Poesie di Emanuele Marcuccio


Home page  Lettura   Poeti del sito   Racconti   Narratori del sito   Antologia   Autori   Biografie  Guida   Metrica   Figure retoriche

 
Per una strada, SBC Edizioni, 2009

Dolce sogno (23/4/1994)
Dolce sogno, sorriso di rosa.
Sol tu sopisci lo spirto mio ramingo,
sol tu plachi l'errante spirto anelo;
soffro e mi tormento nel desiderarti, agogno
l'eterno tuo bacio,
l'eterno abbraccio agogno;
e mi struggo di dolor nel rimirarti invano:
attendo che le labbra tue tremanti
pronunzino l'immortale parola al cor piagato,
e indorino di baci un sogno d'amore.

Desiderio improvviso (22/5/1999)
Dolce rimembro il tuo bel viso,
creatura di rose,
un canto, una sognante armonia
ascolto!
Ti vedo nell'impeto d'amore,
nel desiderio improvviso,
amore!
Sulle ali della fantasia
ti immagino
e ti sogno,
creatura di rose.
Come sei lontana,
come ti vedo distante,
solo una musica,
solo una dolce armonia,
mi resta.

Stelle sul mare (21/12/1998)
Vedevo le stelle, che rilucenti
sul mare si specchiavano;
lo sguardo ammirato e l'emozione
si perde e lieta s'immerge
negl'ampi rivoli del ricordo,
e le luci si rincorrevano,
e lo sguardo vi si perdeva
nella memoria,
nel ricordo che si annulla,
nel tempo passato,
che non ritorna.

Amor (8-9/7/1994)
Imitar Dante non si puote,
ineffabil arte 'l nostro pensier sarìa
sì come telo a incerto segno, vote.

Grande 'l rimirar lo core e 'l potrìa
com'al mio disiar serbato attendo,
al subitano error, al soave, disparìa.

E come quei che riede al mar tremendo,
e mai di tal lode n'è piagato,
sì l'ardor d'amante ne va fremendo.

E arde in giogo mai più disiato
ch'al peregrin sarìa stimato avente
grande rimator e valente poeta amato.

Dolor subitano, atro s'accende
al rinomar in sua fiacca mente
l'amor che unquanco sarìa n'apprende.

E come 'l mio al suo rimiro, presente
donna vid'io raggiante di beltà,
talché il guardo miro mai da lei si pente.

E il sol, che tutto di sé prende, n'ha;
mai rifulger vid'io più bel sembiante,
ch'a sì dolce rimirar si va.

E rimirando e andando errante,
nell'alto amor mi figgo
e il sol pensier no' ne potrìa astante.

Alta rinomanza d'amor soave pingo,
candido ardor d'un sol cor,
al pensiero d'amor cale l'aringo.

Dolce beltà, felice, di mia vita amor,
ché mai pentito ramingo sarò errante,
ché mai ver lei lo sguardo saprò ritor.

Eterno amor dell'alte sfere amante,
né uomo errante ne fu parte fin'or,
e l'ardor che in me n'accresce non v'è
                                                          [pagante.

Piccola ambulanza (9/11/1996)
Un'ambulanza a sirene spiegate,
sinistro evento che sfrecci
sul mio sguardo pensoso,
sul mio agire dubbioso:
piccola ambulanza,
che forse rincorri la vita,
che forse è finita,
ma vai a sirene spiegate.

Memoria del passato (7/7/1998)
Tempo, che ricopri densa polvere,
silenzio, silenzio è la memoria,
barlume di verità innanzi al presente.
Le grida, le voci sono ormai spente:
sol risuonano nella nebbia del tempo.
In notte oscura
il vento soffia impetuoso,
istante per istante:
forse rimani smarrito innanzi
all’infinito silenzio ch’è il futuro!

Il mare (27/1/1991)
Come i nostri pensieri è il mare,
scroscianti acque,
ondeggianti flutti,
onde che vanno senza ritorno
e i nostri pensieri così,
vanno, vanno:
in questo ondeggiar,
in questo scolorar
d’acqua salata
è il nostro errar.
Così, in un mar
d’immenso sopor
il cor s’inabissa ancor
e dolce mi vien all’anima
il suo ondeggiar,
in una suprema quiete.

Palermo (27/8/1995)
O tu monte*, che ospitavi
un carcere remoto,
che sì dolcemente lambisci
le natìe rive, le accarezzi
e dolcemente le colpisci!
O antica roccia,
che ti ergi dalle salse acque
di Palermo,
che a tante civiltà
desti sostentamento,
con l'alitar mite della marina,
con lo spiegarsi lento
delle reti sulla tonnara!
Terra natìa, che sovente
mi hai fatto fantasticar!
Perché le tue strade
stridono luttuose?
Perché remoti mali
così ti schiantano?

