della sessualità, i primi innamoramenti con le gioie, le emozioni, ma anche le trepidazioni che provocano.

Gambeto si innamora a prima vista, come è tipico di quell’età, e ovviamente non mancano le delusioni, tutte esperienza come gli fa capire il nonno.

Inoltre per il ragazzo ogni ansa di fiume, ogni paesino, ogni argine sono una scoperta, è un aprire gli occhi su un mondo che prima non conosceva.

Così, mentre la Teresina, che è il nome del vecchio burcio, scivola sull’acqua il ragazzo matura e senza accorgersi poco a poco diventa uomo.

Grazie a uno stille snello, ma non certamente povero, a una capacità descrittiva a tutta prova, Malaguti ha realizzato un’opera che ha il tocco della grazia, capace di avvincere dalla prima all’ultima pagina, di far talvolta ridere ed altre invece moderatamente commuovere, in un equilibrio perfetto fra realtà e fantasia in cui i sogni di un ragazzo che cresce si evolvono naturalmente.

E’ un percorso, quello di Gambeto, che in altre circostanze e in altri modi abbiamo fatto tutti e questo ritrovare in fondo un po’ di noi è uno dei motivi di pregio di un’opera che a mio parere è un autentico gioiello.

Paolo Malaguti è nato a Monselice (Padova) nel 1978. Attualmente vive ad Asolo e lavora come docente di Lettere a Bassano del Grappa. Con Neri Pozza ha pubblicato La reliquia di Costantinopoli (2015), finalista al Premio Strega 2016. Tra le sue opere Nuovo sillabario veneto (BEAT, 2016), Prima dell'alba (Neri Pozza, 2017),  L' ultimo carnevale (Solferino, 2019), Se l’acqua ride (Einaudi, 2020), Il Moro della cima (Einaudi, 2022), Piero fa la Merica (Einaudi, 2023), Fumana (Einaudi, 2024).

Renzo Montagnoli

 

 

 

16 Aprile

L’arciere del re

di Bernard Cornwell

Longanesi Editore

Narrativa

Pagg. 304

ISBN 9788830419377

Prezzo Euro 17,56

I terribili archi inglesi

Bernard Cornwell è un narratore britannico, noto per le serie di romanzi storici che ha scritto. Della Storia dei re sassoni ho già letto L’ultimo re e Il cavaliere e il suo re, entrambi molto piacevoli e avvincenti, in grado di far trascorrere piacevolmente un po’ di tempo e caratterizzati dal fatto che l’aspetto creativo è limitato all’indispensabile, presentando invece in modo convincente eventi accaduti realmente, con i protagonisti quasi tutti effettivamente esistiti. La serie è un po’ lunga, articolandosi su tredici romanzi, ed è per questo che ho deciso di passare ad altro che fosse più breve, anche per verificare se cambiando l’argomento avrei trovato lo stesso interesse. L’arciere del re è il primo dei quattro romanzi che compongono la serie di Alla ricerca del Santo Graal, serie che si svolge in un’epoca posteriore (corre il XIV secolo, anziché l’XI) e dico subito che ho ritrovato i pregi di questo autore, capace sempre di avvincere dalla prima all’ultima pagina, con una trama scorrevole, in cui i colpi di scena sono quasi la norma, così che il lettore di certo non finisce per annoiarsi. In verità un difetto che ho riscontrato e che anche in questo romanzo è presente è di non provvedere a una attenta e profonda analisi psicologica dei protagonisti, preferendo invece rimanere un po’ in superficie, anche per privilegiare l’azione. E a proposito di questa nell’Arciere del re troviamo di tutto, dalla conquista sanguinosa della città di Caen, con l’immancabile seguito di saccheggi e di stupri, alla battaglia di Crécy descritta magistralmente, in una serie di pagine con la narrazione che diventa progressivamente incalzante e che quasi rende partecipi dell’evento, con scene che si potrebbero definire apocalittiche, fra cavalli e uomini morenti, con il sangue che poco a poco inzuppa la collina, insomma una vera e propria mattanza in cui come noto risultarono sconfitti i francesi di Filippo VI, vittime soprattutto degli arcieri inglesi di Edoardo III. Queste ultime pagine, che sembrano macchiarsi di rosso tanto è il sangue che scorre, da sole meritano la lettura di un libro di questo autore che ancora una volta ho apprezzato. Comunque, giusto che si sappia, in questa “prima puntata” si accenna solo al Graal, visto che il protagonista principale, l’arciere Thomas, è impegnato a rintracciare una preziosa reliquia, la lancia con cui San Giorgio trafisse il drago, e sottratta alla chiesa inglese di Hookton. Non vado oltre, perché correrei il rischio di svelare troppo e comunque sono più che convinto che chi ama le storie di cappa e spada qui avrà pane per i suoi denti.

Bernard Cornwell (Londra, 23 febbraio 1944) dopo aver lavorato per anni alla BBC si è dedicato alla narrativa e, oltre alla serie di romanzi avventurosi ottocenteschi incentrati sul personaggio di Sharpe (I fucilieri di SharpeLa sfida della tigreAssalto alla fortezzaL'eroe di TrafalgarSharpe all'attaccoLe aquile di Sharpe e L'oro di Sharpe), pubblicati da Longanesi, ha scritto moderne avventure di mare (Scia di fuoco e Figlia della tempesta).
Ha trovato la più fortunata delle sue ispirazioni nelle saghe di avventure medioevali.

Dopo la trilogia di L'arciere del re (Longanesi, 2001), Il cavaliere nero (Longanesi, 2003) e La spada e il calice (Longanesi, 2004), ha dato vita a un'appassionante epopea ambientata tra l'Inghilterra e i mari del Nord durante il primo medioevo: L'ultimo re (2006), Un cavaliere e il suo re (2007), I re del Nord (2008), Il filo della spada (2009), Il signore della guerra (2010), La morte del re (2012) e Il re senza dio (2014), La congiura dei fratelli Shakespeare (2019), La spada dei re (2021) e La conquista di Parigi (2023), tutti pubblicati da Longanesi.
Alla saga di Excalibur appartengono
 Il re d'inverno e Il cuore di Derfel, ripubblicati da Longanesi, presso cui sono usciti anche L'arciere di AzincourtL'ultima fortezza, L'ultimo baluardo.

Renzo Montagnoli

 

 

 

9 Aprile

Aricordete

Ricordi di un tempo che fu

di Sergio Menghi

Edito in proprio

Narrativa

Pagg. 98

ISBN 979-8309621248

Prezzo Euro 9,92*

*Acquistabile su Amazon

Un mondo che non c’è più

Arrivati a una certa età si vive molto di ricordi, si cercano nella memoria episodi e stili di vita del passato, una funzione per rammentare che “siamo stati”. Più raramente accade che si vogliano rendere partecipi di queste rimembranze anche i terzi, scelta che è dettata dalla speranza di lasciare qualcosa di sé. Non è sfuggito a questa decisione anche Sergio Menghi, che è stato mio collega di lavoro e che pertanto ritengo di conoscere come uomo prima ancora che come scrittore. Ebbene, nonostante che in attività lavorativa abbia rivestito ruoli di consistente livello non ha perso quelle caratteristiche di semplicità e di bonomia che gli ho sempre riconosciuto. In questo senso, nato in un ambiente agreste non ha perso le sue radici, fatte di un mondo molto diverso da quello in cui la maggior parte di noi vive, dove il mutare delle stagioni ha effetti sulle persone, sui lavori che vengono svolti, perfino sugli umori, e in cui fino a non molto tempo fa esistevano tradizioni basate sul rapporto fra l’uomo e la natura che nei più sono sconosciute.

E’ di questo che Sergio Menghi parla con i racconti della raccolta Aricordete, che in dialetto marchigiano significa “Ricordati”. Considerato che si tratta di narrazioni relative a un mondo che non c’è più, a una civiltà contadina che è scomparsa e relativi ad anni in cui ero già presente non mi sino lasciato sfuggire l’occasione di leggere anche per ricordare io stesso.

A parte la gradevolezza della lettura, notevole è stata la riscoperta di una realtà che i giovani d’oggi non possono nemmeno immaginare e in cui la famiglia, la famosa famiglia patriarcale, era il fondamento di una società rurale che nulla sapeva, né avrebbe potuto sapere, di personal computer, di smartphone e di altre moderne diavolerie. Quindi, all’epoca, i rapporti personali erano diretti e le amicizie che sorgevano erano reali e non virtuali; vigevano credenze del tutto particolari, nel senso che si pensava, o meglio ancora si temeva, che nelle tenebre si nascondessero spiriti e streghe e ai misteri si aggiungevano altri misteri, in funzione delle limitate conoscenze, con la religiosità di frequente contaminata da superstizioni.

