Poesie di Giorgio Valdes


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Atene
Nelle sere d'estate
dall'Aeropago al Licabetto
il vento del Peloponneso
porta ancora gli echi d'epiche battaglie
lungo i pendii di calcare e marmo
sino alle pianure fiorite
e all'isola di calore tinta di bianco.
Attraversano spazio e tempo
le gesta degli eroi trafitti
immolati su altari di fango
dove ogni ciuffo d'erba
è respiro d'un soldato.
Effigie di eroi e di antichi splendori
all'ombra degli sciacalli giunti da lontano
saettanti sulla preda
per divorare il seme antico
e i frutti preziosi della terra feconda.
Atene che gemi in un angolo,
umiliata, venduta, dimenticata,
piegata sotto il granito dell'usura,
destati, preparati all'ultimo scontro
sul confine della storia,
richiama il cavallo di Poseidone,
aggrappati all'ulivo di Atena,
riaccendi il faro della logica,
naviga sul lago del pensiero,
infiamma la pira dei tuoi padri
e posa la tua mano di madre
sul petto scavato del popolo avvinto.
Con l'ultima goccia d'olio,
hai acceso la lampara della speranza,
ci sei corsa incontro
come sorella che ritrova i suoi fratelli perduti.
Premure inaspettate e gemme di preghiera
versate come unguento sulla ferita.
Un cuore nuovo hai generato
sincrono col tempo armonico
dell'Amore Eterno.
 

Capodanno
Botti lontani s'odono
nell'ultima sera dell'anno
fuggente come nuvola persa nel vento.
Voci di cene scavano nella notte,
superano i muri,
si riverberano su piume d'aria
umide di temporale
giungendo sino ai cuori
prigionieri dei ricordi
sgranati all'infinito
come preghiere d'un rosario.
Si sfiorano con diffidenza
il Vecchio col Nuovo
avvolti dal viscido serpente delle ore
che fugge via
tra bolle effimere di vini frizzanti
liberati in coppe tintinnanti.
Brindisi e auguri
branditi come spade
contro i tentacoli del tempo
mentre la speranza
scivola lenta sul pendio dei giorni
come foglia d'autunno
che indugia nel vento
a cercare l'ultimo respiro
prima di donarsi alla terra.

01/01/2018
 

Il bacio
V'è un bacio sullo scoglio
che il vento ha portato via
e un bacio sul mare
che l'onda cela tra schiuma e sale.
V'è un bacio sulla via
che nasce brucia e muore
senza trovare radice e cuore
e v'è il bacio che fratture ricompone
sul binario dell'ultima stazione.
V'è il bacio morbido come petalo di rosa
vette alte cerca, verso cielo si solleva
e sul petto gentile si posa.
E v'è il bacio della passione
risucchio della ragione
vortice di fremiti e sospiri
calore denso tra corpi distesi.
Ma v'è un solo bacio
che suscita tremore e incanto:
è il Bacio degli Sposi
solenne e bagnato dal pianto
misurato casto e pio
esso mostra il sigillo santo
dell'Amore di Dio.
 

Città Santa
Il tuo respiro sento
come gemito che risale
dalla valle dell'ulivo e del sale.
Zampilla acqua santa
dalle labbra tue socchiuse
la veste bianca t'avvolge
ma rivoli di sangue
scorrono sul tuo seno
di madre stuprata e ferita.
Fluttuano le anime
entro mosaici di muri bianchi
mentre sabbia e vento
filtrando tra gli ulivi
cantano la nenia antica
dei deportati in catene.
Anime nude
in corpi protesi
sincrone oscillano
nella densa preghiera
dinanzi al Muro che ascolta
ogni contrizione e pentimento.
Libera s'alza la preghiera
dello shachrit
mentre la cupola dorata
proietta ombre
sulle rocce sante del tempio
dove l'Eterno si chinò
per raccogliere le lacrime
nel calice della speranza.

22 dicembre 2016
 

Il Treno
Treno che fendi le ombre della sera
freccia nel vento, tiepida scia di luci
alla stazione ogni anima conduci
congiungendo inverno e primavera.
Scorri tra i campi sin dentro la bufera
con sfuggenti volti nostalgia induci
e con i cipressi allineati e truci
innalzi impavido la barriera
tra realtà e sogno che non s'avvera.
Sui binari di passione e storia
con ferro e fuoco ricami la preziosa tela
imprimendo solchi nella memoria
e portando nelle stazioni alta la bandiera
della sconfitta e della vittoria
che ogni vagone custodisce e svela.
 

Dimmi madre
Dimmi madre dov'è la terra
che curi con le tue mani
affinché io possa in essa germogliare
e divenire il tuo fiore.
Dimmi madre dov'è la casa
che scaldi col tuo respiro
affinché io possa in essa riposare
e divenire la tua luce.
Dimmi madre dov'é la via
che in ginocchio percorri
affinché io possa in essa pregare
e divenire il tuo sostegno.
Dimmi madre dov'é la lapide
che stringe il tuo cuore
affinché io possa in essa respirare
e divenire la tua pace.
Madre, sei tu la mia terra,
la mia casa, la mia via
e io sono solo una freccia nel vento
che cerca la tua mano
tra la pioggia di lacrime
e la tempesta del dolore
per percorrere insieme la scala
dell'Amore.
 

Audace Capitano
Audace capitano fiero e ardito
cento carabinieri guidi all'assalto
del nemico lassù oltre il basalto
nel nido di roccia a forte adibito.

Dalle granate il grido attutito
s'alza dal fuoco sempre più in alto
è l'onore che l'Arma porta in risalto
del capitano che ora giace ferito.

Nel cratere di sangue riempito
stringi in mano il rosario e una poesia
e t' abbandoni al riposo ambito.

Il tuo esempio ha lasciato la scia
e un sussulto la Patria ha avvertito
quando col sangue hai indicato la via.


Capitano Eugenio Losco
Medaglia di Bronzo al Valor Militare "alla memoria" con la seguente motivazione: "Eseguì con ardimento pericolose ricognizioni in zona battuta e scoperta. Procedette anche risolutamente, quale comandante di Compagnia, nell'assalto contro le trincee nemiche, ravvivando col suo slancio l'azione, finché cadde colpito a morte."
Podgora, 19 luglio 1915.

Il pozzo
V'è un pozzo nell'anima
profondo più del mare
v'è un pozzo nel cuore
che ogni segreto può celare
v'è un pozzo nella memoria
dove in silenzio si può annegare.

Lame di rancori graffiarono la casa
sguardi di ghiaccio paralizzarono il tempo
mani di marmo spezzarono le ossa.
Un pavimento freddo per strisciare
e un angolo buio per pregare
era tutto ciò che restava.

I lividi sulla pelle
e le piaghe dell'anima
squarciarono i giorni
mentre il pozzo aspettava:
le sue acque erano gelide
e le pareti trasudavano vermi
ma dal fondo una voce suadente chiamava.

V'è un pozzo nell'anima
dove non si può amare
v'è un pozzo nel cuore
che non si può scaldare
v'è un pozzo nella storia
che non si può ignorare.

Il fetido baratro ebbe la sua pietra
ed io andai lontano
incontrai l'Uomo con l'unguento
m'aggrappai al suo mantello
e vidi ancora il giardino fiorito.
Incontrai l'Uomo con le bende
mi donò la forza per lottare
e riprendermi la vita.

25-Novembre-2015
Giornata contro la violenza sulle donne
 


Nel giugno 1918 il comando Austro-Ungarico decise la grande offensiva che prevedeva l'attacco su due direttrici: una tra l'Altopiano e il Grappa con le forze del maresciallo Conrad, l'altra sul Piave con le forze del maresciallo Boroevic. La parola d'ordine era: Nach Mailand! (Verso Milano). L'attacco preliminare, battezzata Operazione Valanga scattò all'alba del 12 giugno: sotto un uragano di fuoco, gli austriaci presero alle spalle le nostre posizioni, catturando molte migliaia di prigionieri e diverse batterie. Almeno un terzo del Montello era già in mano austriaca, quando partì la reazione italiana: una sezione di carabinieri si batté in prima linea, lasciando numerosi caduti e dappertutto gli uomini dell'Arma fronteggiarono il nemico, che sbucava da ogni parte. Quello fu un momento decisivo per le sorti della guerra e i carabinieri si fecero onore. Il bollettino di guerra del 25 giugno 1918 fece menzione dei meriti acquisiti sul campo:
Saldi al loro posto di dovere nell'infuriare della battaglia, i carabinieri diedero prova di grande valore.


L'Argine dell'Onore
Dilaga giù dalla montagna bianca
il nemico pesante di ferro e morte
valanga sulla nostra armata stanca
in fuga da dolore e avversa sorte.

