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8 Febbraio

Versi d’istinto

di Cataldo Amoruso Vitale

Macabor Editore

Poesia

Pagg. 84

ISBN 979-12-81459-41-0

Prezzo Euro 13,00

 

Dolce malinconia
 

Versi d’istinto, che è la prima opera edita di Cataldo Amoruso Vitale, è composta da due raccolte, Dalla marina, versi in dialetto di Cirò Marina (KR), di cui non intendo parlare (c’è la traduzione in italiano in cui si può apprezzare la vena delicata, ma tendo a rifuggire il volgare per quella sua territorialità che si oppone all’unitarietà della lingua nazionale) e la ben più corposa, e per me linguisticamente più appetibile, Dai giorni.

Ciò premesso, dalla lettura di quest’ultima ho tratto nel complesso delle impressioni positive, a partire dal fatto che è senz’altro ben comprensibile, a tutto vantaggio di quella possibilità di instaurare un dialogo virtuale fra autore e lettore.

Amoruso ha una poesia di sentimenti, porge le sue sensazioni ed emozioni, peraltro ben controllate, affinché si possa cogliere l’occasione di diventare partecipi di una condizione che porta piano piano a un’apprezzabile serenità. Con uno stile snello, con una fantasia misurata, trasmette bene quel che prova, ricorrendo anche a forme retoriche, quali la metafora, mostrando una raffinatezza che ben s’intona con la struttura equilibrata dei versi.

La sera che non ha parole

Arriva a sorprendere

Come una mano sulla spalla

A dire quello che può dire una carezza, un ricordo

Di sogno più grande del vero

Un abbraccio che si perpetua

Un amore che non sa morire

Pure, la sua forza vive

In ogni piega della sera

Custode delle palme impreziosite

Dalle carezze mai finite.

Muoiono le albe, rimangono i sogni, quelli veri,

dove s’affacciano gli occhi a sera.

C’è tutta quella malinconia che si accompagna alle felici scelte poetiche, una malinconia che non è tristezza, ma eventualmente è rimpianto per cose o momenti passati.

Sono ricordi che emergono dall’oblio, immagini quasi eteree che si formano e sbucano dalla nebbia del tempo.

Ora dormono

le case dei piccoli ferrovieri

dormono in rovina

le cisterne

i pozzi

i forni

i magazzèni

solo li desta

con pena

il ricordo rettangolare delle luci

li attraversa

all’uscita dei canneti

tra un punto e l’altro di due case

un sibilo di treno

poco più che un richiamo

un sussurro

di cosa più non siamo

. / .

Tuttavia non c’è dolore, non si avverte il timore per una perdita, bensì si riesce a cogliere quella mestizia che nasce dalla consapevolezza che ogni cosa ha il suo tempo e che le nostre, quelle abbiamo avuto nella nostra esistenza, sono solo ormai ombre, tracce di ciò che è stato e che mai più ritornerà.

Sarà perché mi trovo con ciò che ha scritto Amoruso, sarà anche perché è già in me latente quella malinconia di cui ho detto sopra, ma sta di fatto che leggendo questi versi leggo me stesso, provo le stesse emozioni e le stesse sensazioni dell’autore, tanto da poter dire che io e lui siamo in totale sintonia.

Ne consegue che consiglio senz’altro la lettura.

Cataldo Amoruso Vitale nasce nel 1959 a Cirò Ma-rina (KR); dopo le scuole superiori si trasferisce in Emilia Romagna dove, per un quarantennio, svolgerà il ruolo di capo-stazione in Piacenza, nella cui provincia oggi risiede con la famiglia.

Studioso e cultore appassionato di storia e di lingue, soprattutto italiano e spagnolo, molto legato alla sua terra d’origine, oltre a numerosi saggi brevi condivisi nei suoi spazi telematici (Krimisa, blog personale), nel 2017 ha pubblicato Repertorio lessicale della parlata di Cirò e della marina, un progetto di ricerca e di analisi condotto per diversi anni, che ha riscontrato ampio consenso di pubblico e suscitato l’interesse di studiosi non solo calabresi.