* monte: il Monte Pellegrino, che al tempo degli antichi greci e romani ospitava un carcere.

Per una strada (10/11/1998)
Per una strada senza fronde
si aggira furtivo e svelto
il nostro inconscio senso,
passa e non si ferma,
continua ad andar via
e non si sa dove mai sia.

Oreste ad Elettra (9/10/1996)
Oh, quale dolore provasti
per la tua triste sorte,
reietta, percossa, disprezzata!
Ma ora, felicità insperata giunge
alle tue pupille stanche:
tuo fratel, creduto morto,
è giunto alfin
a liberarti,
ad abbracciarti,
a rimirarti, dolce sorella;
quanto hai sofferto,
che aspra guerra, a qual battaglia
fosti risoluta, non vacillasti!
Come montagna che giammai trema
sotto le sferze del ciclone,
come cascata, che vasta
erompe precipite,
non t'arrestasti!
Eri pronta anche a morir,
triste misera, cara sorella,
erano pronti a seppellirti viva,
pur di serrarti la bocca,
quella bocca, che nacque
ad indorare baci,
una volta sposa,
a sì nero ufficio fu deputata:
casta fanciulla, ambra di rose,
non soffrir più,
riposa sul mio cuor,
non soffrir più,
non soffrir più!

Cime (14/6/1994)
Cime inesauste
ove al marinaio si espande
un orizzonte rapito,
tacito infinito.
Candide albe di ricordi vissuti,
sogni remoti.
Aurore nascenti,
tepori sonnolenti,
rumina un’aria salmastra,
un’amica solitudine
gli rammenta l’orizzonte,
quell’alitar di acqua salata,
quel dolorar del mare profondo.

La vita (8/8/1994)
E quando, al primo battito
del cuore inizierai a vivere,
allora soffrirai,
il dolore t’inabisserà, profondo.
La felicità arriva
e il dolore prorompe, tremendo,
terribile sarà l’errar;
ma l’infinito
ti soccorre,
ti sorregge,
ti accompagna
per l’ampio calle solitario.
Alfin comprendi che i tuoi dolori
non furon vani,
non furon strani,
rammenta la tua meta suprema,
inneggia all’Eterno:
calura del cuore,
frescura dell’anima,
ti ritrovo alfin,
e posso morir felice.

Rammarico (6/4/1994)
Dormi, cuor mio, piagato!
Non chiedermi la ragione
d’una tal tempesta di dolore:
rammenta il primo albor svanito,
quando tu erravi felice
fra i passi tuoi incerti
e dolce era cullare
sogni fanciulli,
sicuri d’un’illusione
dolce, tranquilla.
Adesso, odo i passi miei incerti,
cado andando innanzi,
nebbia funesta crolla in me,
incapace di comprendere
appieno il tempo trascorso,
la sabbia caduta,
il magma incerto d’una vita finita.

Fremere* (13/9/1999)
Freme d’intorno un andare
nell’ombra e in inverno:
scrosci d’acqua piovigginosa
si attardano sul limitare;
nera ombra si spiana
e si dilata nell’oscurità:
rosse tempie tremende.
Andare disperso,
andare smarrito:
rimane il valore,
rimane il dolore.

* Dedicata a mio padre, che è un non vedente.

Il grillo col violino (23/11/1999)
Il grillo canterino s’innalza,
si adagia e sobbalza,
per le strade e per le vie
il suono del suo violino
si perde,
e cresce nell’armonia
e cresce per la via;
cantando e suonando
allegro e svelto,
e stride il suon flessuoso e gaio:
cri, cri, risuona: cri, cri…
e si perde per le vie.

Là, dove il mare… (19/10/2001)
Là, dove il mare è profondo,
fondo, fondo;
là, dove le onde si rincorrono,
corrono, corrono:
e le luci si disperdono
e lo sguardo si dirada,
si fa chiaro;
e l’amor mi raggiunge
col suo dolce sovvenir.
Là, dove il mondo ti dimentica;
là, dove il sole ti colpisce
col suo chiaror;
là, dove un lampo ti pervade
col suo baglior,
e in un abbraccio ti rapisce.
Là, dove l’oblio ti sommerge
con la sua luna;
là, dove il mondo ti abbandona
con la sua fine:
là voglio riposare,
e perdermi rapito
nel Sole: nell’amore infinito.

Paesaggio (19-20/10/2000)
Verdi alture frondose,
alpestri monti,
onde che si rincorrono
svettanti nell’azzurro mare,
che s’infrangono fragorose
su per la scogliera,
che si gettano a volo
in limpide cascate:
acqua pura e limpida,
fresca grazia luminosa,
natura viva e rigogliosa.
Alberati recessi luminosi,
solitarie rive, remoti monti
si espandono generosi,
e sprizzano vapori porporini
e fiammeggianti scintillano.