Ardore e coraggio ora manca
ma i Carabinieri dritti sulle porte
spezzano svelti la bandiera bianca
issando il vessillo puro e forte

del tricolore nostro alto e santo
col sangue conquistato e molti stenti
da figli arditi della patria in pianto.

Combatte l'Arma tra il fango e i venti
offrendo cuore e petto allo schianto
col ferro nemico di lame taglienti.


Vela al vento d'antico veliero
Vela al vento d'antico veliero
pietra di storia via snodo e stazione
casa di geometria arte e tradizione
porto e faro di libero pensiero.

S'innalza il Campanile obliquo e fiero
che armonia e gravità compone
nella linea lontana dalla ragione
di marmi e luci in ombra di mistero.

In sezione aurea il sobrio Battistero
su ogni anima il sigillo santo appone
donando lo spirito alto e leggero.

Cinge ogni dolore col suo alone
il grande Arno di quiete buon foriero
che nel mare affanno e pena ripone.
 

Sestu Signora morente
Tra le ombre della sera m'appari
con il volto di ricca signora austera
padrona dei vigneti, dei campi di grano e degli oliveti.
Eri la nobile signora figlia della terra e del sole
che regnava spargendo sementi
ed elargendo grappoli maturi.
All'aurora camminavi fiera
davanti all'esercito di contadini,
di giorno attraversavi i campi
accarezzando le spighe
ed asciugando il sudore dalle fronti,
di notte vegliavi sulle botti piene e i granai ricolmi.
Eri la madrina della fatica
che avanzava sicura lungo la via della storia:
la fronte ampia era coronata di spighe e di pampini
le mani ruvide suonavano la sinfonia delle stagioni
e gli occhi profondi riflettevano il sole e la speranza.
Ma il veleno entrò piano nelle tue vene,
lo sguardo si spense
e i contadini smarrirono la via.
Non più uve mature e tini colmi di mosto
non più onde di spighe mosse dal vento.
Tristi sentieri tra sponde di campi abbandonati
e buie cantine cadenti
è tutto ciò che resta.
Signora morente
al tuo capezzale m'inchino
per tenerti la mano
e sussurrarti all'orecchio
il canto antico dei nostri padri:
arate e seminate i campi
inumidite la terra col sudore
unite le vostre lacrime alla pioggia
seguite l'onda delle stagioni
benedite e condividete il raccolto
ed entrate nel vento col vostro respiro.
 

Gerusalemme
Come fioco lume tra dune lontane
mostri la via nella notte che avanza
e muovi tra le ombre i ricordi
d'amati volti rapiti dal vento.
Sei il tempio eretto con le pietre della fatica
e plasmato dalle tempeste del dolore.
Sei varco tra terra e cielo
sorgente di luce e prigione d'ombre
abisso di discordia e vetta di pace
colonna di giustizia e arco di pietà
scudo di fede e spada di verità.
All'ombra delle tue mura
pongo la mia tenda
e dinanzi alla grande porta
attendo il suono dello shofar.
Accoglimi Gerusalemme
affinché possa toccare le tue fondamenta
e respirare lo spirito che dimora tra le tue mura.
Mostrami la pietra che mi hai riservato
e donami di abitare nelle tue stanze
alla fine del mio viaggio.

I Sassi
I Sassi respirano
il vento della storia
diffondendo cromie
d'antichi splendori
ed echi d'ere lontane.
Liberano il grido di dolore
celato in case fatiscenti
e caverne abbandonate
ed aprono il libro di pietra
scritto col fuoco del pensiero
e con lo scalpello della dignità.
Essi sono le sentinelle dello spirito
e ardono come frammenti di cometa
nei cuori feriti e nelle anime smarrite.
Mostrano la porta dell'infinito
il profilo curvo dei millenni
e le punte taglienti dei giorni.
Sono ancore per la verità
vele per la speranza
altari per lo spirito.
Sono le sponde della via del dolore
il sostegno del legno innalzato
il calice del sangue versato
i testimoni silenziosi
del passaggio dalla morte alla vita.

La Barca
Va la Barca sospinta dalle onde
va lontano con ali d'acqua e vento
cerca il faro che ancora non s'è spento
nel porto antico dalle bianche sponde.

Va dove aria con acqua si confonde
va dove non v'è più dolore e stento
oltre il male oscuro e opulento
che dall'abisso ombra crea e diffonde.

Va lontano sull'arco d'aria e luce
percorrendo l'iperbole infinita
che alla fonte eterna riconduce.

E supera il confine della vita
nel tempo nuovo che ferita cuce
con il perdono stretto tra le dita.

Vajont
Stende la sera il velo della morte
sulle mura e le anime d'ogni rione
e s'alza il vento freddo della sorte
nella valle di pianto e di corone.

Scivola il monte sulle sponde corte
come demone impazzito che pone
la gravità in spazi senza porte
aprendo ali di fango come airone.

Avanza il muro d'acqua e di detriti
verso Longarone dimenticata
dai vili e dagli ipocriti impettiti

e giunge la tragedia annunciata
che seppellisce i sogni traditi
nel lago dell'infamia senza data.

Tango
Scivola silenzioso come velo
il desiderio nato nelle vene
lo sguardo melanconico diviene
intenso come rosa sullo stelo.

Ardente di passione e vero zelo
il cuore note e ritmo trattiene
liberando l'amore che contiene
nell'intreccio di magia fuoco e gelo.

Morbide si muovono le figure
come ombre portate dalla sera
e il cuore cinto dalle luci oscure

ritrova la perduta armonia austera
nell'intreccio di sguardi e di premure
che inonda l'anima di luce vera.

Cent'anni
Nei cent'anni tuoi v'è la radice
dell'albero antico che respira
con la terra feconda nutrice
della vita che al cielo aspira.

Sei lo scrigno del tempo felice
che lieve verso l'infinito vira
e della dignità sei la cornice
nell'onda del silenzio che ispira.

Il cuore tuo dolore non svela
di madre nel profondo ferita
che stringe con la mano la candela

lungo la via di santità infinita
che piano il Signore ti rivela
nella lunga sera della tua vita.

A Claudia Melis
Perdasdefogu 30 Giugno 2013

Matera
Canto a Matera mia musa ferita
bianca regina delle terre amare
arresa nell'oblio vinta e tradita
ancor esangue giace sull'altare.

Dolore stringe forte tra le dita
e piegata continua a respirare
tessendo pace luce storia e vita
per ogni cuore libero d'amare.

Sale l'anima mia lungo il sentiero
tra le sponde di sassi e di caverne
verso la sacra fonte del mistero

e seguo ombre e luci di lanterne
liberando lo spirito guerriero
nelle limpide verità eterne.

Note d'Amore
Un canto innalzo libero e leggero
per corteggiare ancora la mia sposa
con tenere premure e una rosa
che nel cuore fiorisce con mistero.

Vento e fuoco attraverso ardito e fiero
quando nei suoi occhi scorgo armoniosa
la luce che sull'anima si posa
sciogliendo lacci e nodi del pensiero.

Alto e lieve vola l'aquilone
del nostro amore etereo e profano
che d'infinito è fulcro e proiezione

e camminiamo verso il monte arcano
affidando caduta e intenzione
all'Eterno che ci tende la mano.

La dama scura
Bussa al petto la dama scarna e scura
e il cuore stringe con la lunga mano
portando il mio spirito lontano
nell'anfratto senz'aria e fessura.

Il suo manto è misura oscura
dell'intento lascivo e disumano,
la sua falce fende il tempo arcano
mostrando tetra via nell'arsura

e copre con artiglio la pupilla
dalla luce che brucia oscura tana
dove il Male la morte crea e instilla.

Ma essa lesta e sgomenta s'allontana
quando nel buio fede non vacilla
e preghiera ogni pena placa e sana.

La Via
Lungo quella via
dove il legno
lasciò un solco sulla pietra,
la ragione s'arresta
sulla soglia dell'Eterno
e gentile porge
la mano al mistero.
Su quel colle
dove i chiodi unirono
l'Amore sublime
alla sofferenza estrema,
la Speranza, temprata
col fuoco del sacrificio,
spezza le catene di gravità
ed affida l'umano patire
al cono di luce
che attraversa l'infinito.
Da quella croce
dove gli stenti
salirono al cielo
scuotendo la terra,
sgorga lo Spirito
che salva anime
smarrite nelle tenebre,
congiunge gli affanni
della terra al respiro del cielo,
scioglie ghiacciai perenni
di paura e dona acqua di vita
per irrigare fragili piante
di deserti lontani.