La vita del contadino era scandita da eventi legati alla sua attività, dall’aratura, dalla trebbiatura, dalla vendemmia, secondo riti immutabili da secoli e con ogni decisione pesantemente influenzata dalle necessità agricole, che spesso impedivano ai discendenti maschi e femmine di proseguire negli studi, anche qualora si fossero dimostrati meritevoli. E fu per una strana circostanza che l’autore, destinato anche a lui a campare sulla terra, poté accedere all’università e laurearsi. E’ rimasta in Sergio Menghi, tuttavia, quella naturale attitudine al lavoro agricolo, tanto che adesso, anziano e in pensione, si dedica con grande piacere a curare un orto.

I racconti sono esclusivamente frutti di esperienze dell’autore e così, leggendo, c’è chi si stupirà per un certo modo di vivere – si tratta in questo caso di individui di epoca più recente -, mentre altri, pur con un vissuto diverso, ma presenti in quegli anni, non potranno che riflettere sul loro passato anche con un personale “Amarcord”.

Il mio consiglio - e l’amicizia con l’autore non c’entra - è di leggere questo libro, parla di un mondo che non c’è più e proprio per questo è di grande interesse.

Sergio Menghi, nativo di Camerino, attualmente vive a Roma. Laureato in economia e commercio ha lavorato alle dipendenze della Banca Nazionale del Lavoro. In pensione da diversi anni un giorno gli è nata la passione di scrivere poesie e racconti. Aricordete è la sua prima pubblicazione.

Renzo Montagnoli

 

 

 

2 Aprile

Un cavaliere e il suo re

di Bernard Cornwell

Longanesi Editore

Narrativa

Pagg. 428

ISBN 9788830423831

Prezzo Euro 18,60

Sempre avvincente

Se L’ultimo re, primo romanzo della serie, si concludeva con la battaglia che vedeva sconfitti i danesi, con l’uccisione del loro capo, il feroce Ubba, il secondo episodio si apre con la definitiva decisione dell’intrepido Uhtred di lasciare definitivamente i danesi e di mettere la sua spada al servizio del pio re sassone Alfredo. Da questa decisione, prima avventata, poi frutto di un progressivo e sempre più radicato convincimento, si dipana tutta una serie di avventure di carattere bellico culminanti in una battaglia vittoriosa di re Alfredo sugli invasori danesi, esito a cui ha contribuito in modo determinante con la sua tattica e con la sua abilità di uomo d’arme proprio Uhtred, consapevole ormai che se vuole riprendere allo zio usurpatore il possesso di Bebbanburg deve per forza restare uno delle sua gente, e non certo un nemico della stessa, quale era quando stava con i danesi, fra i quali tuttavia resta ancora qualche suo amico.

E’ innegabile che le vicende di questo personaggio di invenzione si basino tuttavia su fatti storici effettivamente avvenuti e che molti dei protagonisti sono realmente esistiti; tale circostanza offre spessore alla narrazione e permette di comprendere il lungo percorso attraverso il quale c’è stata l’unificazione di territorio e di popolazioni nell’Inghilterra.

L’autore ha indubbiamente uno stile snello e accattivante, capace di rendere in modo apprezzabile le atmosfere di un’epoca particolare, riuscendo anche a ricreare visivamente il teatro in cui si svolgono gli eventi, un po’ meno incisivo forse quando si tratta descrivere lo scontro fra due eserciti, in cui traspare il desiderio di rendere partecipe il lettore, tuttavia senza riuscirci completamente in più di una occasione. In ogni caso la narrazione riesce ampiamente ad avvincere e induce chi legge a rincorrere la trama, desideroso di scoprire gli eventi successivi, soprattutto quando si tratta dell’esito di una battaglia.

Bernard Cornwell (Londra, 23 febbraio 1944) dopo aver lavorato per anni alla BBC si è dedicato alla narrativa e, oltre alla serie di romanzi avventurosi ottocenteschi incentrati sul personaggio di Sharpe (I fucilieri di SharpeLa sfida della tigreAssalto alla fortezzaL'eroe di TrafalgarSharpe all'attaccoLe aquile di Sharpe e L'oro di Sharpe), pubblicati da Longanesi, ha scritto moderne avventure di mare (Scia di fuoco e Figlia della tempesta).
Ha trovato la più fortunata delle sue ispirazioni nelle saghe di avventure medioevali.

Dopo la trilogia di L'arciere del re (Longanesi, 2001), Il cavaliere nero (Longanesi, 2003) e La spada e il calice (Longanesi, 2004), ha dato vita a un'appassionante epopea ambientata tra l'Inghilterra e i mari del Nord durante il primo medioevo: L'ultimo re (2006), Un cavaliere e il suo re (2007), I re del Nord (2008), Il filo della spada (2009), Il signore della guerra (2010), La morte del re (2012) e Il re senza dio (2014), La congiura dei fratelli Shakespeare (2019), La spada dei re (2021) e La conquista di Parigi (2023), tutti pubblicati da Longanesi.
Alla saga di Excalibur appartengono
 Il re d'inverno e Il cuore di Derfel, ripubblicati da Longanesi, presso cui sono usciti anche L'arciere di AzincourtL'ultima fortezza, L'ultimo baluardo.

Renzo Montagnoli

 

 

 

 

26 Marzo

Matteotti e Mussolini.

Vite parallele. Dal socialismo al delitto politico

di Mimmo Franzinelli

Arnoldo Mondadori Editore S.p.a

Storia

Pagg. 480

ISBN 9788804771395

Prezzo Euro 25,00

 

Il dittatore e il democratico

Matteotti e Mussolini sono stati due emblemi di una concezione diversa del potere, il primo convinto che il potere risieda nella volontà popolare espressa liberamente e nella democrazia, il secondo avviato a spron battuto verso logiche di dittatura, contrario a ogni confronto di opinioni e di idee diverse.

La differenza di vedute risiede evidentemente nel concetto innato in Matteotti che solo con un contrasto politico paritario il paese Italia potesse vivere le difficili fasi del dopoguerra; per Mussolini non era invece questione di dare un’impronta allo stato affinché l’Italia riuscisse ad avere prospettive economiche e sociali, ma nel suo ego smisurato non poteva che concepire l’identificazione fra la sua persona e l’intera nazione. Si trattava di posizioni sicuramente inconciliabili e in un’aula parlamentare che vedeva primeggiare il movimento fascista senza lasciare spazi all’opposizione Matteotti rappresentava l’unica voce, forte, di dissenso. A fronte di un programma che vedeva solo l’ascesa al potere assoluto di Mussolini, Matteotti contrapponeva un deciso progetto riformista ed era anche l’unica effettiva voce di una politica di opposizione, capace come un pugile di ribattere gli assalti degli avversari. Per il futuro duce divenne in breve una spina nel fianco, che tendeva a condizionarlo sempre di più e che pertanto doveva essere messa a tacere. Forse non intendeva proprio sopprimerlo , ma questo non potremo mai saperlo, forse voleva che le sue minacce fossero più concrete di un avvertimento, sta di fatto però che Matteotti finì con il soccombere non tanto politicamente, ma fisicamente.

Franzinelli nel suo bel saggio tende a togliere quell’alone di mito imputabile soprattutto alla fine violenta del politico polesano, restituendo invece la figura di un uomo di ampi meriti non strettamente legati alla sua opposizione al fascismo, che pure è già molto, ma alla sua capacità di avere una visione dell’umanità che si potrebbe definire molto avveniristica, un uomo che intendeva dare una veste di dignità ai lavoratori senza distinzioni geografiche, insomma un’idea di universalità.

Il libro parla dei rapporti fra Mussolini e Matteotti fin da quando il primo era un membro del partito socialista, il che lascia intendere che entrambi si conoscessero assai bene; proprio tale circostanza giustifica la preoccupazione del secondo per una vendetta del primo dopo il suo discorso alla Camera dei Deputati del 30 maggio 1924 con cui contestava i risultati elettorali del 6 aprile guastando così la festa del primo ormai convinto di vedere trionfare il fascismo. Assai probabilmente Mussolini la prese come la massima delle offese, ragion per cui Matteotti che, nonostante fosse solo, combatteva strenuamente, doveva essere messo a tacere, così che passarono pochi giorni e il 10 giugno scattò la vendetta.

Franzinelli va oltre la morte di Matteotti, parla delle indagini, di tutte le fasi successive a un delitto di cui ancor oggi si prova l’orrore, con una completezza di grande valore, non disgiunta da un ‘esposizione che privilegia la concretezza alla prolissità.

Da leggere, quindi.