Indifferenza (3/5/1995)
Sentimento opaco,
che copri d’un velo
il mio duol,
e sotto s’inabissa
una tempesta;
il pensiero
prorompe improvviso
e quieto rimango:
mi attardo ramingo
nel tedio infruttuoso,
e un ampio abisso
mi sospinge
impietoso al dolor.

Barbagianni (20/2/1996)
Clownesco rapace,
che ti gitti per valli
e per tramonti,
la testolina tonda giri
e non ti curi del futuro,
e sempre cerchi
di portare il cibo
ai tuoi pulcini.
Grande strage fece l’umana
saccente ignoranza, ignara
della tua trasparente bellezza.

Sé e gli altri (16/3/1996)
Il grande immortale ruggir
avanza in mezzo alla gente
e scorge un’estraneità profonda,
non ritrova il proprio sé negl’atti
e negli effetti esterni:
ritrova il proprio sé,
l’obliato proprio sé fanciullo,
ritorna ai tuoi prim’anni,
al correre nei giri,
agli spazi di meraviglia,
alla giovinetta età.

Ultimi pensieri di un robot* (27/6/1995)
O umano mondo avverso,
ch’io mi ribellai,
a ché continuare a lottare?
Il mio sogno elettrico
è morto per sempre.

* Ispirata alla morte di Roy, dal film Blade Runner, di Ridley Scott.

Omaggio a García Lorca* (1/5/1997)
Felce d’azzurro,
scrosci di tempesta vespertina,
autunno vaporoso e nodoso,
rammarico dell’ormai svanito,
vita rossa di sangue coagulato,
erpici identici e convessi
in un plotone di fucileria,
schizzi incandescenti trasvolano
per la dura terra,
per un cielo di speranze placate,
di ardente divampamento di luce
a foggia di croce,
verso un punto centrale.

* Ispirata alla barbara fucilazione del grande poeta.

Secondo omaggio a García Lorca (13/11/1997)
Ali di vaporoso verde,
pettini concentrici
si schiantano nel mare
in rigurgito azzurro.

Assassinio: Terzo omaggio a García Lorca (18/12/1997)
Putrida vena,
d’un orizzonte disseccato.
I nardi esplorano
il loro chiacchiericcio inconsueto,
e nuvole di fango inondano
coi loro piombi infuocati.
Un’alba azzurra
si stende solitaria
su ambiguo crocevia,
e un riverbero di verde luna
si accende, su occhi di fumo.

Distanza: Quarto omaggio a García Lorca (11/1/2000)
A strapiombo sul mare
si staglia l’ombra
d’un’alga rinsecchita,
l’ombra d’un orizzonte
chimerico.

Metafora (6/7/1995)
Qual d’un febbricitante,
che scarno e smunto in volto,
vuol chiuder le tremende
imposte tempestose,
la speranza vien meno:
è disperazione!
Così all’ultimo stadio
studia di reagire al male,
e l’ormai non è più sogno
e, sconsolato… cade!

In volo (17/12/1999)
Librarsi, alzarsi:
oltre le vele,
oltre il mare immenso;
così io voglio volare,
innalzarmi
e sprofondare
nell’azzurro cielo:
vedo un albatro,
che possente
dalle ali ampie
e veloci si lancia in volo,
e non vorrebbe
più ritornare a terra,
lassù, in alto: fino in cielo.

Ricordo (28/10/1994)
O tu che l’ampia volta
della vita ascendi,
o tu che l’ampia prora
dell’azzurro varchi!
Il sonno m’inabissa profondo,
il mare mi plasma tranquillo,
ricado riverso
nel fianco ritorto,
ricado sommerso
nel freddo glaciale,
quel bianco dolore,
che mi arrossa la faccia,
quel freddo vapore,
che m’avvampa tremendo.

Canto d’amore (6/12/1999)
Leggerezza, delicatezza
soffusa e serena:
un fiore, che leggiadro
al primo suo fiorire,
espande per l’aria
gli odorosi suoi sospiri,
e irrora dolcemente,
e irradia di luce
l’aria della notte:
un’arpa ascolto,
lontano il suo suono
si perde;
sospirosi ardori,
sospirato amore,
ti chiamo
e nella notte mi perdo.

Dolcemente i suoi capelli… (24/4/2006)
Dolcemente i suoi capelli inanellava,
e mi beava nel rimirar
il suo bel viso,
il suo sorriso,
che languente mi sfuggiva;
e cercavo d’immaginar
i suoi begl’occhi,
che all’anima profondi balenava
in un sussulto,
in un singulto,
che veloce dileguava.


Home page  Lettura   Poeti del sito   Racconti   Narratori del sito   Antologia   Autori   Biografie  Guida   Metrica   Figure retoriche