Romanzo
CARTOLINE DALLA FINE DEL MONDO
di Jacqueline Miu


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Leggere questo libro non costa nulla; se ti è piaciuto porta un tuo dono, un piccolo modesto ma ineguagliabile gesto d’amore “un peluche – un sorriso – narra a tua volta una fiaba – ricambia il bene” all’Istituto Tumori di Milano reparto pediatria www.istitutotumori.mi.it.

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CARTOLINE DALLA FINE DEL MONDO

 

La casa dove i salmoni

risalgono il fiume

 

 (sentimenti e altre catastrofi)

 

Gli scrittori non hanno il totale controllo del libro e dei suoi personaggi, spesso, libro e personaggi, si scrivono da soli, seguendo spesso, un percorso proprio e non certamente voluto dallo scrittore.

 

Indice:

0. L’incendio

1. La trappola

2. La fuga

3. Il camionista

4. Perduta

5. Il Cacciatore fantasma

6. La minaccia

7. Il muro invisibile        

8. Sentimenti e altre catastrofi

9. Strane stelle di Natale

10. La battaglia

11. La casa dove i salmoni risalgono il fiume

12. Cartoline dalla fine del mondo

 

 

000 . L’incendio

Primavera. Il cielo azzurro è terso sopra la cittadina, dove gli alberi bassi che costeggiano la strada sono in piena fioritura. L’odore delle prime rose sbocciate vicino al campo bruciato, si spande oltre i resti inceneriti di quella che poco tempo prima era una casa. Sono rose arancioni dall’odore dolciastro e il venticello frizzante spande il loro profumo per l’intero isolato, la cui mappa è disegnata da tante villette dai vari colori, ognuna con il proprio giardino e la casetta delle lettere personalizzata.

  Dell’edificio si è consumato tutto, tranne dei pezzi di rubinetterie, le cerniere di alcune porte, chiodi di varia grandezza, il frigorifero, il microonde, le piastre di ghisa dei fornelli e resti di piastrelle divorate dal fumo scuro che hanno preso una maschera monocolore e dall’odore acre, piastrelle rotte sotto il corpo di una vasca da bagno piena fino all’orlo di poltiglia. I litri di acqua lanciati per spegnere le fiamme non serviti a salvare alcun ricordo della sua bellezza. C’è cenere con fango bagnato, piastrelle rotte, piastrelle macchiate di altro fango e persino dei giocattoli deceduti appena il fuoco ha cominciati ha masticarli. Il roseto arancione è un cespuglio sano e fitto e dal fusto legnoso, abbastanza alto e lungo da coprire parte del confine tra le due case, quella bruciata e quella sana. Il vicinato ha partecipato allo spettacolo per l’intera giornata, c’è chi è rimasto a casa dal lavoro per seguirne gli sviluppi. La polizia venuta a indagare e i pompieri arrivati con quattro motopompe per sedarlo. L’incendio ha vinto.

La polizia arrivata in forze si è dovuta accontentare di decretare il decesso completo della struttura nonché la cancellazione di tutte le prove di un omicidio avverso a qualsiasi credo di pietà o giustizia. Molto fumo e parecchia cenere, si sono sparpagliati per centinaia di metri ma la rosa arancione forse perché contro vento si è salvata dal velo nero che si è infilato nelle case, nelle corti e nei nasi dei vicini. Il fattore scatenante di quest’inferno, è l’amore.

“Condannato alla pena di morte!” la voce grossa dell’uomo con la toga imponente, sentenzia usando tutta la sua forza nel colpire il martello di legno. La fibrillazione entra di prepotenza nell’uomo in piedi, vestito in abito scuro e stropicciato, le cui gocce di sudore sulla fronte, rispondono all’impotenza e noncuranza nel dichiarare la propria innocenza. Nell’aula gremita di curiosi, entra con prepotenza un fascio di luce che gli colpisce gli occhi e lui gli chiude per riaprirli con lentezza, a questo punto nota che non c’è nulla intorno a lui ma è solo, a letto, e la scena che ha appena vissuto è stato soltanto un infelice incubo. 

Quentin Capaldi ha paura e non per la sua vita, ha paura di andare avanti e di scoprire che è vissuto soltanto per soffrire e per ricordare il dolore più grande che un uomo possa affrontare. I suoi occhi dilatati e le sue pupille verdi fissano il vuoto, ignorando qualsiasi altra forma che possano distrarli.

La mano destra di tanto in tanto ha un leggero spasmo, un tic che lui non vuole controllare, solo l’indice tormenta la pellicina del pollice fino a farlo sanguinare e il dolore non arriva al centro nervoso dell’uomo. Lui trattiene il respiro e cerca di controllarsi i battiti impazziti del cuore, senza deglutire. L’aria gli entra nello stomaco Non è mai stato così spaventato da qualcosa per tanti anni e in quel momento il panico si è sostituito alla ragione. Cosa sei disposto a dare in cambio della vita di tua figlia? a Quentin fa venire rabbia il tono strafottente che nella sua testa ha sentito e risentito quella frase fino a consumarlo.

È la tipica frase che un uomo non vorrebbe mai sentirsi dire ma lui l’ha dovuta sentire e ha dovuto vedere l’orrore che si compieva a causa sua mentre la voce continuava con becera convinzione la rovina della sua famiglia.

Il terrore ha iniziato a insinuarsi in lui con la testardaggine di una edera velenosa e ha piantato radice nella linfa vitale di una coscienza pura, come quella di un qualsia uomo che ha, facendo una vita appagata e felice.