Approdi
Sono spiegate le vele
e il vento attende
di sospingermi
tra i fluttui
dell'immenso mare
sulla via della stella
verso approdi lontani.

La collina
Isola di pini tra i vigneti
il tuo profilo mostri
al calar della sera.
Culla eterna
di chi il respiro
più non possiede,
regno di pace
per chi dal dolore
si è affrancato.
Tempio immobile
di marmi
e foto sbiadite,
di crisantemi
e gigli senza radici,
di lumi che tingono
di rosso le ombre.
Sei l'anfora delle lacrime
il libro dei ricordi
il manto della pietà.

La trincea
Alba di gloria
per troppi senza giorno:
avanti coraggiosi fanti
il nemico è vicino
forate il loro petto
squarciate i loro fianchi
ora che sono smarriti e stanchi.
Ma la mitragliatrice
di morte mietitrice
non vi lascia sognare
per quanto tempo ancora
avreste potuto amare.
Trecento metri
sulla neve bianca
striata di rosso
senza riparo
seguendo l'ultimo lamento
portato dal vento.
Scorre la vita
affidata alla sorte
scorrono i corpi
incontro alla morte
scorre il tempo
tra inizio e fine
giunge l'istante
che segna il confine
tra il dolore e il riposo
tra l'odio e l'amore
tra la terra e l'infinito.

Smarriti
Camminiamo
ma non abbiamo una meta
osserviamo
ma non vediamo i colori
ascoltiamo
ma non udiamo le note
tocchiamo
ma non percepiamo la forma.
Siamo i tasti di un piano
che sfiorati dalle premure
liberano nel vento
note di speranza.

Ai malati di Alzheimer

Soffio
Ultimo tramonto
sul sentiero
che tante aurore
mi ha mostrato.
Ultimo tepore
prima del gelo della notte
nell'oscurità senza luna.
Ultimi passi
sulla polvere
che non conserverà
le mie orme e
sulle rive del mare
che rapirà le mie lacrime.
Ultimi sussulti
del cuore
immune dal male
che mi scorre nelle vene.
Ultima preghiera
senza voce prima dell'ignoto.
unico ponte verso l'eterno.

A Paolo

L'ultimo Angelus
Parlaci ancora della vigna santa
che con le mani e il cuore hai curato
mostrando carità che non si vanta
e Spirito che in te si è posato.

Parlaci ancora dell'unica Pianta
che al vero bene l'aire ha donato
per sanare ogni alma spersa e affranta
che a te guarda con cuore triste e grato.

Il tuo silenzio già nel cuore sento
ma il ricordo conservo del sorriso
come fiaccola accesa senza vento

che la via dell'amore condiviso
indica tra tenebra pena e stento
nella vigna col tuo sigillo inciso.

Gennesaret
Sulle rive del lago
cerco le orme
dei tuoi sandali
e scruto l'orizzonte
attendendo il tuo redire.
Nessuna vela
appare all'orizzonte
mentre cala la sera
e l'acqua del lago
diviene salata.
Avvinto m'abbandono
al vento della notte
e alle acque estuose
che mordono la riva.
Alfine l'anima defoliata
s'arrende all'oblio
e giace sul greto del lago
come sasso
in balia della risacca.
Ma il refolo del mattino
sussurra voci
di pescatori lontani
che gettano reti
a destra della prua.
Solo ora
dalle chete acque
finalmente appari
mi chiami per nome
e mi fai posto
sulla fragile barca
che mi traghetterà
sull'altra riva del lago.

Odo
Odo le vanghe
tra i campi all'aurora
il battito d'ali delle farfalle
tra i girasoli al mattino
il respiro del vento
tra le querce alla sera.
Odo gli echi del dolore
nel vortice dei destini
le note di speranza
nel concerto di sgomento
i sospiri dell'amore
nella quiete del perdono.

In piedi
Attenderò che il vento
allontani la polvere
sollevata dalla mia caduta
mi rimetterò in piedi
indosserò l'armatura
urlerò il mio dolore
e correrò tra rovi e fuoco
come impavido guerriero
incontro al destin di morte.

Il Purgatorio
Fugge la vita mia come un miraggio
senza soste per amare e sperare
e resta ogni mio sogno entro arco e raggio
d'una superbia vasta come il mare.

Ma una rosa per l'ultimo viaggio
sulla mia tomba andate ora a posare
e una sola lacrima come omaggio
sulla mia zolla andate ora a versare.

Ma se il ricordo è assenzio e sale
sappiate che nel buio una luce vedo
che la via indica in mezzo al male

donandomi la fede e il vero credo
che l'anima mia guida come strale
verso pace che ancora non possiedo.

Sostegno
Già mi avvolge
un'altra ombra
mentre tu
la mano mi porgi
per donarmi
un passo d'amore
un giro di speranza
una rifugio nel cuore.
Già cala
un'altra luna
mentre tu
il braccio mi porgi
per donarmi la forza
di rimettermi in piedi
e scolpire insieme l'amore.

Premure
Danzo con la mia sposa
il valzer sotto la luna:
poche note intonate
scandiscono il tempo
riempiono l'istante
compongono la vita.
Cammino con la mia sposa
seguendo la stella
nella luce della sera:
premure scambiate
carezze donate
dipingono il presente
colorano i giorni
segnano le stagioni
allietano i cuori
illuminano il futuro.

Insieme
Quante spiagge insieme
a leggere il passato
accarezzare il presente
sognare il futuro.
Quante lune insieme
senza riparo nella tormenta
tra valli d'umore
vette d'ardore
mare di passione.
Quante piogge insieme
trasportati dal fiume del tempo
e dal vento dell'amore
entro la spirale di gioia e dolore
che inizia e riposa nel cuore.

È curvo
è curvo,
il suo sguardo
non incontra più
quello degli altri
ma ginocchia scarne,
caviglie troppo sottili
per sostenere,
piedi bianchi
da troppo tempo lontani dalle strade.
è curvo,
il suo sguardo non incontra più
la compassione
ma solo i rimpianti
riflessi sui marmi
tra le ombre della sera.
è curvo,
la mente pulsa di emozioni
ed il cuore si stringe
nei ricordi dei momenti andati
curvando la memoria.

L'Orizzonte
Mentre una candida luce
accarezza l'anima
e al molo della vita
più non m'aggrappo,
con l'ultimo fievole respiro
prego e chiedo:
salpa mio Veliero
ad inseguire inquiete onde
sino all'orizzonte lontano
ove Angoscia
negli abissi possa annegare
e Speranza
nella limpida aurora
possa il cuore consolare.
Mentre nello scavato sterno
trova dimora un nuovo respiro
e nel cuore risuona la nota
del silenzio antico,
con l'ultimo battito d'ali
ancora chiedo:
salpa mio Veliero
ad inseguire con la prua
tempesta e vento
sino all'isola lontana
ove Vita e Pace
insieme possano in eterno danzare
come pioggia e neve
che gentili cadono
tra le onde del mare.
Mentre Orgoglio
vaga smarrito
per il campo salato
seminato col dolore
e Dignità
s'eleva come vessillo
sul confine dell'addio,
con l'ultimo sussulto del cuore
ancora chiedo:
salpa mio Veliero
ad inseguire nella sera
l'ultimo gabbiano stanco
sino alla dimora
dei liberi respiri
ove Ragione e Amore
possano afferrare
tra le nubi
l'ultimo raggio di luce lontana.

A Stefano

Cerco
Cerco
la luna che illumini il presente
la pioggia che risvegli i ricordi
il vento che sussurri i consigli
la neve che attutisca le cadute
il fulmine che fenda le ombre
il tuono che scuota i pensieri.
Cerco
chi la forza mi può far trovare
chi un approdo mi può offrire
chi il perdono mi può donare
chi un giudizio può pronunciare.
Cerco
lo zefiro che al riposo m'accompagni la sera
il maestrale che lontano le nubi possa portare
la roccia alla quale mi possa aggrappare
la fonte che mi possa dissetare.
Cerco
la porta per poter l'immenso di velluto sfiorare
il varco per poter l'infinito di note ascoltare
il sentiero per poter la sorgente d'Amore incontrare.

La luna
Sul mare
la luna muove ombre
e riflette sentieri
dalle mille impronte.
Non vi sono
nubi sulla ragione,
né selve a legare le membra,
né rovi sulla verità,
né spine sul cuore.
Poi i nembi
coprono la luna
e il buio repente
la divora.
Accendo la lampada
col poco olio rimasto
e la luce soffusa mostra:
le ossa
di chi sfinito s'è arreso,
le lacrime
di chi troppo ha pianto,
le piaghe
di chi a lungo ha sofferto,
il capo chino
di chi invano ha sperato.

