Poetare |
Poesie
| Licenze | Fucina | Strumenti
| Metrica
| Figure
retoriche | Guida | Lettura | Creazione
| Autori
| |
Poesie consigliate La Giostra della satira Recensioni Concorsi La Sorgente delle poesie Scrivi il tuo commento Vedi la rubrica
Inviare i commenti a
poetare976@gmail.com
2025
Luglio - Dicembre
Avviso
Cari Sitani,
se per caso riceveste e-mail firmate Miu, in cui si chiede di
iscriversi subito ad un altro sito, perché il sito poetare.it sta
traslocando, eliminatele: è falso. Jacqueline Miu non scrive su altri siti e
non ha intenzione di farlo. Poetare.it non si trasferisce e sarà sempre
presente ad accogliere poeti e poetesse, come già succede dal 17 Aprile del
2002.
Grazie a voi tutti per la partecipazione e auguri di una buona estate.
Lorenzo De Ninis, titolare di poetare.it.
29-30-31 Agosto
Commento alla Poesia di Felice Serino
Bellezza e' apice dell'essere.
Accanto a lei l'uomo s'eleva, capendo che la vita e' lei stessa bellezza.
Un mezzo, dunque, la bellezza per l'uomo, dove, in questa breve pennellata
poetica e' rappresentata come
un mondo, che naturalmente la poesia deve far intendere e non svelarne
subito il contenuto, quindi, far immaginare a sua volta.
Laura Toffoli
26-27-28 Agosto
Santoro ci mostra l’amore come esperienza dolorosa e totalizzante. Le donne “cieche” non vedono la realtà che le circonda, ma vivono profondamente la propria percezione del sentimento. L’io poetico diventa osservatore di un mondo di inganno e fragilità emotiva: l’amore profondo convive con disgusto e nausea, con la consapevolezza che la propria dedizione può non essere corrisposta.
La poesia è crudele, diretta, con un linguaggio fisico e quasi corporeo (“nausea che il Plasil non basta a fermare”), e allo stesso tempo metafisica: il cuore umano viene scandagliato come un mare di emozioni contraddittorie. Qui, l’anima del poeta emerge come veggente dei sentimenti, capace di leggere la verità nascosta dietro i gesti e le parole.
Serino ci riporta alla dimensione archetipica della poesia stessa: nascita, fragilità, viaggio. La metafora della barchetta di carta sui flutti evoca la precarietà dell’atto creativo, il rischio e la speranza insita nel fare poesia. L’anima del poeta è qui fragile e coraggiosa, sospesa tra luce e tenebra, tra il desiderio di realizzare un sogno e la consapevolezza dei pericoli del mondo.
Il testo si inserisce perfettamente nel filone della memoria e del tempo: la poesia nasce fragile, ma diventa veicolo di esperienza, conoscenza e trascendenza.
Bettozzi esplora il tempo interiore, il ricordo e la continuità dei legami affettivi. I “tesori” sono esperienze e memorie che, anche quando apparentemente perse, continuano a vivere dentro di noi. La poesia evoca la nostalgia e la cura con cui l’io poetico preserva ciò che conta: le gioie semplici, i giochi dell’infanzia, le relazioni autentiche.
Qui la metafisica emerge attraverso il rapporto tra memoria e eternità: i ricordi diventano gemme, nodi luminosi che sopravvivono al tempo, capaci di illuminare anche il buio dell’esistenza.
Canapè ci offre una visione cosmica e simbolica: l’oscurità accumulata e compatta viene interrotta da un lampo di luce, effimero ma rivelatore. La poesia è breve, essenziale, ma potente: cattura l’istante in cui il reale e l’invisibile si toccano. La “perpetua sera” suggerisce l’eterna alternanza tra luce e buio, tra speranza e dolore, tra caos e ordine.
L’anima del poeta emerge qui come veggente del cosmo, capace di leggere nei mutamenti della luce e dell’ombra un significato più grande dell’esperienza umana.
Qui l’io poetico esplora la complessità dell’amore e della percezione del tempo. La poesia ha un tono riflessivo, quasi filosofico, in cui l’“indomani” rappresenta il futuro pieno di possibilità e inganni, contrapposto alla purezza e immediatezza del sentimento dell’altro. La poesia diventa metafisica perché indaga la struttura stessa dell’esperienza amorosa: la gioia, l’illusione, il dolore, e la memoria si intrecciano in un tessuto che trascende il semplice vissuto per diventare riflessione sull’essenza dell’amare e del percepire il tempo.