Suoi scritti sono stati pubblicati sulla rivista del Centro Studi Bruttium, mentre una nota sulla poetica unitamente ad alcune poesie sono state pubblicate, a cura di Angela Greco AnGre, su Il sarto di Ulm, rivista di poesia delle edizioni Macabor.

La poesia, ricercata e studiata, da sempre presente nel suo quotidiano (una raccolta giovanile, da considerarsi una prova d’autore, fu data alle stampe emiliane negli anni Ottanta del secolo scorso e mai divulgata), resta la grande passione di questo autore.

Questo è il suo primo titolo edito.

Renzo Montagnoli

 

 

 

2 Febbraio

Di lentissimo azzurro

di Angela Caccia

Campanotto Editore

Poesia

Pagg. 80

ISBN 9788845618666

Prezzo Euro 13,00

L’incertezza di Angela

Credo di aver letto quasi tutta, se non tutta, la produzione poetica di Angela Caccia e così ho avuto modo di verificare la progressiva evoluzione artistica di una poetessa che non finisce di stupire, prima fa tutti lei stessa, tanto che è capitato che mi abbia chiesto, trepidante, se quanto scritto avesse o meno una valenza. L’ha, certamente l’ha, perché l’approcciarsi a certe tematiche di volta in volta è diverso, con una ricerca di un linguaggio che sia nel contempo chiaro, ma anche pregno di sostanza, quasi a voler cercare nelle parole il sunto dei concetti espressi.

Di questa naturale incertezza è prova inconfutabile la prima poesia della raccolta che ritengo opportuno riportare per intero al fine di meglio comprendere il mio pensiero.

Sarà servito a qualcosa

leggere Omero farsi disturbare

il sonno da una mail

vivere

fino la ferita

e al grido sotterraneo uscire fuori dal calcolo?

Sarà servito

innamorarsi spartire

in due il peso di sé stessi

modellarsi uno all’altro

sino a fare

del dubbio l’unico fronte di liberazione?

… come Giacobbe e la sua anca rotta

poter lottare col proprio Angelo

per guadagnarsi un nome

Sarà servito raccogliersi in se stessa davanti a un foglio e lasciar fluire una sequenza di parole, ciò che in quel momento si sente sorgere spontaneamente, come una piccola polla d’acqua che si fa strada e a ogni passo diventa sempre più grande, confidando solo sulla pendenza, e nel caso specifico del poetare sulla forza intrinseca dei termini usati?

E la risposta sta nell’inconscio procedere della creatività:Scritta a mano

di lentissimo azzurro / coi tratti della cura e della calma / tra le pagine di un libro / assopita come una Biancaneve. Oppure anche:Ovunque ho residenza /

scrive per me il sentimento del distacco /coltivo solo la rosa dell’esilio /…

Potrei dire che mai, almeno finora, Angela Caccia ha scritto per comprendere se stessa, per svelare se la sua arte sia tale, oppure solo un accostamento di termini, una poesia spuria e non autentica.

Non so se è riuscita ad avere una risposta certa, se abbia trovato almeno, se non la certezza, la speranza di saper realizzare qualcosa di valore, ma è un dilemma che è sempre innato nel momento in cui ci si sottopone agli occhi indagatori di chi legge. Si resta in attesa timorosa di quel giudizio che costituisca la miglior ricompensa della propria fatica.

Sono anch’io un giudice, un opinionista soggetto alla valutazione altrui, pure in questo caso, ma credo che l’importante sia essere del tutto sinceri nel riportare la sintesi delle sensazioni e delle emozioni che la poesia può dare; ebbene, giunto al termine della lettura, resta dentro una vibrazione che lentamente si assopisce, una eco di cose buone che scende nelle valli dell’anima e che sazia la sete di bellezza, la prova più convincente di qualsiasi voto o giudizio.