Ascesa al Monte Ventoso
Nel sentiero che al sacro monte ascende
al bastone m'aggrappo ormai sfinito
dinanzi alla parete di granito
che verso la lontana cima tende.

Il silenzio nel vento si distende
e nel vuoto preghiera ho scandito
implorando il perdono alto e infinito
che la forza ridona e l'ombra fende.

Tra la polvere scorgo un nuovo cielo
che la cima del monte avvolge e sfiora
mostrando ambita meta e antico velo

ed Agostino l'anima ristora
donandomi coraggio e nuovo zelo
per ritrovare via pace e dimora.

Omaggio a Francesco Petrarca

Il piano inclinato
Dall'aurora al tramonto,
portate dalla corrente,
scendono a valle le illusioni
sino al lago degli affanni
e alla foce nel mare dei sogni.

Dal tramonto all'aurora,
contro il fluire del tempo,
risalgono le passioni
tra i rivoli del dolore
i torrenti dell'ardore
i fiumi dell'amore.

Sofferenza
Sofferenza cieca,
cerchi l'uomo
lo insegui
lo cingi
lo domini.
Sei forse lo specchio dell'essere?
Sofferenza accettata,
fecondi l'anima
spegni la commiserazione
accendi la speranza.
Sei forse la via?
Sofferenza Santa,
sei il timone nella tempesta
la rotta nella notte senza stelle
la chiglia che fende le acque
il vento che soffia sulla vela dell'amore.
Sei tu la porta verso l'infinito?


Maria Bergamas, madre del tenente Antonio Bontempelli
caduto sul monte Gimone nel 1916.
Nel 1921 fu incaricata della designazione del Milite Ignoto.


A Maria Bergamas
Figli della Patria,
ora che i fucili sono riposti,
nei silenziosi valloni
e nelle isolate cenge,
i poveri resti
dei vostri corpi martoriati
resteranno soli,
accarezzati da neve e vento,
immobili ad accogliere
brina e tempeste.
Le giogaie del Carso
e i ghiacciai dell'Adamello
custodiranno in silenzio
l'istante e il luogo
ove il confine
tra vita e morte voi varcaste.
Invano le vostre madri vi attenderanno
e sconsolate cercheranno
le vostre tombe
per porgervi un fiore.
Ma un popolo ferito
reclama per voi degna sepoltura.
In seimila saliranno sui monti,
cercheranno le vostre membra dilaniate
e le vostra ossa spezzate,
con cura le raccoglieranno,
con pietà le riporranno
in bare di quercia,
avvolte nel tricolore,
adornate di fiori,
posate sugli affusti di cannone.
Così entrerete nelle città,
tra ali di folle commosse
in ginocchio
con la mano sul petto.
Giunti ad Aquileia
un'umile madre poserà su di voi
il suo sguardo compassionevole.
E' la madre di tutte le vostre madri
l'icona del dolore
il nodo della sofferenza
la casa della memoria
l'anfora della dignità
la candela della speranza.
Dinanzi all'umile madre
voi undici Figli della Patria
attenderete, nel silenzio eterno,
che il suo sguardo si posi
sul capo perforato
e sulle gambe spezzate.
Sarà lo sguardo di un intero popolo
che riscatterà l'inumano vostro patire.
Coraggiosa madre,
cuci, col filo della speranza
e con l'ago dei ricordi,
la ferita ancora sanguinante
d'un popolo stremato.
Quelle undici bare
sono i punti di sutura
che la nazione ferita attende
per non morire esangue.
Come farà l'umile madre
a scegliere la bara del figliolo?
Ella procede tremante
con una mano sul petto,
giunta davanti alla penultima bara,
lancia un grido
e in ginocchio abbraccia il feretro.
Quel giorno una madre ritrovò il figlio
e voi tutti, Figli della Patria,
trovaste riposo e pace.

La goccia
Come seme
trasportato dalla tempesta
che si posa tra zolle
di terre lontane,
così la mia anima,
travolta dal vortice
del dubbio,
si è acquietata sulla roccia
scalfita dal chiodo
che trapassò
la Tua mano.
E lì in silenzio
giace arresa
all'arsura
ed attende
la reviviscenza
da una goccia
instillata dal
Legno innalzato.

Cammino
Ho camminato al tuo fianco
tra le viti antiche
i mandorli in fiore
le strade dimenticate
i sicomori silenziosi
le greggi lente
all'incrocio tra i venti
tra la pioggia che disseta
sotto il sole che asciuga.
Ho camminato al tuo fianco
sino all'orizzonte
tra i colli e l'arcobaleno
respirando il vento
seguendo gli uccelli migrare.
Socchiudo gli occhi
e ti vedo
tra la nebbia d'autunno
e la brina sulle viti.
Odo la tua voce
che rischiara i ricordi
dei giochi sul fiume,
del tepore della casa antica,
del profumo del caffelatte e delle castagne.
Ora cammini
sui prati sempre in fiore,
al confine delle stagioni,
verso la fonte dell'Amore
che scorgi, sfiori, ti avvolge.

A Monica
Primo fiore reciso nell'aurora
e rapito dal vento di maestrale
nello spazio e nel tempo che ti sfiora
accendendo memoria come strale.

Negli occhi tuoi ogni luce si colora
e ogni lacrima verso il cielo sale
irrigando speranza che dimora
nell'animo tuo libero dal male.

La ragione si perde e si confonde
dinanzi al corpicino vinto e arreso
che la pace nei cuori ancora infonde

e nel tuo nuovo tempo senza peso
lontano dal dolore e dalle sponde
vivi in noi come faro sempre acceso.

La dama scura
Bussa al petto la dama scarna e scura
e il cuore stringe con la lunga mano
per portare respiro e alma lontano
nell'anfratto senz'aria ombra e fessura.

Il suo mantello è misura oscura
dell'intento lascivo e disumano
e la sua falce fende il tempo arcano
mostrando tetra via di pena e arsura.

Ma essa lesta e sgomenta s'allontana
quando nel buio la fede non vacilla
e preghiera ogni pena placa e sana.

E con artiglio copre la pupilla
dalla luce che brucia oscura tana
ove il Male la morte crea e instilla.

Una nota nel silenzio del cuore
Le vendemmie sono lontane
l'odore del mosto
è svanito nel vento
e i tralci della vite
invano attenderanno
il calore delle tue mani.
Il tempo ha rapito
piano il tuo respiro
e il tuo cuore
a lungo ha sanguinato
trafitto dalle assenze,
ma chi la mano ti porgeva
cercava di allontanare
il gelo dal petto
e di udire la melodia
della tua essenza solitaria.
Ora arreso e muto
tra lumi e fiori
immobile sorridi
a chi per mano ti conduce
lontano dal dolore
sull'oceano di silenzio.
Ti cercherò nella pioggia
tra i campi all'aurora
nel sole
tra le spighe al mattino
nel vento
tra le viti alla sera.
e di nuovo avvertirò
il tuo respiro quando
nello spazio e nel tempo
in cui ora vivi
distenderai la vela del perdono
divenendo un petalo nella memoria
ed una nota nel silenzio del cuore.


Il corpo, sepolto direttamente nella terra (senza bara), fu ritrovato integro nel 1258 e traslato, per disposizione di papa Alessandro IV, dalla chiesa di Santa Maria in Poggio, detta "della Crocetta" dove si trovava, alla chiesa del monastero di San Damiano, ove oggi sorge il Santuario della santa. Nel corso degli anni non vennero mai prese particolari precauzioni per la sua conservazione, ma anzi, durante il Rinascimento era permesso ai fedeli toccare la santa attraverso una piccola apertura praticata sull'urna. Nel 1921 fu eseguita una prima ricognizione durante la quale venne estratto il cuore ancora integro che venne riposto in un reliquiario d'argento. Nel 1996 una nuova ricognizione ha permesso di effettuare una serie di indagini scientifiche, dalle quali è emerso che santa Rosa aveva un'età compresa tra i 18 e i 20 anni al momento del decesso. Inoltre era affetta da una rara patologia, la sindrome di Cantrell, caratterizzata da una mancanza congenita dello sterno, che normalmente porta a morte durante la primissima infanzia. Sul braccio sinistro è stata rilevata una cicatrice, compatibile con una ferita che le fonti storiche riferiscono Rosa abbia subìto durante l'assedio delle truppe di Federico II alla città di Viterbo.

