Poesie di Salvatore Armando Santoro


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Salvatore   Armando Santoro

Santoro Salvatore Armando è nato a Reggio Calabria il 16 Marzo 1938, da madre reggina e padre salentino (terra alla quale si sente particolarmente legato) ed è laureato in Scienze politico-sociali presso l'Università di Torino.
Dedicatosi giovanissimo all'impegno nel sindacato fu tra i primi dirigenti della Cisl di Reggio Calabria prima e, all'inizio degli anni '60, dopo aver frequentato la scuola sindacale della Cisl di Firenze, si trasferisce in Valle d'Aosta dove ha curato in prevalenza il settore della formazione e dell'informazione. In tale veste è stato per diversi anni anche corrispondente per la Valle d'Aosta di "Conquiste del Lavoro", organo nazionale della Cisl.
A Reggio fu uno dei primi promotori del Movimento Federalista Europeo, e tale ruolo ha continuato a svolgerlo anche in Valle d'Aosta, partecipando a tutte le attività organizzative di quegli anni che gli permisero di venire in contatto con i grandi ideatori del progetto europeo, Alterio Spinelli, Giuseppe Petrilli, Mauro Ferri, Angelo Lotti, ecc...
Nel suo ruolo di sindacalista, a lui si devono due importanti convegni organizzati all'inizio degli anni '80 in Valle d'Aosta: nel primo furono tracciate le linee per un potenziamento del settore termale, dove  è  stato prospettato il recupero delle Terme di Pre' St. Didier e lo sfruttamento industriale di alcune sorgenti per l'imbottigliamento di acqua minerale del Monte Bianco (idee che poi si sono realizzate) e, in un altro convengo, invece, sostenne il progetto del collegamento ferroviario tra Aosta e Martigny che è  in fase di discussione in sede politica.
Dal 1986 è stato Segretario Regionale e componente dell'Esecutivo Nazionale del Sindacato Elettrici della CISL, compiti che svolse anche in Abruzzo, tra il 1989 al 1992, dove era stato inviato in missione per motivi di lavoro.
Dal 1997 è in pensione ed impegna il suo tempo libero scrivendo poesie e racconti, una passione che sviluppò fin da adolescente e non più abbandonata, ed alternando la sua presenza tra la Valle d'Aosta ed alcune località della Toscana (Pistoia prima e Grosseto adesso).
Vasta la sua produzione poetica e numerosi i premi letterari ottenuti. Le sue poesie sono state pubblicate su diversi periodici locali (a Messina, Reggio Calabria, Pistoia, ma prevalentemente ad Aosta su giornali, quali Le Soleil Valdotaine, La Region e La Vallè e Notizie, un giornale molto diffuso in Valle d'Aosta). Recentemente una sua impegnativa poesia sociale "La Razza" è stata inserita anche nella rivista trimestrale di Cultura e Turismo "Calabria Sconosciuta".
Le sue poesie sono presenti in molte antologie letterarie, soprattutto della Keltia editrice di Aosta, e nel 2007, anche la Regione Toscana ha patrocinato una antologia letteraria, "Pater" (Morgana Edizioni-FI) dove, insieme alla sua lirica "Edera amara", sono inserite liriche di personaggi di spicco della cultura italiana ed internazionale, quali Maria Luisa Spaziani, Andrea Zanzotto, Franco Loy, Smitran Stevka, Hinostroza Rodolfo, ecc...
Gran parte dei suoi lavori (poesie e racconti), però, sono on-line sul sito  www.poetare.it/santoro/santoro.html,  ma anche su altri portali nazionali ed internazionali che lo ospitano.
Nel Novembre 2006 ha stampato il suo primo libro di poesie, "La sabbia negli occhi", edito dalla casa editrice Pubblidea di Massa Marittima, che ha poi presentato in un recital di poesie che gli è  stato organizzato a Reggio Calabria il 3 dicembre 2006. Sempre in questo mese è  stato ospite di una trasmissione della emittente grossetana Teletirreno, nel corso della quale ha presentato il suo volume di poesie ed ha declamato diverse sue liriche sulla miniera. Di questo volume è uscita una seconda edizione per i tipi della Casa Editrice Libellula - Minuto d'Arco - di Tricase (Lecce).
Nel 2007, infine, è stato coinvolto nel "Progetto Legalità" organizzato dall'Istituto Professionale per i Servizi Alberghieri di Castrovillari (CS) in collaborazione con Amnesty International, ed ha partecipato alla conclusione del progetto stesso declamando agli studenti ed al corpo insegnante presente alcune sue poesie contro la violenza e la guerra.
Nel 2005 ha costituito a Boccheggiano (GR) il Circolo Culturale "Mario Luzi" ed è il Webmaster del portale
www.circoloculturaleluzi.net, sito specializzato in letteratura italiana e straniera. Contemporaneamente ha promosso il Premio Letterario Europeo di Poesia e Narrativa Città di Montieri che nel 2006-2008 e 2009 è stato patrocinato anche dal Presidente della Repubblica e nel 2009 dalla Rappresentanza in Italia della Comunità Europea
Nel 2008 è stato ospite a Casarano Lecce di una importante kermesse artistica inserita nel cartellone della festa dei Pugliesi nel Mondo ed ha declamato diverse sue poesie sul Salento, terra dei suoi avi alla quale è particolarmente legato.
Nell'agosto del 2010 ha pubblicato il suo secondo libro di poesie. Si tratta di 134 liriche inserite nel volume "Ad occhi chiusi - Poesie d'amore". Questo libro è stato presentato l'8 Agosto scorso, ad una manifestazione culturale organizzata dallo scrittore Pietro Zerella a San Leucio del Sannio (BN) nel corso della quale ha declamato alcune delle poesie contenute nella raccolta.

Nel 2013 ha collaborato con la Pro Loco di Patù (Lecce) per l'organizzazione del 1° Incontro dei Poeti Salentini, manifestazione che si ripeterà anche in futuro e con questa istituzione collabora per lo svolgimento del Bando Letterario Internazionale di Poesia e Narrativa Veretum.
E' componente di Giuria in diversi bandi letterari ed è spesso ospite in incontri letterari e poetici.
(Email:
armandosal3000@gmail.com ) - Tel. 3713757415

Leggi le altre poesie: Santoro2 - Santoro3 - Santoro4 ||  Leggi i racconti

L’amore perso
Ritrovare per un attimo
l’amore perso
e confondere i pensieri
con gli attimi di felicità
che la vita a volte ti regala
ed altre ti nega.
Dimostrare in ogni tempo
che l’amore
non ha età.

Anniversario Marco Pantani 2005
Ciao Pirata,
ti ritrovo ancora, amico,
con il corpo inanimato
reclinato su un cuscino,
e rivedo quel lumino
che la luce irradia stanca
e che ondeggia al levantino
che beffeggia la tua lastra
nel sepolcro di Romagna.
E riprovo, amico mio,
le emozioni che ci hai dato,
e la gioia ch’è mancata
dalla faccia dei tuoi fans
che invano hanno aspettato
di vederti riapparire,
solo, in fuga, sopra i colli
che il sudore tuo han raccolto,
e finanche il Mortirolo,
che ha deposto i suoi colori,
non regala più emozioni
ma il rimpianto dei tifosi,
che t’aspettano in bandana
per urlarti il loro amore,
che s’è spento una mattina
nella stanza d’un albergo
che la vita tua ha spezzato,
che agli amici t’ha negato.
Vai Pirata, vai felice,
sfreccia rapido nel cielo,
dove è assente ogni dolore,
e regalaci un sorriso,
quel sorriso che ho raccolto
sul traguardo delle tappe
che t’han visto vittorioso.

Il camino
Frigna la legna
e fuma;
scoppietta il ciocco
nel camino
e braci ardenti schizza
sulle pareti nere affumicate.
Lingue tremanti
disegnano colori
nel vano opaco
pieno d’oggetti e pinze.
Le fiamme altalenanti
rimbalzano sul volto
del vecchio che pasteggia
col suo boccale rosso
e mesce vino
ed accompagna con del pecorino.
Sonnecchia:
il capo pende
e sogna allegramente
più ricche messe
ed il granaio già colmo,
frutti pendenti
e nuovi arrivi
negli allevamenti.
Bela lontano
(oh accorato lamento!)
l’agnello nell’ovile
e la madre risponde
con disperato affanno.
Ché il mondo
è sì crudele
e del dolore altrui
alcuno più si cura.
E il pianto d’una madre
nessun petto commuove,
ne lacrime conosce
l’occhio che nulla vede
e al cuor nulla trasmette,
ché vivere o morire
nel mondo degli umani,
ai nostri giorni,
pietà più non produce,
ne sentimento alcuno
ormai procura.

Giovinezza spezzata
(A Giorgio Muratori)

Perché il sole si è spento?
Perché la luce ti è stata negata?
Perché la vita poi se n’è fuggita?
I tuoi occhi ricordo,
che mi guardavano increduli
e il tuo sorriso stanco;
ricordo il suon della tua voce
e l’ultima domanda che ascoltai
sulla lezione di storia
a cui non hai assistito.
E quella mano,
quella mano bianca,
che lieve mi porgesti,
che già sapeva di morte
e di abbandono,
mi rattrista la mente
e m’addolora,
e quel gelido contatto
mi tormenta,
oggi,
che l’inverno punge
e il ghiaccio strozza,
e il tuo sguardo si perse verso il cielo,
torvo di nuvole e procella,
quasi a cercare un sole che spariva
e che l’ultimo raggio ti negava.

Quei sporchi quattrini
Lo specchio ormai s’è consunto,
l’immagine opaca riflette,
la nebbia l’annega, la stinge,
e forse va bene così,
che tu non possa guardarti
per dire se hai torto o ragione,
che tu non debba vedere
il poco decoro rimasto
su un viso
ormai fatto di pietra,
che più non vuole capire
se tu sei vivo o sei morto.
Che inganno la vita!
A torto o ragione
si tenta di chiudere in fretta
le porte del cuore.
I soldi, i sordi interessi,
le solite ciance sull’amore filiale,
sulle colpe inventate,
costruite,
per poter annegare e murare
la coscienza e le voci reali
che urlano dentro,
che affoghi con stracci e bavagli
perché danno noia alla mente,
perché opprimono il petto.
E tu ridi se vinci la posta,
come se stessi giocando
ad un banco del lotto.
E non ti accorgi che stai seppellendo l’affetto,
che stai rompendo quei ponti
che più non potrai nuovamente costruire.
Ma l’animo ormai è inaridito,
non sente i richiami del sangue,
ormai più non vede
che un pugno di sporchi quattrini,
che sono la cosa importante
per i quali si può anche morire,
per i quali si può buttare alle ortiche
finanche l’amore
e la stessa tua misera vita.

Scorre lo sguardo
Scorre lo sguardo per colline e valli:
fiori insecchiti osserva e rami stinti,
la corsa lieve insegue dei cavalli
che nitriscono in coro nei recinti.

La folta criniera agita al vento,
la testa superba piega con fierezza,
scalpita, s’agita con dolce movimento
sotto lo zoccolo la dura zolla spezza.

La biada frange, l’umido occhio
spinge oltre la rete, la libertà pregusta
in folle corsa, come quando il cocchio
tira veloce sospinto dalla frusta.

Scorre lo sguardo e con lui si perde
aggrappato alla schiena sua ricurva,
galoppa tra le querce, in mezzo al verde,
i rami schiva, la fiera testa curva

scalpitando nei clivi maremmani
dove la pace regna e dove il cuore
trova rifugio nei silenti piani
senza più ansia, senza più dolore.

Dov’è Dio?
Io l’ho rinnegato,
respinto più volte,
ma Dio è dentro di me,
m’assilla.
Le mie poesie,
i miei poveri versi
sono spesso infarciti
del nome di Dio.
Lo irrido,
lo sgrido talvolta veemente,
il conto presento
dell’odio,
d’un mondo di guerre e terrore.
Gli chiedo perché mai non sente
l’urlo di tanto dolore,
perché il mondo è pervaso
dal male,
perché la morte la fa da padrona
e semina il lutto
e il pianto nei cuori.
Lui zitto!
Né ammette o dissente:
mi s’agita dentro
quasi fosse un malanno improvviso,
arrivato per caso a farmi star male.
Ma sembra che in fondo annuisca
su tutti i pensieri
che il cuore semina e sparge,
sembra che guidi e mi detti
le giuste parole che scrivo
che il mondo che crede
non vede.

L’assenza di Dio
Odio coloro che hanno certezze,
che sperano
in un mondo migliore.
Odio la loro sicurezza
e la loro speranza
che dopo la morte
vi sia una vita migliore.
Questi maledetti bastardi
mi beffeggiano con la loro fede,
sembra guazzino
nella palude delle mie incertezze
e ridacchiano volgarmente
alla mia razionalità
ed alla mia convinzione
sulla divinità del nulla.
Ed anche questo loro Dio
sembra mi guardi
e mi irrida
quasi a convincermi
che anche dal nulla
può derivare pace e conforto.  

La fine delle emozioni
Ho chiuso il mio cuore
alle emozioni.
La stanza del cervello
é sbarrata
ed il buio ha invaso
la coscienza
ostruendo tutte le sensazioni
che mi aiutavano a costruire
situazioni piacevoli.
Le bellezze
che erano intorno a me
si sono trasformate in ombre fugaci,
opache immagini
che non mi regalano più
le visioni d’un tempo.
L’orgoglio rimbalza,
come una palla di bigliardo,
e rotola confusamente
urtando biglie e pallini
e razionalizzando
irrazionalità e violenza.
Il sole
non illumina più i miei versi
e la notte mi regala
solo pensieri confusi
e rancore sordo.  

A volte rigiro lo sguardo
A volte rigiro lo sguardo:
lo poso sui libri,
su tutte le cose che lascio, sbadato,
qua e là sulle sedie,
su qualche scaffale.
Mi chiedo a chi questo
possa ancora servire
il giorno che gli occhi
avrò chiuso alla vita
e più non potrò in giro guardare.
Le cose più care,
raccolte con cura e archiviate;
i libri,
i miei scritti che con ossessione ho prodotto,
che geloso ho celato
affinché occhio indiscreto
non potesse a volte scavare
nei segreti del cuore,
nelle mie mille emozioni,
nelle mie trasgressioni nascoste alla vista.
Chissà le risate
che tanti faranno
a legger alcuni di questi miei scritti,
e certi pensieri nascosti,
le piccole cose che il cuor mi dettava
sereno
e che a volte con qualche emozione
su alcuni fogli commosso ho vergato.
Il giorno che il corpo
immobile e cheto alfin resterà
e le dita non guideranno sui fogli la penna
o non picchieranno i tasti consunti
del vecchio PC,
il giorno che gli occhi,
la luce del sole, il verde dei campi,
la neve dei monti,
più non potranno ancora guardare,
chissà le risate che molti faranno
sui versi e le rime che poi leggeranno.
Può darsi che poi non sia un malaffare
se in fondo da morto
la moglie o i parenti non abbian dolore
e quattro risate essi possano fare
su tutte le cose che avevo nascoste
e che, alfine, qualcuno ha trovato spassose.  

Una foto sgualcita
Una foto sgualcita
ho trovato.
Una frase appariva
un po’ stinta.
Una frase d’amor
d’altri tempi.
Ho pensato a colui
che l’ha scritta.
Sulle dune
c’era un uomo seduto.
La divisa
aveva succinta.
Era un uomo
dal viso abbronzato.
Nel deserto
il sole bruciava.
Mi guardava
dalla foto sgualcita.
Io non ero, purtroppo,
ancor nato.
Quella frase
andava a mia madre.
Ed a scriverla
era stato mio padre.   

Pace, pace
Pace, pace
agogna lo spirito
che si dibatte tra i pensieri
e offusca la ragione,
e rincorre spiagge solitarie
che solo il gorgoglio dell’acqua
scuote dal silenzio che li accarezza.

Pace, pace
urlo incessante al vento
che i rami scuote
e l’erba accarezza dolcemente
mentre ondeggia
come una mano leggiadra
che scivola sulla tastiera di un pianoforte.

Pace, pace
ricerco in quest’angolo di mondo
dove la gente s’affanna
a rincorrere beni inutili e fuggevoli,
dove il superfluo regna
e la ricchezza spreca.

Pace, pace
rincorro inutilmente
mentre i conflitti interni
accendono fuochi e sprizzano scintille
che nessuna acqua di fonte
riuscirà mai a spegnere
o affogare.   

Gandhi
Sfruttano la tua immagine
i mass media imbecilli
per lanciare messaggi di modernità
che stonano con la tua rinuncia
ai mezzi di comunicazione moderni.

Il lenzuolo bianco che avvolge il tuo corpo
contrasta maledettamente con i maglioni di Missoni
o i vestiti attillati di Fendi.

Le movenze del tuo corpo
simulano una pace interiore
che hai praticato con forza
e che ha piegato una grande potenza.

Loro pensano di utilizzarti
per mercificare i loro messaggi.

Ma tu resisti e ti opponi
con la tranquillità che illumina il tuo volto,
con la semplicità del tuo abbigliamento
che tu stesso hai cucito.

Ecco per una volta
il demonio è stato sconfitto
e la potenza del bene ha trionfato.

Il marketing ha partorito
la contro informazione
ed il ripudio del plagio
e del lavaggio del cervello.  

26 Settembre 2004
Ragazzi che giornata!

Il vento stanotte ha spazzato la nebbia
addensata,
vischiosa,
opprimente.

La costa m’appare splendente
col “Giglio” che sta come un fungo
appoggiato sul mare
e l’Elba rimira,
quasi fosse uno specchio
in cui sembra si voglia guardare.

La Corsica occhieggia:
Bastia addita il Tirreno
e lieve s’adagia su un mare
sereno.

Scorre l’Aurelia;
ed anche l’occhio va dietro:
rimira la costa ed il mare.
La striscia continua
nel suo bianco candore
scorre e macina metro su metro;
sotto il motore scompare
e lascia una scia alle spalle
che dondola come un nastro volante,
che sbanda e ondeggia incostante.

Il mare carezza la costa:
l’onda si frange silente
e rotola pigra tra i sassi
coi corpi assonnati,
arrossati.

L’occhio insegue i riflessi
del sole,
che schizza i suoi raggi argentati
e acceca la nera pupilla.

Allungo la mano
ed afferro il calore
di questa giornata incantata.

Mi tuffo nel cuore
di questi colori cangianti:
l’azzurro intenso del mare,
un cielo cobalto,
il verde che copre ogni gobba,
che dipinge con forza il piano ed ogni collina,
coperta di ulivi ed alti cipressi,
che ondeggiano lievi
e vanno a San Guido
le odi a cantare al vate scomparso,
che ormai più non vede
e che più non riesce neppure ad amare.  

Un fiore rosso
Un fiore rosso
in un vaso d’argilla
collocato sui gradini d’una casa
d’un vecchio borgo maremmano.

Una farfalla
corteggia le corolle
e sul calice si posa.

Un raggio di sole l’accarezza
e da colore
alle sue ali ondeggianti
al vento.

La tristezza d’una giornata opaca
si colora di luce
ed accarezza il cuore.  

Rifuggire la morte
Imbottito di tritolo,
per le strade me ne vado,
tutto solo.
Poi d’un tratto:
Bum, bum, bum.
La mia vita ho via buttato
come straccio sul selciato.
Il mio corpo non c’è più.
Io non sono mai esistito
e con me mi porto dietro
venti o trenta disgraziati
che alla vita eran legati.
Non capisco come ho fatto
di buttare via la vita,
di spezzare il mio cammino
d’abbassar la catenina
che la luce m’ha negato.
Non è stato certo il fato,
e non credo più al destino,
non è stata ideologia,
e neppure religione.
Può guidare mai il mio Dio
La follia di tanta gente?
Può affidar l’Onnipotente
alla mano di un passante
di punire gli infedeli?
Può volere il Padreterno
che il mio corpo si sbrandelli
e rinunci io alla vita
che la luce e il buio mi nega?
Se rinasco musulmano
non mi faccio abbindolare
da chi pratica vendetta,
da chi genera violenza.
Se rinasco protestante,
non m’importa di Maria
e neppure di Giuseppe.
Non m’importa di sapere se Mosè
se l’è inventate
le sue tavolette sacre
che scolpito s’è sul monte.
La mia vita gusterò
fino all’ultimo chiarore.
La violenza negherò
e regalerò l’amore.

Non sono diverso
Non sono diverso
da tanti altri
uomini
che affollano la terra.

Penso d’avere
gli stessi pensieri degli altri,
le stesse ansie
e gli stessi dolori
di tant’altra gente.

Forse io riesco
a trasferire i miei sentimenti
su un foglio di carta
e descrivere meglio degli altri
le mie emozioni.   

Orme sfuggenti
Quest’orma che lascio,
pensante,
quest’orma che l’onda cancella,
fuggente,
quest’orma solo lascia una traccia,
un pensiero
che ormai sa di nulla,
di niente.

Scorre,
scorre il dialogo,
udibile solo dai sordi
che la bocca osservano quieti
che si muove e lancia messaggi
che coi gesti qualcuno trasmette.

Quella traccia sull’irta scogliera
scalderà il sole d’agosto
e il vapore che al cielo sublima
porterà quel messaggio incompiuto
come fosse un’ardente preghiera
che non scioglie ne dubbi o sconforto
e che lascia il pensiero com’era:
una traccia,
che l’onda stasera
non cancella e la lascia al vicino,
che ci legge i segreti del cuore,
ed invia messaggi incompiuti
per coloro che vengono dopo
e che forse conservano in cuore
una voglia infinita di pace
e per sempre odieranno la guerra.

I segreti del cuore
I segreti del cuore
se ne stanno appisolati
in un angolo di mente,
in silenzio
per non farsi sentire.

Bussano con insistenza
alla porta dell’angoscia
quando l’affanno, e l’ansia,
ruba il riposo e il sonno.

Se ne restano lì,
senza valore alcuno,
come inutili panni
che si logorano
insieme agli ultimi tuoi anni.  

Il ricordo della storia
Dei miei poveri versi,
dei miei dolci pensieri,
delle mie follie
sulla pace
e sulla necessità d’amore
tra le genti,
cosa mai rimarrà
per il domani?

Solo appunti sbiaditi
che il vento disperderà
o l’incuria sciuperà.

Ma dell’omicida
che ha tolto la vita a un Presidente,
del folle che sparò
un dì sulla folla,
d’un dittatore sadico e violento,
d’un tiranno impunito,
la storia ne parlerà in eterno.

A volte la follia mi sfiora
e l’idea del ricordo della storia
mi affascina.  

Fuga d’amore
Son fuggito per amore,
ho strappato via il mio cuore,
la mia mente ho sotterrato,
giù in Calabria,
sopra un prato.
Su quel prato ero sdraiato
e le rondini guardavo
su, nel cielo, volteggiare,
li sentivo sibilare
mentre liberi s’alzavano,
scomparivano alla vista,
si tuffavano nel nulla,
riapparivano nel cielo
pennellato di cobalto,
o di nuvole serene.
Il mio amore ho seppellito,
seppellito in riva al mare,
dove l’onda corre e atterra,
dove il vento urla e singhiozza,
dove infuria la tempesta,
dove il sol brucia d’Agosto.
Nel mio cuor non v’è più festa,
ma risento un canto antico
e le note lievi andare
per il Corso allegramente,
dove passa ancor la gente
che si ferma ad ascoltare
le tue mani dolcemente
la tastiera accarezzare.
E tu suoni, suoni e pensi,
pensi ai giorni ormai passati,
alle frasi pronunciate
che ancor suonano nel cuore
come note di chitarra
che lambiscono la notte,
che colpiscono la mente,
e ti parlano d’amore.
D’un amore ormai finito
di cui più non hai un ricordo,
d’un amore ormai invecchiato,
con le rughe sulle mani
e con gli occhi quasi spenti
che si sforzano a guardare
su una spiaggia ormai scomparsa
una bimba sorridente
di cui ormai non sa più niente.   

Amore mio lontano (2)
Amore mio lontano,
che il mare guardi dal verone aperto,
che qualche nave osservi indifferente
solcare l’onde smosse dalla brezza,
ti immagino a quest’ora affaccendata
a governar la casa e i tuoi parenti
con la lena e l’impegno
che riversavi in tutte le tue cose un tempo.

Ma io ti vedo anche sorridente,
con le movenze timide di allora,
con la freschezza della dolce etade,
con i pensieri liberi e sereni,
accudire le cose tue e gli affetti
che hai costruito col tuo nuovo amore.

E forse non ricordi (o non ci pensi)
all’ansie passate ed agli scoramenti,
ai stratagemmi e a tutte le follie
che abbiamo fatto per restar vicini
anche su un treno
il giorno che all’esame
tuo padre ti portava
un dì lontano.

Poi le nostre felicità ed i dolori
vennero meno;
anche l’amor cessò, come ogni cosa,
ed ognuno seguì la propria strada
ignari dell’ansia e dei tormenti
che dentro il cuore portavamo stretti.

Ma ogni tanto a te vola il pensiero:
ma non ti vedo con l’aspetto attuale,
ma con il viso libero d’un tempo;
non ti immagino mentre rigoverni
o t’affaccendi dietro ad un fornello,
ma ti penso con il cuor sereno,
con la tua cara immagine d’un tempo,
mentre mi vieni incontro sorridente
ad un appuntamento frettoloso
a cui più forse tu neppure pensi.     

Al potere
Oh, potere, potere,
tu che offuschi e opprimi
la coscienza dell’uomo
e cambi la storia,
tu alletti e ripugni;
Oh potere, potere,
tu che aduli e plagi
ragione ed azione,
ti odio e pur m’alletti.

Odio la tua macchina infernale
che macella e che spacca,
che trita e frantuma
gli spiriti forti ed i cuori puliti.

M’alletta la tua violenza
di infondere forza,
di produrre energia e vigore
anche agli spiriti deboli
che assaporano il gusto
d’esser leader, sebbene per poco,
di sentirsi stimati,
temuti,
obbediti.

Il mondo selvaggio,
un di governato
dalle leggi del nulla,
d’un tratto diventa apprezzato,
infonde certezza,
dimora e ristoro,
e pur sicurezza.

Il branco non razzola
nel nulla e nel niente,
più non vacilla
e neppur più si scompone.

Le regole impone
la legge del forte,
decide e corregge,
infligge e punisce,
costringe le genti
in regole dure,
difficili forse
a far rispettare.

Dissenso produce,
e un ordine strano
riunisce e compone.

Dissenso che poi si scompone,
che assente e dissente
che crea le ragioni.

E tutto confonde:
idee e sentimenti,
che sbriciola assensi
e forti reazioni
produce e converge.

E poi il nulla:
il tutto finito,
il ritorno sofferto
alla tua dimensione,
che ancora una volta
ti lascia stupito
e t’addita con forza
la chiara visione
d’un nuovo potere
che è nato e s’impone.   

Il piccolo maestro
Fruscio di un pennino
su un quaderno con il bordo rosso
ed una copertina nera,
inchiostro preparato in casa,
memoria passata di autarchia,
scritte sui muri:
"Quaderno e moschetto"
e altre amene allegorie
che non ricordo bene.
Un gran faccione con elmetto in testa
nero dipinto in fondo alla parete
del nostro duce assoluto: Mussolini.
Miasmi intensi d'un refettorio
al piano terra,
odore di latte e di farina di piselli,
che m’hanno disgustato
e che non ho mai più mangiato.
Quaranta e più bambini
a disegnare le aste su un quaderno.
L’austerità di un giovane maestro
con la bacchetta in mano
e gli occhialini tondi sopra il naso.
Ciccio mi fece ridere una volta
e quattro bacchettate a mani tese
raccogliemmo ambedue per punizione.
Poi mi ricordo che tornato al banco
scuotendo le mani pel dolore
Ciccio mi riguardò: si rise ancora.
E nuove frustate ancor più intense
ci levarono il sorriso dalle labbra
facendoci capire che una nuova sfida
non sarebbe più stata conveniente.
Ogni tanto, oggi, ci penso
quando assisto a certe proteste studentesche
che sfilan contestando i professori
e amaramente mi ritorna in mente
quella bacchetta e le mie mani tese.

Mano callosa
Dammi
la tua mano
callosa
e rude
ch'io la possa
sentire
ancora una volta
prima
che il freddo
abbraccio della morte
la decomponga
e la distrugga.

Hai lavorato la terra
fin da bambino
ed essa
regala, oggi,
un dolce riposo
alle tue membra stanche
cullandoti
tra le sue braccia.

La nuova via Marina
Che tristezza,
che tristezza amore mio,
ti rivedo col tuo sole risplendente,
coi viali verdeggianti,
con i fiori nelle aiuole rinnovate,
con le palme e gli oleandri rigogliosi,
con la gente che passeggia come un tempo,
con gli amici che viaggiano a braccetto
o riposano seduti a una panchina
discorrendo degli affari d’ogni giorno.
Che tristezza a star lontano
e che gioia pulsa in cuore
rivedendo questa via, tutta quanta ricostruita,
coi lampioni illuminati, che accarezzano la notte,
appoggiati alla ringhiera
che non è stata cambiata ma soltanto rinnovata
ed il mar che rumoreggia e biancheggia sopra i sassi.
Che tristezza, o mia città,
a fissare il tuo via vai sulla nuova Via Marina,
con le auto colorate che mi sembrano sfrecciare
e la gente sorridente che felice vedo e sento
rumorosamente andare.
Sullo schermo t’ho fissata,
amor mio non t’ho scordata;
mi sembra anzi di sognare
e mi sento riabbracciare
da un amico che ho lasciato,
che a un tratto m’è riapparso
e felice m’ha chiamato.

Massacro
Si gioca al massacro!
Come una girandola
infernale
tutti gli assistiti,
i lottizzati,
i compromessi,
tutti quelli
che con le scarpe strette
stavan ben nel sistema,
all'improvviso
scopron d'essere onesti.
Una moda nuova s'affaccia
sulla scena politica
italiana:
stilisti improvvisati
lanciano nuovi costumi.
E tanti, molti direi,
s'accalcano allo stand
dei nuovi venditori.
Tremano i potenti,
coinvolti
negli scandali da sempre,
assaggiano il calice amaro
dell'umiliazione
nelle prigioni di Stato.
Inconsciamente,
il popolo impotente
sfoga le sue frustrazioni
mandando al macello
corrotti e corruttori.
Come una Santa Inquisizione
la macchina infernale
dei poteri contrapposti,
della ragion di stato,
miete nuovi raccolti
e la potenza delle delazioni
diventa morale corrente,
arma di resurrezione
in mano agli oppressi
da sempre.
Guardo
con occhi impotenti
l'evolversi degli avvenimenti:
l'Oracolo di Delo
non predice nulla di buono.
Gattopardesche intenzioni
s'agitano nella coscienza
dei manovratori?
Anch'io "fedele suddito"
dovrò diventare
"un borbonico schifoso"?
Assisto impotente
ad una sceneggiata
che si replica da un'eternità
con il botteghino sempre esaurito:
una macchinosa operazione
che sfrutta il mio consenso
per lasciare le cose
sempre al solito posto?

La mimosa
Marzo è appena arrivato
e già i primi rami
si colorano d’un giallo vivo
tra il verde intenso delle prime foglie.

Ma l’8 marzo è vicino:
e già qualcuno
comincia a troncare i rami
e deturpar la pianta.

Gioiscono le donne sulle piazze:
le mimose inondano le tavole imbandite
e guarniscono i vestiti
ed ai capelli donano colore.

Piange in silenzio
l’albero della mimosa
e i moncherini,
spogli e privi di colori,
tende mesta al cielo,
che osserva impotente
e, poi, perdona.

Il contenitore
Noi viviamo in un gran contenitore
con gente d’ ogni razza e colore,
a volte per strada ci infettiamo
perché in promiscuità ci ritroviamo.

Ognuno di noi s’affanna a ricercare
qualcosa per meglio potersi tutelare.
Sul tram ci si regge con i guanti,
cosa che al mercato fanno in tanti;

e se qualcuno palpeggia le derrate
ci si indigna e si finisce a cazzottate,
perché è meglio le cose far capire
piuttosto che in ospedale poi finire.

E nella foga di stare a sottigliare
le cose serie si smette di guardare
perché molti prodotti di consumo
non sono arrosto ma soltanto fumo

e vengono prodotti in altri mondi
a volte usando dei concimi immondi
che son banditi nella nostra civiltà
ma altrove vengono usati in quantità.

Poi ogni tanto arriva un’epidemia
e tutti in fila a protestar per via,
ma appena ch’è passata la paura
la vita par sembrare meno dura.

Così ce ne restiamo ad ondeggiare
nel nostro contenitore, e veleggiare,
e chiusi nelle nostre quattro mura
lasciamo che si avveleni la natura.

Indifferentemente
Incatenato ai miei molli ozi
mentre intorno a me
il mondo si consuma
e si distrugge.

Indifferentemente
mi rigiro sulla mia comoda poltrona,
un po’ sonnecchiando,
mentre la TV
mi regala immagini distensive
per rilassarmi
dopo una giornata di lavoro.

Bimbi agonizzanti
che si disperdono
in infinite colonne
verso mete impossibili.

Soldati e civili sgozzati,
sanguinanti, morenti.

Proiettili telecomandati,
lanciati da sofisticate
macchine di guerra in volo
su sperduti villaggi
e indifesi accampamenti
di esuli in cerca di patria.

Guardo indifferente
e sguscio indolente qualche noce
ed accompagno
con un buon bicchier di vino.

Natura
Dai rosseggianti fianchi della montagna,
sprizzano polveri e fumi venefici
ed il tremore
che si sprigiona dagli abissi
suscita ancestrali paure
che ci ricorda con monotonia
la provvisorietà della natura umana.

Tu t'innalzi potente,
la tua scienza sembra aver vinto
e domato a se l'universo.
Ma basta un improvviso temporale,
un sovrastar alto di onde sulla terra,
il rapido passaggio d'un ciclone,
per rivelare la fragilità
della tua natura.

Anche se costruisci sbarramenti imponenti
col ferro e col cemento,
basta un attimo d'ira
e la natura ti dimostra l'incontenibilità
della sua potenza
e le piccole dimensioni
della tua statura.

Noi stessi al mattino
Svegliarci all’alba,
ancora assonnati
ed affacciarci sul mondo
per vedere i primi voli
dei merli nel giardino
e le prime battaglie
dei maschi dominanti
per il controllo del territorio
o della propria femmina.

Noi stessi al mattino
entrare nelle nostre
marmitte catalitiche
ed avvelenare il mondo
e la vita di questi pennuti
che ci svegliano
con i loro canti armoniosi.

Noi stessi al mattino,
vandali,
che distruggiamo le nostre città
ed attentiamo
alla vita dei nostri figli.

Nostalgia
Finito il giorno,
finito quasi l’assillo,
la foga, il fare,
medito,
coperto in parte dal pio fanale,
che tenue irradia
ombre silenti
tra nebbia e pioggia
in questa parte
d’alta Maremma
che guarda il mare,
e Prata sfugge
dal maestrale.
Sale, sale ululando,
spinta dal vento,
una frizzante brezza marina
e tra la croce del campanile,
gira, l’avvolge,
quasi mi assale
e pare voglia forte afferrarmi,
tra questi monti poi trasportare.
Dall’alto miro
i campi verdi,
folti di querce e di castagni,
le luci ammiro di Radicondoli,
spingo lo sguardo fino a Chiusdino,
volo sull’Elba
come un gabbiano,
col vento lieve m’alzo, e m’abisso
tra questi monti, in fondo al mare,
e finalmente
non più pensare,
tutte le pene dimenticare.

Il cardellino malato
Gonfio come una palla di cotone,
tremante e con gli occhini chiusi
t’abbiamo trovato stamattina
vicino all’armadietto sul balcone.
Il panetto del burro era vicino,
il riso anche e le briciole di pane
che spargiamo in giro nel giardino.
Certamente da molto comprendevi
dell’amore e delle tante cure
che noi si riservava alla tua specie
ed un rifugio al sicuro hai tu cercato
stamani, quando sfinito da noi ti sei fermato.
Non avevi più forza, forse il gran freddo
aveva indebolito la tua fibra.
Respiravi a fatica, paura non avevi,
a stento ti muovevi in mezzo ai piedi.
Hai cercato di beccare appena il burro,
ma un altro cardellino t’ha scacciato,
che la legge dura di natura
nulla capisce e poco intenerisce.
T’abbiam raccolto ed in casa collocato
in un giaciglio con riso, burro ed acqua
al caldo tepor d’un radiatore.
E dopo un’ora sembravi migliorato
e dormivi tranquillo
con la piccola testa sotto l’ala.
T’abbiamo solo lasciato per un giorno
sicuri di poterti l’indomani
lasciarti libero sui rami di volare
insieme alla compagna tua
che ti chiamava
sulla finestra fischiando tristemente.
Ma a sera, appena in casa rientrato,
disteso e freddo t’abbiamo ritrovato
che già t’aveva la vita abbandonato
e mai più sui rami avresti saltellato.
Mi resta adesso questa pena in cuore
d’una vita che ancor s’è consumata,
ma son certo che quel nostro amore,
che alla lenta agonia s’è accompagnato
la morte tua senz’altro avrà addolcito.

Occhi
Occhi,
occhi immobili e pensosi,
che scrutate in ogni angolo
del mio cervello
e scorrete impietose
storie passate e non dimenticate
che riaffiorano
a volte
a consolare le mie giornate vuote
o rimproverare le mie colpe passate.
Occhi miei stanchi,
che avete gioito
nei giorni del dolore
e sofferto in quelli della gioia,
siete impietosi.
Nulla si può celare,
o cancellare al vostro sguardo.
Tutto riaffiora,
a tratti:
felicità passate
e patimenti,
fame, miseria,
e giorni di disperazione.
E rivedo i miei cari,
risento canti lontani
e giorni da dimenticare.
O mie felicità ormai seppellite
in un loculo
senza preghiere e fiori
cosa mai più mi dite?
Parole portate via dal vento
che mi sfiorano al soffio del Grecale
e si disperdono tra questi estesi boschi
che circondano la mia nuova dimora
fuori dal mondo, fuori da ogni assillo.

Partecipazione
Perché la storia del passato
non insegna mai nulla?
Cosa macina il cuore
delle nuove generazioni
per non capire che l’indifferenza
è il nemico della loro libertà?
E’ vero che il potere
è un mostro insensibile,
inutilmente si spera
ch’abbia un volto umano,
che possa capire.
La storia si costruisce
con la paura o il consenso.
Ma l’artefice è sempre lo stesso:
il denaro!
L’avversario più temibile
è la partecipazione.
Non capirlo
significa dare spazio alla sopraffazione
e subire la legge della giungla.

Primo amore
Primitive emozioni,
rossori di gote e palpiti di cuore,
tremor di voce,
farfallio di mente.

Nottate bianche,
parole perse su fogli colorati,
scialbe mattine
sciupate a meditar per il domani.

Pensieri dolci
tra gli olmi d'un viale,
pudici baci
e piccoli tormenti.

Prime sessualità
confinate in un toccar di mani,
represse tra tenerezze
e semplici carezze.

Terrorismo
La mia libertà d’essere popolo
la rivendico
a suon di cannonate.
Non guardo in faccia alcuno:
la mia terra è invasa da termiti
che corrodono la mia libertà,
che opprimono la mia cultura.
Non mi interessano i pianti delle mamme,
né il dolore delle vittime.
Il sangue?
Sgorghi pure a rivoli
ed infetti la terra
che fu dei miei padri.
Tanto l’acqua lo laverà
ed il tempo lo cancellerà.
La mia coscienza?
Non l’ascolto più da tempo!
E’ figlia del conformismo
e dei compromessi dei notabili locali.
La violenza?
Noi l’abbiamo subita da secoli,
i potenti l’hanno esercitata sempre
foraggiando i lacchè di stato ed i corrotti.
Vi sembrano crudeli le mie parole?
Ebbene, guardatevi intorno e riflettete.
Di popoli oppressi è piena la terra:
ma il sangue degli altri non ha odore
e neppure interessa.

8 Marzo?
Ohibò, l’8 marzo è già passato!
Scusami moglie,
se in man con la mimosa
a casa l’altro ier non son tornato.
Mi fa pena, ogni anno, il sacrificio
di tanti rami per ornare il petto
delle donne felici a festeggiare
un giorno che davvero assai banale
è diventato dopo un tempo andato
che valeva la spesa d’esser festeggiato.
Un dì la festa aveva una ragione,
non v’era dietro sol coreografia:
v’era la festa vera delle donne,
v’era una ideologia
legata intanto all’emancipazione,
che aveva il senso d’una battaglia vera
dalle donne vissuta come fosse
un’altra lotta di liberazione.
Oggi mi sembra solo un’occasione
offerta dai caffè e dai ristoranti
per un coperto in più,
oppur incoraggiata dai fiorai
per vendere qualche mazzetto di mimose,
che ti fanno pagare a caro prezzo
rifilandoti fra l’altro un surrogato.
Pertanto, cara moglie,
(visto che poi da tutte queste lotte
nulla sembra cambiato tra di noi)
scusami se me ne resto indifferente
e piango per le povere mimose
che vengono spogliate tristemente
dei loro rami più belli ed odorosi,
che abbelliscono le ultime giornate
del freddo inverno e delle nevicate.

Emanuel
Ciao, ragazzo mio,
non ho la fede sufficiente
per dirti: ”arrivederci”
e la vorrei.
T’ho visto l’altro giorno,
sorridente,
e ieri t’ho accompagnato al camposanto,
chiuso dentro una fredda bara,
in un giorno di gelo e di dolore.
T’ho dato anch’io un’ultima carezza;
mi son segnato
con un gesto vano che alla vita
ormai più non ti porta.
Come un figlio t’ho pianto
e ricordavo tutte le tue premure
quando nell’officina ti trovavo.
Dura e crudele
sembra oggi la vita
e il pensiero m’opprime e mi tormenta
a saperti rinchiuso tra i lumini
fra tanti fiori che al gelo appassiranno
e che non guarderai mai più
al mattino.
Ma se un cielo esiste oltre la vita,
corri libero, corri bambino mio,
tra i verdi pascoli colmi di colori,
che il mio amore sempre t’è vicino
insieme al mio pensiero,
e con la mano tua stretta alla mia
tra le nuvole bianche mi trasporti
libero dai dolori e da ogni assillo.

L’allodola
Nel mio giardino
l’alba filtra tra gli alberi scarni;
le ultime chiazze di neve
dipinge d’un roseo appassito
e smuove le gocce
che scivolano lente
lungo il sentiero
che bacia le sponde del Lys.
Già un tempo,
il vate che a Bolgheri
parlò coi cipressi,
tra queste vallate si perse.
E il suo canto
raccolse il fiume impetuoso
e racchiuse tra gli orridi di Guillemore
scavati tra i monti
nel lungo suo andare.
E un’allodola il verso riprese
e trasmise nel tempo
alla nuova progenie.
E al mattino il gorgheggio ripete
le parole apprese a memoria
e trasmette, da un ramo
d’un vecchio abete arroccato nel bosco,
melodie che sol io
ancora riesco a sentire, e capire,
e su un foglio di carta archiviare.

Scandali
Processi e processini,
scandali e scandalini,
giudici che accusano
e poi diventano accusati.
Gira e rigira il fritto
sembra sia sempre uguale.
Il processone SME,
azienda dello Stato,
vede cento accusati:
corrotti e corruttori
vengono incriminati.
Poi dal cilindro il mago
estrae una nuova legge:
corrotti e corruttori
dicon che di certo
son dei perseguitati.
Ma io domando a un tratto:
- la SME allor era stimata
mille e trecento e più miliardi,
De Benedetti offriva
cinquecentocinquanta appena,
mentre il Berlusca, invece,
ne dava cento in più.
Dov’è mi chiedo (scemo!)
la grande convenienza
di cedere a quest’ultimo
quello che doppio val?
Anche con cento in più
lo Stato non vi pare
che resti raggirato?
Se è ver che certa gente
ama tanto la Patria,
come si sente dir,
perché non ha mai offerto
per questo affar di stato
il vero suo valore?

Senza le mutandine
Un viso senza età,
la prima pelugine
che incorniciava una vulva
appena sbocciata.
E tu sentivi il desiderio
di farti vedere
per dimostrare ch’eri già donna.

Attimi di desiderio,
che diventavano sempre più forti
nel momento che noi ragazzini
ti guardavamo con indifferenza
e con il cuore in tumulto.

E tu lo sapevi,
impudica e provocante,
e già godevi le prime tue sessualità
che guidavano nel silenzio della notte
le tue dita
per i primi piaceri solitari.

E li ricordo quei momenti,
li rivivo adesso che la ragione
mi ha liberato dai miei complessi,
e provo gioia e tenerezza
a rivederti seduta
su quei vecchi gradini
d’una casa che ormai non c’è più
e che, forse, sogni ancora.

Stranamente
Stranamente
mi par d’essere uguale
al bimbo
che giocava sotto casa
con giocattoli
costruiti a mano
col poco materiale
che s’aveva.
Stranamente
non mi par d’esser cresciuto:
mi sento sempre uguale
a quel ragazzo
che tante volte
la scuola marinava
e se ne andava per il lungomare
a passeggiare, indifferente
ai rimbrotti della mamma
o dei parenti.
Eppure lo specchio mi regala
immagini diverse,
ch’io non riconosco
e che rifiuto
d’essere quelle vere.
Io sono così:
come mi vedo,
dentro.
Un bimbo fantasioso,
che sogna ancora
d’esser medico, un giorno,
per curare
tutti i mali del mondo
e trasformare in sorrisi
tutti i dolori della gente.

Per amor farò tutto
Lo avverto, la sera,
seduti quasi in penombra
a guardar la TV
che rimbomba.
Ogni tanto la mano mi prendi:
la carezzi;
ed io guardo lontano.
Se rinasco
lotterò per amore,
non m'importa del bello
o del brutto:
per avere il mio amore
farò certo di tutto.

L'amore andato
Emozioni e rossori
a scoprire i segreti dell'anima,
quando l'amore era negato
e, gli appuntamenti, segreti di stato.
Battiti intensi nel petto,
come un frullar d'ali
inquieto e frettoloso.
Timori d'esser visti
e felicità
di due mani avvinte,
come un'edera a un tronco,
seduti sui gradini
di stradine acciottolate
o su muretti fuori mano
che guardavano il mare.
E poi il silenzio del cuore,
ed i ricordi
che ogni tanto ti rinnovano
tenerezze ormai finite,
archiviate sugli scaffali alti
d'una libreria
che solo tu sai ritrovare.

Tenerezze
Aprimi le tue braccia
e stringimi ancora una volta
prima che l’alba
cancelli quest’attimo di felicità
che sta appassendo.

Non temere
di ripetermi stanche parole
imbevute di gocce di rugiada
che restano impresse nel cuore
e che il sole
non potrà mai asciugare.

Regalami i tuoi sorrisi
e le tue carezze,
stringi forte la mia mano,
fammi riprovare per un attimo
le sensazioni
della tua pelle eccitata
ed il calore del tuo corpo
come se il tempo
non avesse mai
varcato i cancelli.

Il crack
Crack, patacrack!

Ecco ti sei fidato!
Da quel signore affaccendato,
che navigava preoccupato in internet
nei meandri della borsa,
sei stato influenzato.

E’ un gioco, bischero,
non lo sai che è un gioco?

Pensavi d’arricchirti
puntando i tuoi risparmi
sulla piazza di Zurigo
e, in parte, su quella di Milano.

Ma il gestore ha giocato al ribasso,
tu questo non lo prevedevi
e già sognavi
un viaggio distensivo alle Maldive
col guadagno che ti veniva
dagli utili di Borsa.

Ma l’impresa è fallita:
le cedole si sono ritirate
e solo un po’ di carta,
arrotolata,
t’è rimasta tra le mani.

Business
Sfoglio pigro
la pagina d’un giornale:
un’enciclopedia,
diciotto videocassette,
possibilità d’acquisto rateale.
Immagini di guerra,
morti sgranati dalla mitraglia,
dilaniati dai mortai.
Immagini che sfuggono
nella memoria d’un tempo.
Inseguo volti di estinti,
forse un lontano parente
morto sul Carso
o con le gambe perse
sugli argini del Piave.
Io piango i morti
della mia classe,
schiava.
E chi al macello li ha mandati,
lucrando sulla Grande Guerra,
oggi vuol guadagnare nuovamente
vendendomi le atrocità
che i suoi massacri
hanno un tempo lontano generati.

Castagno
Chi sono,
io, che m’aggiro
per i vicoli persi
tra i silenzi
rotti dal canto dei merli
e dal frinir delle cicale?

Gira un archetto:
esperte dita di donna
sembran suonare
melodie con la lana
che si trasforma in filo.

Un vecchio (del ‘15-18)
s’aggira dolorante
su un piazza
e mi guarda in silenzio
mentre gli rubo qualche immagine
furtiva
e ne fermo per sempre i movimenti
su una pellicola a colori.

Mi sorride una vecchietta
seduta fuori dall’uscio
di un’antica casetta
e un bimbo mi saluta
agitando la mano
da una finestra aperta.

Alzo gli occhi
e osservo voli di rondini
planare e risalire
in una corsa infinita
ad incettare insetti
per la nidiata sempre affamata.

Questo è Castagno:
dolce paese
dove nessuno mi conosce
ma che conservo nel cuore.

Cicale
Assordanti,
ripetitive,
noiose.
Quella sega
stridente
le orecchie
mi avvilisce.
Eppure le amo,
nel caldo torpore
d’un pomeriggio
mediterraneo,
abbracciati ai rami
degli ulivi,
delle betulle,
ai Piani di Galatina,
mi ricordano
affetti ormai finiti,
carezze e rimbrotti
che riposano
tra i lumini
d’un camposanto
che mi opprime
e mi tormenta.

Partenze pasquali
Non schiaffeggiamo
la miseria umana
con i nostri spot
e le cronache
di vacanze annunciate.

Anche noi partiamo,
profughi,
per terre sconosciute
che ci negano ospitalità
e rifugio.

Anche noi partiamo,
con le nostre gambe
e a piedi nudi,
per le vostre discariche opulente
in cerca di vestiario e cibo.

Anche noi partiamo,
implorando aiuto e medicine
per i nostri figli agonizzanti
che non hanno più la forza
neppure di scacciar le mosche.

Anche noi partiamo,
a pregare un Dio,
certo diverso dal vostro,
che ci regala solo lutti
e morte a piene mani.

Anche noi partiamo
in cerca di speranza
e d’un destino migliore,
su una carretta del mare
guidata da assassini,
per una spiaggia che non conosciamo
e spesso senza ritorno.

Pasqua
Cristo, Cristo,
tu muori e risorgi,
indifferentemente
ad ogni primavera che arriva.
Come l’erba sui prati,
come i rami
che brulicano di corolle colorate,
bianche, rosa, vermiglio,
tu rinnovi
la tua lugubre sinfonia di morte
ed il chiassoso scampanio
della Resurrezione.
Ma dillo ai tuoi preti,
urlano ai tuoi Pope,
ripetilo ai governanti
che si fanno benedire
insieme alle truppe in partenza
che vanno a portare la morte in terre lontane.
Dillo, Cristo,
che il sangue degli innocenti
urla vendetta al tuo cospetto
e che la tua Resurrezione
non può rappresentare
solo coreografia e spettacolo.

Vecchio mulino
Macina
il vecchio mulino
in fondo alla vallata,
dove anche l'acqua é ingrata
e puzza di cloro.

S'ode
l'altalenante rumor
della pala che gira
e lo stridio delle cinghie
varca i vecchi muri di pietra
e si disperde
nel silenzio della vallata.

Dalla vecchia porta
lenta s'invola
una rada nebbia
che la pietra solleva
dai chicchi che macìna.

E quel profumo
dolce
di buona farina
riporta giorni sereni
quando si riusciva ancora a gustare
il sapore del pane,
fresco di forno,
che bruciava le mani
ed addolciva il palato.

Tra la nebbia
Guardo
con gli occhi socchiusi
le immagini lente
che si disperdono
tra la fitta nebbia
dell'autostrada.
Solo il rumore del motore
e le ombre
di vecchi pioppi,
che ricamano i fossati,
ondeggiano
per la campagna sfocata.
E sembrano
vecchi pellegrini
in viaggio
su un sentiero
che arriva dal nulla
e finisce nel nulla.

Lampo
(A Peppe)

Non m’importa
se ho dovuto abbandonare la mia casa
con giardino e prato recintato.
Non m’importa
se dovrò condividere gli spazi superiori
con degli inquilini noiosi.
Non m’importa
se al mattino dovrò ascoltare
la sveglia di chi s’alza all’alba.

Quello che m’importa
è il mio cane
che ho dovuto lasciare ad un parente
e so che al mattino
guairà perché non mi vedrà più andar via
e non abbaierà più la sera
perché non mi sentirà più arrivare
con la mia vettura.

Il giorno dopo
Non lo scordare mai!
A sette anni si ricorda ben poco.

I camion dei tedeschi, qualche mese prima,
che da Polistena andavano a Melicucco.
Quel rumore assordante rimasto nel cervello
assieme ai vaghi ricordi sulla memoria storica
del bravo tedesco che mi abbracciò
e che pianse mostrando a mia madre
una foto della sua famiglia.

Poi le camionette degli alleati
e quei visi neri che per la prima volta
riempivano di un vago timore il nostro petto
sfilando, confusi a gente d’ogni razza.

Ed il rumore dei bombardamenti,
della strage del dì festivo a Cittanova
di tanta gente ignara
che gioiva tra le giostre in corsa.

Un nonnulla al confronto
dell’Olocausto nei campi di sterminio,
alla bomba sganciata su Hiroshima.

Ognuno ricorda le sue tragedie:
e la fame è un problema
che ti chiude gli occhi sulle disgrazie altrui
e tu gioisci se recuperi un pasto
grazie alle scatolette di minestra
che ti regalano gli americani girando tra i reparti
accampati nei prati e nella scuola.

Ma a chi servono i pensieri miei?

Attorno a me la storia si ripete,
desolatamente uguale si ripete.

E il giorno dopo comincia stupidamente
là dove finisce il dramma il giorno prima,
e non insegna nulla a nessuno.

Stupidamente la storia passata
non interessa al nuovo e va riscritta,
ancora una volta, sempre allo stesso modo.

Bla, bla, bla!
Ho scritto tante parole:
le ho sparse in largo e lungo!
Di buon mattino
le ho vangate,
concimate,
annaffiate.
Qua e là
il vento le ha portate:
come foglie si sono accartocciate,
agli angoli ammucchiate,
per le strade lentamente
rotolate.
Un bimbo le ha raccolte:
ci ha giocato:
Amore, ha letto.
Qualcuno scocciato
le ha spazzate,
col fuoco le ha bruciate.
Un altro col piede
le ha fermate,
ha letto una parola:
Pace!
Ma il vento le ha rubate,
in alto han veleggiato.
Un ragazzo al volo
le ha afferrate,
una riga intera ha letto:
No, alla guerra!
Un vecchio ne ha raccolto una,
ferma sul portone,
ha letto:
No, alla disperazione.
Ma le bombe
continuano a cadere
a Bagdad, a Nassiria, nel Kossovo,
e la Pace s'allontana,
e la Guerra non finisce
e l'Amore non arriva.
Ma io continuo a scrivere
tante parole
e non mi stanco
di spargerle pel mondo.

La fata Morgana
Quante volte di buon ora la mattina,
con i libri legati con un laccio,
me ne andavo scontento alla marina?
E mi sentivo a pezzi, anzi uno straccio,
perché spesso venivo rimandato
in due o tre materie quasi ogn’anno,
così che tutta l’estate ero obbligato
di studiare con lena e con affanno.
E così molto presto ogni mattina
con i libri sostavo in riva al mare
e su una panca della mia cabina
con noia cominciavo a studiare.
Ma il mio sguardo era a volte attratto
da quel mare azzurro e maestoso
che m’abbracciava e che io, distratto,
ammiravo in silenzio e pensieroso.
Il profumo dell’alghe mi stordiva:
chiudevo gli occhi, di volar sognavo
con i gabbiani dall’una all’altra riva
attraverso lo Stretto e poi planavo
sopra il pennone d’un grande veliero,
o stringendo il timone d’un traghetto
come un esperto e valido nocchiero
lo conducevo al porto dirimpetto.
E il mare luccicava, era uno specchio,
e rifletteva tutte le case di Messina
ed anche qualche placido apparecchio
che volava da punta Faro a Taormina.
E’ un gioco di luce e di riflesso
che avvicina le sponde o le allontana
e che ogni estate si rinnova spesso
e che si chiama “La Fata Morgana”.
E si ha la sensazione di afferrare
i passanti della sponda opposta
che sembrano sull’acqua camminare
attraversando il mar da costa a costa.
Ma presto smettevo di fantasticare
ché le pagine da studiar erano tante
e mi lasciavo cullare dal mio mare
leggendo i versi di Petrarca e Dante.