Villa fonde elementi di sogno, natura e simbolismo. La poesia è immersiva: il sogno diventa realtà, e la realtà si riflette nel sogno, con una dimensione quasi onirica e cosmica. Gli elementi naturali (fagioli, farfalle, liepri) e l’atto di cogliere fiori nei libri di poesia evocano una sacralità della vita quotidiana e un’adorazione dell’attimo. La morte, contemplata come scrittura dell’acqua sull’acqua, è percepita come parte del ciclo vitale, non come fine: una meditazione metafisica sulla caducità e sull’inalterabile bellezza del vivere.
Berni esplora il conflitto tra desiderio di libertà e timore di osare. Il cavallo alato diventa metafora di elevazione spirituale e gioia potenziale: la poesia è un invito alla liberazione dei sentimenti più puri. L’io poetico osserva una giovane donna intrappolata nella paura, trasformando la scena in un’allegoria della condizione umana: la vulnerabilità e il desiderio di spiccare il volo rappresentano la tensione tra ciò che l’anima vuole e ciò che la mente teme. La poesia fonde realismo psicologico e simbolismo metafisico.
Fronzoli cattura la totalità dell’esistenza attraverso un elenco di frammenti, che oscillano tra il quotidiano e l’eterno. Ogni oggetto, emozione o evento diventa simbolo della complessità della vita: la poesia diventa un mosaico in cui gioia, dolore, ricordi e istanti minimi convivono, riflettendo la percezione del tempo come concatenazione di attimi. La forza metafisica emerge nella consapevolezza che ogni elemento, anche il più effimero, partecipa al disegno complessivo della vita, che è insieme nulla e tutto.
Qui il lirismo è immerso nella celebrazione della femminilità e della grazia. La poesia ha una musicalità quasi barocca: i versi accarezzano l’orecchio come le immagini accarezzano l’occhio. La “rosa e di raso” diventa simbolo di purezza, bellezza e delicatezza spirituale, mentre la memoria del nascere e la grazia concessa al mondo proiettano la figura femminile come un tramite tra umano e divino. L’autore crea una tensione tra l’amore terreno e quello quasi sacro, trasformando il sentimento in un atto di contemplazione metafisica.
Seccia tocca temi di lutto, dolore e speranza. La poesia è un dialogo diretto, intimo e terapeutico con il figlio, un invito a uscire dall’ombra dell’incubo. La scrittura ha una qualità quasi liturgica: il “parla con me” è un appello all’anima a riappropriarsi della vita. Il linguaggio evoca metafore di nascita e rinascita, con immagini di luce che penetrano l’oscurità, simboleggiando la capacità di guarigione emotiva e spirituale.
Romanini combina il paesaggio naturale con la percezione sensoriale. La foglia diventa veicolo di un dialogo tra stagioni e sentimenti: la poesia è un’osservazione meditativa in cui la natura rispecchia lo stato d’animo del soggetto poetico. La musicalità del testo si avverte nell’onomatopea degli uccelli e dei suoni dei binari; la poesia diventa metafisica perché trasforma il quotidiano (una foglia, il balcone) in simbolo della transitorietà e della bellezza della vita.
Greggio entra nella dimensione autobiografica e infantile, ricreando il rapporto tra memoria, identità e tempo. La bambina interiore che non osa tuffarsi nelle onde è metafora dell’anima che teme di affrontare l’ignoto, pur mantenendo una connessione profonda con la vita. La poesia è contemporaneamente emotiva e metafisica: il mare diventa simbolo di possibilità, crescita e paura, un luogo dove l’esperienza del tempo e dell’infanzia si fondono in una visione universale della vita.
Miu esplicita l’idea che la poesia sia il battito vitale dell’umanità stessa. Non è solo il poeta a vivere nei versi, ma ogni essere umano che sogna, spera e ama. Qui la metafisica è evidente: la poesia è un medium tra l’individuo e l’universale, un dispositivo per illuminare l’anima, risvegliare i sensi e rendere tangibile l’invisibile. L’atto poetico diventa un rito di sopravvivenza spirituale.