Santa Rosa
Incorrotte spoglie
d'esile fanciulla
adagiate sul letto di rose
con le candide mani posate sul rosario
e con labbra socchiuse
a celare con velo d'un sorriso
gli spilli del pungente dolore.
Un battito d'ali è stata la tua vita
intensa come fulmine
che rivela la strada al viandante smarrito.
Chiedevi un soffio di vita
per poter scandire il respiro
e verghe di luce
per unire le tue fragili ossa.
L'Eterno dimorò nel tuo petto
mutò il dolore in coraggio
e lo sterno più non si frappose
tra il piccolo cuore colmo di pietà
e le tempeste di rancori
che pervadevano le strade
al crocevia della storia.
Riempita la brocca
spiegate le bende,
seguivi la voce del vento
e ti chinavi a lenire le pene
di chi giaceva sulla via.
Soave fanciulla
che ancora semini
lo Spirito sublime
negli aridi campi
dimenticati dalla pioggia
e che ancora infrangi
le teche di cristallo
dei cuori smarriti,
accendi ora la candela
di Speranza per guidare nella notte
i nostri fragili vascelli
tra le acque del tumultuoso
fiume del tempo.

Parole sepolte
Come torrente d'estate
che il sole convoglia
tra pietre levigate
e i venti filtra
tra canne piegate,
così la tua ragione,
privata dal fluire della parola,
raccoglie i pensieri della sera
e distilla i ricordi
dal mare dei sogni.
Immobile osservi vecchie mura
che lacrime e fatiche trasudano
e piano l'autunno
piega la speranza
mutando la preghiera
in flebile lamento.
Nell'ombra della sera
la luce fioca della luna
mostra nei tuoi occhi
l'antica radice della dignità
mentre stretta nella benda del silenzio,
attraversi la clessidra delle ore
e spegni l'ultima candela.

A mia madre

Posata sulla foce del pensiero
Dalla chiesa della Spina
sino alle Piagge
curva l'Arno sotto il Ponte di Mezzo
e le acque giallastre,
domate dalle sponde,
indugiano dinanzi ai palazzi dormienti
e ai campanili antichi
per captare echi di vita
da porgere al silenzio del mare.
Dalla piazza delle Sette Vie
s'incunea Borgo Stretto
sino al Lungarno col suo
ventaglio di palazzi
di pietra verrucana.
Piega a ponente
lo stelo di via Santa Maria
che s'apre nella corolla
di Piazza del Duomo
e cinge l'anima
la croce latina della Primaziale
che s'eleva sul verde prato
come perno del tempo
e scrigno di verità eterna.
Sezione aurea è il sobrio Battistero,
eco dello spirito e riverbero di vita,
mostra austere pareti prive d'affreschi
come pagine bianche del libro della vita.
Sfida la ragione il campanile dell'Assunta
in precario equilibrio tra terra e cielo
come anima d'asceta
che indugia sulla soglia dell'infinito.
Città ancorata alla storia,
fucina di nuove idee,
tra borghi medievali
il libero volo del pensiero
plana sui verdi prati dell'intuizione
e come vento d'oriente
sospinge la vela del progresso
verso il mare dell'ignoto
lontano dalla palude della superstizione.
Città dell'eterna
primavera del pensiero,
sempre lontana dalla verticale,
strappi i veli che nascondono il cielo
guidando le coscienze
verso il lavacro della ragione.

A Gloria
Della trisomia mostri ombre e bagliori
mentre le ali tra i venti apri e distendi
e cerchi note nuove e altri colori
nelle anime che sfiori stringi e fendi.

Lame e spine rimuovi ora dai cuori
e la luce celeste vedi e prendi
mentre nel bel giardino degli amori
a candida innocenza aspiri e tendi.

L'animo tuo letizia e pace infonde
indicando la via dove dimora
colui che vita e amore crea e trasfonde

e dal tuo cuore intemerato affiora
la vera compassione che confonde
chi l'orizzonte cerca nell'aurora.

A Lev Tolstoj
Come patriarca antico
attraversi i deserti dell'anima
e i ghiacciai dello spirito.
Oltre il confine della ragione
cerchi le sorgenti della fede
e i colori della speranza.
Scali le montagne
sacre del dolore
per scrutare dalle vette
l'orizzonte perduto
della fredda terra
e per udire
i gemiti d'un popolo
che col sangue
traccia le vie della storia.
Scopri melodie
celate in anime senza pace,
liberi note di misteri divini
dallo scrigno dell'umano patire.
Ascolti nenie di spiriti sconfitti
arresi con ali spezzate sulla cengia
del monte del rimpianto.
Docile penna
nella sapiente mano dell'Eterno,
con l'inchiostro
abbatti le prigioni delle coscienze
e liberi il grido di giustizia
dei muti senza volto
incatenati lontano dai palazzi.
Il tuo spirito è alito di speranza
che dalla desolata steppa
si eleva verso il cielo
e il tuo ardore
vive ancora in coloro
che nel silenzio
servono per Amore.

L'offerta
Ti custodirò nel cuore
fragile anfora
delle lacrime versate
memoria del dolore
da porgere
nell'ora dell'offerta.

Ti porterò sulle spalle
pesante scudo
delle mille battaglie
testimone delle sconfitte
da ricordare
nell'ora dell'offerta.

Ti stringerò tra le mani
tagliente spada
delle conquiste ardite
arma atavica
da deporre
nell'ora dell'offerta.

Ti libererò nel vento
anelito d'immenso
dell'anima invitta
dono prezioso
da versare
nel calice
nell'ora dell'offerta.

Giardino di preghiera
Protese
erano le mani
ad afferrar granelli di vetro
sfuggenti tra le dita come sabbia
raccolta dal fondo del mare
e stanco era il cuore
che asincrono batteva
come campana mossa dal vento.
Ero pietra per le spine
ghiaccio per le carezze
spandevo silenzi
attorno al mio cespuglio
e piano appassivano
i petali dello Spirito
sullo stelo degli affanni.
Congiunte
ora sono le mani
nella pace della preghiera
e tace nell'anima lo strido.
Dalla ragione svapora
la nube dei dubbi antichi
gli occhi sono all'orizzonte
a cercar luci lontane
e l'orecchio ode melodie perdute.
Al calar della sera
accarezzo profili liberi da ombre
muovo passi sul prato della Speranza
e il cuore scandisce istanti d'infinito.

Porgimi la tua mano
Ho udito la melodia
che genera i numeri,
la sinfonia
degli atomi e delle stelle,
ed ora,
dopo lungo esilio dal tuo giardino,
alta levo la mia voce
e ti imploro:
dammi,
dammi ora la tua mano
affinché non perda l'equilibrio
mentre in bilico cammino
sulla lama del dolore.
Lontano da te
il mio cuore
batte fuori dal tempo,
il mio respiro
è una candela senz'aria,
perciò soccorri,
soccorri ora la mia anima
che si dibatte sulla sabbia
come uccello ferito
sulla riva del mare.
Il mio grido
è prigioniero della sfera
che tutto riflette
verso il suo centro
e temo che giunga la sera
mentre ancora attendo
sulla soglia del tuo giardino.
Perciò alta levo ancora
la mia voce: porgimi,
porgimi ora la tua mano,
riscaldami col tuo respiro
e sostienimi su questa sfera
colma di lacrime e di pene.
Sono incerti i miei passi
e non conosco la strada
ma mostrami le tue orme
affinché possa seguirti
sui sentieri dell'Amore.

Mio Musico
Mio Musico,
dapprima del respiro
odo la tua nota
prigioniera nel profondo
del mio cuore indomito,
e dapprima del risveglio
la tua voce attende sulla soglia
della mia anima disincantata.

Sfiora,
con l'arco della compassione,
la corda tesa dal dolore
e libera la nota adagiata
sulla lacrima celata.
Accarezza,
con l'arco della speranza,
la corda sfibrata dalla rassegnazione
e muta la nota grave
in melodia soave.
Accorda,
con l'arco della sapienza,
la corda muta dell'intelletto
e forte falla vibrare
entro i misteri da sondare.

Posa, mio Musico,
le tue abili dita
sulla corda rigida
della mia vita
e forte falla oscillare
sino a liberarla
da ogni nequizia
e a mutarla in violino
che libera le note
del tuo ineffabile Amore.

Attendendo il Tuo passare
Quando la spiga troverà nel sole
il colore per il suo prezioso dono
e il profumo di menta
salirà tra le rose
a cercar nell'aria
l'orizzonte della primavera,
dal cassetto del cuore
prenderò il ricamo dimenticato
e lo stenderò sul davanzale sbiadito
attendendo il Tuo passare.

Quando la luce dell'aurora
s'alzerà oltre il profilo delle montagne
e le tenebre torneranno nei loro anfratti,
raccoglierò petali di rosa
nel giardino dello spirito
e li poserò sulla strada ritrovata
attendendo il Tuo passare.