Il clandestino
Gli occhi miei stanchi
cosa dovranno ancor vedere?
Quali dolori, quali patimenti,
il cuor dovrà
di nuovo riprovare?
Quali stanchi lamenti,
quante emozioni
dovranno ancor
avvolgere la mente?
Ecco io mi vedo
nel pallor dei visi vinti,
negli stracci madidi di urine,
sporchi di escrementi,
avverto tutta la desolazione,
la sconfitta, mille umiliazioni,
d’un popolo allo sbando,
che s’affida
a turpi mercanti di disperazione,
per sfuggire ad un destin crudele
ne voluto o cercato.
Ecco io mi vedo,
la gola secca,
il corpo mio disidratato,
nel dormiveglia a fianco al figlio morto,
nel dolor per un parente
che ho buttato in mare,
che tra i flutti galleggia
senza neppure il pianto d’un amico,
le urla di dolore
d’una madre, d’una sorella disperata.
E vedo, nell’ombra della sera,
un faro di luce all’orizzonte,
un approdo sicuro,
una speranza su una costa sconosciuta
ed i marosi che spingon verso riva
vecchi indumenti,
fardelli senza più un padrone
ed ogni tanto un corpo
che si decompone,
che la risacca rotola e accartoccia
e con indifferenza poi sospinge
tra gli anfratti inospitali d’una roccia.

Irrazionalità
Come sono buffi gli uomini!
Spesso vogliono apparire diversi,
diversi da quelli che sono.
A volte mi guardo allo specchio.
- Sciocco, sussurra -.
- Ipocrita, confermo -.
E vorrei poter ascoltare i commenti
degli amici che incontro per strada
quando mi allontano da loro.
Tendo l’orecchio per rubare un sussurro,
per cogliere un motto
che confermi esattamente
la mia incoerenza d’essere
me stesso.
Sbircio con la coda dell’occhio
per cogliere un movimento del viso,
un’espressione della bocca,
che mi dia la certezza
che forse qualcuno
è riuscito a scoprire
chi esattamente io sia.
Ed in questa rincorsa
alla ricerca del giudizio degli altri
continuo a sfoggiare
un vestito fiammante
che camuffa una immagine
che non mi somiglia.

1° Maggio
I morti di Chicago,
gemono ancor oggi
nel rogo dell'azienda avviluppati,
con le porte sbarrate dall'esterno
ed i padroni a pranzo a banchettare.
Urla lontane, mai dimenticate,
che ritornano ogni anno a ricordare
le dure lotte di classe sostenute
per conquistare diritti e dignità
che da più parti si vuole cancellare.
Dodici ore non erano poi poche,
nessun diritto, neppure l'assistenza,
la cecità d'un padronato ottuso
che l'uomo barattava per oggetto.
Da quell'eccidio d'un tempo lontano
deriva oggi per tanti festa e canti,
ma i corpi senza vita di Chicago
anche oggi tra noi sono presenti
sulle piazze allegre e imbandierate
a ricordare ai popoli e alle genti
tutte le libertà poi conquistate.

Il compagno di scuola
Non lo sapevo!
ma vicino a me sei stato,
su un tram traballante di Milano,
in una giornata umida d'ottobre
con qualche rada nebbia
che un pallido sole a sciogliere stentava.
Il tuo viso lontano,
di bambino gioioso e dispettoso,
con i riccioli incolti
incornicianti un volto spensierato,
sembrava stanco e smorto:
più non somigliava
a quel bimbo un tempo sorridente.
Ma quella mia incertezza,
amico mio lontano,
d'un colpo si disciolse
quando alfine dal tram discendesti
alla fermata di Piazza del Duomo.
Un bimbo ti chiamò, giù dalla strada,
ed il tuo volto si rischiarò con un sorriso
e la mano si tese ad un saluto.
Ti rividi, così, nel fior degli anni
con i libri legati con un laccio
e una giacchetta
con un foulard di lana
che pigramente t'avvolgeva il collo.
Ed era tardi ormai,
ché il tram andava
e il treno a Garibaldi m'aspettava.
Ti osservai, così,
mentre ti allontanavi
tenendo per la mano quel bimbetto,
che come te sembrava molto vispo
ma anche gioioso e alquanto dispettoso.
E per un attimo mi tornasti in mente
con i libri legati con un laccio
che stretti trattenevi sotto un braccio
mentre mi salutavi allegramente.

Povertà
Occhi serrati,
sguardi indifferenti,
ambizioni morte e sepolte.

Pensieri smarriti nel nulla,
abbecedari mai aperti,
quaderni senza parole,
prive di verità mai scritte.

Giornate perse
dietro ozii opprimenti,
violenze maturate
nel segreto del cuore
ed esplosioni
d'ira e d'orgoglio
per un lavoro mai offerto
ed ogni dì negato.

La loro vita
che poi va a servizio
di loschi trafficanti
e deperisce
in squallide prigioni
dove cresce
la propria frustrazione
e la vendetta
per una società
che li disprezza
ed al loro destino
sordidamente li abbandona.

La vita
Questa vita m’ha deluso,
forse è l’ora di finire,
di andar via, di scomparire
per provar di ritornare,
tutto quanto incominciare
nuovamente,
non ripetere gli errori,
evitar gli sbandamenti,
non provar gli smarrimenti
non sentir certi dolori
non soffrire nuovamente.
S’io potessi ritornare
sui miei passi già scanditi,
di sicuro sarei un altro,
sarei un essere perfetto,
perché avrei una nuova donna,
più coraggio nella vita
per lottare per l’amore
che ho perduto per pigrizia.
Non dovere più soffrire
ripensando il tempo andato,
ch’è fuggito,
che io ho perso
sol perché non ho lottato,
per legarlo ai miei bisogni
ai miei palpiti di cuore.
S’io potessi riguardare
con un occhio assai diverso
le mie vecchie sensazioni,
tutte quante le emozioni,
e cambiare i miei bisogni,
per sconfiggere i miei vizi
le mie inutili illusioni.
Sarei forse più felice,
perché il mondo abbraccerei,
curerei il mio denaro
e non spenderei più nulla
per ogni inutile gingillo
che ho comprato,
accumulato,
e che poi ho buttato via,
perché più non mi serviva.
S’io potessi ritornare
sulle tracce del passato,
resterei un po’ abbracciato
agli amici che ho lasciato
e che forse ogni mattino
si ricordano di quando
si girava per il corso
o s’andava lungo il mare.
Chissà quale fine han fatto,
se saranno ancora in vita.
Che dolore al cuore avrei
se sapessi che qualcuno
più non c’è su questa terra
e riposa in camposanto.
Che sconforto proverei
se qualcuno nella vita
dalla retta via ha sbandato
e nel suo cuore cambiato.
Mi si attrista un po’ la mente
se lo penso addolorato
o recluso tra le sbarre
senza amore o libertà.
Se poi fosse invece misero,
senza un soldo per mangiare,
quell’amico che abbracciavo
e con lui mi divertivo,
mi farebbe ancor soffrire,
di passion forse morire.
E li penso tutti ricchi,
i miei amici e i miei parenti,
e li penso tutti sani
senza acciacchi e ne dolori,
me li sogno assai felici
e ho nel cuore una passione
di saperli sistemati
i miei amici tanti amati.
Questa vita disperata,
anche se la forza avessi
di poterla un dì cambiare,
mi darebbe altri dolori,
proverei dei dispiaceri.
Forse è meglio ognor sognare,
ricordare le gioie andate
ed al male mai pensare.

Il sogno
Non posso dimenticare
le favole:
esse regalavano sempre
la felicità finale.
Com’è triste la realtà
che la vita invece ci presenta!
I sogni del mattino
la sera si oscurano di ombre
e la scarna luce
delle strade del mondo
ci fa inciampare
su ciottoli sconnessi
che balbettano strani messaggi
a cui nessun cartomante
darà mai risposta credibile.
Anche la mia cenerentola
s’è invischiata in una ragnatela
appiccicosa.
Inutilmente il principe azzurro
si affannerà per liberarla
dal bozzolo in cui il ragno
l’ha imprigionata e confusa.
La nuova vita
le regalerà un destino diverso?

Torture e complicità
Non trovo le parole
per esprimere la pena del mio cuore.
Ho vergogna della mia pelle bianca
che ricopre ogni parte del corpo mio
e del viso;
ho vergogna del modello di civiltà
di appartenenza;
provo disagio a reputarmi occidentale,
a confondere ogni respiro mio,
la voce e la coscienza tutta ,
con una razza che ha perso ogni decoro,
ogni lucidità dell’intelletto.

Non trovo le parole
per chiedere perdono.
Non ho la forza, ho perso anche il coraggio
di guardare in faccia i prigionieri
violati nel decoro,
umiliati nella dignità profondamente.
La guerra è un mostro orrendo,
e orrendo mostro è chi l’ha provocata,
e ne risponderà alla storia.
Mostri ne sono i complici,
gli amici e gli alleati
che l’hanno sostenuta e incoraggiata.
Mostri sono coloro
che s’affannano a schierarsi
con un potere vorace ed assassino,
che riesce a clonare orrendi mostri
privi di umanità e decoro,
capaci di sfogar gli istinti più repressi
che quella inciviltà ha già scolpito
nei loro cuori aridi e perdenti,
nella coscienza di quella gioventù
che ha smarrito per sempre i sentimenti.

La nostra civiltà da un pezzo è morta:
una cloaca immonda è diventata,
una fogna lurida e opprimente,
un corpo condannato a deperire
perché ha seppellito per sempre la morale,
perché ha disperso al vento ogni valore,
ha smarrito ogni lucidità
del proprio cuore ed anche della mente.
E’ un corpo sordido
che inesorabilmente
si sta avviando alla putrefazione,
e che riesce soltanto ad emanare
un puzzo irrespirabile e indecente
capace solo ormai di avvelenare
la coscienza del mondo e della gente.

Parole vuote
A volte, mi chiedo chi sono!
Mi domando
che senso hanno le vuote parole
che penso e che scrivo!
Alla mia età
l’illusione non alligna nel cuore.
Un secondo Carducci,
un novello Pascoli
solo la genetica
potrà forse clonare.
I miei poveri versi
saranno solo semi
geneticamente modificati
che non aggiungeranno nulla
alle cose già scritte,
ai sentimenti già espressi.
Ma sento il bisogno
di aprire il mio cuore alla gente
come un libro da far sfogliare
per far leggere a tutti
le mie verità e le mie ragioni.
Mi illudo che forse
una piccola briciola del mio amore
potrà saziare un cuore tormentato
od asciugare una lacrima stanca.

L’urlo del vento
Il vento
bussa impetuosamente
alla finestra:
violenta i vetri
e li sento vibrare,
gemere e scuotere
come pervasi
da un orgasmo profondo.
Soffia con prepotenza
per i vicoli del borgo
e trascina,
rotola,
accartoccia,
accumula,
e sparge
le foglie
che si rincorrono
in una folle corsa
all’infinito.
Le porte sbatte,
e dai tetti
gli imbricini solleva
e sbriciola sull’asfalto.
Il suo urlo
s’aggira come un cane rabbioso
per le ripidi calle
e le stradine tortuose
del paese
all’inseguimento
di folle di fantasmi impauriti.
Inutilmente sforzo
una persiana!
Con violenza mi schiaffeggia:
scivola scompostamente
tra i capelli
e m’afferra, prepotentemente,
tra le sue braccia possenti
e tumultuose
e mi urla sul volto.

Impotenza
Urlare,
tuonare,
imprecare.
A che serve?
Ecco un nuovo soldato
è caduto.
Si sprecano le parole
da Nassiria,
si vomitano discorsi insulsi
dalla capitale.
Umanitaria,
pacifista,
civile.
Tutti uniti
con i nostri soldati.
Non facciamo speculazioni.
Si uniti,
ma è meglio farli rientrare
quei ragazzi incoscienti
che per quattro soldi
rischiano la pelle.
E non è ancora finita.
Si festeggia il Milan
che ha vinto lo scudetto
e si ignorano tanti soldati
mandati al macello.
E’ proprio vero:
il potere è un mostro insensibile.
E’ inutile chiedersi
se può avere un volto umano!

Guerra e natura
Voli impazziti,
frullare tenebroso d’ali
e rombi lontani.
Deflagrazioni e vampate
disegnano in cielo
luci ed ombre incessanti.

Terrore nei petti,
ricerca folle d’un rifugio,
tra gli alberi, sui tetti,
rotear d’occhi
e domande inespresse,
ricerca del sereno
mentre la tempesta
scuote ogni cosa.

Due colombe in croce
giacciono colpiti da una bomba.
La testa ripiegata su un lato
ed i piccoli che agonizzano
in un nido lontano.

Domande senza risposte
e cinguettio confuso,
segnali d’allarme
e fuga inconsulta
da ramo a ramo.

La morte aleggia intorno
e non da risposte
a un mondo che osserva spaurito
la follia umana.

Luna Park
Oh, cavallino di legno,
che tanto amai
e desiderai;
giostra dei miei sogni,
con luminarie intermittenti
e musiche di cui ignoro il ritornello,
vi ho perduti per sempre!
Mi aggrappo, ogni tanto,
alle briglie che penzolano
da un vecchio ricordo
e rincorro felicità
racchiuse in una conchiglia
che forse giace su un fondale marino
che il tempo ha riempito di limo.
Dondolo ancor oggi
aggrappato a gioiosità fugaci
dal prezzo troppo elevato
per poter essere ricomprati.
Il nulla, i desideri più effimeri,
traguardati attraverso gli occhi di un bimbo
a cui bastava poco per sentirsi ricco.
Ed avverto attorno a me la noia del presente,
l’infelicità di non poter più apprezzare
le piccole cose
che rendevano piene le mie giornate
e che mettevano in ombra
anche i bisogni più indispensabili.

Dubbio
Se un dubbio
mai t’assalisse,
pensaci.

L’idea non è mai fissa:
s’adagia e t’avviluppa,
cresce e poi si sviluppa.
Cambia:
non è mai la stessa.

Ti rode e ti corrode,
perché la verità
difficilmente è uguale.

Se cambi idea,
è vero ti sputtani,
ma salvi dal grigiore
il libero pensare,
dimostri d’accettare
le verità degli altri
che sono disuguali.

Una vecchia poesia
Ho letto una vecchia poesia
al mio cuore.
Lui si, che l’ha saputa apprezzare.
Nel silenzio d’una notte buia
le parole sono esplose,
tenere e splendenti,
nel caos delle arterie
accarezzando teneramente
i sentimenti.
E come un buon vino,
con cura conservato
per un’occasione eccezionale,
ha bagnato la mia gola
ed accarezzato il mio palato
regalandomi
attimi di intensa emozione
e di gioia
che solo noi comprendiamo.

Visioni mattutine
Quando l’alba tinge di rosa
il cielo
ed accarezza sommessamente
i cipressi
che adornano le colline
di Massa,
pigramente spingo lo sguardo
oltre il Borgo di Prata,
che mi regala la vista dell’Elba
fumosa e stanca.
I rondinoni strillano
già da un pezzo,
ed inseguono gli scarni sciami
d’insetti
che questa strana estate
ci ha negato.
Prima del tempo
stan lasciando i lor nidi
e ad altre sponde
forse cercano il pasto
per un’ultima covata.
Qualche comignolo fuma:
ed acre l’odor di cerro
svolazza per i vicoli del borgo
e si confonde con la nebbia
esile che giù dal mare sale.
Un suono lento di campane
rimbalza sopra i tetti
e tra i lecci frondosi si ripara.
Gocciola lenta una fontana:
picchietta pigramente su una latta
annoiando il pensiero.
Una ghiandaia
lancia un urlo isolato
e s’allontana.

Tirreno
Il tuo profumo era stato esiliato
negli antri profondi
che ornano le tue spiagge.
S’era smarrito per le rade
delle tue isole
inondate di sole
e rugiade mattutine.
Quell’intenso odore salino,
che le alghe acutizzano
quando il vento
accarezza la superficie delle onde,
per un attimo ha regalato all’olfatto
soavità che avevo dimenticato.
E la mente
ha inseguito albe radiose
e tramonti struggenti
abbracciato ad un amore
che non potrò mai dimenticare.
Tenerezze fuggevoli,
come il sapore dell’acqua salata
che mi strozzava la gola.
Gioie irripetibili,
irrorate da una folata odorosa di mare,
guarnite da visioni incantevoli
di vele ondeggianti sulle onde
e lampare scintillanti nel buio della notte.
Per un attimo, irripetibile,
è ritornato il passato, oggi,
sulla spiaggia di questo mare
che sempre mi ha posseduto
ed inebriato.

Un foglio di versi
Tra le mani, mamma mia adorata,
sto rigirando un foglio con dei versi
che tu stilasti tanto tempo indietro
e che si ritrovò tra tante carte
che tu lasciasti in uno dei cassetti
di quella casa di fronte alla marina
che tanto amavi e che tenevi in mente.
Ed io leggo quei versi questa sera
e mi tormento e m’affliggo
perché in essi traspare il tuo dolore,
il desiderio tu con me parlare
per dirmi tutte le quelle cose
che quand’eri in vita ed in salute
non mi hai potuto mai comunicare.
Forse volevi allora proprio questo:
che fra trent’anni dal dì che li scrivesti
quei versi fossero poi letti
dal figlio tuo e mai più ti scordasse.
Se questo era l’intento, mamma cara,
di certo hai tu centrato l’obiettivo
perché io sono qui con te a parlare
e tu con me discorri e viva sei
e m’accarezzi il volto ed i capelli
e mi stringi la mano come quando
da piccolino per strada mi portavi
e sicurezza e conforto mi donavi.

Fotografia
Un raggio di sole
su una spiaggia lontana
accarezza ancora
il mio sorriso
incorniciato da vecchie cabine
e da un mare lucente.

Lo sguardo perso,
sfuggente,
che forse insegue
dolci pensieri
o barche ondeggianti
su un mare spumeggiante
agitato dalla tramontana.

Una immagine lontana,
persa nel caldo d’una giornata
d’estate ormai dimenticata
che mi regala
frustate d’indefinibili tristezze
che offuscano la gioia
di momenti di felicità fuggevoli
e mai più ripetibili.

Madre Teresa
Assordanti parole,
inutili panegirici
che avrebbe rifiutato
se fosse ancora in vita.
Chi vi autorizza
a santificare,
con le convenienze umane,
ciò che santo già era?

Io rivoluzionario in deposito,
che mi esalto
per le altrui testimonianze,
forse non avrei prodotto
mai tanto.

Una vita di rinunce complete,
di amore non buttato alle ortiche,
di dedizione totale
per coloro che hanno bisogno
di un nostro sorriso
e di un aiuto concreto,
che non si materializza
nelle facili enunciazioni
di politici interessati
o di porporati
che pigramente affondano
i loro molli glutei
nelle rosse poltrone vaticane.

Si, la vera rivoluzione
forse è questa.
La rinuncia al superfluo
ed all’ostentazione.
La testimonianza piena e sofferta
d’un impegno
che solo gli eroi possono regalarci.

Questa è la vera santità
che coincide con un comandamento universale
che non si limita ad una superflua preghiera
o al segnarsi davanti ad un tabernacolo
ed è compreso da tutti:
amare il prossimo
e testimoniare questo amore
anche se la nostra idea
viene osteggiata e
perseguitata.

Santa Barbara
Quando sul mare danzava la bufera
e le nuvole celavano lo Stretto
mia madre al cielo alzava una preghiera
e si segnava e si colpiva il petto

invocando la patrona dei pompieri,
con litanie assordanti e saponose,
convinta che quelle nenie semi serie
riuscissero a calmar le onde irose

che agitavano con gran fragore il mare
infrangendosi sopra la scogliera
dopo aver fatto l’onde biancheggiare
ch’eran nascoste dal buio della sera.

“Santa Barbara”, quasi invasata urlava,
e la invocava vedendola su un monte
con due bandiere che al cielo sventolava
che il sole riportar dovrebbe in fronte.

Di queste, una era d’acqua l’altra di vento,
e potevano calmare la tempesta
rinnovando il chiaror che s’era spento
e riportar serenità nei cuori e festa.

E dopo ore di interminabili orazioni
fulmini e tuoni sparivano dal cielo.
Noi bimbi si tornava alle lezioni
e lei, contenta, deponeva il velo

che in capo aveva posto per rispetto
e un lumino, poi, accendeva lesta
sotto l’immagine per grazia ricevuta
ché la Santa avea calmato la tempesta.

Altalenando
Ondeggio vergognosamente
tra veglia e sogno.
Non so quali decisioni
io possa prendere
per affogare il mio egoismo
che si dibatte tra impegno
e disimpegno assoluto.
Vorrei che fossero gli altri a rischiare,
a dar corpo alle sensazioni
ch’io vivo in silenzio
e che non accettano oltre
burattini e burattinai
che si agitano scompostamente
e senza decoro
sugli scanni di Cesare.
Per un attimo
vorrei che Mangiafoco
avesse bisogno di legna
per cucinare a dovere
il suo capretto poco cotto.

Arcobaleni opacizzati
E’ inutile affaccendarsi
e accendere lumini,
rossi,
sulle finestre.
Le fiammelle oscillano al vento:
i loro messaggi d’amore
restano inascoltati.
Falsi profeti,
inutili Messia,
che si lasciano crocifiggere
per redimere un genere umano,
invaso dalla disperazione
e sempre più opaco dal male.
Inutilmente i poeti
scrivono i loro versi
declamando la pace tra i popoli.
Gli arcobaleni iridati
svaniscono nel grigio bigiore
delle coscienze oscurate da satana
e non rallegrano le coscienze
di chi ancora crede,
spera,
in una pace universale
che sappia sconfiggere
le miserie del mondo.

Binari
I binari delle tranvie
sembrano una rete asfissiante
in cui si impigliano i pendolari
che inutilmente si divincolano,
si agitano e si scompongono
per sfuggire la sera
e ricominciare il mattino.

Coraggio
Io spero
che la vita vi sorrida.
Io spero
che la vita vi abbracci.
Io spero
che la vita
non vi deluda.
Lo so che l’ombra lunga
scomparirà dietro una siepe,
sarà risucchiata
dal buio della notte.
Spero che il mio alito vi sia vicino,
sempre,
nelle lunghe nottate della vita,
nelle felicità che vi arrideranno
e vi confonderanno
o nei dolori
che appesantiranno l’animo vostro.
Vi guarderò in silenzio,
da lontano,
pronto a soccorrervi
nei momenti dell’affanno,
dell’ansia,
dello sconforto.
Sarà la mia voce,
confusa tra le nuvole,
che vi sussurrerà
con forza e con amore:
coraggio.

Vecchio frantoio
Quel rumore assordante
ricordo a volte,
di notte.
Le lucerne frignano a tratti,
scoppiettano invano.
L'acre odor del frantoio
invade il vecchio rione,
pizzica ancora l'olfatto,
viscido al tatto.
Il pane croccante di grano,
da poco sfornato,
assaporo
inzuppato nell'olio
appena spremuto,
che profuma ancora di buono,
e lascia in bocca
un sapore di olive
da poco raccolte
e profumo di zolle
e di dura fatica.
Danzano avvinte
le rudi ruote di pietra
e stridono, e pressano, e schiacciano.
La musica è sempre la stessa:
un vecchio motore che gira,
che inceppa, che scoppia,
confuso all’urlo di vecchi e garzoni,
di rozzi padroni.
Immagini perse
nel buio del tempo,
battute e risate
lasciate lontano
e tanta fatica
che aspetta d’essere ancora pagata,
piegata nel cuore,
impressa sui volti anneriti
di gente lontana
di cui resta appena un ricordo,
lontano,
rinchiuso nel fondo del cuore.

Il potere
Scorre lo schermo:
bianco poi d’un sol colpo bruno.
Beffeggia la coscienza
e in onda goffamente
immagini spalanca
d’atrocità e sconcerto.

S’attrista il sentimento
che naviga nel petto,
galleggia alle emozioni
tardivamente apparse:
voragini spalancano di morte
e di terrore,
d’atrocità avviluppano
coscienza e la ragione.

Perché tardivamente
l’archivio si spalanca?
Gli scheletri compaiono
sol or che l’avversario
é stato vinto
e debole la sua difesa arranca?

Sempre la stessa storia:
chi vince or la racconta
a modo suo la trama.
La gira e la rigira,
fa si che l’avversario
sadico e atroce appaia
per avvalorare ragioni ed emozioni
che l’acqua poi trasporti
al solito mulino.

Dove conduce allora,
lo spettator si chiede,
la traccia che l’aratro
lascia nei campi or ora?

Ed il domani ancora
come riscriverà chi vince
del corso suo la storia?

Il ruscello
Io ti addolcisco i pensieri:
con il lieto frusciar tra i sassi
placide sinfonie sprigiono
e le tue tensioni allento.
Tu ascolti, estasiato,
e il ritornello dell'acque mie,
che scivolano tra le sponde fiorite
e tra i massi affioranti
del mio letto tranquillo,
ti accarezza le orecchie,
ti sublima la mente.
Il gorgoglio delle gore
ed il lieto canto
degli uccelli alle sponde
dolci pensieri ricamano
e tenere speranze costruiscono
nel tuo cuore stanco.

Il vento
Mi parla nel silenzio della notte,
frasi sussurra,
bisbiglia, rumoreggia,
tace.
L’ascolto e interagisco
dolcemente,
mentre m’accarezza sul volto
e m’abbraccia possente
serrandomi nella sua morsa
attraverso la persiana socchiusa
e m’asciuga il sudore
che m’imperla la fronte.

L'amore andato
Emozioni e rossori
a scoprire i segreti dell'anima,
quando l'amore era negato
e, gli appuntamenti, segreti di stato.
Battiti intensi nel petto,
come un frullar d'ali
inquieto e frettoloso.
Timori d'esser visti
e felicità
di due mani avvinte,
come un'edera a un tronco,
seduti sui gradini
di stradine acciottolate
o su muretti fuori mano
che guardavano il mare.
E poi il silenzio del cuore,
ed i ricordi
che ogni tanto ti rinnovano
tenerezze ormai finite,
archiviate sugli scaffali alti
d'una libreria
che solo tu sai ritrovare.

Ma dove corriamo
Scontenti, stanchi, insoddisfatti.
Ogni giorno pensiamo al domani
e dalla nostra postazione
sogniamo proiezioni impossibili.
Poi l’evento o la fuga.
Ogni giorno scappiamo,
scappiamo alla ricerca del nuovo
e pensiamo d’avere
conquistato la vetta più alta.
E poi domani si ricomincia a scappare.
Ma dove mai andiamo
se, poi, coi nostri ricordi
incatenati al passato restiamo?

Mille Miglia
Assordanti,
rumorosi,
inquietanti.
Sfrecciano veloci
per la Via Marina,
Ferrari e Maserati
in testa.
Nuvolari, Nuvolari
urliamo.
Ma lui neppure s'accorge
che esistiamo.
Siamo degli esaltati,
urliamo note stonate,
ci affoghiamo
tra i fumi dello scappamento
e l'acre odor della gomma bruciata
che ci avvolge.
Ultimo sogno
di qualche anno andato
quando il motor
non era ancor truccato
e la carrozzeria
era possente e forte
come un carro armato.
E vinceva il migliore,
che rischiava la pelle
per una coppa di latta
e qualche monetina.
E non aveva al seguito
tecnici e scuderie,
ma solo un volontario
che a proprie spese
e con la chiave inglese
di corsa riparava
qualche pezzo che mollava.
Ma quello era agonismo vero
e si correva per pura passione,
solo per gloria e non per la Tv
e neppure per centinaia di milioni.

Passaggi fugaci
Tutto è transitorio attorno a noi!
Folle immense rincorrono
inutilmente
i beni della terra.
Ognuno accaparra ciò che può
e spera
che nessuno gli porti via
mai
nulla.
Le gioie passano,
passano i dolori.
Passano le disperazioni
e le speranze.
I soldi si logorano,
vengono inghiottiti
dai forzieri
o dai banchieri.
Ed anch’essi sperano
di vivere cent’anni
e forse di comprarsi
anche la vita eterna.
E mentre tutti sperano
passa anche la vita
e rimane solo l’illusione
del tempo.

Riso di bimbo
La sincerità
che ti regala un bambino,
che ti dà una spinta
affinché tu lo afferri
mentre tenta di sfuggirti,
non ha prezzo.
Il suo sorriso
ti spalanca un mondo di gioie,
ti colma di emozioni
e di commozione,
ti appaga.
Quel riso argentino
che sgorga dal suo petto
sembra il canto d’un usignolo
che sorge nel cuore della notte
ed illumina il tuo cuore
ed i tuoi sentimenti.

Scelte sbagliate
E continui a pagare il tuo prezzo
e sacrifichi amore e passione!
Non basta scusarsi,
o dire:”guarda ho sbagliato”,
se senza pensarci
con la vita degli altri hai giocato.
La colpa d’un gesto inconsulto,
dettato da amore o da altro,
che la vita degli altri ha cambiato,
soltanto tu stesso
lo devi adesso saldare.
E non basta l’affetto negato,
l’amor simulato,
il finto rapporto
costruito pensando lontano,
a qualcosa o qualcuno
che certo neppure sapeva
la pena o la gioia
che dentro il tuo cuore covava.
Ora il gioco s’è fatto serrato:
è inutile,
non serve barare.
Un atto di forza o coraggio
non dà risultato.
Il tempo è passato
e forse tu parli col nulla,
con chi, qualcosa o qualcuno,
cessato è, forse, da un pezzo.
Non sai,
tu fingi di vivere ancora nel tempo
in cui i sorrisi erano veri,
le gioie e gli affetti sinceri.
Ormai il tempo è fuggito lontano,
con sé il sentimento ha portato
e dentro una buia prigione
senza pensarci ormai l’ha buttato.
Invano scuoti le sbarre:
ormai è morto e sepolto.
Ma tu continui a sperare
che il tempo passato ritorni:
ormai,
devi soltanto mollare,
non puoi continuare a cullare
un sogno, che non può più ritornare.

Siepi
Quelle siepi lontane,
ricordo!
Lenzuola bianche
e gonne nere,
maglioni rosa
e camicette bianche
al sole ad asciugare.
Ricordo!
Lontano
risento il ciabbottio dei panni
sui sassi della fiumara.
Acqua diaccia che spacca le mani
e scie di sapone
che si distendono pigre
e poi di corsa verso l’ignoto.
Osservo da lontano
e ascolto il canto delle lavandaie
chine sui sassi
a strofinare e sciacquare
intensamente.
E gli schizzi dell’acqua
mi colpiscono il viso
e mi regalano l’illusione
che il tempo non sia mai passato.

Vecchia pianola
Poter accarezzare il passato
e riascoltare le voci
dei mendicanti all'uscio
ed il suono dolce
degli organini per strada.
Quelle pianole nere,
traballanti,
vecchi pianoforti su ruote
spinte da coppie disperate.
E rivedere quella manovella
che ruota instancabile
e disperde per l'aria
suoni armoniosi
il cui ritornello ancor oggi
m'ammalia.
Rincorro per vie polverose
melodie di speranza,
ripetute all'infinito,
sempre vive nel cuore
e nella mente presenti.
Suoni che ravvivano
lo squallore di rioni degradati
e che scuotevano il cuore
delle vecchie assopite al sole
su sedie consunte e sgangherate.
Dove saranno finiti
quegli strumenti dolcissimi
che assicuravano un pasto ai bambini
ed una pietanza serale?
Rimane solo un'eco lontana
che rimbalza monotona e confusa
tra queste fredde montagne
che aspettano qualche nuovo raggio di sole
che ravvivi il colore dei prati.

Tra la nebbia
Guardo
con gli occhi socchiusi
le immagini lente
che si disperdono
tra la fitta nebbia
dell'autostrada.
Solo il rumore del motore
e le ombre
di vecchi pioppi,
che ricamano i fossati,
ondeggiano
per la campagna sfocata.
E sembrano
vecchi pellegrini
in viaggio
su un sentiero
che arriva dal nulla
e finisce nel nulla.   

Potessi farlo
Potessi farlo
resterei immobile su una scogliera
a cogliere i movimenti dell’onda
e ad archiviare
la voce del mare
in fondo al cuore.
Voce dolce e riposante
che mi libera dai pensieri,
che mi fa rincorrere primavere ormai andate
ed attimi di felicità
che mi turbano e mi commuovono
non appena l’acqua sfiora
i miei piedi scalzi
e solletica la pelle.
O mare, mare!
Scorro con gli occhi
lo specchio liscio dell’acqua
e rivedo il passato
che torna.
E mi sembra che nulla sia cambiato
dal giorno che accarezzavo
furtivamente una mano tenera
sott’acqua
e che lanciavo sguardi complici
ad un amore che non dimentico
e che il monotono frangersi dell’onda
mi rinnova dolorosamente
e mi tormenta.

Lungomare
Scie luminose
che m’abbagliano
per un attimo
i pensieri.
Ali cangianti di gabbiano
che riflettono ombre opache
sulla rena.
Spruzzi salmastri
ed odor di mare.
Fruscio di rena
e fragore di burrasca.
Rabbiosa rincorsa d’onde
che bussano con prepotenza
e affetto alla porta del cuore
e mi rinnovano
paure e tenerezze.

La notte
T’amo notte adorata,
che il muschio sulle tegole carezzi,
che pace doni, ed anche il tuo ristoro,
ai rondoni che cheti se ne stanno
negli anfratti dei muri
sonnecchiando.
La luna, con i suoi raggi tremolanti
pigramente s’adagia
e lieve sfiora,
col suo pallore una panchina stanca;
poi lieve s’intrufola e carezza,
tra i cartoni e gli stracci colorati,
un vecchio vagabondo
che russa goffo e s’agita sbruffando
sognando vigne e vini spumeggianti.
T’amo notte silente,
rotta a tratti dal rapido battito dell’ali
e dal singhiozzo stridulo e stridente
dei pipistrelli in volo
che frusciano per l’aria risvegliando
ansie represse e antiche tenerezze.
T’amo notte cangiante
che sfumi il bianco e il nero
per le piazze,
che all’acqua d’una fonte dai colore
e pennelli di luce
i vecchi quartieri addormentati
e le rotaie silenti dei tranvai.
T’amo pia notte,
amo la cappa folta
della tua ombra,
che fuliggine regala ed il mistero,
che risveglia nel petto rimembranze
ed agita tremori antichi e mai riposti.
E mentre filtra dal bosco
un lieve lucignolo che ondeggia
tra i rami radi delle acacie spoglie,
quella pace ritrovo
ch’era spersa
su una spiaggia battuta dai marosi,
che con affanno invano io ricercai
per strade brulle, per sentieri impervi,
e che paziente invece se ne stava
cullata tra i rami dei castagni:
ché la felicità perduta
poi ritrovi
nelle piccole cose del creato
e nel silenzio della sua natura
che la serenità e la pace ti regala.  

Innocenti
(Per Adriano Sofri)

L’urlo
degli innocenti
filtra tra le sbarre
e si disperde
oltre i muri di cinta
dei penitenziari
con i secondini
che sbadigliano
nelle garitte
e i riflettori
che accecano
le coscienze.  

Il colloquio
Muto, unilaterale colloquio.
Ora non mi tormenti più
con i tuoi discorsi astratti
e spesso includenti.
Ma che colpa ne avevi?
La morte è spesso maestra di vita:
arriva e strappa un corpo
impietosamente,
senza preavviso,
senza aspettare la fine d’una frase.
E così i chiarimenti,
tante volte rinviati,
spesso evasi e aggirati,
rimangono a mezz’aria
e si sperdono al chiarore d’un lumino
e tra qualche fiore appassito.
E tu discuti con un’anima
che pensi si aggiri vicino ad una tomba
quasi a volersi ricongiungere ad un corpo
imprigionato in una bara
e chiuso dietro una lapide fredda.
E discorri sulle cose
che avresti voluto chiarire
quando la vita regalava
rancori e rabbia inespressa.
Ed ora sfoghi i tuoi risentimenti
e chiedi consensi ad un morto
che ascolta e non risponde.
Forse avresti voluto questo un tempo:
esprimere le tue convinzioni
e considerale vere ed indiscutibili,
dimenticando che la verità
è un libro aperto
in cui ognuno legge ed interpreta
a suo modo le parole stampate.
Ma ormai è tardi
ed anche la tua esperienza vissuta
sembra non possa interessare
più a nessuno.  

Finestre chiuse
Quelle finestre chiuse
improvvisamente sorridono
ai passanti
che s’inerpicano
per via di Costa Ripida.
Se ne sono rimaste
intristite
per tutti i mesi invernali,
ma adesso
sbattono le ante al vento
come colombi
ch’agitano l’ali rattrappite
dopo esser rimasti
per lunghi mesi in gabbia.  

A mio cugino Esteban
Cosa mai pensato avrai,
il dì che il male ferale ti colpì,
giovane ancora
almeno nel cuore e nella mente?

La felicità d’un dolce giorno
spazzata fu dal rio destino
che la vita ti prese in un momento
e con incuria e crudeltà
al vento la buttò terribilmente.

La voce tua di certo corse invano
agli affetti sinceri a te vicini,
alla tua sposa, alla tua mamma cara,
che dal ciel ti guardava e t’aspettava.

Il cuore tuo, straziato dal dolore,
d’un colpo si spezzò,
lo sguardo corse tra il verde dei viali,
un aiuto accennasti, sollevando un braccio,
a dei passanti occasionali
che lessero la paura nei tuoi occhi
e colsero il dolore e i tuoi sospiri.

Ecco, cugino mio,
così oggi rileggo quei momenti,
così avverto nel cuore i patimenti
che il tuo corpo avvertì quel triste giorno
d’un fine agosto che non potrò scordare
e che ogni anno con tristezza ed ansia
nel mio petto mi verrà sempre a bussare.   

Inquietudine
L’inverno bussa alla mia porta,
le foglie ammucchia nel cortile,
come biglietti colorati
li violenta e li scuote
e li rigira all’infinito.
Parole appaiono ai miei sensi
e leggo frasi mozze e irriverenti.
Il mio pensiero vola:
mesto li insegue
per strade e vicoli
come un disperato.
Senza riposo rotola
e s’affanna
e s’indugia sotto i balconi
a cogliere i sospiri
che frusciando
lanciano alle stelle.
Invano ascolto una risposta amica:
il mio tormento non conosce sera
e il riposo mi sfugge
dal cuscino
che il capo reclinato appena trova.
Ed il freddo punge sulla pelle,
le tristi sensazioni della morte
accompagnano il mio vagabondare
in un notturno
che non trova quiete.   

I bovi del Gabellino
O bove pio, che placido ten stai
nella calura per l’ardente piano
il guardo volgi a me che rattristai
pensando la tua fine non lontano.

Che solo un filo v’è tra vita e morte,
il sole oggi e la rada erba insecchita,
la stalla che già segna la tua sorte
perché all’alba per te sarà finita.

Gira lo sguardo placido, rimira
le querce e godi della lor frescura
il vento cogli che ora dolce spira,
rumina lieve l’ultima pastura

ché il domani il sole non godrai,
ed una lama t’affonderà nel cuore,
al piano cheto più non tornerai
a provare del pungolo il dolore.    

Liberazione
Sembra impossibile
che nei momenti di sconforto
le parole possano sgorgare
più sincere e più libere.
Le ipocrisie,
i falsi modelli del perbenismo,
le finzioni sull’affetto sincero
nel rapporto di coppia,
nell’amore filiale,
vengono sparsi al vento
come vecchi vestiti
diventati inservibili.
E la nudità dell’animo,
con i suoi rancori,
i suoi vizi ancestrali
e le sue violenze
forzatamente represse,
si libera improvvisamente
ed esplode
in tutta la sua forza
ed in tutta la sua sincerità.
Finalmente liberi di odiare,
di costruire situazioni impossibili
dove l’alter ego
venga annullato e disintegrato.
E poi i pensieri confusi che si rincorrono,
che razionalizzano le situazioni più assurde
e trasformano l’amore e l’affetto
in acido solforico
che scioglie ogni cosa.    

Il giorno dei Morti
“I morti coi morti
e i vivi coi biscotti”,
così mia madre canticchiava
quando ancora bambina
di morte in casa a volte si parlava.

E non pensava allora
che quel suo discorrere innocente
in petto lo serbava
e poi lo trasmetteva
a un figlio ormai quasi canuto,
avanti negli anni e un po’ invecchiato.

E tutto questo è vero!
Ai morti forse basta e avanza
un misero ricordo.
Dei fiori e dei lumini
non avvertono l’odore e né il calore.
A loro ormai non interessa
sapere se la lastra che li copre
sia di marmo o di pietra.
Se la maniglia della triste bara,
che la luce del sole gli suggella,
sia d’ottone o di rame.
Se il lenzuol che li avvolge
sia di raso, di lino o di cotone.

Questi problemi frullano il cervello
di quanti non hanno altro a cui pensare,
che le bombe e la guerra,
la fame e la miseria,
sono tristi realtà
che vedono seduti sul divano
come guardando qualche sceneggiato
che in onda la TV ha mandato
con la regia di Anton Giulio Maiano.        

L’ira
Mi sgonfio,
mi gonfio,
mi sgonfio.
M’arrabbio,
mi calmo,
m’arrabbio.
Inveisco,
sto zitto,
inveisco.
La testa mi scoppia,
più nulla capisco,
la testa mi scoppia.
E tutto rimane invariato,
m’assillo,
mi sgonfio,
m’arrabbio,
inveisco,
ma tutto rimane invariato.   

Etna fumante
I miei sospiri
in questa nottata di stanchezza
sfiorano la tua vetta innevata
ed il pennacchio bianco
che dipinge il cielo
mi riporta tenerezze ed emozioni
che sono scolpite nel mio cuore.

Ed a guardare la tua vetta maestosa
riprovo i tremori e le ansie d'un tempo
quando lapilli e boati riempivano lo Stretto
ed illuminavano la notte.
Ed io prevedevo catastrofi
e la paura aleggiava come un fantasma
e mi turbava i pensieri.
E poi il silenzio
della tua ritrovata calma interiore
e la neve che dipingeva
i fianchi della tua montagna
e che copriva lava e paure.   

Nel nome della scienza
Colpisci la mia coscienza,
sputami in viso,
squartami l'anima
e butta alle ortiche
cuore e ragione (se li trovi).
Se Dio esiste
e l'inferno non è un'invenzione
dei preti,
allora da un pezzo
il genere umano vi è dentro
e sta espiando le sue colpe.
Nel modo peggiore, di certo!
Se, invece, il mondo è un'illusione,
e tutto diventa evanescente
come nascere e morire,
ebbene l'uomo pensa ed agisce
nel modo peggiore.
La crudeltà d'una trasmissione televisiva
schiaffeggia l'onore e la dignità dell'uomo
ma ti aiuta a pensare.
Delle bestioline indifese
usate, torturate, maltrattate crudelmente
nel nome della scienza e della ricerca.
E gli aguzzini
non sono sadici servitori
d'uno stato senza pietà,
che osserva indifferente e non interviene,
ma uomini di cultura,
forse con 110 e lode,
che gioiscono, ballano, beffeggiano
un povero animale agonizzante,
che si difende guaendo disperatamente
ed a cui si tagliano le corde vocali
affinché l'urlo del suo dolore
non disturbi la loro tranquillità
di "uomini di scienza" senza dignità e morale.
Se questo è il mondo
quale senso ha la vita?   

Ulivi
Abbracciati al cielo,
con le radici contorte
abbarbicate sul terreno
che li culla dolcemente,
i rami tendono, colmi di semi oleosi
e odori di mediterraneo,
come degli equilibristi all’opera.

Li rivedo, a volte,
ombrosi e giganteschi
lungo la strada assolata
che da Polistena corre a Melicucco.
M’assordava il gracidar delle rane nei fossi,
che spargevano al vento l’odor putrido
dell’acqua rancida dei pozzi,
e il frastuono delle cicale
che affollavano i loro tronchi odorosi.
E mi rivedo, confuso alle radici contorte,
coperto dalle felci
che ricamavano la campagna incolta,
ad aspettar mio padre
per una sosta dal faticoso lavoro
che compiva.
E gli uccelli saltellavano tra i rami,
i cardellini beccavano le rade spighe
della piantaggine che ornava i sentieri dismessi
e lanciavano segnali d’allarme
ai miei movimenti inconsulti.
E non v’era rumore di motori
e la natura olezzava
per i fieni appena tagliati
e lo spirito affrancava.
E quel silenzio mi colpisce il cuore,
oggi,
che il rumore mi opprime
e la pace
è una dimensione ormai dimenticata.  

Vecchio albero
Quanto a me rassomigli,
vecchio albero
che sulla Via Marina te ne stai,
appesantito dagli anni e dalla mole,
con le radice nel terreno fisse,
che t’aggrappi sul prato verdeggiante
quasi avessi timore di cadere.
I nostri anni
sono passati in fretta:
eri un gigante allor,
che giovinetto
sostavo all’ombra dei tuoi rami
e la frescura m’indorava la fronte
e la ragione.
Ed ora ti riguardo
con le tue forte vene,
identiche alle mie,
che ricamano il prato
e a me la pelle.
Ti osservo dolcemente
e al cuor m’infondi
una serena gioia e un sentimento
che tutto intenerisce
lo spirito e la mente.
E lì te ne starai,
impassibile ai venti e alle bufere,
a ricordare ai posteri
mare mossi e tempeste,
ruggir dell’onde
sull’ispida scogliera
e cantico di uccelli
che per tant’altri lustri ancora
intesseranno tra i tuoi rami i cori
mentre il sole scompare dietro i monti
e gli amanti proteggerai con cura e amore
abbracciati ai tuoi piedi onnipossenti.  

Ciao Tiziano
Potessi scegliere la morte da fare,
vorrei morire così come hai pregustato la tua
sotto un albero all'Orsigna.
Anch'io aspetterei la compagna odiata
all'ombra d'una quercia
ed afferrerei la sua mano
con rabbia ed amore.
Lei mi lascerebbe osservare con intensità
i prati baciati dal sole
e pettinati dal vento.
Non sarebbe impaziente
a trasportare via la mia anima,
ma aspetterebbe che il corpo
si saziasse del profumo dei fieni
e dei fiori del bosco.
Sederebbe al mio fianco
ed indosserebbe la cappa azzurra del cielo
e si coprirebbe con il verde
che inonda l'Appennino Tosco-emiliano.
Insieme a me bagnerebbe il viso
con l'acqua frizzante e gelida
dei ruscelli
che rincorrono al piano il Reno
e poi mi trasporterebbe
tra le nubi
abbandonando il fardello
inutile del corpo
con i suoi dolori e le sue pene.
- Al mio maestro di vita Tiziano Terzani
prematuramente scomparso -  

Attimi di follia
L’ira arroventa il cervello:
bolle e sbolle in par misura
e si sognano cattiverie indicibili.
La parola sfugge,
inconsulta,
rabbiosa,
offensiva.

Se la ragione
non la tenesse al guinzaglio,
come un cavallo bizzoso
o un cane rabbioso,
l’impulso la soffocherebbe
in un mare di atrocità.

Eppure l’irrazionalità
non é una cappa occasionale
che si indossa
solo in rare occasioni.

Albeggia nel cervello umano
in par misura
alla bontà e all’amore
e in un attimo
oscura e distrugge
una vita di razionalità.  

Pasolini
Sulla spiaggia
è rimasta una traccia,
una traccia è rimasta
di sangue.
Una scheggia di legno
ha cambiato colore,
ha cambiato finanche l’odore.

Sulla spiaggia è rimasto un poeta,
con la testa che non sa più di nulla,
che non scrive più versi sui fogli,
che non loda più i poveri e i servi.

Un poeta ch’è morto d’un colpo
per aver amato la gente,
che nutriva un amore un po’ strano,
che voleva un amore diverso.

Ora il mar rumoreggia la sera
ed un’onda pulisce la rena
da quel sangue che tutto ha imbrattato,
da quel sangue che ormai più non scorre
nelle vene di un uomo un po’ strano,
che veniva da molto lontano
e che più non distende la mano,
e che più non lancia sorrisi
all’amante che un dì l’ha tradito.
L’ha tradito per venti zecchini.
per un gruzzolo senza valore,
che qualcuno gli ha un giorno donato
per chetare un cervello parlante,
per zittire un cervello sapiente
che non da più fastidio ad alcuno,
che non lascia più orma o semenza,
che non scuote più alcuna coscienza..   

Perché?
Perché mi è stata negata
la vita?

Perché?

Perché mi è stata negata
la gioia?

Perché?

Perché il mio cuore
non si è inebriato
d’un piccolo amore
che s’è inabissato
lungo una spiaggia
deserta e selvaggia?

Perché?   

Tempo ingrato
Non ho avuto il tempo
a fare il padre,
e qualcuno m’ha impedito
anche di fare il nonno.

Non ho avuto tempo
a veder crescere un figlio,
a raccoglierne le gioie
ed i bisogni.

Non ho avuto il tempo,
o forse qualcun me l’ha negato!

Non so che colpa mai commisi,
ne di che orrendo delitto mi macchiai.


Le colpe altrui
assommai sulle mie spalle,
e come un Cristo in Croce
le accettai.

Ma ora il tempo passa;
e dell’amor negato,
dei primi sorrisi persi,
dei vagiti che non ascoltai,
delle manine tenere
che non accarezzai,
cosa ormai più rimane?

Qualche aurora che sorge,
ancora,
ed il rimpianto
d’una vocina smarrita
in qualche angolo di mondo
che non ha allietato
i giorni andati,
che non possono mai più
tornare,
e che non possono mai più
essere in modo alcuno
un dì recuperati.  

Il giudizio
Uno sguardo,
debole,
impercettibile,
inscrutabile,
mi sta di fronte
e giudica.

Sentenze pronuncia
e condanne sentenzia.

Guarda la crosta dura,
e non scopre il profondo.
Scruta le sue apparenze
e non i sentimenti.

Aleggiano i pensieri,
turbinano negli spazi
confusi e impercettibili.
S’agitano nell’inconscio,
emergono spiragli
di verità nascoste.

Orgoglio e pregiudizio,
odio ed amore inutili,
rancori e solitudine
affiorano incomposti
da un animo turbato,
represso,
a cui è mancato amore.

Si inseguono tramonti,
soli splendenti a sera,
lagune rosseggianti.
Qualche stella cadente
scivola su un cielo terso
che alla vista nega
vite remote:
astri e pianeti
che splendono confusamente
e muoiono senza lasciare traccia,
senza più sentimenti.

Lo sguardo indaga!

E la coscienza muore,
consunta dall’incuria
dall’assenza d’amore.  

Divinità e ragione
C’è un Dio sconosciuto
che s’agita in petto
e i miei sentimenti compone.

Non chiede mai nulla
ma tanto pretende ed impone.
Non vuole preghiere,
ne ceri o rosari.
Non vuole santuari,
ne preti o mercanti.
Non vuole fioretti
ne voti o rinunce.

E’ un Dio petulante,
che guida il mio cuore
e muove i miei passi
con forza e ragione.

E’ il Dio della gente
che ripudia la guerra
(non vuole
e neppure pretende
che si uccida in suo nome).

Non vuole la guerra
ed ogni altro massacro
che l’uomo propone ogni giorno
alle genti.

Non vuole
ch’io offenda ogni altro fratello
che affolla la terra,
sia bianco che nero.

Lui chiede rispetto
verso ogni nazione,
lui chiede un amore
che solo pochi san dare.

Un amore non scritto
in libri o vangeli,
un amor che si legge
sulle ali del vento,
un amore che giace dormiente
nel cuore dei giusti,
di quelli che hanno
ancor san l’intelletto.

E’ l’amore di quanti
hanno “cuore” e “ragione”
disegnato nel petto.   

Lacrime perse
Ma a cosa servono
queste mie lacrime perse?
Lo sconforto alimentano
e l’affanno,
pace non danno.

Il petto opprimono
e la mente,
e cupo l’animo
fanno.

Ma il cuore sgombrano
e diradano le ombre
che imprigionano i pensieri
ed i sentimenti
offuscati dal dolore.

Lavano la tristezza
e fan defluire
pene e rancori.  

Anniversario 2004
(98 anni)

La voce mia ascolti
in questi giorni,
mamma mia cara
mai dimenticata,
ascolti la mia pena
e i miei rimbrotti
ma aiuto non mi dai
e neppur puoi.

Le colpe mie t’addosso,
i miei dolori,
e forse soffri in cielo
(o in altro posto)
leggendo in cuore
tutti i miei conflitti.

E nulla puoi,
mamma mia tormentata,
disperata.
Ma avverto sul mio viso
la carezza
che con dolcezza mi donavi un tempo
e rivedo ancora sul tuo viso
anche il tuo flebile ed ultimo sorriso.   

Amore mio lontano
Amore mio lontano,
che mi torni al pensiero ogni mattina
quando apro la vista
a un giorno nuovo,
che risento sul viso la carezza
che lievi mi donasti quella sera,
con le lacrime intense sul tuo viso
per quell’addio sofferto
e maledetto.
Quante volte avvinto dai conflitti
a te tornai in cerca di sollievo,
quante volte il nome tuo invocai
per rinfrancare lo spirito e l’affanno.
E quasi sempre,
la tu voce antica,
con tono dolce giunse nel mio cuore
a riportar la pace e una carezza
all’animo sbattuto dai pensieri.
Ed ancor oggi con te resto a parlare,
ancor oggi che soffro e sono triste,
sento la mano tua sulla mia pelle
sfiorarmi il viso
e nuovamente mi pare d’ascoltare
la voce tua che giunge da lontano
a rincuorare lo spirito che soffre,
a sollevare l’animo ch’è nero.  

Voli solitari
Solca il cielo silente
portato dal vento,
dalla corrente ascendente.
Le ali planano lievi,
si lasciano andare
adagiate sul nulla,
che scivola e corre
su un cielo dipinto d’azzurro
con qualche nuvola bianca,
che, stanca,
appare da un vecchio pennello
che colora una vecchia calotta di mondo
che il tempo non può mai cambiare.
Un urlo,
anzi un roco schiamazzo
che sale sui tetti
e impatta sui vecchi palazzi
baciati dal sole
che il mare osservano muti.
Le rocce non sono più poggi sicuri:
sui tetti vi sono ancora disperse
le tracce d’una sola covata,
di gusci e penne sgualcite
e qualche pulcino indurito
che al sole ha donato la vita
ed un lontano saluto,
che ormai s’è smarrito
nel vuoto del cielo
che, lieve, dipinge il suo ultimo volo.
Il chiassoso richiamo
rimane senza alcuna risposta,
quasi fosse una voce nascosta
che non vuole più farsi sentire,
che vuole in pace morire.       

Volontà di lottare
La tua volontà
di lottare
è come un muro
di cartone
che crolla
alla prime gocce d'acqua.
Proprio adesso
che l'obiettivo é vicino
ti arrendi,
rinunci ad un mondo
senz'altro migliore.
L'ingranaggio del sistema
ti ha stritolato
ogni logica,
ogni sentimento.
Ed anche tu corri,
verso un traguardo
di valori irrazionali
e rinunci alla vita.

L u c e
Offrimi
un bicchiere
di luce,
dammi
un assaggio
di giustizia,
indicami
una strada
diritta.
Dovunque
guardo
vedo il buio,
ascolto voci
di oppressioni,
sono incerto
sul sentiero
da percorrere
ed il silenzio
non offre risposte
alle mie domande,
non scioglie
i miei dubbi
e le mie incertezze.

Mani
Mani,
mani callose e nere
che hanno rivoltato la terra
e fatto crescere gli alberi.
Mani,
mani affusolate e bianche
che hanno estratto
melodie armoniose
scorrendo con rapidità
su una tastiera.
Mani,
mani inguantate e rosse,
rosse di sangue,
che hanno estirpato il male
da un corpo ormai guarito,
che hanno fatto emettere
anche un primo, flebile, vagito.
Mani,
mani impietose e vili
che hanno impugnato armi
e falcidiato vite,
spesso innocenti.
Mani,
mani tremanti
che hanno lenito il pianto,
addolcito le deboli speranze
con una carezza lieve
passata sopra il viso.
Mani,
mani supplicanti,
che invocate la pace sulla terra,
che sperate in un gesto pio
che riporti gioia e serenità
là, dove la prepotenza,
soffoca, senza pietà,
ogni nuova speranza.

A Marco Pantani
Vola, vola, Pirata!
La vetta già la conosci,
l’hai conquistata tante volte
con la tua bicicletta e il tuo sudore.
Le nuvole t’hanno già accarezzato
ed anche l’azzurro del cielo
t’ha inondato le spalle
e t’ha riempito il cuore di gioia.
Il tuo ultimo sprint
t’ha visto solo al traguardo
senza i tuoi fans
o le folle urlanti lungo le strade
che hai percorso vincente.
Vola, vola Pirata!
Resterai per sempre tra noi,
con la tua bandana al vento
e la tua maglia rosa
mentre ci saluti sorridente
all’arrivo della tua ultima tappa.

Donne di vita
Maria,
povero nome,
sussurrato nell’ombra d’un viale,
al freddo soffiar del maestrale,
al tenue chiarore d’un lampione.

Maria,
docile e vinta,
ogni sera replichi il copione
della donna allegra, generosa,
recitando una parte disgustosa
per attrarre un possibile cliente.

Tratti,
concordi il prezzo
di una prestazione sconveniente,
per un attimo di piacere amaro,
che simuli col tuo amante ignaro
per rendere credibile un rapporto.

Maria,
donna smarrita,
che t’inchini con umiltà e trasporto
davanti al Cristo prima d’uscir la sera
e reciti sommessa una preghiera
mentre passeggi tra i platani sfioriti.