23-24-25 Agosto
Sono davvero lusingata per la
poesia che Ben mi ha dedicato e che coglie gli aspetti più positivi
della mia personalità per cui lo ringrazio tantissimo e spero di poter
ricambiare in un futuro non troppo lontano non appena la Musa mi darà
l’ispirazione. Grazie anche a Lorenzo che ci ospita in questo mare azzurro
e a tutti i Sitani.
Sandra Greggio
Questa poesia è un manifesto, un appello che sembra voler gridare
dall’intimo dell’uomo verso l’umanità intera. Non è lirismo intimista,
bensì etica poetica:
'non
lasciamo'
diventa ritornello, quasi una litania civile e spirituale. Fronzoli
qui non parla solo d’amore, ma della difesa di tutto ciò che ci rende
umani: il bacio, l’abbraccio, la libertà, la dignità, la poesia
stessa.
L’anima del poeta è quella di un profeta laico, un uomo che avverte il
pericolo della spoliazione del cuore e delle coscienze, e che oppone
la fragile ma invincibile resistenza dei gesti semplici. La sua voce
sembra dire: siamo vivi solo finché nessuno riesce a spegnere la
luce nei nostri occhi.
Il messaggio è cristallino e insieme universale: la bellezza e la
libertà sono i sacramenti quotidiani di cui non possiamo essere
derubati.
Qui si entra nel crepuscolo dell’esistenza. Non più un appello
corale, ma il sussurro intimo della vecchiaia che si specchia nel
proprio destino. Montagnoli mostra con lucidità psichiatrica e
tenerezza disarmata ciò che abita gli ultimi anni: il rifugio nel
passato, il timore del “capolinea”, l’illusione di continuare a
stringere ciò che inevitabilmente sfugge.
Eppure, in mezzo alla malinconia, c’è la redenzione dell’essere in
due. Il poeta lo sa: anche nel dolore, anche nell’egoismo di chi
vorrebbe “lasciar per primo” per non sopportare la solitudine, la
presenza condivisa è già salvezza.
Il testo è di una onestà crudele e tenera insieme: alla fine di
una vita, ciò che resta non è la gloria, non è il possesso, ma la
mano dell’altro che stringe la nostra, a resistere insieme al tempo.
Santoro prende l’autunno e lo trasforma in un imputato
esistenziale: stagione come colpa, come processo naturale che diventa
allegoria del disincanto. L’autunno non è solo cadere delle foglie, ma
arrugginirsi del cuore, sonnolenza della mente, scorrere implacabile
del tempo.
Eppure, nella malinconia, il poeta non cede al nulla: già intravede
l’attesa della primavera, la resurrezione del verde, e soprattutto
l’immagine salvifica di una donna “piena di vita e ricca d’allegria”.
Qui la psicologia si fa chiara: il poeta trasfigura la natura nei suoi
stati interiori, ma affida la redenzione non solo alle stagioni, bensì
all’incontro con l’alterità amorosa. Nonostante la consapevolezza del
tempo che corre via, la vita si rinnova in quell’attimo di sorriso che
la donna gli riporta.
Un lampo, un’epifania, un haiku metafisico. Serino, con pochissime
parole, spalanca un orizzonte cosmico. “In ondivaghi spazi” ci
trasporta in una dimensione oltre il sensibile, dove le “ali d’angeli”
non si posano sulla terra, ma lasciano cicatrici di luce “nella carne
del cielo”.
Il verso breve, essenziale, quasi biblico, si fa simbolo di una
visione: l’invisibile che irrompe nell’immenso, l’eterno che imprime
un segno nel tempo.
Qui l’anima del poeta non parla dell’uomo, ma del cosmo. È poesia come
rivelazione, sguardo profetico che non descrive ma evoca, non narra ma
apre fenditure nel silenzio.
Qui troviamo un canto epico e popolare insieme, una commistione di
lingua vernacolare e archetipi biblici che rimanda al mito originario
del peccato. La voce del poeta è ironica, graffiante, ma profondamente
lucida nel cogliere la follia e la ripetitività dell’umano: Adam ed
Eve non sono più individui isolati, ma simboli di miliardi di persone
intrappolate in una rete di inganni seriali, di “serpentacci”
quotidiani che assumono le forme di media, politici, poteri
invisibili.