Mimmo Franzinelli (Cedegolo, 1954) studioso del fascismo e dell´Italia repubblicana, componente del comitato scientifico dell'Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione "Ferruccio Pari", è autore di numerosi libri, fra cui: per Bollati Boringhieri, I tentacoli dell´Ovra (1999, premio Viareggio 2000), Rock & servizi segreti (2010) e Autopsia di un falso. I Diari di Mussolini e la manipolazione della storia (2011); per Mondadori, L´amnistia Togliatti (2006), Il delitto Rosselli (2007), Beneduce. Il finanziere di Mussolini, con Marco Magnani (2009), Il Piano Solo (2010), Il prigioniero di Salò (2012), Tortura (2018); per Rizzoli, La sottile linea nera (2008). Con Feltrinelli ha pubblicato: La Provincia e l´Impero. Il giudizio americano sull´Italia di Berlusconi, con Alessandro Giacone (2011), Delatori. Spie e confidenti anonimi: l´arma segreta del regime fascista (UE 2012), Il Giro d'Italia. Dai pionieri agli anni d'oro (Feltrinelli, 2013), - per gli Annali della Fondazione Feltrinelli - Il riformismo alla prova. Il primo governo Moro nei documenti e nelle parole dei protagonisti (ottobre 1963-agosto 1964), con Alessandro Giacone (2013) e Fascismo anno zero (Mondadori 2019), Croce e il fascismo (Laterza 2024), Mussolini racconta Mussolini (Laterza 2024)..

Renzo Montagnoli

 

 

 

 

15 Marzo

Fumana

di Paolo Malaguti

Edizioni Einaudi

Narrativa

Pagg. 304

ISBN 9788806259778

Prezzo Euro 20,00


 

Una donna fiera di essere libera

Fumana è come viene chiamata la nebbia nelle zone del Po prossimo alla sua foce. E lì certamente, soprattutto in autunno, anche per l’abbondanza d’acqua spesso stagnante, la nebbia non manca mai, ma non è questo fenomeno atmosferico il protagonista del romanzo, è solo un aspetto della natura che smorza i colori, attenua i rumori, rende difficile vedere all’intorno quando si cammina..

Fumana infatti è il nome di una femmina che, partorita con difficoltà, rimane subito orfana, perché la mamma muore e il padre fugge, non si sa dove, ma senza più ritornare. Le è rimasto un unico parente, il nonno, chiamato Petrolio, e provvede lui ad allevarla, benché inesperto; l’uomo conduce una vita povera, ma libera, andando a pescare nei numerosi canali in cui si divide il grande fiume prima di affondare nell’Adriatico e, per non lasciare sola la bimba, a cui verrà dato il nome di Fumana in quanto attratta irresistibilmente dalla nebbia, la porta con sé sul suo sandolo. Lei cresce così, pescando con la fiocina e conoscendo quel mondo così selvaggio che la circonda. Vivere prendendo pesci sembrerebbe il suo destino, ma non è così, perché lei è una predestinata, una strigossa e lì al paese, Voltascirocco, ce n’è già un’altra, la Lena, che ha votato la sua vita a curare con segni e con erbe gli altri, senza pretendere di essere pagata, accettando al più qualche omaggio in natura. E Lena insegnerà il mestiere a Fumana, vero e proprio punto di svolta del romanzo che pagina dopo pagina si fa sempre più interessante. E’ così che Malaguti ci racconta la vita di una donna libera e altruista dalla sua nascita nel 1882 fino alla sua fine, tanti anni con ancor più tanti eventi, come nascite, morti, amori, guerre, sviluppo industriale, piene del Po, perdita delle tradizioni. Per lo più, almeno per quanto concerne i grandi fatti, sono cose che conosciamo già, ma che viste dagli occhi di Fumana assumono evidenze diverse, raccontano di una storia vista dal basso, dagli umili in un piccolo contesto quale è Voltascirocco, perché al di là dell’attività di guaritrice della strigossa c’è un cuore che palpita, c’è un desiderio di amore immenso di una donna che è fiera di essere libera, che trova se stessa nella natura che la circonda, nelle nebbie da cui sembrano giungere voci strane, voci di chi non c’è più. Forse è un sogno, ma Fumana non è pazza, Fumana riesce ad arrivare a una trascendenza che a pochi è riservata.

Ci sono pagine di grande bellezza in cui sembra di udire il sospiro dell’acqua, i richiami degli uccelli, il gracidio delle rane, il respiro del vento, ma soprattutto c’è lei, Fumana, un personaggio che affascina, creato abilmente dall’autore.

Il romanzo è veramente bello, per non dire stupendo, e probabilmente il migliore di quelli che ho letto scritti da Malaguti.

Paolo Malaguti è nato a Monselice (Padova) nel 1978. Attualmente vive ad Asolo e lavora come docente di Lettere a Bassano del Grappa. Con Neri Pozza ha pubblicato La reliquia di Costantinopoli (2015), finalista al Premio Strega 2016. Tra le sue opere Nuovo sillabario veneto (BEAT, 2016), Prima dell'alba (Neri Pozza, 2017),  L' ultimo carnevale (Solferino, 2019), Se l’acqua ride (Einaudi, 2020), Il Moro della cima (Einaudi, 2022), Piero fa la Merica (Einaudi, 2023), Fumana (Einaudi, 2024).

Renzo Montagnoli

 

 

 

7 Marzo

Come un’arancia dolce

di Vanna Corvese

Fara Editore

Poesia

Pagg. 56

ISBN 978-88-9293-153-4

Prezzo Euro 12,00


Il dolore

La poesia può servire a cementare il ricordo, cristallizza le emozioni, è sospiro e grido al tempo stesso, è la consolazione per una perdita e Come un’arancia dolce di Vanna Corvese è la memoria pacata, a fronte di un dolore ormai omologato, dell’ultimo scorcio di vita di una persona con cui si è trascorsa gran parte della propria esistenza. Non è solo l’assistenza a un malato terminale, è l’ultimo disperato slancio d’amore: Una luce fioca / illumina il tuo corpo supino / coperto da un lenzuolo colorato. / La luce è accesa sul comodino, / come vuoi tu. / Ora dormi tranquillo / e respiri piano, / ma quando oscuri fantasmi / tornano a inquietarti / ti agiti sul letto / e il terrore / devasta i tuoi lineamenti.

Si vorrebbe non aver mai avuto questa esperienza così devastante, però purtroppo capita, perché non viviamo in eterno e io stesso ho sperimentato questo percorso angosciante quando mia moglie si è ammalata per poi morire.

Comprendo quindi i sentimenti di Vanna Corvese e giungo a dire che mi ritrovo nei suoi versi, riuscendo lei a esprimere in poesia quello che è in me e che per pudore, forse, non ho mai esternato.

In questi giorni, in queste ore di attesa del passo finale si ripercorrono inevitabili episodi della vita insieme, perché visto che non c’è un futuro ci si intende inconsciamente consolare con la memoria del passato (Mi trafigge la nostalgia / mentre il ricordo mi porta / l’onda sonora della fisarmonica, / la canzone che suonavi / per il bambino con la febbre alta / addormentato nella roulotte / come in una tiepida tana. / Un nubifragio nel cuore della notte / spense le luci, /ma le note allegre / tra gli alberi scossi dal vento / donarono un auspicio di sereno / ai compagni di viaggio. /...)

Sono ben evidenziate le sensazioni, le emozioni, le speranze che si susseguono in questa veglia, in cui ci si può anche illudere che tutto non sia reale, ma sia solo il frutto di un brutto sogno. Però tutto finisce, la vita di ogni giorno scompare di fronte a un’attesa ormai senza speranza e se la morte è pronta a ghermire l’infermo, la persona amata che l’assiste ha la morte nel cuore (Col male che ti divora / abbiamo perduto / il dolce rito amoroso, / le passeggiate in città, / la spesa quotidiana insieme / tu col carrello / io coi miei pacchetti, / la sosta al bar per un caffè, / l’incontro domenicale con gli amici, il dialogo canoro con gli uccelli. / …).

E infine il passo finale, lontano dai propri cari, a loro nascosto quasi che la morte calasse un sipario sulla vita di un uomo (Mi hanno mandata via. / L’attesa è interminabile. / Sei solo. / Infine la sentenza: / codice rosso / il cuore… / Mio figlio / accorre al mio richiamo / con la cugina. / Nessuno parla: / immobili, aspettiamo. / Non ti abbiamo più visto.).

Questa silloge di Vanna Corvese è indubbiamente una poesia del dolore, della sofferenza di chi va e di quella di chi lo assiste e poi resta, e dice delle gran verità, ripete ciò che altri hanno già provato se volevano veramente bene, riporta situazioni, emozioni che scavano un solco nell’animo, che magari si attenuano con il trascorrere del tempo dall’evento ferale, ma che poi ogni tanto riappaiono, senza che siano più accompagnate dal dolore, quel dolore che i giorni, i mesi, gli anni trascorsi smussano, confermando a chi resta che chi è partito non tornerà più. E’ allora che scende un velo di tristezza che permette, a chi sa poetare, di mettere in versi quel lontano dolore.