Quel substrato di angoscia lo ha intossicato al punto di vedere persi tutti i punti di riferimento della sua esistenza. Sino a quel momento, lui era stato un uomo di grandi ideali e non si era mai negato di essere un ambizioso, poiché detestando la mediocrità, a lui non restava che eccellere in tutto quello che avrebbe fatto nella vita. I suoi genitori, entrambi insegnanti, avevano faticato parecchio per evitargli la stessa povertà ma la loro convinzione che il figlio si sarebbe meritato qualcosa di meglio, ora non aveva più alcun fondamento.

Per un attimo sei qualcuno, qualcosa nella bolla universale e in un battito di ciglia ti ritrovi a valere meno di un granello di polvere. Quentin non era più un medico, un padre, un uomo. Non gli era più rimasto alcun principio saldo o pilastro di morale, in meno di pochi minuti tutto è crollato, puff, svanito, incenerito, distrutto. Una trama da film horror.

Tutte le pillole del mondo, i calmanti non hanno cancellano la sua paura dei giorni successivi, quando  ma la sedano per un po’, rendono il mostro più dormiente ma non lo abbattono, così diceva il suo professore al corso di psichiatria forense, corso che avrebbe abbandonato perché privo di giusta ottimistica visuale sia in campo curativo sia in campo della ricerca. Ma c’è indubbiamente un motivo per quel catastrofismo metodologico, specie se si incontrano nemici dell’umanità, uomini con una degenerazione genetica, gente che infligge tortura e terrore solo per un proprio piacere e spesso nemmeno per quello.

Curare gli uomini malati di mente non lo appassionava ma gli studi necessitano di grossi sforzi economici e così l’industriale di origini russe Andvrei Tavianych, arrogante, ricco, un uomo così ricco e così innamorato della propria posizione sociale da vergognarsi di un giglio mediocre e drogato, così ricco da supplicarlo di insegnare al figlio diciannovenne che la droga non è una cura ai problemi adolescenziali, alla depressione, è stato un ottimo supporto alla sua crescita sociale. In poco tempo Quentin Capaldi cambia casa, compra un’auto più lussuosa e può permettersi una tessera annuale per lui e sua moglie al club più esclusivo della città. Tutte quelle certezze sono state la sua rovina, si sarebbe letto in un giornale poco tempo dopo.  Certe volte, i pazienti, hanno più di una doppia personalità e quando capita che una di queste si risvegli arrabbiata, beh, molte cose possono andare storte.

Ai media, l’omicidio dell’anno, interessa eccome. Il giovane dottore dalla vita perfetta, è accusato dal suo giovane paziente di omicidio multiplo. Nonostante le prove siano chiare, conducano proprio all’enfant prodige del male e del piccolo crimine, unico erede di una fortuna che il padre ha fatto con giri di denaro non proprio chiari, nonostante le impronte e i coltelli fossero presenti sulla scena del delitto, il dottor Capaldi diventa un indiziato, e il suo accusatore, indica nella fortuna che il dottore avrebbe ereditato dalle assicurazioni sulla vita di entrambe le donne della sua vita, il vero movente che ha spinto l’uomo al delitto.

 Il ragazzo nei suoi diciannove anni di vita ha un lungo elenco di reati e Capaldi che lo aveva ancora in cura per tossicodipendenza  non si sarebbe mai aspettato una reazione brutale da parte di un paziente così a modo e figlio dell’uomo d’affari più ricco della città. Non ha mai sospettato nemmeno minimamente che nel giovane sarebbe scaturita una avversità furiosa a lui e alla sua famiglia. Tavyanich non vuole il figlio in carcere, qualunque cosa abbia fatto e il doppio processo diventa l’evento del momento.

La vita di Quentin Capaldi ha smesso di esistere e nella sua cella, legge le pagine di una Bibbia che gli hanno lasciato sul cuscino ancora impregnato di odori sospetti,  ha scoperto che la giustizia di Dio non sempre combacia con quella umana.

Dai suoi ricordi, rari ricordi di gioia, lui estrapola pochi momenti, come quello in cui sente le mani della moglie accarezzargli i cappelli, che bello, replica lui a quell’illusione. Poi tutto torna a ritingersi di una tenebra opaca che s’incolla al suo essere, come un mastice cattivo e persecutore di una volontà infernale.

Fuori dal tribunale, Quentin percepisce l’odore delle rose dal cespuglio posto all’ingresso del maestoso edificio in pietra,  i media lo investono, lo osservano nei minimi dettagli, lo vivisezionano per vendere tutto il rancore di un uomo alle platee assetate di sangue.

La violenza ha sempre prodotto dei bei guadagni e a tale proposito che per il massacro dei Capaldi avevano già pronto un film e il compenso dei diritti era milionario. La stampa è pronta a comprare qualsiasi informazione da lui. Le riviste di moda, i giornali per uomini, per gay, per lesbiche parlano dell’uomo dalla bellezza triste che ha massacrato la famiglia con una atrocità disumana.

Mentre l’avvocato dell’accusa lo dipinge come un uomo troppo preso da sé stesso per curare in modo appropriato i suoi pazienti, la giuria lo fissa con quella impavida prepotenza che dice “il tuo destino è nelle mie mani” ma lui pensa al suo paziente, al giovane che considerava un amico sincero e al suo gioco.

Il gioco Quentin, ricorda di avergli sentito dire, il gioco l’ho vinto io comunque finiscano le cose.

Molti degli uditori seduti in sala, seguono il processo, molti dal proprio cellulare assieme ad altre notizie drammatiche: un drone della marina militare disperso nelle foreste del Canada, un pedofilo quasi linciato da una folla inferocita nel Giappone meridionale e le immagini dell’interno della casa Capaldi dopo il recupero dei corpi.