L’anima del poeta qui è tragica e satirica insieme: non c’è condanna
morale astratta, ma una visione psichiatrica della società come
organismo malato che ha interiorizzato l’inganno. La struttura
verbale, con i “co” e gli apostrofi che imitano il parlato, avvicina
il lettore alla coralità di questo dramma, rendendo la poesia quasi
orale, epica nella sua moralità distruttiva e nel suo ritmo di accento
popolare. È una metafora del presente che diventa cosmica, una
denuncia morale intrisa di humour nero.
Canapè, invece, abita uno spazio completamente altro: la poesia è
delicatezza e sospensione, una contemplazione dell’amore in tutte le
sue sfumature, da quelle più dolci a quelle più dolorose. L’anima del
poeta si manifesta come sensibile percezione del mondo: gli astri, il
mare, i boschi diventano strumenti di risonanza interiore,
amplificando un sentimento antico e universale.
Qui il ritmo è musicale, quasi canoro, e la struttura dilatata dei
versi simula il respiro stesso dell’emozione. La psichiatria della
poesia emerge nella tensione tra desiderio e repressione, tra il non
detto e il pianto disperato: Canapè ci mostra l’amore come esperienza
fisica, sensoriale, ma anche come processo di riflessione interiore,
un indagare l’anima attraverso la natura e la memoria dei sensi.
Notarfrancesco sposta la lente verso un’introspezione più sospesa,
quasi filosofica. Il tempo è qui protagonista e filtro dell’amore: non
un mero sentimento, ma un’esperienza che si salda con la coscienza del
presente e del passato. La poesia è ascendente e discendente insieme:
il pensiero “scivola” nel dirupo dei ricordi e dei desideri, mentre la
fretta dell’amore crea tensione e verticalità nel verso.
L’anima del poeta è qui meditativa, quasi mistica, come se il cuore si
misurasse contro il tempo stesso. C’è una delicatezza clinica,
psichiatrica quasi: il poeta osserva l’emozione dall’interno,
decodificandola, senza abbandonarsi all’illusione, ma cogliendo ciò
che resta nell’oggi interrogato dalle verità del tempo.
Huenún Villa ci porta in un mondo concreto e insieme metafisico: la
costruzione della casa diventa simbolo di memoria, di vita, di legame
tra i morti e i vivi. Ogni oggetto, ogni tavola, ogni soglia è intrisa
di tempo, di storia, di spiritualità. L’attenzione ai dettagli della
natura — fiume, cieli, animali — si fonde con la fisicità della
costruzione, creando una poesia che è architettura e canto insieme.
L’anima del poeta emerge nella capacità di fondere il mondo sensibile
con quello interiore: ogni gesto quotidiano diventa gesto sacro, ogni
ombra piantata nella rena è un segno di presenza, resistenza e
memoria. La traduzione di Nino Muzzi conserva intatto questo
equilibrio, rendendo la poesia accessibile senza snaturarne la densità
simbolica.
Silenzi cattura la transitorietà della vita in un lampo, in un
singolo istante sospeso tra luce e ombra. Il sentiero di terra battuta
diventa metafora del cammino esistenziale, un percorso che termina non
in una meta definita, ma in un pendio dolce dove il tempo si dissolve,
lasciando spazio al “Fior di loto / Oblio / Profumo di vita”.
La poesia ha una qualità contemplativa, quasi mistica: l’anima del poeta
si manifesta come una percezione delicata e fugace della realtà, come se
cercasse di imprimere nel cuore del lettore l’eco di ciò che passa senza
ritorno. L’istante diventa esperienza assoluta, condensato di memoria e
consapevolezza, e la brevità dei versi amplifica il loro potere
sospensivo.
Jacqueline Miu ci catapulta in un universo di simboli e immagini
dense, dove l’emozione si fa visione fisica e psichica. Il “vespro
rosso” non è solo tramonto: è un cuore che pulsa tra dolore e desiderio,
una fusione tra interiorità e mondo esterno. L’uso di elementi come
vulcani, oceani, microscopi alieni e tempeste rende il sogno concreto,
quasi tangibile, mentre l’anima del poeta si dilata fino a inglobare
l’universo.