Angela Caccia ha pubblicato con Fara:  Il fruscio feroce degli ulivi (2013), Il tocco abarico del dubbio (2015),  Accecate i cantori (2017) e L’alveare assopito (2022). Con Lietocolle Piccoli forse (2017). Vari i contributi nel web, in particolare in Versante Ripido. È stata rencesita in poesia.corriere.it, Satura, Patria Letteratura, RAI Poesia, Oubliette magazine, La Repubblica di Napoli nella rubrica di Eugenio Lucrezi e La Repubblica di Firenze nella rubrica di Alba Donati. Finalista al Morra 2022 con liriche contenute nel presente libro, ha tre superbe passioni: poesia, ceramica e scacchi.

Renzo Montagnoli

 

 

27 Gennaio

Waterloo

di Bernard Cornwell

TEA Edizioni

Storia

Pagg. 330

ISBN 9788850242870

Prezzo Euro 14,50

 

La grande mattanza

18 giugno 1815, il sole di Austerlitz non brilla più da tempo e Napoleone Bonaparte non vuole rendersi conto che ha imboccato la parte discendente della parabola. Fuggito dall’isola d’Elba, l’imperatore è riuscito nuovamente a entusiasmare i francesi, facendo leva su quella “grandeur” che lui ancora riesce a rappresentare. Ma i nemici di sempre incombono, occorre armarsi e precederli, non importa se il numero degli arruolati è complessivamente inferiore a quello degli eserciti degli alleati a lui ostili, basta ripetere quella manovra che gli è sempre riuscita, dividerli e sconfiggerli uno alla volta. Onde evitare che arrivino sul teatro di guerra anche i Russi e gli Austriaci, rallentati dalle distanze,  si deve per forza di cose combattere contro gli inglesi e i prussiani. La strategia è sempre quella, dividere gli avversari e sconfiggerli singolarmente, e i fatti all’inizio sembrerebbero dargli ragione con una vittoria facile sui prussiani, ma questi non sono del tutto sconfitti, tanto più che i francesi li inseguono, in quella che è una loro apparente ritirata, con una forza ridotta, che prima faticherà a localizzarli e poi combatterà a lungo con la loro retroguardia. Il vero scontro è a Waterloo, fra i francesi e gli inglesi del duca di Wellington, in una battaglia sanguinosa sempre incerta nella sua conclusione, ma i tempi dell’invincibilità napoleonica sono tramontati, l’imperatore non è più quello di un tempo, ha perso molti dei suoi preziosi marescialli e se anche arriva a un palmo della vittoria la resistenza disperata del comandante britannico consentirà ai prussiani di unirsi agli inglesi e decreterà la sconfitta della Grande Armée.

In tanti hanno scritto di questa battaglia, il cui esito ha determinato conseguenze fatali per l’Europa, ritornata agli stati divisi e conservatori di prima della Rivoluzione francese, e ognuno ha detto la sua. Ci ha provato anche Cornwell, noto autore inglese di romanzi storici. In questo caso, tuttavia, ha preferito anteporre la storia alla narrativa, con Waterloo che è l’esatta cronistoria di quanto avvenne. E’ un dramma continuo, con un macello senza precedenti e migliaia di vittime (si parla di 25.000 uomini per i francesi, 20.000 per gli inglesi e 4.000 per i prussiani) e se devo essere sincero fra tanti morti, mutilati, feriti lasciati senza l’indispensabile aiuto a un certo punto mi è venuto un senso di angoscia, che non mi aveva prese leggendo La battaglia. Storia di Waterloo, uscito dalla penna di Alessandro Barbero, opera che secondo me è più riuscita. Non è che il libro di Cornwell non sia interessante, perché invece lo è, ma la differenza sta tutta nell’aver affrontato lo stesso tema con un spirito diverso; infatti Barbero ha calcato un po’ meno la mano sull’orrore, pur non tacendolo, ma senza eccessi, con un distacco più da inglese che da italiano.