Seduto al banco dei testimoni, sotto gli occhi di centinaia di flash e reporter che scrivono sui loro piccoli Ipad tutto fare, l’articolo del secolo, lui si sente smarrito. La sua mente non è dentro una aula di tribunale ma in un parco, un immenso parco dove sua figlia corre verso di lui con i suoi primi piccoli goffi passetti. Elly dolce creatura ancora non sbocciata alla vita, felice per i suoi primi giorni di scuola ed è pronto a sorridere quando un altro flash dalla memoria gli mostra un quadro ben diverso del momento felice di prima, un pezzo di carne appeso come trofeo al lampadario dell’ingresso, la pelle è rosea nelle parti non macchiate di sangue, ma sono molto poche quelle parti..

Prima di realizzare che il torso della bambina fosse della sua bambina, è ricaduto nella tenebra che più della luce del sole, gli da il conforto necessario a non saltare su quella sedie e correre verso la guardia armata per suicidarsi.

“Lei è accusato di aver ucciso barbaramente la sua famiglia, dottore e di aver coinvolto un innocente, il mio cliente Nicholas Tavyanich figlio di uno prestigioso industriale, un uomo che la credeva un amico e un medico infallibile, in tale brutale causa di morte. Lei frequentava o no il mio cliente, intendo dire che lui era un buon amico di famiglia? Non è vero che il suo ingresso nella sua casa non è avvenuto da intruso ma è stato lei a invitarlo ad entrare?

“Mi oppongo signor Giudice!” Il grido di Henry Cottman, avvocato difensore di Capaldi riecheggia, come una supplica in quella sala affollata e rumorosa. Quentin Capaldi è una statua immobile dagli occhi stanchi e le labbra screpolate. Il suo vestito scuro e la camicia bianca risaltano il volto cadaverico. Non mangia da più di una settimana, si nutre con brevi sorsi d’acqua e avanzi rancidi di una torta che ha ritirato in pasticceria, un giorno prima del compleanno di Elly. Ogni boccone di cibo gli da nausea. Ogni respiro gli è pesante come una pugnalata. Molti si difendono in un caso di omicidio, lui vuole soltanto riuscire a capire perché?

Da accusatore, l’assassino con i soldi del padre facoltoso lo ha trascinato in tribunale con l’accusa di essere lui l’esecutore dell’omicidio della sua famiglia. Sebbene non veritiera la cosa non gli interessa. Gli amici presenti in aula non gli interessano e nemmeno lo sforzo congiunto dei parenti non gli sollevano il morale. Lui è solo. Non ha motivo per lottare. Per la propria vita? Per cosa? I suoi unici grandi tesori gli sono stati portati via e adesso, in quell’aula di tribunale non fanno altro che ricordargli chi e cosa ha perduto per sempre. La morte è una piccola cosa confronto al dolore di un genitore che ha visto uccidere la propria figlia e la giovane moglie. L’avvocato Cottman continua a opporsi alle argomentazioni della controporte.

“Infondate!” grida Henry Cottman.

“Silenzio! Silenzio altrimenti faccio sgomberare l’aula e lei dottore deve rispondere alla domanda dell’accusa.”

“Io non ricordo.”

“Ecco Vostro Onore, i vari messaggi mandati dal cellulare dell’accusato al mio cliente, più volte lo invita poiché e leggo le testuali parole … mia figlia Elly trova davvero divertenti i tuoi giochi di prestigio, quindi ne desumiamo che il mio stimato cliente non soltanto interagiva con il dottor Capaldi ma anche con i suoi famigliari che lo consideravano il benvenuto nella loro casa e quasi uno di famiglia. Ricorda questo ultimo messaggio dottore?” l’avvocato Jennings gli porta un foglio con un dialogo trascritto ... ore 6 del pomeriggio, Ciao Nicholas, è confermata la cena per stasera così avremo modo di discutere sulla cosa.”

“Mi oppongo Vostro Onore sta insinuando …” grida l’avvocato Cottman preparato ai colpi bassi dell’accusa.

“Avvocati avvicinatevi!” la voce del giudice blocca l’intero iter dell’avanza accusatoria.

“Ma Vostro Onore?” replica la difesa.

“Sospendiamo il processo che riprenderà domani alle 11, ordina l’uomo sulla sessantina con gli occhi color acido e acuti come quelli di un falco, mi credete uno stupido?”

“No Vostro Onore, rispondono i due all’unisono.”

“Allora basta giochetti da tirocinanti, fatte le vostre domande ai testimoni ma non spingetevi oltre, la verità è nei pezzi di carne che gli assassini hanno lasciato per tuttala casa e l’imputato è innocente fino a prova contraria, mi ha capito Jennings?”

“Sì Vostro Onore, ma ..”

“La mia aula non diventerà il mercato del pesce con corvi dell’informazione pronti a buttarsi a becco asciutto. Qui stiamo cercando la verità e non di distruggere la reputazione di un uomo che fino al giorno del delitto non si è mai macchiato nemmeno di una multa.”

“Domani i giornalisti si scanneranno per trovare un pezzo di carne da vendere ai media e noi saremo il mezzo più veloce per fare che ciò accada. Qui si celebra la giustizia signori e non la cinematografia, la legge sopra ogni cosa e mi raccomando se vedo che cercate di influenzare la giuria con qualsiasi allusione, io la cambio, avete capito? Se penso che cercherete di inquinare il mio processo, vi imputerò con l’accusa di degenerazione delle prove mancanti, ovvero vendere informazioni false e senza consistenza.”