La poesia diventa laboratorio di esperienza emotiva: l’io è
simultaneamente preda e predatore, mare senza abissi, soggetto e oggetto
della contemplazione. Qui il dolore, la malinconia e la ricerca
dell’amore assumono una dimensione quasi sacra, mentre la tecnica visiva
di Miu — immagini frammentate e potenti — induce nel lettore un senso di
vertigine e di espansione interiore.
Colonna Romano celebra la bellezza come incanto quotidiano. Il
sorriso descritto non è solo gesto fisico, ma catalizzatore di emozione
e armonia universale. La poesia vibra di un lirismo classico, con rime e
musicalità che enfatizzano l’incanto e la leggerezza.
L’anima del poeta è permeata di gratitudine e ammirazione, quasi
religiosa nella devozione verso ciò che illumina la vita altrui. Il
testo rivela la capacità della poesia di trasformare un momento
ordinario in esperienza trascendente, e mostra come il sentimento
amoroso possa essere elevato a gesto di generosità cosmica.
Seccia trasforma l’osservazione del mondo in denuncia e dolore
universale. Le immagini forti — missili, distruzione, corpi frantumati —
evocano un orrore reale, mentre l’io lirico cerca rifugio in desideri
elementari: amore, cibo, un cielo sereno.
La poesia ha una dimensione etica e metafisica insieme: parla della
brutalità del tempo storico, dell’ingiustizia e della fragilità della
vita umana. L’anima del poeta appare straziata ma testimone, capace di
esprimere non solo l’angoscia personale, ma il grido collettivo
dell’umanità. La brevità e la ripetizione accentuano il senso di
impotenza e urgenza, rendendo la voce poetica profondamente empatica e
morale.
Romanini ci mostra il mare come testimone e custode di vite spezzate,
diventando al contempo Sorella Morte e custode di compassione. La poesia
è essenziale, quasi cristallina nella sua forma, ma potente nella
risonanza emotiva: il mare diventa specchio della nostra coscienza,
mentre ogni corpo restituito sulla spiaggia è un richiamo alla
responsabilità morale dell’umanità.
L’anima del poeta è qui profondamente empatica, capace di trasformare la
tragedia collettiva in esperienza simbolica. La struttura dei versi,
frammentaria e ritmica, imita il respiro delle onde e l’oscillazione tra
presenza e assenza, tra vita e morte. Il messaggio è universale:
l’indifferenza umana è messa a nudo, e il mare diventa giudice
silenzioso e maestoso.
Scaligine esplora il rapporto tra sogno e memoria, tra esperienza
vissuta e desiderio di rivivere il passato. Il mare qui è luogo di
fusione tra reale e onirico, tra perdita e nostalgia, un territorio dove
il tempo si dilata e si dissolve. L’io poetico tenta di arrestare
l’estate passata, di dischiudere la notte e di interpretare i sogni come
realtà alternativa.
La poetessa mostra una consapevolezza psicologica raffinata: il sogno è
terapia, inganno e rivelazione insieme. La nostalgia diventa strumento
di introspezione, e la poesia agisce come ponte tra memoria e presente,
tra desiderio e accettazione. L’anima del testo vibra di tensione
emotiva e vulnerabilità, mentre la forma lunga e meditativa riflette
l’oscillazione dell’io tra controllo e abbandono.
Greggio ci conduce in un paesaggio notturno di silenzi e profumi. La
luna diventa interlocutrice e amante, il gelsomino diventa simbolo di
connessione tra natura e emozione. L’anima del poeta appare immersa nel
mistero, in un’intimità sensoriale che unisce silenzio, odore e visione:
la poesia è incantamento, esperienza quasi sensoriale della realtà
trascendente.
La struttura semplice e l’assenza di punteggiatura eccessiva amplifica
l’effetto meditativo, come se il verso stesso fluisse tra i sensi e
l’inconscio. Qui non c’è dolore sociale né ricordo struggente: c’è
contemplazione e fusione tra l’io e il cosmo, tra presenza e assenza,
tra luce e profumo.