Waterloo è in ogni caso da leggere perché è un saggio storico completo, ma non per questo greve.

Bernard Cornwell (Londra, 23 febbraio 1944)  dopo aver lavorato per anni alla BBC si è dedicato alla narrativa e, oltre alla serie di romanzi avventurosi ottocenteschi incentrati sul personaggio di Sharpe (I fucilieri di SharpeLa sfida della tigreAssalto alla fortezzaL'eroe di TrafalgarSharpe all'attaccoLe aquile di Sharpe e L'oro di Sharpe), pubblicati da Longanesi, ha scritto moderne avventure di mare (Scia di fuoco e Figlia della tempesta).
Ha trovato la più fortunata delle sue ispirazioni nelle saghe di avventure medioevali.

Dopo la trilogia di L'arciere del re (Longanesi, 2001), Il cavaliere nero (Longanesi, 2003) e La spada e il calice (Longanesi, 2004), ha dato vita a un'appassionante epopea ambientata tra l'Inghilterra e i mari del Nord durante il primo medioevo: L'ultimo re (2006), Un cavaliere e il suo re (2007), I re del Nord (2008), Il filo della spada (2009), Il signore della guerra (2010), La morte del re (2012) e Il re senza dio (2014), La congiura dei fratelli Shakespeare (2019), La spada dei re (2021) e La conquista di Parigi (2023), tutti pubblicati da Longanesi.
Alla saga di Excalibur appartengono Il re d'inverno e Il cuore di Derfel, ripubblicati da Longanesi, presso cui sono usciti anche L'arciere di AzincourtL'ultima fortezza, L'ultimo baluardo.

Renzo Montagnoli

 

 

20 Gennaio

Deja vu

Quindici racconti rievocati

di Marco Giorgini

Edizioni Kult Virtual Press

Narrativa

Pagg. 248

ISBN 979-8302950864

Prezzo Euro 6,99

 

Tutto weird

Questa raccolta di racconti, già pubblicati in passato su libri, riviste e siti web, spesso ormai impossibilitati a essere letti, comprende diversi generi, dalla fantascienza all’horror, nel sottogenere weird, quello nato con il preciso scopo di provocare nel lettore sbigottimento e paura e che ha visto fra i suoi autori artisti del calibro di Edgar Allan Poe e Howard Phillips Lovecraft. Giorgini ha inteso con questo suo volume riunire la sua produzione di maggior qualità, a vantaggio degli appassionati del genere, una opportunità che non rientra tanto nelle logiche editoriali, ma nella volontà di rappresentare una specifica testimonianza letteraria. Si tratta in tutto di quindici racconti, scritti in epoche diverse, ma in un arco di tempo che va dal 2000 al 2010 e che nell’occasione hanno avuto una opportuna revisione, peraltro di modesta entità, tanto da non esserne stravolti.

Per quanto le tematiche e le situazioni, insomma in pratica il genere non rientri fra quelli che più mi risultano graditi, in considerazione anche dell’amicizia con l’autore ho inteso tuttavia leggere con la miglior predisposizione, certo che in ogni caso avrei potuto trarre più di un’impressione positiva, il che effettivamente si è poi avverato.

Poiché i racconti sono diversi ce ne sono di maggior o minor gradimento, come è ovvio che sia, e infatti giunto al termine della lettura ho constatato questa circostanza, e senza voler parlare di tutti e quindici, perché sarebbe troppo oneroso, mi sembra giusto fornire almeno un breve cenno di quelli che più mi hanno colpito.

Con La fine delle trasmissioni si parla delle esperienze extrasensoriali di un soggetto, una specie di allucinazioni riscontrabili in genere in chi si droga, ma non è il caso della persona in questione, e proprio per questo, prima ancora di trovare una cura, è indispensabile cercare di capire, così che la nostra medicina lo rende oggetto di studio. In effetti il suo problema è quello di udire, come se fossero vicinissimi a lui, suoni e voci lontane, e ogni volta che capita la provenienza è sempre più distante, addirittura l’Australia. Non vado oltre, perché questo genere, come i polizieschi, esige sempre alla fine una soluzione e anticiparla sarebbe senz’altro sconveniente.