In cella Quentin Capaldi ha trovato il modo di assentarsi dal mondo, fissando quella ultima scintilla in se stesso che lo postava a un sogno passato ancora capace di tenerlo in vita. Per anni si era pensato infallibile, sul web una generazione di adolescenti lo avevano trovato super attraente a quella festa di premiazione del miglior giovane chirurgo dell’anno. Le riviste a ogni angolo di strada, propongono l’assassino con più QI della storia e reclamizzano il colore dei suoi  occhi verdi, belli come quelli di un angelo; infatti gli articoli parlavano della bellezza dell’angelo della morte Quentin Capaldi.

Alcune copertine oltreoceano mostrano le pupille dell’uomo capace di sedurre la morte, così viene chiamato Quentin Capaldi, il dottore della morte, il macellaio della porta accanto e la fila per intervistarlo, davanti all’ufficio del direttore del penitenziario, è squallidamente lunga come è squallido l’interesse dei giornalisti per la sua innocenza.

Nessuno si augura che Quentin Capaldi sia innocente, smetterebbe di fare notizia, di essere il personaggio dubbioso creato dalla Tv e dalle testimonianze di alcuni colleghi, molti di loro invidiosi.

Ogni giorno di quel processo è l’ennesimo funerale della sua famiglia e Quentin è obbligato ad assistere per ottemperare a quegli obblighi di dignità e onore, gli stessi con cui ha voluto intraprendere la sua professione di medico.

Per giorni, le prove mostrate in aula, sono truculente da fare sbavare qualunque cronista in cerca del suo primo articolo di notorietà.

Viste quelle immagini, chiunque col potere dell’immaginario potrebbe dipingere un uomo mentalmente malato. Chiunque alla vista dei pezzetti di carne sparsi per la casa e nei cassetti, venderebbe il servizio dell’anno. “La cosa più difficile, testimonia il medico legale, è stato ricomporre i pezzi poiché non potevamo sapere quali fossero della madre e quali della figlia.

 

Al buio le cose non sembrano più ostili. Al buio il cuore si libera dalle incertezze e si concentra su cose immaginarie non più impossibili ed è proprio nell’oscurità che le emozioni t’investono a valanga e ti trascinano marea inarrestabile verso lidi luminosi e spesso rassicuranti.

“Bello sentirti ancora.” La mano di lei, passa leggera e profumata, attraverso i fitti capelli di Quentin e gioca, facendo dei piccoli boccoli. Lei non gli parla, ma lui la guarda e osserva il taglio simmetrico delle labbra contornate di rossetto rosa e  piegate in un leggero sorriso. Vorrebbe baciarle. Sente il suo alito caldo che sa di frutti di bosco appena mangiati e nel delirio una eccitazione gli prende tutto il corpo facendolo sentire più vivo che mai. L’illusione lo nutre e lo tiene in vita, solo quando apre gli occhi un ricordo come un muro si piazza nella memoria. Non vuole buttare giù quel muro. Non vuole sapere cosa c’è nella nuova realtà. La memoria non lo cura ma la memoria tiene in vita ciò che ha quasi dimenticato di loro, le voci allegre, i passi in cucina, la percezione dell’amore quando sua moglie e sua figlia gli stavano intorno.

“Il mio cliente afferma, Signor Giudice e pregiata Giuria, che l’imputato l’ha obbligato ad assumere narcotici quella sera poiché attendeva altri due complici poi svaniti nel nulla ma sono gli stessi con cui ha perpetrato l’omicidio. Il mio cliente ricorda bene la faccia dei due assassini e ha indicato nell’imputato, il terzo partecipante all’omicidio e l’unico ad averlo progettato. Il mio cliente si è salvato, vero dottor Capaldi, perché al momento dell’arrivo della polizia si è lanciato fuori casa con le mani in alto e supplicano aiuto dalle forze dell’ordine, mentre lei impugnava ancora il grosso coltello con cui ha celebrato l’efferatezza più miserabile di questo secolo. Noi vogliamo che sia fatta giustizia e vogliamo che il colpevole sia punito affinché non possa perpetrare la sua insana violenza sua altri innocenti.

Nessuno di noi si sentirà al sicuro finché uomini così deturpati mentalmente saranno liberi e assolti dal crimine commesso. Noi dobbiamo punire il male e premiare il bene. Siamo chiamati per riconoscere il colpevole per dargli una pena esemplare.

“Mi oppongo Vostro Onore, il dottor Capaldi ci racconterà come è davvero andata appena il dolore perché per il troppo dolore che non riesce a formulare la sua difesa, ” replica Cottman.

“Ho deciso di spostare l’udienza per dare la possibilità all’imputato di raccontarci la sua versione dei fatti. L’udienza è rimandata a Martedì di settimana prossima! Bang!” Il martello colpisce con forza il tavolo e il silenzio dell’aula si rompe in voci che comunicano con altre voci attraverso il cellulare, oppure mentre si fanno filmare.

 

Chi c’era quella sera, si domanda lui? Che cosa avevano mangiato a cena? Se l’era proprio scordato, come mai? E’ importante, la loro ultima cena insieme. Elly quella sera indossava il pigiama del Natale, il suo preferito? Non ricorda nemmeno quello. Non riesce a ricordare.