Come un’arancia dolce mi è piaciuto molto e ne caldeggio quindi la lettura.

«Mi presento con le rughe e i capelli bianchi. Sono nata alcuni anni prima della dichiarazione di guerra del Duce! La mia infanzia è stata segnata dalla paura e dalle privazioni, ma anche dall’affetto di una famiglia piena di talenti, dallo spirito critico dei nonni e dall’ironia sapiente delle storie che mi narravano. L’esperienza di quegli anni ha trovato spazio in un romanzo breve – Quando il giorno verrà dei millinfanti – ma prima di questo racconto ho scritto e pubblicato sempre poesie, con poche incursioni nel mondo delle favole. All’alba del Terzo Millennio, la raccolta Incanto Disincanto mi procurò la gioia insperata di un primo premio al concorso della casa editrice Marotta & Cafiero di Napoli. Sono convinta che la poesia aiuti a rendere migliore il nostro mondo. Condividono con me la speranza di un futuro migliore gli amici “diversamente giovani” del mio laboratorio di lettura e scrittura, ciascuno con la sua voce libera e inconfondibile.»(Vanna Corvese)

Renzo Montagnoli

 

 

 

 

1 Marzo

 

La montagna nel lago

di Jacopo De Michelis

Giunti Editore

Narrativa

Pagg. 576

ISBN 9788809932760

Prezzo Euro 19,00

Un giallo lacustre

Non so se Montisola sia l’isola lacustre più grande d’Europa, ma quello di cui sono certo è che è un luogo molto bello, che mi è piaciuto immediatamente ancora prima di visitarlo, transitando in auto sulla strada litoranea che attraversa Sulzano, il paese sulla terraferma da cui parte il traghetto che ho poi preso per approdarvi. La si vede bene da lontano, nella parte superiore del lago d’Iseo, più imponente che ridente, un sasso scagliato da un ciclope, o meglio ancora una montagna che emerge dalle acque del lago. E La montagna nel lago è il titolo del bel romanzo giallo che ha scritto Jacopo De Michelis, 576 pagine di un ritmo quasi sempre serrato, che avvincono il lettore dalla prima all’ultima. Se la trama è più che masi convincente, non si possono che apprezzare le descrizioni del paesaggio e dell’atmosfera di questo posto, che sembra completamente isolato dal mondo. La vicenda inizia con il ritrovamento di un uomo non più giovane che era scomparso, ferito gravemente per le torture subite, ancora in vita, ma che morirà nel giro di pochi minuti, senza fornire indicazioni su chi gli ha fatto così del male. La vittima è Emilio Ercoli, il riccone del paese che si è fatto una fortuna non si sa come, più temuto che stimato, ma che sembrerebbe non avere nemici, tranne Nevio Rota, un pescatore del luogo e ovviamente i sospetti si addensano su di lui. E’ per difenderlo che ritorna il figlio Pietro da Milano dove è rimasto dodici anni cercando di trovare il successo come giornalista di un grande quotidiano e invece conducendo una vita stentata e di ben poche soddisfazioni, poiché l’unico lavoro che ha trovato è stato quello di scrivere come freelance articoli per un periodico di cronaca nera. Poi la trama, ben strutturata, si sviluppa secondo un criterio logico senz’altro apprezzabile, alla vana ricerca di un altro sospetto onde sviare le indagini su Nevio Rota. E’ una figura interessante Pietro, in un certo senso un fallito, pieno di debiti e che sniffa anche coca, un uomo deluso, ma che tuttavia troverà nell’indagine che svolge congiuntamente con un amico agente della polizia municipale l’occasione per il suo riscatto. Mano a mano che si procede emergono personaggi sospetti che si rivelano poi piste sbagliate, ma soprattutto si innesta un aspetto storico legato alla seconda guerra mondiale quando a Montisola, dopo l’8 settembre 1943, era giunto Junio Valerio Borghese, il famigerato comandante della Decima Mas, eleggendo la località a suo feudo personale.

Alla fine i colpi di scena si susseguono e si arriva alla verità, talmente logica che ci si chiede come mai non la si sia vista prima, ma anche quando si scoprirà l’autore del delitto c’è spazio per un’ulteriore sorpresa, che ovviamente non svelo, ma che posso definire un colpo di genio dell’autore.

Non aggiungo altro, se non la raccomandazione di leggere questo romanzo, perché merita ampiamente.

Jacopo De Michelis è nato a Milano nel 1968 e sempre a Milano si è laureato in filosofia teoretica.
È stato traduttore dal francese (tra gli altri di Jules Verne e George Simenon), curatore di collane e antologie e consulente editoriale.
Oggi vive a Venezia, dove è responsabile della narrativa di Marsilio Editori. Insegna presso la NABA (Nuova Accademia di Belle Arti) di Milano, dove è titolare della cattedra di narratologia.
Da sempre interessato alle nuove tecnologie e al loro rapporto con l’editoria e la letteratura, è stato tra i fondatori nel 1994 del primo sito letterario italiano, www.fabula.it, e il primo in Italia a realizzare un booktrailer come mezzo di promozione e comunicazione editoriale.
Ha esordito nella narrativa con il romanzo La stazione (Giunti, 2022). Tra gli altri titoli, La montagna nel lago (Giunti, 2024).

Renzo Montagnoli

 

 

 

23 Febbraio

La donna più vecchia del mondo

di Daniela Raimondi

peQuod Edizioni

Poesia

Pagg. 92

ISBN 9788860683908

Prezzo Euro 15,00

 

La sofferenza di vivere

E con questa sono tre le sillogi scritte da Daniela Raimondi che ho avuto la possibilità e il piacere di leggere. In questa poetessa è sorprendente la capacità di non ripetersi, di trovare nuove tematiche realizzate in modi diversi, con uno stile che è riconoscibile solo dopo un’approfondita lettura e rilettura. In Avernus c’era il prima e il dopo la scomparsa di una persona (in questo caso il padre della poetessa), in I fuochi di Manikarnica si parla di viaggi, mentre in questa nuova opera si racconta soprattutto del dolore di alcune donne, per lo più famose, ma non mancano anche quelle che costituiranno solo un ricordo per gli affetti più vicini. Così si va da Koku Istambulova, appunto la donna più vecchia del mondo (Non conoscevo il mare / solo le verdi onde del grano, / il tormento dei fiumi a novembre. / Sono nata di notte sui monti, / tra il canto dei lupi e le grida dei cinghiali./ Sono cresciuta in un paese di poveri, / dove il pane era fatto di fatica e sudore / e la morte era la rosa più bella. /…) alla sfortunata pittrice messicana Frida Kahlo (Presi l’autobus di corsa, / senza sapere che quel piccolo salto per salire / era già segnato dal destino. / Il tram ci venne incontro / come un toro furioso. / Mi infilzò, / sollevandomi verso il cielo come un trofeo./ Il sacchetto di polvere d’oro / del gringo che mi sedeva accanto / esplose nello scontro, /riempì il cielo con una pioggia leggera e lucente../…). Poi ci sono altri personaggi femminili, tutti segnati dal dolore, da donne per niente famose, come l’anonima aspirante suicida, e altre che hanno avuto non dico la fortuna, perché negli specifici casi sarebbe quasi blasfemo parlare di fortuna, bensì l’opportunità di essere ricordate per diversi motivi, come la progenitrice Eva (Dio mi cacciò dal Giardino / e pose ad oriente dell’Eden ( sette cherubini dalle spade folgoranti. / …) o la scrittrice Silvia Plath, la demente Isolina (Isolina ride per strada, / muove le mani nell’aria / e saluta lo stormo di passeri in cielo. / Poi si siede nel metro di luce / che viene dal mare / e mangia un gelato, si lecca le dita. / Qualcuno la chiama ‘la scema’. / Lei rimane nello scarto di terra / fra la spiaggia e la vite./ Aspetta il pirata che sbuchi dall’orto, / la nave che vola sui prati. / …); Non potevano inoltre non esserci la scrittrice Marguerite Duras e l’attrice Marylin Monroe.

Quindi, personaggi noti e sconosciuti accomunati, più che dal dolore, dal senso del dolore, da quella marcatura iniziale che li accompagnerà in tutta la vita, e si tratta sempre di donne, la parte più succube della nostra umanità, per la quale vivere la sofferenza è pur sempre un vivere.

Verso dopo verso si viene formando un requiem che avverte chiaramente il nostro animo, una musica solenne e al tempo stesso semplice per celebrare sofferenze che ci vengono piano piano svelate, vite perdute nel solco di un destino che grida forte il dolore di vivere.

Da leggere.