Quando i venti
confonderanno le stagioni
e il deserto coprirà l'ultimo prato,
cercherò tra le dune
il pozzo antico
e spargerò l'acqua
sulla strada del nuovo giorno
attendendo il Tuo passare.

Quando gli occhi si stancheranno
degli orizzonti lontani
e l'orecchio separerà la Tua voce
dal fragore del tuono,
in ginocchio chinerò il capo
attendendo il Tuo passare.

Quando infine ti fermerai
sulla soglia della mia dimora,
come foglia in autunno
l'anima si staccherà dall'albero
per disegnar nell'aria la strada del vento
e trovar pace nell'onda d'infinito.

Getsemani
Ulivi antichi
che cingete
il sacro giardino
del dolore
nella linfa
dei vostri rami
scorre il sudore
dell'ora della prova
e le vostre radici
sono il calice
del sangue trasudato.
Ulivi piantati
nel nodo del tempo
al vostro tronco
è aggrappata
la mia anima
e alle vostre foglie
mosse dal vento
tendo il mio orecchio:
esse udirono
la preghiera solitaria
e la sussurrano agli esuli
lontani dal giardino.
Ulivi pazienti,
custodi dello snodo
della sofferenza,
odo il vostro respiro
e mi sovviene
la paura della notte lontana
quando vi voltai le spalle
fuggendo nudo
lontano dal prato
rorido di lacrime.
Ulivi silenziosi,
ora che mi avete
svelato la storia,
tra voi porrò
la mia tenda
e attenderò le lanterne
di coloro che ancora
cercano il mio Signore.


Il Poeta, dopo la morte di Laura avvenuta nel 1348, si ritira nella casa di Valchiusa
per meditare sul senso di un amore che vive oramai oltre l'orizzonte dello spazio e del tempo.


A Francisci Petrarche e Laura de Noves
Cala la sera sulle acque
e ancor ti cerco nel congiunto respiro
degli istanti eterni e nelle piume di sguardi
sulla piaga dell'anima.

S'allontanano i petali sulle acque
e ancor ti sento nelle melodie cantate
al silenzio del cuor ferito e nelle carezze
di passione sul petto del respiro perduto.

Si specchia la luna sulle acque
e ancor attendo il tuo sorriso
come l'ultima stella della notte
aspetta ad oriente il sole dell'alba.

Si confondono le lacrime con le acque
e ancora cerco il tuo abbraccio
come il tramonto cerca a ponente
la luna nascente.

Si posa l'anima sulle acque
e ancor spiego al vento ali
per cantare note a lungo taciute
e tessere la tela dell'umano vano patire.

Si perdono i sogni sulle acque
mentre cado come foglia ingiallita
rapita dal vento d'autunno
ed ancor t'amo nelle lacrime
versate sulla riva delle nostre anime.

Nel giardino dei limoni
Il riverbero dell'ultima sera
mostra l'iride negli occhi stanchi
e il profumo dei limoni
porge la nota melanconica della tua voce.
Sincroni ora battono i cuori
liberati dalla pece dell'orgoglio
e gli sguardi rivelano l'affetto a lungo celato.
Ma il tramonto è oramai vicino
e, come strido d'aquila
che repente strappa la vita alla preda,
irrompe improvvisa la notte.
Dai visceri inarrestabile
straripa il dolore antico:
prima è fuoco e lava
poi è spina e lama
infine è bile e sangue.
Riapri gli occhi e cerchi la mia mano per l'addio,
poso le labbra sull'algida fronte
mentre recidi l'ultimo labile ormeggio
e pesante cala il drappo viola sui rimpianti.
La tua vela è ora all'orizzonte
sospinta dal vento del perdono.

Terra
Mi chinerò per prenderti tra le mani
terra arsa dal sole.
Ti parlerò della pioggia
che cadeva lenta sui tuoi prati,
delle sementi che il contadino
affidava al tuo grembo,
del sole che accarezzava
la tua chioma di spighe mossa dal vento.
Ti farò riascoltare il nitrire del cavallo
che trascinava l'aratro sulla coltre di erbe
e il canto delle donne che alla sera
raccoglievano le spighe smarrite
sul manto di culmi.

Ti chiederò di ricordare i giorni
in cui ci donavi il pane
che veniva accettato con un sorriso,
benedetto con una preghiera
e subito condiviso.
Ti chiederò di ricordare i giorni
in cui ti colmavamo di premure:
su di te riversavamo il nostro sudore,
da te attendevamo il nostro cibo,
in te era il nostro domani.

Eri allora molto vicina al cielo
e il cibo che ci donavi
aveva la magia delle nuvole
e il senso del divino.
Terra ora arsa,
amata e tradita,
avvelenata e dimenticata,
ci doni ancora il pane
ma nel dolore gemi
perché esso non viene più condiviso.

Maghen David
Popolo Ardente,
in eterno
il tuo petto
frange sarisse
ed ottunde spade,
ma le tue vene
legano il tempo
e il tuo sangue
nutre la speme
che dimora
nell'imo delle anime.
Per quanto ancora
i tuoi figli udranno
meliche di morte
e adergeranno
le loro ossa
sul manto dell'odio?
Quante volte ancora
il vessillo dell'orrore
verrà innalzato
sulle ceneri della pietà
e i lapilli delle vostre vite
si spegneranno
nel limano delle coscienze?
Stella redentrice,
iridescenza della verità
e segno di salvezza amena,
fendi la lorica,
giungi nelle latebre del cuore,
cingi le pene
con la corona di spine,
inchioda il dolore
sul cedro innalzato,
frangi i fluttui del rancore
sulla chiglia del perdono
e mostra
nello specchio del tuo io
il volto e la mano di Dio.

L'angelo custode
C'è ancora una nota nella cetra
e una goccia di luce nel tuo cuore
mentre percorri la via antica e tetra
e t'inchini a lenire ogni dolore.

Sei la piuma sull'io di fuoco e pietra
e l'alito sul gelo del rancore
ed ogni freccia della tua faretra
trova il verso e un istante di bagliore.

Ti mostri tra le pieghe della sera
con in mano un mantello e una lanterna
e il buon consiglio doni a chi ama e spera

e il cuore tutta la letizia esterna
quando la tua presenza divien vera
rivelando mistero e grazia eterna.

Respiro d'Amore
In un lontano dì di festa
colmo di sole e di preghiere
tra la folla vidi la mia sposa.
Le timide parole si sciolsero
tra profumi di menta e fiori
e l'incontro degli sguardi svelò il destino comune:
insieme senza riparo nella tormenta,
trasportati dal fiume del tempo
sino a naufragare sulla riva del mare
e cercare nuove stelle
nelle buie notti degli inverni.
Insieme avvinti senza tenda
smarriti su sentieri dimenticati
con l'orecchio attento a udire
i respiri della terra e le melodie del cielo
e con gli sguardi protesi verso orizzonti lontani.
Ancora insieme senza mantello
a camminare tra gelidi venti d'indifferenza
con una sola candela accesa
stretta tra le nostre mani tremanti.

Masada
La notte
sfuma nell'alba
che spande
lingue vermiglie di luce
sulle mura infrante
e sulle cisterne vuote.
Occhi incavati
di impavidi guerrieri
senza scudo
osservano il sangue
rappreso sulle pietre mute
e labbra arse
di donne scarne
si posano tremanti
sulle pallide gote
di bimbi arresi.
Poi il sinistro frullo
d'ali d'uccelli
trasmuta l'irreale silenzio
in reboante ritmo di morte
di spade e scudi
che marziale si leva
dal deserto sino ai
capitelli dorati del tempio
ove sacerdoti invitti
effondono incensi
ed elevano l'ultima
preghiera:
Signore che hai aperto il mare,
non periremo trafitti
dalle spade nemiche,
salva la roccaforte della fede,
erigi una rampa verso la tua
santa dimora e guida
le affilate lame
a recidere repenti
le nostre vene.


L'uomo che cade si proietta nel tempo passato e futuro ben oltre il drammatico evento dell'11 Settembre 2001. Egli porta con sé un profondo significato universale poiché l'uomo d'ogni tempo è fondamentalmente nello stato di caduta, soggetto alla forza di gravità dei bisogni materiali e alla precarietà biologica e spirituale. L'uomo che cade è stato rimosso dalla memoria individuale e collettiva perché immagine della fragilità e dell'impotenza che caratterizza la condizione umana.