C’è un muro invalicabile tra lui e i suoi ricordi e le lacrime nei suoi occhi stagnano doloranti e pesanti come sassi, la sua vista non immagina cosa ci sia oltre il muro che lo separa dalla sua reale memoria. Riguarda i giorni passati nell’ospedale in cui lavora e i colleghi che gli passano accanto, evitando di salutarlo “la sua carriera politica è finita” li sente mormorare nella zona  riposo durante la pausa del caffè. Nemmeno le infermiere gli perdonano l’innocenza. Dubitano tutti di lui e prima dell’arresto, qualcuno, quelli che lui ha creduto dei veri amici e compagni di studio, gli ha anche battuto la mano sulla spalla in segno di conforto. Conforto per cosa? Dall’omicidio all’imputazione diretta per omicidio sono trascorsi così pochi giorni da non avergli dato il tempo effettivo per pensare. Ha fatto giorno e notte in corsia, dormendo alla buona su brandine reperite al pronto soccorso o nella stanza degli armadietti su una dura panchina di legno. Tutto quell’odio, lui crede di meritarselo. Volere fare carriera in fretta porta sempre un prezzo e l’aver sottovalutato un paziente, è la colpa più grande della sua vita dopo quella della morte di sua figlia e di sua moglie. Davvero sono morte, si domanda spesso, o al suo rientro in casa, scoprirà che è stato tutto un brutto sogno? L’incubo prevale e non c’è amnistia a qual Inferno che lo sta trascinando in un baratro oscuro, dove si augura di sfracellarsi lo spirito tanto che alla sua coscienza rasa al suolo, fatta a pezzi, polverizzata, non resti che una vita futura fatta di digiuno di sentimenti e di quelle gioie che non potrà più gustarsi.

Non riesce a piangere, sebbene il suo stomaco, la sua ragione e il suo cuore, siano in rivolta.

Dentro però c’è un torrente di lacrime ferme nella diga lacrimale, piena come una sacca purulenta  immune a qualsiasi antibiotico. Non può piangere perché ancora non sa a cosa credere, alla brutta realtà o al bellissimo passato.

Lui pensa e si  tortura, doveva essere in quella fossa con loro, a tre metri sottoterra, dove i parassiti giubilano con il silenzio e le cose in putrefazione, dove quelli che amiamo smettono di essere creature di Dio e diventano cose inarticolate in piena comunione con legioni sterminate di piccoli parassiti carnivori. Sottoterra l’uomo cessa di misurarsi con l’universo e la sua magnificenza cede il posto a una scarna  montagnetta di ossi depredati dal potere dell’eternità e del sognare.

Nicolas invece, se lo ricorda bene. Un ragazzo intollerante alla gentilezza, monotono nelle conversazioni ma brillante quando vuole ottenere qualcosa. Una volpe lo descriverebbe un attento osservatore. Nicolas e la sua prepotente doppia personalità, quella degenerata che nasconde al padre e quella buona che manifesta in pubblico come qualsiasi figlio di un onorevole membro della comunità.

I suoi pensieri sfrecciano cercando di evitare i toni più funerei degli ultimi tempi. Elly, la sua Elly lo aspetta a casa con i disegni d i delfini e unicorni che fluttuano sotto un arcobaleno carico di colori che trasbordano dalla forma arcuata. Poi una voce.

“Se tu lo fai, ti prometto che lei non morirà.” Il lamento di una vocina gli arriva dalla stanza da letto degli ospiti.

“No, no.” Ricorda di aver risposto. Un lampo di terrore gli attraversa lo stomaco e i brividi lo ripercorrono dai piedi fino al collo.

“Ci sono molti modi per arrivare a farti capire che l’Inferno non è un posto ma è un cervello, e ora l’Inferno lo piantando nel tuo cervello dottore, così non ti potrà più uscire da là dentro. U ricorderai per sempre e mai, ripeto mai potrai dimenticarti né di me né di quello che hai perduto e soprattutto, dice lui ridendo, come l’hai perduto, si tocca le parti intime con aria di scherno” non ricorda cosa ha visto e cosa ha voluto capire da quello che ha visto ma la sua furia e la sua rabbia si erano straformate in una gigantesca impotenza che mescolava mucco e lacrime alla saliva della bocca. Ricorda di non aver mai pianto così tanto in vita sua ma il motivo lo aveva cancellato. Il buio più completo si è preso una parte del cervello che è stato inondato da una marea di nubi vampire che ogni volta che provava a ricordare gli succhiavano energia e lo spossano, debilitando ogni fondamento del raziocinio. Tutto quell’incipit di pazzia è volontario. Nel suo Inferno i muri invalicabili, gli rendono la vita meno dura e il respiro confortante.

La cosa peggiore non è sopravvivere alla morte delle persone che ami, non signore, ripete a se stesso, è essere consapevole che le cose sarebbero andate diversamente se solo avesse intuito, percepito, osservato meglio … chi? Nicholas, il suo peggiore paziente.

Il caso Quentin Capaldi è considerato dai media come il più interessante dopo “Villisca” e persino “Jack lo Squartatore” ma quando viene assolto i media dimenticano velocemente al sua tragedia, il suo dolore e la sua battaglia, concentrando la propria attenzione sul suicidio della figlia di Withney Houston e sulle marachelle del giovane ex marito di Demi Moore.

Quentin Capaldi ha provato la sua innocenza alla società ma non a se stesso. Si sentiva colpevole fino al midollo perché lui aveva aperto la porta di casa al male, lui aveva chiamato il Diavolo a conoscere le sue abitudini e a giocare con l’unica figlia. “Non c’è peggior male di quello che ci procuriamo da soli” e a Quentin restava impressa una richiesta di Elly, una richiesta che non ricorda di aver soddisfatto. Perché? In quella paura che gli impediva persino di parlare, in quella paura lui avrebbe potuto trovare la risposta.

Trecentosettanta giorni dopo la fine del processo, dopo la condanna degli assassini della sua famiglia, Quentin incendia casa sua e guarda le fiamme alzarsi in vampate alte e scure, dall’auto che farà la stessa fine appena salirà sul volo 1317 per Calgary.