Daniela Raimondi è nata in provincia di Mantova e ha trascorso la maggior parte della sua vita in Inghilterra. Ora si divide tra Londra e la Sardegna.
H
a scritto due romanzi, La casa sull’argine (2020) e Il primo sole dell’estate (2023), pubblicati da Nord, ambedue successi di pubblico e critica, tradotti in più di dieci lingue. Alla scrittura in prosa ha affiancato da sempre una personale ricerca nella poesia. Una raccolta antologica di sue poesie in edizione bilingue, Selected poems, è stata pubblicata da Edizioni Gradiva, New York nel 2013. Nel 2012 è stata selezionata per rappresentare l’Italia all’International Poetic Tournament in Slovenia, dove ha ottenuto il Premio del Pubblico.

Renzo Montagnoli

 

 

 

14 Febbraio

Oliva Denaro

di Viola Ardone

Edizioni Einaudi

Narrativa

Pagg. 312

ISBN 9788806247973

Prezzo Euro 18,00

Il valore della libertà

Corrono gli anni ‘60, l’Italia, uscita distrutta della guerra, è stata ricostruita con i sacrifici e l’operosità dei suoi abitanti, comincia il famoso boom economico. Di pari passo con le migliorate condizioni di vita subentra una nuova mentalità, in cui le donne possono aspirare a essere considerate alla stregua degli uomini, ma non è così dappertutto, perché in molte zone del Sud vige ancora una concezione maschilista, in particolare quella che consente il matrimonio riparatore, del resto previsto dall’allora vigente art. 544 del Codice penale, che estingue la pena della violenza sessuale qualora il soggetto incriminato porti all’altare la vittima. La mentalità di subordinazione delle femmine è tale che è una pratica assai diffusa, eppure c’è chi si ribella, come nel caso di Franca Viola e Viola Ardone prende spunto da questa presa di coscienza per scrivere un romanzo in cui la protagonista afferma la sua personalità. E’ quasi superfluo che dica che lei finirà per apparire la svergognata e tale è considerata soprattutto dalla madre (usa ripetere: la femmina è una brocca: chi la rompe se la piglia) che è una conservatrice estrema, mentre la ragazza troverà un insperato appoggio proprio in un uomo, nel padre, che non è il padre padrone, bensì colui che desidera solo la felicità della figlia. Sarà lui a sostenerla nella decisione di opporsi al matrimonio riparatore, un aiuto certamente non scontato, ma anche logico, perché normalmente nelle figlie spesso si rispecchiano le caratteristiche del genitore.

Oliva Denaro è un romanzo crudo, un’opera che vuole dare un’impronta ben precisa affinché, al di là del caso specifico, alle donne sia riconosciuta la loro personalità e Viola Ardone lo fa con una scrittura asciutta, senza tanti fronzoli e non potrebbe essere altrimenti, perché è vero che si tratta di un parto di fantasia, ma ci sono state tante, troppe donne che hanno subito un torto grave come Oliva Denaro e non hanno saputo, né potuto ribellarsi.

La libertà è un bene inalienabile che quando manca si deve conquistare, costi quel che costi, e che quando c’è deve essere difeso fino all’estremo.

Non ha il pathos del Treno dei bambini, ma è un romanzo eccellente, sia per il tema svolto, sia per la capacità che ha la narratrice di coinvolgere, soprattutto le donne, ma anche quegli uomini che credono che la libertà non abbia sesso, né colore della pelle.

Viola Ardone (Napoli, 2 luglio 1974) è laureata in Lettere e ha lavorato per alcuni anni nell'editoria. Autrice di varie pubblicazioni, insegna latino e italiano nei licei. Fra i suoi romanzi ricordiamo: La ricetta del cuore in subbuglio (Salani, 2013), Una rivoluzione sentimentale (Salani, 2016), Il treno dei bambini (Einaudi, 2019), Oliva Denaro (Einaudi, 2021) e Grande meraviglia (Einaudi, 2023).

Renzo Montagnoli

 

 

 

 

8 Febbraio

Versi d’istinto

di Cataldo Amoruso Vitale

Macabor Editore

Poesia

Pagg. 84

ISBN 979-12-81459-41-0

Prezzo Euro 13,00

 

Dolce malinconia
 

Versi d’istinto, che è la prima opera edita di Cataldo Amoruso Vitale, è composta da due raccolte, Dalla marina, versi in dialetto di Cirò Marina (KR), di cui non intendo parlare (c’è la traduzione in italiano in cui si può apprezzare la vena delicata, ma tendo a rifuggire il volgare per quella sua territorialità che si oppone all’unitarietà della lingua nazionale) e la ben più corposa, e per me linguisticamente più appetibile, Dai giorni.

Ciò premesso, dalla lettura di quest’ultima ho tratto nel complesso delle impressioni positive, a partire dal fatto che è senz’altro ben comprensibile, a tutto vantaggio di quella possibilità di instaurare un dialogo virtuale fra autore e lettore.

Amoruso ha una poesia di sentimenti, porge le sue sensazioni ed emozioni, peraltro ben controllate, affinché si possa cogliere l’occasione di diventare partecipi di una condizione che porta piano piano a un’apprezzabile serenità. Con uno stile snello, con una fantasia misurata, trasmette bene quel che prova, ricorrendo anche a forme retoriche, quali la metafora, mostrando una raffinatezza che ben s’intona con la struttura equilibrata dei versi.

La sera che non ha parole

Arriva a sorprendere

Come una mano sulla spalla

A dire quello che può dire una carezza, un ricordo

Di sogno più grande del vero

Un abbraccio che si perpetua

Un amore che non sa morire

Pure, la sua forza vive

In ogni piega della sera

Custode delle palme impreziosite

Dalle carezze mai finite.

Muoiono le albe, rimangono i sogni, quelli veri,

dove s’affacciano gli occhi a sera.

C’è tutta quella malinconia che si accompagna alle felici scelte poetiche, una malinconia che non è tristezza, ma eventualmente è rimpianto per cose o momenti passati.

Sono ricordi che emergono dall’oblio, immagini quasi eteree che si formano e sbucano dalla nebbia del tempo.

Ora dormono

le case dei piccoli ferrovieri

dormono in rovina

le cisterne

i pozzi

i forni

i magazzèni

solo li desta

con pena

il ricordo rettangolare delle luci

li attraversa

all’uscita dei canneti

tra un punto e l’altro di due case

un sibilo di treno

poco più che un richiamo

un sussurro

di cosa più non siamo

. / .

Tuttavia non c’è dolore, non si avverte il timore per una perdita, bensì si riesce a cogliere quella mestizia che nasce dalla consapevolezza che ogni cosa ha il suo tempo e che le nostre, quelle abbiamo avuto nella nostra esistenza, sono solo ormai ombre, tracce di ciò che è stato e che mai più ritornerà.

Sarà perché mi trovo con ciò che ha scritto Amoruso, sarà anche perché è già in me latente quella malinconia di cui ho detto sopra, ma sta di fatto che leggendo questi versi leggo me stesso, provo le stesse emozioni e le stesse sensazioni dell’autore, tanto da poter dire che io e lui siamo in totale sintonia.

Ne consegue che consiglio senz’altro la lettura.

Cataldo Amoruso Vitale nasce nel 1959 a Cirò Ma-rina (KR); dopo le scuole superiori si trasferisce in Emilia Romagna dove, per un quarantennio, svolgerà il ruolo di capo-stazione in Piacenza, nella cui provincia oggi risiede con la famiglia.

Studioso e cultore appassionato di storia e di lingue, soprattutto italiano e spagnolo, molto legato alla sua terra d’origine, oltre a numerosi saggi brevi condivisi nei suoi spazi telematici (Krimisa, blog personale), nel 2017 ha pubblicato Repertorio lessicale della parlata di Cirò e della marina, un progetto di ricerca e di analisi condotto per diversi anni, che ha riscontrato ampio consenso di pubblico e suscitato l’interesse di studiosi non solo calabresi.

Suoi scritti sono stati pubblicati sulla rivista del Centro Studi Bruttium, mentre una nota sulla poetica unitamente ad alcune poesie sono state pubblicate, a cura di Angela Greco AnGre, su Il sarto di Ulm, rivista di poesia delle edizioni Macabor.

La poesia, ricercata e studiata, da sempre presente nel suo quotidiano (una raccolta giovanile, da considerarsi una prova d’autore, fu data alle stampe emiliane negli anni Ottanta del secolo scorso e mai divulgata), resta la grande passione di questo autore.

Questo è il suo primo titolo edito.