Preghi,
forse, tu un Dio
che non distingue tra cuori pervertiti?
Tra quello d’una borghese interessata
e quello d’una donna sfortunata?

Per questo
io ti stimo, Maria;
colgo la tua sofferta decisione
di simulare voluttà e passione
stando col tuo cliente occasionale;
e poi ti segni...
quasi ad allontanar da te ogni male.

Il senso della vita
Mi sono chiesto centinaia di volte
Ma quale scopo ha questa nostra vita,
I dubbi tanti e le domande molte
e l’incertezza dentro il cuor scolpita.

Da bimbo per un nulla mi crucciavo:
spesso le lacrime scendevano copiose
e col dorso della mano m’asciugavo
gli occhi e le rosse gote freddolose.

Poi arrivava mia madre, poverina,
che trepidava solo se accennavo
a un lieve pianto, e tutta premurosa
m’accarezzava mentre sussultavo.

Ma or che adulto sono diventato
Nessuno più mi tende un fazzoletto,
e tante volte mi sento un disperato
ed a pensare, me ne resto a letto,

a questa vita che m’ha disgustato.

Misteri e fede
Vedo lontano
onde marine agitarsi,
rincorrersi biancheggianti,
ripetere all’infinito
energie possenti,
inabissarsi e riaffiorare
per poi lambire
orche e delfini,
tutti fluttuanti
entro un mare in tempesta,
rumoroso,
terribile,
inflessibile.
Anche se la quiete ritornerà
mai il mio animo
avrà tranquillità!
Rimango affascinato
e immobile,
mi sento un invisibile
atomo di fronte a tanta immensità
e grandezza.
Ti odio universo,
amo, però, i tuoi misteri,
resto ammaliato da un
Dio perverso e buono
inutile e potente.

Nebbia
Mézze son le persone
e se ne vanno
sotto il mantello fitto
della nebbia
tra il guazzo dei viali
opacizzati.
Ombre vaganti
e pallidi scenari,
fugaci fantasmi
e aloni rosseggianti
come lune calanti
che svaniscono
tra scheletriche opacità
d’alberi spogli
del vigor dell’estate.

Rosae, Rosarum
Rosae, rosarum, rosis…
A volte risento,
cantilenando ascolto,
voci lontane,
perse nel buio
d’una scuola dimenticata,
in aule adibite ora
solo a deposito di vecchi scartoffie,
con i compiti legati e ammucchiati
uno sull’altro,
che si abbracciano,
stanno vicini
e si raccontano le storie di sempre.
Rosas, rosae, rosae…
Prima declinazione plurale
ripetuta a piena voce,
in uno stanzone freddo
illuminato da una scarna lampadina.
E quelle voci lontane,
trasformate, diverse,
a volte allegre o sgraziate,
sono sparse nello spazio
e da lontano inviano messaggi
che nessuno più raccoglie.

Volo con i pensieri
Volo con i pensieri,
costruisco situazioni fantastiche
che le mie repressioni
non osano presentarmi.
Ti rivedo di fronte a me
e vorrei offrirti il mare di gioia
che provo in questo momento
dentro il mio petto.
Le mie fantasie
mi opprimono!
Immagino situazioni indecenti
e volo con i miei pensieri sulla tua pelle,
che sento vibrare sotto le mie dita
mentre scorrono sul tuo corpo.
Le tue nudità
mi si presentano violente
nella semplicità dei tuoi anni.
Ti guardo e ti sogno
e ti vorrei, così, come ti vedo,
con la pelle bianca e morbida
ed i capelli sciolti sulle spalle.
Aspetto che la luna
illumini i tuoi seni tondi e sodi
e sogno i tuoi capezzoli eretti
che mi stuzzicavano le labbra
in un gioco lascivo e tenero
sfumato in una notte di fine estate
su una distesa di luci tremolanti
che cullava stanche barche ondeggianti
su un mare di tenerezze e di passioni.

Nella pianura di Pristina
Ma poi è tornato il sole...
Da un tronco,
squarciato da una bomba,
è spuntato un ramoscello.
Da una tenda
tra le mille sparse
nella piana di Pristina
s'è levato un pianto
d'un neonato.
Dal fianco della montagna
è sgorgata
una nuova sorgente
d'acqua pura.
Tra le nuvole nere
s'è spento
il cupo boato del tuono
ed è apparso l'arcobaleno.

L’ultimo desiderio
Vi prego, amici, almeno adesso
che sto per lasciare questa vita,
vi prego d’ascoltare
l’ultimo mio desiderio
che voi dovrete soddisfare.
Non urne illuminate,
non fiori sorridenti sulla tomba,
non dimore di lusso alle mie ossa.
Solo polvere io voglio diventare
appena l’ultimo respiro s’è involato
e gli occhi stanchi
la luce del giorno avranno abbandonato.
Solo non mi chiudete
tra il liquame
d’una bara oscura e inospitale.
Il corpo mio libero lasciate
che voli negli spazi illuminati
e non venga rinchiuso in una cella
triste d’un camposanto
ricco sol di tristezza e pianto.
Spargete la mia cenere sul mare,
sulla mia spiaggia dove sono nato,
sulle colline dove giovinetto
liberamente ho corso ed ho giocato.
Vi prego, amici miei,
non ascoltate il cuor dei miei parenti,
disperdete il mio corpo incenerito
nella mia terra, che un dì ho abbandonato,
ch’io possa riabbracciar le care zolle
che un tempo ho calcato allegramente,
ch’io possa dormir felice in mezzo ai fiori
c’hanno addolcito la mia verde estate,
affinché io ritrovi gli anni che ho perduto
e il dolce abbraccio del sole che ho lasciato.

Nulla
Oltre l'immensità
la pupilla si scaglia
quasi a confondersi
con le bellezze
che ogni angolo di terra
nascondono.
E come un bruco
scivolano sul terreno,
papilli tattili,
per riempirsi del bello
e per quantificare
nel nulla
lo spazio infinito
che rimane da scoprire.
Io non vivrò abbastanza
per colmare di gioie
il mio cuore insaziabile,
avido di colori e di musica.
Ma la carezza di un bimbo,
sul mio letto di morte,
un nulla,
sarà il messaggio più bello
d'una gioia che si ripete,
di una vita che si rinnova,
in eterno.

Nuvole procellose
V’amo,
nuvole procellose
che vi rincorrete cupe nel cielo.
Amo la vostra spavalderia
nello sfidare la ragnatela dei fulmini
che v’avvolge
e dei tuoni che vi scuote
con assordanti boati.
Resto ammaliato
di fronte alla potenza
dell’energia che racchiudete.
Miliardi di kilovattora
dispersi a vuoto per i prati,
scaricati sopra le montagne.
Acqua torrenziale
che si disperde
e in un attimo travolge
centri abitati e pascoli selvaggi.
Dalla finestra intensamente osservo
questo immenso furore
mentre alcune gocce d’acqua
mi bagnano la fronte
quasi a ricambiare,
con una carezza lieve e delicata,
il mio infinito amor per la natura
che grandiosi visioni mi regala
di gioia e di terrore in par misura.

O vita
Oh, vita! Oh, giorni
che passano e vanno
e mai sono uguali a se stessi!
Pigri oggi
e domani pieni di vita;
poi allegri,
ed a volte funerei.
Oh, vita,
che passi, che vai
come una foglia
appena spuntata su un ramo
col suo verde bambino,
del colore dell’alghe del fiume.
Poi splendente d’un verde smeraldo,
forzuta,
come il dorso d’un uomo
nerboruto,
che sfida il suo tempo,
saldo, sicuro,
dondolando su un ramo robusto.
E poi, d’un colpo,
ingiallita,
con le forze che perdono
il vigore d’un tempo
ed il vento che la strappa impietosa
dal suo nido sicuro,
la piega come un vecchio
ormai senza vigore
e la porta lontano,
rotolando
per strade e sobborghi,
come un vecchio barbone
indeciso.
E poi muore!
E più non ricorda
il suo primo mattino
d’un marzo ormai andato,
ne le carezze del sole
e del vento,
o il bacio dell’acqua
che ormai più non la sfiora.

Alla mia vecchia auto
Ti sto pensando
mentre t’accartocci
in quella pressa che ti sta stringendo,
tu, che per tanti anni
fedele mi hai servito
e con pazienza
in giro per l’Italia m’hai portato.
Hai sofferto il caldo dell’estate,
il vento e il gelo
più volte t’ha investita,
sempre ti sei fermata
al punto giusto
rispondendo ubbidiente a ogni frenata.
Ora che vecchia, però, sei diventata
(ma gli anni li portavi ancora bene)
t’ho dovuta lasciare, amica cara,
abbandonata dentro ad un piazzale.
Ma ti penso ancora e molto mi dispiace
che come un tempo
più non potrai servirmi;
ma sei stata per me come una mamma
e con affetto io ti dico: addio!
E ti prego di volermi perdonare
se addolorato ma senza intervenire
ti lascio da una morsa crudele
stritolare.

Primo Gennaio 1993
Dormi, Aosta,
coi tuoi vicoli muti
e i pochi rintocchi
delle campane di Sant’Orso
che ti invitano alla celebrazione
di questa prima Eucaristia:
ma tu dormi!
Le tue strade deserte,
neppure il rombo di un motore;
e, tu, sempre dormi, Aosta!
Vegliano le tue montagne:
Colonne d’Ercole
che, nell’immensità
di questa prima nuova giornata,
si stagliano bianche
in un cielo terso d’azzurro.
Dietro un balcone
un cane, bianco e nero,
scruta nell’orto
vuoto e bianco di gelo.
Una cornacchia
picchia col becco
i vetri d’una finestra
in cerca della prima colazione;
e, tu, ancora dormi, Aosta!
Solo l’orologio della cattedrale
continua ostinato
a battere le ore: ci ricorda
che, col sole o la pioggia,
il tempo,
inesorabile,
continua a passare.

Quante volte
Quante volte sognai d’andare in volo
sopra l’onde increspate del mio mare
e riposarmi sopra il vecchio molo
o dentro i flutti tuffarmi per pescare.

Rivedere le spiagge del passato,
i sassi, a volte neri di catrame,
il mare dove un dì abbiam giocato,
lo scarno cibo in pentole di rame.

I tavoli di legno con le panche,
le tende attorno e gli ombrelloni vecchi,
le sdraio dove posai le membra stanche,
e i panni stesi sopra quattro stecchi.

Piccole cose, allor preziose e care,
che con poco s’era già contenti
senza l’auto e senza il cellulare
con le sue suonerie intermittenti,

contenti di fare la corte alla ragazza,
e le mamme a guardare indifferenti
richiamando al dovere quella pazza
quando si allontanava dai parenti.

Quante volte, dai marosi della vita,
approdai al mare mio tranquillo
e m’aggrappai agli scogli con le dita
fuori dal mondo, fuori dall’assillo.

Quante volte sperai di ritornare
per ritrovare sentimenti e affetti,
ma queste cose sol potei sognare
e dentro il cuore me li tengo stretti.

Neve di marzo
E’ Primavera?

Quasi!
Ma le bambine più non si svegliano
come in passato
a coglier fiori di pesco
a primavera.
Ora il tempo è impazzito
e se ne va, felice, a marzo,
a sbeffeggiar le previsioni
che nessuno più ormai
riesce ad azzeccare.
Ma il pianeta
non si sta surriscaldando?
Forse!
Ma la neve caduta
abbondante qua e là per lo stivale
prova proprio
il contrario.
Ed in pianura,
lungo i dorsali che s’affacciano
verso le coste,
lungo le spiagge battute dai marosi
l’acqua salsa scioglie la neve
che si confonde col mare.
E la natura risponde a suo modo
alla sfida dei turbamenti
che l’uomo genera e incoraggia.
E la lotta sembra incruenta
e la sconfitta dell’umanità
evidente.

Testimoni
La tua presunzione,
uomo,
rasenta l’ilarità.

Tu bussi alla mia porta
di Dio ti sforzi di parlarmi,
diritti accampi ed anche privilegi,
rivendichi una patria
promessa alla tua razza
su un monte nel deserto.
Sventoli un libro che tu dici sacro
dove qualcuno ha scritto
di questo tuo diritto.
E non t’accorgi, poi,
che in nome del tuo Dio
il fratello l’altro fratello uccide,
e l’umilia,
e lo sospinge fuor dalla sua patria,
e proditoriamente lo depreda.

E ti sforzi di parlarmi
di prossimo e d’amore,
mentre la mano tua nasconde
una lama
pronta ad infierire
se la tua verità non assecondo.

Così tu contrabbandi per divino
un testo scritto da una mano umana
nel deserto egiziano,
un testo più volte adattato e rivoltato,
come un abito vecchio ed usurato
che un abile artigiano ha accomodato
ma lasciando scoperte, qua e là,
toppe e difetti,
sistemando le righe e le parole
agli interessi di servi e di padroni.

Il mio Dio
nel cuore se ne sta rinchiuso
e a libri ed a libelli mai la sua opra pone.
Alla mia coscienza li scuote e li schiaffeggia
se il prossimo mio dimentico d’amare,
se agli altri un torto faccio
o quello che a me
vorrei non fosse fatto.

Questo Dio non ha bisogno altari,
né chiese, né cappelle;
non ha bisogno Sale, neppure Cattedrali.
Rinnega i falsi profeti, rifugge da veggenti
che scorgono santi e madonne piangenti
in antri antichi o tra rovi in fiamme.

Questo Dio richiede solo amore,
da donare senza aspettarsi nulla.
Non chiede guerre, non rivendica crociate,
non vuol persecuzioni, nega le inquisizioni,
e non accetta intermediari in terra
che presuntuosamente parlano in suo nome
per dire ciò ch’è bene e ciò ch’è male
che chi ha buon occhio
da solo può vedere.

Questo Dio è dentro al tuo cervello!
Non resta immobile tra ceri sull’altare,
ti sussurra in silenzio, senza far rumore,
ti parla, e se tu vuoi lo puoi ascoltare:
ti basta aprir la porta del tuo cuore.

Ragnatela
D'un tratto
la mia fronte bagnata
viene coperta
da una fuliggine appiccicosa
che mi richiama
antichi timori
d'una infanzia remota.
Sbalzo all'indietro
per sbarazzarmi d'un colpo
dell'ospito indesiderato
che penzola dai vestiti.
Lo depongo su un ramo vicino
da dove svolazzano
i fili ormai scomposti
della sua rete distrutta
e rimango fermo a guardarlo
mentre paziente
comincia a ricostruire
la sua risorsa di vita.

Sentieri lontani
(10 Agosto)

Pianto di stelle,
pianto di madonne,
lacrime perse
nel firmamento azzurro.
Stelle cadenti,
ombre di colli stanchi.
Arsura in gola,
voglia d’un respiro
sospeso
tra cielo e mare
che volo di rondine
colora.
Anni pensati a sera
a costruire
un aquilone bianco
che non vola.
Miserie accovacciate
all’angolo di una notte bruna,
che carezza la terra
ed invano incrocia gli sguardi
e tremula la mano tende.
Solo silenzio
ed un brusio di grilli
nel costone
d’una vecchia ferrovia
persa nel buio
d’una notte d’estate
ormai finita.

Sola beatidudo
Aspettavo un dì,
che ormai più non ricordo,
un treno che da Lecce portava a Galatina
ed ingannavo il tempo passeggiando
in un quartiere semi abbandonato
che un dì sorgeva vicino alla stazione.
In mezzo a tante case desolate
apparve un vecchio cancello sgangherato,
appoggiato ad un muretto
ormai in rovina.
Lessi una scritta,
incisa sopra un marmo ancor solido e bianco,
“Beata solitudo
Sola beatitudo”
che la curiosità nel cuore risvegliò
e che mi spinse
ad entrare in quel giardino affastellato.
V’erano ancora diversi alberi da frutto:
arance, pesche, albicocche,
mele, fichi, melograni,
ulivi, mandorle, susine
ed anche un vecchio pozzo,
tutto intarsiato fuori e vuoto d’acqua.
Non si scorgeva il fondo, e qualche sasso
che buttai dentro la bocca del suo ingresso
si esaurì, con un debole rumore,
scomparendo in breve dalla vista.
Pensai, allora:
“Che strano personaggio
avrà un dì abitato in questa villa”?
“Quale infelicità l’ha tormentato
per lasciare tale scritta in sua memoria”?
“Sarà vivo tutt’ora e si dispera
d’aver perso un dì la beatitudo”?
Sicuramente un tempo
cresceva rigogliosa in mezzo ai campi,
prima che le costruzioni
non l’avessero affogata lentamente,
spingendo il proprietario
a ricercare la sua pace
nella tranquillità della campagna
e nel silenzio della sua natura.
Ma quella scritta, impressa su quel muro,
mi tormenta ancor oggi la memoria,
perché rivedo in me, quell’uomo solo,
alla ricerca d’un mondo ch’è finito
e che ritroverei in quel silenzio,
che certo donerebbe alla mia vita
pace, serenità e la beatitudo
che solo può donar la solitudo.

Parole perse
Dove saranno finite
tutte le parole
che mi sussurravi?
E le promesse ed i progetti
su quali spiagge
si saranno arenate?
Che buffa la vita
e come dolorosi i ricordi!
Fischietti indifferente,
a volte,
quasi a voler dimenticare il passato.
Ma le carezze antiche
ti riportano il tatto ed il calor della pelle
che le tue mani
avrebbero distinto tra mille altre mani.
E nel buio della notte
senti un alito sul tuo collo
ed un respiro intenso e sofferto
che ti sussurra qualcosa
che inutilmente cerchi di ascoltare,
che disperatamente non riesci a capire.

Miss 'nciucio
Un suono mi giunge,
lontano!
Ascolto: la mano sui tasti
veloce
carezza il bianco ed il nero.
Parole schizzano ardenti,
armonie nuove e vecchie,
suadenti.
Ripeto un fischio:
un segnale che solo io
e lei capivamo.
“Passa e spassa miss 'nciucio,
ciù, ciù, ciù nun trova pace”,
e risento quelle note ancor volare
dal verone,
ed io le ascolto
con un senso di dolcezza
dentro il cuore.
Quelle note che non ho dimenticate,
quelle note che più volte sono tornate,
quelle note che avrà anche già scordate?

Diversità
Io ho freddo,
ho freddo!
Il mio corpo
é un bagno di sudore;
il mio cervello
impazza,
tambureggia d'idee
di folli propositi
che tali non sono.
Vedo dentro di me
l'immagine distorta
dei miei concetti astratti,
leggo nel mio profondo
le finzioni
per un rapporto
che sa di irrazionale
e contorto.
Mi sforzo di sentirlo diverso,
spregiudicato,
non conformista,
libero.
Ed, invece, l'oppressione,
l'educazione,
la religione,
il costume,
la violenza materna,
continua.
Vorrei fuggire,
a piedi scalzi,
nudo
sull'erba di un prato,
magari sotto la pioggia,
per sentirmi diverso,
lavato nei pensieri,
unico esemplare
di un mondo
di immagini irrazionali
e di finzioni.

La baraonda
Di’ quello che ti pare:
tanto le tue ovvietà
non cambieranno la storia.
I soliti pappagalli
reciteranno a memoria la lezione
come bambini ubbidienti
e la massa informe
continuerà a ripetere: beeee…beeee…
Inutilmente ti ribelli:
la tua disobbedienza
non disturba più di tanto
i manovratori
e la nave cambia rotta e destinazione
in cerca di nuovi porti
e di nuovi marinai.
Dallo schermo,
insensibile alla tua indignazione,
il nuovo potere ti beffeggia
e ti umilia.
Invano cerchi una ragione logica
che giustifichi le nuove scelte
che risultano non rinviabili.
Come sempre sarai tu a pagare!
E l’indifferenza dei più
sembra dar ragione e approvare
una strana forma di giustizialismo
che i nuovi governanti
diffondono come solerti seminatori
certi che il drago continuerà a dormire.

Un’anima
Per un attimo
riprovo l’ansia
di giorni quasi scordati,
sepolti
nell’indifferenza del tempo
che non perdona.
Un angolo di vita,
che si riaffaccia
a scavarmi nei solchi
del cuore quasi insecchito
dei sentimenti.
E balzano innanzi
lievi tremori
di adolescenza
buttata dietro le spalle,
come un sacco
pieno di inutili cose
in cui ogni tanto rovistare
per cercare un pensiero perduto,
un sentimento
forse dimenticato,
mai più provato.
Piccole gioie
di una parte di vita
che non si riesce a scordare,
piccolo dolore,
forse grandissimo,
forse insignificante,
ma che scava sempre
nei ricordi del tempo.
Immagini ormai sbiadite
di cose un dì possedute,
di cose anche vissute
insieme a qualcuno
che, forse, ora,
in questo preciso momento,
ricorda,
con me,
quasi in silenzio,
per pudore d’essere inteso,
per paura d’esser scoperto.

Emozioni lontane
Albe mie ingrate,
voci solitarie che veleggiando andate
verso approdi a me ignoti,
colori della terra e dei boschi,
cangianti all’ondeggiare del sole,
brezze solitarie del vento
che m’accarezzate la fronte sudata
ed i capelli scomposti,
un pallido sorriso
regalate al mio animo in pena.
Invano
cerco negli approdi in disuso
imbarcazioni che a lungo sognai
nelle mie primavere lontane.
Rade e golfi,
baciate dall’onda malinconica
o schiaffeggiati dalle mareggiate infuriate,
disegnate ancora per me
i colori che un tempo
riempivano di gioia e di piacere
il mio animo assetato
di emozioni sempre rinnovate.
Inutilmente
inseguo stagioni che non si ripetono,
sensazioni mutevoli
che mi lasciano in cuore solo il rimpianto
per un amore finito
e per una carezza ormai dimenticata.

Lago Sirio
Me ne vado in silenzio,
lungo la sponda tranquilla del lago.
Ascolto i richiami della cinciallegra,
il canto dell’usignolo
ed il lieto fischiettare del merlo.
Un chiacchierio confuso,
tra i rami dei salici
che accarezzano l’acqua increspata,
m’addolcisce il cuore
e distende la mente.
Un cigno bianco
sfiora la superficie lucente
e disegna ali di rondini
che si dispiegano
quasi a spiccare il volo.
Un angolo di mondo
fuori dalle anormalità
e dagli orrori.
Un attimo di gioia:
poi il rumore di un aereo di guerra
scompone l’armonia che mi circonda
e lascia una scia nera e paurosa
nello specchio dell’acqua,
che si turba.

Bibbia
Lieve sfoglio quel libro:
le parole si affollano
come un mare di gente
tra i banchi di un Supermarché.
Cerco il bene ed il male:
una girandola di scatole e di barattoli,
saponi e detersivi
che non riescono a lavare
la coscienza del mondo.

Per via
Accarezzo le immagini dei viandanti
che si perdono per strade silenziose.
Ombre che si accalcano
sulla scena della vita,
che giocano con le loro anime
e ruzzolano negli stagni
dove l’acqua ristagna
e sa di putrido e stallattico.
Il gioco si ripete all’infinito:
corpi che non sanno di nulla,
cervelli che hanno rinunciato al domani.
Eppure i loro occhi
guardano in silenzio,
e vedono forse orizzonti
che a molte normalità ormai sfuggono.
Le loro angosce non ci appartengono,
il febbricitare della loro fronte non ci interessa,
la loro umanità appartiene
ad un mondo a noi sconosciuto.
Inutilmente accarezzano la mano
del compagno ammalato:
una scodella di latte bollente
trabocca su un fuoco improvvisato
e solleva un fumo denso e asfissiante
che oscura le nostre coscienze
che hanno dimenticato
solidarietà e amore.

Fugaci emozioni
A volte
vorrei risentire il rumore dell’onda
frangersi sulla mia spiaggia pietrosa
sotto il Monumento ai Caduti
oltre la ferrovia.
Osservo
con intensità e gioia soffocata,
su questa spiaggia di Maremma
che mi culla pensoso,
l’onda che va e che viene.
Ascolto
il mare spumeggiante,
che m’accarezza le gambe,
e spingo il pensiero
oltre la laguna dell’Argentario
quasi a ritrovare l’onde
che un tempo
mi lambivano il petto
e che sono arrivate dopo tant’anni
su questa spiaggia sabbiosa.
E l’illusione mi fa rivivere
giorni incantati,
giorni felicemente consumati
che inutilmente accarezzo
come se non fossero mai trascorsi
ma che mi regalano illusioni
ed attimi di fanciullezza perduta.

Gloriana
Un usignolo m’ha svegliato all’alba:
di gorgheggi m’ha riempito il cuore,
la mia giornata ch’era triste e scialba
si è illuminata d’un tenero chiarore.

Ed in mente d’un colpo son tornate
parole e suoni antichi, a rinverdire
le mie emozioni, ch’erano chetate,
ché mia madre m’è parso di sentire

quando seduta in casa a rammendare
serena canticchiava “Voce e notte”
ed io lasciavo lo studio ad ascoltare
le melodie che ormai sono interrotte.

Oggi, d’un tratto, di nuovo son tornate
ad allietare la mia mente stanca
dolci parole in canto accompagnate
a ricordarmi la sua chioma bianca

quando sfinita per il rassettare
pettinava i capelli e li intrecciava
non smettendo un istante di cantare
e d’armonia la casa ci inondava.

Grazie, Gloriana, per tutte le emozioni
che il tuo bel canto oggi m’ha donato,
ché nel cuor rinnovato ha le passioni,
le gioie e i sentimenti del passato.
(Per la deliziosa, sensibile ed armoniosa
cantante napoletana Gloriana Imperatrice)

Mercenari
Buttare la propria vita
alle ortiche!
Per un pugno di sporchi
dollari
oscurare la propria coscienza!
Per un ideale che non esiste
vendere la propria anima
a luridi mercanti
di business!

E tanti si chiedono
di questa folle corsa
per uscire dalla mediocrità,
da una vita di incertezze
e per costruirsi un futuro diverso.
E quel pezzo di pane,
negato
da uno Stato che ti dimentica,
l'ho trovi
sfogliando gli annunci commerciali
d'una multinazionale
che non piangerà
mai
per la fine dei suoi uomini
in guerra.
Ed il solo pianto che conta
resta al di là d'uno schermo TV,
chiuso nel dolore immenso
d'una mamma trepidante,
d'una sposa ormai vinta,
e s'infrange nelle fredde esternazioni
d'un ministro indolente
che serve un potere
che manda i suoi figli al macello
tra le dune d'una terra che non ci appartiene
e che non ci desidera.

Il sogno
Un'auto sfreccia veloce,
corre verso l'ignoto.
Una brusca frenata
e un salto su un vecchio veliero,
a motore, rivestito di pelle,
che sfiora un mare adombrato,
affiancato a una strada
d'un vecchio borgo
ormai abbandonato.
Ed un grande maniero,
che tetro aleggia e copre la scena
ammantata di ombre e mistero.
Un gruppetto di gente che osserva:
ed io chiedo, ad un tratto:
- di quale nazione mai siete? -
Mi risponde un biondo slanciato,
con un certo italiano sforzato:
- Europa -
e mi sento commosso
pensando al tempo passato.
Attorno qualcuno che veglia
seduto su vecchi gradini;
in fondo i resti di case
ormai vuote, sventrate,
disegnano il cielo
con tratti sconnessi,
incomposti.
Poi un prato sassoso,
e un cane che sbuca da un masso,
un vecchio collare un po' liso
gli stringe un collo insecchito,
le orecchie piegate all'indietro,
gli occhi suoi buoni,
le costole ricamano un corpo affamato.
Scodinzola e guarda:
s'aspetta qualcosa,
anche un tozzo di pane,
raffermo.
Gli regalo una lieve carezza.
Mi sveglio!
Quel cane mi brilla negli occhi!
Lo penso, lo cerco.
Poi vedo il mio cane
che russa tranquillo,
pasciuto, accudito, servito.
E una pena profonda m'assale
pensando a quel cane,
che sembra guardarmi,
dal buio,
con gli occhi suoi buoni
che aspetta, ancora, qualcosa.

Burqa
Quelle bimbe
vestite di nero,
col velo in testa,
nero,
che pensierose mi osservano
da uno schermo TV,
m'inteneriscono,
m'intristiscono l'anima.
Sembrano macchie
d'inchiostro
che sporcano
le coscienze
dei popoli liberi.

I cipressi di Pian dei Mucini
Un cielo terso:
l'azzurro occhieggia sorridente
tra le nuvole bianche,
che dolcemente incorniciano
Pian dei Mucini e la Massetana.
Là in fondo, quasi un disegno vivo,
ondeggiano pigramente al vento:
pennellate di verde riempiono la valle
e inghirlandano il borgo
che tenero li abbraccia,
e sorride alla nuova stagione
che regala le prime viole
mentre la ginestra
già tra i rovi occhieggia
e i castagni corteggia.

L'unione
Io sono uno,
uno o centouno
fa lo stesso.
Io sono uno,
uno o milleuno
fa lo stesso.
Siano ancora troppo pochi
per cambiar la storia infame.
Uno sono uno,
uno o diecimilauno,
siamo ancora pochi
per troncar la fame.
Ma non sono più uno,
ora siamo diecimilauno.
Adesso si incomincia a ragionare
questo mondo può cambiare.

Inno alla vita
Oh, vita! Oh, giorni!
che passano e vanno
e mai sono uguali a se stessi!
Pigri oggi
e domani pieni di vita;
poi allegri,
ed a volte funerei.
Oh, vita,
che passi, che vai
come una foglia
appena spuntata su un ramo
col suo verde bambino,
del colore dell’alghe del fiume.
Poi splendente d’un verde smeraldo,
forzuta,
come il dorso d’un uomo
nerboruto,
che sfida il suo tempo,
saldo, sicuro,
dondolando su un ramo robusto.
E poi, d’un colpo,
ingiallita,
con le forze che perdono
il vigore d’un tempo
ed il vento che la strappa impietosa
dal suo nido sicuro,
la piega come un vecchio
ormai senza vigore
e la porta lontano,
rotolando
per strade e sobborghi,
come un vecchio barbone
indeciso.
E poi muore!
E più non ricorda
il suo primo mattino
d’un marzo ormai andato,
ne le carezze del sole
e del vento,
o il bacio dell’acqua
che ormai più non la sfiora.

I diritti delle bestie
Slegate quel cane.
Anche una bestia ha diritto
ad un attimo di libertà
per correre felice
in mezzo a un prato.
Ancora cucciolo
l’avete abbandonato in quel recinto
incuranti del suo lamento
e delle sue paure.
Il suo branco era la tua famiglia.
Per qualche mese
ha giocato coi tuoi figli,
ha mangiato i suoi pasti
in una casa tiepida
con la tua famiglia
che pensava fosse anche la sua.
Poi una sera l’hai legato
alla catena in un recinto all’aperto
e sperduto nella campagna.
I suoi guaiti si sono spenti
col dolor della sua mente.
Invano la luna ha ristorato
con i suoi raggi
il buio che l’abbracciava.
I rumori della notte,
i fruscii tra i cespugli,
ed i lamenti di altri suoi compagni
abbandonati da padroni ingrati
l’hanno terrorizzato lungamente.
Anche un cane ha i suoi diritti:
il diritto all’amore,
il diritto alla tenerezza,
il diritto ad una carezza,
il diritto di correre in tutta libertà
per segnare i confini del suo regno
ed annusare le visite di amici e di vicini.

La rema
Fragili corpi, esili braccia,
insufficienti a spingere sul mare
una pesante barca di vecchi pescatori,
preoccupati ad affidare
quella ch’era stata nel tempo
l’unica fonte lor di sussistenza.
- “Picciriddi”, attenti alla “rema” -
sentivamo urlarci dalla riva
mentre chiassosi e pien di frenesia
nel mare si spingeva,
agendo con forza sui pesanti remi,
quella desiderata imbarcazione
che riempiva di gioia alcune ore
delle nostre giornate
delle estati andate .
Ascoltavamo la raccomandazione
come i sordi percepiscono i richiami
ed il pesante mezzo,
vogando di gran lena,
fino alla “botte” in mezzo al mare
o sotto la rotonda del lido portavamo.
Ma al ritorno
la raccomandazione dei vecchi pescatori
comprendevamo.
Rema calante, rema salente!
Tremenda corrente e gorghi paurosi
che nel passato tanto timore
infondevano in tutti i naviganti
che tra Scilla e Cariddi
solcavano quel mare.
E quando l’urlo d’una barca vicina,
“a rema”, ci avvisava del pericolo incombente
era ormai troppo tardi
per fingere d’esser sordi.
E pagavamo con il sudore della nostra fronte,
con la fatica delle nostre braccia
e le vesciche delle nostre mani,
la poca cura data a certi avvertimenti
e l’incuria verso l’altrui esperienza.
Ed ancor oggi,
sdraiato su una spiaggia maremmana,
penso al mio mare
in questi giorni tiepidi d’autunno,
e sopra l’onde mi ritrovo ancora,
come un nocchiero antico,
a spingere nel mare una barchetta
ed i perigli e le correnti avverse,
che la rema calante causava,
cerco di raggirare e prevenire
affinché la lezione antica non sia persa
e serva ancora a colorir le menti
per non ripetere gli errori del passato
e tutti i guai che questi han comportato.

Kaos
Ali e voli:
rondini in viaggio,
falchi plananti
su un cielo senza storia;
mete agognate e mai raggiunte,
pallidi occasi
ed albe senza sole;
ricordi e tenerezze,
gioie sommesse,
nel cuore custodite;
rancori antichi
e nuovi pentimenti;
mani tremanti
che cercano carezze,
avare,
che hanno evitato di donar
quand'era il tempo;
treni fluttuanti
su rotaie che sfumano nel nulla,
che vanno in esilio
su binari morti.
E tutto intorno gira la campagna,
il sole sorge e nulla più mi dice,
anche la gioia nel mio cuor ristagna
e non riesco, oggi, di essere felice.

Asfalto
Il vecchio sentiero
é scomparso.
Un nastro d'asfalto l'ha coperto
e l'erba é morta.
Ogni giorno
lo percorro in silenzio
e penso ai rovi di primavera,
c'hanno estirpato,
e alle more d'agosto,
che più non ho raccolto.
La neve è di nuovo caduta,
come un tempo di bianco
ha coperto il catrame sulla strada.
E poi la primavera é ritornata.
Sul manto nero,
qua e là, un ciuffo d'erba spunta
e il vecchio rovo la vita si riprende
sorridendo dall'asfalto
che crepa e cede il passo
alla natura.

Rondini
Rondini che sopra l'onde veleggiate,
regalate un saluto alla mia terra
quando in punta sarete allo Stivale.
Sullo Stretto un poco volteggiate

dall'alto rimirate casa mia
che mi cullò con cura da fanciullo
facendomi sognare ed anelare
prode felici lontan dalla mia via.

Cercate nei prati, se non soffocati
da nuovi caseggiati o dal cemento,
l'orma remota dei miei piedi scalzi,
le rose rosse nei vasi coltivati.

Forte aspirate l'aria della libertà,
che mi sospinse via dalla mia terra
in cerca di avventure ed emozioni
rinunciando a quel che più non s'ha;

perché era nel nulla la speranza,
raccolta in poche cose pien d'amore,
nelle carezze cariche di affetto,
rimaste abbandonate in una stanza

d'una casa lontana e senza vita,
che ricambia da terra il suo saluto,
che trattiene ancora i miei sospiri
e quelli d'una madre ormai partita

per approdi dei quali non so molto
ma che spesso ritorna in quel rifugio,
dove ancora intonar si sente un canto
ed una prece a cui non do più ascolto.

Ma chi ti pensa?
Ma chi ti pensa,
chi t’ha mai visto?
Forse questo mi diresti
se per caso t’incrociassi,
per strada un dì,
alla fermata di un tram.

Ma che cerchi,
che vuoi?
Forse questo risponderesti
al mio rimpianto
per i giorni che felicità
mi hanno regalato
stringendo la tua mano
lungo una stradina deserta.

E forse hai tu ragione
a conservare questo rancore
nel cuore.

Il vile sono io
per non aver lottato
per il trionfo dei miei sentimenti,
che m’hanno regalato
rancore e tristezza
ma, ancor oggi,
anche dolci pensieri.

Profumi di infanzia
S’io potessi un giorno
ritrovare i profumi d’un tempo
sicuramente chiuderei gli occhi
per rivedere anche
le piante ed i prati
che m’accarezzavano
il petto e la fronte bagnata
dopo le mie folli corse
di libertà.
M’adagerei,
sotto acacie fiorite a primavera
o mandorli in fiore,
a guardare le nuvole
ricamare disegni nel cielo,
oppure resterei immobile sotto un ciliegio
per farmi ricoprire dai petali
che il vento disperderebbe sul mio viso.
Annuserei ancora
le bianche corolle dei campanelli
che ricamano ancor oggi
le siepe di more e biancospino
sorridendo ai viandanti
come bimbi affacciati ai veroni
di vecchie dimore abbandonate.
S’io potessi,
forse non tornerei più dai miei sogni
ed affogherei in silenzio
nel mare della mia fanciullezza.

Le mie certezze
Le mie certezze
si sciolgono come neve al sole
man mano che i giorni
mi presentano il conto estremo.
Coriaceo fui un dì,
ricotta sembro oggi.
Ed aspetto con affanno
che arrivi il giorno nuovo
aspirando, dietro la persiana,
l’aria brumosa del mattino
che si confonde
con la linea lontana del Teso
tra la nebbia che si dipana.
Oasi lontana,
acqua fresca di fonte,
dolci gorgoglii di sorgente,
chiacchierino frizzar
d’acqua tra i sassi,
per quanto ancora
resterete a farmi compagnia?

Odori di bosco
Il mio sguardo
si perde nel silenzio della sera.
Sfiora le cime degli alberi
che cambiano colore
e sprofonda tra questi boschi maremmani
che profumano di castagne
e di coriandoli maturi.
Assaggio i chicchi vermigli
dal sapore asprigno
e nel bosco disperdo
i semi legnosi
che rigiro in bocca
dopo aver gustato la polpa matura.
Quest’anno la pioggia è stata avara
di carezze alla terra!
Invano sotto i castagni
cerco porcini od ovuli saporiti.
Solo qualche solitaria mazza di tamburo
biancheggia tra gli umidi cespugli
ai margini del bosco.
In tutte le Colline Metallifere
invano i cercator di funghi
percorrono i sentieri del sottobosco.
S’ode lontano il deflagrar del fucil
di qualche cacciatore solitario
e l’abbaiar dei cani in corsa
dietro qualche cinghiale impaurito.
Rapido attraversa il sentiero
un giovane cerbiatto
e si disperde nella fitta boscaglia
che l’abbraccia
e affettuosamente lo protegge.

Indecisione
Ondeggio come i rami degli alberi,
mi piego, m’agito, mi rivolto,
sbatto le mani sui tronchi
e mi confondo
con le foglie;
mi slancio quasi a spiccare un volo
che rimane legato ad un filo
come un aquilone.
Le idee schizzano dalla mente,
i pensieri s’intrecciano
come una matassa di canapa,
azionata dagli archetti
che si trasforma in corda.
Lunghi metri di noia,
che scorrono,
lentamente,
pazientemente,
e si depositano
nei corridoi silenziosi
della mente,
dove le tempeste si agitano
e m’avvolgono
senza produrre frastuono,
senza generare mutamenti.

Ad Irene
Quei quattro cani
salvati dalla spazzatura
hanno oggi la possibilità
di scodinzolarmi
mentre passo sorridente
davanti al cancello
della casa di Irene
che li ospita
e che li ha sottratti,
grazie al suo amore,
ad una fine orrenda.

Quella gamba
Quella gamba
colpita sul Piave
da una granata
era stata legata
con il filo spinato.
Invano!
Ora mi resta
una stampella
ed il disprezzo
di un politicante bizzoso
che scambia
la pianura Padana
come sua riserva di caccia.
Quello che mi tormenta
è la stupidità
di chi crede alle favole
dopo che una generazione
è stata massacrata
per costruire una Patria
che ogni mese
non onora i morti sul Piave
ma indennizza profumatamente
una schiera di opportunisti
che non disdegnano una mercede
dal Paese
che dichiarano di non rappresentare
e che vogliono liquidare.

Naufraghi
Quegli occhi
che mi guardan dallo schermo,
vuoti, attoniti, sconfitti,
m’affogano tutta la coscienza.
Quale nefandezza io commisi,
di quale delitto orrendo mi macchiai
per sentire le colpe altrui
pesarmi dentro il cuor
terribilmente?

E’ vero!
Forse la nostra civiltà,
che vanta le sue origini umaniste,
ormai è marcia e defunta.
E il suo fetore
ammorba le coscienze,
offende i sentimenti.

Un dramma che ogni sera
si ripete.
Rimbalza sugli schermi
e ci dimostra
le nefandezze del mondo occidentale,
la sua brutalità
che con tanta crudeltà si esprime
e noiosamente poi si esaurisce
nelle interviste e nelle discussioni
nell’arengo del freddo parlamento.

E quei morti avvolti negli stracci,
sono soltanto inutili occasioni
per celebrare il volto solidale
d’un popolo che piange e si dispera
e che poi affoga il proprio dispiacere
davanti a una bottiglia di barbera.

Spiriti
Quando l’anima
lascerà il suo involucro vuoto
e si disperderà per lo spazio,
si ricongiungerà
a tutte le anime andate
che gli verranno affettuosamente incontro.
“Anche tu ci sei”
dirà a quell’anima stanca
che in vita non ha regalato
neppure un sorriso.
“Anche tu”, dirà,
e chiederà scusa per i torti
e i soprusi commessi.
“Non fa nulla”,
sentirà dire con dolcezza
perché il mondo dei morti
regala serenità ed amore.
Non c’è più l’affanno e la foga
del correre per conquistare beni
che il tempo cancella;
non servirà più la gloria
o la vana illusione del potere,
inutile nella nuova dimensione raggiunta;
non c’è bisogno di beni di lusso,
di case e di vacanze esose
ché lo spirito
non ha bisogno di panni e mantelli
e raggiunge tutte le mete volute.
Ecco, ora il ricco
ha lasciato ogni affanno
ed al povero tende la mano.
Ora la pace
non ha bisogno di cartelli o sfilate
perché la guerra
è un mostro lontano
che non interessa le anime andate.

Innaturalmente
Scorre lentamente il ruscelletto,
giù dalla china corre alla pianura,
sulla sponda gioca un fanciulletto,
un cervo osserva senza aver paura.

Un usignolo s’abbevera a una polla,
un merlo si bagna allegramente,
agita l’ali, la testolina scrolla,
e il piccolo invita dolcemente.

Dondola al vento un prugnolo selvaggio,
il sole filtra tra i rami d’un rosaio
ed il sentiero indora con un raggio,
l’animo allegra, lo spirto rende gaio.

Scorre leggiadra l’acqua, chiacchierina,
un lieve suono emette nel suo andare
sguazza coi piedi allegra una bambina
e s’adira con chi la vuol fermare.

Una lodola canticchia sopra un ramo,
un cardellino risponde da un castagno;
un pescatore invano tende l’amo:
la canna flette tra i sassi dello stagno.

Guizza tra le torte radici della riva
qualche trota: sparisce negli anfratti.
Un grosso rospo goffamente arriva,
gonfia le gote gracidando a tratti.

Qualche farfalla con eleganza vola
tra i rami ed il ruscello a tratti sfiora,
un ragno su una tela fa la spola,
e la ripara pria che il giorno mora.

Una gioia serena inonda il cuore
gustando le dolci vision della natura
perché, allora, l’uomo semina terrore
con guerre orrende e con la tortura?

Missione umanitaria
Ma per poche lire
il gioco val davvero la candela?
Partire volontari
per una terra inospitale
e ostile
e ripetere all’infinito
lo stupido ritornello
del ruolo pacifista
della nostra missione umanitaria.
Ed io l’avevo previsto anzitempo:
lugubre veggente di morte
ho anticipato i tempi
ed ho visto
i muri e il selciato iracheno
imbrattati di sangue italiano.
E quei volti,
oggi fraternamente vicini,
sembrano gridarmi in faccia
una maledizione annunciata.
E dietro giocano sempre i soliti pifferai,
che oggi sprecano lacrime (finte)
e parole (che il vento disperde),
mentre il dolore (vero)
si intravede nella dignità
delle madri disperate,
delle mogli umiliate,
dei parenti distrutti,
degli amici addolorati.
E nessuno rinuncia alla postazione:
va tenuta per forza
affinché al tavolo dei bottegai
ci siano anche i macellai nostrani
che nuotano e volteggiano
nel sangue dei rappresentanti d’un popolo
che ha sempre osteggiato la guerra.
Ma la voce del popolo è corta
e il suo potere nullo
di fronte agli interessi nazionali
che devono essere tutelati per forza.
Ed allora, alè, al macello:
nuovi giovani pronti a tener la postazione
che profuma ancora di sangue innocente
che nessuno si sogna mai di vendicare
perché in fondo il nemico è sconosciuto
e la guerra non è mai stata dichiarata
a nessuno.

Tornare al passato
S’io potessi per una volta
ritornare al tempo perduto
e rivedere l’evoluzione della mia vita
forse proverei disagio e sconforto.
Anni tremendi e disperati
vissuti nel disagio e nel bisogno
acuito da un conflitto non cercato
e non voluto.
Rivedrei persone a me care
e personaggi ostili
che hanno colorito e riempito
le mie giornate infantili.
Riproverei brividi di paura
per le tristi nottate al buio
con gli aerei di guerra
che bombardavano i paesi vicini.
Incontrerei nuovamente
i volti affaticati e scuri
dei contadini che a sera
ritornavano a casa
dopo un giorno di duro lavoro.
Rigusterei le saporite ricotte
che i pastori vendevano lungo la strada,
dissetandomi con il buon siero
dei loro contenitori di latta,
ma ritroverei anche
i sorrisi della mia adolescenza
e la spensieratezza
che ho perduto per sempre.

Per i tuoi sette anni
(A Seila)

Ecco un altr’anno se ne è andato,
due dentini di meno,
e un nuovo compleanno
ch’è passato ancor senza di noi.
Noi siamo qui a pensarti
e ti vediamo allegra festeggiare
coi parenti ciancianti e sorridenti.
Inutilmente il telefono squilla!
Nessuno pensa a noi:
almeno ad avvertirci
ch’è inutile a te telefonar,
ché tu sei via.
Ecco la sera:
una vocina risponde
alla chiamata.
Ma sei distante,
e forse anche di mente,
da noi che tanto ti pensiamo
e che possiamo solo sognarti
tristemente.
E non abbiamo neppure
una fotografia tua più recente
nella cornice posta sul comò.
Sempre la vecchia foto
di quando avevi tre o quattro anni solamente
che nessuno si ricorda che esistiamo
e che nutriamo verso di te un affetto
certo maggiore di altri tuoi parenti
che crescere ti vedon lentamente.
Ma cerchiamo d’essere felici
pensando alla felicità tua da lontano
e ci illudiamo d’averti a noi vicina
mentre ci parli e ascolti alla cornetta
d’un telefono freddo
che ci opprime.

Scende la sera
Scende la sera col suo manto nero
copre i sentieri tra gli alberi del Teso,
nasconde i boschi, le case e il cimitero.

Lento il carro sen va col lume appeso,
dondola agli stratton della cavalla,
sobbalza il contadin sul fien disteso

mentre gli casca la testa sulla spalla.
Passa il carretto a fianco d’un ruscello,
col cigolio s’avvia verso la stalla,

saltella attorno qualche tardivo uccello
che lancia alla compagna i suoi richiami
striduli, per farla rifugiare nel corbello

tra le fronde costruito, in mezzo ai rami.
La luna intanto s’affaccia dietro il monte
illuminando dei fior calici e stami.

Saltella l’acqua tra i sassi sotto il ponte,
brontola anch’essa un’ultima preghiera
e il contadin solleva, oltre la fronte,

del suo berretto la logora visiera.

Va pensiero
Una vecchia canzone,
cantata tra vecchi banchi di scuola
da circa quaranta bambini,
ubbidienti, allineati,
ma sovente anche affamati.
Versi e parole distorte,
imparate in gran fretta a memoria,
e cantati con voce stonata,
e fors’anche poco convinta,
in un’aula fredda e lontana.
Un faccione impresso nel muro
che faceva finanche paura,
e un omone vestito di nero
con il fez che copriva una fronte
un po’ altera e solcata da rughe
e due labbra sormontate da baffi
che scandivano ferme parole
inneggianti ai libri e al moschetto.
E poi le piazze stracolme
invase da folle scomposte,
che chiedevano pane e lavoro.
E la fuga ingloriosa di gerarchi e gregari,
la follia, poi riposta,
per sfuggire al giusto castigo,
e le piazze che cambian colore
e modificano anche il saluto.
E poi il tempo che scorre,
con qualcuno che ancora galleggia
e riappare a dettare sentenze
e cambiare di nuovo la storia
e riscriverla per nuovi interessi
che si stanno pian piano formando.
Mestamente riaffiorano i canti
e le note di un pensier ch’era andato
e che sembra di nuovo tornato.

Fantasia
Ridateci la luna
come era una volta.

Ridateci, ridateci.

Ridateci la luna,
rossa, gialla, verde, pallida,
coi nostri sogni
che le volavano intorno.

Basta
coi satelliti artificiali
che le ronzano asfissianti,
basta
con le sonde spaziali
e le bandierine abbandonate,
basta
alle auto cingolate
con le antenne trasmittenti
e le pile ormai esaurite.

Torbidi presagi
L’onda mi viene incontro
e m’accarezza
i piedi scalzi,
mi lambisce le gambe.
Gioca scherzosamente:
spruzzi salmastri
semina
e sussurra indefinibili parole
che si sciolgono
sulla cresta di un’onda birichina
che si confonde,
e si disperde,
su questa spiaggia
che l’autunno ritarda.
Saluta da lontano Palmaiola
e Cerbaia risponde
alle carezze che l’Elba gli regala
mentre il sole la indora.
Un candido pennacchio,
sfugge dalla centrale di Piombino:
scherza con un cielo che si tinge di porpora
e disegna all’orizzonte
strani messaggi
che la Sibilla inutilmente interpreta
come funerei presagi
ricchi di sciagure e afflizioni.
Il Gran Carro
sfreccia nel cielo
invano inseguito da Venere
che non regala più delizie a Didone.

10 Agosto 1993
A oriente nulla di nuovo,
scruto nel cielo una scia luminosa che non arriva;
la mia speranza è tutta lì.
Credo nei messaggi che i mass media diffondono:
spero almeno che si avverino.
Nel mio cuore una speranza
lanciata attraverso gli spazi infiniti,
affidati ad una stella cadente che non si vede.
Ho espresso già il mio desiderio ed è quasi l'una,
ma nessuna cometa
traccia nel cielo quella scia di speranza
alla quale ho affidato un amore impossibile.
Sento quasi l'eco di una mitraglia
che sfiora i sogni della gente
assonnati sulla conca di Pila.
Tutti sperano che i loro sogni si avverino.
I soldi servono, sì, ma che m'importa
se all'improvviso i Gardini
scoprono di essere poveri?
Forse la mia pensione basta anche per altri,
che vivono sotto i ponti e dormono,
mentre io aspetto le stelle cadere.
Anch'essi hanno in cuore la pace:
sognano spezzatino e polenta.
Ed io penso a quelli di Bosnia
che rischian la pelle per una scodella di acqua.
Che strano mondo è codesto,
che già m'ha donato dieci lustri e cinque anni,
una guerra vissuta e tante altre godute in TV,
che se non arriva corrente non servirà più.

A volte me ne resto
A volte me ne resto imbambolato
a guardare da un poggio la Maremma:
fisso i paesi
arroccati sopra i colli,
i boschi di faggi e i castagneti.
Il sole li illumina, a momenti,
muta i colori, cambia i movimenti
dei rami,
che il maestrale vivacemente scuote.
Ombre furtive avanzano pian piano
per la campagna:
s’aggrappano alle nubi procellose
disegnando nel piano un chiaro-scuro
che varia disegni e luci
ogni momento.
Un filo d’erba s’agita
su un muretto in rovina,
lieve vacilla,
un grillo trilla in proda alla sua tana,
una cornacchia gracida rauca
sulle zolle d’un prato appena rivoltato,
un calabrone ronza attorno a un ramo
e sparisce nel cavo d’un albero spezzato.
E in questa pace,
in questo naturale ordine del mondo
osservo con distacco e con mestizia
l’affanno giornalier che l’uomo affligge,
col suo rancore,
con l’odio innaturale
e con l’inutile violenza
della sua folle guerra irrazionale.

Verusca
- Alla mia amata nipotina -

Mi mancano le tue carezze,
i tuoi abbracci dolcissimi;
mi manca la tua voce.
La stanza è vuota
senza il tuo sorriso.
Il tuo amore sincero
è come l'acqua fresca di fonte
che scorre tra rive verdeggianti.
Mi manca il tuo affetto,
la sincerità del tuo amore
che riempiva le mie giornate
e che, oggi,
riempie di tenebre
le mie solitarie serate.

Carezze perse
Piccole mani
uscite dalla porta del tempo,
che impietoso passa,
e ti regalano carezze,
perse,
per giorni tiranni,
sciupati,
che l’orgoglio
e la stizza,
inutili,
hanno sottratto
alla gioia dei sentimenti,
alla tenerezza del cuore,
che non ha ascoltato le prime parole,
che ha perso i primi sorrisi,
che non ha visto i primi passi.
Ecco,
ora quelle mani rincorrono
una pelle più avvizzita,
una lacrima che solca una guancia
e si confonde
con un singhiozzo che sale dal cuore
e strozza la gola.

Esperienza
Che cosa farei,
se non avessi più nulla da fare,
a cosa pensare?
E i pensieri corrono sempre,
ignari all’incuria di tanti,
che certo non sanno,
alcun affanno non hanno.
E tu soffri in silenzio.
Vorresti una strada asfaltata,
che liscia scorresse,
senza buche o cunette,
né curve, né dossi,
né tratti scoscesi.
E vedi d’un tratto dei sassi,
che un giorno avevi levato,
ancora rimessi al solito posto.
E curvi, e salti, e sbalzi.
Invano pulisci la via,
e inviti la gente
a evitare gli inutili errori
d’un tempo,
ché un prezzo sì alto
diversi han pagato.
A nulla mai serve la vecchia lezione.
Cocciuto ripercorri ancora la via
che porta, comunque, al traguardo finale,
lo stesso, che ha un prezzo ancor alto,
dovuto al solito errore banale.

Fuga d’amore
Son fuggito per amore,
ho strappato via il mio cuore,
la mia mente ho sotterrato,
giù in Calabria,
sopra un prato.
Su quel prato ero sdraiato
e le rondini guardavo
su, nel cielo, volteggiare,
le sentivo sibilare
mentre liberi s’alzavano,
scomparivano alla vista,
si tuffavano nel nulla,
riapparivano nel cielo
pennellato di cobalto,
o di nuvole serene.
Il mio amore ho seppellito,
seppellito in riva al mare,
dove l’onda corre e atterra,
dove il vento urla e singhiozza,
dove infuria la tempesta,
dove il sol brucia d’Agosto.
Nel mio cuor non v’è più festa,
ma risento un canto antico
e le note lievi andare
per il Corso allegramente,
dove passa ancor la gente
che si ferma ad ascoltare
le tue mani dolcemente
la tastiera accarezzare.
E tu suoni, suoni e pensi,
pensi ai giorni ormai passati,
alle frasi pronunciate
che ancor suonano nel cuore
come note di chitarra
che lambiscono la notte,
che colpiscono la mente,
e ti parlano d’amore.
D’un amore ormai finito
di cui più non hai un ricordo,
d’un amore ormai invecchiato,
con le rughe sulle mani
e con gli occhi quasi spenti
che si sforzano a guardare
su una spiaggia ormai scomparsa
una bimba sorridente
di cui ormai non sa più niente.

Primo amore
"Il primo amore
non si scorda mai"
mia madre sovente ripeteva,
e quella frase in cuor
spesso mi torna
quando ripenso a lei,
mio primo amore.
Non aveva neppure sedici anni
quando le dichiarai tutto il mio affetto.
Ma il nostro idillio
fu molto conflittuale
(e a dire il vero
nacque proprio male).
Mia madre s'opponeva
in modo prepotente
e, per questo, anche i suoi parenti
ci costruirono mille barricate
per impedirci finanche di parlare.
Solo sua nonna ci restava a fianco,
che un amore antico forse ricordava,
e i nostri incontri in tutto segreto favoriva
finanche nel silenzio di una Chiesa
o per le vie nascoste dietro il Corso.
E (ruffiana) ci portava i bigliettini,
con parole innocenti
e le promesse d'un eterno amore
che poi finì, però, miseramente.
Io ero allora ancora sbarbatello,
studente imbelle e senza un avvenire:
Cosa potevo mai io garantire?
Che destino potevo assicurare?
Ed una sera,
dopo mille pazzie e disavventure,
tutto si esaurì terribilmente
come una grossa bolla di sapone
ch’esplode al sole senza alcun rumore.
Disperato e solo
lungo la ferrovia io passeggiavo,
urlando al cielo tutto il mio dolore
e lugubri pensier in cuore meditavo.
Ma la vita a vent’anni ancor sorride
e a lei t’attacchi irrimediabilmente.
Del mio dolor forse non seppe nulla
ma da tant’anni nel mio cuore dura
ed ancor oggi nel pensier mi frulla
e con dei versi lo voglio ricordare.
E forse spero che possa anche scoprirlo
e ricordarsi d’un leggiadro amore
che ancor oggi mi martella il cuore
mentre di lei, in silenzio,
con tutti voi rimango qui a parlare.