Che cosa gli aveva chiesto Elly, si tormenta lui schiacciando col peso del capo il poggiatesta, mentre la donna vicino a lui fissa, la sua camicia verde scuro con buchi rammendati grossolanamente con filo giallo molto appariscente? Quentin ha spento il telefono e gettato la carta di credito. Quando si parte per una nuova vita ciò che è indispensabile è molto più del necessario e formulando questo pensiero, si addormenta.

 

A settanta miglia di distanza da Jasper, a trenta da Cold Trees ultima avanguardia di civiltà, nelle Montagne Rocciose Canadesi, il furgone nero abbastanza nuovo e con qualche botta visibile nella carrozzeria, lascia la stradina fangosa e si ferma dentro una radura parzialmente coperta dalle felci, raccolte in grandi cespugli e cosparsa di acquitrini e pantani zeppi di muschi torba e qualche pianta acidofila, tutti rigorosamente assediati da abeti maestosi. Questi alberi hanno grosse radici superficiali che serpenteggiano grossolanamente sopra il terreno per poi fiondarsi in cieche profondità.

. La loro crescita è lenta in questi terreni acquitrinosi e poveri di nutrienti e la loro altezza raramente supera i tre metri, anche nel caso di esemplari centenari e all’uomo alla guida del furgone va bene così, la sua auto sarà perfettamente mimetizzata con la natura circostante.

Il Cacciatore ha avuto quasi un anno per prepararsi. E’ successo per caso, puntando la canna del fucile su due dei più grossi lupi del Parco Nazionale, prima di trovare la tana degli orsi dentro un enorme drone con la scritta leggibile Marina degli Stati Uniti d’America. Un bel fortino, sta pensando il Cacciatore che a nulla si sarebbe aspettato ma non a vedere un orso adulto di dimensioni eccezionali, a vista poteva pesare più di una tonnellata. L’orso appena uscito dalla tana lo aveva fiutato e si era messo sulle due zampe posteriori mostrando la terrificante molle, alto quasi tre metri. “Sei una femmina …” pensa con ironia il Cacciatore che sarebbe stato spacciato se uno dei lupi cui stava dando la caccia non si fosse fermato proprio sopra la tana della bestia.

La femmina è così infuriata che grugnisce e agita il corpo cercando di impaurire il nemico. Il lupo pondera se attaccare o meno, tempo giusto perché il Cacciatore scappi nella foresta. Il Cacciatore ha filmato la sua preda e appena torna all’auto capisce di avere tra le mani qualcosa di sconcertante che potrebbe fruttargli del vero denaro e soprattutto del grande piacere nella caccia.

 

Con le mani sul volante il Cacciatore ancora immerso nei suoi più che fantasiosi pensieri, sente una febbrile alternanza di emozioni. Ha allentato il nodo della cravatta rosa e aperto il bottone della camicia inamidata, sotto il giaccone mimetico. Le sue varie espressioni facciali, lui ha modo di vederle dallo specchietto retrovisore. Tutto nella sua vita, procede più che bene. Ha la famiglia giusta, gli amici giusti e persino i contatti giusti. La sua scalata è rapida e tenace.

Gli piace ammirarsi. Lui ha paura che qualcosa possa distruggere i suoi progetti ma è anche felice. Si guarda le mani sul volante, ne alza una e la guarda, non trema. Le sue mani non tremano e questo lo soddisfa pienamente.

Dopo anni, dopo tutti quelli anni passati a inseguire piccole prede per cui non vale nemmeno il peso di correre su e giù dalle montagne, per la prima volta si sente un fuoco dentro. Adora la caccia difficile. Le imprese impossibili per altri per lui sono la migliore sfida che un uomo possa chiedere alla propria sorte.

La caccia, quella vera, quella che ti rende uomo e supremo essere sulla Terra, è finalmente iniziata. Uno o due di quegli orsi giganti, diventerebbe una importante attrazione  per il  mercato nero e certamente sarebbero arrivate offerte da ogni parte del mondo.  

Un compenso milionario lo sta aspettando dentro una tana alquanto improbabile ma facile da rintracciare. Non che lui abbia bisogno di altri soldi, ma conosce bene il prezzo del potere e per mantenere le cose a suo favore c’era sempre bisogno di nuova linfa, ovvero denaro, più denaro possibile.

Avrebbe venduto sua madre per pagarsi la campagna elettorale e dicendo questo, pensa con tristezza ai soldi che l’anziana donna spende in viaggi, in capricci e auto che non la faranno più ringiovanire. Medita un attimo di farla fuori poi ci ripensa, ha bisogno di un sostegno famigliare con la comunità, il bel quadretto della famiglia perfetta, la madre dall’eleganza innata, vedova, cattolica ha sempre sorretto il figlio nelle sue dure battaglie politiche.

Sul furgone ha i corpi dei due lupi bianchi. Prima di ucciderli, lui ha sterminato la cucciolata e poi si è dedicato ai due adulti, superbi nelle loro pellicce zuppe del sangue che sbuca dalle ferite che lui ha procurato loro. Ha esitato qualche istante appena intravvista la tana degli orsi ma appena il lupo bianco si è allontanato dalla tana dell’orsa, lui l’ha seguito e l’ha trovato prima di sera, una famiglia intera cui dedicarsi. Due lupi bianchi sono una fortuna ma un grizzly adulto smisurato è un miracolo, un obiettivo su cui costruire la propria autostima e poi quel  posto, il nascondiglio perfetto per un relitto inestimabile. Nessuno potrà mai mettersi sulla sua strada, nessuno che poi voglia restare in vita.