Renzo Montagnoli

 

 

 

2 Febbraio

Di lentissimo azzurro

di Angela Caccia

Campanotto Editore

Poesia

Pagg. 80

ISBN 9788845618666

Prezzo Euro 13,00

L’incertezza di Angela

Credo di aver letto quasi tutta, se non tutta, la produzione poetica di Angela Caccia e così ho avuto modo di verificare la progressiva evoluzione artistica di una poetessa che non finisce di stupire, prima fa tutti lei stessa, tanto che è capitato che mi abbia chiesto, trepidante, se quanto scritto avesse o meno una valenza. L’ha, certamente l’ha, perché l’approcciarsi a certe tematiche di volta in volta è diverso, con una ricerca di un linguaggio che sia nel contempo chiaro, ma anche pregno di sostanza, quasi a voler cercare nelle parole il sunto dei concetti espressi.

Di questa naturale incertezza è prova inconfutabile la prima poesia della raccolta che ritengo opportuno riportare per intero al fine di meglio comprendere il mio pensiero.

Sarà servito a qualcosa

leggere Omero farsi disturbare

il sonno da una mail

vivere

fino la ferita

e al grido sotterraneo uscire fuori dal calcolo?

Sarà servito

innamorarsi spartire

in due il peso di sé stessi

modellarsi uno all’altro

sino a fare

del dubbio l’unico fronte di liberazione?

… come Giacobbe e la sua anca rotta

poter lottare col proprio Angelo

per guadagnarsi un nome

Sarà servito raccogliersi in se stessa davanti a un foglio e lasciar fluire una sequenza di parole, ciò che in quel momento si sente sorgere spontaneamente, come una piccola polla d’acqua che si fa strada e a ogni passo diventa sempre più grande, confidando solo sulla pendenza, e nel caso specifico del poetare sulla forza intrinseca dei termini usati?

E la risposta sta nell’inconscio procedere della creatività:Scritta a mano

di lentissimo azzurro / coi tratti della cura e della calma / tra le pagine di un libro / assopita come una Biancaneve. Oppure anche:Ovunque ho residenza /

scrive per me il sentimento del distacco /coltivo solo la rosa dell’esilio /…

Potrei dire che mai, almeno finora, Angela Caccia ha scritto per comprendere se stessa, per svelare se la sua arte sia tale, oppure solo un accostamento di termini, una poesia spuria e non autentica.

Non so se è riuscita ad avere una risposta certa, se abbia trovato almeno, se non la certezza, la speranza di saper realizzare qualcosa di valore, ma è un dilemma che è sempre innato nel momento in cui ci si sottopone agli occhi indagatori di chi legge. Si resta in attesa timorosa di quel giudizio che costituisca la miglior ricompensa della propria fatica.

Sono anch’io un giudice, un opinionista soggetto alla valutazione altrui, pure in questo caso, ma credo che l’importante sia essere del tutto sinceri nel riportare la sintesi delle sensazioni e delle emozioni che la poesia può dare; ebbene, giunto al termine della lettura, resta dentro una vibrazione che lentamente si assopisce, una eco di cose buone che scende nelle valli dell’anima e che sazia la sete di bellezza, la prova più convincente di qualsiasi voto o giudizio.

Angela Caccia ha pubblicato con Fara:  Il fruscio feroce degli ulivi (2013), Il tocco abarico del dubbio (2015),  Accecate i cantori (2017) e L’alveare assopito (2022). Con Lietocolle Piccoli forse (2017). Vari i contributi nel web, in particolare in Versante Ripido. È stata rencesita in poesia.corriere.it, Satura, Patria Letteratura, RAI Poesia, Oubliette magazine, La Repubblica di Napoli nella rubrica di Eugenio Lucrezi e La Repubblica di Firenze nella rubrica di Alba Donati. Finalista al Morra 2022 con liriche contenute nel presente libro, ha tre superbe passioni: poesia, ceramica e scacchi.

Renzo Montagnoli

 

 

27 Gennaio

Waterloo

di Bernard Cornwell

TEA Edizioni

Storia

Pagg. 330

ISBN 9788850242870

Prezzo Euro 14,50

 

La grande mattanza

18 giugno 1815, il sole di Austerlitz non brilla più da tempo e Napoleone Bonaparte non vuole rendersi conto che ha imboccato la parte discendente della parabola. Fuggito dall’isola d’Elba, l’imperatore è riuscito nuovamente a entusiasmare i francesi, facendo leva su quella “grandeur” che lui ancora riesce a rappresentare. Ma i nemici di sempre incombono, occorre armarsi e precederli, non importa se il numero degli arruolati è complessivamente inferiore a quello degli eserciti degli alleati a lui ostili, basta ripetere quella manovra che gli è sempre riuscita, dividerli e sconfiggerli uno alla volta. Onde evitare che arrivino sul teatro di guerra anche i Russi e gli Austriaci, rallentati dalle distanze,  si deve per forza di cose combattere contro gli inglesi e i prussiani. La strategia è sempre quella, dividere gli avversari e sconfiggerli singolarmente, e i fatti all’inizio sembrerebbero dargli ragione con una vittoria facile sui prussiani, ma questi non sono del tutto sconfitti, tanto più che i francesi li inseguono, in quella che è una loro apparente ritirata, con una forza ridotta, che prima faticherà a localizzarli e poi combatterà a lungo con la loro retroguardia. Il vero scontro è a Waterloo, fra i francesi e gli inglesi del duca di Wellington, in una battaglia sanguinosa sempre incerta nella sua conclusione, ma i tempi dell’invincibilità napoleonica sono tramontati, l’imperatore non è più quello di un tempo, ha perso molti dei suoi preziosi marescialli e se anche arriva a un palmo della vittoria la resistenza disperata del comandante britannico consentirà ai prussiani di unirsi agli inglesi e decreterà la sconfitta della Grande Armée.

In tanti hanno scritto di questa battaglia, il cui esito ha determinato conseguenze fatali per l’Europa, ritornata agli stati divisi e conservatori di prima della Rivoluzione francese, e ognuno ha detto la sua. Ci ha provato anche Cornwell, noto autore inglese di romanzi storici. In questo caso, tuttavia, ha preferito anteporre la storia alla narrativa, con Waterloo che è l’esatta cronistoria di quanto avvenne. E’ un dramma continuo, con un macello senza precedenti e migliaia di vittime (si parla di 25.000 uomini per i francesi, 20.000 per gli inglesi e 4.000 per i prussiani) e se devo essere sincero fra tanti morti, mutilati, feriti lasciati senza l’indispensabile aiuto a un certo punto mi è venuto un senso di angoscia, che non mi aveva prese leggendo La battaglia. Storia di Waterloo, uscito dalla penna di Alessandro Barbero, opera che secondo me è più riuscita. Non è che il libro di Cornwell non sia interessante, perché invece lo è, ma la differenza sta tutta nell’aver affrontato lo stesso tema con un spirito diverso; infatti Barbero ha calcato un po’ meno la mano sull’orrore, pur non tacendolo, ma senza eccessi, con un distacco più da inglese che da italiano.

Waterloo è in ogni caso da leggere perché è un saggio storico completo, ma non per questo greve.

Bernard Cornwell (Londra, 23 febbraio 1944)  dopo aver lavorato per anni alla BBC si è dedicato alla narrativa e, oltre alla serie di romanzi avventurosi ottocenteschi incentrati sul personaggio di Sharpe (I fucilieri di SharpeLa sfida della tigreAssalto alla fortezzaL'eroe di TrafalgarSharpe all'attaccoLe aquile di Sharpe e L'oro di Sharpe), pubblicati da Longanesi, ha scritto moderne avventure di mare (Scia di fuoco e Figlia della tempesta).
Ha trovato la più fortunata delle sue ispirazioni nelle saghe di avventure medioevali.

Dopo la trilogia di L'arciere del re (Longanesi, 2001), Il cavaliere nero (Longanesi, 2003) e La spada e il calice (Longanesi, 2004), ha dato vita a un'appassionante epopea ambientata tra l'Inghilterra e i mari del Nord durante il primo medioevo: L'ultimo re (2006), Un cavaliere e il suo re (2007), I re del Nord (2008), Il filo della spada (2009), Il signore della guerra (2010), La morte del re (2012) e Il re senza dio (2014), La congiura dei fratelli Shakespeare (2019), La spada dei re (2021) e La conquista di Parigi (2023), tutti pubblicati da Longanesi.
Alla saga di Excalibur appartengono Il re d'inverno e Il cuore di Derfel, ripubblicati da Longanesi, presso cui sono usciti anche L'arciere di AzincourtL'ultima fortezza, L'ultimo baluardo.