Il silenzio
I rumori delle grandi città
mi opprimono.
Per anni mi hanno avvolto
con il loro martellante frastuono:
un cocktail insidioso
composto di sferragliare di tranvie,
di clacson assordanti,
di marmitte rimbombanti,
di brusii incomposti,
di vocii sgradevoli
ed opprimenti.
Questo silenzio oggi mi ricompone
i sensi ed i sentimenti.
La pace di questi colli
che degradano dolcemente verso la pianura
e si confondono con il mare
mi rilassano interiormente
e mi mescolano con la natura
che dolcemente mi abbraccia.

Incantatori di serpenti
Giocare con i sentimenti
e buttare alle ortiche l’amore.
Regalare una carezza
per mercificare un rapporto,
per curare gli interessi più gretti.
Ma le basse manovre vengono scoperte,
perché l’esperienza della vita
ti ha allungato il naso
e riesci ad annusare,
olfattare,
e anticipare giochi e giochini.
E sorridi amaramente
sulla sordidità degli interessi,
al gelo delle coscienze,
alla grettezza dell’animo umano.
E l’affetto viene ancora una volta
mortificato,
tritato,
compresso,
congelato in contenitori arrugginiti
e buttato in mare
affinché il sole non lo scaldi,
affinché la luce non lo scopra.
E l’amore si trasforma in risentimento,
in rancore,
in astio.
E non regala più tenerezze,
ed offusca anche la carezza
che una manina delicata e sincera
regala al tuo volto rugoso
ed ispido di barba non rasata.

Maledetti ricordi
Mi pigia ognor la mente,
sul cuore s’abbandona,
come su un morbido cuscino
sprofonda il sogno
e vaga immobilmente.

Giammai paga biglietto
e vola, vola,
veloce solca i cieli
e i mari,
in largo e in lungo
ripetutamente.

Strade tortuose copre,
prati, fiumi, radure
osserva stancamente.
Con gente estranea parla,
la voce si confonde
in borbottii asfissianti
senza riscontri umani.

Alberi spogli,
fioriti a primavera,
campi di grano
e spighe dorate a giugno
ornati da papaveri
di sangue traboccanti.

Odio nel tetro cuore
che batte intensamente,
e gli occhi abbaglia,
acceca di lacrime splendenti.

O miei ricordi cari,
che a volte ritornate
ad allietar sommessi
le alterne mie giornate,
sparite dal mio cuore,
svanite dalla mente,
perché tanto dolore
tessete tristemente?

Pensieri amari
La nostalgia di questa sera
opprime il mio cuore.
Le lacrime
lavano il mio dolore
e m’addolciscono
la mente.
Vorrei ritrovare un sorriso
negli angoli che la notte ricama
di mistero.
Vorrei ritrovare la pace
all’ombra delle querce
che colorano queste colline maremmane
accarezzate dalla dolce brezza
che sale dalla pianura afosa.
L’Elba si staglia tranquilla
oltre il mare di Follonica
e le luci di Scarlino
colorano le buie colline
oltre Massa e Valpiana.
Il silenzio mi regala
messaggi di pace,
che invano cerco
tra i vicoli bui di Boccheggiano,
dove le voci ciancianti di vecchie
e bambini
tardano ad acquietarsi.

Sorrisi di Aprile
Quando il vento m’accarezza
adagiato alla marina
e la pelle, la sua brezza,
il sudor scioglie e la brina

mi ritorna nella mente
il sorriso giovanile
d’una bimba sorridente
che gioiva al sol d’aprile.

La vedevo, di nascosto,
con i libri e lo spartito
in attesa al nostro posto
prima d’essere partito.

E l’affetto era sincero,
solo amore (senza sesso),
quello grande, quello vero,
che non fu mai più lo stesso.

Ci bastava poco, allora,
uno sguardo da lontano,
e l’attesa di quell’ora
per restar mano con mano.

Una semplice carezza,
un abbraccio mai riposto,
e poi sempre la dolcezza
per un bacio di nascosto.

E quei giorni ancor ricordo
con struggente nostalgia
ed avverto un dolor sordo
ricordando quella via

dove in trepidante attesa
aspettavo il primo amore
che, qual foglia al sol distesa,
sta riposto nel mio cuore.

Quando il cuore ho nero nero
mi ricordo di quegli anni
e a lei corro col pensiero
quasi a cancellar gli affanni,

e mi sembra di ascoltare
la sua voce, a consolarmi,
e le mani accarezzare,
frasi dolci sussurrarmi.

Valle d’Aosta
Albe fiorite,
come rose rosse
che s’affacciano ad una ringhiera
che un rosaio ha abbracciato.

Torrenti biancheggianti,
che beffeggiano gli scogli
e guizzano, e saltano,
e spumeggiano
scivolando senza mai fermarsi.

Boschi di sempreverdi,
di betulle cangianti,
che disegnano d’un grigio pesante
gli sfondi verdeggianti
delle Alpi che mi corteggiano.

Cieli azzurri,
ricamati da voli di rondini,
sfreccianti come saette
al sole,
di falchi roteanti nel sereno,
che scompaiono all’improvviso
su una preda in fuga.

Silenzi irripetibili,
rotti a tratti dal lontano richiamo
di una marmotta,
da un frusciare tranquillo
d’acque trasparenti,
da una folata di vento
tra una gola e l’altra.

Voci che arrivano dall’immensità,
che sanno di preghiera
e ti ricordano che in questa Valle
c’è la presenza di Dio.
Davanti alla tv
Immagini di guerra,
visi mesti e piangenti,
ricordi freddi, pungenti,
d'una epoca non remota,
si riaffacciano a sciupare
la mia cena serena.
E come uno schiaffo a un Crocifisso,
uno sputo blasfemo davanti a una Chiesa,
un imprecare sulla bara di un defunto,
mi sfilano davanti cadaveri allineati,
nella incompostezza d'una morte violenta;
visi assenti di bimbi, piangenti,
coi capelli arruffati,
coperti spesso di sangue;
vecchie terrorizzate, incredule,
vaganti in cerca di cibo
tra case sventrate,
per campi sconvolti;
donne allibite,
impaurite, violentate,
con le pance gonfie del torto subito.
Immagini pagate
con un abbonamento di Stato,
quindi dovute;
immagini che assicurano
un "primo posto"
sempre, comunque,
in ogni luogo,
per ogni gusto
e per ogni occasione;
immagini che ormai
non turbano più
la nostra tranquillità serale
davanti ad un piatto fumante.

Anatra selvaggia
Solo, senza un guida,
spiccai il volo:
a caso per il cielo andai
cercando lidi d’approdo
per i dubbi della mia coscienza.

Corsi dietro soli splendenti
e li inseguii
oltre i confini della mia ragione
cercando risposte
alle domande del cuore,
alle incertezze delle mie giornate.

Con folli immense mi adagiai
all’ombra di bandiere variopinte,
confuso da ideologie totalizzanti;
e abbracciai i messaggi d’amore
di profeti e guide indiscusse,
adulati da eterogenei branchi
di moltitudini senza patria e confini.

Ma d’un tratto il mio volo
fu spezzato dal tormento dei dubbi,
dalle fughe ingloriose,
che ridanno voce e respiro agli egoismi
che ingannevoli invadono
anche l’animo generoso dei forti,
e il buio mi scolorò la rotta.

Solo,
senza una meta certa,
a caso andai,
e il mio volo s’infranse
sulle scogliere dell’egoismo,
e fu inghiottito dai riflussi immorali
e dal ritorno al privato,
agitato da falsi profeti
senza più dignità,
e senza una storia.

Admira Ismic e Bosko Brckic
Ansanti sotto il sole di maggio,
correndo verso un mondo migliore
programmato guardando di notte le stelle
e raccontando alla luna i progetti d'un futuro
ancora tutto da costruire.
Due sacchi con i sogni accuratamente ripiegati,
unica ricchezza ad un nulla lasciato
con la certezza del ritorno.
I corpi protesi, quasi un gioco infantile
fatto tante volte nelle giornate di sole
vicino alle aie coi cani festosi che abbaiavano dietro.
Una speranza a portata di mano oltre il fiume Miljacka
che scorre tranquillo,
incurante degli spari dei cecchini.
Poi, il silenzio nell'abbraccio freddo
d'una morte arrivata dal nulla
a spazzare via la speranza di giorni migliori.
Svolazzano ancora per l'aria
i sogni d'un mondo sereno
fuori dall'assurditàdi una guerra razziale senza ragione.
Sogni di bimbi gioiosi
sgambettanti per stanze ormai senza sorrisi;
giornate scolastiche mai vissute
a sfogliare un abbecedario che nessuno mai leggerà.
Sogni d'una vita diversa
e d'una vecchiaia serena,
gioiosamente vissuta,
guardando le rughe lente spuntare
e le mani lievi inseguire
il gioco delle vene sulla pelle
che il tempo ricama in silenzio.
Il sole accarezza un dramma che non conosce pietà,
mentre i sogni si dileguano
lungo le sponde melmose d'un fiume mai attraversato.
Incuranti le mosche cantano il loro ritornello,
svolazzando sugli occhi di quei corpi immobili,
ormai fuori dal tempo.

Ali tarpate
Ci spogliammo in fretta
del passato.
Avevamo vergogna
della nostra mediocrità
omologata dal consenso degli adulti,
forgiata da libri scolastici
preconfezionati
da docenti senza personalità
e decoro.
Quello che imparammo
fu l'urlo incomposto delle piazze
ed il furore del cambiamento:
l'emozione di vivere il diverso
come rinuncia
all'omologazione e al consenso.
Volammo in alto,
come anatre selvagge,
alla ricerca della rotta giusta
che nessuno voleva indicarci,
alla ricerca di lidi sconosciuti
ricchi di umanità ed amore.
Ci ritrovammo soli,
e il nostro volo
sconfinò in fuga indecorosa,
ricerca vana di sicurezze perdute
sulle tracce di sentieri in rovina
che ci regalarono solo infamità,
infamità e sconforto.

Fieno appassito
Un vecchio forno a legna,
nero e affumicato,
lo scoppiettio allegro di fascine
tra bagliori e fiamme tremolanti,
un calore intenso
di tizzoni arroventati.
Odor di pane fresco,
gioioso saltellare di fanciulli,
occhi lucenti,
pannocchie di granturco
messe a dorare
sulle braci ardenti.
Sogni interrotti
dal canto dei galli,
dal coccodé delle galline.
Un delicato profumo di campagna,
il melodioso canto degli uccelli,
l’abbaiar dei cani,
un suono lontano di campana.
A sera l’ombra della terra bruna,
un calpestio di zoccoli sull’aia,
il gré-gré delle rane nei pantani,
un brontolio di mamma
davanti a un caminetto,
una carezza di nonna premurosa,
un raccontare di favole e novelle.
Di questo mondo andato
cosa rimane negli angoli del cuore?
Fieni appassiti in stalle polverose,
la morte delle fate e delle streghe,
la fine dei ruscelli,
avvelenati,
il fetore dei fiumi senza pesci,
un odor di clorato sopra i prati,
l’albero mio del cuore agonizzante,
coi rami che implorano perdono
per un peccato che non ha commesso,
per i suoi frutti che non ha più dato.

Ricordi
(A mia madre)

La tua borsetta aperta,
abbandonata in un angolo
dell’armadio ormai vuoto
e privo del tuo profumo.
Ondeggia un vecchio vestito
appeso a una gruccia
coi colori dei fiori sbiaditi
ed i palloncini
ormai tutti bucati dalle tarme.
Anche i miei pensieri ondeggiano:
immagini che inseguono
primavere ormai andate
e baci che non sanno
più di mare
ma solo di pianto.

Giuseppe
Sapessi quante volte ti ho pensato!
E' buffo: ma ad oltre cinquant'anni
ti ricordo, ignaro dei miei affanni,
ancora su quel banco addormentato.

Ti svegliavi all'alba e ogni mattina
dal primo ottobre alla metà di giugno
coi libri e col fagotto stretto in pugno,
correvi ad aspettar la littorina.

Prima marciare a piedi tu dovevi
dalla cascina al centro del paese,
poi sul bus e, dopo lunghe attese,
col treno il capoluogo raggiungevi.

Reggio non era poi così lontana,
ma di stanchezza ne avevi da smaltire
se t'appoggiavi sul banco per dormire
e non sentivi neppure la campana.

Ma poi tu sussultavi al gran fragore
dei banchi, delle sedie e del vocio,
che disagio provavo, amico mio,
quando confuso guardavi il professore.

Ricordo quando estraevi dal fagotto
quella mezza pagnotta al pecorino,
che avidamente mangiavi ogni mattino
sorridendo con quel tuo dente rotto.

Faticavi a seguire la lezione,
tu, mezzo studente e mezzo contadino,
e l'insegnante deplorava il tuo vicino
quando furtivo ti dava uno scrollone.

Così ti lasciavamo riposare
con la testa adagiata sopra il banco
che a metà del mattino eri già stanco
ed a casa ti toccava ancor zappare.

Non so dove la vita di ha condotto:
forse riposi già sotto una croce,
forse ricordi ancora la mia voce
e sorridi con quel tuo dente rotto.

Inutilità
A cosa servono i fiori,
ora che sono morto
e non vedo i colori,
né percepisco gli odori,
a cosa servono !
A cosa serve il pianto,
il dolore, il cupo pallore,
il mesto parlare
attorno al mio letto di morte,
a cosa serve!
A cosa serve la gente,
che va e che viene,
in silenzio,
benedicendo il mio corpo,
segnandosi in fronte,
facendo commenti
di valore e di commiserazione,
a cosa serve!
Da vivo avete deriso
e rifiutato le mie verità;
ora, da morto
esaltate i valori
a cui ho sempre creduto
ma che non avete mai accettato.

A cosa serve
questo vostro corteo
di gente assente
che segue una bara
pianta soltanto da pochi!

Ad una mamma
E' triste morire d'inverno,
senza il calore del sole,
privi del verde dei prati,
senza il colore dei fiori,
è triste!
La tua bara,
tra quattro candele,
opprime la mente!
Il tuo viso pallido
svanisce
nel bianco candore
della neve
che continua a cadere!
E tu sei immobile
e non parli con noi,
con noi che ti vegliamo
e piangiamo per te.
Fuori è festa,
e' allegria,
Natale è passato da poco,
triste per noi,
e già l'anno nuovo
è arrivato
con botti e spumanti.
Il mondo cammina,
non s'accorge di noi,
di noi che pur brindiamo
al tempo che passa,
che passa in silenzio,
anche senza di te.

Adolescenza
Voglia di vivere
inseguendo sogni astratti
creati dalla fantasia
di un cervello
ancora tutto da riempirsi.
Prime nubi
che appaiono la sera
dietro la finestra
vuota
di un improvviso
pensiero.

Angeli neri
Come lievi rossori
che brillano sui visi
di ingenue fanciulle
dopo aver detto una bugia,
così l'animo mio avvampa
di fronte all'olocausto
di inermi popolazioni
in logorante fuga
dalla loro terra natia
sconvolta da odio razziale
senza ragione.
E voi angeli neri,
che reggete le sorti dell'umanità,
numi tutelari del male
e dell'odio profondo,
deh! volgete un momento
i vostri occhi di fuoco
verso il cielo splendente
ed porgete ascolto,
per un solo momento,
agli angeli di quel Dio
che non riesce a sconfiggervi,
ma che implora
anche da voi
un attimo di misericordia.

Addio Giorgio
(dedicata a Giorgio Gaber)

Quando muore un poeta
lascia un vuoto nel cuore
lascia un vuoto nel cuore
quando muore un poeta.

La TV se ne accorge
se un poeta scompare
se un poeta scompare
la TV se ne accorge.

L'ha schivato per anni
questo grande poeta
questo grande poeta
l'ha schivato per anni.

Lei l'ha messo a tacere
perché parlava alla gente
perché parlava alla gente
lei l'ha messo a tacere.

E lui da solo parlava
e qualcuno ascoltava
e qualcuno ascoltava
e lui da solo parlava.

E diceva, diceva, parole
che disturban le orecchie
ed il cuore,
e scavava, scavava
nei nostri cervelli
ci infilava dei dubbi
nelle nostre coscienze,
e noi zitti in silenzio
a sentire,
qualche volta
a sorridere sopra
alle cose ben dette
o mal dette,
che ognuno leggeva
nel cuore
come meglio credeva,
signori,
e chetava il nostro rancore
d'aver smesso un dì di lottare
per un mondo
che ormai più nessuno
voleva cambiare.

Ora li dallo schermo sorride
e ci dice: "su non piangere amico"
e ci lascia una grande lezione
che soltanto un poeta può dare,

un poeta che non scrive
per gli altri,
ma racconta la vita a se stesso
e si guarda, infine, allo specchio
e sorride lasciando gli amici
come se li dovesse incontrare
in un mondo diverso,
creduto,
in silenzio costruito
a misura dei sogni
che aveva cullato
nel cuore,
ai quali tanti altri
avevano un tempo creduto
prima che il tornaconto,
o la pura viltà,
avesse i pensieri
per sempre offuscato.

Asia
Mentre gusto i miei spaghetti al dente,
vola il pensiero come un apparecchio:
osservo la disperazion di tanta gente,
al crepitar dei fucil tendo l’orecchio.

Vedo tra i monti in fuga tanti disperati,
nelle risaie sento urlar donne e fanciulli,
avverto il tanfo dei cadaveri cremati,
dov’era vita or son terreni brulli.

Degusto sereno un calice di vino,
nel mio rifugio, lontano da ogni guerra,
ma provo tanta infelicità per il destino
crudel di tant’altra gente in questa terra.

Assaporo un trancio di torta gelata
e un gelo vero m’attorciglia il cuore
perché in questa valle sconsolata
regna solo l’odio e non l’amore?

Occhi curiosi di bambino
Occhi curiosi di bambino
tutti presi ad osservare
un vecchio ciabattino
che batte, batte
su una vecchia scarpa.
Occhi pensosi di bambino
intenti a curiosar
su quel panchetto
pieno di chiodi, ferri,
pinze, lucidi e trincetto,
che, con lieve tremore
e con indifferenza,
con una manina bianca,
toccate una tenaglia,
sfiorate un tronchesino.
Ed io vi invidio, oggi,
occhi pensosi,
occhi furtivi,
occhi lontani,
occhi curiosi di bambino,
tutti intenti ad osservare
un ciabattino.

Bestie
Il mio io è prigioniero
in fondo all'anima.
Come Vulcano,
che s'agita incomposto
nel profondo bigior della terra,
così il mio io s'agita
e inveisce
vomitando veleni.
Le nefandezze più nere
in nome della mia libertà
di fare un mondo perfetto
(che io perfetto lo sono?).
A volte penso che Hitler
non sia un diavolo nero;
di neri diavoli
è coperta la terra.

Calabria
Aliti
di vento
sulla spiaggia
arida
dello Jonio.
       Colline
       brulle,
       tinte
       d'erba bruciata
       nell'entroterra.
Silenzi
irripetibili,
rotti
solo dai canti
delle cicale
e dei grilli.
       Visi assenti,
       vaganti
       nell'infinito
       di questa terra
       agonizzante
       da un'eternità.

Carlotta
(Per la mia pronipote)

Le tue piccole mani
sembrano uscite dal nulla del tempo
e ripetono tenerezze
quasi dimenticate
nella nebbia dei miei anni.
Risentire quella tenera presa
al mio dito,
persa nel vortice della vita,
che passa inflessibile,
che richiama antiche carezze,
gridoline quasi prepotenti
ed un lieve bussare di porta,
che ascolto di nuovo
come se il tempo
tornasse a far scorrere immagini
recuperate sullo schermo
d’una memoria sbiadita.
E poi spero ancora
di risentire nuove risate argentine
e squilli prolungati di telefono
per un saluto affettuoso
che mi riporti i colori nuovi
del mutar delle stagioni
ed il ripetersi di rinnovate emozioni.

Chi asciugherà le mie lacrime
Chi asciugherà le lacrime
di questa nottata
di dolci ricordi?
A chi racconterò nuove storie
e fiabe fantastiche
quando gli anni mi peseranno
e mi opprimeranno i pensieri?
Rivedere un bimbo sorridente
aspettarmi giulivo
sui gradini di una scala
ormai quasi dimenticata!
Sentirmi amato,
atteso,
e riascoltare una piccola voce
chiamarmi
e sussurrarmi “babbo”!
Gioie ormai finite
nell’impietosa giostra del mondo
che tutto travolge e macina
compresi i sentimenti
e l’amore.

Essere noi stessi
Non avere vergogna
di scrivere versi,
non temere i giudizi
sciocchi
degli indifferenti.
Sii te stesso!
Fai parlare il tuo cuore
e semina le tue emozioni
nei campi del mondo!
Troverai sempre
un’anima pura
che si disseterà
alla tua fonte,
che berrà avida
i tuoi sentimenti.
Attorno a noi
non tutto è aridità!

La mia cabina
La mia cabina sul mare
é sempre ferma al suo posto;
nessuno potrà mai spostarla,
nessuna tempesta
riuscirà a demolirla.

E’ lì,
se ne sta tranquilla sull’acqua,
e guarda, da Reggio, Messina,
all’alba di ogni mattina,
col mare che specchia i passanti
tra l’onde increspate dal vento,
che lento accarezza
le barche che arrancano stanche.

La mia cabina sul mare
è all’ancora,
sicura nel porto,
al riparo dall’onde
e dai venti,
in un angolo quieto di mente.

Odio le prediche
Odio
Le prediche domenicali.
Amore,
fratellanza,
solidarietà!
Parole
che attraversano
il salone della cattedrale,
pervaso da incensi
e odor di ceri accesi,
e s’infrangono
in un rito inutile
di mani che si uniscono
inneggianti alla pace.

Guardo
i visi dei fedeli,
intristiti
ma con i pensieri
che corrono
agli invitati in arrivo
ed al pranzo domenicale,
o che osservano con invidia
una vicina impellicciata.

E la predica finisce
proprio lì.

Fuori riprende la danza
dei rancori tra vicini,
delle invettive
contro gli immigrati invadenti,
o dell’odio verso un parente,
che morendo
non ti ha lasciato niente!

Aria di primavera
Macchioline di pioggia colorate
sui prati,
lungo i fossi,
dove s’affaccia timida
qualche lucertola strisciante;
prime gemme biancastre
che sormontano i rami color fuliggine
ancora freddolosi
e spogli.
Ranuncoli gialli,
abbracciati tra i rovi,
quasi a cercar riparo
dalle folate gelide del nord,
e teneri bucaneve tra l’erba
e tra le foglie morte dell’inverno.
Primi richiami dei merli
dalle siepi di sempreverdi.
Gorgheggi di qualche usignolo
alla compagna lontana
in cerca di fuscelli
per la prima covata.

L’avventura
La montagna cantai;
più volte mi persi sulle sue vette,
là dove le nuvole
scavano disegni
e nascondono misteri.
Gli spazi immensi
assaporai in volo
e come rondine planai
sui pascoli incorniciati di neve
e ricamati da limpidi laghetti.
Col vento ondeggiai,
come foglia sospinta nel nulla,
tra gli immensi silenzi,
tra i gorgoglii dei torrenti,
ed a valle precipitai
là dove il tempo
e le folle incomposte
mi ricordano
che sono ancora vivo.

Alla fonte dell’usignolo
Cercai più volte
folletti gioiosi
tra le fronde
che incorniciano la tua fonte
d’acqua fresca e gentile.
Ascoltai, invano,
i loro sussurri
confondersi con lo stormir delle foglie
e con i voli incrociati
degli usignoli e delle ghiandaie.
L’orecchio tesi, più volte,
cercando di cogliere
le voci del bosco
tra il confuso borbottio dell’acqua
che a volte gorgoglia
come stesse seccando.
Confusi il rapido scorrere della fonte
come fosse riso argentino
delle ninfe del Torrente Occhiali.
Inseguii, invano,
ricordi spenti tra libri di favole
e leggende del focolare domestico
per rinverdire un tempo
soffocato da una realtà
che m’opprime.

Declino
Io, sono io,
vecchio e stanco,
che percorro gli ultimi metri
del mio cammino
con il cuore sempre rivolto
agli ideali calpestati,
cancellati dalla mente dei tanti
che alla greppia dei nuovi potenti
abbeverano il loro animo arido.
Io, solo io,
uomo vivo in un mondo di morti,
gracchio alle ideologie globalizzate,
mi burlo di giornalisti goffi,
dai capelli brizzolati,
che hanno prosciugato
le sorgenti dei sogni.
Io, sempre io,
leggo le parole vere
nascoste tra le righe
dei giornali asserviti
al lurido gioco di bottega
delle borse,
al falso miraggio dei mercati
ondeggianti
tra nuovi prodotti telematici
e fallimentari progetti
di economie terziarizzate.
Io, solo io,
guardo con nostalgia
(e rancore)
le bandiere nel fango,
accatastate negli stands ormai vuoti:
la disperazione ha rubato il posto
alla speranza;
l’urlo delle piazze s’è perso
dietro nuovi modelli
d’una economia senza patria e ne storia,
ed il grido d’oltre confine
delle libertà oppresse e calpestate
sembra morta campana
che suono più non produce
e neppure frastuono.

Miraggio
Afferrami la mano
e trascinami per le strade
del mondo
dove è ancora possibile
cogliere tenui tremori di pelle,
brividi gioiosi di felicità
racchiusi in fragili conchiglie
di argilla ricamati sulla rena
d’una spiaggia solitaria.

Ascolta con me
il mare che sussurra sui sassi
o urla tra gli scogli
parole d’amore
che solo tu ed io comprendiamo.

Fatti accarezzare dall’acqua
della risacca
che scivola sul tuo corpo
abbandonato su una roccia
baciata dal sole.

Ripetimi per un attimo
le parole d’un tempo
spogliate dal peso degli anni
ch’io ritrovi la mia primavera
e possa ancora guardarti negli occhi
mentre mi sorridi
e m’allunghi un sorriso.

Bianco e nero
(A Rosetta)

Chi sarà, mi chiedo,
mentre l’immagine scorre,
scandita sullo schermo
in bianco e nero
da una vecchia pellicola
per caso ritrovata
che lentamente sta prendendo forma?

Mi sei apparsa così,
dopo tanti anni
che cancellata t’avevo dai ricordi,
con quel sorriso tenero e sereno,
lo sguardo altero
e il corpo provocante
modellato da un bel costume bianco.

Diciott’anni,
avevi diciott’anni,
quel dì che sopra un treno traballante
lasciai la mia città ed ogni affetto.

Ma la tua immagine serena
d’un colpo proiettata su uno schermo,
coi piedi accarezzati dalle onde,
baciata dal mio mare mai scordato,
m’ha regalato un attimo di gioia,
m’ha fatto respirare l’aria pura
del tempo che non ho nel cuore
ripiegato.

Così,
(che forte sensazione)
mi sono ritrovato giovinetto
mentre scattavo quella foto un giorno
caldo d’agosto
che più non ricordavo.

E tu sorridi, sorridi allegramente
da quella foto che mi sta davanti
e rinnovi al cuore mio e alla mente
felicità e passioni ormai distanti.

Aspettando la sera
Solitario
inseguo l’illusione
come se l’alba
dovesse durare un’eternità.
Lo so che il tramonto
segue il suo ciclo:
mattina, mezzogiorno e sera
e così all’infinito.
Tutti si aggrappano alla vita
come se la morte
non esistesse.
Ognuno legge le epigrafi
come se il proprio nome
non dovesse mai apparire
sui muri.
Come e quando?
Questo è il problema!
Il come affligge e addolora.
Tutti vorremmo scegliere
una morte serena,
magari aspettando il sole sorgere
o ammirando un tramonto infuocato.
E turbati da così tristi pensieri
ci si precipita sui prati
per accarezzare dolcemente l’erba
e si rimane estasiati a fissare
il volo degli uccelli
o di variopinte farfalle,
oppure si tende l’orecchio
per memorizzare il gorgoglio sommesso
dei ruscelli tra i sassi.
Poi si aspetta sereni la sera!
Ancora per oggi abbiamo colto
il nostro attimo fuggente:
ancora una volta
abbiamo brindato alla vita.

Fiera
Liste di nozze:
i miei desideri insoddisfatti.
Guardo l'angolo
ed anticaglie appiano
frammisti ad orci e panieri.

Sempre uguali
le bancarelle con le mercanzie
e le orchestre stonate
che ripetono all'infinito
le note del "Va pensiero"
e della "Cavalleria Rusticana".

Sempre uguali:
borbottio di pentoloni
sulla brace,
che a tratti schizza
schegge di fuoco scoppiettanti.

Cambiano i suonatori:
Non più scialli e gran casse,
non più balli
al suono di acciarini ed organetti,
ma cantilene
di venditori di colore
che si tuffano nel mezzo del discorso
con nere statuette e con collane.

Pianto il bastone
nella molle vallata dei miei vent'anni
e sprofonda nell'argilla informe
che galleggia sulla sabbia,
e scivola nella schiena
e tra i capelli arruffati...
e mi sconvolge i pensieri.

 La nuova Primavera
L’alba mi porta
nuovi ciuffi d’erba
e margherite.

    Fanno a gara
    tutto a rinverdir
    di color novo.

Gorgoglia l’acqua
sotto l’asse del ponte
e già finisce.

Il prezzo della libertà
Il Tempo
È una trappola
Che imprigiona
Gli attimi di libertà
Che l’adolescenza ti regala.
Fingo d’essere rimasto fanciullo
Per non perdere
Certi privilegi
Che molti opulenti personaggi,
Ingessati e incravattati,
Non potranno mai comprarsi.

I falsi profeti
Perché nascondi il viso contro il muro?
Prego fratello!
Perché non preghi rivolto verso il sole
che Dio ti veda
e accolga il tuo pensiero?
Non mi va di vedere
tutto il mal di questo mondo,
le cattiverie,
le ingiustizie antiche,
il ripetersi di lotte sanguinose,
in difesa di Budda, Cristo e Allah.

Fratello guarda dentro il cuore tuo,
smetti di pregare il Dio guerriero,
brucia in un rogo
libricoli e messali,
armati di "fare" e "amare",
lascia perdere i profeti
che sanno dir soltanto
"fate" e "andate".

Realtà
La rivedo a tratti
la mia quercia lontana e mi disperdo
tra i suoi rami
sicura oasi di tranquillità, di pace.
E risento
frullare d'ali, mormorio di fonte,
e monotono gracidar di raganelle,
e mi confondo col frusciar del vento
tra le siepi di more e biancospino,
con gli ibridi silenzi
della pianura circostante
avvolta nella calura dell'estate.
              I miei sogni interrotti,
              ritrovati
              nell'assordante trillar delle cicale,
              negli odori dei fieni,
              nell'intenso profumo della zagara
              che si sperde nell'aria tra gli ulivi,
              nel candido color dei gelsomini,
              nell'ondeggiare d'ali di farfalle.
I miei sogni adorati,
cullati dentro il cuore
e mai sepolti,
conservati al riparo dell'usura,
sicuro approdo alle mie incertezze
quando nel petto s'agitano passioni,
desiderio di fuga,
repressioni.
              Solo un momento,
              un momento solo
              di piena libertà senza paletti,
              svanisco con la mente che divora
              immagini e momenti ormai passati.
Poi il sofferto ritorno
ad una realtà che m'imprigiona,
ad un presente che non mi appartiene.

L’uomo e la montagna
La montagna è bella, forte e maestosa,
le sue vette s’arrampicano sul cielo
d’estate è tutta in verde e, come sposa,
d’inverno indossa un bel candido velo.

Si snodano le piste su, oltre gli alpeggi,
a volte scoscese, a tratti pianeggianti,
sfiorano i rascard cullati dai ciliegi
senza le mucche coi lor suoni assordanti.

Scia libero, rispetta ciò che ti circonda,
raggiungi le alte vette di montagna
ma se la tua imprudenza oltre sfonda
la tua persona sol danni guadagna.

Perché tu dici poi “monte assassino”
se impunemente col tuo fuori pista
hai generato una frana un bel mattino
che spazza uomini e cose dalla vista?

Piuttosto devi dir ”uomo incosciente”
per i disastri delle tue valanghe
o per le vite che involontariamente
cadono mentre ti cercan con le vanghe?

Repressioni
Quel ginocchio,
ricordo,
vogliamente
abbracciato a due natiche
sporgenti da una sedia,
che lento strofinavo,
tra un pater e un gloria,
mentre il prete officiava
ignaro all'altare.

E l'ombra del peccato
m'aleggia addosso,
ancora,
ma anche del piacere
che soffuso provavo
a quel contatto
ricambiato in silenzio.

Scrollo alla finestra
le immagini rapprese
negli angoli più bui dell'intelletto:
ombre lucenti
destinate a vivere
insieme ad altre repressioni
che non riesco
a buttare nel cestino.

Ricamo
Quando un gioco sapiente di mano
incrocia quel filo,
componendo lento un profilo,
ricordo!

Ricordo gruppi di donne loquaci,
rumorose e felici,
ed esplosioni di riso libero andare
per i vicoli ricchi di sole,
con i bimbi vocianti
come torme di rondini in volo.

E sui bianchi lenzuoli consunti
ali bianche in volo sul mare,
rose rosse ridenti ai balconi,
gelsomini e viole appassite.

Ed il filo continua a intrecciare
ancor oggi un ricamo passato:
una bianca colomba che vola,
sempre ferma nel solito sito,
un fiore che sboccia,
e non muore se acqua non ha,
un volto a cui il tempo
non regala neppure una ruga.

Ombre stanche vagano lente,
per i vicoli pieni di sole,
vanno in cerca di note appassite,
di colori dispersi nel nulla,
di sorrisi che ormai sono spenti.

Via Cupola Due
Ma cosa abbiamo mai fatto?

Quale delitto abbiamo commesso?

Perché ci siamo privati
dei nostri ricordi,
dei nostri amori
racchiusi
in tre stanze ormai
ch’appartengono ad altri?

Via Cupola numero due,
le piante più strane
abbracciate
a vecchi gradini
in orci consunti.

I profumi più vari
che allietano ancora
le mie amare giornate.

Che cosa abbiamo mai fatto?

Abbiamo venduto i ricordi,
buttato alle ortiche
i respiri del cuore,
la voce dell’anima nostra
che ormai tace,
ormai più non rimbrotta.

A Silvia
Se io avessi
la tua stessa età,
potrei darti tutto l’amore
che nessuno fino ad oggi
ha saputo donarti.

Ti regalerei
tutto il colore dei fiori del mondo
e tutti gli odori più inebrianti
che la natura
racchiude nel suo grembo.

Non raccoglierei
neppure una margherita,
non reciderei
neppure un fiore di cicoria,
pur bellissimo
nel suo colore celestiale,
per non offendere la tua
sensibilità
ed il tuo amore immenso
per le cose del creato.

E ti amerei, così,
come tu sei,
abbracciandoti teneramente
e cullandoti tra le mie braccia
come fossi mia figlia
per farti addormentare
senza più paure
e farti dimenticare
tutte le tue sofferenze.

Il pianto delle rose
Se ti sei punto,
non imprecare!
In fondo te lo sei cercato!

Chi te l’ha detto
di raccogliere quella rosa,
bianca,
strappandola alla sua vita
dal rosaio?

Ecco,
ora tu ti lamenti,
ma perché non ascolti
anche il grido di dolore
delle compagne intristite,
tremanti,
ondeggianti di pianto,
per la morte
della loro sorella?

Trincea
Giaccio dormiente
in questa trincea
fuori dal mondo.
Sono scappato
da un amore impossibile
e aspetto l'alba
per rivedere
l'ultima aurora.

Speriamo che sia buono
Rotola la palla,
saltella, balla,
in alto vola,
contro la carrozzina sbatte.
Si sveglia il pargolo
e la mamma gli sorride
e lo dondola pian piano.
S’addormenta!
Passa una donna:
“com’è carino,
come dorme tranquillo”!
Lui distende
le piccole braccia al sole,
fa una smorfia:
è un modello d’amore!
“Auguri, signora,
è proprio bello,
spero che viva bene,
ch’abbia sempre salute”.
E un’altra:
“E’ un angelo, signora,
spero che sia felice”.
Osservo in silenzio,
seduto alla panchina,
il giornale abbasso,
sorrido anch’io,
poi penso:
“speriamo che sia buono”!

Sanfili
Fuori dal petto,
fuori dal cuore.
Un pensiero ricorrente,
un' immagine d’una località
mai visitata,
un ricordo, d’una notte lontana,
mai represso.

Tutti conserviamo
qualcosa nel cuore:
di un soggiorno o una gita
ricordiamo il paesaggio,
un campanile,
un castello diroccato.
Ma della fatica altrui
cosa rimane?
Un’immagine sbiadita
d’una nottata infernale,
persa nel buio della memoria,
in una stanza
scarsamente illuminata,
e un uomo distrutto dalla sua fatica,
sfinito dalla disperazione.
Il fiato grosso,
la voce quasi spenta,
il corpo fradicio di fango e di sudore,
le membra affrante,
gli occhi stravolti e spenti,
la mente assente.

Questo rimane nel mio cuor
di te: Sanfili.
Non gioie per un pranzo
allegramente consumato,
né canti per una gita mai effettuata,
né foto a ricordo di un paese
mai veduto.
Ma il dolore di mio padre
e l’immagine vinta
della sua fatica.

Fiori d’arancio
Chissà dove sono fuggiti
i profumi d’un tempo
che all’alba carezzavano
le vecchie dimore
affacciate sulle fiumare.
Quel candido vello,
che ricamava il verde
dei limoni
e regalava delizie
ai pastori,
s' è rifugiato in antri
custoditi dal tempo
e non offre più
tenerezze alla vista.
Allungo la mano
nell’archivio della memoria
alla ricerca di pallide corolle
che ormai appaiono sfuggenti
e non più raggiungibili.

A mio figlio
C'è il buio
che cancella la luce,
ed il sole
che spegne la notte.
C'è la luna
che splende
ma calore non dà.
C'è pure
uno sguardo
che basta a scaldarti
quando fa freddo
e un sorriso
che basta a farti felice
quando sei triste.
E se ti manca
lo sguardo o il sorriso
di chi ti vuol bene,
né luna, né sole
possono illuminare la tua strada
né fare caldo il tuo cuore.

Allo specchio
Me meschino
allo specchio,
le mie atrocità:
mi vedo.
I miei vizi repressi,
le mie tentazioni
rubate alla vita.
Sghignazzo tenebroso
ad una immagine
falsa;
finti conformismi
lucidi d'ipocrisia,
passerella d'illusioni
raccattate passando
davanti un banco
di putride anticaglie
di uno straccivendolo.

L'amante
Sono qui solo,
con il cuore
che ascolta i rumori.
Ho timore
di quello che scrivo !
Chi potrebbe capirmi ?
Non ha senso la tenerezza
che m'inebria i pensieri
in questo istante !
Sento che certi sogni
non si possono cullare
nel tempo !
Percepisco chiaramente
l'impossibilità della situazione.
Ma io rinasco,
le mie cellule
bruciano
un'infinità di energia,
vivono !
Ed anch'io vivo
in questa incoscienza
che mi stordisce.
Eppure avverto
un maledetto senso di solitudine
attorno a me,
di vuoto,
anche se mai,
in tutta la mia vita
ebbi chiara coscienza
di non essere solo.

Annaspando
Tu, vecchio,
non hai perso nulla
del tuo tempo passato.
Hai sciacquato in mare
i tuoi pensieri
e buttato nel fiume
gli attimi di felicità
che ti sei conquistato
con le tue sole forze.
Che pena mi fanno
i miei coscritti
che vivono delle tue rendite
e non fanno nulla
per rassomigliarti.

A Renzo
Invecchio, sì lo sento, invecchio !
I miei pensieri (or son meno forte)
si fermano d'un colpo: il mio orecchio
tende l'udito al passo della morte.
D'un colpo non rincorro i cardellini,
fuggono in fretta immagini di mare,
più non spingo in discesa i carrettini,
le arance non vado più a rubare.
Le canne al vento dondolano pian piano
si chinano su me, quasi a baciarmi,
a sussurrarmi un nome, che lontano
intravedo correre e chiamarmi.
Fermati un poco! Perché corri amico ?
Fermati a rituffarti nel passato
sotto le foglie dell'ombroso fico
Dove scalzi abbiam riso e giocato.
Noi si giocava assieme, lo ricordi ?
L'acqua correva fresca tra la menta,
noi si giocava, è vero, e s'era sordi
al vento che soffiava, alla tormenta.
Noi s'era sordi per il mondo intero,
mia madre per la cena mi chiamava
ma noi, sornioni, da quell' alto pero
ci si sfotteva e si fantasticava.
E quando, poi, il sole se n' andava,
infuocando di rosso monti e mare,
noi immobili fra l'erba si restava
beati i voli di rondini a mirare.
E cento, cento e cento abbiam sognato
giorni felici (che passano veloci!),
quante sere nel cielo abbiam volato
rondini implumi, passeri precoci ?
Ma il nostro nido, o destin brutale,
spazzò via d'un colpo la tempesta,
ma dentro al mio cuore tale e quale
io lo conservo, come un dì di festa.

Le lacrime
Non sempre le lacrime esprimono dolore:
A volte sorgono dolci,
struggenti, dal profondo cuore
quando una qualche storia
ti pervade,
t'empie di vera gioia.
La Piaf canta,
vive la sua canzone,
tu l'ascolti commosso,
vivi la sua passione,
la senti penetrarti nelle ossa,
sprofondarti negli organi vitali,
l’avverti dentro il petto palpitarti,
la senti in fondo all'animo agitarti.
Ecco la commozione sale agli occhi
e un grande calore ti pervade,
senti un nodo prenderti alla gola,
scuoterti in petto,
brillarti dentro gli occhi.
Sono lacrime vere,
lacrime di gioia,
lacrime vive
piene di calore,
sono motivi tuoi del cuore,
difficile da capire o da comunicare.
Fortunato colui
che prova questi sentimenti,
cuore d'artista ricco di pietà,
artista sconosciuto,
non reclamizzato.
Artista silenzioso
che recita la parte
nel palcoscenico chiuso
del suo cuore,
senza uno spettatore,
senza platea che plaude,
senza nessuno onore.

Atomizzato
Oltre lo spazio infinito
c’è sempre un mondo
nuovo che non si conosce.
T’illudi
di possedere un podere
senza confini
e l’occhio spazia
su monti e colline
coperti di boschi
e di pascoli verdeggianti.
Ma se osservi una stella
brillare nel buio della notte,
confusa a milioni
di astri luminosi e galassie,
la paura ti assale
per la precarietà del tuo essere
e ti accorgi di possedere soltanto
un piccolissimo e misero orto.

La morte sa aspettare
La morte m’accarezza i pensieri,
scivola nella mia mente
e si materializza dall’inconscio
come immagine vera
e vincitrice.
Ella vezzeggia i sogni della gente,
fa sperare ad una vita migliore,
in un mondo diverso
dove gli angeli accompagnano
senza celarsi
le anime semplici
di chi ha creduto in loro.

La morte a volte m’insegue,
la vedo nascosta tra le nuvole
che s’alzano dai bombardamenti,
la intravedo
tra le macchine accartocciate
sulle corsie autostradali,
mi beffeggia quando sguazza
sfuggente tra i bagliori
delle tempeste,
mi ammicca
dai cornicioni degli ospedali,
mi circuisce quando
un male m’assale.

La morte non rispetta alcuno.
Per il povero a volte
è una liberazione,
ma lei lo sfugge;
e il ricco irride
perché non tratta il prezzo
e non la può comprare.

La morte è attorno a noi
e sa aspettare.

Borgo antico
Ritornerò da te, borgo scordato,
da te ritornerò col treno un giorno
come quando tornavo da soldato
con la gente che mi veniva attorno.

Mi affaccerò di nuovo alla finestra
dalla quale guardavo a sera il mare,
dopo aver consumato la minestra,
e qualche nave vi vedrò passare.

Sognerò nuovamente, come allora,
d'essere a bordo e navigar lontano,
veder la poppa che dall'onda affiora,
dare la dritta come un capitano.

Come allora mi coglierà il tramonto
che infuocava di rosso la montagna
dell'Etna, ed increspava il ponto
che la Sicilia e la Calabria bagna.

Come allora mi sperderò la sera
per i vicoli stretti e senza luce
cercherò la via della mia primavera
che non so più davver dove conduce.

Riascolterò una volta ancor la voce
di un amico davanti alla sua porta,
che si trasporta quieto la sua croce
con dignità, e da persona accorta

trova ancora una parola di conforto
per consolar chi sta subendo un torto.

Il primo
Per essere
primi
occorre
passare
attraverso
l’esperienza
dell’ultimo.

La mia casa
La mia casa
era in cima ad una collina.
Il mare la cingeva
col suo abbraccio
che sapeva d'immensità,
ed il sole
l'accarezzava al mattino
e la baciava alla sera.
Poi, improvvisamente,
i funghi della speculazione
la imprigionarono
nel grigio del cemento
e le negarono la vista del mare.
Ed anche il sole
non le regalò più
neppure un saluto.

Cenere
Che la terra riprenda il mio corpo,
ora ridotto in cenere,
che si confondi in essa
e completi la genesi
della mia esistenza.

Vano ostello
le urne dei vivi ai morti,
vana l'ostentazione
di luminarie e fiori.

Solo il silenzio
degli spazi infiniti delle foreste
raccolga gli atomi
della polvere sparsa
e rinascano essi,
con la nuova stagione,
nella linfa che sale
ai nuovi germogli,
nella gioia infinita
della natura che si rinnova.

La cuccagna
Era pur bello
quel palo ingrassato,
difficile da scalare,
con appesi salami e capicolli.
Quanta acquolina in bocca
per chi teneva
tanta fame in corpo.
Ma io non ci provavo nemmeno:
era per me difficile
scalare quel palo
unto di grasso:
e poi la forza
chi me la dava?
Ed il vento gioiva
pregustando la carezza del lardo
che si scioglieva,
ed il mio cuore batteva
a vedere che molti
arrivati già in cima,
tra l'urlio dei parenti,
scivolavano in basso
con il viso stravolto
da rabbia e fatica.
Che gioia provavo
a vedere quei ricchi,
con la pancia strapiena,
che non riuscivano a salire
neppure a metà,
ed i poveri che salivano,
salivano in cielo,
oltre il cielo,
almeno per un giorno.

L’accattone
Lo sguardo scivola
oltre le sbarre
e si sperde agli angoli dei palazzi
dove altri accattoni
si smarriscono in viaggi mai intrapresi
e firmano i registri
sui tavoli dei musei chiusi.
Solo un piatto caldo di minestra,
abbandonato su un tavolo di bar,
lasciato da un cliente insoddisfatto,
solo quello assapora,
guardando un filo di fumo
che si disperde nel nulla.
Ferma la mano del cameriere
che vuota il tutto
nel bidoncino degli avanzi.
Che buffo il mondo,
sospira,
e tira fuori dalla sacca
un pane raffermo
e un tozzo di formaggio.

L’alba
Schizzi di pennello
ocra rosa
su una tavolozza
cosparsa d’ombre
e luci appannate.
Radure vuote
e liquami fumanti
ai bordi dei fienili.
Sommessi fruscii
e lievi battiti d’ali
sui rami di un noce
ancora spoglio.
Un ululato lontano
d’un cane
legato alla catena.

Echalon
Io sono la libertà,
la democrazia è il mio modello di governo
e lo impongo al mondo
perché odio la dittatura,
sono insofferente alla massificazione
delle coscienze e delle genti.
Libertà è il mio grido ricorrente
ed i popoli guardano a occidente
il sorgere d’un sol globalizzato.
Crepi l’inetto, il mediocre perisca.
La società è romana:
dalla rupe Tarpea volan gli storpi,
soffochi colui che invoca
il modello solidale.
Il forte badi a se stesso
e costruisca con tenacia e noncuranza
il suo potere: si arricchisca.
Se l’africano è schiavo
pianga se stesso
perché non sa morire combattendo
per conquistare la sua perduta libertà.
Se l’asiatico ha fame
non è colpa del popolo americano
se con le bombe al Naplan
gli ha distrutto i raccolti.
Per la democrazia si muore:
la libertà non ha prezzo.
Anzi la impongo a piene mani,
e osservo con un occhio indiscreto
che il timoniere vada dritto all’approdo.
Tanto gli scogli a prua
io li posso evitare e prevenire:
io non posso accettare ostacoli
al mio modello di liberal-democrazia,
al mio navigare in largo e in lungo
per le coste o i mari aperti.
Il mio occhio è vigile e presente:
punisco quando voglio un presidente
che non comprende la vera libertà
com’io l’intendo.
Questo potere me l’ha dato Dio,
perché osservo il giorno del Ringraziamento
ed ho, nei signori della quinta strada,
i guardiani del cielo
coloro che fanno osservare il mio modello di democrazia
con l’armonioso suono dei cannoni.

Una vita uguale
Sposa mia, ti sento,
mentre nella solitudine
dei miei pensieri,
nell'immensità
delle possibilità di evasione
che mi offre il mio elaboratore,
batto ritmicamente la tastiera
e compongo i miei pensieri
col sentimento delle mie passioni.
Ti sento, già così presto,
affaccendarti anche sulle mie cose
ed una tenerezza immensa m'opprime.
Avverto l'inutilità
della mia immobilità
davanti ad uno schermo,
bigio ed insensibile,
e le colpe della mia pigrizia
mi rimbalzano in petto
come i giochi del pallone
che il computer
a volte mi presenta.
Non so se basta,
ma il tuo curare le mie cose
apre il mio cuore
al grande affetto che ti porto,
e se la voce tua
interrompe l'intensità
dei miei pensieri,
scusa il mio sciocco sgridare,
la presunzione che solo conta
questo inutile tempo
ch'io trascorro in silenzio
rubando, ai tuoi interessi,
i momenti migliori
del nostro vivere insieme.
Ma pur nel mio silenzio,
odo la voce tua
che questo cuore
empie di vita e amore,
sempre!

Rotolo sui miei pensieri
Rotolo sui miei pensieri
con pigrizia indecente
e medito sulle mie mollezze
e sulla mia incapacità
di spazzare le lordure del mondo.
Mi abbandono nella mia impotenza
e spero ardentemente
in un angelo liberatore
che avvolga l’universo
e le contaminazioni umane
in una palla di fuoco
che distrugga
indolenze e soprusi
in par misura
e trascini ogni cosa
in un tramonto eterno
che impedisca all’aurora
di affacciarsi domani
a rischiarare ancora
le nefandezze umane.

Lo sciopero
Arma dei poveri,
degli sfruttati,
di quanti
combattono
solo con le braccia.
Mezzo improduttivo
ma necessario
che non uccide,
ma che trasforma
le strutture
di questa società.

Se un uomo piange
Se un uomo piange,
tutti lo guardano con pietà:
Un uomo non piange mai!
Perché?
Dov'è scritto?
Io piango
perché il mio cuore
è gonfio,
perché il mio cuore
è triste.
Piango
perché m'accorgo d'essere uomo
con le mie debolezze,
le mie repressioni.
Tu donna piangi
da sempre,
cosciente delle tue debolezze,
della tua oppressione.

Il silenzio
A volte me ne resto attaccato al mio PC
per intere serate.
Fisso lo schermo bianco
e penso.
A volte scorro le pagine già scaricate
da siti vari,
che mi capitano a caso
girovagando in cerca di notizie
nell’immensità della rete.
Le leggo, poi, con calma.
Mia moglie dorme, di là,
seduta sul divano,
forse annoiata
da qualche trasmissione strampalata
che sovente saltella
sulle reti della televisione nazionale.
Ed io vago con il pensiero
tra le notizie varie
che il web in abbondanza mi regala.
Nessuna occasione di parlar
con qualcuno
e scambiar quattro opinioni
o fare qualche riflessione.
Solo il silenzio ed io;
che me ne resto attaccato alla poltrona
rigirandomi a tratti
per i glutei a volte indolenziti.
Ma poi apro la posta sul PC
e leggo le notizie e tante osservazioni
che mi giungono da amici
e conoscenti
per qualcosa che ho scritto
sui problemi del mondo.
E penso con orgoglio
che pur dal mio silenzio,
dal mio quieto infuriar sulla tastiera,
ho generato un certo movimento,
un frullar lieve di menti e di pensieri,
qualche ripensamento.

Un padre
Un padre
spesso ha una ferrea visione della vita.
Vorrebbe veder perfetto
il proprio figlio
e lo incita e sprona
spesso senza esser capito.
E non si sforza,
un padre,
a far capire i suoi sentimenti
e gli obiettivi
che gli riempiono il cuore.
Esige ubbidienza
convinto d’operare
per il bene d’un figlio.
Errore!
Ogni figlio, a suo modo,
vuol costruir la sua strada.
Spesso rifiuta il consiglio
e l’aiuto.
Vuol sbagliare da solo;
forse vuole capire
cosa vuol dir sbagliare.
Ma un padre, lo sa!
Sa come girano le cose a questo mondo.
Vuole evitare delusioni cocenti
al proprio figlio.
Errore!
E quando la ruota della vita
si ferma al punto giusto,
quando gli errori
producono disastri irreparabili,
allora il figlio
capisce la presunzione di un padre,
anche se ormai è tardi.
Ma quell’errore,
quella sua delusione,
faranno di lui
un padre!

Santiago
Impotente il vecchio Giorgio*
s’agita convulso sotto la lapide
che gli oscura il sole della sua Firenze.
Il pellegrin che s’avvicina al suo avello
ascolta il suo pianto e mesto tace!
Giacciono i morti
ancora incomposti,
con le unghie seviziate
e i genitali ustionati
dalle scariche inflitte
dai gorilla di Pinochet.
E Santiago, città di dolore,
deve sopportare ancora
l’insulto umiliante
del ritorno d’un tiranno impunito.
Urla di rabbia si accompagnano,
per le strade della città martoriata,
alla gioia delle folli ubriache
che ignorano il dramma
dei tanti “spariti” nel nulla,
che hanno dato la vita
anche per questo popolo ingrato.
Per loro non alberghi di lusso
ma squallide prigioni,
non dorati soggiorni
ma la violenza inconsulta di sadici guardiani
d’un potere asservito
ai luridi interessi di multinazionali
senza dignità e né storia.
Piange Santiago,
incapace di rendere giustizia
ai martiri d’una libertà
ancora una volta offesa e vinta.
* Giorgio La Pira

7 Settembre 1906
(Anniversario 1999)

Ieri
era il tuo compleanno,
mamma,
ed io neppure ti ho pensata.

Che strana umanità
tu m'hai insegnato.

A piangere per gli altri
e non avere un sol pensiero
per chi mi ha generato.

Solo parole
A chi servono le mie parole?
Quali dolori possono lenire?

Scrivere,
scrivere sempre
parole che mi fanno finanche soffrire,
che rimbalzano sulle pareti della stanza
e poi finiscono sullo schermo,
allineate,
silenziose,
allucinanti,
sordide,
crudeli,
terribili,
frivole;
che mi fanno tanto pensare,
meditare
e intristire;
che mi spaccano il petto
e m’afferrano il cuore
e lo strizzano
come uno straccio bagnato.

Ma queste parole
mi fanno vivere,
mi danno l’illusione
ch’io possa cambiare il mondo
e farlo diventare migliore.

A mio padre
Ecco,
le mie mani
si tendono
a stringere la tua mano,
callosa, rude,
del color della terra
che per anni hai zappato.
Le tue spalle, curve,
sorreggono una testa
ormai senza pensieri.
        Guardo
        le tue rughe profonde,
        solchi tracciati
        dall'aratro del tempo,
         i tuoi occhi,
         appena visibili
         tra le palpebre socchiuse,
         il tuo sorriso,
         debole e stanco
         colorato dai tuoi denti
         bianchissimi.
Sento una pesante coltre
di disperata dolcezza
avvolgersi sul mio corpo,
mentre stringo la tua mano
simile a dura scorza
d'albero di ulivo.
Appena, appena
accenni ad una carezza
sul mio volto lontano.
I miei sentimenti
turbinano nel profondo
d'un animo
non più avvezzo
ad ascoltare le tue sfuriate.
        Sento attorno a me
        suonare i campanelli
        d'una infanzia perduta:
Quel pane di mais e grano
ha un sapore ancora fragrante
anche se offerto in un nido
troppo povero e spoglio.
         Ma ormai è tardi !
         Inutilmente
         cerco nei cassetti vuoti
         immagini di una realtà
         che il tempo ha già cancellato.

Gli agnellini
Dalla mia finestra
mi giungono belati disperati,
che straziano la mente.
Guardo con il cuore in gola
giù nella strada.
Un camion è fermo
con il suo carico di agnelli
e di agnellini.

Mi auguro ritornino all'ovile,
giù nella pianura pistoiese.

Spero non vadano al macello.

Quei belati
mi accompagneranno
per molto tempo ancora
e mi tormenteranno
tutte le volte
che al supermercato
vedrò carne d’agnello
sul bancone esposta.