Con il cellulare in una mano e nell’altra una bottiglia di birra, lui si sente in Paradiso.

“Ho scoperto una meraviglia. Hai presente Eldorado?”

La voce dall’altra parte lo prende il giro, poi gli fa molte domande cui lui non risponde ma continua a sorridere rumorosamente.

“Ti ripeto che lo saprai appena arrivo, prendi una bottiglia di buon whiskey, c’è da festeggiare.”

La conversazione si chiude e lui guarda il suo fucile ancora armato sul sedile del passeggero. Le pellicce dei lupi mandano non mandano il buon odore di soldi, quanto quella cosa che ha fotografato nel bosco e lui adesso, ha tutto quello per cui valga la pena di vivere. Già immagina i milioni che i criminali di tutto il mondo o i terroristi, verseranno per entrare in possesso di una piccola meraviglia che porta sulla sua struttura, in gran parte ancora intatta, la certificazione US ARMY.

 Lui intona una canzone, tra un sorso di birra e un altro, sorride pensando alla ragazza del bosco che ha lasciato vivere, perché l’ha lasciata vivere? E come una illuminazione gli arriva in testa una scintilla. La risposta. Ha capito perché l’ha lasciata vivere e beve l’ultimo sorso di birra, quasi potesse prevedere il futuro.

 

00. La trappola

Madre e cucciolo oltrepassano il fiume seguendo la traccia di un odore molto intenso. Lei sa dove portarlo. Il cibo non manca. Il fiume scorre con forza, il suo bacino largo è pieno di correnti forti che trascinano con orgoglio, qualunque cosa pensi di poterlo attraversare in quel punto. Le acque chiare e nervose corrono sopra i sassi del fondale e le spume hanno colori chiari che spesso riflettono il cielo e fanno brillare le sottili onde fino al centro dei vortici che cavalcano persino le pietre più grandi, disseminate lungo il suo tragitto fino alle cascate.

La temperatura esterna invita tutti gli esseri ad aprirsi alla vita. Lei deve sfamare la sua creatura. Il piccolo è molto vivace ma nonostante questo, non si allontana mai dalla madre. Ogni tanto il muso dell’orsa si alza per fiutare gli odori nell’aria. Non captando alcun pericolo lei prosegue sul pendio per poi scendere verso la sponda est del fiume.

Ogni cosa nella natura circostante, grida il proprio orgoglio vitale quasi il tutto volesse confermare la propria importante esistenza. Il fiume abbonda di pesci che in quella stagione trova le femmine a deporre le uova e per gli orsi saranno ancora più grasse e succulente. Il cucciolo diventerà forte prima dell’inverno e da quelle parti l’inverno è una cosa seria, i venti crescono di intensità fino a diventare gelidi e le bufere di neve durano parecchie settimane, finendo col seppellire metà dei boschi bassi e ghiacciando completamente il fiume.

L’orsa si spinge in un territorio nuovo ma non teme nulla. La zona le sembra sicura e la tana non è lontana. L’andatura sicura dell’animale non è ben corrisposta dal piccolo che ogni tanto inciampa nei tronchi degli alberi caduti e la madre si vede costretta a ritornare più volte per riprenderlo. Così fanno le madri, quando allevano i loro cuccioli, li seguono passo dopo passo, attente a dare loro insegnamenti utili a sfamarli e a preservali dal male. Perché dentro quel regno di giganti alti e verdi, di rocce millenarie e acque limpidi c’è sempre la possibilità che il pericolo nasca dalla più piccola disattenzione.

L’orsa improvvisamente si ferma ancora e annusa l’aria. Il cucciolo è lì dietro di lei e aspetta che la madre lo faccia scendere nella vallata aperta dove le sponde del fiume sono basse e i pesci così vicini che basterebbe avvicinare il muso perché saltino in bocca. Lontano una eco mette in allerta la femmina. Lei si agita sul posto per un momento poi decide in quale direzione correre e s’inoltra nuovamente nella foresta forzando il cucciolo a seguirla. La salita è ardua ma non impossibile. Il cucciolo con coraggio resta dietro la madre ancora in ascolto di quel strano suono che la spaventa. Il cielo è di un azzurro quasi impossibile e il vento non riesce a penetrare il muro di rami e fusti così alti e fitti da obbligare gli occhi a cercare con fatica una fessura nel verde che mostri il cielo. Per un momento la quiete frena la mamma orsa. Conosce molto bene il luogo dove adesso sono fermi e il piccolo ha trovato un tronco vuoto dentro cui si ficca con serena curiosità. La gioia dell’attimo è spezzata dal grido del cucciolo. E’ un grido di dolore intenso, acuto e molto lungo. La madre avanza velocemente verso il tronco ma il coraggio le è fatale perché due delle sue zampe una anteriore e una posteriore finiscono in due enormi trappole di ferro. Le ferite iniziano a sanguinare, il cucciolo la chiama dolorosamente e lei annusa l’aria prima di chiamarlo disperatamente.

La notte e il giorno si consumano sotto il richiamo doloroso degli animali solo che verso il secondo tramonto la voce del cucciolo cessa di lamentarsi.

L’uomo che arriva in mezzo alla radura, fissa la femmina di orso e prima di avvicinarsi, studia la mole dell’animale, se non fosse intrappolata potrebbe ucciderlo tanto è grosso.

Le trappole sono grandi quanto la testa della femmina, le due zampe ferite hanno una seria infezione e tanti insetti che si dissetano con il banchetto della morte. L’uomo perlustra la radura, cercando altre trappole ma trova non le tagliole mostruose bensì il cucciolo con la schiena spezzata dai denti lunghi del meccanismo. E’ morente, respira ancora ma la sua sofferenza deve essere terribile. L’uomo punta l’arma contro il volto dell’animale e spara un colpo.