Con affetto e stima
Ben Tartamo
19-22 Agosto
Questa poesia è una lama di vetro che frantuma l’identità: un dialogo impossibile con lo specchio, con il proprio volto che non si riconosce più. È l’angoscia moderna dell’io che si smarrisce, un grido esistenziale che ricorda Pirandello e le sue maschere, ma anche l’eco di Rimbaud con il suo “Je est un autre”. La sera che avvolge e l’alba che acceca diventano le forze cosmiche che smantellano ogni certezza. Il poeta ci consegna il dramma dell’estraneità a sé stessi: l’io diventa uno straniero, e forse proprio lì nasce la poesia, nel buio interstizio tra riconoscimento e perdita.
Qui l’anima si apre come un campo sconfinato: promessa d’amore che diventa viaggio iniziatico. Il poeta si fa guida, profeta amoroso che conduce l’amata oltre le soglie del mondo tangibile: dalle aquile al mare, dalle vette alla neve. È un canto che si avvolge su sé stesso con ritmo ipnotico, quasi liturgico, che ricorda le litanie dell’amore eterno. Ogni “Se saprai starmi vicina” è invocazione, quasi un mantra, che non chiede ma afferma: l’amore vero è condizione, è adesione, è complicità assoluta. Non è solo un dono, ma una iniziazione mistica, in cui l’amore si rivela come forza cosmica capace di unire stagioni, sogni e silenzi.
In questa poesia si respira un tempo arcaico, intriso di sacralità contadina. La campanella che si diffonde nella valle non è solo richiamo religioso, ma vibrazione ancestrale che lega terra e cielo. Montagnoli sa restituire l’immagine di una comunità raccolta, fatta di scialli, pipe, ombre lunghe: un teatro di umanità che si muove dentro la cornice eterna della fede e della natura. C’è in questi versi una nostalgia per il sacro perduto, una liturgia della memoria che ricompone i passi dei vivi e dei morti sui lastroni consunti. E quando il rosario inizia, la poesia stessa diventa preghiera: il tempo profano è sospeso, e ciò che resta è il silenzio sacro dell’attesa.
Questa poesia è un dialogo con l’aldilà, un sorriso oltre la soglia
della morte. Andrea appare con leggerezza disarmante: fuma, sorride,
scherza, ironizza sulla vita che ha lasciato, eppure resta presente in
un cappellino, in un sorriso sopra un comodino. Qui la poesia non
indulge nel dramma della perdita, ma nell’intimità del ricordo, che
diventa un filo ironico, complice, quasi cameratesco. Santoro ci
restituisce la morte non come abisso ma come altra parte del percorso:
“Io credo, la mia”, dice Andrea, e in quella frase c’è la saggezza
semplice di chi sa che la vita è solo un tratto di cammino. È una
poesia che consola, che ride nel dolore, che accarezza il lutto con la
dolcezza del quotidiano
Un testo essenziale, quasi aforismatico, che affonda la sua radice nel minimalismo poetico contemporaneo. Le parole sono pietre sparse, scolpite nello spazio bianco: ogni termine ha il peso di un cosmo. L’affermazione “noi siamo” diventa dichiarazione ontologica, che va oltre la fisicità, oltre la “terra che limita il volo”. È una poesia che sembra farsi preghiera nuziale, ma anche atto metafisico: il “sì” è insieme consenso d’amore e assenso alla vita, alla trascendenza. Serino, con il suo linguaggio asciutto, costruisce un canto che potrebbe stare inciso sul marmo di un altare interiore: il poeta ci dice che l’essere vince il vuoto, che l’anima è già oltre le sue catene materiali.
Qui il tono cambia radicalmente: siamo nel vivo della satira civile, aspra, corrosiva, quasi dantesca nella sua fustigazione. Il “togato” diventa maschera di corruzione, di ipocrisia, di giustizia tradita. La rima morde, la cadenza incalza, l’anafora ribadisce indignazione. Bettozzi costruisce un pamphlet poetico che denuncia, svela, accusa: il “traditor di Patria” non è chi ha difeso il territorio, ma chi ha tradito il mandato. È poesia che non cerca armonia ma scossa, che non consola ma incendia. In essa vibra l’antica voce di un Pasolini civile, ma anche l’eco di certi versi satirici latini: corrosione morale e rabbia politica che diventano materia di poesia.