E poi ci sono i racconti brevi, molto brevi, quasi dei flash, come L’adepto, che si svolge in un piccolo insediamento inglese, dove c’è un antico rito di iniziazione con una vittima sacrificale, o come Nel buio, con una casa dagli strani e misteriosi rumori, per non parlare del cortissimo Mare nero, una sorta di giorno del giudizio.

Il mistero, che è poi tutto ciò che non riusciamo a spiegarci, è onnipresente, accompagnato dalla fantasia che mettiamo nel cercare di fornirci una risposta, purtroppo impossibilitati a ottenere. E quanto più ci sono stranezze, quanto più non riusciamo a comprendere, tanto più scivoliamo nel nostro inconscio. Questi racconti sono il frutto di questa inconsapevole ricerca di risposte che contiamo di reperire dentro di noi, ma che non troveremo.

Da leggere.

Marco Giorgini, nato a Modena nel 1971, lavora da quasi trent'anni nel campo della linguistica computazionale e, nello stesso periodo, coordina la rivista culturale online KULT Underground. Autore di racconti e videogiochi d'avventura narrativi, ha pubblicato anche diversi romanzi, tra cui spicca il giallo per ragazzi Il Mistero della Statuetta Egizia (2019). Negli ultimi anni, gran parte della sua produzione è stata inclusa in antologie collettive, spesso ambientate nella sua città natale, come nel caso del racconto weird Moden-e (2024), inserito nell'antologia Modenesi per Sempre.

Renzo Montagnoli

 

 

 

14 Gennaio

Da quando non ci siete

di Stefano Bianchi

Fara Editore

Poesia

Pagg. 80

ISBN 978-88-9293-095-7

Prezzo Euro 7,00

La memoria

Il tema della memoria è uno dei più diffusi in poesia, un po’ perché parlare del proprio passato ha l’indubbio vantaggio di non richiedere particolari doti di creatività, un po’ perché ci si illude che soprattutto gli anni più lontani della nostra esistenza, che corrispondono generalmente alla fanciullezza e alla pubertà, siano stati i migliori che ci potessero capitare.

In quest’ottica credo debba essere vista questa raccolta poetica di Stefano Bianchi, capace di ricordare con il rimpianto malinconico di chi sa che certi eventi non si potranno replicare, che certe persone che abbiamo incontrato non sarà più possibile vedere di nuovo ( Che la vita è bella me l’hai insegnato tu, morendo.)

Se rievocare rinforza il nostro desiderio di proseguire, pur tuttavia ha i suoi limiti nel senso di sconforto che si accompagna sempre al piacere di illudersi di rivivere determinate epoche. Bianchi mette nero su bianco le sue sensazioni, le sue emozioni rammentando e scrivendo di quando era bambino, parlando d’amore, del tempo che passa, spesso e volentieri con indovinate visioni della natura che non solo è palcoscenico dei suoi versi, ma ne è intima struttura, è il mezzo con cui meglio comunicare. E le parole, se opportunamente amalgamate, se intelligentemente scelte, hanno la capacità di trasmettere a chi le legge le stesse sensazioni e le stesse emozioni, come è possibile verificare in Dove?:

Dove sei?

In quel cielo di nuvole alte

colorate di nero dal sole

come una lanterna dietro a un telo?
 

O nel verde sentiero che corrono

in discesa i bianchi cani del nord

a quest’ora della sera?
 

Delle chiome gemmate di aprile

sento la stessa pelle addosso,

pure mi costringo a inseguire

la corsa di una vita che non è mia,

che non è nostra.

Non indovina la strada per casa,

quando bastava ascoltarti un secondo

allora.
 

O sei nell’acqua del fiume che passa

una volta ma poi non si ferma?
 

O nell’aria che vola in montagna?