Renzo Montagnoli

 

 

20 Gennaio

Deja vu

Quindici racconti rievocati

di Marco Giorgini

Edizioni Kult Virtual Press

Narrativa

Pagg. 248

ISBN 979-8302950864

Prezzo Euro 6,99

 

Tutto weird

Questa raccolta di racconti, già pubblicati in passato su libri, riviste e siti web, spesso ormai impossibilitati a essere letti, comprende diversi generi, dalla fantascienza all’horror, nel sottogenere weird, quello nato con il preciso scopo di provocare nel lettore sbigottimento e paura e che ha visto fra i suoi autori artisti del calibro di Edgar Allan Poe e Howard Phillips Lovecraft. Giorgini ha inteso con questo suo volume riunire la sua produzione di maggior qualità, a vantaggio degli appassionati del genere, una opportunità che non rientra tanto nelle logiche editoriali, ma nella volontà di rappresentare una specifica testimonianza letteraria. Si tratta in tutto di quindici racconti, scritti in epoche diverse, ma in un arco di tempo che va dal 2000 al 2010 e che nell’occasione hanno avuto una opportuna revisione, peraltro di modesta entità, tanto da non esserne stravolti.

Per quanto le tematiche e le situazioni, insomma in pratica il genere non rientri fra quelli che più mi risultano graditi, in considerazione anche dell’amicizia con l’autore ho inteso tuttavia leggere con la miglior predisposizione, certo che in ogni caso avrei potuto trarre più di un’impressione positiva, il che effettivamente si è poi avverato.

Poiché i racconti sono diversi ce ne sono di maggior o minor gradimento, come è ovvio che sia, e infatti giunto al termine della lettura ho constatato questa circostanza, e senza voler parlare di tutti e quindici, perché sarebbe troppo oneroso, mi sembra giusto fornire almeno un breve cenno di quelli che più mi hanno colpito.

Con La fine delle trasmissioni si parla delle esperienze extrasensoriali di un soggetto, una specie di allucinazioni riscontrabili in genere in chi si droga, ma non è il caso della persona in questione, e proprio per questo, prima ancora di trovare una cura, è indispensabile cercare di capire, così che la nostra medicina lo rende oggetto di studio. In effetti il suo problema è quello di udire, come se fossero vicinissimi a lui, suoni e voci lontane, e ogni volta che capita la provenienza è sempre più distante, addirittura l’Australia. Non vado oltre, perché questo genere, come i polizieschi, esige sempre alla fine una soluzione e anticiparla sarebbe senz’altro sconveniente.

E poi ci sono i racconti brevi, molto brevi, quasi dei flash, come L’adepto, che si svolge in un piccolo insediamento inglese, dove c’è un antico rito di iniziazione con una vittima sacrificale, o come Nel buio, con una casa dagli strani e misteriosi rumori, per non parlare del cortissimo Mare nero, una sorta di giorno del giudizio.

Il mistero, che è poi tutto ciò che non riusciamo a spiegarci, è onnipresente, accompagnato dalla fantasia che mettiamo nel cercare di fornirci una risposta, purtroppo impossibilitati a ottenere. E quanto più ci sono stranezze, quanto più non riusciamo a comprendere, tanto più scivoliamo nel nostro inconscio. Questi racconti sono il frutto di questa inconsapevole ricerca di risposte che contiamo di reperire dentro di noi, ma che non troveremo.

Da leggere.

Marco Giorgini, nato a Modena nel 1971, lavora da quasi trent'anni nel campo della linguistica computazionale e, nello stesso periodo, coordina la rivista culturale online KULT Underground. Autore di racconti e videogiochi d'avventura narrativi, ha pubblicato anche diversi romanzi, tra cui spicca il giallo per ragazzi Il Mistero della Statuetta Egizia (2019). Negli ultimi anni, gran parte della sua produzione è stata inclusa in antologie collettive, spesso ambientate nella sua città natale, come nel caso del racconto weird Moden-e (2024), inserito nell'antologia Modenesi per Sempre.

Renzo Montagnoli

 

 

 

14 Gennaio

Da quando non ci siete

di Stefano Bianchi

Fara Editore

Poesia

Pagg. 80

ISBN 978-88-9293-095-7

Prezzo Euro 7,00

La memoria

Il tema della memoria è uno dei più diffusi in poesia, un po’ perché parlare del proprio passato ha l’indubbio vantaggio di non richiedere particolari doti di creatività, un po’ perché ci si illude che soprattutto gli anni più lontani della nostra esistenza, che corrispondono generalmente alla fanciullezza e alla pubertà, siano stati i migliori che ci potessero capitare.

In quest’ottica credo debba essere vista questa raccolta poetica di Stefano Bianchi, capace di ricordare con il rimpianto malinconico di chi sa che certi eventi non si potranno replicare, che certe persone che abbiamo incontrato non sarà più possibile vedere di nuovo ( Che la vita è bella me l’hai insegnato tu, morendo.)

Se rievocare rinforza il nostro desiderio di proseguire, pur tuttavia ha i suoi limiti nel senso di sconforto che si accompagna sempre al piacere di illudersi di rivivere determinate epoche. Bianchi mette nero su bianco le sue sensazioni, le sue emozioni rammentando e scrivendo di quando era bambino, parlando d’amore, del tempo che passa, spesso e volentieri con indovinate visioni della natura che non solo è palcoscenico dei suoi versi, ma ne è intima struttura, è il mezzo con cui meglio comunicare. E le parole, se opportunamente amalgamate, se intelligentemente scelte, hanno la capacità di trasmettere a chi le legge le stesse sensazioni e le stesse emozioni, come è possibile verificare in Dove?:

Dove sei?

In quel cielo di nuvole alte

colorate di nero dal sole

come una lanterna dietro a un telo?
 

O nel verde sentiero che corrono

in discesa i bianchi cani del nord

a quest’ora della sera?
 

Delle chiome gemmate di aprile

sento la stessa pelle addosso,

pure mi costringo a inseguire

la corsa di una vita che non è mia,

che non è nostra.

Non indovina la strada per casa,

quando bastava ascoltarti un secondo

allora.
 

O sei nell’acqua del fiume che passa

una volta ma poi non si ferma?
 

O nell’aria che vola in montagna?

Così pulita e leggera come

la tua anima e le tue parole

che mi tengon per mano stasera?

Fra una citazione e l’altra di autori famosi il poeta nel ricordare si abbandona a riflessioni coinvolgenti, come quella sul tempo, così dolcemente scandito con una visione di un fenomeno della natura (Il tempo cade a fiocchi piccoli come la neve / che se lo lasci fare / stende una coltre spessa quanto l’oblio / sulle cose che crediamo importanti.), una poesia che ha tanto dell’aforisma quanto generale e perfettamente logico è il concetto esposto.

Nel leggere questi versi si finisce un po’ con il ripercorrere il nostro passato, ci si lascia condurre per mano a quella serena malinconia che assale il navigante al tramonto, e forse noi, anno dopo anno, giorno dopo giorno, non siamo altrettanti naviganti nella luce del tramonto?

Il mio giudizio forse è poca cosa, ma si sono sentito da subito in sintonia con l’autore, verso dopo verso ho ritrovato i miei “da quando non ci siete”.

Nato a Rimini, Stefano Bianchi ha pubblicato le raccolteLa bottiglia (Pendragon 2005), Le mie scarpe son sporche di sabbia anche d’inverno (Fara Editore 2007) - Premio Cluvium – Calvanico – 2008, Sputami a mare (Le voci) (Fara 2010), segnalata al Premio Città di Marineo – Palermo 2011) e Da quando non ci siete (Fara 2021), che nel 2022 ha ottenuto i seguenti riconoscimenti:

Diploma di merito per la poesia edita al Premio I Murazzi (Torino), 1° Premio al Campionato Italiano della Poesia di Rimini, Encomio d’onore al Città del Galateo (Roma), Premio “Assunta” a La Stradina dei Poeti (Barletta), 2° posto assoluto al Premio Piemonte Letteratura, Menzione d’Onore al Concorso Poesie della Religione Cristiana, Segnalazione di Merito al concorso Tradizioni Vive e Menzione della Giuria al concorso Tre Civette sul Comò (Torino).

Altri suoi versi sono presenti nelle antologie Il desiderio, Sogno, Il Ricordo, Nella notte di Natale. Racconti e poesie sotto l’albero (Perrone ed. tra il 2007 e il 2009), Poeti romagnoli d’oggi e Federico Fellini (Il Ponte Vecchio 2009) e Corviale cerca poeti (ed. Fuorilinea 2015).

Alcune sue poesie sono state recentemente selezionate dalla Casa editrice Aletti di Roma per la registrazione di un cd audio video per la voce dell’attore Alessandro Quasimodo, figlio del poeta premio Nobel Salvatore Quasimodo.

Ha presentato le sue poesie in vari contesti pubblici, anche TV (Icaro TV Rimini e Tele 1 Faenza) e radio (Fango Radio e Radiocity Vercelli). Alcune recensioni sono uscite su giornali e settimanali (La Voce di Romagna e Il Ponte di Rimini), altre sono in rete sul blog farapoesia e sul sito di Fara Editore, ai siti del Centro Cultural Tina Modotti, Whipart, L(’)abile traccia, Athena Millennium, QLibri, LiberoLibro, Arte Insieme, Fuorilinea, Linea quotidiano nella rubrica “Nel verso giusto".