L’agonia
Tenui bagliori
di un giorno che muore,
di un giorno che cade
nel sonno profondo
nell'oblio più pesante.
Ultimi rantoli
di un agonizzante
che cerca inutilmente
di tenere acceso
un lume che si spegne.

Albert Karol
Sul bel Danubio blu,
s’è fermata la vita,
avvelenata
dall’incoscienza umana.
Scorre ignaro
l’immenso fiume,
che le nostre madri sognare fece,
e nei suoi gorghi
s’agitano
fantasmi: trote e storioni
boccheggianti, disperati, vinti.
Le rive sono invase
da una marea di pesci morti:
anatre e gabbiani
si tuffano ignari e pescano
bocconi avvelenati
che altre distruzioni costruiscono.
Piange Albert Karol,
piange le morti ignare:
dalla barca discende,
col suo storione agonizzante
stretto sul cuore
come fosse un bambino
travolto dall’incoscienza umana,
e sugli scogli, con delicatezza,
come un padre affettuoso lo depone.
Piange e osserva gli ultimi scossoni
della coda imponente
che affanna, quasi l’estremo rantolo
d’un agonizzante.
Piange impotente
e le sue lacrime si disperdono
come pioggia morente
sul bel Danubio Blu,
che lento scivola,
col suo bagaglio di veleno
e di fauna in croce,
che invia al cielo
il suo estremo messaggio
di rancore e di disperazione.

Semine folli
Sotto il mio mantello
non ho più nudità da coprire.

Il mio animo è un libro aperto
dove chi passa scrive qualcosa
e lascia un pensiero.

Afferro le parole,
che sembrano nuvole sfuggenti
sospinte dal vento
tra le betulle,
che disegnano paesaggi irreali
in bianco e nero,
e le cospargo sui miei occhi
affinché mi diano
sensazioni reali
che mi facciano meditare
ed agire.

Nulla, nulla rimane
dei versi di un tempo.

Ogni giorno che passa il vuoto
regala alla mente
pensieri che non costruiscono niente.

Spingo il mio aratro
su un terreno brullo e indurito
ma i buoni semi
produrranno solo erbe infestanti
ed inutili pruni.

Vecchio album
Ancora mi rimbalzi nella mente,
vecchio album di nudi
in bianco e nero,
disegnati dalla matita di Molina,
ritagliati da vecchie copertine
di logori Grand Hotel recuperati
nel fondo di un baule
rimasto abbandonato in un solaio.

Di te ricordo solo il mio tremore,
passandoti di mano sotto il banco
al mio compagno che mi stava avanti,
di certo più sveglio e smaliziato
per i costumi del mio tempo andato.

Forse sei nel mio cuor,
perché tu celi
i miei primi piaceri solitari;
sei nel mio cuor
perché ricordo ancora
quei cinque giorni che il preside mi diede
di sospensione dal frequentar la scuola.

Cinque giorni salati, ed eran tanti,
ma tanta di più fu la vergogna
di dover tornare a scuola accompagnato
da una madre bigotta e brontolona.

Oggi ci rido sopra
mentre saltello un po' annoiato,
pigiando i tasti del telecomando,
tra i canali del mio televisore.

E mi scorrono immagini, buon dio,
che se fossero state un dì collezionate
su quell’album di donnette disegnate,
oggi sarei qui forse a raccontare
della mia espulsione dalla scuola
o forse del periodo passato
nell’istituto di rieducazione
in cui senz’altro m’avrebbero cacciato.

Il mio mare
Ormai il tempo é andato:
La lunga estate di Calabria
anch'essa é finita,
anche se il sole
scalda ancora la spiaggia.
I giorni dell'ottobre caldo,
quando ci si tuffava
ancora in mare,
sono ricordi che svaniscono
nelle rade nebbie
di questa mattinata aostana.
Mi giungono ancora i fragori dell’onde
frangersi contro gli scogli del porto
anneriti dal catrame.
Lungo lo stretto ascolto le sirene
del ferry-boat,
che unisce ancora Reggio a Messina,
e mi sembra il lamento d’un condannato.
Planano su un mare color viola
stormi urlanti di gabbiani,
e il vento fischia incessante
sferzandomi il viso
con le rade sabbie
di questa costiera pietrosa.
Immobile,
seduto sulla mia vecchia banchisa,
guardo le onde alzarsi, imbiancarsi,
rincorrersi ed espandersi spumeggianti
tra le barche piene di reti
e le ceste di vimini vuote
accatastate vicine.
Ed i pensieri volano
a rincorrere anch'essi
impressioni fuggite, svanite,
scolpite é pur vero nel petto
ma ormai vaganti come sogni lontani
che vorrei poter dimenticare,
ma che rimbalzano,
come palle di gomma,
sui muri di un cuore
che é rimasto ancora bambino.

Il Ritornello di Seila
E’ ver che sono piccina,
ma mi sveglio la mattina,
col sapone lavo il viso
allo specchio fo un sorriso,
poi mi pettino i capelli
con il gel li faccio belli,
pane e latte a colazione
con un dolce bombolone,
un bacino al fratellino,
a Verusca un puffettino,
un abbraccio alla mia mamma
che rimane la mia fiamma,
poi salgo sul pulmino
col bambino del vicino,
e felice vo' all’asilo:
gli uccellini fo col filo
e nel ciel li fo volare
svolazzanti fino al mare.

Preghiera
Greve nell'aria turgida di pianto
scandisco le note dell'Ave Maria
e come per un prodigioso incanto
si spegne in petto la malinconia.
“Ave Maria” il cuor dice sereno
e l’anima si scioglie alla preghiera,
“Benedetto il Frutto del Tuo Seno”
sussurra chi nella sua fede spera.

Quanta pace in semplici parole
quale valore lo spirito acquisisce
ed anche se non risplende il sole
l'anima tutta traluce e intenerisce.
E' come se gli astri con le stelle
ti risplendessero nel profondo cuore
e, simili a tremule fiammelle,
ti sciogliessero dentro ogni dolore.
Preghiera, dolcissima preghiera,
di chi crede in tutto ciò che dice
che vede Iddio nell'ombra della sera
che segna con la mano e benedice.

Anch’io morirò
Morirò,
con disappunto,
un dì, anch’io morirò.

Mia madre sognava viaggi
rimasti incompiuti.

Anch’io sognai mondi lontani.
Per pigrizia o viltà,
tranne scarne occasioni,
il mio mondo rimase ristretto
ai confini nazionali.

Solo il mio pensiero
vagò sui sentieri del globo
e si confuse
con le lotte di liberazione
dei diseredati del mondo.

Il Cile, l’Argentina, la Polonia,
sentirono il mio alito vicino:
urlai nelle piazze
per le libertà soppresse,
per le stragi compiute
a suon di cannonate
sul Palazzo della Moneda.

Ma quel modello di civiltà
finì miseramente in rovina
come il Muro di Berlino.

Ed ora forse morirò,
morirò impotente
per una marea restauratrice
che sta annegando ogni sogno,
e vorrebbe uccidere anche la speranza.

Beata solitudo
Quando il fragore dei pensieri
e delle parole assordanti
(che come fiumi
sgorgano dagli schermi TV),
quando le contraddizioni
(tra le verità di ieri
ed i fatti di oggi),
mi fibrillano la coscienza,
sento un bisogno
di tranquillità e di quiete.
Mi rifugio allora
sulle vette innevate,
spazio tra le nuvole bianche,
volo negli spazi infiniti
e sogno un mondo diverso,
dove le parole
non sono tempeste distruttive
ma quieti laghetti
luccicanti di stelle e di sole,
dove l’odio non è più
incivile strumento di potere,
ma lontano ricordo
annegato sotto i ghiacciai
insieme all’incoscienza umana.

Bruscello
L'ira di Dio viene da Bardalone
e imbianca tutte le colline
attorno a Campo.
Prosegue lungo il Reno
e sfregia le colline di Pian di Giuliano
che s'affacciano sulla piana di Pistoia.
Disegni straordinari,
d'indescrivibile pazzia,
ornano i sentieri
con gli alberi di ghiaccio,
piegati fino a terra:
sembran pregare Iddio di risparmiare
questo scempio ecologico.
Saltellano le radici,
immense diramazioni venose,
scoperte verso il cielo:
agitano al vento freddo della tramontana
gli ultimi rami stronchi dal gelo.
Specchi iridescenti
brillano al chiarore rado del sole
che sbircia tra una nube e l'altra,
mentre corre pel cielo un gelido vento
che spazza la neve
e l'accatasta da un borgo all'altro
sugli usci delle case e delle chiese.
Spettri di tralicci piegati
s'intrecciano a fili schioppetanti
abbracciati a vecchi rami d'abete
mezzi sepolti nel ghiaccio.
Lontano urli solitari
di mamme che rincorrono i bambini,
mentri vecchi ravvolti nelle coltri di lana
escon dalle topaie con fastelli di rami
e ciocchi di cerro per le stufe.
Fumano i comignoli:
un acre odor di resina bruciata
si disperde per l'aria
ed i bagliori della legna che arde
rimbalzano sui muri
come ombre di fantasmi risvegliati.
Schizzan le braci
sui pavimenti vecchi di cotto
al crepitio dei rami
agonizzanti in mezzo alle fiamme del camino.
Urla gioiosi di bimbi
avvolgono il tenue chiarore
che si diffonde dalle finestre buie
e rimbalzano sui viandanti
che con le loro mercanzie
percorrono i poggi deserti di acquirenti.
Un filo d'acqua scorre
dalla fonte isolata dell'Usignolo,
sembra il borbottio
d'un vecchio senza più domani
che non spera ormai più di vedere
la primavera che tarda ad arrivare.
Rari fringuelli e qualche passero
borbottano dai rami un lento pigolio
quasi un segnale lugubre di morte.
Scorre pigro e annoiato il ruscello
nella Valle degli Occhiali,
e l'acqua scivola tra gli specchi ghiacciati
delle gore ormai spente.
Scende ora la notte
ed il silenzio avvolge ogni cosa
mentre dal profondo del bosco
giunge il richiamo stridulo
d'una volpe in cerca di prede
per la sua nidiata.

Compromesso
E' meglio simulare
l'accettazione del presente
affinché tempi migliori
dimostrino l'essenza
delle idee del nostro tempo
e si consenta il ripercorso
di una esperienza storica
che, pur rinnovata,
conserva l'essenza
della sua immutevole
verità.

Confusione
Guardo stanco la tastiera,
e vorrei poter
costruire parole nuove
ritmando sui tasti
ed osservando sullo schermo
la composizione dei miei pensieri.
Ma le lettere sembrano ondeggiare
come un mare in tempesta.
Inutilmente rincorro
nella mente
un momento di lucidità
per elaborare una frase compiuta
che esprima un concetto
e sfugga
l’indeterminatezza
e la confusione del mio essere.
I tempi sono tremendamente cambiati,
le occasioni di dialogo
e le ragioni degli altri
si perdono nella volontà
di sopraffazione
che il potere ci mostra.
Nulla sarà più come prima.
Nuovi poteri galleggiano
la dove il mare
ha sepolto la balena bianca
che tanta libertà ha dato al Paese.
I nuovi padroni del vapore
hanno gettato le reti
e vogliono tutto arraffare
incuranti delle ragioni degli altri.
Ancora una volta la forza
avrà il sopravvento sulla ragione?

Coscienza
Immagine di noi stessi
che ci rivela
l'essenza reale delle cose.
Giudice implacabile
delle nostre azioni
e dei nostri pensieri.
Specchio limpido
di noi stessi
che ci presenta
nel mondo più reale
senza sfumature
e senza segreti.

Crotone: Luglio 1993
Scoppia la protesta a Crotone:
chi mangia
non conosce digiuno;
chi ha scarpe
non capisce andar scalzi.

Ride La gente!
Giudizi sommari sulle piazze
e corda per l’impiccagione.

Chi paga tanti danni
provocati da rabbia,
da disperazione?

Giusta l’osservazione!

Si liquefà al sole di settembre
la politica assistenziale
che ha servito
i tanti padroni del Mezzogiorno.

Non bastano più le parole,
non servono ancora le promesse
che nessuno mantiene.
Chi semina grandine
Raccoglie tempesta,
chi non estirpa il loglio
ritrova scarso il raccolto.

Guardo con pietà
un pazzo sopra una ciminiera
che non ha più
nulla da perdere.

Egloga per la morte di Giorgio Muratori
Lenta una stella nel cielo muta loco,
lieve, qui in terra, un alma sale a Dio
e come fiamma d'un tenero foco
resta sol cenere di te, amico mio.
Ma tu per sempre alma giovincella,
bocciol di fiore, bianco tra le spine,
lento gioivi nell'età tua bella
correndo al vento tutto sciolto il crine.
Ma il vento, però, come un fil d'erba
spezzò la corsa tua di giovinezza
e venne, nel suo manto ancor più acerba,
la morte, con la fredda sua carezza.
Tenero fiore che il fato, triste e crudo,
ti pose solo in questa terra amara,
che ti lasciò all'intemperie nudo
come un’anima semplice ed ignara.
Tu vedi ora il cuore mio che piange ?
Senti il respiro che al petto trascolora ?
Vedi i miei occhi? e l'animo che piange
la giovinezza tua e s'addolora?
Come una pianta dal terren strappata,
dove viveva vegeta ed ignara,
sente la morte che non è aspettata,
così anche tu, o creatura cara,
sentisti che la morte t'avvolgeva?
Provasti in fondo al cuore la paura?
Non vedevi tua madre che piangeva,
in quelle desolate bianche mura?
Vedesti accanto, in tenera assistenza,
coloro che ti vollero più bene,
ma lenta, la tua tenera esistenza,
s'affievoliva tra dolori e pene.
E con i giorni il cielo più invocasti,
invano l'uomo ti curò benigno
tu sconsolato certo non pensasti
al tuo destin, al tuo morbo maligno.
Poi, infine, l'alba di un triste mattino
non ti svegliò col tenero chiarore,
perché dormivi come un serafino,
estraneo all'ansia, estraneo al tuo dolore.
Un cuore, puro, tacito riposa
in quella terra dove regna il pianto,
ma tu, ormai dimentico a ogni cosa,
dormi tranquillo là nel Camposanto.

Il silenzio
Tace il Tibisco,
l’acqua scorre più lenta:
piange i suoi figli
con le pance gonfie di cianuro
che la corrente ignara trasporta
verso la pianura di Belgrado.
Ammutoliscono le genti,
spettatori impotenti lungo le sponde
che il “bel Danubio blu”
avvelena da Pancevo a Galati:
col cuore affranto seppelliscono
la natura agonizzante.
“Meglio le bombe”,
qualcuno dice sommesso,
“da queste ti ripari
cercando un rifugio occasionale”.
Strano mondo è codesto!
All’incoscienza del profitto immorale
si risponde con un silenzio ancestrale,
quasi a dimostrar che la vendetta umana
e la ritorsione senza coscienza
possano essere madri di rinnovati veleni.
I confini son segni artefatti
su carte appese alle pareti
che nel millennio che muore
hanno subito, a suon di cannonate
e col sangue di innocenti,
rimaneggiamenti continui
per assecondare squallidi interessi
di piccoli Don Rodrigo locali.
Non bastan le dighe imponenti
ad impedire che i rifiuti,
che una potenza incivile e prepotente
scarica in un fiume,
avvelenino la coscienza di mezza Europa.
Ma il silenzio non è l’arma appropriata:
la gente normale è stanca di subire
che pochi loschi mercanti
trasformino questo mondo
in una squallida globalizzata pattumiera.

Il canto dell'usignuolo
Quando la notte col suo nero stuolo
di fosche ombre la natura avvolge
senti dell'aer un canto d'usignuolo
che lentamente dal silenzio sorge.
Sembra che canti per chi solo crede
che questo mondo é fatto per soffrire
e allora ti rifugi nella fede
e senti un desiderio di morire.
Dolcissimo, dal buio s'alza quel canto
e nella notte ti sussurra al cuore
oh! come spesso sembra un tenue pianto
che sa solo di ansia e di dolore.
A volte s'alza, invece, desioso,
pieno di una languida poesia,
Oh! come allora il cuore tenebroso
ti si riempie di malinconia.
E quante pene di salgono dal cuore,
tu senti un nodo stringerti alla gola
e le tue membra prese da languore,
oh! come tu ti senti triste e sola.
Vorresti allora vivere lontano
in un mondo fatto d'illusione,
chiudi gli occhi per ascoltare piano
quel canto fatto d'ansia e di passione.
E forse sei felice con quel canto
che parla nelle tenebre d'amore,
mentre la notte col suo nero manto
ti porta tanta pace e gioia al cuore.

Vicoli
I miei vicoli muti, che sanno ancora di mare,
un dì lasciati, sempre più soli, quasi scordati,
ancora baciati dal sole di ottobre che scalda gli androni,
con le vecchie sempre sedute a pettinarsi i lunghi capelli,
a filare col fuso e la lana,
a ricamar col cerchietto
le bianche lenzuola nuziali di lino.
La vecchia fontana che scorre,
con lo stesso rumore d’allora, sempre più sola,
ché l’acqua v’è in tutte le case.
Io guardo oltre i monti, seduto alla mia scrivania,
guardo e non provo la gioia serena
che accompagnava i giorni di tanto patire in silenzio,
col decoro di povera gente
che viveva del proprio lavoro,
contenta di poco, contenta di niente,
coi figli riuniti pel desco,
chiassosi, con gli occhi lucenti.
Non vedo la gente d’allora, partita per terre lontane,
partita per terre vicine,
coi fiori e i lumini che accendono sempre.
Non vedo che vecchi camini, cadenti,
già lisi dal tempo.
E il vecchio rione è un sogno quasi svanito,
dipinto coi freschi colori d’allora,
legato a un dolce ricordo di mente,
che corre sui tetti di lose,
oltre i monti già bianchi di neve,
col buio, che inonda i nostri vicoli freddi,
e scende in silenzio, quasi in punta di piedi,
per non farsi sentire, per non farmi soffrire.

Voci
Ad una, ad una tutte vi risento
voci fuggite giù per la marina,
voci scomparse,
d’un colpo una mattina,
dopo la Pasqua del ‘63.

Fresche o sgraziate,
dolci o un po' invecchiate,
io vi riascolto presto la mattina.
Io vi ricordo
e spesso vi ho chiamato,
ma voi non mi sentite e ve ne andate.

Io vi riascolto quando il cuore è triste,
quando la sera suona la campana,
e noi si stava tutti a recitare
nella chiesetta il triduo o la novena.

Voci lontane, mai dimenticate;
voci di litania,
di devozione,
voci di preghiera,
di benedizione,
voci di confessione.

Tutte io vi ricordo,
e pur lontano distinguo, come ieri,
la cugina,
ricordo, pur se strana,
la comare,
torna, affettuosa, a un passo la vicina.

Voci tranquille, spesso misteriose,
voci sommesse;
voci di lamento,
voci di compassione,
voci di malattia;
voci di gioia,
voci di confusione.
Voci arrabbiate,
irose,
di maledizione.

Addio, addio,
vi urlo e non sentite;
io vi saluto ancora
e voi tacete;
io sono qui a parlarvi
e voi dormite.

Le manine
Lungo i fossi
i pampini s’avvitano
alle canne
e bianche corolle
ondeggiano
occhieggianti
sul Rio Salto.
Oh, cosa rimane di te,
piccola roggia che
il poeta romagnolo
hai fatto sognare
e me gioire
a inseguire
briganti
e viandanti
per poggi sconosciuti?

Ora mi scorrono innanzi
“manine” silenziose
che volteggiano
sulle siepi di biancospino
e si sperdono per la campagna
ammucchiandosi
come candida neve
sulle aie deserte.

Nessun bimbo più grida,
e salta
ed esulta stringendole in mano.

Il pioppo ripete sommesso
il suo frullar d’ali
ma la lanugine antica
non annuncia più
la nuova stagione.

Un dolce rimpianto,
una lieve emozione
bagna le ciglia
del vecchio canuto
che insegue intenerito
i fiocchi ondeggianti.

Il lume spento
(A mia madre)
Quanti anni son passati? Quante lune
nuove dal colle sono spuntate
ed hanno accecato i meriggi di sole
addolcito il brucior sulla pelle,
il salmastro seccato ai capelli ?

Quanti giorni inutili e soli
sono andati per terra e per mare
han solcato le onde, son morti
dietro i colli per poi rispuntare.

Rispuntare con nubi e procelle,
con il tuono che romba più forte
con il lampo che illumina i tetti
che ti lascia nel cuore la morte.

Son passati i dolori, i tristi
ricordi di guerra: la fame
che mai si riusciva a saziare,
le pentole vuote di rame.

Cammina, cammina, la strada
par sempre la stessa. E' mutata?
Io guardo mi sembra sia uguale
ma un'ombra dal cuore è mancata.

E' mancata d'un tratto. In silenzio
ha sceso quei quattro gradini,
ed ha spento l'ultimo lume:
ormai non servono altri cerini.

Il mammo
Attento a quel che pensi,
non pensare,
forse è meglio star zitti,
non parlare,
e se non vedi?
forse starai ancor meglio,
non guardare.
Che mondo ci stanno regalando,
le regole oramai sono sregolate
e chi è normale
deve restare in casa,
rischia d’essere lui l’uomo anormale
da additare a vista per la strada
come fosse arrivato da Plutone.
Ormai non c’è più nulla da stupirsi,
dopo i figli in provetta,
dopo le nonne in stato interessante,
dopo l’ovulo dato in locazione,
e l’utero che paga la pigione,
ecco arrivare l’ultima invenzione
l’uomo che partorisce
e si fa mammo.
Lo vedo già col pre-maman vestito,
con le crisi di gola mattutine,
con le voglie di fragola e gelato.
Lo vedo poi disteso in ospedale
con le doglie dovute al gran gonfiore
con il taglio cesareo sanguinante,
col pargolo abbracciato sopra il letto,
che succhia il latte dal suo biberon
che ancora il latte al seno non arriva.
Che strana generazione sta arrivando
dopo i disastri della distruzione
d’una guerra né chiesta e né voluta
t’arriva la nuova rivoluzione
che sconvolge la terra tutta quanta
senza più bombe, senza più mitraglia.

Corre il pensiero
Immobile in una stanza
schiarita dalla lampadina,
chiuso fra quattro mura
e due finestre
eppure così tanto in movimento,
eppure così tanto tra la gente.
Corre il pensiero
ancora più di un treno in corsa;
seguo il suo serpeggiar
tra colli e valli
e ripercorro il mio vagabondare.
Il sole picchia
sulla bianca spiaggia
sabbiosa di Calamizzi,
e la mia pelle scotta.
Oh, dolce sensazione
che ancor mi invade
di soffuso piacere!
Ma del mio mare,
del mio albeggiare
ai bagni dei Procopio,
Cosa più rimane?

Solo ricordi!
Ricordi e odor di salso mare,
immagini riflesse di Messina,
l'onda del mare che sbatte sulla rena,
che ciabotta sulla scaletta
della mia cabina,
e il fischio di un treno,
che si aggira come un fantasma
per la Via Marina.

Le tue mutandine
I merletti delle tue mutandine
ondeggiano ancora su un vecchio balcone
con la ringhiera arrugginita
e lisa in più parti.
Le guardo ancora, a volte,
nel silenzio delle mie notti
che durano una eternità.
Mutandine bianche
e trasparenti,
che m’hanno fatto sognare
in silenzio,
mentre le osservavo
sventolare al vento.
E tu, viziosa,
mi spiavi dalla finestra
socchiusa
quasi a cogliere le mie emozioni
ed i miei primi tremori.
Quanti sogni repressi,
quanti turbamenti,
quanti improvvisi rossori
quando t’affacciavi al balcone
e le staccavi lentamente
simulando indifferenza.
Ora, con lo sguardo perso nel nulla,
penso alle rughe del tuo volto
ed al tuo corpo disfatto
che gli anni ti hanno
regalato.
Ma ricordo (e sogno),
ancora,
quelle mutandine di merletto
ondeggianti
ad un balcone
con la ringhiera lisa
e arrugginita.

La vaporiera
Vecchio treno a vapore,
che hai trasportato i miei sogni
tra il fumo denso della tua ciminiera,
che hai interrotto il mio sonno
con fischio acuto della tua sirena,
che m’hai fatto correre
al finestrino
ascoltando l’urlo del macchinista
all’arrivo in stazione,
che tristezza mi danno
i grandi ulivi in corsa
senza il tuo sferragliare tenebroso,
privi della tua fuliggine densa.
Angoli di paradiso
spariti nel nulla,
donne urlanti,
con ceste immense sul capo,
ondeggianti
come modelle a una sfilata,
siepi di fichi d’india
coi frutti maturi
sorridenti al sole,
dove mai siete finiti?
Rincorro, tra la calura estiva,
immagini che danzano
sui veroni del mio cuore,
che m’addolciscono i pensieri
ma che a volte mi tormentano
l’animo.

La mia libertà
La mia libertà,
conquistata ogni giorno
sulla trincea dei miei doveri,
non è un regalo grazioso
frutto della mia indolenza,
figlio della mia pigrizia,
che si aggira
nei labirinti dei miei istinti
di uomo-schiavo,
ma è un bene prezioso
che ladri audaci
possono sottrarmi
se vien meno
la mia vigilanza.
I tuoi doveri, anche,
dopo i tuoi diritti,
siano la regola
che misura il tuo egoismo
e ti faccia comprendere
ogni giorno
che nulla al mondo
si riceve per nulla.

La stagione dei sogni
(A Ornella)

Sogni,
sogni di poter vivere
i tuoi anni
da ragazza spigliata,
forse un po’ troppo,
e non t’accorgi
che attorno a te
la gente stupida
non ti capisce
e ti deride.
Non te la prendere!
Vivi i tuoi anni
con spensieratezza,
non ti far confondere
dalle voci sciocche
che il vento
disperde in un momento,
come il sole
la nebbia densa del mattino.
Vivi la tua vivacità,
la tua tenera
vacanza di primavera.
Chiudi gli occhi
sulla realtà
che i tuoi sogni
colorano di fantasia.
Gli alberi dei peschi
fioriscono
e l’erba spunta sui campi.
Raccogli
questi freschi segnali
della nuova stagione
e corri a piedi nudi
sui prati fioriti
dei tuoi teneri
sogni.

Mafia
Lasciate perdere i vostri sorrisi
d’indifferenza;
le vostre parole non riusciranno
a riportare la luce
là dove l’oscurità
è stata seminata con intensità.

Non serve alle vedove
vestirsi di nero
né ai giovani indossare
una cravatta abbrunita.

Il sangue sgorga ancora dalla ferita
e gli occhi non vedono
più la luce dell’alba.

L’erba dei prati è piegata,
e piange una vita appena spenta
che s’aggrappa ancora
agli ultimi fiori
che ormai servono solo
a ricoprire un bara
colma di terrore
e di morte.

Il tempo
Il tempo asciuga i dolori,
cancella le angosce
ed i rancori.

Il tempo è un balsamo
che la natura
ti regala
a pieni mani
e ti restituisce
la serenità di vivere
e di amare.

Il tempo
normalizza i sentimenti,
ristabilisce la tranquillità della mente
che l’odio aveva offuscato
e ti consente di riprovare la gioia
del perdono.

Sogno
Può darsi che l’orologio
domani segni un’ora nuova.

Ognuno guarda il tempo
trascorrere con occhi diversi
ed i desideri scorrono
come fiumi in piena
verso la pianura
straripando
e travolgendo ogni cosa.

Ci si libra nel cielo,
come se lo spazio fosse
una linfa vitale.

Eppure ognuno di noi
sa
che oltre le nuvole
vi è soltanto lo spazio infinito
ed il nulla.

Anche se corri col pensiero
in ogni angolo dell’universo
rimane la solitudine
di tanti desideri incompiuti.

A Orazio, schiavo romano
Chi sono io,
schiavo,
che depongo pietra su pietra
ed innalzo un tempio
al Dio Giove.

Di me non resterà traccia,
ma solo il nome
dei miei aguzzini
riporterà la storia.

Ma io sono qui,
tra queste pietre erose,
consumate dai secoli.
E la mia voce
è ancora viva
tra il sibilo del vento
che non ha ancora finito
di asciugare il mio sudore.

Orme
Niente
solo un niente
circonda le dimore dei profughi
dove del pianto dei bimbi,
del frenetico ritmo quotidiano
degli adulti,
sono rimaste solo le orme,
in un angolo dietro una porta,
dov'è appoggiata ancora una scopa
ed un po' di spazzatura sul pavimento.

Ottobre
Gli storni sono tutti in cielo:
nugoli neri sbandano,
si spostano, volteggiano,
sbandano ancora
e ancor si ricompongono.
Poi d'un colpo
spariscono dietro una collina.
A tratti,
solcano il cielo,
senza guida alcuna,
gli ultimi ritardatari.
Ombre fugaci
che con voli folli
inseguono lo stormo ormai lontano.
Le nuvole
son dense di messaggi incompiuti,
le prime nebbie
accarezzano le valli
nella foresta del Teso,
e tra gli alberi esplodono
i primi spari dei cacciatori
che inseguono il cinghiale.
Le prime castagne
occhieggiano dai ricci
e a tratti si tuffano
la tra le secche foglie
ammassate alle cune,
come bimbi burloni
che rotolano nei cartocci del granturco
ammucchiato ai bordi delle aie.

Perché son nato umano
Madre mi sto chiedendo da una vita
perché son nato umano e non insetto,
perché non pesciolino o margherita
o rondine nel nido sotto un tetto?

Io me lo chiedo e non mi do ragione
perché capisco il male che c’è al mondo
vedo le guerre, la fame, la desolazione,
e nell’angoscia sempre più sprofondo.

Se io fossi stato un passerotto
me ne starei nei boschi a canticchiare,
e se per caso si sentisse un botto
sui rami più alti proverei a volare,

allontanandomi da tutte le brutture
dalle crudeli atrocità dell’uomo
che con in mano le Sacre Scritture
sgozza gli innocenti dentro il Duomo.

S’io fossi pianta immobile nel suolo
allargherei i rami verso il cielo
nasconderei così brutture e duolo
sotto la cappa d’un immenso velo

di verdi fronde e sussurrando a Dio
frasi d’amore smosse poi dal vento
per far tornare l’uomo ancora pio
e l’animo suo pacifico e contento.

Ali spezzate
Ali che s’agitano invano,
alla ricerca di un volo finito
tra auto in corsa
e folate di vento.
Li osservo, mentre gira il motore
sulla strada, come anime perse
che tentano ancora
di prendere il volo.

Mi vedo, sconfitto,
aggrappato all’asfalto rovente,
con le auto
che sfreccian veloci
e mi sforzo nell’inutile rito
mentre il cielo mi sfugge lontano
ed i fiori ormai più non carezzo,
e ripenso alle andate rincorse
sopra i prati, sull’immensa campagna.

Sono solo,
per gli insetti od i passeri in volo,
che le macchine in corsa han colpito,
non v’è alcuna pietà che addolcisca
la paura e lo strazio del cuore,
non v’è amico che lieve lenisca
con parole o qualche carezza
l’agonia ed il proprio dolore.

Scilla
Il vento,
che soffia da Cariddi,
solleva l'onda
e con furore
la sballa
contro la zattera d'Ulisse.
Io sono qui,
immobile,
che ascolto sirene lontane,
incatenato al mio presente,
ma pur libero
di spaziare
nell'infinito
della mia memoria.
Dolce lo zufolo
di Circe
m'invita all'oblio,
alla dolcezza
degli ozi quotidiani.
Ed io rivango
infantili emozioni
alla ricerca
di vecchie sensazioni,
di ardenti passioni,
che il tempo affonda,
sempre più,
nella rena delle mie spiagge,
inondate dal profumo
delle zagare
smosse dal vento.

L’urlo del Sinai
La mia vita appesa a un filo,
vado, vengo, non mi do più ragione!
Ho timore, l’ammetto,
ma la vita va vissuta lo stesso,
è una sfida interiore
tra paura e ragione.

Già in passato la morte
ha regnato tra noi.
Nel nome di Dio
si continua morire.

Io sorrido, sto mangiando un panino,
e d’un colpo il mio corpo
è cosparso di sangue,
di frammenti di vita
consumati per sempre.

E la pace, la pace s’allontana
ogni giorno;
si riempiono i cuori di dolore
e vendetta,
e la morte d’un figlio
con la morte si paga,
e il mio grido di pace
è sommerso dall’odio.

Non c’è tregua
e l’amore è sommerso
dalle urla impietose dei morti.

Non c’è tregua,
ma solo rancore.
Ma dov’è questo Dio
che dal Sinai ha parlato più volte
alle genti?
Ed, Allah?
Anche lui rimane in silenzio,
impotente alle stragi
di tanti innocenti?

Una giornata di sole
Chiaro è il manto azzurro del cielo
dolce l'aria d'olezzanti odori s'empie
di gorgheggi di passeri riecheggia
l'aer allegro e libero di nebbia.
D'intorno gli alberi
sollevan gli scarni rami,
inturgonsi i germogli
e nuova forza acquistano i boccioli.
E' una giornata di sole,
una giornata serena,
c'è tanta pace in cuore
e l'animo è gentile.
Pei prati qualche fiorellino
lieve solleva il capo
tra la leggiadra brina
che si scioglie,
dischiude il calice ed aspira
il soave soffio del vento.
Una giornata di sole
porta tanta serenità alla vita,
è come se un filo d'acqua pura
scende a disseccar la gola
d'un condannato a morte.

Una sera al Sud
Silenzio
nella vasta piana del mare.
Silenzio
tra le brulle colline
coperte di ginestra e fiori.
Silenzio
tra le desolate fiumare
bordate di mandarini ed aranci.
Silenzio
tra i mandorli in fiore:
e' il tramonto.
L'occhio rosso del sole,
ammiccando da un cielo tutto di fuoco,
scompare dietro i siculi monti.
Come d'incanto
mille suoni rompono il silenzio:
concerti di grilli,
cori di raganelle
da uno stagno quasi senz'acqua,
trilli di passeri,ultimi voli.
E già per l'aria
svolazza il pipistrello,
mentre lugubre s'ode lontano
il richiamo di un barbagianni.

Una voce
Quella voce
che più non ho ascoltato.
E’ lì,
tra le bobine abbandonata,
forse in cantina,
forse in un cassetto.

Tace!

E nel silenzio
sussurra ad altre voci
la sua pena.

Io non la sento.

Ma a tratti
dentro il mio cuor parla,
è vicina.

Mi è vicina
nei miei momenti neri,
quando la vita
mi sfugge dai pensieri,
quando abbraccio la morte,
che in sordina sorride,
mi ignora,
e senza voltarsi s’allontana.

Piange:
singhiozza lieve,
ch’io non debba sentire,
ma qualche lacrima furtiva
le bagna il viso,
solca le stanche gote.

E sa di sale!

Un sale amaro
più dei rimpianti miei,
che sembrano macigni
pesanti più degli affanni miei.

Solo un’ora
(No Global)
Mi crogiolo nel mio ozio
E faccio il gioco del Grande Fratello
Che vuole ch’io resti impotente.

Un’ora,
un’ora della mia vita
per gli altri,
per rompere il muro dell’indifferenza,
dell’egoismo più gretto.

Questa è la vera rivoluzione
che farebbe tremare i potenti
nello loro lussuose dimore.

Invece,
rimango indifferente alle miserie,
ai morti d’inedia
che scorrono sugli schermi TV.

Li guardo,
ed anch’io mi rattristo
come i pigri fedeli in preghiera
davanti ad un Cristo ferito,
che soffre non di dolore
ma per l’impotenza
del Suo messaggio d’Amore.

Non servono armi,
oggi,
non serve neppure violenza.

Basta un’ora di impegno,
un’ora del popolo tutto,
per scuotere la coscienza del mondo.

Vecchia borgata
Vecchia borgata,
persa chissà quando e chissà dove,
ferma nella mia mente
con la sua strada bianca e polverosa,
profumata dei suoi odori antichi,
viva, coi suoi rumori più strani
ad ogni angolo di via.
Vecchia borgata,
muta e buia a sera,
senza lampioni,
rischiarata a tratti
solo dai raggi della bianca luna,
solcata da tenebrosi voli,
tra i caseggiati decadenti,
da stormi di pipistrelli urlanti.
Spazzata all’alba
dalla gelida tramontana
con la sua gente imbacuccata
nei vecchi pastrani di guerra,
avvolti in sciarpe e scialli di lana,
lavorate nodo su nodo,
attorno alle caldane,
da vecchie e da bambine
sferruzzanti con vecchi ferri
e gomitoli di lana grezza di pecora.
Vecchia borgata,
padrona dei miei sogni
e dei miei piaceri solitari,
del mio fantasticare,
madre di infinite certezze, infrante
da un fischio di treno ormai lontano,
da un bacio di gota
ormai asciugato,
da tanti affetti persi
negli ultimi saluti, visualizzati
in un lontano sventolar di fazzoletti
agitati tra mani sconosciute.
Vecchia borgata,
colma di sonore risate,
esplose attorno a un tavolo, a giocare
a stoppa e sette e mezzo;
ricca di miserie e di preoccupazioni
e di felicità non rinnovate;
povera di minestra
ma prospera di solidarietà
ormai dimenticate.
Ed io mi perdo con te,
vecchia borgata antica,
nel silenzio opprimente della mia impotenza,
di ridare al mio tempo
solo un’orma transitoria
degli affetti persi nei tuoi vicoli
ormai poveri di felicità e d’amore.

In silenzio
Me ne sto, qui, in silenzio
e in silenzio t’ascolto.
T’affaccendi:
cucini, lavi, stiri.
A mezzogiorno mi chiami:
“il pranzo è pronto”!
“La cena è pronta”
la sera mi ripeti.
Ed io sto qui
t’ascolto, e spesso
ti lascio da sola anche a pranzare
e arrivo che tu hai già finito
e da sola la TV ti sta guardando.
Che vita di squallore
ti regalo!
Non so come tu possa sopportare
un compagno
che se ne sta in disparte
a picchiare demenzialmente la tastiera
ed incidere versi su uno schermo
che silenzioso lo guarda
e l’asseconda.
Avrei piacere d’averti a me vicina,
di costruire insieme i miei pensieri,
d’aver consiglio,
un tuo suggerimento.
Ma i tuoi interessi
senz’altro son diversi:
non ti capisco
e tu non mi capisci.
Nascondo il mio lavoro
quando arrivi,
e ti celo così quei miei pensieri
che forse avresti piacere
ad ascoltare
dalla mia voce,
con quella intensità e la tenerezza
che provo mentre accarezzo la tastiera.
Ma resto, così, da solo a tormentarmi
lasciando inespressi i miei pensieri
ed affogando nel risentimento
l’amor che provo in cuore
e il sentimento.

L’agonia
Tenui bagliori
di un giorno che muore,
di un giorno che cade
nel sonno profondo
nell'oblio più pesante.
Ultimi rantoli
di un agonizzante
che cerca inutilmente
di tenere acceso
un lume che si spegne.

L'amante
Sono qui solo,
con il cuore
che ascolta i rumori.
Ho timore
di quello che scrivo !
Chi potrebbe capirmi ?
Non ha senso la tenerezza
che m'inebria i pensieri
in questo istante !
Sento che certi sogni
non si possono cullare
nel tempo !
Percepisco chiaramente
l'impossibilità della situazione.
Ma io rinasco,
le mie cellule
bruciano
un'infinità di energia,
vivono !
Ed anch'io vivo
in questa incoscienza
che mi stordisce.
Eppure avverto
un maledetto senso di solitudine
attorno a me,
di vuoto,
anche se mai,
in tutta la mia vita
ebbi chiara coscienza
di non essere solo.

Anniversario 2003
Come passa il tempo,
mamma,
come velocemente passa!
Ma tu lo sai, tu vedi,
tu mi senti,
tu leggi
che sempre vivo è il mio dolor
dentro il mio petto
e sempre più ti penso,
e la tua voce ascolto
chiamarmi da lontano
e consolarmi.
Mamma,
perdona i giorni del litigio,
perdona le parole mie crudeli,
scusami per il bene che ho rubato
alla tua gioia,
al cuore di una madre,
al tuo piacere.
Dammi una tua carezza,
tendimi ancor la mano
come un tempo,
ch’io mi senta accudito
e riguardato
dal cuore tuo,
dalle premure vere
che più nessuno
con pari intensità
m’ha regalato.
E tu sei viva,
mamma,
vicino a me ti sento,
e la tua mano
scorre tra i miei capelli
e mi tormento.

Apoteosi
L'aurora di roseo pallore
s'affaccia sui monti del Teso
e filtra tra i rami dei faggi
svegliando nei nidi gli uccelli.

Inizia un concerto armonioso
di trilli, di toni sonori,
un vociare di merli tra i rovi,
di cornacchie che prendono il volo.
Lancia l'urlo il cuculo dal bosco,
gli risponde un cor d'usignoli.

Mentre torna guardinga la volpe
coi volpini alla tana sicura
ed il cervo risalta la siepe
e scompare nella fitta radura,
il cinghiale attraversa il sentiero
con i piccoli in fila indiana
che si sbandano
grugnendo assordanti
tra i castagni ed i lecci del bosco.

I leprotti saltellan veloci
e si drizzano in piedi a guardare
se la volpe è davvero lontana,
poi continuano tranquilli a brucare
l'erba fresca e ancor piena di guazzo.

Ora il sole s'affaccia tra i monti,
filtra dolce e s'adagia tra i rami,
scende in fondo a scaldar le radici
delle querce arroccate nel piano.
Il ruscello borbotta festoso,
s'inargenta dei raggi del sole,
che disegnano strane formelle
tra le rive scoscese e tra i sassi
levigati dall'acqua che scorre.

Giù dal piano arriva il pastore
con le pecore e canta contento:
sogna già tanti freschi formaggi
allineati nelle cave a seccare
e un tocco di buona ricotta
col pan nero mangiare e gustare.

Carri silenti
Li vedo anch'io
i miei carri silenti ,
trascinati
da due buoi pazienti,
mesti avanzare,
tra l'ondeggiar
dei fianchi,
lenti scandire
un passo
dietro l'altro.
Cigola il carro
scivola
sulla bianca strada assolata
verso Melicucco,
mentre d'intorno
stridon le cicale
e le farfalle
mi danzano negli occhi.
Mesto dorme il massaro
la testa appoggiata
alla sponda del carro.
Sogna d'essere
già seduto al suo desco
nel misero pagliaio
e gustare
ricotta con pan nero
e vin novello.

Cavalluccio di legno
Io,
sono io,
cavalluccio di legno
che dondolo
sui miei pensieri.
Immagini
che inseguono
ambigui terrorismi.

Vivere
Che i nostri figli vivano,
occhi aderenti sul mondo,
guardando le cascate bianche
che scivolano sui ghiacciai
fino ai fiumi inquinati.
Godano della maestosità
delle nostre montagne,
anche se degradate,
imbiancate di neve
o dipinte di verde
durante le nostre estati.

Che non abbiano mai a subire
il rombo assordante di morte
e le fiamme dei bombardamenti.

Che non abbiano mai a vedere
i corpi straziati
di altri loro fratelli.

La ciminiera
In mezzo
allo stabilimento,
come un gigante
ch'allunga la mano
verso il cielo,
la ciminiera fuma.
Una densa nube
avvolge ogni reparto
ed il vapore
stordisce gli operai.
Marciano le macchine
e rombano i motori
mentre il carbone
brucia negli alti forni.
E come un vecchio,
brontolone e rauco,
la ciminiera
lascia nel cielo,
a tratti,
un puzzo di nitrato
e sulla gente sputa
il suo smog infernale
ogni giorno
sempre più pesante,
noiosamente uguale.

La panchina del "Cippo"
Al "Cippo" non c'è più nessuno,
s'agita solo, in fondo al mare,
il mio secondo "Lupo" morto annegato,
legato ad una fune
con una grossa pietra al collo:
una morte tremenda
se vissuta mezzo secolo dopo.
"Lupo" s'era ammalato di cimurro,
nessuno l'aveva mai vaccinato
ed anche il primo cane
era morto con lo stesso male,
legato ad un palo
e fucilato come un partigiano.
Povero "Lupo"!
amico mio fedele,
delle mie scorribande
e delle mie fantasie.
Ancora oggi piango per te
e sento il tuo latrare
al mio arrivare da scuola.
Il terzo "Lupo" non l'abbiam più visto:
rubato una mattina
da qualcuno che voleva un cane
per l'ovile o per sperimentare.
Ricordo mia madre tutta camuffata
che lo cercava invano nei pressi del cimitero
dove qualcuno diceva averlo visto
dietro una femmina in calore.
I miei cani sfortunati,
per via dell'ignoranza di mio padre,
che il veterinario non sapeva cosa fosse.
E poi i soldi chi glieli dava
per vaccinare un cane?
Al Sud anche le bestie
seguono a ruota
il destino delle persone.
Ed io son qui, ancor oggi,
con una profonda pena in fondo al cuore,
dopo oltre cinquant'anni di silente passione,
e rivedo sempre il mio cane,
sballottato dai flutti
con la sua pietra al collo,
laggiù, in fondo al mare,
davanti alla panchina del "Cippo"
sotto la Via Marina.

Cognomi
Riscoprire
ad uno ad uno
i cognomi legati al mio passato
sfogliando il Cd nel mio Computer.
Spaziare all'infinito
inseguendo ricordi e immagini
che se ne stanno ammucchiati
in un angolo di cuore.

Poi dal buio dell'incoscienza
vedere balzarmi innanzi
una girandola di visi sconosciuti,
indefiniti,
senza più contorni.

Visi ch'io ricordo infantili,
dal sorriso pronto
e dall'arguzia
sviluppata dallo stato di bisogno
in cui si viveva.

Ed ora stento ad immaginarli,
come se le rughe
avessero invaso i campi della desolazione
che circondano i loro corpi ormai stanchi
e forse, qualcuno, anche fuori dal tempo.

Corpus Domini
Madonne santissime;
immagine di Cristi
e Crocefissi;
altari ed altarini;
le migliori coperte
ondeggianti ai balconi;
strade colorate
da petali di rose e margherite;
rosai spogli
e prati inariditi;
Suoni di campanelli;
odor d’incenso
e litanie assordanti;
grazie invocate,
e mai concretizzate;
Cappucci e incappucciati:
sfilano le congreghe;
Ceri che scottano
il dorso della mano;
bestemmie soffocate
dentro il cuore
per una spina
che preme sulla fronte;
L’urlo dei gelatai
e odore fresco di torroni
e di mandorle croccanti
dentro il forno.
Poi l’urlo per il cielo colorato
da scoppiettanti fuochi d’artificio
e la notte, tornata dopo poco,
padrona di se stessa
e del silenzio.

Cremazione
Non state a pensare
quale vestito,
quale camicia,
quale cravatta
addosso mi porrete
quando sarò immobile
là, sopra quel letto.

Tanto in un baleno
vi daranno un'urna
piccolina,
con dentro appena, appena,
grigiolina,
un pugno di polvere
e una monetina
che vi siete scordati
in un taschino.

Cristo
Il vento scava
solchi profondi
sui vecchi muri
dell'alto campanile
ogni giorno che passa.
I rossi mattoni
sbriciolano ricordi
sui passanti frettolosi
che non hanno più tempo
neppure per segnarsi.
Erbe e passeri
convivono tranquilli
tra gli embricini rossi
mentre il muschio
regala sprazzi verdi
sui muri.
Le vecchie campane tacciono:
le meste processioni
sono ricordi stantii
che il raro incenso
che sale dall'altare
neppure più scuotono.
Dio è morto tra noi,
sepolto dalla nostra superbia,
per convinzione
di non aver più bisogno di lui.
Scruta il Priore dall’uscio
i giovani abbracciati
sulla sconnessa scalinata,
mentre il Cristo sorride,
inchiodato alla croce,
sulle miserie umane.

Democratia
Nessuno saprà cogliere mai
la realtà che si trasforma,
nessuno fermerà mai gli ignavi,
i pavidi, i vili,
dal rigirare la storia
secondo le loro convenienze.
Fascisti, comunisti, democristiani:
un melodramma utilizzato
come una giacca rivoltata
dai colori cangianti
ma dai bottoni
risistemati poi al solito posto.
Ti rodi di vedere
la frittata volteggiare
nella padella:
un abile cuoco
la riprende a volo
dopo averla fatta roteare più volte.
Ma tu avverti la sconfitta
di veder buttare al macero
gli ideali in cui hai creduto.
Impotente leggi sui giornali,
ieri di Cefis oggi di Berlusconi,
e domani di un nuovo burattinaio di turno,
le notizie impanate ed infarinate
e cucinate a dovere
presentate per soddisfare il gusto
di un esercito di burattini di legno,
capaci di sgambettare e saltare
perché qualcuno li tira dai fili
con maestria professionale.
Ed ognuno ha la sua da raccontare,
la propria rabbia da sfogare,
le proprie ragioni da far valere,
e gli insulti con i quali
ricoprire l’avversario.
E tutti tornano a casa contenti,
la sera,
contenti di aver goduto
il privilegio di una democrazia
che è soltanto apparenza
e mistificazione.

Desy
Desy era una bianca cagna maremmana
nata e cresciuta sempre alla catena
in un recinto, spazzato dalla tramontana,
nella valle del Cervino gelida e serena .
Il suo padrone sovente si scordava
di portargli la zuppa da mangiare
ma lei gioiosa gli scodinzolava
da lontano se lo vedea arrivare.
L'aveva sempre per nulla maltrattata
rifilandogli rabbioso dei calcioni
lei mugolava triste e sconsolata
e lo guardava coi suoi occhi buoni.
Saltava sulla rete vedendolo arrivare
felice di non restar sola quel giorno,
e non smetteva di scodinzolare
anche se le urlava di togliersi di torno.
Ma poi nel cuor suo si domandava:
"Cosa ho fatto? Dove ho mai sbagliato?"
Dai calci del padrone si scansava
ma continuava a far festa a quell'ingrato.
Vuotava in gran fretta la misera scodella,
con gli occhi lucenti e buoni lo guardava,
s'aspettava una carezza, una parola bella,
che neppure per sbaglio mai arrivava.
Smetteva di mangiare ad ogni istante
per correre intorno al suo padrone
sperava restasse, ma quell'ignorante
non la slegava neppure a colazione.
E la scacciava sempre più ringhioso,
ancor peggio d'una bestia feroce
ed agitava quel suo baston nodoso
urlando con tutta la strozza nella voce.
Poi Desy non s'è svegliata più un mattino,
la fame e il freddo insieme avevan vinto,
la scoprì all'alba per caso un contadino
legata al palo, coperta di neve nel recinto.
Resta ora il dolor nel cuore della gente
di chi non ha voluto prima denunciare
le sevizie inferte da un losco delinquente
alla sua bestia che sol sapeva amare.
E Desy avrebbe dato anche la vita
per colui che l'ha fatta morire
lei si sarebbe più che mai intristita
se avesse visto il suo padron soffrire.
Non serve adesso fare altro commento
verso chi un fedele amico ha maltrattato,
bisognerebbe applicar uguale trattamento
per capir le pene che Desy ha sopportato.

Dimmi fratello
Dimmi, fratello,
spiegami
perché i tuoi occhi
mi guardano sconsolati,
mentre le ombre della sera
aleggiano la loro disperazione
sulle miserie umane.
Ho visto i tuoi figli
giocare su un prato
senza più fiori,
un prato un tempo
colorato di bimbi sudati
e inondato dai loro sorrisi,
dove oggi aleggiano solo gli odori
delle carcasse delle auto bruciate
che inviano al cielo
ancora esili tracce di fumo.
E come manifesti strappati
violentemente dai muri,
d'un sol colpo
sono rimasti
solo i segni d'un ricordo
di giorni felici
di sorrisi spezzati
a metà.
Ormai é tardi
per fermare questo carro
che emana un fetore di morte,
che vede gli innocenti
ergersi a giudici
della violenza repressa
nel loro inconscio collettivo.
E’ tardi per comprendere
che la miccia dell'odio,
innescata nelle coscienze
dalla volontà di vendetta,
possa comprendere
il messaggio di misericordia
che viene urlato con forza
attraverso il filo spinato
degli accampamenti.

Diversità
Mi guardo
con gli occhi di un negro,
ti sento diverso
e rido tra me.
Quel viso bianchiccio,
quegli occhi celesti,
quei capelli
lunghi e sbiaditi.

Io rido, rido
ai diversi da me
e penso che il mondo
sia fatto solo per me.

E' lunga la via
E' lunga la via
ma quella del ritorno
infinita.
Come le preghiere
del mattino,
ogni dì
io penso a te.

...E poi il silenzio
Nell'immensità del tempo
il mio spirito
si disintegra
nel nulla.
Venni, rimasi, vado.
Un attimo
che è durato
una eternità.
Volgo lo sguardo indietro:
un passato senza ritorno;
davanti a me:
il vuoto!
Il vuoto di un'ora
che si appresta
a diventare oblio.
Poi, per me,
il tempo
cesserà di esistere.

Ecce homo
La tua voce,
clamante nel deserto,
nessuno più ascolta.

Anche i fratelli
si guardano in cagnesco
e le macerie delle loro lacerazioni
alzano barricate di terrore e di odio.

E tu continui a rinnovare un calvario
che pochi superstiti ripercorrono ancora.

I Tuoi sentieri
non sono più quelli del Signore
ma degli assatanati che sulla disperazione
costruiscono l’impero del Maligno.

Eppure il cuore umano
non può essere insensibile
al grido di dolore
che aleggia oltre i nostri confini;
non può simulare indifferenza
di fronte alla barbarie
che una civiltà evoluta
racchiude nel grembo.

Odo tra i monti
il suono del “Gloria”
d’una chiesetta lontana.

Ma questa Resurrezione,
anche quest’anno,
ha il mantello ancora grondante
di sangue innocente.

Edera amara
Sentire: “Figlio mio!”
Mai, mai l’ascoltai;
udire, appena in un sussurro lieve,
lieve per non svegliarmi,
un vezzo dolce su una culla
che dondola pian piano
al rosolante chiarore di un lumino,
sperso nel buio di un casolare antico,
anch’esso smarrito
tra le pieghe d’una memoria stanca.

“Figlio mio!”, sentir solo una volta,
ricordare un pensiero,
una carezza,
un pianto greve sul mio corpo infermo,
un canto lontan di ninna-nanna
che piano si smorza
mentre m’addormento.

Quante volte sognai d’avere un padre,
le cui premure restassero nel cuore
da custodir come reliquia sacra
e poter dire, davanti a un cimitero,
padre t’amai
ed il tuo amore è qui nella mia mente.

Nulla conservo
se non l’ombra nera
di giorni sepolti per non ricordare,
che rimuovo insieme al mio rimpianto
di non poterti, padre, amare tanto.

Elezioni
Finita la tornata
elettorale.
Volano per le strade
fogli colorati
e sparse idee
che per mesi
hanno invaso piazze e case.
Finiti i crocchi
e il chiacchierio confuso
lungo le vie e le piazze,
vinti e vincitori
commentano e cercano ragione
per i pochi voti raccolti
o per un nuovo eletto
che a sorpresa
ha sconfitto il capolista.
Vecchi tromboni
e tenere trombette
festeggiano
il loro ingresso
nell’arengo regionale.
Oh, che felicità
or che seduti
sugli scranni dorati
hanno di già scordato
programmi e impegni
che riproporranno
con tragica sequenza
alla fine del lustro,
nella convinzione
che il gregge opacizzato
li possa ancor riconfermare.

Eternità
L’amore
è dentro,
calore profondo
che ti sorge
dal cuore
e non vede
il tuo corpo
armai stanco
di rughe
e di mestizia.

Eubea
A volte mi diletto
a sognare quel ceruleo mare
dove riposan le ceneri
dei guerrieri Japigi.

E vedo triremi lente andare,
solcare l'Egeo mare
ed approdare sulle itale coste.

Oh, mia progenie,
padri dei miei padri,
invano lacrime verso
sulla patria lasciata.

I Ciclopi
sommergono di massi
i miei pensieri.

Evanescenze
Sereno,
andare là
dove il dolore
è sconosciuto.
Sperdermi
per gli spazi infiniti
là dove le tristezze
del mondo
sono una dimensione
non misurabile.
Poter navigare
in solitudine
e non temere
il mare in tempesta
o le onde ghermirmi.
Essere solo anima,
solo essenza,
e non dovere più soffrire
per l’indifferenza
che circonda
questa dimora
d’insaziabili prede.

Fantasia
E' facile per te
scagliare le pietre
contro chi non ti capisce,
é facile!
Ma la gente
ti guarda e non ascolta,
la gente
ti ascolta e non capisce,
la gente
ti parla e non s'accorge
del senso della tua rivolta.
Il tuo mondo
é forse un mondo
frutto di sogni e fantasia?
Forse ragionando
o guardando
con gli occhi
della gente comune
potrai comprendere
la realtà che ti circonda
e dare un senso alla tua rivolta.

Felicità
Invano cercherai
d'alleviare il tuo animo stanco.
Ti ritroverai
sempre più vuoto
ed inutile a tutto.
E col passare degli anni
cercherai un qualcosa
che avrai sempre cercato
ma che non appagherà
mai il tuo spirito
e ti lascerà
sempre più vuoto
e più triste.

Fermati e ascolta
Ehi, tu, dove vai?
Voltati e ascolta!