Un testo di sospensione, lieve ma carico di nostalgia. Il tema è l’incompiutezza, l’essere “sempre a metà”: mai del tutto dentro un tempo, mai pienamente soddisfatti. La poesia è costruita come un flusso riflessivo, senza orpelli, quasi diaristico, eppure la sua forza risiede nel non detto, nelle pause che si insinuano tra i versi. Qui la parola diventa eco del rimpianto: “altri tempi… completamente felici di sé”. La Notarfrancesco cattura l’essenza del vivere come frammento, mai totalità, e lo restituisce con tono quieto ma denso di malinconia. È un pensiero lirico che resta aperto, senza chiusura, come la vita stessa.
Qui entriamo nella poesia sperimentale, densa e caleidoscopica. La Miu frammenta e ricompone la realtà notturna in una sequenza visionaria: città, icone religiose, televisione, amanti, rifiuti, stelle. Tutto si mescola in un mosaico metropolitano che sa di beat generation e surrealismo. La lingua è fluida, stratificata, le immagini si inseguono con ritmo spezzato: “sciroppo di nuvole / e lunghe carcasse / la spazzatura dipinge la strada”. È una poesia che non descrive ma assorbe, non narra ma trasfigura. L’amore qui non è intimità domestica, ma energia che si manifesta nelle pieghe della notte, tra icone e vampiri, tra ombre e abbracci. L’effetto è quello di un canto cosmico urbano: mistico e profano insieme.
a poesia stessa diventa preghiera: il tempo profano è sospeso, e
ciò che resta è il silenzio sacro dell’attesa.
Un apologo in forma poetica, quasi favola morale che scivola in parabola universale. La vicenda del topo e dell’elefantessa non è solo ironia amorosa, ma diventa allegoria del pregiudizio, della diversità e del potere purificatore dell’amore. La lingua gioca con la rima narrativa, dal sapore antico e popolare, ma non rinuncia a lampi lirici che culminano nella nascita del piccolo Topante, elevato a figura messianica. Qui l’amore trasgressivo diventa forza cosmica che redime il mondo: la favola animale svela un Vangelo nascosto, in cui il diverso diventa salvezza. È poesia che fonde satira sociale, fiaba popolare e mito sacro.
Pochi versi, ma intensi come un lampo. La brevità diventa qui la cifra dell’assoluto: l’amore, scoperta che abbatte ragione e distanze, è un istante che contiene l’infinito. Struttura semplice, quasi epigrafica, dove le parole “scintilla”, “sguardo”, “Oceano” si fanno simboli di immensità. C’è un eco pascaliano: il cuore conosce ragioni che la ragione ignora. E nel frammento, come un haiku occidentale, Seccia ci consegna l’esperienza fulminea e vertiginosa dell’amore che si rivela come eternità compressa in un battito.
Romanini unisce la concretezza quasi diaristica (“mi duole la cervicale”) con aperture liriche che evocano colombe, mare, vapori celesti. È poesia ironica e malinconica, dove la fragilità del corpo e la noia dell’età si intrecciano al paesaggio naturale. La lingua si muove tra altezze e cadute: la colomba, la cupola azzurra, e poi la cervicale e lo stress. È in questa frizione che il testo trova forza: la tensione tra sublime e quotidiano genera un effetto straniante, che rende la condizione esistenziale più vera. L’ultima sentenza, “il tedio è l’oblio di ogni intrinseca attività”, ha quasi un tono filosofico, come una definizione tratta da un manuale di vita interiore.
Una poesia che si apre come un diario intimo, e si sviluppa in forma di confessione amorosa. Il “tu” evocato è presenza discreta e costante, un enigma che diventa destino. La scrittura procede in ritmo fluido, con immagini di delicatezza sensuale (“carezza sul cuore”, “onda che ha trovato il suo mare”). È un canto che racconta la trasformazione dell’attesa in compimento, del sogno in realtà, fino alla promessa estrema: “Finché avrei avuto respiro”. Qui l’amore non è solo sentimento ma approdo, totalità, senso ultimo dell’esistenza. La Greggio scrive con limpidezza, ma sotto la linearità si avverte una vibrazione metafisica: l’amore come respiro dell’anima che sopravvive al tempo.
con stima ed affetto
14-18 Agosto
Buon Ferragosto a tutti i sitani!!!