Così pulita e leggera come

la tua anima e le tue parole

che mi tengon per mano stasera?

Fra una citazione e l’altra di autori famosi il poeta nel ricordare si abbandona a riflessioni coinvolgenti, come quella sul tempo, così dolcemente scandito con una visione di un fenomeno della natura (Il tempo cade a fiocchi piccoli come la neve / che se lo lasci fare / stende una coltre spessa quanto l’oblio / sulle cose che crediamo importanti.), una poesia che ha tanto dell’aforisma quanto generale e perfettamente logico è il concetto esposto.

Nel leggere questi versi si finisce un po’ con il ripercorrere il nostro passato, ci si lascia condurre per mano a quella serena malinconia che assale il navigante al tramonto, e forse noi, anno dopo anno, giorno dopo giorno, non siamo altrettanti naviganti nella luce del tramonto?

Il mio giudizio forse è poca cosa, ma si sono sentito da subito in sintonia con l’autore, verso dopo verso ho ritrovato i miei “da quando non ci siete”.

Nato a Rimini, Stefano Bianchi ha pubblicato le raccolteLa bottiglia (Pendragon 2005), Le mie scarpe son sporche di sabbia anche d’inverno (Fara Editore 2007) - Premio Cluvium – Calvanico – 2008, Sputami a mare (Le voci) (Fara 2010), segnalata al Premio Città di Marineo – Palermo 2011) e Da quando non ci siete (Fara 2021), che nel 2022 ha ottenuto i seguenti riconoscimenti:

Diploma di merito per la poesia edita al Premio I Murazzi (Torino), 1° Premio al Campionato Italiano della Poesia di Rimini, Encomio d’onore al Città del Galateo (Roma), Premio “Assunta” a La Stradina dei Poeti (Barletta), 2° posto assoluto al Premio Piemonte Letteratura, Menzione d’Onore al Concorso Poesie della Religione Cristiana, Segnalazione di Merito al concorso Tradizioni Vive e Menzione della Giuria al concorso Tre Civette sul Comò (Torino).

Altri suoi versi sono presenti nelle antologie Il desiderio, Sogno, Il Ricordo, Nella notte di Natale. Racconti e poesie sotto l’albero (Perrone ed. tra il 2007 e il 2009), Poeti romagnoli d’oggi e Federico Fellini (Il Ponte Vecchio 2009) e Corviale cerca poeti (ed. Fuorilinea 2015).

Alcune sue poesie sono state recentemente selezionate dalla Casa editrice Aletti di Roma per la registrazione di un cd audio video per la voce dell’attore Alessandro Quasimodo, figlio del poeta premio Nobel Salvatore Quasimodo.

Ha presentato le sue poesie in vari contesti pubblici, anche TV (Icaro TV Rimini e Tele 1 Faenza) e radio (Fango Radio e Radiocity Vercelli). Alcune recensioni sono uscite su giornali e settimanali (La Voce di Romagna e Il Ponte di Rimini), altre sono in rete sul blog farapoesia e sul sito di Fara Editore, ai siti del Centro Cultural Tina Modotti, Whipart, L(’)abile traccia, Athena Millennium, QLibri, LiberoLibro, Arte Insieme, Fuorilinea, Linea quotidiano nella rubrica “Nel verso giusto".

Renzo Montagnoli

 

 

 

8 Gennaio

Vegliare su di lei

di Jean-Baptiste Andrea

La nave di Teseo Edizioni

Narrativa

Pagg. 480

ISBN 9788834618523

Prezzo Euro 22,00

Il realismo magico di Jean-Baptiste Andrea

Un uomo e una donna, con i loro sogni, lui che desidera realizzarsi con la sua arte, di cui ha un gran talento, lei che ambisce proiettarsi nel futuro, nell’uscire dalla staticità di un mondo in cui è nata e cresciuta. Viola, una nobile caratterizzata da un accentuato dinamismo, e Mimo, un nano che è un grande talento della scultura, sono i protagonisti di questo romanzo, scritto in modo accattivante, con una dose di giusta ironia, e in cui con abilità si mescolano la realtà e la fantasia. E’ anche un racconto di epoche storiche che vanno dalla Grande guerra alla liberazione, passando per gli anni bui del fascismo.