L'uomo che cade
Come uccello ferito
che sul corpo retrae le ali
ed al vento s'abbandona,
così l'uomo che cade
fende l'aria in composta posa
e il suo profilo pare sereno
mentre l'istante sfugge
nello spazio d'un respiro
e l'angoscia varca
il confine dell'infinito.
Egli penetra il vuoto
come freccia scagliata
verso il centro del cosmo
e s'avvita tra lo spazio e il tempo
entro la spirale di vita e morte
come impavido guerriero
innanzi al nemico.
Dai suoi occhi
si dissolve la paura
ed il corpo si distende
entro il calice della gravità
disegnando sui cristalli infranti
una nuova geometria verticale
immagine dell'anima
proiettata oltre la fossa del dolore
sino all'orizzonte della pace.
Ora il vuoto è oltre
il confine della memoria
ed il ragno tesse ancora tele di lutti
ma l'uomo che cade
apre in esse il varco
attraverso il quale scorre
la linfa della libertà.

Fante
Seduto sulla mola antica
tra i tuoi panni neri,
d'improvviso il sole d'autunno
illumina il solco della fronte
segno della trincea nella tua memoria
e racconti del tuo amico fante
con i capelli rossi,
viso scarno senza barba,
morto tra le tue braccia
in un cratere di granata
di un giorno senza data.

Tra nebbia e polvere da sparo
riesci a stringergli l'arto con lo spago,
ma il sangue non s'arresta
esce lento tra divisa e fango
e la tua mano sulla ferita
più non basta a salvargli la vita.

Sempre più flebile è la sua voce:
ti prego amico mio
alla mia amata porta il mio ultimo addio,
dille che non ho sentito dolore
e che sempre la portavo nel cuore,
dille che mi sono spento senza un lamento
tra terra cielo e vento,
dille che non ho avuto paura
e che ora riposo in questa altura senza mura.

Fuori cessa la battaglia
e quando a comandar la ritirata
la tromba suona,
la vita l'abbandona.
Cala il gelo,
scende la sera,
è ammainata la bandiera.

Rapaci
Vecchi rapaci svelti cancellate
impronte e bava da forzieri e letti
e volto sofferente ora mostrate
come antichi sovrani leali e retti.

Freddi e imbiancati ancora sentenziate
inventate tagliole e lacci stretti
e a giudici supremi v'elevate
con sermoni e pensieri vuoti e abietti.

Ma al vento ora si leva la bandiera
degli eroi senza volto e senza alloro
baluardo di giustizia nuova e vera,

e il mio canto ora aggiungo al vostro coro
lungo l'antica via dura ed austera
lontano da palude del disdoro.

Montecassino
Giacciono immobili
riversi su pietre frantumate
giovani soldati giunti da terre lontane.
Il sangue rende uguali divise logore
e la cruenta sopraggiunta morte
mantiene luce d'infinito in occhi incavati
rivolti verso la cima irraggiungibile
del monte del martirio.
Ora tacciono i cannoni e son riposti i fucili
ma tra gli ulivi e gli olmi dei pendii
della silenziosa Sentinella di Spirito e Pace,
la brezza della sera sussurra ancora
ad orecchie attente gemiti di soldati
caduti in primavera senza carezza di madre.
Sacro colle antico, stretto dalla storia nel nodo del dolore,
divenuto scrigno di corpi martoriati
e culla di anime strappate alla vita,
ora, tra le nuove mura austere,
la preghiera riprende il suo respiro tra i secoli
e la speranza tra esse ritrova il suo nido.
Cima del Calvario, memoria di sacrificio estremo
e vessillo di libertà, sei fuoco per le gelide coscienze
e faro perpetuo per l'anelito di pace dei popoli.

Patria
Ininterrotte cime d'antiche montagne
che stendete il vostro arco su fertili valli
solcate da fiumi tumultuosi,
liberate le note di dolore celate
nelle dimenticate cenge anfore di storia
ed accendete il focolare della memoria
sulla via d'un popolo smarrito
tra la mestizia degli affanni
e l'incedere del tempo e delle ombre.
Mostrate i volti degli innumerevoli figli
di questa terra che col loro sangue
tracciarono il labile confine della libertà
coperto ora dalla nebbia dell'indifferenza
e dalla cenere di fragili coscienze
divorate dal fuoco dell'egoismo.
Riversate sul deserto delle anime arse
le lacrime delle madri avvinte dal dolore per
i propri figli caduti in primavera stringendo
tra le mani una foto e una bandiera.
Liberate dagli anfratti e dalle valli
il grido di speranza dei nostri padri
che avanzarono tra mortai e fili spinati
verso il confine tra vita e morte
con l'anelito di pace e speranza
custodito nel luogo del cuore chiamato Patria.

Confine
La mia vita è al tramonto
e il letto mi apre gentile
la porta della sera.
Trafitto dal dolore,
seppellito dall'indifferenza,
attendo che la mia anima
abbandoni questo letto,
salga come fumo d'incenso,
attraversi l'immenso,
si posi su una stella.

Fievole diviene il respiro
mentre sfugge oramai la vita,
ma ancor non mi abbandono
e ancor al mio letto fedele mi aggrappo.

Infine, la gravità m'abbandona,
il letto più non mi sostiene,
il manto di calore mi avvolge
e il pensiero è rapito verso l'infinito:
la mia vita ora vedo
come un tratto di pennello
che compone il dipinto
sulla tela del tempo.

Armonie
Dove i pini filtrano i venti
e il mare trova la quiete,
v'è un calice di sabbia
per ogni lacrima
e uno scrigno di pietra
per ogni dolore.

Dove il tramonto è culla di stelle
e i colli cingono la luna,
v'è una radice d'ulivo
per ogni ricordo
e un petalo di rosa
per ogni rimpianto.

Dove le stagioni danzano
sulle rive del fiume
e le nuvole disegnano
col sole le ombre,
v'è nel giardino un nuovo fiore
per ogni amore ritrovato
e un nuovo colore
per ogni carezza donata.

Dove il mare canta
agli scogli l'eterna canzone
e le ginestre e gli oleandri
disegnano sul colle antico
l'impronta della mano di Dio,
v'è un angolo di quiete
illuminato dai riflessi della luna sulle onde
dove un giorno lascerò la barca
alla fine del mio viaggio.

Il carro
Scalda le mani il tiepido respiro
del cavallo che trascina il carro
sul sentiero antico sino ai vigneti
adagiati sulle colline lontane.
Sovvengono argentine voci di bimbi
che raccolgono mandorle amare
e devoti canti di donne che percuotono
ramoscelli d'ulivo onusti di frutti maturi.
Prigioniera delle nuvole l'aurora ritarda
e la falce della luna si posa sull'orizzonte
mentre piano le stelle si dissolvono
tra lingue vermiglie di luce.
Gli uccelli remigano di traverso al sentiero
cercando l'ultima pozza sul greto del ruscello,
il passo del cavallo diviene simile a battito d'ali
e le grandi ruote indugiano su ogni sasso
scuotendo granelli di pensieri che si posano
tra le zolle dei campi e le ombre delle viti.
Avanza lento il carro tra sponde di spighe e fave
ricalcando le orme dei padri sino alla collina
memoria di fatica, anfora di sudore
e madre premurosa delle viti.
In essa odo il respiro del vento
e il silenzio batte forte nel cuore
accendendo ricordi d'amati volti
rapiti nella luce dell'infinito.

L'angolo di cielo
Volo su onde impetuose
traendo dai venti la forza
e riposo su nembi sospesi tra mare e cielo.
Ignoro la gravità, afferro la luce
e le ombre danzano sul palmo della mia mano.
Posso camminare sull'arcobaleno,
adagiarmi sull'orizzonte
e liberare dal buio la luna e le stelle.
Posso volare coi gabbiani,
rimanere in equilibrio sulle ali del falco
e dimorare a lungo nel nido dell'aquila.
Posso attraversare i deserti,
scalare le vette più alte
e giungere senza affanno
sino alle terre più lontane ed inesplorate.
Posso viaggiare in questo e in altri mondi
e volare sino ai pianeti più lontani
e alle stelle più luminose.
Posso farlo osservando l'angolo di cielo
ritagliato sulla mia finestra
mentre le gocce diafane
scendono lente nelle logore vene
del mio corpo arreso.
Il mio arco è teso dal dolore
e la freccia della fede attende nel mio cuore.
Essa conosce la strada nel pertugio verso il cielo
e condurrà la mia anima oltre i confini della luce
sino alla fonte dell'Amore.

San Gemiliano
Illuminato dalle lanterne
lento il cocchio avanza
fendendo le ombre
che stringono i sentieri
disegnati nei secoli
da zoccoli e carri.
La luce soffusa della luna
filtra tra i pini e mostra
la mitra del giovane santo
e il purpureo manto
che soffice gli avvolge
il fianco e il vincastro.
Cammino e ascolto
il respiro di questa valle
gravida di uve mature
di fatiche e di stenti.
Cammino in una sinfonia
di silenzi e di preghiere
nell'impalpabile aura di fede
che placa i tumulti dell'anima.
Passi meditati nel buio
tra gli echi della terra
e lo sguardo del cielo.
Poi, nel bagliore della luna,
la collina appare circondata
da ghirlande di vigneti e pini.
S'arresta infine il cocchio
innanzi ai capitelli con i fiori d'acanto.
Cessa il lungo silenzio
e nel giardino memoria del martirio
alto si leva il canto delle donne pie
sciogliendo i cuori alla pace.