Corri, corri,
ma a che serve?

T’affanni, ogni mattina
e la notte ti tormenti
pensando all’affanno
del giorno che arriva.

Ma che fai?

Alzi muri,
ti chiudi in scatolette
che volan sull’asfalto
e lascian dietro
scie nere di fumo.

Ti tormenti
perché l’orto del vicino
è più verde.
Sprechi concime
ed acqua
perché i tuoi frutti
siano grossi
e abbondanti.

Lo specchio ti lusinga,
riflette un gran signore
ricco d’abiti
e con le dita anellate.

Hai afferrato il mondo tra le mani.

Poi una tempesta
avvolge il tuo mondo
e l’acqua in un momento
spazza via ogni cosa!

Ora è la fine:
fermati e ascolta!

Fine millennio
Scorrono i mesi,
ormai son pochi giorni,
e un un nuovo millennio s'avvicina.

L'Anti Cristo è alle porte?

L'ultimo secolo
è stato portatori di guerre,
di stragi e di deportazioni,
ma ha portato anche valori
e l'idealità ha spazzato via
gli egoismi più gretti,
ha sancito il trionfo
delle lotte di classe
e la nascita della solidarietà.

Ora il millennio s'allontana
e con se porta via
tutte le idealità, tutti i valori.

La storia del secolo sprofonda
nella grettezza dei profitti
che si realizzano nel segno
d'una globalizzazione
che ignora ogni diritto.

Tramontano le classi
e la solidarietà.

La marea livellatrice sale
ed acutizza le barriere di classe:
l'insicurezza affoga
ogni speranza del vivere civile.

Ed il nuovo millennio che s'affaccia alla finestra
butta in strada la semenza dell'odio
che attecchirà
sul terreno fertile dell'egoismo umano.

Gambero zoppo
Queste mie contraddizioni
mi opprimono.

Sentimento e realtà,
come una medicina
che serve a far guarire
tutti i mali del corpo
e della mente.

Mi sveglio al mattino
e vedo gli sfruttati del mondo
e vorrei poter trasformare,
senza guerre o violenze,
le miserie in ricchezza.

E come un mago potente
sogno di eliminare
le ingiustizie ed i soprusi
solo ruotando la mano
quasi ad allontanare dalla vista
le realtà sgradevoli
che inondano questa misera terra.

Ma il risveglio è lontano!

E resto impotente
con le mie oppressioni
e con l’ansia nel cuore.

Il bello e il brutto
Sforzati di guardare
la gente
con i falsi messaggi
che i mass-media diffondono.
Visi ricostruiti
e corpi modellati
dai ferri degli estetisti.
Guarda oltre la maschera
dei modelli imposti.
Corpi informi
e con intelligenze vive;
occhi sgraziati
ma che sanno guardare
con intensità il mondo
per trasmettere immagini
di bellezza e d’amore
e non languidi sguardi
che si esauriscono
nell’agonia di una sera.
Il bello, il brutto,
il grasso, il magro.
Stereotipi imposti
da falsi profeti
che hanno impoverito
e offuscato
la coscienza del mondo.

Il diritto delle bestie
Ondeggiando come una barca in mare
si disperdono goffamente nel recinto.
Anatre, oche, delle paperine
e dietro ruspando le galline.
Li guardo,
e resto pensieroso
immaginando la fine che faranno.
Or sono gioiose, grattano,
beccheggiano tra l’erba,
s’inseguono
e si lascian carezzare
dal sole che biancheggia
il bel piumato dai colori vivi.
Lo so, domani,
o forse sol fra qualche mese,
il giorno non vedranno rispuntare
e le compagne invano,
per l’orto le andranno a ricercare.
Ma penso ancora,
e tristemente aggiungo,
alla povera esistenza
dei pennuti negli allevamenti.
Pigiati,
con le gambe anchilosate,
nutrite con mangimi artificiali,
ingrassati con metodi malsani,
senza vedere il sole,
senza poter gioire
per una corsa in libertà
in mezzo all’erba e ai fiori,
senza poter gustare
un chicco naturale di granturco,
o assaporare il gusto
di vermi e moscerini
raspando in libertà
fuori da quei confini.
E godo nel pensar
che le galline
che vedo correre al sole
in mezzo al campo
hanno una loro vita,
sicuramente breve,
ma almeno rispettosa
delle regole che detta la natura
e dei diritti che agli animal si deve.

Il glicine
Abbracciato a un cancello
allungava i suoi rami nodosi
fino al balcone
d’una bimba che un tempo
avevo amato in silenzio.
Triste d’inverno e spoglio
se ne restava avvilito,
quasi mortificato
di non regalare neppure una carezza
ai passanti infreddoliti.
Ma a primavera
s’allargava ad un sorriso gioioso
ed indossava un vestito
di tenere foglie
d’un verde speranza.
Poi i suoi grappoli violacei
regalavano fresche visioni alla vista
e dolci profumi spargevano per l’aria
ingentilendo una stradina
povera e triste.
E, sotto il suo pergolato,
occhi di sole e languidi pensieri
disperdevo in silenzio
tra le nubi, che frettolose
si rincorrevano sul cielo
incuranti delle mie passioni.
Poi un dì lo lasciai!
E i suoi odori e la frescura
forse ad altri regala.
Ma ogni tanto ritorno a ritrovarlo:
complice ammicca e mi sorride,
da lontano,
ed il vecchio saluto mi ripete.

Il trenino di Pracchia
Un tratto di tranvia
è rimasto,
non è andato via.
Ondeggia,
sbanda,
rotola,
sbraita,
si ferma:
avanti e indietro,
con monotonia.
Quel pezzo di rotaia
affiora dal selciato
luccica sotto il sole:
rifiuta
d’andar via.

Il vecchio muro
Tutto l’inverno
é rimasto pensieroso
con i sassi
che si sfaldavano
e s’ammucchiavano
svogliatamente ai suoi piedi.
Calcinacci e rovine,
silenzio e muschio insecchito.
Ora le lucertole
l’accarezzano
e le rose inorgoglite
le folte chiome hanno poggiato
nascondendo i dirupi.
Sorridono guardando la strada
e regalano sorrisi colorati ai passanti:
giallo, rosso, bianco, turchino.
Lui corteggia la gente,
s’inghirlanda
sorride
si pavoneggia.
Ecco ora è tornato felice.
le sue piaghe sono guarite,
coperte da armoniosi colori,
baciati dal sole.

Impotenza
Io me ne sto davanti al mio P.C.,
me ne sto le mani tra le mani:
scrivo parole su uno schermo muto
la mia coscienza penso di chetare.

Me ne sto le mani tra le mani,
penso e in silenzio m’arrovello,
mi sembra di trovare soluzioni
a scrivere inutili versi di facciata.

Forse è da preferir la lotta in campo,
morire, sì, forse anche morire
e non concluder nulla,
provare di rivoltar le carte
aggiungendo nuova violenza
alla violenza amara.

Poi vedere le mie ossa al sole,
i cani e i corvi a guazzarci sopra,
i vermi completare
il corso naturale
della vita.

Ed avere, infine, chiara sensazione
che anche questo inutile sacrificio
lascia le cose là dov’eran prima;
nulla è cambiato, nulla trasformato:
solo è cambiata la natura umana
e in peggio:
nuovo odio, altre nuove vendette
e morte e nuova morte,
e nuova gente in fuga, disperata,
nuovo sangue che scorre,
sangue nuovo che non disseta alcuno:
la fonte si asciuga
e si alimenta ognor
con nuovo sangue
di popoli innocenti!

Indifferentemente
Indifferentemente
colpiscono gli obiettivi militari.
Una nuvoletta s'alza
al centro dello schermo:
obiettivo centrato.
E noi siamo qui,
indifferentemente,
a guardare
le bombe giù cadere.
E si finge d'essere
al computer a giocare
senza però pensare
che sotto quella nuvoletta
delle vite innocenti,
sono stati maciullati
in nome della libertà dei Kosovari.

Interrogativo
Io di qua,
tu di là,
mio, mio, mio, mà.
Tu mi guardi,
io ti guardo,
mio, mio, mio, mà.
Non mi temi,
io ci penso.
Vuoi qualcosa
che non ho.
I tuo occhi
sono chiari,
sono dolci,
tu mi guardi
e non mi temi.
Io ci penso.
Ma perché io sono umano
e tu sei soltanto un gatto?
E se fossi io quel gatto
e quest’uomo fossi tu?
Io di qua,
tu di là.
Tu mi guardi e non comprendi.
io ti guardo pensieroso
e mi chiedo tante cose,
mi domando stranamente
tutto il senso della vita,
e mi chiedo: rinascendo
sarò forse un bel gattino,
coccolato e ben nutrito,
o una triste bestiolina
che fa i salti ogni mattina
per colmare i suoi digiuni,
o sanare i suoi dolori?

Io solo?
Se quell’utero
Non si fosse dilatato
Al momento giusto
Un poeta non sarebbe
Mai nato.

Oh, vita!
Oh, languida gioia d’una aurora
Che sbiadisce la notte!
Oh, tremore inconsulto
Dell’ombra che arriva
E nasconde il colore dei fiori!

Il nulla!

L’informe!

I richiami degli uccelli notturni!

Il frusciare misterioso
Delle frasche nel bosco!

Oh, vita! Oh, amore!
Oh, gioia
Per il giorno che torna,
per il sole nuovo che scalda la terra:
che illumina i suoi orrori,
le sue miserie,
le sue violenze.

Ed io qui, solo.
Che vedo e che sento!

Io solo?

La carezza del vento
Ho provato
tante volte
ad ascoltare
il chiacchierio confuso
dei platani
nelle giornate di vento.
Il fruscio delle foglie appare
come un’onda impetuosa
che sbriciola preghiere confuse.
Quello dei platani,
invece,
è un mormorio dolcissimo
che invita
al riposo e all’oblio.
L’urlo delle querce
sembra l’imprecare possente
dei condannati
che scuotono con violenza
ceppi e catene.
Solo i pini
lasciano filtrare con dolcezza
il vento tra i rami,
coperti di muschi e licheni.
Loro mi regalano frazioni di silenzio
ed invitano alla pace interiore.
Per questo io li amo
con tutta l’intensità del mio cuore.

La guerra giusta
Indifferenti
guardiamo le bombe cadere,
ieri sull'Iraq
oggi sulla Jugoslavia,
domani
non ha importanza.
E' una guerra giusta,
si dice
e tutti annuiscono.
Ma i poveri
non fanno guerra a nessuno,
loro lottano ogni giorno
per la sopravvivenza
ed hanno tempo
per pensare solo a se stessi.
Ma noi non possiamo
andar contro corrente
e dire
che ogni guerra è ingiusta;
torna comodo a tanti
che le bombe della Nato
continuino a cadere
per poter poi ricostruire
e dimostrare al mondo,
con le missioni umanitarie
e le crocerossine a fasciar ferite,
la nostra vocazione solidale.

La Morte
Anima passeggera,
t’aggiri
per i vicoli stretti,
dove il sole
filtra solo a mezzogiorno
e muore alle tre.

T’aggiri
sfiorando le basse finestre,
che sbriciolano
rumori di piatti e posate
e chiacchierio confuso
di bambini
e urla di donne.

T’aggiri
tra il tanfo
di stallatico
e l’odore di muffe
che salgono
dalle cantine ormai vuote.

T’aggiri
in silenzio
per non turbare
l’operar della morte
che raccoglie qua e là
i cocci della vita
ch’essa rompe e non paga.

La ricchezza
Per una vita sognai
di ritornare da dove son partito
pieno d'oro e monili.

Ritrovare con i soldi
i vecchi amici,
tutti i miei parenti
e l'affetto
di tanta gente
che non ricordo più.

E, invece, sono tornato
più povero di prima,
ma con nel cuore
le mie ricchezze antiche
che non ho mai perduto:
L'amore per la terra mia natia
e i miei ricordi
che valgono un tesoro.

La tastiera
Non riesco a capire
perché a volte le parole
sgorgano come un fiume
e riempiono i fogli
con sentimenti e pensieri
che si formano
picchiando veloci due indici
sulla tastiera.
E guardo spesso le dita
spostarsi rapidamente
sulle singole lettere,
ad una velocità incredibile
e sembra che il cervello
sia tutto lì,
in punta ai polpastrelli
che spesso restano in sospeso,
in aria,
quasi a ricercar nuove emozioni.
E quando la vena s’esaurisce
me ne resto con le mani
avvinte alla tastiera
e l’accarezzo
quasi a farmi suggerire
nuove e dolci parole.

L'Ammucchiata
Dio, che confusione
per uno della mia generazione
abituato a sentire il vescovo tuonare
dal pulpito contro le sinistre.
Dio chi ci capisce nulla
a sentire Cuccia
che oggi benedice
la scalata che già s'è consumata
dell'Olivetti ai telefoni di stato.
Dio senza speranza
con la sinistra
che flirta con il capitale,
con D'Alema
che riceve i complimenti
dal Presidente degli Stati Uniti
perché sta zitto
ai suoi bombardamenti.
Dio tu che mi dici
ora che non posso dissentire
e devo solamente
pregare, pagare
e stare zitto
se non ho da lavorare?

Uno qualunque
Confuso tra la folla,
seduto ad un caffè,
per strada con gli amici
a casa con i parenti.

Se parla, tu l’ascolti,
come faresti abitualmente
e spesso non fai caso a tutto quel che dice.
Lui brontola, critica, impreca,
urla, borbotta,
come tutta la gente.

Tu guardi all’orizzonte,
le barche in mezzo al mare,
un fiore sopra un prato,
il sole che tramonta.

Tu guardi solo:
e non ci fai mai caso
se il sol gioca con l’onda
e in mar si fa cullare,
se un tramonto indora il colle,
colora la campagna,
se con il cielo si confonde
e a volte s’accompagna.

Tu guardi il prato coi suoi fiori,
ma lui di mille luci li avvampa,
di variopinti colori li ricama,
con lor s’abbraccia
e del loro vibrare si commuove,
spesso s’intenerisce.

Tu ascolti il parlar confuso della gente,
lui intreccia parole e li dipinge
con le dolci visioni
che la natura a secchi ci regala.

Tu continui a guardare:
lui osserva pensoso una miseria umana
e la descrive
con le parole che il cuor gli suggerisce,
ti scava dentro e scopre
le verità nascoste
e te li fa vedere nude e chiare
e poi ti impensierisce.

Tu discorri,
lui ci fa pensare
sulla nostra onestà intellettuale,
sulle nostre miserie,
sugli egoismi che stentano a morire,
sulle nostre grettezze
poco ostentate ma pronte ad affiorare
come una muffa
su un vecchio muro che non vuol morire.

Ecco il poeta:
se l’incontri per strada
guarda fisso i suoi occhi:
potrai leggere nel fondo del suo cuore
tutte le verità che certamente
anche tu hai nel petto addormentate,
e che lui, con semplice parole,
d’un colpo solo le ha tutte risvegliate.

Un gatto randagio
Quella sera ricordo!
T'ho visto per l'ultima volta
in fondo alle scale:
Invano!
La forza a salirle ormai ti mancava,
stentavi a reggere ritte le zampe
ed il petto per terra poggiavi
sconfitto.
Del pane imbevuto nel latte
ti porsi.
Tu, quasi sfinito,
annusasti la bianca scodella
piegato sul pasto
che non sei riuscito
neppure a leccare.
Uno strano lamento
ancora uscì dal tuo petto:
cercavi forse di dirmi qualcosa,
chiedendo di certo aiuto e conforto,
oppure una sola carezza,
che per un sorta di strano ribrezzo
neppure ti diedi.
Invano cercai di farti mangiare qualcosa
per darti un poco di forza
e intanto guardavo i tuoi occhi
che ormai sembravano spenti.
Soffrivo in silenzio,
non sapevo cosa più fare:
mi sentivo impotente!
Poi lento ti vidi sparire,
nel vicolo pieno di luce
all’angolo dell’ultima casa.

Ti trovarono morto nel prato,
il mattino seguente,
disteso sull’erba e sui fiori,
sotto un salice dai rami cadenti.
E pensai alle ultime ore,
rantolante da solo e sperduto,
con le forze che scemavano lente
di sicuro in cerca d’aiuto,
mentre gli occhi chiudevi alla vita
e sul prato regnava la notte.

Ancor oggi (con tanta tristezza)
ogni tanto ti penso
e ricordo le fusa donate
ed il tuo miagolare alla porta
a pretendere un pasto serale
insieme ad una lieve carezza
che accettavi con gioia
senza avere timore.
Pur essendo randagio e selvaggio
di me non avevi paura,
a me donavi una fetta d’amore.

Le estati passate
Davanti alla porta del tempo,
rivedere le mie estati passate
nei carruggi intento a giocare,
quando le folli erano solo pensieri,
legati alle sagre del pesce
e al frastuono assordante
delle campane lontane.
Ricordo solo le barche,
tante davvero,
che tutta la notte vagavano lente
come lucciole bianche sul mare,
e, all'alba, l'odore del pesce,
esposto sul molo,
frammisto al sudore acido dei pescatori,
e l'urlio scomposto dei sensali al lavoro.
E, poi, quasi nulla:
il passo felpato delle donne,
per i vicoli silenziosi,
per non turbare
il sonno dei loro uomini;
l'acre odore del fumo
che scivolava sui muri,
qualcuno, ancor oggi,
coi segni neri di un tempo;
le reti spiegate al sole ad asciugare,
che ingombravano una spiaggia quasi deserta;
il canto lontano dei garzoni
attorno alle barche tirate sull'arenile,
invaso solo da cesti
e remi distesi come stanchi giganti assopiti;
il fruscio indolente dell'onda
che scivola ancor oggi sulle rocce del molo
e gorgoglia tra le gore,
formicolanti sempre di bimbi vocianti
alla ricerca di granchi e molluschi.
E, poi, davvero più nulla:
solo un tiepido sole,
che accarezzava il giorno morente,
e la spiaggia di nuovo affollata
di pescatori che prendevano il mare.

Lei dava l’amore
Lei dava l’amore,
lo regalava
a secchi, a panieri.
Bastava un momento
e provar ti faceva
gioie e piaceri
al corpo e alla mente.
Lei non sapeva
cosa fosse il rancore,
rideva,
e gioiva per nulla.
Non sapeva cosa fosse
l’inganno,
sperava, credeva
ad un mondo sincero.
E lei restò sola,
con l’affanno
ed un figlio.
Ma dentro il suo cuore
non seppe mai odiare.
Perché lei dava l’amore
lo regalava
a secchi, a panieri.

Leopardi
T'amai, Leopardi,
amai i versi tuoi,
sapessi quante volte
solo pei campi in te mi ritrovai.

Anche io sognai,
dal colle d'infinito,
sperdermi in mezzo ai campi e la natura.

Eppur t'odiai.

T'odiai quando quel giorno
(ultimo di liceo)
mi scontrai con un docente d'italiano.

"Filosofo", disse,
"disgraziato", aggiunsi.
Ne seguì una lunga discussione
che mi costò la prima bocciatura
nella lingua italiana a me sì cara.

Non cambiai mai parere
fin d'allora.

Non per una sorta
di sterile contraddizione.
Io ritenevo che se la natura
t'avesse fornito adoniche bellezze,
forse non avresti mai composto
né "Il passero solitario"
e neppure "La quiete dopo la tempesta".

Rimpianti
Com’è buffa la vita!
Come strane son le persone,
a volte.
Per tanto tempo
vivi sotto lo stesso tetto
con altri tuoi congiunti
e mai pensi all’affetto.
Liti stupide per futili motivi,
rimbrotti per decisioni prese,
forse avventate,
forse non meditate,
ma necessarie per crescere.
Rancori per banalità
mai valutate fino in fondo.
E l’affetto, che è dentro,
lo dai per scontato
e non gli dai la giusta importanza,
il suo reale valore,
e lo trattieni ed imprigioni
in un angolo di cuore
privandolo dell’aria necessaria
per farlo risplendere.
Poi la morte arriva,
spazza la felicità d’una famiglia
e fa sorgere i primi rimorsi.
E ti rammarichi
di non aver distribuito per tempo
un sorriso in più
a chi ti stava vicino
e, forse, soffriva per te,
o per le tue tristi parole
che l’avevano mortificato
ed offeso.
Ora ti resta il rimpianto nel cuore,
la disperazione
di aver sottratto i tuoi sentimenti
al piacere d’una madre affettuosa,
d’una sorella affezionata.
Ma ormai è tardi:
il tuo rimorso è lo schiaffo
che il tempo ti regala
per la tua superbia.

Un vento gentile
Un vento gentile,
stamani,
mi accarezza la pelle.
Ricorda giornate ormai andate,
lenzuola imbiancate
ondeggianti ai veroni,
capelli arruffati
e sapore di mare
all’ombra di barche
e di scarne capanne
costruite alla buona,
con stracci e con canne.
Ricorda voci a me care
di amici e parenti,
ormai andate,
di gioie finite
e mai più riprovate,
di sogni spezzati.

Giunge lieve dal piano,
tra urla e calori,
e regala un momento di pace,
un gioioso frullare di ali
ed un canto sereno
tra i rami
di un merlo appagato.

Le foglie morte
L’autunno ritorna:
ancora una volta mi fa compagnia,
per via;
mi regala una nuova stagione,
che conto ed archivio
come un vecchio banchiere distratto,
che si sente già ricco
per tutto il tempo passato,
arraffato.
E’ andata, mi dico,
un’altra stagione ho vissuto
(e sono già tante,
ma poche a pensarci).
Una foglia che penzola,
sola,
da un ramo già scarno
e privo dei freschi colori
che solo la bella stagione regala.
Penzola, balla,
ondeggia come un bimbo
che volteggia, aggrappato alla fune
d’un dondolo
appeso ad un ramo ormai spoglio.
E tant’altre foglie s’aggrappano,
marce, sull’erba del prato,
o cercano, invano, un varco
per uscire dalla siepe
che li abbraccia e trattiene.
Ed anch’io mi sento una foglia
che muore, dopo esser rinata
ad ogni nuova stagione,
e mi chiedo il senso di questo cammino
un po’ strano,
di questa stagione che chiude i cancelli
e poi si rinnova
e, ch’io spero, di poter ritrovare,
per via,
ancora in mia compagnia.

Barbari
Grazie TV di stato,
grazie per l’educativa informazione
che ogni giorno mi dai!
Anche oggi grazie per le immagini crudeli
che m’hai voluto ancora regalare
mentre sto consumando
questo mio pasto frugale.
Grazie, ma ho già finito,
ché il cibo nel piatto ho abbandonato
perché diventa difficile pranzare
quando mi fai vedere le brutture
e tanti animali indifesi e segregati,
in anguste e luride gabbiette imprigionati,
in coppia o a quartine accartocciati,
che mi guardano un po’ terrorizzati
con quei tuoi primi piani irriguardosi,
con quell’ondeggiare dei corpi rattrappiti,
con quegli occhietti tristi e intimoriti,
con quelle mamme che allattano i piccini
(ignari della sorte già assegnata),
che li abbracciano con protezione e affanno
non appena un proiettor s’affaccia
a illuminare il buio d’una prigione
sporca, opprimente, indegna e inospitale.
Ecco oggi la SARS,
domani un nuovo acciacco,
causato da un modo d’allevare folle,
gestito da barbari incivili,
legati agli interessi ed al profitto.
Barbari, che non conoscono ragioni,
che s’accaniscono con tanta crudeltà
su dei figli di un Dio crudele
che pigramente assiste e che dimostra
la sua vera natura irrazionale,
che da ragione a chi dubbi non ha,
ché in cielo non albergano speranze
ma solo sogni gestiti da congreghe
che canticchiano inutili orazioni
che il maligno non riescono a scalfire.
Grazie TV perché ci fai capire
l’impotenza della brava gente
a cambiar questo mondo imbarbarito,
a sconfiggere gli stati ed i governi
e chi assassina con tanta indifferenza
la natura e gli esseri indifesi
e reprimono chi vuole lottare
per un mondo migliore da costruire.

Pagine
Pagine appoggiate sullo schermo,
lette frettolosamente,
commentate nel silenzio del cuore.
Parole che scorrono
e pungono l’animo,
bagnano gli occhi,
salsedine in gola
e respiri lenti.

Si scruta tra le righe
per misurare le verità non dette,
i pensieri inespressi,
i sentimenti celati.

Qua e là qualche segnale
che aiuta il lettore a scoprire
le gioie ed i dolori
di chi lancia i messaggi
nel mare del web
quasi a turbare,
a far pensare,
ad impensierire,
a far sognare.

E nel silenzio della notte
turbinano i pensieri
e volano, e sognano,
e s’inebriano
di parole e di voci
che sembra svolazzino
su uno schermo colorato
che riesce a trasmettere
anche emozioni.

L’esperienza
Invecchiando si diventa più bambini
si ritorna piano piano nel passato,
molli biscotti e dolcissimi budini,
fette di pane con tanto cioccolato.
Strana è la vita: con tanta pazienza
lavori sodo e maturi la pensione;
pensi: “forse la mia esperienza
potrà servire a tante altre persone”.
Come t’inganni! Coloro che hai attorno
non gliene frega proprio un accidente;
tu pensa a far passare un altro giorno,
a quel che ascolti rimani indifferente.
Se provi ad accennar mezza parola,
pensando che il tuo dir qualcosa vale,
potrebbe un nodo stringerti alla gola
se quel che dici viene inteso male.
Strano è il concetto di maturità,
ognun le cose vuol sbrogliar da solo,
ma se poi sbaglia non aver pietà,
non provare ad entrar nell’altrui ruolo.
Non lo sapevi? L’esperienza che tu
hai accumulato in oltre sessant’anni
equivale, si fa per dir, su e giù,
alla somma di due che han trent’anni.
Questo non l’avevi mai sentito prima?
Mi sembra che non l’hai ancor capito,
eppure hai tante doti, sei una cima,
ma d’imparar non hai ancor finito.
Prova a lasciare scorrere ogni fiume
dritto e veloce verso la sua foce;
che anneghi colui che senza lume
cammina al buio e ignora la tua voce.
Ché se aiuto invoca, poi, quando le cose
volgono al peggio, tu non ti immischiare!
Vai nel giardino e le tue bianche rose
pota tranquillo o fingi di innaffiare.
Se poi lo vedi sotto l’acqua andare
lascialo bere felice in abbondanza,
e se ti sembra che stenta a galleggiare
fallo annegare nella sua sostanza.
Perché sbattendo la testa contro il muro,
forse qualcosa imparerà con la fanciulla,
e se il cervello gli resterà ancor duro
non ti crucciar perché non perdi nulla.

Liberazione
A volte mi strapperei il cuore
e lo butterei tra i rovi
per non avvertire più
sensazioni spiacevoli
o dolori strazianti
che nessuna medicina
potrà mai curare o lenire.

Butterei anche l’anima
nello spazio
per farla veleggiare
come un deltaplano
tra le nuvole
e farla disperdere
con le correnti ascensionali
per l’eternità.

Ma vivo solo di sogni!

M’accorgo che solo la mente
strappa attimi di liberazione
alle mia opprimente realtà,
che vivo come un prigioniero
stanco di vedere il cielo
da dietro le sbarre
d’una dorata prigione.

La mia libertà
Dalle nevi eterne
delle mie montagne
alla pianura brulla,
dipinta di nebbia
e di guazzo.
Poi, dal nero delle gallerie,
là, in fondo,
il mare azzurro,
appena ondeggiante,
argentato dal sole.
Sogno,
dai finestrini chiusi,
la mia libertà agognata;
libertà di tuffarmi,
dalla mia panchina
ormai in rovina,
in un mare di spensieratezza
che non ricordo più.
Vedo i pescatori
remare,
tirare le reti senza pesci
cosparse d'alghe marine
e di bitume.
Gabbiani silenziosi
aleggiano
sui vuoti della disperazione,
fantasmi bianchi
che stridono le loro catene
sulle spiagge ormai insanguinate
dal petrolio.
Con uno stecco
scrosto dalle scarpe
il catrame rappreso;
m'insapono con rabbia
per pulirmi
le unghie di mogano.
Laggiù in fondo
gli strilli di un bambino,
un cane che abbaia,
il rumore di un'onda
che s'infrange
sulla nera scogliera.
E del mio mare
rimane solo la scritta
sui muri della mia scuola:
E' FINITA.

L’onorevole
Alla gente non gli importa nulla di me,
pensa ai suoi affari.
Tanti amici ad un tratto,
tutti premurosi e cortesi,
qualcuno mi fa anche i regali.
“Ad Armando con simpatia”
scrive sopra i pacchetti
e firma con nomi
ch’io neppure conosco.

Viene ai convegni:
sottovoce parla al vicino,
sempre,
e non smette un momento,
poi sente gli applausi
e plaude anche lui,
alzandosi in piedi,
esultando di gioia.

Son tanti,
tanta gente
che approva il mio agire,
sempre,
senza nulla capire.

Ed io mi sento da solo,
solo di dire e di fare,
certo di non potere sbagliare,
perché la gente mi segue,
mi stende la mano
e vuole un saluto.

Son convinti di essere forti,
a starmi vicino,
ad essermi amici,
di contare anche loro
presso altre persone
e dire felici:
“Anch’io lo conosco,
anch’io gli ho parlato,
la mano gli ho dato”.

Ed io vado avanti,
sicuro, almeno mi sembra,
convinto di tanto sostegno,
ma dentro,
dentro, lo avverto,
tanto solo mi sento.

Sogno
Un’auto sfreccia veloce,
corre verso l’ignoto.
Una brusca frenata
e un salto su un vecchio veliero,
a motore, rivestito di pelle,
che sfiora un mare adombrato,
affiancato a una strada
d’un vecchio borgo
ormai abbandonato.
Ed un grande maniero,
che tetro aleggia e copre la scena
ammantata di ombre e mistero.
Un gruppetto di gente che osserva:
ed io chiedo, ad un tratto:
- di quale nazione mai siete? -
Mi risponde un biondino slanciato,
con un certo italiano sforzato:
- Europa -
e mi sento commosso
pensando al tempo passato.
Attorno qualcuno che veglia
seduto su vecchi gradini;
in fondo i resti di case
ormai vuote, sventrate,
disegnano il cielo
con tratti sconnessi,
incomposti.
Poi un prato sassoso,
e un cane che sbuca
da un masso,
un vecchio collare un po’ liso
gli stringe un collo insecchito;
le orecchie piegate all’indietro,
gli occhi suoi buoni,
le costole ricamano
un corpo affamato.
Scodinzola e guarda:
s’aspetta qualcosa,
anche un tozzo di pane, raffermo.
Una piaga ricama la schiena
e un insetto sembra entrargli nel corpo.
Gli regalo una lieve carezza.
Mi sveglio!
Quel cane mi brilla negli occhi!
Lo penso, lo cerco,
poi vedo il mio cane
che russa tranquillo,
pasciuto, accudito, servito.
E una pena profonda m’assale
pensando a quel cane,
che sembra guardarmi, dal buio,
con gli occhi suoi buoni,
che aspetta ancora qualcosa.

Il barbone
Sai, fratello, t'ho visto l'altra sera!
T'ho visto, appena giunto alla stazione,
con un trancio di pizza e qualche pera,
con le tue cianfrusaglie e col cartone.

           Ti ho osservato aggirarti lentamente
            in cerca d'un posto un po' al riparo
            dal gelo, un po' nascosto dalla gente,
            per mandar giù qualche boccone amaro.

T'ho guardato in silenzio, con pietà,
ed ho provato a entrare nei tuoi panni,
cercando intorno un po' di umanità
qualcuno che mi strappasse dagli affanni.

            Ho trovato l'indifferenza più assoluta
            di tanta gente, che non volea capire,
            gente che al mio patir restava muta,
            quasi annoiata, senza intervenire.

Solo la strada avevo a fianco a me:
la strada che talvolta è più accogliente
e non ti lascia solo, anche perché
abbraccia nel suo grembo tanta gente

            d'ogni razza e d'ogni condizione,
             non chiede mai a nessuno il passaporto
             non guarda il ceto sociale o la nazione,
             non ride se sei brutto o se sei corto.

Forse domani ti troveran stecchito,
disteso su una panca o sotto un ponte,
oggi per te nessuno ha mosso un dito,
e pur 'io che t'ho avuto di fronte

             seduto a terra, là nella stazione,
             non t'ho allungato neppure mille lire
             e son passato anch'io con distrazione,
             fingendo di non vedere e non sentire.

Ceneri fredde
Pigro,
osservo le nubi che si rincorrono
nel cielo.
Come un bimbo scherzoso
disegno con la mano
visi di giganti minacciosi,
maschere di streghe e di maghi,
goffi elefanti che si sciolgono
e si ricompongono
come disegni di un carosello TV.

Sempre uguale,
sempre eterno fanciullo.
E dentro il mio petto
s’agitano i fantasmi
di rivoluzioni incompiute,
di libertà negate,
di uguaglianze infrante
sulle soglie degli egoismi
che riaffiorano dalle ceneri
di un fuoco antico,
ormai spento.

Invano urlo la mia rabbia al vento:
le mie parole rimbalzano
sulle porte chiuse
di solidarietà ormai dimenticate,
cancellate dal tempo,
e l’unica finestra aperta
emana solo una debole luce
insufficiente a rischiarare la stanza buia
delle nostre coscienze addormentate.

IRAK: Dio cosa fai?
Io ti prego Dio, ma cosa fai?
Tu non ascolti il grido mio innocente,
non so se con gli americani stai
con quelli che bombardano la gente,

che non guardano in faccia mai nessuno
che fan la gioia di Satana all'inferno
con l'odio che non risparmia alcuno
proprio alla vigilia dell'inverno,

a pochi giorni dalla nascita del Cristo
in questa terra senza più calore
dove ogni cuore è diventato tristo
che vede solo l'odio e non l'amore.

Fermali, mio Signore, ferma la guerra,
infondi nei cuor la fratellanza,
fai sì ch'ogni rancore cessi in terra,
che trionfi nei cuori la speranza.

Ch'ognun non veda nell'altro l'avversario,
che si divida fra tutti questo pane,
che finisca in fretta il gran calvario
causato dalle incursioni americane

a un popolo, che già vive di stenti,
che ha bisogno almen d'un po' di pace
per superare i mille patimenti
causati da un popolo vorace

che con la scusa di salvare il mondo
dalle bombe pieni di battéri
sta scatenando in terra il finimondo
distraendoci dai problemi veri

che son sempre gli stessi da una vita
e significano solo che il più forte
vuol tenersi tutto il potere tra le dita
imponendo la sua pace con la morte.
(18.12.1998)

Mezzogiorno
Attorno a te il silenzio,
mentre una bolgia di rumori
ti avvolge.
Le tue piaghe sanguinano sempre più,
mentre i monti si sfasciano,
sprofondano a valle,
e i tuoi villaggi si sgretolano
per i terremoti.

Rovine intorno a te e silenzio;
silenzio rotto dal riso della gente
e dall'indifferenza
intorno alle tue valigie di cartone.

Mentre le Casse non bastano mai,
diventano "abissi per il Mezzogiorno",
ed i villaggi si svuotano
delle forze migliori,
si trasformano in tombe di vecchi,
nidi di bambini,
uomini precocemente cresciuti,
e pronti a spiccare il volo,
sale d'attesa di vedove bianche
senza sesso.

Appare anche oziosa
la visita d'un Presidente,
attorniato da becchini di stato
in livrea nera,
dal viso mesto ma dal cuore d'avvoltoio,
pronti a scarnare ogni nuovo cadavere
d'investimento.

Piango con Levi su questo mondo
senza più storia e Stato,
dove l'antica civiltà
è un simulacro
che onora solo la morte.

10 Agosto 1993
A oriente nulla di nuovo,
scruto nel cielo una scia luminosa che non arriva;
la mia speranza è tutta lì.
Credo nei messaggi che i mass media diffondono:
spero almeno che si avverino.
Nel mio cuore una speranza
lanciata attraverso gli spazi infiniti,
affidati ad una stella cadente che non si vede.
Ho espresso già il mio desiderio ed è quasi l'una,
ma nessuna cometa
traccia nel cielo quella scia di speranza
alla quale ho affidato un amore impossibile.
Sento quasi l'eco di una mitraglia
che sfiora i sogni della gente
assonnati sulla conca di Pila.
Tutti sperano che i loro sogni si avverino.
I soldi servono, si, ma che m'importa
se all'improvviso i Gardini
scoprono di essere poveri?
Forse la mia pensione basta anche per altri,
che vivono sotto i ponti e dormono,
mentre io aspetto le stelle cadere.
Anch'essi hanno in cuore la pace:
sognano spezzatino e polenta.
Ed io penso a quelli di Bosnia
che rischian la pelle per una scodella di acqua.
Che strano mondo è codesto,
che già m'ha donato dieci lustri e cinque anni,
una guerra vissuta e tante altre godute in TV,
che se non arriva corrente non servirà più.

Primo ottobre
Quant'acqua è già passata sotto i ponti,
quanta neve è caduta sopra i monti?

Quante rondini son volate verso il mare,
quante lacrime di bimbi e di scolare?

Primo ottobre: il tempo come vola!
Iniziava in questo dì la scuola

una volta; e col pensiero stanco
risento il primo pianto su quel banco

ed il maestro, con quei suoi occhialetti
che sulla guancia mi dava dei buffetti

sussurrando parole per me strane
che non ricordo tanto son lontane.

Or mi rivedo ancora in un bambino
che mi passa piangendo da vicino,

col grembiulino nero e la cartella,
tirato a peso da una sua sorella

pestando i piedi come un disperato
come se stesse andando carcerato.

Lo guardo triste con il cuore in gola,
come quel primo mio giorno di scuola.

A mia madre
Sentivo i tuoi passi
colpire lieve l'asfalto
e risuonare nella strada
come i rintocchi lente delle ore
ed il mio orecchio bambino
abbandonava ogni altro interesse,
il mio volto si illuminava
in un sorriso di gioia serena,
e ti correvo incontro.
E tu, stanca e felice,
mi aprivi tutto il tuo mondo
tra le tue braccia tremanti
e mi stringevi al cuore,
che ancora oggi
sento battere al mio.
Dove mai siete,
giorni spensierati
di una felicità
mai più conosciuta ?
Dove vi nascondete,
anni miei sereni
fatti di sogni
e piccole cose ?
Oggi mi resta
un mondo completo,
completo di cose volute,
di cose comprate,
di cose che non rappresentano nulla
nell'immensità dei desideri insoddisfatti
che mi tormentano ed affliggono.

Addio giovinezza
Cos'è
che ti scuote
in fondo all'animo
e ti fa
sentire vuoto
ed inutile?
A che pensi
così mesto ed assorto
mentre gli anni
ti riportano indietro
nel tempo trascorso?
Vedo
gli occhi tuoi brillare
d'una pena tremenda.
Piangi,
in silenzio piangi,
su ciò che non ritorna,
su ciò che se ne va
tracciando un solco in più
sulla tua fronte.

A n n a
Cosa fai,
dove sei,
cosa pensi ?
Me lo chiedo
ogni tanto,
quando i ricordi
mi riportano
incontri furtivi,
lontani da sguardi indiscreti,
lungo le baracche del lido.
Cosa fai,
dove sei ?
Ormai è tardi.
Forse, marmocchi
con l'argento vivo
occupano le tue giornate,
e le tue dita
più non scorrono
sul piano armonioso.
Cosa pensi?
mi chiedo ogni tanto
quando la mente
ti ricorda giuliva
ad un appuntamento
che rimane
un sogno
ormai lontano
e, forse, dimenticato.

L’amore
Un giornale ha pubblicato
per caso
una mia poesia.
Ho ricevuto una telefonata
da una signora,
vecchia conoscente,
che non avevo più rivisto
da anni.
Era commossa,
ed io ho creduto
alle parole che diceva.
Un amico incontrato per strada
scherzosamente
ha fatto una battuta
piena di ironia e sarcasmo.
Era invidioso.
E, poi, certi pensieri
nella sua testolina
non sarebbero mai fioriti.
Un altro
mi ha sorriso,
fermandosi a stringermi la mano.
Ho visto la tua poesia,
ha detto solamente,
ed è fuggito via.
Non gliene fregava
niente.

Solo la vecchia signora
aveva il cuore pieno di poesia:
non è facile comprendere l’amore.

Ansietà
Viviamo nella precarietà
nell'ansia che un pazzo
ci tolga d'un colpo
il gusto di un'alba,
che lenta dipinge di rosa
le bianche montagne.
Viviamo nell'ansia
che un pazzo
ci svegli al mattino
col fuoco improvviso di morte,
coi bagliori accecanti
di un giorno di disperazione.
Guardiamo,
col cuore colmo di
eterna speranza,
il sole che sorge al mattino.
Gustiamo i colori
che i suoi raggi
lieve risveglia
tra le valli assonnate.
Assaporiamo ogni giorno
il gusto di una vita di pace
ma non fingiamo indifferenza
sulle brutture quotidiane.

Asfalto perduto
Un tratto d’asfalto
davanti casa mia,
sfreccia veloce
il traffico a motore,
avanti e indietro,
con monotonia.

Sfreccia veloce.

Inseguo tenebroso
immagini di morte:
i miei pensieri
che scorrono lontano.

Cercano pace:
un mondo di silenzio
lassù tra i monti
coperti dalla neve,
giù nella valle
tra l’acque limacciose
d’un fiume Reno, apatico,
che scorre verso il mare.

Guardo dai vetri della mia prigione:
immobile, con lo sguardo fisso.
Volo coi falchi,
volteggianti in cielo,
guido in silenzio
laggiù, verso il mio mare,
guido la stanca mente.

Cerco uno sguardo,
una carezza pura,
uno sfiorare di mano
sulla guancia;
cerco un borbottio lontano
in una casa vuota,
fredda,
che più non mi appartiene.

E mentre la nebbia
mi soffoca i pensieri,
sembra che il sole
mi bruci sulla pelle;
e sento una voce
che mi parla al cuore,
una voce
che più non mi appartiene.

12 Gennaio 1999
(A Fabrizio De Andrè)

Peccato che tu non mi veda,
peccato che tu non mi senta,
non avrei parole da dirti,
potresti soltanto capirmi,
scrutando in fondo al mio cuore,
più in fretta vederlo vibrare,
guardando il mio viso
soffrire,
e gli occhi, ... in silenzio,
brillare.

Bosnia Erzegovina
Io non esito più,
tu non lo sai,
tu non vedi,
non senti,
non comprendi.
Tu sei un'entità
stramaledettamente
assente
perché non viva.
Ma io non credo
che nel duemila
la mia libertà
di essere uomo
possa essere distrutta.
Eppure, in un momento,
una civiltà è morta.
E sulle sue rovine
non c'è Resurrezione
ma campi di concentramento.
Per questo ho detto basta!
Ma dal silenzio,
che circonda le mie ossa,
il frastuono della mia protesta
non deve lasciarti
indifferente.

Il canarino
Il canarino nella sua voliera
al mattino mi sveglia col suo canto
e come recitando una preghiera
al ciel rivolge un accorato pianto.
Ma tu sei nato in gabbia piccolino
e vivere non sai di libertà
sei nato per cantare ogni mattino
le tue dolcissime note di pietà.
Io ti ho lasciato andare, ed hai volato
alto nel cielo, giù per un vallone,
ma dopo un poco tu sei ritornato
triste e smarrito nella tua prigione.

Catuzza (Caterina)
Quando i pensieri mi opprimono la mente
mi ricordo di te, appena come in un sogno,
Catuzza!
Cosa mai sei per me?
Un attimo giulivo di una frazione di tempo
che si è estinto;
un lampo velocissimo che si è spento
sopra un mare in tempesta;
un correre spensierato a piedi scalzi,
sopra un prato fiorito!
Eppure tu esisti, in me;
tu, sporca ed ingenua,
coi tuoi capelli arruffati,
le tue gote rosate, Catuzza!
Quanto tempo è fuggito dietro di noi?
Quanti arcobaleni iridati sono svaniti sopra di noi?
Dietro di noi, sopra di noi,
che non sappiamo più nulla di noi!
Eppure tu sei qui, ora,
in uno spazio irripetibile d'un tempo sconosciuto,
prigioniero lontano.
Siamo qui, tu ed io!
E mentre i ricordi scorrono veloci,
immagini sbiadite si rincorrono
nel turbine dei pensieri
che m'opprimono il cuore,
intercalando affanni e gioia insieme.

Malattia
Scrivo
sul muro bianco
della mia cameretta
parole stanche
e sfuggenti
che si disperdono
come gocce d’olio
sull’acqua.
Debolezza,
sconforto,
impotenza:
parole vinte
che scivolano
e s’adagiano,
confuse,
ai piedi del mio letto.

Scrivo, allora:
coraggio,
risoluzione,
volontà,
e fisso le parole sul muro
con la forza della mia ragione.

Giro lo sguardo
fuori dalla mia finestra:
solitario un fiore rosso
brilla,
baciato dal sole,
tra la neve.

Sedici anni
Dal mucchio informe,
ogni tanto un’anima
si eléva.
Sedici anni,
un vortice di tempo
dietro le spalle,
come un ramo solitario
troppo alto per aggrapparmi.
T’ascolto alla finestra,
nel buio della notte:
i nostri pensieri s’incrociano
come due innamorati
che hanno tante cose da dirsi.
E sembriamo due bambini
con le idee confuse
in cerca d’una speranza
che per me non arriverà mai più.
Spero ardentemente
che questa desolazione di pensieri
sia spazzata dalla nuova alba
che arriva.
Lo spero, proprio, per te!
E’ assurdo essere vecchi a sedici anni!

Poesia
Uno schermo bianco:
ad ogni ticchettio dei tasti
una parola si compone.

Un pensiero nuovo scorre
e costruisce un sentimento
dettato dai palpiti del cuore.

La mente spazia,
cerca la frase giusta,
la giusta sintonia di una emozione,
di un pensiero recondito
che acquista dimensione.

Un dramma umano,
una morte violenta,
una bruttura,
una felicità,
un fiore,
un aleggiare di farfalla,

sono i mattoni.

La penna,
ha la funzione del cemento:
stila e compatta
la saldatura dei pensieri.

La verità
Se cerchi la verità
non cercarne una
che assomigli alla tua.
Sforzati di immaginare
anche quella vissuta
e creduta dagli altri.
Se cerchi Dio,
ricordati che è sempre lo stesso
anche per gli altri.
Sforzati di vederlo
come lo vedono gli altri.
Anche se ti sembra diverso dal tuo,
anche se è chiamato
con un nome diverso,
sicuramente assomiglia al tuo.
Se pensi che i tuoi ideali
siano migliori
non cercare di imporli
a chi ha idee diverse dalle tue;
confrontati serenamente con gli altri:
potrai imparare qualcosa.
Anzi se ti accorgi
di non cambiare mai idea,
pensaci,
può darsi che non sei disponibile
ad accettare altre verità.

La rosa e il vento
Il vento
piega i tuoi rami spinosi.
Fino a terra lambisci gli steli,
sfogli i tuoi petali rosati
e ricami il verde
del muschio.

Invano!

Ti ergi
E scherzi con esso!
Nell’aria ricami
frivoli giochi!
Ghermisci lo spazio,
ancora ti pieghi,
ma il capo,
sempre,
alto tu svetti
più forte di prima.

Corso Garibaldi
(A Giuseppe)

Lo ricordo così, com’era,
allora,
quando le primavere
arrivavano puntuali all’appuntamento
e l’estate trovava sempre
l’attimo giusto per arrivare.
S’andava noi quattro
a fare il solito giro serale,
sul Corso,
tra la gente che andava su e giù
come stanca marea
e si salutava più volte.
E tu ridevi,
con quel sorriso sornione,
tu,
figlio di vecchi
e già vecchio bambino.
E si rideva di te,
eri il nostro sollazzo,
e tu ridevi,
ridevi contento,
contento di vederci felici
con il volto sereno.
Poi la bufera spazzò via le stagioni!
Ed ognuno si sparse pel mondo,
lontani,
a pensare a se stessi.
Ma ogni tanto ti penso
perché oggi ricordo
quel riso sereno,
d’allora,
che ho perso!

Rosa canina
Rosa canina,
morbida come cotone,
lieve come la neve
che hai lasciato volare
i tuoi petali
tra il verde del sentiero.
Il vento ti sferza,
chini la testa
e resisti alla furia
che impietosa sferza
la tua corolla spoglia.
Cade leggera l’acqua
e un pallido sole
filtra tra i rami di cerro
carezzando il tuo stelo
e colorando a tratti
i pistilli tuoi spogli.
Offuschi la chioma
ed il capo reclini
mentre pallida
la luna che sorge,
t’accarezza le spine
e ti regala un ultimo sorriso.

Il naso
E’ vero:
gli occhi raccolgono
le lordure del mondo.

L’acqua scorre
dagli idranti
e le lava.

Il giorno dopo
si presentano nette
le piazze che il giorno prima
raccoglievano pozzanghere e sangue.

Il cuore soffre,
è anche vero,
soffre in silenzio, impotente:
emette giudizi sommari
di condanna.
Altro non vuole!

Ma i cadaveri delle fosse comuni,
poveri corpi in putrefazione,
sembrano fagotti abbandonati
dai barboni sotto i ponti dei fiumi.

Il naso ne avverte il lezzo
e lo colora con una smorfia del viso.

Il fetido odore
dei corpi decomposti
ammorba l’aria
ed il cuore si intrista.

Ma il nauseante lezzo
rimane avvolto nella memoria del tempo.

E il naso lo memorizza
e lo archivia come foto sbiadita
che lascia traccia
nella coscienza dei giusti.

Vorrei ritrovare
Vorrei poter ritrovare
le parole che un tempo
infiammavano i miei versi,
schizzi di ceneri ardenti,
melodie senza musica
ardori senza fuoco.

Solo visioni notturne,
rigirandomi in un letto
madido di sudore.
Albe che tardavano ad arrivare
in attesa su gradini coperti di stelle
e di petali di fiordangelo profumati.

E poi un mare terso
che aspettava le nostre urla di gioia,
e le carezze dei bagnanti
per non sentirsi mai solo
e giocare con noi.

E ritrovare le ragazze sorridenti
che lanciavano messaggi in silenzio
all’innamorato indifferente
sdraiato sulla spiaggia.

Oasi perdute negli affanni
della vita che travolge i sentimenti,
che affoga i piaceri,
ma che a momenti
ti ricorda che tu esisti.

Aspettando l’alba
In certe occasioni si attende l’alba
per vedere ancora una volta
le montagne colorarsi di rosa
e di turchino
ed i sole lento affacciarsi
dalle vette imbiancate.

Albe che non arrivano mai
inseguendo i pensieri più strani,
meditando se da un acciacco
si possa uscire o guarire
o, forse, morire.

Eppure spesso si irride alla morte,
altre si disprezza,
talvolta si vagheggia,
ma nel momento in cui
un male occulto ti assale
mediti sulle tante cose da fare
e sulle tue cartacce da mettere a posto,
oppure su qualcosa di personale
da distruggere.
Pensi anche agli amici
che non potrai più vedere
oppure a dei contrasti familiari
che vorresti appianare
prima di addormentarti per sempre.

Ed inseguendo queste tristezze
vedi l’alba spuntare
ed il sole colorare ogni cosa
accarezzandoti il viso
e regalandoti un po’ di calore.

Ed allora t’aggrappi alla vita
con disperazione,
con risoluzione,
e detesti la morte.

San Valentino
Ecco finalmente
solo,
a guardare nel giardino
del tuo amore
le orchidee nere
che impallidiscono
ai primi raggi della luna.
Poterne cogliere una
da regalarti
oggi
che è il giorno dell’amore.

Dove è scritto
che solo in un giorno dell’anno
è possibile esprimere
il proprio amore
all’amata?
E se quel giorno
tu fossi arrabbiata
o io non avessi voglia alcuna
di parlarti d’amore?

Ecco oggi, o domani,
o forse dopodomani,
è il giorno dell’amore
mio per te.

Non mi interessa
il 14 di Febbraio!

Forse interessa ai commercianti!

A me, proprio non interessa!

Il tuo amore per me
Il tuo amore per me
è come un corso d'un fiume.
A volte è vorticoso,
altre stagnante;
a volte straripa,
altre s'inaridisce.
Il mio amore per te
è simile all'opera d'una formica:
con infinita pazienza
ricostruisce tutto ciò
che tu distruggi.

Un prato fiorito
Delicati voli di farfalle
un mare di fiori di campo
ed occhi azzurri di cicoria
che veleggiano su un prato
bianco
di corolle di margherite
ondeggianti al vento.
Mi disperdo in mezzo ai profumi
che la natura mi regala
come doni della sua bontà.
Ma là, in fondo,
la pianura appare ammorbata
dal fumo pestifero delle ciminiere,
che invadono
senza decoro
i davanzali fioriti delle case.
Soffio la mia rabbia
per disperdere il mare di disperazione
che m’opprime la mente.
E sogno di sciogliermi
e sparire
in questo mare di tenerezza
che per un attimo
colora i miei pensieri.

Quando muore un vecchio
Quando un vecchio muore
se ne va con lui un pezzo di storia.
Ci si pente, poi,
quando un vecchio muore,
di non aver raccolto
la memoria del tempo.
Una vecchia strada
di terra battuta;
un prato oggi invaso dai palazzi;
un insieme di vecchie case
appiccicate e cadenti;
un angolo di mare
da un finestra
poi chiusa
dietro un muro di cemento;
una vecchia rotonda sul mare
scomparsa nel nulla.
E poi le storie del passato,
i giocattoli dei bimbi
costruiti con le proprie mani,
le corse a piedi scalzi
e la caccia a coleotteri e farfalle
secondo le stagioni.
Quando muore un vecchio,
rimane solo la stupidità
se non è stata raccolta per tempo
la memoria del passato.

Giovanna la Pazza
Chissà cosa ci frullava nel cervello
quando da bimbi ti davamo noia,
lanciando sassi contro il tuo cancello.

Infantilmente si provava gioia
a vederti poi urlare dal balcone
dov’era appesa quella vecchia stuoia

che usavi come zerbino nell’ingresso
di quella casa, a fianco alla chiesetta,
coi muri colme di scritte con il gesso

che dispettosi schizzavamo in fretta
con frasi oscene ed allusioni chiare
al tuo mestiere, che da giovanetta,

ti aveva poi costretto a esercitare
quel caro amico, o meglio l’aguzzino,
che dando amor ti seppe poi ingannare.

Poi con il tempo divenni un ragazzino
e l’esperienza aumentò con la ragione:
mi rattristai per quando da bambino

t’importunavo. Ma or la situazione
t’appariva più grave ogni mattino,
avanzando l’età, e per la colazione

non possedevi il becco d’un quattrino.
Solo una donna di fronte al tuo quartiere,
(che abitava in un alloggio lì vicino

e avea disapprovato il tuo mestiere),
ogni giorno ti offriva una minestra
che ti lasciava sull’uscio in un paniere.

Quando andai via fioriva la ginestra,
e dove andai c’era la neve e il ghiaccio.
Tornai a Natale ma la tua finestra

chiusa trovai. Solo quel liso straccio
sventolava appeso al tuo balcone,
e tu dormivi immobile, all’addiaccio,

in pace e libera da ogni vessazione.

Non recidete i fiori
Non recidete i fiori
per deporli un dì sulla mia tomba.
       Non fateli appassire
       su una bara lucente e piena,
       ormai, di nulla.
Lasciate che essi mi sorridano
dai balconi addobbati a festa,
dai rosai arrampicati sui muri
delle vecchie case,
dalle siepi colorate dei giardini,
mentre il feretro sfila
in mezzo al loro splendore.
              Non disperdete il profumo
              delle rose
              sulla mia sepoltura,
              che sa di silenzio e di squallore.
Regalatemi un ultimo saluto,
un addio straripante d’amore,
non col pianto di un fiore reciso
ma con un gesto che inneggi alla vita.

Pace
Come puoi rotolarti
su te stesso
senza guardare
fuori dalla tua finestra?
Continui a fingere
che tutto il mondo
sia un mare tranquillo
e lo solchi con la barca
della tua noncuranza
guardando solo il cielo
e la luna spuntare.
Fermati
su una montagna,
guarda la pianura
e l’umanità che la anima
ed osserva il patire della gente
e le sue tribolazioni quotidiane.
Ecco,
adesso puoi guardare
anche il cielo
e se credi
in un Dio liberatore,
chiedi che una nuova manna
piova nel deserto
e digli di far sgorgare
acqua viva dalla roccia.
Fagli fermare la morte
che nascosta sotto ali rombanti,
che non sono di farfalla,
vuol trasformare la vita
in inferno.

Arrivederci Alberto
Son qui che assisto,
muto e addolorato,
con mia moglie dietro
che smoccica parole,
ce ne stiamo intristiti
ad ascoltare
dalla TV chi ti saluta, amico.
Ché tu ci hai accompagnato
da tant’anni
e ridere ci hai fatto con passione
tutti attorno a una radio
ancor piccini
e poi al cinema
tra fumo, spinte,
esclamazioni.
Non ci guardiamo:
ognuno si commuove
a modo suo.
Ce ne stiamo in silenzio,
col magone,
a guardare ‘sta folla
che t’è venuta a salutare.
Ed anche noi,
ti salutiamo, Alberto,
e ti stringiamo forte,
forte, al petto.
Ci mancherai, lo so,
ma è anche vero
che in terra
ci hai lasciato il cuore
e lo sentiamo battere
e vibrare
come se fosse vivo
e sempre carico d’amore.