Il segreto del successo di Vegliare su di lei è di parlare di amore, da quello per l’arte a quello per realizzare i propri sogni, con sullo sfondo un mondo in continua evoluzione, ma anche involuzione, visto che le belle speranze con cui si era aperto il primo conflitto mondiale si sono rapidamente estinte, soffocate dagli autoritarismi che sono stati gli strascichi più evidenti di quella guerra.

Lo stile dell’autore è quello che mi ha più sorpreso perché l’opera ha un ritmo incalzante, senza rallentamenti evidenti, supportata da quell’ironia di cui ho accennato e che finisce con il diventare lo stimolo per una riflessione del lettore.

Poi ci sono tutti gli ingredienti perché possa avvincere chi legge, perché induce alla commozione, date le caratteristiche dei due protagonisti ed è permeata da una specie di realismo magico che mi ha fatto venire in mente Cent’anni di solitudine, il più riuscito romanzo di Gabriel Garcia Marquez, da cui credo abbia tratto ispirazione.

Vegliare su di lei mi è piaciuto, come mi risulta sia stato gradito da tanti; se dovessi dare un giudizio stringato, direi che è senz’altro eccellente e considerato che la produzione attuale è per lo più di modesta levatura è cosa non da poco, tale proprio da caldeggiarne la lettura.

La trama non manca di certo di originalità, un valore notevole se rapportato alla banalità di tanti romanzi che sono editi in questi anni, i personaggi sono azzeccati, in particolare Mimo, un Michelangelo del XX secolo, ma anche l’androgina Viola, enigmatica e in continua fuga dal mondo dorato in cui è rinchiusa.

Forse non raggiunge i vertici propri del capolavoro, ma quello di cui sono certo è che Vegliare su di lei è un’indimenticabile storia di due esseri, un uomo e donna, che si cercarono sempre, reciprocamente attratti dalle loro personalità.

Jean-Baptiste Andrea (Sant-Germain- en-Laye, 4 aprile 1971) è un regista, scrittore e sceneggiatore francese. Mia regina (Einaudi 2018), il suo romanzo d'esordio, ha vinto il Prix Femina des lycéens e il Prix du premier roman e in totale ha raccolto 12 premi letterari. Lavora come sceneggiatore e regista tra la Francia e gli Stati Uniti. Il suo secondo romanzo Deux million d'années et un jour è uscito dopo due anni. Des diables and saints (L'uomo che suonava Beethoven, Einaudi 2022) fa parte della sua trilogia sull'infanzia e si è aggiudicato il Grand Prix RTL-Lire, il premio Relay des Voyageurs Lecteurs e il Prix Ouest-France Étonnants Voyageurs. Nel 2023 conquista il Premio Goncourt con Vegliare su di lei, «la storia d’amore tra Michelangelo - che sogna di diventare un grande artista - e Viola - che sogna di volare. Un romanzo perfetto, sull’amore per l’arte, sull’amore eterno tra un uomo e una donna, sul coraggio di seguire i propri sogni e le proprie idee», come ha scritto Elisabetta Sgarbi, editore La Nave di Teseo.

Renzo Montagnoli

 

 

2 Gennaio

Il duomo racconta.

