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Le figure retoriche dei grandi poeti
Le figure retoriche sono accorgimenti stilistici e linguistici utilizzati dai poeti per rendere più viva ed efficace una descrizione, un’immagine, una sensazione, una emozione, ecc. Vi sono varie specie di figure retoriche: figure di contenuto o traslati, figure di parola e di pensiero, figure di sentimento. |
Figure di sentimento Il poeta, modificando un suono o trasformando la struttura del verso, pone in rilievo, in modo più marcato, l’intensità del suo stato d’animo. Le principali sono: apostrofe, epifonema, esclamazione, interrogazione, ipotiposi |
Consiste nell’esprimere con enfasi uno stato d’animo in forma esclamativa. Ed ecco verso noi venir per nave |
Consiste in una domanda in cui è insita la risposta: interrogazione fatta non per rivolgere una vera domanda, ma per esprimere ironia, meraviglia, sarcasmo, rimprovero o altri sentimenti. Lo savio mio inver lui gridò: - Forse |
Consiste nel rivolgersi improvvisamente e con enfasi a persona o cosa personificata, anche lontana e immaginata come presente. Ahi, Pistoia, Pistoia, ché non stanzi |
Consiste nel rappresentare vivamente una persona, un animale, una cosa, un avvenimento. Ed ei mi disse: - Volgiti; che fai? Vedi là Farinata, che s'è dritto: dalla cintola in su tutto il vedrai - I' aveva già 'l mio viso nel suo fitto; ed ei s'ergea col petto e con la fronte, com'avesse l'Inferno in gran dispitto: (Dante, Inferno, C. X, vv 31-36) Infiamma d'ira il Principe le gote, e ne gli occhi di foco arde e sfavilla, e fuor de la visiera escono ardenti gli sguardi e insieme lo stridor de' denti. (T. Tasso, Gerusalemme liberata, C. VII, vv 333-336) Senti raspar fra le macerie e i bronchi la derelitta cagna ramingando su le fosse e famelica ululando; e uscir del teschio, ove fuggia la luna, l'upupa, e svolazzar su per le croci sparse per la funerea campagna, (U. Foscolo, Dei Sepolcri, vv 78-83) I cipressi che a Bolgheri alti e schietti van da San Guido in duplice filar, quasi in corsa giganti giovinetti mi balzarono incontro e mi guardar. (G. Carducci, Davanti San Guido, vv 1-4) Tre casettine dai tetti aguzzi, un verde praticello, un esiguo ruscello: Rio Bo, un vigile cipresso. (A. Palazzeschi, Rio Bo, vv 1-5) Il portiere caduto alla difesa ultima vana, contro terra cela la faccia, a non veder l'amara luce. Il compagno in ginocchio che l'induce, con parole e con mano, a rilevarsi, scopre pieni di lacrime i suoi occhi. (U. Saba, Goal, vv 1-6) |
Consiste nell'esprimere un motto sentenzioso che, solitamente, chiude con enfasi un discorso. Noi andavam con li dieci demoni. Ahi fiera compagnia! Ma nella chiesa coi Santi, e in taverna co' ghiottoni. (Dante, Inferno, XXII, 13-15) [...] i dì miei fur sì chiari, or son sì foschi, come Morte che 'l fa: così nel mondo sua ventura à ciascun dal dì che nasce! (Francesco Petrarca, Canzoniere, CCCIII, 12-14) E pur la segue ancor il desir vano, e nel seguirla se stesso alosinga, dicendo: Il tempo alfine il tutto acquista. (Matteo Maria Boiardo, Amorum liber tertius, CXLI, 12-14) Quant'è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c'è certezza. (Lorenzo il Magnifico, Canzona di Bacco, 1-4) Oh sommo Dio, come i giudici umani spesso offuscati son da un nembo oscuro! i modi di Bireno empii e profani, pietosi e santi riputati furo. (Ludovico Ariosto, Orlando furioso, X, XV) Vede Tancredi in maggior copia il sangue del suo nemico e sé non tanto offeso; ne gode e insuperbisce. Oh nostra folle mente, ch'ogn'aura di fortuna estolle! (Torquato Tasso, Gerusalemme liberata, XII, 461-464) Oh figlia! ... Or, taci: non far, ch'io pianga. Vinto re non piange. Abner, salvala, va: ma, se pur mai ella cadesse infra nemiche mani, deh! non dir, no, che di Saulle è figlia; (Vittorio Alfieri, Saul, Scena IV, 204-208) Deh come mai da me sì vario fui, e tanto amor mi tolse un altro amore? Deh quanto, in verità, vani siam nui! (Giacomo Leopardi, Il primo amore, 79-81) Dovevamo saperlo che l'amore brucia la vita e fa volare il tempo. (Vincenzo Cardarelli, Passato, 20-21) Non domandarci la formula che mondi possa aprirti, sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. (Eugenio Montale, Non chiederci la parola..., 9-12) |
Autore dei testi: Lorenzo De Ninis
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