Ricordi d'infanzia
Ma cosa ormai rimane
nel mio cuore?

Un calpestio di erba,
un recidere lieve di ginestra,
il profumo del tiglio
d'un viale.

Un pestare di foglie,
tutte cadute dopo un temporale
di fine estate.

Un fragore di pannocchie
scartocciate,
un padella di castagne
abbruciacchiate.

R o m a
Roma dei vecchi palazzi,
dei grandi portoni, dei cortili immensi.
Roma dei vecchi rioni,
dei grandi ponti tesi sul suo fiume.
Roma di Villa Borghese,
della famiglie che fan le scampagnate.
Roma scanzonata, dai mille colori,
di Trinità dei Monti e dei suoi barboni.
Roma delle invasioni, delle devastazioni.
Roma della corruzione, delle bustarelle,
del campagnolo in cerca d'una occupazione,
dell'operaio con le sue preoccupazioni.
Roma del Campidoglio,
delle sfilate dei cavalleggeri.
Roma della confusione, del suo traffico intenso,
del suono dei clacson impazziti.
Roma multirazziale,
un mondo davanti alla stazione.
Roma del Papa buono, del Presidente onesto.
Roma dei nuvoloni, degli acquazzoni,
Roma...

Una carezza
Stamane m’è arrivato un “grazie”
da un’opera benefica
per un piccolo pensiero
avuto nel passato
per le tante persone
che ci stanno attorno
e che spesso
non hanno neppure da mangiare.
“Grazie per tutto,
grazie per il bene che sei”
mi si diceva
nel biglietto allegato,
che può servire
anche da segnalibro.
Ma cosa ho fatto,
mi sono chiesto
guardandomi nel cuore?
Quanto potrei di più
fare e non faccio?
Quanto io spreco
in futili gingilli,
quanto tempo trascorro
a deplorare
e quante risorse spreco
a non agire?
Mi son sentito un nulla!
E la carezza
che la lettera chiudeva
s’è trasformata in un ceffone
che m’ha solo intontito
e ancor non mi ha svegliato.

A Daniela
Ciao sconosciuta,
salute a te
che metti in rete
da una città del nord
i tuoi messaggi
e gridi il tuo amore immenso
per la tua terra lontana,
abbracciata dal mare,
accarezzata dalle onde,
e saluti con slancio
tutti i compaesani
sparsi pel mondo.

Ti rispondono anch’essi,
con il petto e il cuor
colmi di gioia,
traboccanti di rimpianti,
soffocati da sincera emozione.

Ciao Daniela,
chiunque tu sia,
strillo con te il mio tifo
per le squadre di calcio,
tutte,
della mia regione,
tumulando per sempre
rancori stupidi
e campanilismi assurdi,
e con te urlo, al vento,
semino nel mare,
disperdo in cielo,
il mio amore sincero
per la mia terra lontana
e mai dimenticata.

Anche una penna ha un peso
Non farti tesori in terra
che la ruggine e le tignole distruggono,
diceva il Cristo!
Non pensare al domani
che non sai se arriva davvero!
Non ti far cruccio dei beni altrui
che un dì scorderanno
d'aver posseduto.
Non ti curar di nulla,
anche gli affanni passano
e, se il cuor tuo è tranquillo,
anche gli affanni tu sopporterai.
Non accumular nulla,
al tuo doman non serve.
Basta il tranquillo tran tran
guardando con distanza
le felicità altrui.
Riempi il tuo cuore
del verde dei prati
e dei fiori della primavera.
Accarezza la neve
che incappuccia i monti
ed il cielo colorato d'azzurro.
Assapora un giorno di sole
ed il vento
che porta gli odori più strani.
Guarda il giorno che muore
con dolcezza interiore
come se fosse l'ultima volta
che lo vedi finire.
Non pensare a quello che lasci
se il pensier della morte ti sfiora:
neppure un ricordo conservi,
neppure una penna
ti porterai dietro.

A mia moglie
(per la morte della mamma)

Io penso a te,
mia disgraziata compagna,
ti penso
nella tua prima solitaria nottata.
So che il tuo cuore
è pieno d'ansia
e di disperazione.
Provo gli stessi sentimenti di pietà
ed il mio animo è invaso
da una profonda tristezza.
Non so se tu vegli o riposi!
Penso che i tuoi sogni,
comunque agitati,
saranno pieni di ombre e di paure.
Ed io ti sono vicino,
con il cuore
e l'animo gonfi di pianto;
ti sono vicino
e la tua pena mi invade
fino alla disperazione.
Ma la mia compassione,
la mia inutile tenerezza,
a cosa serviranno?
La morte continua
a falciare,
incurante
del dolore dei vivi.

L’Americano
Accarezzami, o vento,
baciami, o sole,
oggi è l’alba della liberazione,
tradisco me stesso
e le mie emozioni,
mi tuffo nel nulla
e chiudo gli occhi alla vita.
Ecco,
ora ho ingannato me stesso,
ho oscurato la mia coscienza.
Ora mi sento pronto
a navigare in un mondo diverso
dove le miserie umane opprimono,
dove i deboli sono “perdenti”
e la gente senz’anima e senza scrupoli
è considerata “vincente”.
Un mondo siffatto
lascia i barboni morire per strada
ed i negri marcire nei ghetti.
Io ora sono adulato
da una folla di indifferenti
e di gente senz’anima.
Le mie emozioni
si riducono ad inseguire
l’edonismo più becero
camuffato da amore.

Scava, scava!
Scava, scava
che qualcosa troverai.
Vedrai che non potrai sfuggire
all’occhio profondo della tua coscienza.
Diamine,
è mai possibile che non riesci a tagliare i ponti
e lasciare tutti gli egoismi al di là del burrone?
Falli urlare
coloro che ti stanno vicino
ma non ascoltare più le loro voci stridule
che sprecano lacrime
sulle finzioni degli schermi TV
e poi tengono la mano chiusa
e non vogliono regalare neppure una carezza.
Ma che ti importa di conservare per gli altri?
Per chi poi?
Per qualcuno che esclama:
“se avessi i tuoi soldi sarei sempre in giro”.
Ma perché non ci pensi
quando vedi i servizi in TV
con bimbi pieni di mosche
e di ossa scomposte?
Cosa conservi,
cosa metti da parte?
Quando il tempo
sarà solo una data sul calendario,
che tu non potrai leggere più,
il tuo egoismo
ti farà sussultare nella tomba.

Anniversario
Tu pensavi mamma, lo pensavi,
che t'avrei scordata dopo morta
e sul quel treno forse ancor sognavi
di rivedermi un giorno alla tua porta.

E ti rividi, mamma, su quel letto
vestita con un abito di nero,
che ti fu messo quasi per dispetto,
ché quel colore odiavi nel pensiero.

Non piangevo, ma l'anima era nera.
Il pianto arrivò quando pensai
che avresti dormito al buio quella sera,
che il sole non avresti visto mai.

Tu credevi alla luce del Signore,
ci parlavi delle gioie del Paradiso,
mi consolava, in quelle prime ore,
che avresti visto il Creatore in viso.

E corsi via, lontan dal Camposanto:
volevo pensarti ancora in vita,
ma mi colse quel mio primo pianto
la convinzione che ormai eri finita.

Mamma, tu m'hai donato la tua Fede
ma son cresciuto troppo razionale,
beato il semplice, colui che crede,
che vive le sue giornate nel banale.

Fortunato è costui: ha la speranza
di rivedere un giorno i propri morti.
Io invece chiuso in questa stanza

penso a tutti gli affetti ormai finiti
in una tomba eternamente spoglia,
ornata da quattro gladioli sfioriti.

Previsioni del tempo
Una depressione a carattere statunitense
si sta abbattendo su tutto il mondo
preannunciando burrasche e tifoni
di intensità non controllabili.
Bombardieri e portaerei
causeranno annuvolamenti
con precipitazioni a carattere esplosivo
soprattutto sulle regioni
del medio oriente.
Si prevedono burrasche e tifoni
con caduta di missili
che potrebbero arrecare gravi danni,
anche psicologici,
tra la popolazione terrestre
e disastri non quantificabili
su alcune popolazioni civili
nelle zone interessate dalla depressione.
Tale situazione comporterà
un aumento incontrollato
della temperatura del mondo
e possibili contraccolpi
che potrebbero scatenare
reazioni chimiche ed acide
con danni incontrollabili
ed incalcolabili
nell’ecosistema mondiale.
Nei prossimi giorni la situazione
non sembra destinata a migliorare.
E’ probabile che tale depressione potrà
coinvolgere molte altre nazioni
a livello mondiale.
Il Papa ha invitato i fedeli
a raccogliersi nella preghiera,
ma tale invito
sembra non sia servito a riportare il sereno
perché la situazione meteorologica
si sta evolvendo in maniera problematica
e sembra destinata a peggiorare.
Gli esperti invitano la popolazione
alla massima vigilanza
ed hanno allertato la protezione civile
a raccogliere nelle piazze
il maggior numero possibile di cittadini
per cercare di contenere gli avvenimenti.
Si consiglia di non chiudere le finestre
e di non restare in casa,
ma di seguire con la massima attenzione
lo sviluppo di tale depressione
che potrebbe rivelarsi disastrosa
anche per coloro che stanno tenendo
un atteggiamento di indifferenza
o di noncuranza.

Pubblicità, Pubblicità
Non c’è più rispetto per alcuno,
non si prova neppure commozione
se qualche istante prima
han fatto vedere distruzioni
e morti ammucchiati nella strada
e i prigionieri con i visi mesti.
Nessuno pensa alle madri americane,
che han visto da poco i loro figli
in mano ad un esercito nemico
e stan soffrendo in cuore mille pene
per la sorte che potrebbe ancor toccare
ai loro figli in mano agl’irakeni.
“Scusate”, sento dir dal conduttore,
“abbiam bisogno un attimo di sosta
c’è da mandare in onda
qualche minuto di pubblicità”.
E sullo schermo con indifferenza,
senza rispetto alcuno per la morte,
per la disperazion di tanta gente,
sfilano immagini colme d’euforia,
di cani che mordicchiano le “mele”,
di carta igienica, di detersivi vari,
di paste adesive per dentiere
e merendine con la marmellata,
di gente allegra, che brinda con del vino
o che banchetta al fuoco del camino.
Vergogna, urlo nel cuore,
vergogna a questo mondo occidentale
che vive di surplus e di banale,
vergogna a questa bassa informazione
che sfrutta l’ascolto addolorato
di tanta gente che si strazia il cuore,
mortificata per l’ingiusta guerra
e costretta a subir la prepotenza
di squallidi messaggi commerciali
legati a bassi profili di profitto,
che offendono la coscienza e il cuore
ed opprimono ancor di più la mente.

Il dolore
Il dolore non conosce frontiere!
Non ha diversità di razza,
opprime il corpo e la mente
al di là del colore della pelle
e del continente dove
nasce e cresce.
Il pianto di una mamma musulmana,
che piange i propri figli
periti nei bombardamenti,
non è diverso da quello
di una mamma americana
che si dispera per i propri figli
morti in battaglia
in una terra lontana e inospitale.
Il dolore non conosce barriere,
si rassomiglia ovunque,
anche nel mondo che è
degli animali.
Un corvo appollaiato
su una barriera d’una corsia dell’autostrada,
osserva mesto e soffre:
invano attende che la compagna morta
spicchi il volo.
Una pecora disperata bela
in cerca del piccolo che non trova più.
Una gatta al cielo alza il pianto
per un piccolo
che il padrone ha dato via.
Il dolore non conosce frontiere!
Colpisce con pari intensità
uomini e bestie.
Il dolore unisce i popoli,
ma anche li divide,
e merita rispetto.

Ad un camoscio
Dal picco nevoso,
giù, fino in fondo alla vallata,
vedevi il mondo
sparir sotto tuoi zoccoli veloci.
Ma un colpo secco,
tra una costola e il cuore,
mentre brucavi tranquillo,
t’ha ferito a morte
e sei crollato di schianto.
Forse avevi avvertito,
col tuo fiuto sottile,
la presenza del cacciatore
al di là del burrone,
ma eri sicuro,
coi tuoi balzi veloci,
di seminarlo.
Ma il suo fucile
ha fermato la tua corsa,
prima ancor che tu udissi
il fragore del colpo.
E sei rimasto lì,
senza capire,
con la bocca ancor piena
di fresca erba di montagna.
Ora il trofeo
della testa tua fiera
è lì, appeso a una parete,
immobile senza più vita,
coi tuoi occhi di vetro
che sembra vedano ancora
per domandare il senso
di questa inutile ferocia.

Carità
Vedere
noi stessi
nei panni
di chi soffre
e trovare
uno sconosciuto
che ci tenda
una mano.
E' come
ritrovare
il sorriso
di un bimbo
in un giorno
di festa.

Castagne
Il tardo ottobre,
con la brina che già ghiaccia la foglia
e la pagliuzza spezza,
regala sorrisi dagli spicchi aperti
dei prunosi ricci,
e tra sordi rumori,
un crepitio di tonfi tra le foglie
e sulle lastre di pietra
ci regala.

Empie il corbello
la vecchia contadina
scartando con un ramo forcuto
tra le foglie cadute
che il vento ha accumulato
nelle cune.

Batte i ricci e attorno sparge
i marroni lucenti
che riflettono al sole gli ultimi raggi
privi ormai di calore.

Lontano un gallo canta:
e gli risponde un coccodè
d'una gallina ch'ha deposto l'uovo.

Il dono
Oggi potrei regalarti
tutte le gioie del mondo.
Le mie mani
e la mia mente
costruiscono pensieri dolcissimi
che tuttavia non riescono a diradare
le ombre che circondano
questa dimora
assediata dal gelo.
Vorrei poter volare,
libero dai pensieri
che affliggono
questo angusto
angolo di mondo,
e distribuire i miei doni
ad una umanità
stanca d’aspettare la pace.

La fuga
Fischia un treno, mi volto per guardare,
mi sembra di sentir stridere un cancello
ascolto lontano il brontolio del mare
attendo ancora un suon di campanello.
        Il sogno s’è spezzato all’improvviso,
        cosa è successo non l’ho ancor capito,
        scende lenta una lacrima sul viso
        non credo ancor che sia tutto finito.
Forse ho peccato per il grande amore,
ho idolizzato troppo la famiglia?
Un falso senso dell’antico onore,
la troppa ansia per la propria figlia?
        Un padre cresce con la sua coscienza,
        vive nell’ombra della sua cultura,
        pensa di agire con senno e con prudenza,
        segue l’istinto della sua natura.
Sbaglia, sì, forse sbaglia per amore,
lo fa senz’altro non a fin di male,
si fa travolgere dai battiti del cuore
vuole rendere la vita senza scale
       a chi ama ancor più della sua vita,
       e costruisce l’avvenire a sua misura
       affinché tutta la strada sia spedita
        libera da intralci e meno dura.
Ma quanto questo amore è poi capito?
Colui che lo riceve lo gradisce?
O lo legge come un dono non gradito
perché col suo cuor nulla costruisce?
       Ecco allora la fuga inaspettata,
       con i sensi di colpa più opprimenti,
        rischiare forse una vita travagliata
        ma libera da schemi e da tormenti,
da regole da dovere rispettare,
mentre dentro nel cuore si vorrebbe
essere liberi in cielo di volare
là dove a fin di ben non si dovrebbe.
       Poi soli, d’un colpo, in capo al mondo,
       dondolanti su un fiume sconosciuto
        e guardar l’acqua, scrutare fino in fondo,
        buttarci dentro la vita in un minuto,
per non dover indietro ritornare
ed ammettere il proprio fallimento
sentirsi dire di non saper lottare
per costruirsi un proprio firmamento
       a misura dei propri sentimenti,
       e dover dire: “è vero hai tu ragione”
       e dirlo col cuore e gli occhi spenti
        mentre ritorni nella tua prigione.

Pensieri al cimitero

Ecco, lo vedi?
Tu, tronfio del tuo saper,
solo polvere sei.
(Campo Tizzoro 24.1.99 h. 23,30)

Ora lo sai,
del tuo poter
sotto la terra fredda
cosa te ne fai?
(h. 23,31)

Quando passavi tu
tremava il mondo,
ora il mondo
ti trema
sotto un freddo marmo.
(H.23,33)

Hai mandato al macello tanta gente,
pensavi d'essere di ferro,
ma pure tu, come il più offeso
dei tuoi oppressi,
ti sciogli nel liquame
e in mezzo ai vermi.
(H. 23,34)

Anche se scaldi
con la stufa
la tomba tua,
sempre freddo sarai.
(H.23,46)

(Ad un politico)
Sotto una lastra
te ne stai a pensare
come il prossimo
poter ancor fregare?
(25.1.1999)

(A Diana)
Anche da morta
sei oggetto di consumo
ma la tua vita per me
è stata solo fumo.
(25.1.1999)

Il prezzo della libertà
Il Tempo
È una trappola
Che imprigiona
Gli attimi di libertà
Che l’adolescenza ti regala.
Fingo d’essere rimasto fanciullo
Per non perdere
Certi privilegi
Che molti opulenti personaggi,
Ingessati e incravattati,
Non potranno mai comprarsi.

Questo è amore
Se riesci a mantenere
immutati nel tempo
le emozioni
del primo incontro:
questo è amore.
Non provare a camuffarlo
con un dono o un fiore:
l’amore non si trova
per strada,
e neppure si compra
sulle bancarelle.
Se soffri per l’assenza
della tua donna
quando ne stai lontano,
se desideri ardentemente
averla vicina
e soffri per questa lontananza:
questo è amore.
Non vi è altra possibilità
per surrogare questo sentimento.
Solo un abbraccio affettuoso
ed un bacio ardente
potranno farti perdonare
di aver smesso d’amarla
solo un momento.

Dal monte Sant'Elia
Un nome, un soffio, una pena !
Il vento che rugge tra i rami !
Il mare che bagna la rena !
E voci, canti, richiami.
Io solo: lo sguardo sperduto
che miro i lidi lontani;
il sole che sembra intessuto
di fili lucenti, diafani.
Un nome portato dal vento,
che vien dalla sicula terra,
e' un dolce richiamo che lento
nel cuor, come spina, si serra.
Un nome che allieta, che affanna,
un nome che a me da allegria,
un nome, mia piccola Anna,
io sento sul col Sant'Elia.
E un passer loquace mi dice:
- Ma Salvi che pensi? Che hai?
Non sei forse pago, non sei tu felice?
perché ognor pensi che futili guai ?
-Non sono io pago, non sono felice,
oh! come vorrei averla vicina,
sentir tutto ciò ch'ella dice
udir quella dolce vocina.
Oh! incanto, oh! sogno mio vano,
fuggito è il bel tempo d'un dì!
E' un sogno svanito lontano,
un sogno ch'io ricordo così...
Così... come se mai fosse stato,
così... come un sogno vissuto,
così... come un cuor tormentato
che piange il bel tempo perduto.
Mai, mai, mai più tornerà
quel tempo di baci e promesse,
più lento il dì passerà
più dura la vita s'intesse.
Laggiù il mar rumoreggia
battendo sull'irta scogliera
ma il mio cuore pare che chieggia
una Grazia al Signore stasera.
Vedo il sole che lento reclina
lambendo co' i raggi le onde,
mentre il Vespro, che già s'avvicina,
ogni cosa di tetro nasconde.
E nel tetro, tra l'irta scogliera,
va un canto, che par di sirena,
mentre è solo una dolce Preghiera
che dal petto fuggir fa ogni pena.

Sentimenti
Invano attendi
che un mio sorriso
ti raggiunga
lì sul divano.
Detesto
questa mia immobilità
che non sa di nulla,
che insegue sogni astratti
e si crogiola
nel piacere inutile
di esprimere sentimenti
che neppure conosci.
Tengo per me
questa gioia inutile
che ti farebbe felice
se avessi l’idea
di urlartela in viso.

Sud amaro
Odiare
le pietre che giacciono
all’angolo delle strade
immobili,
da una eternità.
Nessuno le ha tolte!
Se ne stanno a testimoniare
che quaggiù
nulla si rinnova.
Anche
la coscienza dei nuovi governanti,
dopo le inutili promesse,
resta immutabilmente
identica
a quella dei vecchi governanti,
irrimediabilmente.

Sudore al Sud
Pazienza, rassegnazione,
provvederà Provvidenza.
Quattro legni in croce,
un mucchio di stracci,
un pane amaro
e tanto sudore.
Questo il rovescio
di una medaglia
vecchia più di cent'anni.
Ogni anno
un urlo di speranza
che é poi una frode,
un inganno
di una classe dominante
che opprime e violenta.

Un punto nero
Un piccolissimo insetto,
simile ad un neo
spuntato dal nulla,
attraversa d'un tratto la mia mano.
Per essere piccol così
viaggia come un treno
e lo seguo in silenzio
inerpicarsi sulle mie rughe
come scalatore solitario.
L'osservo,
e una tentazione m'assale
di spargere quel nero
sulla mia pelle insensibile.
Penso alla sua paura
all'avvicinarsi del mio dito,
al dolore improvviso
del suo corpo che si scioglie,
al terrore per la morte vicina
e lo lascio libero
di frugare tra la mia peluria
e percorrere un tratto in salita
sulle vene gonfie
che coprono il dorso della mano.
Poi spicca il volo:
piccolo punto nero,
e scompare
nello spazio infinito che lo circonda.

Una nuova dimora
Un sole sbiadito s'affaccia
a illuminare per un attimo
questa nuova dimora
in questa valle gelata.
Cerco con nostalgia
il bianco candore
dei ghiacciai
e della Becca di Nona,
che quest'anno
non mi ha neppure sorriso.
E' difficile
per chi ama il sole
vederlo soltanto lontano
illuminare le cime
che mai scalerò.
Aosta ho nel cuore,
con il suo scenario bellissimo,
con i suoi monti
che l'abbracciano e scaldano,
con la sua vista infinita
e con il suono
delle campane di Sant'Orso
che non sentirò più al mattino,
ma che mi rintoccano
dentro.

Due Novembre
E' già l'ora
della resurrezione
della carne.
Brividi intensi
percorrono
la schiena
dei morti.
Giro tra le tombe,
cosparsi di fiori
rossi e di crisantemi.
Brulicano i vermi
sotto le mie scarpe di gomma,
e l'aria è pervasa
da un lezzo pesante
di ceri
che si consumano.
Sommesse preghiere
infastidiscono ed opprimono:
orazioni inutili
per orecchie
che non ascoltano,
a cui non interessano più
i bisbigli dei venditori
di torroni e caldarroste,
che pur offrono
a squarciagola
una mercanzia
che non attira
neppure
il cuore commosso
del visitatore frettoloso
tutto immerso
nei suoi pensieri
tenebrosi.

In quel momento a Lerici
(Agosto 2001)

In quel preciso momento
ho colto il tremore dell’onda,
il luccichio del sole sull’acqua,
il volo d’un gabbiano,
il saltellare d’un passero
sul muretto che s’affaccia sul mare,
lo sciacquettio dell’acqua
contro la fiancata d’una barca,
l’ondeggiar delle vele
ferme in porto,
il soffio del vento tra i capelli,
le grida d’un bambino,
l’abbaiar d’un cane,
il pigro movimento d’un ramo
ed il lieve ondeggiar dell’erba.
Ho colto le tue parole,
e il suono della tua voce,
in una giornata tranquilla
di mezza estate.

Mi lascio cullare
A volte mi lascio cullare
dal vento
che frusciando tra i capelli
mi riporta
carezze che ormai sono spente.
Angoli solitari,
cascine desolate,
lenzuola bianchissime
stese al sole sulle siepi
ad asciugare
e profumo di pane
appena sfornato.
Odori lontani,
che vorrei poter gustare
un momento
per rivivere storie antiche
e sofferenze finite,
lotte impari contro
lo sfruttamento dei baroni
e l’ostilità dei potenti,
battaglie giornaliere
per la sopravvivenza
e per imporre
il proprio bisogno di esistere.

Abbraccia i ricordi
Un amico mi ha detto,
di lasciar perdere,
di non inseguire i ricordi lontani:
“essi ti portano tanta tristezza”,
mi ha sussurrato.
Ho provato per un giorno
a seguire il suo consiglio
ed a cancellare
tutto ciò che di bello
avevo rinchiuso nel cuore
e guardare non il mio prato fiorito
ma il condominio
che aveva preso il suo posto.
Neppure il muretto sconnesso
vi era rimasto
perché un strada asfaltata
era sorta al suo posto.
Provai una grande tristezza
a veder cancellati i miei sogni
e odiai immensamente
il mio amico
che mi aveva distrutto
i ricordi.

L’agonia della Poesia
Quando l’animo è cupo,
pervaso da rancore,
quando non c’è più amore,
invano cerchi di comporre un verso.
Mancano le parole,
la fantasia ha perso ogni colore!
La tua mente balbetta,
stenta a comporre
qualcosa di decente.
Lo sguardo vaga pensoso,
si sperde tra le nebbie
che nascondono i monti
e cancellano i laghi
ed i torrenti.
I pensieri si rincorrono
come i passeggeri in corsa
in una metropolitana affollata,
dove il rumore
affoga ogni pensiero
ed annega la voce della gente.
Avverti l’inutilità della tua vita:
e sogni un mare di tranquillità
ed isole assolate e sperse
tra l’onde d’un Egeo turchino.
E rivedi i tuoi padri, addormentati
all’ombra d’un contorto fico
o di acacie fiorite e profumate,
tornati a ristorar le stanche membra
dopo che il fato via li sospinse
dall’Eubea ventosa per lidi sconosciuti
a soffrire in cuor di nostalgia.

Autocritica
I miei
sono geni perversi !
Nell'antichità
dei tempi
sono stati plagiati
da esseri ribelli
e vendicativi.
Potessi
lasciarli scorrere in libertà
compirebbero strane giustizie,
eseguirebbero
empi progetti e nefandezze.
Io li ho incatenati
nel mio inconscio
profondo.
Ma i loro gemiti
spesso vincono
la resistenza
della mia ragione
e mi strappano
attimi di libertà.

Aurora
Canta un gallo
già spunta l’aurora:
sale il sole

oltre il monte
tra cime e speroni.
annuncia cantando

un nuovo giorno
che arriva pian piano,
e poi muore.

Sale
Come acqua di mare,
sospinta da marosi agitati,
le mie invocazioni di pace
sbattono sulla scogliera
con veemenza e furore.

Inutilmente s’aggrappano
ai massi spigolosi e spugnosi,
invano cercano un consenso!

Tra un gorgoglio confuso
di parole inutili e vuote,
che nessuno sembra più ascolti,
scivolano nell’indifferenza.

Ma poche gocce di mare
rimangono tra le cavità delle rocce
e si lasciano cullare
ed accarezzare dai raggi del sole.

E questa piccola, esile, traccia
si trasformerà nel tempo
in cristalli di sale per l’umanità.

S’io potessi
S’io potessi
tornare al tempo perduto,
quando l’anima
inseguiva gioiose distese di verde
ed i fiori mi baciavano il viso
mentre disteso ammiravo
le nuvole in cielo.

Il vento gioiva a farmi i dispetti:
sugli occhi piegava
gli steli dell’erba.
E la ginestra inondava di dolci profumi
I fianchi del monte.

Sognavo!

Sognavo di volare lontano
alla ricerca di gloria e di fama,
di piazze inondate di sole
e di folle plaudenti.

E vidi le masse urlare incomposte
di gioia e furore
ed anche il sangue sgorgare
e tanti innocenti morire.

Dei sogni lontani
restarono solo le tracce di fiori
e corone appoggiati sui muri,
ammucchiati sui carri,
e il dolore della folla indignata
a piangere la gente scomparsa,
quella mai più vendicata.

Lupo
Il giorno che anch'io sarò morto
e l'anima andrà in giro vagando,
ritornerà tra i sassi dell'orto,

di fronte all'antica chiesetta
e tra i rovi, ai muri abbracciati,
troverà Lupo disteso ch'aspetta.

Salterà dalla fossa abbaiando,
scuotendo la terra di bocca,
dolcemente le mani azzannando.

Povero Lupo, di gioia è distrutto,
più non ricorda il fucil che l'uccise,
scodinzola sempre, dimentica tutto.

Fedele mi ha atteso tanti anni,
come quando tornavo da scuola,
d’un colpo ha rimosso gli affanni.

Nuovamente tra i rovi annusare,
rotolar con la schiena sull'erba
e le buche nel prato scavare;

sgambettare in mezzo alle foglie,
abbaiando scherzoso ai passanti,
ai vecchietti al sol sulle soglie;

sbatacchiare con forza il guinzaglio
ringhiando perch'io molli la presa,
che io lascio, quasi per sbaglio,

ché lui possa contento scappare;
ritornare con scatti improvvisi,
far le finte per farsi acchiappare.

Allungarsi, poi, sfinito sull'erba
con la lingua ansante tra i denti,
gli occhi dolci e la testa superba,

vigilando ch'io non abbia a sparire
come un tempo, e dover ritornare
sotto un mucchio di sassi a patire.
(Segnalata alla IX Edizione 2003 del Concorso Nazionale di Poesia “Fazio degli Uberti” – Pisa)

Mamma
Mamma, nome adorato,
nome che dire vuole mille cose:
tormento, lotte strenue, sofferenze,
dolori accumulati insieme agli anni,
gioia che porta al cuore nuova gioia,
luce splendente, chiarore al mio cammino,
tutto tu dai e mai ricevi niente.
Mamma, nome agognato,
da un milite passato per le armi,
da un bimbo sofferente in ospedale,
da un vecchio nel delirio della morte,
da un uomo che mai ha avuto madre.
Mamma, nome invocato,
da un giovane lontano dalla patria,
sperduto nel fondo di un abisso
d'un mare ch'é una bara senza vita.
Mamma, nome avvizzito,
fiore che ognor reclina l'estro capo
negli ultimi bagliori d'una vita,
lottata strenuamente,
col peso d'un pensiero ormai morente.
Mamma, che hai vegliato,
sul volto tenero d'un bimbo,
che lottava con l'iniqua Parca,
che hai raccolto ogni suo sospiro,
che hai pianto se piangeva,
che hai riso se rideva.
Mamma, sempre più amata,
da un figlio che credevi ormai perduto:
ora é con te, l'hai alfine riveduto
e sei felice e paga.
Mamma, agonizzante,
che noti del tremor del figlio tuo,
che piangi perché... non sai...
non potrai... più guidare... il bimbo tuo...
Per te é sempre un bimbo, è sempre ignaro
e non conosce il mondo;
pensi che il suo pianto
non tergerà nessuno
e soffri e piangi...
e ancora guardi il tuo piccino...
... e non lo vedi più.

Dove siete finiti
Dove siete finiti, amici miei,
dove il vostro destino v'ha portato?
Chissà dove saranno
quei quaderni dove un tempo
abbiamo più volte riportato
quelle frasi contorte di latino
che ognuno scopiazzava dal vicino.

A volte vi riguardo,
quando la nostalgia mi spinge il cuore,
in quella vecchia foto
ch’uno di voi scattò quella mattina
stretti e abbracciati sulla Via Marina.

Mi piace rivedervi sbarbatelli,
con quei visi puliti dai pensieri
e quei sorrisi limpidi e sinceri
che non so se la vita ha cancellato.

E soffro se vi penso tra gli affanni,
vorrei tener per me ogni dolore
sapervi sorridenti da tant’anni
e che la vita vostra sia migliore.

Avversità
Io non so
quale male commisi
a questo mondo:
non uccisi nessuno,
né imprecai
sull'avverso destino.
Amai il prossimo mio
con tutto il cuore,
tutta l'anima mia.
Che peccato commisi
per ricevere ognora
una scarna mercede?
Forse é una colpa
sciupare gli anni miei
per amor verso gli altri ?
Povero Cristo
quale error facesti
di morire per noi
su quella Croce!

Ho baciato
Ho baciato le tue labbra
sotto l'azzurro infinito,
d'un cielo terso,
mentre il vento
accarezzava leggero
l'erba, i fiori
ed i nostri sorrisi.
Il profumo dei fieni
appena tagliati
si confondeva
col sapore della tua pelle
calda e languida.
Ed io ti guardavo,
in silenzio,
ti scrutavo
nel profondo
i pensieri
quasi a leggere
nei tuoi occhi
il senso
del tuo amore
per me.

I fiumi della Lucania
Vorrei per una volta ritornare
con gli occhi curiosi d'un bambino
appiccicato fisso al finestrino
i fiumi della Lucania riguardare.

Vorrei, dal treno sbuffeggiante,
osservare i pescatori tra i canneti
lungo i fiumi attorniati da pescheti
riprovar quella gioia un solo istante.

Le scritte sopra i ponti ritrovare:
Crati, Sinni, Angri, Basento, Cavone,
e, poi, il Bradano e col magone
i miei sogni interrotti rievocare

di poter abitare lungo un fiume,
e di pescare dall'alto d'un balcone
o scivolar sull'acqua col barcone
al chiaror d'un tremolante lume.

Pensieri che scorrono, più atroci,
come l'acqua che fila verso il mare,
come gli alberi che sembrano girare
per la campagna sempre più veloci.

E mentre vago col pensier lontano
guardo dalla finestra un ruscelletto
che scorre lentamente dirimpetto
e un bimbo che mi saluta con la mano.

Brutium
Hai gli occhi stanchi
di chi piange da secoli
le miserie di sempre.
Cerchi
con affanno
di risalire una china
che ti frana
tra i piedi
e ti ributta
sempre più in basso.
Lotti
con rabbia,
da un'eternità
contro un mondo
che in silenzio ti guarda

Conchiglie
Raccoglierò
tutte le conchiglie
che da bimbo ho buttato
sui fondali del mio mare.
Leggerò
sulle vulve calcificate con la sabbia
la mia storia interrotta
quando le aurore mattutine
erano tutte impregnate
dal profumo delle alghe
sparse sull'arenile pietroso
e dai pesci guizzanti
nelle ceste di vimini
dei pescatori anneriti dal sole.
Gusterò
il sapore antico
delle mie infantili illusioni
e dei miei sogni
ancora vaganti
su una spiaggia,
che non riesco più
neppure a sognare.
Proverò
per l'ultima volta
la sensazione di soffuso piacere
della rena frusciante tra i piedi
che accarezza ancora
le mie albe senza tramonto.

Conosci te stesso
Berrei
tutto il sale
del mondo
se questo bastasse
a farmi conoscere
me stesso.

Cosa ti porti dietro
Cosa ti porti dietro, ma che fai?
Vedo dei soldi, dei monili d'oro,
guarda che dove adesso andrai
Non ti serve portare alcun tesoro.

Tu continui a pensare ai tuoi bisogni,
vorresti gioire anche all'inferno.
Scrollati dal cervello certi sogni
dove si va non patirai l'inverno.

Non stai vedendo cosa porto io?
Nulla, nulla mi sto portando dietro.
Quello che ho è in fondo al petto mio:
son le ricchezze che donerò a San Pietro.

Tu adesso soffri di lasciare tutto
ti preoccupi dei beni che tu hai
delle tue ville, degli alberi da frutto,
delle tue aziende con tutti gli operai;

della tua servitù, che ti blandiva,
del tuo Consiglio di Amministrazione,
della tua bramosia, che mai finiva,
di tutto accaparrare all'occasione.

Anch'io per anni ho colto la ricchezza,
fatta di solidarietà, frutto d'amore,
ho rubato dal mondo ogni bellezza
e l'ho custodita in fondo al cuore.

Anche se or son nudo, amico mio,
di questi tesori nessuno può privarmi,
li può soltanto recuperare Iddio
e per questo non ho da disperarmi.

Dietro una dolina
Ho sparato un colpo,
giù dalla dolina,
dove accovacciato e sudicio,
mi sembra da una vita,
me ne stavo col moschetto impugnato
a guardia d'un confine segnato su una carta,
ma ch'appartiene al mondo.
Non ho mai saputo se ho colpito il bersaglio,
ma l'eco di quel colpo,
a distanza di tanti lunghi anni,
continua a rintuonarmi
nel cervello,
e soffro.
Soffro perché non so
se il mio nemico è morto
oppure è rimasto solo mutilato,
non so.
Il mio nemico...
così m'hanno insegnato
a giudicare quel povero Cristo
che se ne stava impantanato dietro una dolina
sul versante opposto ai nostri appostamenti
in difesa d'un confine segnato su una carta
ma ch'appartiene al mondo.

L’ubriaco
Un bicchiere di vino,
un calice amaro,
droga mattutina.
Poi un giro
per le piole
fino a sera.
Fitte alla milza,
dondola per la strada,
vomita sui marciapiedi,
all'angolo
delle sue rovine.
Poi canta,
libero,
a squarciagola,
urla alla vita,
deride la vita,
folle.
Un urlo
che si perde
nei vicoli ciechi,
tra l'indifferenza
dei passanti,
e la preoccupazione
di qualche cane randagio
che lo scruta.

Quando al mattino...
Quando al mattino
m'avvio all'opra quotidiana,
davanti a me lo spazio
mi abbraccia all'improvviso
e mi trascina.

Dai casolari s'alza
il primo fumo;
la luce filtra ancora
dalle finestre socchiuse
e il contadin s'affaccia
dalla nebbiosa stalla
col suo secchio di latte.

Quattro pioppi scheletriti
si stagliano d'un colpo
contro un cielo sereno:
sembran pennelli d'un gigante
intento a colorir di rosa
il bigio cielo,
che le montagne ricamano
con l'ombra scura
delle cime aguzze.

In questa immensità,
d'un paesaggio che scorre
al girar del tachimetro
della mia vettura in corsa,
ogni giorno
rinnovo la gioia di vivere
e la pazienza di sopportare
le avversità e gli affanni.

E, pur coi suoi problemi,
con le ingiustizie
e gli egoismi
(istinti atavici lenti a morire),
si replica ogni mattino lo spettacolo,
immenso e misterioso,
di questa vita
che sempre si consuma
...e si rinnova.

Tornare nel nulla
Tornare dal nulla
nel nulla dei miei sogni,
interrotti tanti anni fa
su una spiaggia
sepolta da ricordi incredibili di felicità
mai più conosciuta.
Farmi lambire i piedi,
ancora,
dall'onda scherzosa,
che sa di gioie finite,
di luci tremule,
che accarezzano ancora le sere
tra Reggio e Messina.
Canti argentini nel buio di Chiesa Pepe,
brusio di comari sedute nell'ombra
a contare le cose del rione.
Quel pettegolare sommesso,
seduti sui gradini,
sconnessi, ballerini,
e le bimbe assonnate,
con le teste appoggiate
sui grembi neri delle madri,
ormai sepolte in camposanto.
Voci ancora vicine,
conosciute una ad una,
che mi scavano dentro,
nel cuore,
come un dolore, lento,
di un dente cariato.
Che strano calvario mi passa negli occhi,
mi preme sul cuore:
come un dolce languore che sale,
sale dal nulla e si perde nel nulla,
come un sogno mai fatto;
come un'acqua caduta,
d'un colpo,
in un giorno d'estate,
uno di tanti,
passati,
sognati,
pigiati nel cuore,
messi a tacere per sempre;
come un libro invecchiato,
scoperto per caso,
e con tenerezza riaperto
per ritrovar dentro
emozioni d'un tempo passato,
d'un tempo trascorso in silenzio,
curato come un vecchio vestito da sposo,
ancora incartato,
ancora buono ad essere usato;
come un giorno di festa,
che passa veloce,
che lascia un sapore d'amaro e di dolce,
un sapore d'attesa.....
un sapore di morte,
che arriva d'un colpo:
inattesa!

Vivisezione
Sguardi pietosi,
invano!
Oltre le sbarre d’una gabbia infame
fedele, come sempre,
tu l’osservi
e non capisci.

Egli ti porta i pasti
e una carezza, a tratti,
t’addolcisce la vita.

Pensi che lui
ricambi pari affetto
e un lieve sussulto,
un vano tentativo
d’un leggero
scodinzolar di coda,
apre il tuo cuore
quando al mattino
appare nella tua stanzetta,
che emana odori d’etere
e di urine incontenute.

Tu,
ignaro strumento di sperimentazioni,
guaisci lievemente
mentre il capo ti penzola
impotente.

T’accorgi di soffrire
e forse pensi
che il tuo padrone
possa alleviare le tue pene
e ti senti al sicuro
quando dalla gabbia t’estrae
e sopra un letto di laboratorio,
senza rimorso alcuno
e senza amore,
ti depone.

La fotografia
Tic, tic!
Uno scatto, due scatti!
Dall’inquadratura
Il mare dietro:
davanti dune
e cabine abbandonate.
Onde
ghermiscono la spiaggia:
pennellate spumose
e alghe morte
abbracciate alla rena.
L’attracco
dei battelli estivi
è vuoto;
deserta é la spiaggia.
Poi il silenzio
imprigionato
dentro una foto
in bianco e nero
e i ricordi
che sfumano
con le nebbie dense
all’orizzonte.

Ideologia?
L’hai vista tu mai la morte?
hai mai avvertito il suo odore
passarti da vicino?
Hai mai sentito l’urlo disperato
dei torturati a morte?
Hai mai sentito sotto le tue suole
il friar delle ossa
abbandonate tra le zolle,
sparse pei campi?
Hai mai visto i corpi denudati
delle donne
abbandonate ai bordi dei sentieri
con le vulve rigonfie
vomitanti sangue?
Che ne sai della tua dignità
spogliata d’ogni traccia umana,
della disperazione
davanti ad una scodella
colma d’avanzi d’un pasto
formicolante vermi?

Eppure tu continui
a credere nei valori di una ideologia
che spaccia la sua lotta
come difesa dei valori d’una democrazia
che semina guerra e disperazione
là dove pianta le sue stellate bandiere.

Il diverso
La mia diversità,
ieri normalità,
mi far star male,
non posso accettare
questa novità
che tutto si può fare
senza più pudore,
senza dover tremare.
Capisco che il modello,
quello mio s’intende,
non è originale
che è stato costruito
seduti a tavolino
da borghesi giansenisti
e clerico fascisti.
Ma che tutto si può fare,
mamme artificiali
o maschi partorienti,
coppie libertarie
famiglie omosessuali,
sconvolge nel mio petto
le mie regole ancestrali.
Maschi impupettati,
che profuman di mughetto,
capelli colorati,
fondo tinta in viso,
rossetto sulle gote ,
vestiti variopinti
con i tacchi a spillo.
Scusate il mio disagio
se rifiuto il modello
se mi sento additato
perché schivo l’estetista
e indosso i pantaloni,
se porto ancora i baffi
e puzzo un po’ di maschio.
Lo so, devo evitare
la gioventù che avanza,
che ride nel vedermi
col mio vestito scuro
e la cravatta antica.
Lo so, devo evitare
il giorno e le sue piazze,
mi tocca andar di notte
sfilando lungo i muri
per non farmi vedere.
Lo so, e già tutti lo sanno,
ormai sono un diverso.

La forgia
L'acre odor
dello zoccolo bruciato
sparge attorno
un odor dissacratore
che affoga l'aria odorosa
dei gelsomini in fiore.
Batte col maglio il fabbro,
batte l'incandescente ferro
e sull'incudine
lo sagoma a misura
dell'ungula del mulo.
Soffia, nel tetro antro,
l'enorme mantice a pedale,
spinto dal garzone solerte,
e le scintille
solleva dalla forgia
e le sparge
per l'intera bottega.
Tenui bagliori a tempo
illuminano
i ferri abbandonati
negli angoli
e sui muri.
Ombre d'antiche cose,
come sogni interrotti
e poi ripresi;
come soffi di vento
che a momenti
disperdono la nebbia
dei ricordi,
accarezzano i sogni
ormai sopiti.

Fine
Ali plananti
sui mari della disperazione,
là dove i delfini
non guazzano più
e le balene
perdono l’orientamento
arenandosi sulle spiagge
cosparse di catrame.
Sull’acqua galleggiano
pesci boccheggianti
che i gabbiani rigettano
asciugandosi le piume
nere di petrolio.
Invano spiccano il volo:
mentre sulle rocce
agonizzano uccelli neri
a cui neppure i gatti
danno più la caccia.
La nostra civiltà
si consuma lentamente
tra l’indifferenza dei potenti
che lanciano anche nello spazio
i resti della loro spazzatura.

25 Aprile 1977: Ore zero
Cosciente come non mai
vivo per la prima volta
un rapporto tra pari.
Ogni parola ha un senso
ogni movimento
un preciso significato politico.
Si, l'oppressione e' finita!
Mi sento uomo
solo per il sesso diverso
e non per l'inconscia
sicurezza di supremazia
che da millenni mi opprime.
Mi sento uomo
perché riconosco
il ruolo d'oppressore
affidato alla specie
alla quale appartengo.
Mi sento uomo
perché ho capito
che tale espressione
é puro sciovinismo imbecille.
Mi sento uomo, infine,
perché percepisco chiaramente
la tua lotta di donna.
Che senso hanno
le parole vuote di contenuto,
le ipocrisie di un rapporto
tra impari?
Parafrasi vuote,
occasionalmente curate
di un conformismo borghese
che é destinato a marcire.
Vuoto il mio cervello
dei soliti fronzoli colorati,
con gesti meccanici
freddamente predeterminati.
No, mi rifiuto!
sono in rivolta
con me stesso,
con il mio "io" che si agita
nell'incompostezza
della perduta supremazia.
Tu, hai vinto, donna!
Hai vinto il mio modello
di maschio dominante
che banalmente
recita una parte
che non gli é propria;
che gli é stata imposta
dalla violenza borghese.
Hai vinto
nel preciso momento
che ho compreso
la tua libera scelta
per un incontro
che di conquista
non conserva altro
che la matura consapevolezza
di un rapporto tra pari.
Hai vinto
nel preciso istante
che la tua pelle,
tutto il tuo corpo,
non subisce
l'avvilente violenza
di una carezza
guidata dal mio istinto
di maschio,
ma ogni nostro momento
rappresenta l'ultimo atto
di una scena
interiormente vissuta,
di un dialogo vivo
dove parole, carezze, baci, orgasmo
sono la naturale conclusione
del nostro libero arbitrio
ad un rapporto tra pari.

A piedi scalzi
Terzo millennio:
angoli di felicità
persi in un occidente
che sciupa il benessere
e più non apprezza
le piccole cose.
Rubinetti che sgorgano
incuranti della sete del mondo.
Luci sfavillanti
e centri illuminati a giorno
mentre nei villaggi africani
alle prime ombre
ognuno ristora le membra
in attesa dell’alba
e del nuovo sole,
che scaccia le tenebre
ed il buio profondo.
Orde viaggianti nel nulla:
coi fardelli pesanti sul capo
e a piedi scalzi.
E quei passi nudi persi tra le dune,
per strade polverose,
vaganti per sentieri sconosciuti,
mi tormentano il cuore
mentre cerco nella scarpiera
un modello di calzatura
che s’intoni al mio vestito
scuro.

La mosca
Ti scaccio, attorno mi voli,
ti fermi a guardarmi
dall'alto d'un quadro,
mentre ti lavi;
ritorni a poggiarti
sui capelli arruffati;
scacciata,
di nuovo t'appoggi a un orecchio.

Ti vedo, ti sento
non vuoi andar via.
Chi sei?

Sei l'anima, forse,
del bimbo ch'è morto?
Del bimbo non nato
ancor prima di me?

Ci penso alle volte:
un insetto,
una bianca farfalla,
un'ape ronzante.

Un'anima persa?

La vite
Modula
la tua
perfezione
sui difetti
degli altri.

Un nuovo nido
Tra le ginestre
salta un cardellino.
Ciuffi d’erba

coglie nel becco
e poi lesto s’invola
tra le acacie.

Un nido forma
tra i rami fioriti
e tra le spine.

Prime sessualità
Canta ancora,
la nenia al tuo bambino.
Dondola pian piano
Il pargolo adagiato sull’anca
appoggiata sul cavicchio
d’una sedia di paglia
e l’altra dondolante sul pavimento.
Fammi intravedere, ancora,
come un tempo,
con indifferenza,
il candore delle tue cosce
che s’allargano e si rinchiudono
scoprendo a tratti
le bianche mutandine
che m’han fatto sognare
approdi mai raggiunti.
Sbircio ancora
Il tuo seno prorompente
col capezzolo arrossato
affacciato dalla nera camicetta,
lasciato volutamente scoperto
dopo aver allattato il tuo bimbo.
Quante volte ho spiato
tra i rami del fiordangelo
le tue grazie
che con indifferenza
mi lasciavi alla vista.
E tu eri conscia
delle emozioni che provavo
e provavi,
tu, mamma-bambina,
che giocavi con indifferenza
a svegliare le mie prime sessualità
represse.

Dio che pena
Dio che pena mi fanno
questi potenti di turno,
piccoletti che vogliono sembrare giganti
indossando scarpe col tacco alto
o arrampicandosi sui gradini più elevati
per emergere dal gruppo.

Dio come sono patetici,
tronfi del loro potere
e dei soldi che hanno accumulato
sottraendoli ai legittimi proprietari.

Pensano di durare un’eternità,
ma nel volgere d’una stagione
passano
ed avvizziscono come le foglie,
e volano lontano dallo sguardo
di chi li ha sopportati
e di chi li ha
mollemente adulati.

Occhi di sole
Un giocattolo giace per terra
col cuore forato
dalla pallottola d’un cecchino
nascosti sui tetti di Sarajevo.
Giace al sole
con le spalle arrossate
del sangue del bimbo assassinato.
Occhi vitrei, privi di vita,
osservano la fuga sotto il sole
d’un popolo inerme
che piange sommesso,
mentre le bombe
devastano il centro storico della città.
Tutto attorno si gioca alla guerra:
l’odio nasce a sei anni
guardando la mamma distesa per terra
con i seni scoperti
e il pube violato e insanguinato.
Il tempo non conosce più età:
a dieci anni già uomini
e manca il tempo per essere bambini.
L’occhio va ancora alla culla,
alla serena protezione materna,
ormai persa da tempo.
Dai palazzi distrutti,
dalle case senza finestre,
si osserva il filmato
d’una violenza che non ha fine.
Gli occhi si plasmano
nell’accettazione
della disperazione quotidiana.
Un bimbo muore
mentre ignaro si disseta
sulle rovine d’una fontana rotta
che versa sulla piazza acqua coi vermi;
un altro raccoglie un pane,
ancora tra le mani d’un uomo
colpito a morte sulla piazza;
un terzo gioca in silenzio,
sparando tra le rovine
con un fucile senza caricatore.
E l’odio conquista
la sua parte di ragione
nella coscienza d’una generazione
che cresce e si vota alla morte
ancor prima d’essere adulta.
Sguardi ormai senza futuro
che annunciano, come nuvole procellose,
giorni di tempesta senza più sole.

Passerotto
Tu,
piccolo passerotto,
raccolto tremante sotto un nido,
col tuo beccuccio roseo
proteso quasi a difesa
d’un avversario
che ti teneva in pugno avvinto,
dove mai sei?
Dove mai sei volato,
dopo che di pasto satollo
te ne stavi sotto un tavolo appoggiato
a guardarmi
con quegli occhini tondi
e luccicanti?
Ti ritrovai all’alba, freddo
per il troppo pasto ingurgitato;
tu,
piccolo ancora implume,
ma che occorrevi festoso,
con brevi voli,
tra le mie sporche manine
e picchiettavi ai miei denti
pensando fosse pane
imbevuto di latte.
Dove l’anima tua se n’è volata,
dopo che il pianto mio
ti seppellì sotto quei quattro sassi
accanto all’uscio
d’una dimora ormai dimenticata?
Solo il ricordo stanco
ti insegue, mentre forse volteggi
libero nel cielo
e sei felice.

Pianto di bimbo
Pianto di bimbo,
garrulo, argentino,
che riempie d'infanzia
ogni riposto rifugio.
Pianto di bimbo,
gioia di una madre
ad amorevol cure intenta
ed a vezzeggiare.
Pianto bimbo,
dolce richiamo
del tempo che passa,
lugubre annuncio
della morte che arriva.

Pinocchio
(Dedicata ai politici)

Che pena mi fanno
il Gatto e la Volpe,
il primo senza uno zampino,
la seconda tutta spelacchiata.

Li vedo ogni tanto
affacciarsi dallo schermo
del mio televisore
ripetere la solita canzone
della politica da baraccone
che non incanta più la gente.

Ed ho pena per loro,
imbonitori da fiera paesana,
e tremo per me,
ultimo testimone senza più platea,
rimasto come uno spaventapasseri
a cui il vento ha spazzato via
la paglia e il cappello.

Ogni tanto
Ogni tanto
volgo lo sguardo alla fonte
e vo alla ricerca dei sogni
che sono scomparsi nel nulla.
Li cerco negli angoli bui,
nei vicoli,
che il sole più non carezza,
nelle lunghe notti d’estate,
tra lucciole e sonni sudati.
Invano
m’aggiro tra vecchie dimore
ormai abbandonate,
invano
scruto i balconi serrati
ed i vasi di fresie tutte seccate.
Invano
cerco un viso amato
affacciato a un verone,
che chiama
e mi chiede qualcosa.
Invano!
Mi resta questa mia disperata ricerca
di spazi dispersi nel nulla,
di corse per campi e sentieri
che sanno ancora di vecchi profumi
aggrappati alle siepi di gialla ginestra,
ridente su poggi e colline,
di glicini abbracciati ai cancelli
e di bimbe ridenti e chiassose
coi capelli arruffati,
spazzati dal vento.
Poi vedo, d’un tratto,
dei visi curiosi affacciati
alla casa che amai,
alla casa che serra ancora le voci
più care al mio cuore
ed un senso d’angoscia m’opprime,
mi strazia i pensieri
e m’offusca la mente.

Un volo spezzato
I tuoi sogni sono finiti
sui gradini d’una scala inospitale.
Hai nel cuore lo smarrimento,
cerchi forse il calore del nido
ormai perduto.
Ti muovi quasi stessi nuotando,
ma il cemento non risponde al tuo agitare
inconvulso d’ali
che non frangeranno, mai più, l’aria
sotto il tuo breve volo
dal tetto alla strada.

Già altre volte provai
a far vivere altri rondinini:
fuori dal nido
c’è la speranza di qualche giorno
d’angoscia
e, poi, la lenta agonia.

Meglio abbreviare una fine
che potrebbe essere orrenda
se ti ributtassi su un tetto qualsiasi
nella vana speranza che tu ritrovassi
le tue sicurezze perdute,
o ti lasciassi al gioco
crudele dei gatti.

Ma ora resta nel mio cuore
il dolore d’aver distrutto una vita.
Resta nel petto il tormento
dei tuoi deboli artigli
avvinti al mio dito,
resta nella mia memoria
il tuo vano stridio,
quasi alla ricerca d’un aiuto
che nessuno ha potuto donarti,
ed il tuo agitar d’ali
in una rapida agonia
che ho voluto anticiparti
per una forma di pietà
che detesto
e che mi farà soffrire
nel tempo.

Sillabo
Sarà poi vero che ai poveri
è riservato il cielo
dopo le sofferenze terrene?
Sarà poi vero che il Conte Ugolino
farà giustizia dei tanti Ruggieri
che infangano l'etica
di queste povere spiagge
dopo la nostra Resurrezione?
Io oso sperare
che la giustizia Divina
non si farà condizionare
dalle forze della conservazione.

"U ruzzuliuni"
(Al ruzzolone)

Mi sperdevo in quella immensità
di spazi verdeggianti,
aspiravo, avido,
un profumo di prato
e di ginestre.
Correvo, libero,
mentre l'erba accarezzava
i miei piedi scalzi
e frusciando
solleticava le mie gote
arrossate,
la mia fronte bagnata.
Era il mio rifugio,
mondo meraviglioso
fatto di sogni e di avventure,
dove i briganti
coi lor mantelli neri
custodivano tesori
e prigionieri;
ed io, cavaliere errante,
impastando l'argilla,
costruivo castelli
e principi regnanti.
Poi verso sera,
quando con un sorriso
il sol calava,
ritornavo al mio nido
povero di minestra,
ricco di affetti,
tutto sporco e sudato.
Mia madre urlava
parole dure,
che non facevan male,
parole amare
udite mille volte,
parole
che oggi
mi sembrano carezze.

Una goccia di mare
(A Suor Maria Claudia Russo)

Dove mai sei,
piccola madre degli oppressi?
La tua gente continua a soffrire,
nei vicoli dei paesi che ben conoscevi
e i bimbi chiedono del cibo
e dei giocattoli usati.
Ancor oggi
Le vecchie, accovacciate al sole,
ricamando le bianche lenzuola di lino,
ricordano le tue dolci parole
di conforto e d’amore
chiacchierando sommessamente
ed ogni tanto segnandosi
pronunciando il tuo nome.
Il sole s’affaccia sui vicoli
Tra le vecchie case
Malamente arredate.
Sulle finestre garofani e rose
Sorridono
Tra un vaso di prezzemolo
E di basilico.
Miseria e disoccupazione
Ancora imperano impassibili
E l’egoismo alza barriere
D’odio e di dolore
Tra la gente.
Una piccola donna
Visita premurosa qualche casa
Offrendo del cibo
E qualche indumento smesso.
Una goccia di speranza
In un mare di disperazione
Che però allieva qualche piccola pena.
Un minuscolo segnale di solidarietà!
Il tuo esempio,
Forse, non è stato vano?