10-13 Agosto
Qui siamo di fronte a una costruzione poetica che ha l’aria di una piccola “commedia dell’arte” in versi: quartine, rime baciate o alternate, un’andatura da filastrocca riflessiva. È una parabola dell’esistenza, scandita dalla metafora del percorso di montagna: salite ardue, discese insidiose, rare vie piane. L’autore inserisce il tono confidenziale (“pe’ un percorso accidentato”) che avvicina il lettore e smorza la serietà con ironia bonaria. Se la tecnica metrica può sembrare talvolta più “artigianale” che cesellata, è proprio in questa vena schietta che si percepisce un sapore genuino. La chiusa con “anta” è un piccolo colpo di teatro: il tempo che passa diventa occasione di bilancio, ma senza cedere al lamento.
6-8 Agosto
I vostri commenti mancano come l'aria che respiriamo.
13-16 Luglio
Grazie dei vostri commenti,in questi giorni ne sento vivamente la mancanza,
7-8-9 Luglio
Buongiorno a tutti
Di tanto in tanto se pur per un breve commento devo dire grazie a
tutti ,
alle parole , emozioni che voi poeti trasformate in versi e in commenti
In particolare modo a Marino Spadavecchia
Umiltà calpestata,
che prende il sole
sulla spiaggia d’Oriente.
a Ben Tartamo
Giorni su giorni,
sassi su sassi...
sabbia che nasce
in riva al mare.
grazie per i vostri commenti
per la vostra poesia semplice e complessa
Piero Colonna Romano
Via delle monache, bellissima poesia ,e poi con tutti quei premi non ci sono
parole che potrei aggiungere
Mi dicono che gli angeli perdano le ali quando amano
Non posso aggiungere nulla di ciò che penso io, ma la tua poesia merita
molto , molto bella come tutte del resto Jacqueline Miu
Grazie Lorenzo che ci fornisci la possibilità e la gioia espressionistica
grazie alla tua sensibilità e generosità
alla tua bella poesia Nino Silenzi
Al Mare che culla i sogni , i ricordi , ciò mi fa capire che vivi , come me
vicino al mare ,perché quella distesa verde o azzurra come un cielo
capovolto ci fornisce la possibilità di vedere il fuori dentro di noi che
allieta il nostro spirito grazie con un abbraccio
Buone vacanze a tutti
Antonia Scaligine
Commento poesia "U Me' Sognu"
di Rosa Venuto di Acquedolci.
Bellissima poesia "U me' Sognu", è un omaggio struggente e
affettuoso a Franco Battiato, maestro dell’anima e della musica, filtrato
attraverso la memoria, il sogno e l’identità siciliana. Rosa Venuto
intreccia ricordi familiari, tradizioni antiche e versi evocativi in
dialetto, riportando in vita un mondo perduto fatto di armonia e semplicità.
Il testo vibra di nostalgia e desiderio: quello di tornare indietro nel
tempo, di varcare la soglia della casa di Battiato a Milo, per sentire
ancora l’eco della sua voce. Un sogno che è anche preghiera, una ricerca del
sacro nella quotidianità, dove l’arte diventa ponte tra generazioni, tra chi
resta e chi è già “trasitatu".O per meglio dire ..U me' Sognu" è un omaggio
poetico, intimo e sincero, che la poetessa messinese Rosa Venuto di
Acquedolci dedica al Carissimo Maestro Franco Battiato. In queste righe
scritte in dialetto siciliano, si intrecciano memoria e desiderio, antiche
tradizioni e riflessioni profonde sul tempo che passa. Il sogno di poter
visitare la casa di Battiato a Milo diventa simbolo di un bisogno più
grande: quello di ritrovare l’armonia, la bellezza e la semplicità di un
tempo che oggi pare perduto. È un canto d’amore per la Sicilia, per la
famiglia, e per un figlio – Franco – che, con la sua arte, ha saputo portare
la luce oltre i confini dell’isola.
Commento edito da
MariaAntonietta Chiovetta
4-5-6 Luglio
Poetare | Poesie | Licenze | Fucina | Strumenti | Metrica | Figure retoriche | Guida | Lettura | Creazione | Autori | Biografie | Poeti del sito |
Poetare.it © 2002