Renzo Montagnoli

 

 

 

8 Gennaio

Vegliare su di lei

di Jean-Baptiste Andrea

La nave di Teseo Edizioni

Narrativa

Pagg. 480

ISBN 9788834618523

Prezzo Euro 22,00

Il realismo magico di Jean-Baptiste Andrea

Un uomo e una donna, con i loro sogni, lui che desidera realizzarsi con la sua arte, di cui ha un gran talento, lei che ambisce proiettarsi nel futuro, nell’uscire dalla staticità di un mondo in cui è nata e cresciuta. Viola, una nobile caratterizzata da un accentuato dinamismo, e Mimo, un nano che è un grande talento della scultura, sono i protagonisti di questo romanzo, scritto in modo accattivante, con una dose di giusta ironia, e in cui con abilità si mescolano la realtà e la fantasia. E’ anche un racconto di epoche storiche che vanno dalla Grande guerra alla liberazione, passando per gli anni bui del fascismo.

Il segreto del successo di Vegliare su di lei è di parlare di amore, da quello per l’arte a quello per realizzare i propri sogni, con sullo sfondo un mondo in continua evoluzione, ma anche involuzione, visto che le belle speranze con cui si era aperto il primo conflitto mondiale si sono rapidamente estinte, soffocate dagli autoritarismi che sono stati gli strascichi più evidenti di quella guerra.

Lo stile dell’autore è quello che mi ha più sorpreso perché l’opera ha un ritmo incalzante, senza rallentamenti evidenti, supportata da quell’ironia di cui ho accennato e che finisce con il diventare lo stimolo per una riflessione del lettore.

Poi ci sono tutti gli ingredienti perché possa avvincere chi legge, perché induce alla commozione, date le caratteristiche dei due protagonisti ed è permeata da una specie di realismo magico che mi ha fatto venire in mente Cent’anni di solitudine, il più riuscito romanzo di Gabriel Garcia Marquez, da cui credo abbia tratto ispirazione.

Vegliare su di lei mi è piaciuto, come mi risulta sia stato gradito da tanti; se dovessi dare un giudizio stringato, direi che è senz’altro eccellente e considerato che la produzione attuale è per lo più di modesta levatura è cosa non da poco, tale proprio da caldeggiarne la lettura.

La trama non manca di certo di originalità, un valore notevole se rapportato alla banalità di tanti romanzi che sono editi in questi anni, i personaggi sono azzeccati, in particolare Mimo, un Michelangelo del XX secolo, ma anche l’androgina Viola, enigmatica e in continua fuga dal mondo dorato in cui è rinchiusa.

Forse non raggiunge i vertici propri del capolavoro, ma quello di cui sono certo è che Vegliare su di lei è un’indimenticabile storia di due esseri, un uomo e donna, che si cercarono sempre, reciprocamente attratti dalle loro personalità.

Jean-Baptiste Andrea (Sant-Germain- en-Laye, 4 aprile 1971) è un regista, scrittore e sceneggiatore francese. Mia regina (Einaudi 2018), il suo romanzo d'esordio, ha vinto il Prix Femina des lycéens e il Prix du premier roman e in totale ha raccolto 12 premi letterari. Lavora come sceneggiatore e regista tra la Francia e gli Stati Uniti. Il suo secondo romanzo Deux million d'années et un jour è uscito dopo due anni. Des diables and saints (L'uomo che suonava Beethoven, Einaudi 2022) fa parte della sua trilogia sull'infanzia e si è aggiudicato il Grand Prix RTL-Lire, il premio Relay des Voyageurs Lecteurs e il Prix Ouest-France Étonnants Voyageurs. Nel 2023 conquista il Premio Goncourt con Vegliare su di lei, «la storia d’amore tra Michelangelo - che sogna di diventare un grande artista - e Viola - che sogna di volare. Un romanzo perfetto, sull’amore per l’arte, sull’amore eterno tra un uomo e una donna, sul coraggio di seguire i propri sogni e le proprie idee», come ha scritto Elisabetta Sgarbi, editore La Nave di Teseo.

Renzo Montagnoli

 

 

2 Gennaio

Il duomo racconta.

Santi e briganti nella cattedrale di Mantova

di Roberto Brunelli

Tre Lune Edizioni

Saggistica

Pagg. 350 con ill.ni

ISBN 9788887355420

Prezzo Euro 61,97

Per conoscere il duomo di Mantova

La chiesa madre della diocesi mantovana è il Duomo, noto anche come Cattedrale di San Pietro. E’ da quasi nove secoli che si affaccia su una delle più belle piazze del mondo, quasi in sordina, restando però ferma la sua centralità liturgica. Non ha certamente lo stile arioso della concattedrale di Sant’Andrea, né può ambire a raccogliere in sé folle debordanti stante la sua più ridotta dimensione, è stato frutto di successive riedificazioni e di ampi restauri tanto che non ha un’impronta artistica ben determinata, quasi fosse un arlecchino architettonico. Forse è anche per questo che non piace a molti mantovani, fra i quali il sottoscritto, e che preferiscono bearsi dell’imponenza, tuttavia per nulla greve, frutto dell’ingegno di Leon Battista Alberti, della basilica di Sant’Andrea. Ed è probabilmente per tale motivo che ho voluto accostarmi, con naturale curiosità, a questo libro sulla Cattedrale di San Pietro, onde saperne di più e conoscere un’opera che è lì da tanto di quel tempo che si può dire che ha assistito, muta testimone, alla storia della città.

La scelta, ponderata, si è rivelata giusta perché l’autore, monsignor Roberto Brunelli era un autentico esperto, un religioso che metteva passione e studio non solo nella sua vocazione, ma anche nella storia, soprattutto artistica, di Mantova.

In questo corposo volume di storia ce n’è un bel po’, perché sono le vicende di un borgo quasi dalla sua nascita in avanti, abbracciando soprattutto il periodo d’oro della reggenza dei Gonzaga. In queste pagine gli anni corrono inesorabili e il Duomo è sempre lì, magari temporaneamente fuori uso per un incendio, ma immediatamente ricostruito, simbolo del potere del vescovo di Mantova, ma al tempo stesso faro religioso per gli abitanti della città.

L’opera è impostata in modo organico, per temi, così da apparire quasi di immediata consultazione; le immagini (fotografie di Toni Lodigiani) abbondano, tanto che verrebbe da dire che è inutile recarsi in Duomo a visitarlo, perché in questo modo è possibile farlo comodamente da casa. In un lasso di tempo così lungo non potevano mancare tantissime storie e infatti ci sono, così come i riferimenti all’iconografia religiosa, con tante particolarità e meglio ancora curiosità che svelano aspetti, caratteristiche, simbolismi che altrimenti forse non avremmo notato con una visita diretta.

Emerge indiscussa la conoscenza che si potrebbe definire enciclopedica di Roberto Brunelli che tuttavia non rende gravosa la lettura grazie alle ben note capacità di sintesi dell’autore.

Insomma, il libro ha il pregio di destare l’interesse anche di chi da tempo ha preferito senza indugio la Basilica di Sant’Andrea, che magari non cambierà il suo gusto, ma che di certo vedrà in nuova luce una costruzione che gli era sempre sembrata, più che buia, cupa, più che pesante, un incrocio di stili vari.

Da leggere quindi, un consiglio rivolto non solo ai mantovani, ma anche ai tanti turisti che sempre più apprezzano Mantova.

Roberto Brunelli ( Piubega, 30 marzo 1938 – Mantova, 21 novembre 2022) è stato un religioso, critico d’arte e direttore del Museo diocesano di arte sacra Francesco Gonzaga, nonché autore di testi di argomento religioso, di storia dell’arte e di narrativa. Negli anni ’80 ha collaborato con Mondadori come curatore e traduttore di alcuni titoli della popolare collana enciclopedica per ragazzi I grandi libri e come autore del Grande libro della Bibbia (1983). Fra le sue opere thriller ricordiamo “Delitto in sagrestia, la ricostruzione storica di “Giallo a corte”, dedicata ad alcuni delitti irrisolti di epoca gonzaghesca, “Requiem in rosso” e il racconto “Papa a sorpresa”, dove l’autore, prima della diffusione della notizia delle dimissioni di Benedetto XVI, ipotizzava che cosa sarebbe potuto accadere con le dimissioni di un pontefice. Nella sua opera ricorrono in particolare i saggi storici e artistici di argomento mantovano, oltre a un filone di narrativa noir.

Renzo Montagnoli

 

 


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