Sei Tu
Sei mare
che s'infrange
sulla scogliera
dell'orgoglio
e onda
che smussa
la cresta dell'io
e schiuma
che copre il volto di pietra.
Sei lama
che spezza la catena
e luce
che mostra la meta
e vento
che asciuga la lacrima.
Sei respiro nell'anima,
liuto nello spirito,
tempesta nella ragione.
Con la piuma dell'amore
sfiori la porta del cuore
ed attendi sulla soglia
l'invito ad entrare.

Passaggio
Vola sui campi lo spirito fiero
tra sole spighe e grano ben maturo
nel tempo nuovo meno amaro e duro
che alma avvolge con pace e amor sincero.

M'appare il tuo profilo rude e austero
mentre sul colle salgo ora sicuro
verso il giaciglio freddo e duraturo
dove lume riscalda ombra e mistero.

Nel marmo la tua foto si colora
e mostra sguardo mite e almo sorriso
che tra le fronde sale nell'aurora

a cercare lontano amato viso
che l'anima risana alza e ristora
col pane del perdono condiviso.

A mio Padre

Il fluire del dono
Verso direzioni infinite
entro rivoli invisibili
porti nel fluido il calore
e quieto muovi impercettibili onde
sulle rive di fragili membrane
filtri d'essenza di vita.
Rapido entro sottili spirali ascendi
attorno a minuscoli fili d'aria
cogliendo petali di respiro
e liberando nubi d'affanno.
Nel cuore trovi forza
ed avanzi lungo silenziosi cammini
sin dove il gelo s'arrende al tuo tepore
sciogliendosi in rugiada sulla pelle.
Scorri tumultuoso nei cuori inquieti,
attendi il riposo nelle stanche membra,
senza bende fasci ferite,
sei dietro le lacrime e sotto le piaghe
e sino alle ossa trasporti le frecce del dolore.
Scorri inarrestabile come il tempo
e di esso sei l'immagine nello specchio del mistero.
La barbarie e la follia
ti versano abbondante sulle strade del mondo
e la redenzione imprime la tua impronta
sul legno della croce.
Chi di te fa prezioso dono
leva l'àncora dal fondale
buio dell'indifferenza
e spiega al vento una vela
verso l'orizzonte dell'amore.

Teti
Dopo il vespro di preghiera
lungo la strada di pietra
scialli neri al vento
separano lacrime e pioggia
mentre l'ombra dell'inverno
cala sui volti austeri di donne
che nei cuori tessono silenzi
e nelle rughe contano stagioni e segreti.
Stanno i vecchi seduti a granir le ore
tra orizzonti lontani di ricordi sbiaditi
e nel cielo osservano giochi di nubi tra arcobaleni.
Nell'aura della sera occhi innocenti di fanciulli
cercano la prima stella che timida appare
tra la falce di luna e il profilo maestoso della montagna
mentre lieve cala la nebbia sulle case di pietra
nicchie di focolari e scrigni d'affetti.
Scorrono tra le canne le tremule acque del ruscello
sussurrando ai cuori note di quiete e pace
e plana il falco verso la rupe del riposo
spandendo nella valle l'ultimo strido
attutito dal manto di neve.
Pugno di case perse sul pendio della montagna,
a voi arreso ritorno quando lo spirito
varca impavido i confini del pensiero
e il respiro chiede tregua all'affanno.
Seduto sulla pietra che separa
i pascoli dal bosco di querce,
rivolgo lo sguardo all'orizzonte
e lascio che l'onda del silenzio
mi conduca sino al nido dell'anima.

San Francesco
Sulla polvere cade l'armatura
e s'aprono i tuoi tristi occhi sgomenti
per scoprire dell'odio la misura
nel sangue nelle pene e negli stenti.

Abbandoni ricchezze agi e ogni paura
per consolare vite tra vie e venti
mentre risplende la tua anima pura
germoglio di speranza in cuori spenti.

Tra gli oppressi semini gaudio e pace
innalzando la croce grave e dura
come l'umile servo che ama e tace

e ascolti vento e pioggia oltre le mura
offrendo la tua vita santa e audace
come pietra di pace duratura.

Il Veliero
Salpa Veliero verso ignote sponde
con la logora vela issata al vento
e col timone saldo sulle alte onde
per ritrovare ardore e nuovo intento.

La tempesta coraggio nuovo infonde
e tuono entra nel cuor che batte a stento
mentre anima con nube si confonde
e grido spegne antico e reo lamento.

La prua dirigi verso l'orizzonte
dove il mare respira con il cielo
e vita verso eterno divien ponte

e quando morte stende scuro velo
ed imprime il sigillo sulla fronte
sul mare posa il mio immobile stelo.

Pastori
È nel lento e sereno vostro andare
ch'odo l'eco di pace e di preghiera
che l'antico mistero vuol svelare
all'anima che ascolta nella sera.

Edè il desiderio di trovare
la lontana dimora santa e austera
a donare l'ardore per cercare
il segno ameno di salvezza vera.

Dinanzi alla mangiatoia v'inchinate
e al bambino porgete ogni gioia e pena
d'una vita che in Lui santificate.

Quando si spezzerà ogni catena
vi seguirò lontano ovunque andiate
oltre ogni bigia verità terrena.

Pisa
Posata sulla foce del pensiero
sei nella storia via nodo e stazione
e unisci geometria arte e tradizione
mostrando il tuo profilo antico e austero.

S'innalza il campanile obliquo e fiero
che nella gravità trova cagione
e in alto fede con ragione pone
nel calice di scienza ombra e mistero.

In sezione aurea il sobrio battistero
su ogni anima il sigillo santo appone
con l'olio l'acqua e il soffio alto e leggero

e cinge lo spirito col suo alone
il grande Arno di quiete buon foriero
che nel mare ogni affanno apre e ripone.

La Roccia
Ancora il gregge guidi sulla sfera
nell'inverno che piano il cuore cinge
con le spine e l'affanno della sera
che di rosso le stanche membra tinge.

È tremula la tua voce che spera
nell'amore che salva sana e stringe
con un soffio di pace pia e leggera
che rialza chi all'eterna fonte attinge.

Sono curve e tremanti le tue mani
ed accogli ogni santa prova e pena
cercando vie e orizzonti ampi e lontani

e scorgi nella croce luce piena
fonte unica di pace e del domani
àncora e stella di salvezza amena.

A Karol Wojtyla

Portovenere
Colle antico che verso il mare pendi
ad offrire rifugio a impetuose onde
ed a guidare i venti su alte sponde
con la luce che verso le ombre stendi.

Sullo scoglio ogni vento ascolti e fendi
e tra i pini col sale tra le fronde
la pace con il sonno si confonde
tra note e schiume che dal mare prendi.

Nel tuo porto sicuro di gioie e pene
tra fiori senza zolle e fioco lume
la terra copre affanni ore e catene

e il ricordo diviene luce e fiume
nel vento lieto che nel cuor sovviene
quando seme in tuo grembo divien nume.

Il Tempo
T'avviti tra buio e luce e lieve sfuggi
ma la tua impronta lasci in fondo al cuore
mentre insegui stagioni giorni ed ore
e dai respiri t'allontani e fuggi.

La luce dell'aurora sfiori e suggi
e nella notte vegli col dolore
mostrando ombre riflessi e ogni colore
della vita che innalzi cingi e struggi.

Pulsi nel lento fluire d'aria e d'acque
e l'infinito è tuo unico perno
nello spazio ove bianca luce nacque

e pulsi tra le rughe dell'inverno
e sul colle di Colui che tacque
per mostrare il sigillo dell'Eterno.

Cagliari
è la luna tra via Stretta e Bastione
che scopre l'ombra del profilo austero
d'una città che il suo respiro pone
tra le mura di pietra e il pio mistero.

Sul mare il suo sigillo antico appone
e posa all'orizzonte l'occhio fiero
per scoprire la santa vocazione
di madre del profondo e alto pensiero.

Nel vico antico, vena di memoria,
pulsa ancora l'amore col dolore
e s'ode forte il grido della storia,

ma nel granito vive ancora il fiore
del sano orgoglio senza pianto e boria
che l'aspra terra lega ad ogni cuore.



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