Una sera diversa
Ti illudi che l'ombra
che avvolge la terra bruna,
dopo che il sole sfugge all'orizzonte,
porti il silenzio,
la serenità dell'anima.

Falsi furono i poeti,
falsi gli artisti.

Arriva la sera, muore solo il giorno
e le creature che vivono di sole
cercan riparo all'ombra delle querce,
nelle profonde tane.

Ma se accendi un lumino nella notte,
vedi continuità di vita attorno all'alone:
insetti, coleotteri, predatori notturni
che sorvolano il cielo
lanciando urli agghiaccianti,
frullare d'ali plananti
del pipistrello
che emette garruli squittii.

Lontano il richiamo della volpe,
il grugnito d'un cinghiale
e, nella radura ombre
di veloci cerbiatti
sparire su pei grotti.

La vita cambia solo il suo mantello:
volta la pagina delle usanze sue
ma continua senza mai fermarsi
a scorrere,
continua a trasformarsi
e rinnovarsi.

A Ungaretti
Da Cima 4 del San Michele
vedo levarsi il fumo
dell’ultima granata
che ha dilaniato
il corpo d’un alpino.

Tu guardi
quel corpo immobile
con gli occhi sgranati
e la bocca aperta
sull’ultima parola
rimasta incompiuta
tra le labbra.

Lo guardi
e pensi al fiume Nilo
che continua a scivolare
tra le bianche dune
della tua Alessandria.

Ti chiedi dei motivi
inutili
che t’hanno spinto
ad impugnare un moschetto
per uccidere un fratello
che ti spara addosso
da una collina vicina
e che forse si sta
anche lui chiedendo
dell’inutilità
d’una stupida guerra
che non vi appartiene.

Vangare
Vangare
la terra
sotto il sole
di marzo.
Asciugarsi
il sudore
con la mano
sporca
di terra.
Girare
lo sguardo
attorno
per misurare
il lavoro già fatto.
Sentire dentro
la gioia
di se servire
se stesso
ed il mondo.

Giorno verrà
Giorno verrà
In cui potrò vagare,
senza meta o frontiere,
di qua e di là del mare,
potrò andare a respirare l’aria
e inumidir la fronte
alle sacre sorgenti
dei lidi dei miei avi.
Potrò calcar la terra
ed ascoltare il rumor degli zoccoli
delle vecchie greche
di cui racchiudo in grembo
I geni più antichi.
Respirare l’aria
ricca di sandalo e oleandri,
asciugarmi la fronte
con la paglia profumata
raccolta qua e là
tra le rocce sospese sul mare.
Ascoltare la voce dei miei penati
confusa alla brezza che arriva dall’Eubea
o dalla Calcide
e sentir dire:
bentornato figliolo!

La vecchia fontana
Oggi
la vecchia fontana rivive!

L'intero paese è rimasto senz'acqua
e con fiaschi e bidoni la va a ritrovare,
le fa compagnia,
come un tempo.

L'acqua non scorre più via,
inutile e sola.

La vecchia fontana rivede qualcuno
di nuovo scambiare qualche parola,
come allora,
quando l'acqua non c'era in tutte le case,
e la gente faceva la fila,
paziente,
serena,
e parlava, parlava...
e non era mai sola!

6 Agosto 1945
(Anniversario Hiroshima)

Il nostro mondo era sempre lo stesso:
quello incantato delle favole!
Non ci accorgevamo neppure
della disperazione che aleggiava attorno
e dell’urlo straziante dei nostri parenti
che ci chiamavano.
Noi guardavamo gli aerei tra le nuvole
che brillavano contro il sole:
si rideva e si rincorreva
l’ombra bruna proiettata sui prati.
Ma il nostro riso di gioia
fu spezzato da un fungo di fuoco
disegnato nel cielo,
immenso, accecante,
e dalla nostra pelle
che volava a brandelli.
La nostra felicità
si sciolse in un urlo di terrore
che rimane scolpito
nella nostra memoria
ed in quella dei giusti.

A tutti
A tutti, a te, a voi,
a coloro che guardano
e non capiscono,
o non vogliono capire,
a coloro che tacciono
e vorrebbero urlare,
a coloro che vedono
e fingon d'esser ciechi.
A tutti, a te, a voi,
a coloro che ignorano
di vivere per gli altri,
perché senza gli altri
non avrebbe senso vivere.
A coloro che fingono
di non capire
il senso delle cose,
a questi io dico:
capite, urlate,
guardate, vivete
il senso delle cose
che vi sono attorno
e che vivono per voi.

Alla botte
Per un attimo, un solo attimo,
ti prego, Dio,
fammi tornare a vivere
i miei sedici anni,
sul dolce pendio fiorito de “la Botte”.
Sentirmi accarezzare, di nuovo,
la schiena dalla dolce brezza marina,
rivedere i riflessi lucenti
del sole sulle onde dello Stretto
e il mio cane “Lupo”
adagiato ai miei piedi.

Io ti prego, Dio,
ma tu non ascolti le mie parole,
non esaudisci le mie preghiere.

Ma io li vivo lo stesso,
quei momenti,
e irrido il tuo potere
che lascia gli umani
coi loro desideri insoddisfatti
e le loro speranze irrealizzate.

Amo tanto le bestie
Amo tanto le bestie
perché nel loro regno
vince l’istinto ma regna l’equilibrio.
Sarà difficile che un leone
cacci ed uccida
per togliere la vita o per piacere.
Anche i serpenti,
pur se velenosi,
dopo aver inghiottito
il topolino
se ne stanno tranquilli a digerire
anche se un altro roditore
gli scorre da vicino
o gli saltella scioccamente attorno.
L’uomo, invece,
è una bestia irrazionale,
l’essere più dannoso del creato.
Dopo la fine della evoluzione,
quando ancora rispettava la natura,
e dopo aver deposto l’abito bestiale,
ha incominciato a uccidere
la stessa specie sua d’appartenenza
a volte anche per frivolo piacere.
La guerra è l’espressione sconcertante
di questa sua diversità di specie
che tanti lutti genera nel mondo
e tanti pianti nei cuori e nelle menti.
La caccia per diletto,
o per bieco e frivolo interesse,
è poi l’aspetto sconcertante
della suo istinto di razza prepotente.
Solo la sua estinzione
riporterebbe l’equilibrio al mondo
e la natura in pace
dalla sua nullità rinascerebbe.

Autunno
Occhi tardivi,
stanchi,
immagini perse all’orizzonte
tra un rotolar di foglie
e un dondolare stanco
di rami quasi spogli.
Nebbie diffuse,
a tratti,
a celar prati
e boschi
e laghi.
Stormi confusi,
a sera;
voli radenti
ed ondeggianti
tra cielo e terra,
a ricercare alberi
spenti
ed olmi ormai
cadenti.

Bianchi gabbiani
Bianchi gabbiani, che sfiorate il mare,
che nei suoi flutti poi v'inabissate
e con un pesce nel becco rispuntate
continuando sull'onda a veleggiare,

vorrei un po’ con voi il ciel solcare
e sperdermi sotto i raggi della luna,
sonnecchiar poi ai bordi d'una duna,
dal primo sole farmi risvegliare.

Portatemi con voi, siate gentili
insegnatemi ad affrontare la tempesta,
fate che il cuore mio sia sempre in festa
tra pesci, seppie, ostriche e mitili.

Fatemi dimenticar tutti gli affanni
che circondano la vita degli umani:
la casa, i soldi, tutti i tormenti strani
che ci affliggono sin dai primi anni

di nostra vita, di nostra conoscenza,
che ci fanno inseguire sogni arcani,
costruiti in mondi a noi lontani
e che regalano solo sofferenza.

Portatemi con voi, sul mare mosso
dove mi sferza il vento e l'onda nera
ch'io ritrovi tra i colori della sera
l'odor dell'alghe e un ciel tinto di rosso.

Oh, caldo sole....
Oh, caldo sole,
che il bel color riporti in mente
del mio mare lontano,
come t'amo e mi manchi.
Tra le nubi, nere di bufera,
tu schizzi,
giallognolo e dormiente,
come un serpe
che guizza e poi si cheta.
Fredde le membra,
in questo mio
secondo giorno di torpore,
impaziente attendo
che il ciel si rassereni,
che il monte si schiarisca,
come quando, passata la bufera,
chiaro lo stretto siculo s'apriva
e le due sponde
l'iride abbracciava.
Ora son qui, solingo a riguardare,
dalla finestra chiusa,
le montagne imbiancate,
mentre rincorro ancor lieto e gioioso
i miei sentieri,
colmi di giovanili emozioni
e di progetti,
e i dì che ancor guazzavo a piedi scalzi
in acque salse ancor tiepide e chiare.
Ed era ottobre avanzato
e il sole m’asciugava ancor la pelle!
Or sui miei sogni saltellano i fantasmi,
rei pellegrini vuoti di promesse
che inutilmente regalano sorrisi
svaniti nel mare
dei miei giorni persi.

Cerco...
Cerco,
in una ragnatela di strade,
quella, polverosa e bianca,
che percorrevo un tempo,
coi miei calzoni corti
e a piedi scalzi,
costeggiata da acacie
e siepi ridenti di more.
E' una strada assolata,
rotta da un concerto
di passeri e cicale,
d'abbaiar di cani,
dal chiocciar di galline,
dal gracidar di rane.
Suoni indistinti, ormai,
d'un tempo sconosciuto,
quadro sbiadito e vago
d'un vissuto ormai vuoto.
Or, qui, seduto,
tra la neve che cade,
inseguo con tristezza
un carrettino
trascinato ad uno spago,
rivedo con rimpianto
un bimbo scalzo,
sorridente,
coi calzoni corti.

Gli anni
Chi sono io,
povero pellegrino
che in giro me ne vo
trascinando un sacco
colmo di cose inutili e precarie?
Viaggio, cantando alla luna.
che bizzosa m’irride
e guarda
e sogghigna
e tace.

Chi sono io,
povero pellegrino,
che m’abbevero
all’acqua d’una fonte scarna,
che balbetta bolle
e scivola pigra tra i sassi
della sua sorgente?

M’accompagna l’odore dei fieni
appena tagliati,
che profumano di gioventù.

Oh, Dio, come il tempo scorre!

Ho travasato gli anni
da una grossa damigiana
ed ho riempito 75
bottiglie bordolesi.

Ad una ad una le consumo,
annualmente,
ed allineo i vuoti impaziente.
Sessantacinque sono già vuotate.

Se arriverò a bere le restanti
mi toccherà allor comprare
un’altra damigiana
piccolina.

Cipressi
Mesti cipressi,
tremuli lumini
accolgono
il tuo corpo
freddo, pallido, finito !
La terra scavata di fresco
emana uno sgradevole odore,
accoglie il tuo corpo
e lo nasconde,
mentre la neve
ti regala
un ultimo gioco di vita:
farfalle bianche
che si rincorrono
in un cielo mesto
del color di morte.

Civiltà
Una civiltà sta morendo:
alla finestra del 2000
si affaccia
una nuova cultura di morte.
Là dov'era il grano
ora sorge il deserto.
I sentieri antichi
sono spariti.
Muri e muraglie
non fermano più gli invasori.
La morte arriva dal cielo
seguendo i segnali
che attraversano gli spazi siderali
e s'infrangono sui ripetitori
della televisione.
Gli gnomi
sono sconfitti dai giganti.
La disperazione
ha avuto il sopravvento
sulla speranza.

Contestazione
Facciamo
più rumore noi
con il nostro silenzio
che non le cannonate.
Inutilmente
sposterete i nostri corpi immobili
dall’asfalto
o ci inonderete
con i getti violenti dei vostri idranti.
Il nostro dissenso
schiaffeggerà sempre
la vostra strana giustizia
tesa a ristabilire equilibri
che la storia ha condannato
per sempre.

Rimpianto
(A mia madre)

Cosa mai dirò al mio cuore,
ora che l’ultima goccia del mio amore
s’è sparsa
come un’ultima acqua
caduta da un orcio spezzato?
Rimane solo l’eco lontano
di parole dette a mezz’aria
che ricordo appena, confuse,
frammiste al rumore ed al fischio
d’un treno che andava.
E quella stazione, ora vuota,
senza più fazzoletti ondeggianti
e lacrime sparse, e sincere,
m’appare come un mondo perduto.
Sembra un vecchio rifugio
lasciato,
tante volte pensato,
con nel petto una certa speranza
di tornare forse per sempre
e vivere gli ultimi giorni
sdraiato come un tempo
su una spiaggia pietrosa
al sole d’agosto,
per accecare i pensieri,
e scaldare un poco
il mio animo in pena.

Cos’è il tempo
Il tempo
è lo scorrere dei secondi,
è il rimbalzar dell’ora
sul desktop del mio pc.
Scorre su e giù per lo schermo,
rimbalza lento ai bordi del video
e s’adagia pigro
sulla barra degli strumenti.

Il tempo
è l’acqua che scorre veloce
nella pianura
e si perde
oltre il ponte sulla ferrovia.

Il tempo
è il sonno che sfiora le membra
e fa chiudere gli occhi,
è il risveglio del mattino.

Il tempo
è il bimbo che nasce
e l’uomo maturo
che s’addormenta per sempre.

Un orologio a cucù
Lo guardavo sovente
appeso a quel muro bianco e scrostato,
allora,
ancora giovanetto,
durante i miei viaggi,
dei quali ritardavo il ritorno.
Ogni mattina
una mano, con delicatezza,
tirava la catenella del pendolo
per ricaricarlo
ed il cucù si affacciava
e le porgeva un saluto.
Poi, un giorno,
quella mano si fermò per sempre.
Anche il pendolo
smise di scandire
il tempo,
ed il verso di quel cucù
si è perso in qualche angolo,
dimenticato
come quella mano.

Davanti al mio PC
Me ne sto tranquillo nel mio regno,
alla mia destra il mouse tra le dita,
a portata di mano la tastiera
e a mezzo metro il video acceso
con aperta una pagina di word.

Alla sinistra il mio televisore
trasmette immagini di guerra!

S’alzano lamenti di feriti,
molti i bimbi piangenti e insanguinati:
chi senza un braccio
e chi senza una gamba,
ma qualcun altro ancor più sfortunato
perché ambo le braccia
gli hanno già amputato.

Io batto ritmicamente la tastiera
e le parole costruisco.
M’attardo a cercare un verso giusto
che possa descriver l’emozione
che s’agita nel cuore
mentre ascolto mia moglie
assai provata
nel veder tanta gente mutilata
e molt’altra che soffre in ospedale.

Dio mio, la sento esclamare addolorata,
e il suo dolore rimbalza sui miei tasti
e m’accompagna mentre confeziono
le mie poche parole
che nessuno vuole più ascoltare.

Il tempo dei sogni
da un pezzo ormai è finito:
un’era nuova e cieca
annegherà ogni speranza umana,
distruggendo la fede
e cancellando i sogni e l’utopia?

Alla deriva
Alla deriva su una barchetta di carta
spinta da un soffio di vento
verso lidi a me ignoti.
Volo in silenzio
su un mare liscio come l’olio
e scuro come la pece più nera.
I pesci chinano la testa:
invano cercano un cibo
che possa sembrare appetibile
e che ormai è diventato introvabile.
Inutilmente il cielo,
che vomita nel mare
il pianto di un Dio che non perdona,
cerca di rispecchiare
i suoi colori
che ormai sembrano spenti.

Cremazione
L'amico:
M'han detto che vuoi farti cremare,
quando esalerai l'ultimo respiro.
Dico: sei mica matto per giocare
a tutti quanti questo brutto tiro?
Pensa a chi si reca al cimitero
a pregar là dove sei sepolto,
e sa che lì c'è solo un tizzo nero
ed un pugno di polvere raccolto
dentro un'urna d'argilla colorata.
Eppure tu lo sai: chi resta in vita
parla, sopra la tomba illuminata,
con la salma e pensa sia assopita.
Si illude che l'estinto stia a sentire;
e gli racconta le sue disavventure
o le cose che ha sentito dire,
e lo fa con tutte le premure
che si usa con una persona viva;
ma se manca il corpo nella bara
chi davanti alla tua tomba arriva
rimane con la bocca un poco amara.

La risposta:
Vedo che sei il solito egoista
come sempre pensi per te stesso,
cerca di non perdere di vista
il problema finale che è complesso.
Quello che pensi tu non conta molto,
dentro la tomba giace freddo un morto:
se non ragioni così tu sei uno stolto
e ti illudi di parlar col vivo a torto.
Un morto, che si sta decomponendo,
e se ci pensi dovresti aver ribrezzo
di saper che un amico stia dormendo
tra il liquame putrido ed il lezzo.
Ovvia, perché ti ostini a non pensare
al problema, e a come va affrontato?
La morte è morte se ti fai atterrare,
ma è morte pulita se tu sei cremato.
Sacra è la cenere d'un caro defunto:
nei tempi antichi veniva benedetto
chi la teneva dentro l'urna appunto
e la inondava d'incenso sotto il tetto,
proprio dentro quelle stesse mura
dove aveva vissuto chi moriva,
ch'era convinto, con tale sepoltura,
d'esser curato come persona viva.
E poi, non pensi al lurido mercato
delle luci, dei fiori, delle tombe
mentre attorno c'è un popolo affamato
che non gradisce d'ascoltar le trombe
della tua dissennata vanità?
Pensa ai problemi, quelli tanto veri
di sottrarre la terra alla città
per ingrandire soltanto i cimiteri.
Guardati attorno, ai paesi in guerra,
pensa lo scempio fatto dalle bombe,
coi cadaveri sparsi intorno a terra
o coi cani che scavan tra le tombe.
Il morto le cure le gradisce
mentre sta in vita, quando ne ha bisogno.
Quando è morto sicuro non patisce,
non culla nella tomba altro suo sogno.

Dio non c'è
Ma dove sta Dio
quando uccidono la gente?
Dov'è nascosto
quando nel mondo
lo sfruttamento dei minori
falcia le vite umane?
In quale nuvola si nasconde
quando la cattiveria umana
spazza via
tutti i sentimenti umani?

Questo Dio
per nulla mi somiglia,
è un Dio crudele
che io non riconosco,
un Dio che io ripudio.

Se il male impera in questo mondo,
se la giustizia viaggia solo su nel cielo,
io che sto coi piedi sul terreno,
odio questo Dio che sta a guardare,
ignoro questo Dio
che io detesto.

Donare tutto l’amore
Poter donare tutto l‘amore
che si ha dentro,
ad di fuori dei conformismi
e delle regole
che imprigionano i sentimenti!

Accorgersi che il tuo amore
è sciupato,
inutilizzato,
buttato via
come l’acqua sudicia
di una bacinella,
mentre tante anime
la berrebbero avidamente!

Poter donare
anche i desideri repressi,
che rinverdiscono i pensieri
e gli istinti
e rendono piacevole un rapporto.

Poter catturare
gli aliti di fantasia
che si dondolano malinconicamente
sulla ragnatela
dei sentimenti inespressi
e dare sfogo
alle proprie insoddisfazioni
senza il timore del peccato.

E son trent’anni
E son trent'anni che ti sto lontano
è germogliato ed han tagliato il grano
il contadino ha già bevuto il vino
la botte è vuota,
vuota come il cuor.
Il treno parte per il mio paese,
io resto immobile qui, nella stazione,
c'è gente che saluta,
(piange il cuore!),
loro ti rivedranno
io non so più.

Non mi ricordo ormai dei tuoi capelli,
appena mi risuona la tua voce,
sono passati ormai gli anni più belli,
ed io son qui lontan, son Cristo in Croce.
E' vero non mi sanguinano le mani,
ma questa piaga aperta dentro il cuore,
sanguina ancor di più del mio rancore.
Rancore per un mondo ormai perduto,
per i miei sogni nel mare sprofondati
per questa vita persa nel frastuono degli alti forni,
smarrita nel fumo delle sue colate.

Il tempo passa è ver,
ma che rimane di questa vita,
ormai diseredata,
di questo cuore che batte dentro un petto
senza speranza, senza sentimento?
Appena volgo lo sguardo alla sorgente
non vedo più una madre sorridente,
non vedo una sorella premurosa,
non vedo un padre pur se prepotente,
non vedo più una casa,
ormai venduta.

Quello che resta è qui,
dentro il mio cuore:
sono i ricordi.
E' quelli non li vendo:
son lì, come dei panni in un cassetto,
a volte son lasciati abbandonati,
a volte, pur se stretti, li rimetto.

Egoismo
Non offrirmi quel fiore,
quel fiore d’amore,
in questo mondo d’odio
e di paura.

Si spaccano le pietre
rabbrividiscono
per l’omicidio volontario
della guerra irrazionale.

Seccano le sorgenti,
pur sempre vive,
per i veleni che trasportano
e che distruggono la vita.

Si inaridiscono gli animi
per l’ingordigia
sempre più spregiudicata,
per l’egoismo
sempre più esasperato.

Non offrirmi quel fiore,
quel fiore d’amore
in questo mondo d’odio
e di paura.

Enalotto
Si attende con ansia
l'estrazione.

Si sogna,
si costruiscono castelli,
si pensa a tante buone azioni.

Poi sul video
scorrono i numeri
e sfumano i pensieri.

Si rinviano i sogni
alla prossima estrazione.

Bosnia
Le trote
guizzano saettanti
lungo i corsi impetuosi
dei fiumi bosniaci.
In mezzo alle rovine
della grande diga abbattuta
colonie di pesci scivolano tra i sassi
alla ricerca di cibo,
ignari della odissea
delle altre specie animali.
I campi sono deserti,
le case sventrate,
mentre torme di cani annusano l'aria
alla ricerca di cadaveri in putrefazione.
Dal cielo sono scomparse le colombe
e gli uccelli sono emigrati anzitempo
in cerca di nidi sicuri per la procreazione.
Aleggia sulla terra
l'ombra furtiva della morte,
annunciata dal saettar dei razzi,
e dallo scoppiar delle granate
in mezzo ad una popolazione
incredula ed inerme,
che attonita s'interroga
del perché
di queste inutili atrocità.

Età
All'alba
le scale
sembrano meno ripide,
ma quando il sole
raggiunge il tramonto
ed anche le ombre
sembrano più opprimenti
allora anche discenderle
diventa pesante.

E t n a
E' sera.
L'ombra ha coperto
d'un fitto mistero
ogni angolo, ogni vicolo.
Nel cielo
si staglia coperta di neve
l'Etna superba.
Bagliori rossastri
inondano lo spazio
al di là dello stretto:
lapilli incandescenti,
come giochi pirotecnici,
saettano verso il cielo.
Un brontolio,
quasi un sordo rumore,
s'alza dalle viscere inquiete
e si perde sul mare.
Cala,dai fianchi scoscesi
un fiume di lava,
che spande intorno
un aspro odor di zolfo
e di ginestra bruciata.

Europa
Il ricordo della storia è ingrato:
ingrato e stanco.
Milioni di morti
per difendere tante patrie
che oggi non hanno più confine.
Morti che gridano vendetta,
reclamano giustizia,
perché la loro sete di pace
giace nel fango delle trincee del Carso,
si sperde tra l'urlo della tormenta
dell'Adamello o del San Michele,
è sepolta nel limo del Piave
o affiora ancora tra le onde
del golfo di Trieste.
Ancor oggi il solito burattinaio
gioca al massacro
con nuovi fanti armati
che invocano la pace
e continuano a morire
per una patria che non ha confini.

Evasione
Andare a piedi
rincorrendo la linea della spiaggia
che si perde,
tra cabine ed ombrelloni,
in un confuso contorno
all'orizzonte
che fonde il cielo col mare.

Sbirciare,
tra i pennoni ondeggianti
dei pescherecci all'ancora
lungo il molo,
il sole
che filtra tra le reti tese
a fianco dei canneti
e che ricama d'argento i rigagnoli
che si perdono
lungo una pianura nebbiosa.

Un fante austriaco
Una mano appesa al reticolato,
che ormai più non punge;
l'altra allungata
quasi ad accarezzare l'erba del prato;
il corpo disteso tra i sassi,
gli scarponi chiodati
che splendono al sole,
il suo silenzio desolante.
Povero fante austriaco,
senza nome,
quanto somigli ai morti miei
caduti per una Patria
assetata di sangue contadino.

Fermare il tempo
Tante volte
mi crogiolo nella mia pigrizia
e spero così di fermare il mio tempo
e d’allungare la vita.
Che noia mi danno
quelle persone che affermano
di voler fare qualcosa
per far scorrere il tempo
senza pensare che ogni giorno che passa
è una frazione di vita che se ne va.
Capita a volte,
e molti ne hanno vissuta l’esperienza,
che un acciacco improvviso ti colpisca.
Ed il male che t’assale
t’assilla ed infastidisce enormemente
e vorresti che il tempo passasse
più in fretta
per cancellare il dolore
che t’affligge.
Solo in questi momenti
t’accorgi con pena
com’è difficile far fuggire le ore
ed osservi con rancore
la lentezza delle lancette
dell’orologio sul muro
che sembrano vogliano indispettirti
a non far scorrere il tempo.

Fior d’angelo
Ricordo una stradina
che s’inerpicava fino in cielo.
Da lassù il mare splendeva
come un brillante
appeso al collo di una donna.
Una via lastricata da ciottoli
e cinta da vecchie case;
rallegrata da grida di bimbi
e veroni imbiancati
da mughetti profumati,
abbracciati
in stretti vasi di coccio.
E, sui gradini d’una vecchia scala,
un fior d’angelo
che sfidava il cielo
coi rami ricamati
da petali imbiancati.
Lo sfioravo al mattino,
passando coi libri sotto il braccio.
Poi uno stelo staccavo
e lo fiutavo felice.
A scuola, discreto,
lo deponevo sul banco d’una compagna,
che m’ispirava dolci pensieri.
Ma, un giorno,
non ritrovai più il fior d’angelo nel vaso
e quella scala affondò nell’ombra,
senza più un sorriso
e senza più colore.

Comignoli
Silenti
fumano
i comignoli
sui tetti
bianchi di neve.
Simili
a vaghe ombre
di vecchi sonnolenti
spargono
pel cielo bigio
il loro alito
acre
di castagno

Fuori dal mondo
Un tempo ho anche dipinto:
dipinto dei quadri
di borghi sperduti
tra i monti.
Ho anche
dipinto delle vecchie cascine,
disperse
in vallate gelate
in pianure assolate.
E strano:
ci penso ancor oggi!
In quei vicoli antichi
regnava sovrano il silenzio,
nessuna presenza
allietava le casi e le corti.
La pace,
ricerca di oblio,
la fuga dal mondo,
da tutto,
aleggiava in quel tempo,
in quei quadri.
E ancor oggi,
come un’anima in pena
silenzio e ristoro
ricerco,
solitario,
al di fuori del mondo.

Gelsomini
Lungo la statale ionica,
che da San Lorenzo va a Brancaleone,
una distesa bianca fino al mare
di bianchi gelsomini.
Il sole già colora la collina
ed un esercito di donne,
ancora tutte arruffate e coi bambini
coi i corbelli di vimini
colgono in fretta le bianche corolle
prima che il sole ne appassisca
i petali delicati.
Profumo e lavoro,
delicatezza e sudore
ricchezza e miseria
s’intrecciano su questa terra amara
che ancor oggi regala
orrori ed odori
in par misura.

Il contadino
Sotto il sole d'aprile o d'agosto,
hai zappato le zolle indurite
sotto un albero all'ombra nascosto
hai asciugato le mani incallite;

il tuo corpo hai nutrito con pane,
cacio, vino e alcune cipolle,
t’ha cullato il grè-grè delle rane
riposando su un letto di zolle.

Ma che vita Dio t'ha donato?
Cosa avanza a cotanta fatica?
Dopo aver per più dì lavorato
non raccogli neppure una spiga.

Sento tutti parlar di giustizia,
di un’equa mercede al lavoro,
io m’accorgo che solo mestizia
tu guadagni e poco ristoro.

La tua gente ha sempre versato
alti costi in ogni stagione,
i tuoi figli alla patria hai donato,
e invano li hai attesi in stazione.

Han pagato poi, nuovi prezzi:
operai nelle grandi officine,
costruendo sempre i soliti pezzi
e sognando un coccodè di galline.

Ancor oggi attendi che il conto
qualcheduno alla fine pareggi
ma t’illudono col solito acconto
e la vita degli altri sorreggi.

La sorreggi col tuo duro lavoro
sempre curvo a scavare nei campi
senza ferie, ne svago o ristoro
col sudor sotto il sole e coi lampi.

Il telefono
Oggi un amico m’ha fatto una sorpresa:
al cellulare m’ha chiesto come stavo
perché notizie da un po’ più non gli davo
e il mio silenzio turbava la sua attesa.

Così, parlando un po’ del più e del meno,
e degli acciacchi che avanzano con gli anni,
(che non mi avean creato gravi affanni),
gli ho riportato nell’animo il sereno.

A dire il vero, m’ha fatto anche piacere,
saper che tanti amici s’erano allarmati
del mio silenzio, e un po’ preoccupati
qualche notizia cercavano d’avere.

Così, d’un colpo, (io che l’odio a fondo)
ho valutato, purtroppo, l’importanza
del telefono fisso, ché dalla tua stanza
con internet ti fa abbracciare il mondo.

Ed ho provato un piccolo rimpianto
ché questi amici non posso or salutare
ma con Lorenzo l’ho potuto fare
e a lor dirà che li ringrazio tanto.

Dubbio
Pochi rintocchi,
scarni, noiosi, stanchi,
delle campane di Sant'Orso.
L'alba é spuntata
da poco.
Guardo il cielo
che già si tinge
di giorno.
Ma il mio
è uno sguardo assente,
che corre lontano
e spazia nel silenzio
in cerca di risposte
che nessuno sa offrirmi.
Penso
intensamente
a soluzioni a me chiare
ma che per molti
rimangono sfuggenti
e che non riesco a chiarire.
Forse rappresentano
l'immagine della situazione
d'indeterminatezza
in cui mi trovo
e che mi tormenta.

Tristezza
Il mio cuore
é triste,
triste
come una sentinella
che attende
che finisca
il suo turno di guardia
in una notte
di bufera.

Il processo
Io sono qui,
e voi non ci pensate,
ma questo processo sta per terminare.
Voi siete in dieci,
sembrate indaffarati,
ma ognun di voi pensa all'indomani.
Chi fugge dal lavoro,
chi si sente realizzato,
chi si vede snobbato,
chi pensa d'esser Dio.
E io son qui,
penso agli affanni miei,
a questa sorte che non ho cercato,
che come una tegola
sulla testa d'un tratto m'é caduta.
Ma già sto costruendo il mio domani,
e godo della delusion che proverete.
Penso ai progetti
che vi salteranno, tutti.
Penso al colpo che riceverete
quando vi porteranno a conoscenza
che il processo con oggi s'è concluso
per l'improvvisa scomparsa dell'unico imputato.
Vedo la vostra rabbia
per essere costretti a ritornare
al vostro lavoro monotono e abituale,
di rientrare nell'anonimato,
di non poter di nuovo raccontare
della mia faccia tosta,
della mia presunzione,
della certezza della mia colpevolezza.
E mentre tornerete nel limbo dei comuni
il mio spirito infin potrà volare
libero in cielo senza le fredde sbarre
che non lo potranno più fermare.

Immagini
I suoni
della mia adolescenza,
a me tanto cari,
da me tanto lontani,
mi ritornano in mente
tante volte
nel silenzio dei miei pomeriggi.
Rivedo
bocche tremanti,
risento
fischi distanti
e cani ululare
e il vento soffiare,
le fronde stormire
e i grilli cantare.
I suoni
della mia adolescenza
me li porto nel cuore
come ricordi stanchi:
vecchie fotografie
sempre più sbiadite,
ma che conservano i tratti
d'un tempo
che mi appartiene.

In fuga
Spinsi la barca,
gli uomini incitai:
folle urlanti
verso lidi senza un approdo certo
io portai.

Non era credo,
non era ideologia:
forse fu convenienza, conformismo?

Il veleggiare senza vento in poppa
se non si rema con vigor, con convinzione,
si rischia di naufragare
nell'indifferenza.

Alla speranza,
ai giorni della partecipazione,
segue la triste realtà
d'una resa senza condizione.

Allor meglio la fuga,
il riscoprire tutta una realtà
fra quattro mura
ed aspettare che finisca
ognun la sua suonata
e poter risuonar forse più forte
di nuovo con la mazza su un tamburo.

Indipendenza
Ora i ponti
stanno per essere tagliati.
T’accorgi a un tratto
che il tuo ruolo è finito!
Basta con i consigli,
lascia da parte
gli inutili discorsi
che restano a mezz’aria
e si sciolgono
come chicchi di grandine
caduta
in un giorno d‘estate.
Ognuno va’ per la sua strada:
i tuoi pensieri fermentano
e costruiscono situazioni
che nessuno più accetta.
L’ascia cade sul ceppo;
a volte taglia nel centro
a volte solo lo sfiora.
Il fiume della vita scorre,
con le sue piene
e la sua aridità
e i sorrisi si fermano
su sponde melmose
ed affogano nel limo
senza alcuna pietà.
Invano tendi la mano,
invano sorreggi e guidi:
le tue parole si disperdono
nell’inutilità del tuo rimpianto,
nel silenzio del tuo risentimento.

L'infinito
Annegai nella mia pigrizia
anch'io, quell'anno,
convinto
d'essere ormai promosso
in italiano.

Quella siepe
mi bloccò il passaggio
e quell'estate
mi tocco studiare
invece d'inseguir
ozii di mare.

E sognai anch'io
quell'ermo colle
e me l'immaginai
disperso sopra un monte
che ritrovai
dopo tanti anni avanti
pieno di gente
e pieno di rumore.

Inganno
Tu
mi accarezzi
i capelli
e mi parli
delle tue
insicurezze,
come se io
ti potessi
liberare
dalle oppressioni
che affogano
anche
il mio essere.
Vorrei poterti
strappare all'inganno
di un mondo
che non ci appartiene.

Religione
Io dovrei
credere a un Dio
di mille colori,
che diventa unica Verità
in ogni continente?

Io dovrei
lottare per un Dio,
che è l'unica Verità,
trucidando
il fratello
che non si riconosce
nel mio credo?

Io dovrei
subire una Verità
confezionata nei laboratori
di vili mercanti
che contrabbandano per amore
l'odio di religione
e giustificano l'omicidio
nel nome del loro Dio?

Japigia
Lungo la strada statale
che da Bari porta al Salento
li vedo gli ulivi
da cent’anni abbracciati tra loro,
con i tronchi contorti
che ricamano figure grottesche
di divinità mitologiche.

Sognano,
sulle radici assopiti,
gli esuli d’Eubea
che ripararono tra le sponde
di identico mare
in patria novella
lontani dai tiranni invasori.

Nuova linfa ristora
i guerrieri Japigi
che han deposto le armi,
e il vento che spira
dalle vicine isole greche
porta a volte il profumo
della patria lontana.

E noi esuli,
che trasciniamo i nostri corpi
in contrade sconosciute,
che la madre lontana sogniamo,
allunghiamo la mano
oltre il ponto a noi amico
e con l'occhio spaziamo
sulle vecchie dimore
dei nostri Penati,
e le ceneri care,
frammiste alle zolle
nelle urne sacrali,
tra incensi e ginestre,
ancora onoriamo.

Gli ulivi ora scuotono i rami
e la terra di semi oleosi
ricoprono tutta,
affinché il rito sia uguale,
la fatica sia uguale
ed il pianto ancor esso
sia uguale,
sia sempre lo stesso.

La ghiandaia
Nel cielo voli
nuovi confondono
la ghiandaia,

appollaiata
sulle querce antiche.
Lancia un urlo

verso le vette
dove il suo compagno
resta silente.

La grande umanità
La "grande umanità"
non esiste più.
Insieme
al suo muro di Berlino
é crollato
il velo delle verità
dell'ipocrisia ideologica.
Immagini spietate,
si affacciano
alla finestra del 2000,
immagini
di vecchi senza speranza,
di giovani senza futuro,
di bimbi depredati
della loro innocenza.
Oh, Internazionale,
Internazionale!
quale barbarie
stai rappresentando
agli occhi attoniti
di una intera generazione?
La tua storia,
grande storia,
si chiude in miseria.
Dei tuoi grandi ideali,
del tuo solidarismo,
rimangono solo turpi mercati
d'organi umani,
sottratti con inganno e violenza
a corpi giovinetti
d'innocenti.

La neve
Come lievi
ali di rondine
plananti,
fruscii
appena percettibili,
s'adagia
bianca sui tetti
disegnando
goffe forme
di camini
ed alberi nudi.
Fantasmi irosi
che danzano
nell'inconscio
della mia fantasia
sempre inquieta,
dei miei pensieri
sempre instabili
e sospettosi.

Giorgio La Pira
Quante volte quelle parole ho ripensato,
buttate come un seme tra quei banchi
da quell'omino, che non ho scordato,
e che rivedo ormai con gli occhi stanchi.

Parole, trascinate via dal vento,
quando non si stava ad ascoltare,
ma che son ritornate ogni momento
se un dubbio mi stava a tormentare.

Parole forti, contro ogni violenza,
quella subita, nel periodo fascista,
parole dolci, per invocar clemenza
per quanti uscivan dalla diritta pista.

Parole amare, per deboli e sfruttati,
che non hanno alcun mezzo di difesa,
parole severe, per l'indifferenza degli stati
agli eccidi di gente povera e indifesa.

Semenza, sì, era proprio semenza
caduta in parte su un arido terreno,
ma tant'altra ha generato conoscenza,
amor per gli altri, ricerca del sereno

nei rapporti interni alla famiglia,
nelle relazioni umane tra le genti,
nel rispetto per chi non ti somiglia,
restando vivo tra gli indifferenti.

Quelle parole oneste oggi risento
e sembrano assordanti dentro il cuore,
oggi, che tanti in questo firmamento
non seguon più la strada del Signore.

Per mano
La tua mano,
mamma,
lontana, calda,
stretta alla mia,
per via,
non mi abbandona,
non mi lascia solo un momento.

L'afferro ancora,
qualche volta,
quando la vita mi precipita addosso;
ma quel gelido contatto
mi tormenta il cuore,
m'opprime la mente.

L'ala rotta
D'improvviso un colpo, due colpi!
Un bagliore, giù, nel fosso,
un dolore intenso,
cupo, nel corpo
e la terra s'avvicina.
Un tonfo!
uno svolazzar d'ali
inutile tra l'erba alta.
Il cielo su in alto,
lo smarrimento, l'ansia,
il dolore, la paura.
Sgorga abbondante il sangue,
dalla ferita aperta
nel costato.
L'ala penzola impotente
e il cielo resta su in alto.
Mentre altre tortore
svolazzano nel cielo,
ed il compagno
manda l'urlo cupo nel cielo,
guarda impotente
le cime degli alberi ondeggiare,
i campanili con le croci spente,
le antenne
che continuano a ondeggiare,
i tetti coi comignoli fumare.
Guarda impotente il cielo:
più non potrà volare,
più non potrà le nuvole sfondare,
le valli, i fiumi, le case,
i boschi dall'alto sorvolare;
più non potrà dai rami
i piccoli chiamare,
più non potrà cantare.

Una goccia
Una goccia,
una piccola,
insignificante,
una misera goccia
se esposta al sole
svanirebbe nel nulla.

Ma cento gocce,
mille gocce,
miliardi di miliardi di gocce
rompono i ponti
e distruggono strade e villaggi.

Eppure chi ha timore
Di un piccola goccia?

Un saluto
Se mi porgi un saluto,
al mattino,
sii gentile, sincero.

Il buon giorno che porgi a un passante,
che tu incontri per caso
mentre aspetta alla fermata del bus,
od al bar sorbendo un caffè,
non sia mai espressione banale
ma un augurio profondo del cuore.

Se ci pensi, la frase che usi,
salutando un amico o il vicino,
non può essere un modo di dire,
una formale convenzione abituale
imparata in famiglia od a scuola.

Sii sincero con te stesso e con gli altri!
Il buon giorno
racchiude un augurio,
un auspicio di un giorno sereno
che dia gioia, dia pace, dia amore,
alla gente che incroci al mattino.

La cartolina
Ho spedito una cartolina
a un amico d’infanzia
di cui da molto tempo
perso i contatti avevo.
Ed ogni dì aspettavo
d’avere sue notizie,
e gli occhi suoi pensavo,
un tempo assai gioiosi,
che pieni di sorpresa
scorrevano in gran fretta
a legger le mie righe,
succinte e alquanto brevi,
tracciate su quel foglio,
chiedendo come stava
o altre sue notizie
che più non conoscevo.
E ogni giorno speravo,
aprendo la cassetta,
anche con emozione,
in un suo scritto,
o in qualche sua risposta,
un richiedere ancora di notizie
e commenti sugli anni ormai passati
per riannodare un filo
che il tempo aveva rotto.
Così sperando, un giorno,
aprendo la cassetta,
il mio biglietto deluso ho ritrovato
con sopra un bollo ed una breve scritta
che il cuore mi ha spezzato:
“Utente estinto!
Al mittente rinviato”.

Tramonto
Assaporare
Un tramonto
Da una balza sabbiosa
E abbeverarsi
Con i raggi infuocati
Che s’adagiano
Su un mare increspato
Che lentamente imbrunisce
E s’addormenta
Con i sogni
Che sfumano
E si disperdono
In un orizzonte
Senza confini

L’amore andato
Aprimi e tue braccia
e dammi tutto l’amore
che ho perso in questi anni.
Ferma quel maledetto fiume
che trasporta al mare
tutti i pensieri e le dolcezze
che ho trascurato di darti.
Perdona la mia sciocca ignoranza,
la presunzione
che il mio amore
possa farti gioire
anche se rimane inespresso nel cuore.
Vieni,
voglio ancora una volta
sentire il tuo corpo
vibrare come quando
le albe erano più desiderate
ed i tramonti odiati.

L’aquilone
Quanti messaggi volarono nel cielo,
quanti sogni attaccati al lungo filo
e gli urli che s’alzavano dal colle
dove partivano stentando gli aquiloni.

Povere cose, costruite a mano
con dei fogli vecchi di giornale
bloccati con rozza colla di farina
sulle canne intrecciate ad orditura.

E le code, lunghissime, a catena,
pazientemente unite una ad una
e messe al sole ad asciugare
perché la colla rapida non c’era
e mancavano anche i soldi per comprare
la colla di pesce puzzolente
che i falegnami usavano in quei tempi
per incollare le tavole tra loro.

E, poi, il pianto per qualche monetina
per comprare un rotolo di spago
per far salire in cielo l’aquilone,
che ognuno costruiva su misura
e colorava a volte con fronzoli fioriti
o ghirigori fantastici e mostruosi.

E quante prove e aggiustamenti al volo
servivano per alzare in cielo
quei nostri diversivi dell’infanzia,
ch’eran legati allora alle stagioni
come i frutti sugli alberi o sui rovi.

Ma una volta nel cielo ad ondeggiare,
si gareggiava dal basso urlanti e forsennati
a guidare quel filo all’infinito,
che non reggeva mai il tiro e si troncava,
spezzando la gioia dei nostri sogni
e la tanta felicità dei nostri cuori.

Le foglie
L’autunno
è tanto somigliante
ad una moneta fuori corso.

Come le foglie,
che i rami rifiutano
di tenere allo stelo
or che sono vecchie
(che strana somiglianza
con il genere umano!),
così le strade ed i sentieri
sono piene
di gialle monete svolazzanti
che nessuno più vuole.

Quelle foglie,
amate e curate a primavera,
ora che c’è l’autunno
son diventati inutili addobbi,
insopportabili da vedere
ed anche da tenere.

Solo un bambino le raccoglie:
e le osserva felice
e ne apprezza il colore.

E delicatamente li depone
in un cesto,
una sull’altra;
e le cura e le stira
e le accarezza
quasi ad addolcirne
l’agonia.

Perdersi per strada
L’iride riflette
sassi lucenti e sparsi
come ombre distanti,
appiccicose e spente,
come fantasmi assenti
che tardano a tornare.

Scruto, lo sguardo intorno
tendo,
e vago nel vermiglio
dei rami già dolenti,
spogli,
che s’agitano incomposti
cercando d’afferrare
un sogno che s’è spento.

Qua e là raccolgo,
pigro,
i segni d’un presente,
voci e segnali
assenti
che sembrano tornare.

Vuoto lo schermo, ormai!
Lente parole scrivo
che volano lontane
e lasciano sospesi,
sogni, pensieri e voci
che portano l’angoscia,
il vuoto d’un passato
che stenta a ritornare,
ch’è inutile aspettare.

Acrobata
Sputa sentenze!
Rospi
galleggiano in stagni putrefatti,
saltano su rami morti
che ruotano incostanti.

Ecco, rigirano le carte,
vuotano gli schedari
e cercan di quadrare
conti
che sono uguali.

Qua e là un passivo spunta,
si spostano le cifre
si tenta di inventare
un artificio nuovo
che possa pareggiare
un conto che non torna.

Inutilmente
girano una frittata stanca,
che rotola per l’aria
ed incomposta cade
su una padella piccola
che non la può centrare.

Lo scanno
pesantemente afferrano
e cercan di spiegare
a chi non può capire
delle ragioni inutili
per non dover lasciare
le posizioni comode
che sono contrattate
fuor da un arengo gelido
gestito da lobbisti.

Ecco, ora son contenti,
una poltrona nuova è stata collocata
nell’emiciclo.
Dei nuovi glutei siedono,
sprofondano felici
e irraggiano sorrisi
ai conti ritrovati
che bravi trapezisti
ancora han pareggiati.

Le cicale dei piani
Ascolto
una vecchia cassetta pre-registrata
nella pineta dei “Piani” di Galatina
in un lontano mese di agosto
che ho archiviato
in qualche angolo oscuro
della memoria.
Il vento,
mi sfiora i pensieri;
il riso di mio padre
esplode nel silenzio
della calura estiva
e mia madre (come sempre)
canta all’acquaio.
Sento il cinguettio dei passeri
giungere dai nidi
costruiti sotto la tettoia,
e rincorro col pensiero
l’azzurro del cielo
che incorniciava la giornata
di quella registrazione.
Poi il salto improvviso
del nastro
ed un coro assordante,
musicalmente ritmico,
serrante,
delle cicale abbracciate
ai tronchi resinosi della pineta.
E li rivedo,
questi insetti rumorosi,
e di cui mi son chiesto tante volte
l’utilità,
tambureggiare sui loro ventri
con le zampe in eterno movimento.
Ed i messaggi invano
cerco di interpretare e capire.
Mi rimangono solo i loro suoni
e le tracce autunnali
della loro pelle,
immobile e malinconia,
aggrappata ad un ramo silenzioso
e le voci a me care,
che non sono più,
ma che mi addolciscono la vita.

Dure a morire
A volte guardo lo specchio
e mi vedo.
Mi guardo,
mi scruto,
mi chiedo: chi sono!

A volte un’ombra mi appare,
a volte una nuova coscienza!

- Che strano, mi dico,
eppure son sempre lo stesso -;
ma nuove ragioni
mi covano dentro,
mi rodono,
mi frugan la mente.

Riguardo al passato,
alle gioie represse,
alle prime lezioni
apprese tra i banchi di scuola
da bimbi più svegli,
cresciuti più in fretta.

E quelle lezioni,
spiegate in silenzio,
ammantate di torbido sesso,
di emozioni smorzate,
di azioni proibite e negate,
rimbalzano dentro
come un vecchio pallone sgonfiato,
che emette un sordo rumore
ad esser calciato,
e che mi sembra galleggi,
ancor oggi,
in mezzo a una pozza
di sporca acqua
rimasta in un angolo buio
d’una strada,
che non è ancora cambiata.

Le frasche
Lieve un rumor di frasche
lungo la siepe
il cuor fa sobbalzare.

I fantasmi infantil
tornano a tratti
a martellarti il petto,
brividi lievi
di tremor represso.

Un merlo nero
vola improvviso dalla frasca
lanciando uno stridulo
richiamo alla compagna.
Poi la selva guadagna
per sviare il predator
dalla covata.

L’esodo
Dov’e mio padre? dove le mie sorelle?
non so che fine han fatto i miei parenti,
per tetto abbiamo il cielo con le stelle
si va senza sapere tra i tormenti.
Si va senza più meta né speranza
i serbi ci spingono ai confini,
è morta l’ideologia dell’uguaglianza
uccidono senza pietà vecchi e bambini.
Ci trattano come carne da macello
morta è l’umanità del socialismo
nessuno canta più falce e martello
s’afferma l’ ideologia dell’egoismo.
Per anni abbiam vissuti da fratelli,
il cattolico rispettava il musulmano,
oggi invece trionfano i coltelli
il fucile è comparso nella mano.
L’odio ha preso il posto dell’amore,
chi era amico ieri oggi sta in guerra,
nessuno più si cura del dolore
di chi è spinto fuor dalla sua terra.
Le case sono state bombardate,
nessuno possiede più un sol quattrino,
anche le bimbe vengono violate
da chi si dichiarava un buon vicino.
Ora pian piano si completa il dramma,
difficile sarà un dì la convivenza
a chi è stato ucciso padre o mamma
vendetta si farà senza clemenza.
E l’odio genererà nuova vendetta,
al sangue seguiranno nuove stragi,
canterà lugubre a lungo la civetta,
il Natale sarà senza Re Magi.
Ma, pur tra le brutture, il mio cervello
funziona come all’uomo si conviene
non userò vendetta al mio fratello,
non gli farò soffrir le stesse pene.
Lo perdono, perché finisca tutto
l’odio che la guerra ha generato,
e non si crei ancora nuovo lutto
e cessi questo rancore scellerato.

Febbraio 1982
Trenta sigarette, amici miei,
sono davvero tante da fumare
ma ogni giorno con foga,
come una locomotiva d’altri tempi
che viaggiava spinta dal carbone,
io m’affannavo ad aspirare
e poi sbuffare,
felice della tosse, del catarro,
e della bocca appiccicosa e amara
che questo vizio strano mi donava.
Poi un dì molto freddo, tornando da Milano,
dopo un convegno sulla nuova Europa,
mi buscai l’ennesima influenza,
con febbre e tosse e con una fastidiosa
asma bronchiale, che per oltre un mese
a restarmene a letto mi costrinse.
E così mentre nell’ozio me ne stavo,
tra cuscini, guanciali e borse calde,
mi capitò di legger sul giornale
alcuni annunci per smetter di fumare.
Solo attaccando in petto dei cerotti,
o degli anelli al naso o nelle orecchie,
e sganciando dei grossi bigliettoni,
che m’avrebbero le tasche alleggerite,
qualcun aiutato m’avrebbe finalmente
a sconfigger quel vizio tenebroso
e consentito di ritrovare la mia libertà,
mollando l’abituale fumatina
che m’anneriva i bronchi e mi sfiancava
se in montagna me ne andavo a passeggiare.
Così, guardandomi un poco nello specchio,
dissi a me stesso con fare deciso:
Ma sei più forte tu o quel tabacco,
arrotolato dentro una cartina,
con un filtro giallo che non serve a nulla
e che passare fa la nicotina?
E così smisi, e son più di vent’anni,
sfidando il vizio mio con la ragione.
Ed oggi rido leggendo sul giornale
certe pubblicità piene d’inganno
perché dentro di noi sta sol la forza
di smettere con un vizio un po’ “infernale”
che ritrovar mi fece,
oltre al rinnovo dell’armonia del corpo,
nel conto in banca un paio di milioni
che da quel giorno non ho più “bruciato”.

Viva la libertà
Viva la libertà!
Via i mastini
da Roma
che imputridiscono
gli scanni
di Cesare.

Lina
Dove sarai finita, dolce amica mia,
sbarazzina compagna mia di scuola
con quel corteo di giovani per via
attorno a te come una calda stuola
Viaggiavi con un passo già da donna
coi tuoi seni provocanti a quindici anni
con le gambe poco coperte dalla gonna
quando sedevi su quei vecchi scanni.
Più d'un compagno t'aveva corteggiato,
qualcuno anche carino e danaroso,
ma tu gradivi questo squattrinato
non tanto bello e forse un po' noioso.
Lo preferivi per l'indiscrezione,
forse perché sapeva scrivere poesie
e poi per tutta quella sua passione
a declamarle com’antiche elegie.
Non lo so se anche tu mi hai amato,
certo io tanto t'amai, da non dormire,
posso solo dirti d'aver fantasticato
su quei tuoi seni che mi facean morire.
Mi guardavi con un sorriso strano
quando venivo a casa tua a trovarti,
un po' succinta, avrai atteso invano
ch'io almeno avessi provato di baciarti.
Forse una sfida allora mi lanciavi,
una sfida al pudor ch'io non raccolsi,
ti divertivi con garbo a provocarmi
attirandomi a te stretta ai miei polsi.
Non ebbi mai il coraggio di parlarti
del sentimento nascosto nel mio cuore
avevo tanta paura a contrariarti
e mi consumavo in quel timore.
Dove sarai amica mia lontana?
Spero tu abbia avuto un buon cammino,
che t'abbia suonato a festa la campana
che ricco di doni sia con te il destino.
Io sono qui a parlarti e l'acqua cade
giù nella strada ed urla il temporale,
io sono qui a pensar le nostre strade
e giù si snoda triste un funerale.

L’orologio
Un giorno decisi
di non più invecchiare
e l’orologio
cominciai a ruotare
sempre all’indietro,
sempre più veloce.
Ero felice!
pensavo di ritornar bambino
e di trovare i molti amici
e tutti i miei parenti
che un dì m’avevano lasciato
per non più ritornare.
E mi convinsi tanto
nell’idea
che non m’accorsi
del tempo che passava
e della barba bianca
che lenta diventava.

Vita e morte
Case, culle, giardini,
soffiare del vento,
un lento richiamo
tra i rovi si perde,
qualche lamento,
lontano;
un frignare sommesso,
una lieta esplosione
di riso genuino,
un canto
che aleggia soave;
una nenia
che lenta si smorza
su una cuna,
appesa a un trave,
che dondola lieve
col bimbo assopito,
tranquillo, sereno,
e una madre che veglia,
felice,
e guarda lontano,
un po’ assorta,
un aereo di guerra
il cielo solcare
con un sordo rumore
di morte.

Ma che nasciamo a fare?
Da piccoli
qualcuno
asciuga con gioia
e con dolcezza
le nostre lacrime.
Ma da vecchi
gli altri provano fastidio
e noia a farlo
e noi
non abbiamo più la forza
neppure
di asciugarle da soli.


Compagni di scuola

Il tempo sembra non esser mai passato!
forse perché sono andato via,
forse perché avverto tutt'ora, in fondo al petto,
quello spirito di libertà e di rivolta
che s'agitava nell'animo della prima giovinezza.

Ho riguardato più di mille volte tutte le vostre foto,
che conservo con cura,
e vi ripenso ancora dei bambini,
tutti ammucchiati, scomposti, vocianti, sorridenti,
mentre s'entrava a scuola ogni mattina,
sempre gli stessi!

Provo un senso di profonda gioia,
che a volte m'affligge e a volte mi consola,
a rivedervi coi calzoni corti e quel pallone in mano,
schierati in quella vecchia foto lungo la Via Marina
quel giorno in cui, incoscienti,
invece di recarci a scuola s'era andati a giocare
dietro le cabine deserte del Lido per non farci scoprire.

E mi sembra di sentire ancora l'urlo dei vostri richiami
e l'esultanza della palla in rete,
ed il fragor della risacca frangersi tra le palafitte della rotonda
e gli sciacqui dell'onda ripetere all'infinito
il meraviglioso concerto della rena frusciante tra i sassi.

E rivedo anche i nostri libri abbandonati,
ammucchiati al riparo d'una barca,
mentre il vento sfoglia pigro
le pagine bianche dei nostri quaderni
che nessuno ha più scritto!

Corso Padre Lorenzo
Ridere, piangere, gioire, soffrire,
a cosa serve?
Neppure le parole per comunicare,
né le gambe per poter andare a cogliere i fiori del pesco
che questo strano marzo ci ha donato anzitempo.
Dalla finestra chiusa un sole caldo la sfiora:
le accarezza la sua mano morta
e scivola sui muri a disegnar farfalle
che non potrà inseguire.
Una mamma piange
dietro la finestra chiusa dell'ospizio.
Vede bimbi gioire
e i suoi ricordi le consumano il cuore:
un solo figlio, sempre un grande amore!
La sua mano si tende ad accarezzare i riccioli d'un tempo.
Il tempo... Il tempo non perdona:
passa e cancella ogni pietà,
e gli affetti più veri
si trasformano in pesanti fardelli
che opprimono il corpo più che la coscienza.
Una vecchia mamma,
per giunta paralitica a metà,
stona con lo stile austero dell'arredo fine '800,
turba il sereno soggiorno degli ospiti appena giunti dalla capitale,
guasta la tranquillità del fine settimana in libertà.
E poi, a che serve?
Meglio l'Ospizio, fin che dura è meglio!
Una visita a tratti, frettolosa,
accusando un mal di testa immaginario,
un chiacchierio confuso,
un sorriso abbozzato a fior di labbra,
forse, un ultimo saluto.

 

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