Santi e briganti nella cattedrale di Mantova

di Roberto Brunelli

Tre Lune Edizioni

Saggistica

Pagg. 350 con ill.ni

ISBN 9788887355420

Prezzo Euro 61,97

Per conoscere il duomo di Mantova

La chiesa madre della diocesi mantovana è il Duomo, noto anche come Cattedrale di San Pietro. E’ da quasi nove secoli che si affaccia su una delle più belle piazze del mondo, quasi in sordina, restando però ferma la sua centralità liturgica. Non ha certamente lo stile arioso della concattedrale di Sant’Andrea, né può ambire a raccogliere in sé folle debordanti stante la sua più ridotta dimensione, è stato frutto di successive riedificazioni e di ampi restauri tanto che non ha un’impronta artistica ben determinata, quasi fosse un arlecchino architettonico. Forse è anche per questo che non piace a molti mantovani, fra i quali il sottoscritto, e che preferiscono bearsi dell’imponenza, tuttavia per nulla greve, frutto dell’ingegno di Leon Battista Alberti, della basilica di Sant’Andrea. Ed è probabilmente per tale motivo che ho voluto accostarmi, con naturale curiosità, a questo libro sulla Cattedrale di San Pietro, onde saperne di più e conoscere un’opera che è lì da tanto di quel tempo che si può dire che ha assistito, muta testimone, alla storia della città.

La scelta, ponderata, si è rivelata giusta perché l’autore, monsignor Roberto Brunelli era un autentico esperto, un religioso che metteva passione e studio non solo nella sua vocazione, ma anche nella storia, soprattutto artistica, di Mantova.

In questo corposo volume di storia ce n’è un bel po’, perché sono le vicende di un borgo quasi dalla sua nascita in avanti, abbracciando soprattutto il periodo d’oro della reggenza dei Gonzaga. In queste pagine gli anni corrono inesorabili e il Duomo è sempre lì, magari temporaneamente fuori uso per un incendio, ma immediatamente ricostruito, simbolo del potere del vescovo di Mantova, ma al tempo stesso faro religioso per gli abitanti della città.

L’opera è impostata in modo organico, per temi, così da apparire quasi di immediata consultazione; le immagini (fotografie di Toni Lodigiani) abbondano, tanto che verrebbe da dire che è inutile recarsi in Duomo a visitarlo, perché in questo modo è possibile farlo comodamente da casa. In un lasso di tempo così lungo non potevano mancare tantissime storie e infatti ci sono, così come i riferimenti all’iconografia religiosa, con tante particolarità e meglio ancora curiosità che svelano aspetti, caratteristiche, simbolismi che altrimenti forse non avremmo notato con una visita diretta.

Emerge indiscussa la conoscenza che si potrebbe definire enciclopedica di Roberto Brunelli che tuttavia non rende gravosa la lettura grazie alle ben note capacità di sintesi dell’autore.

Insomma, il libro ha il pregio di destare l’interesse anche di chi da tempo ha preferito senza indugio la Basilica di Sant’Andrea, che magari non cambierà il suo gusto, ma che di certo vedrà in nuova luce una costruzione che gli era sempre sembrata, più che buia, cupa, più che pesante, un incrocio di stili vari.

Da leggere quindi, un consiglio rivolto non solo ai mantovani, ma anche ai tanti turisti che sempre più apprezzano Mantova.

Roberto Brunelli ( Piubega, 30 marzo 1938 – Mantova, 21 novembre 2022) è stato un religioso, critico d’arte e direttore del Museo diocesano di arte sacra Francesco Gonzaga, nonché autore di testi di argomento religioso, di storia dell’arte e di narrativa. Negli anni ’80 ha collaborato con Mondadori come curatore e traduttore di alcuni titoli della popolare collana enciclopedica per ragazzi I grandi libri e come autore del Grande libro della Bibbia (1983). Fra le sue opere thriller ricordiamo “Delitto in sagrestia, la ricostruzione storica di “Giallo a corte”, dedicata ad alcuni delitti irrisolti di epoca gonzaghesca, “Requiem in rosso” e il racconto “Papa a sorpresa”, dove l’autore, prima della diffusione della notizia delle dimissioni di Benedetto XVI, ipotizzava che cosa sarebbe potuto accadere con le dimissioni di un pontefice. Nella sua opera ricorrono in particolare i saggi storici e artistici di argomento mantovano, oltre a un filone di narrativa noir.

Renzo Montagnoli

 

 


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