La femmina lancia un suono lancinante che strappa al silenzio la sua sontuosità naturale. L’uomo si avvicina a lei e le accarezza il muso sporgo di fango e di sangue. L’animale è agonizzante e i suoi occhi parlano del dolore che prova.

“Non doveva andare così!” e il colpo travolge l’animale che smette di resistere. Le lacrime negli occhi di Quentin, sono pesanti come pietre e invece di scendere sul suo viso e in mezzo alla barba incolta, restano nei suoi occhi facendo brillare il verde delle pupille che guardano la morte di quella maestosa creatura.

Un mugugnato animale, molto forte si avvicina alla radura. L’uomo non ha modo di allontanarsi, è preso a liberare gli animali dalle trappole. Vuole quelle dannate trappole per scoprire chi le ha messe nel cuore di una foresta protetta, ma l’ombra immensa che appare dietro la sua schiena è più minacciosa del fucile con cui ha ucciso madre e cucciolo.

Quentin apre uno degli anelli di ferro per liberare dalla trappola la zampa anteriore della femmina. La trappola pesa più di una trentina di chili e gli serve tutto il peso per tenerla in tensione senza rischiare di capitarci dentro, a sua volta.

L’ombra impressionante spunta dal cespuglio dinanzi è un orso alto quanto un uomo che gli grugnisce contro con una forza e una violenza, aliene. Il grizzly maschio è in posizione eretta e mostra i suoi quattro metri di altezza, all’assassino della sua famiglia. Quentin è impacciato. Dovrebbe sparargli? E’ immobilizzato davanti all’animale furioso che peserà più di una tonnellata di muscoli e tutti in tensione.

L’orso ha una macchia bianca sull’orecchio destro e sembra una cosa comica su un essere enorme e irruento. Un grizzly adulto è una macchina assassina inarrestabile, quando è messa a rischio la sua sopravvivenza o quella dei suoi cuccioli. Avergli ucciso la compagna e il figlio, lo avrà mandato su tutte le furie, pensa velocemente Quentin, cercando una via di scampo.

Quentin è terrorizzato. Lo è stato anche altre volte ,ma questo mostro di quasi due tonnellate di muscoli, lo fa pisciare sotto dalla paura. La bestia apre il suo muso mostrando con un urlo di carica la sua collera e i suoi denti  Nulla da fare Quentin, questo t’ammazza, pensa lui velocemente guardando il fucile appoggiato al tronco dell’abete secolare. Il primo balzo sopra il corpo del cucciolo esanime gli fa guadagnare qualche metro e sarebbe morto se l’orso invece di caricarlo non si fosse fermato ad annusare la femmina, lamentandosi e piangendo a modo suo animale per la compagna morta.

Sicuramente il maschio avrà pensato che sia stato lui a uccidergli la compagna.

Dal suo punto di vista è tutto vero peccato che lui avrebbe voluto uccidere chi aveva piazzato quelle trappole nel bosco e chissà quante altre ci potevano ancora essere in diecimila chilometri di parco. L’orso si alza sulle zampe posteriori e la sua altezza aumenta paurosamente, quasi tre metri e mezzo. “Non sono stato io.” Vorrebbe dirgli, e poi lo grida ma la sua voce è impercettibile. un suono che sprona l’orso a caricare. Gli artigli delle sue zampe sono più lunghi del palmo di Quentin e l’uomo si rende conto che questo e la mole del bestione sono davvero un serio problema.

L’orso è enorme e il suo muso mostra dei canini bianchi impressionanti, lo avrebbe già caricato se un lupo, dalla pelliccia nera che ben si confonde con la foresta, non si fosse avvicinato un po’ troppo alla scena. Quentin approfitta e imita un ululato non ben riuscito ma abbastanza veritiero da distrarre l‘aggressivo mammifero.

Quell’orso è capace di correre agilmente in mezzo agli alberi, più di lui e l’unico modo di batterlo, è correre, come se non ci fosse un domani. Detto fatto. Quentin si lancia in una corsa attraverso la giungla di tronchi e cespugli, attraverso i rovi e lungo le serpentine salite del pendio collinoso, ha in mente un posto dove potrebbe trovare scampo a quella minaccia mortale, ma non era proprio dietro l’angolo la sua salvezza.

Quentin corre finché il dolore alla milza lo blocca davanti a un cespuglio spinoso. Tira il fiato e si calma, lasciando che il sudore gli coli giù dalla fronte fin dentro il colletto della camicia. Le trappole, pensa lui, le tagliole giganti sono sinonimo di cacciatori di frodo e di domanda quante di quelle trappole ci siano ancora nella sua foresta? Non resta a lungo fermo, torna sul sentiero dietro il laghetto che lo porta al retro del cottage, dove lo aspetta una cesta di radici e rami non più grande di una culla, dentro cui ha messo il suo cuscino per un ospite d’onore, un cucciolo di lupo bianco sopravvissuto. Prima l’orsa e il suo cucciolo, poi i lupi, Quentin odia con tutte le sue forze l’uomo o gli uomini che hanno potuto massacrare degli animali indifesi e si convince che non basta un coltello e un’ascia per fermare quei crimini. Tornando al cottage, nel capo si accende una scintilla “Zeus” sarà il nome di quel gigante, in verità uno scherzo della natura ma pur sempre una creatura di Dio che ora sta piangendo la propria famiglia, come lui qualche anno prima. I suoi occhi fissano le nuvole scure, pioverà, parla lui sottovoce, e tutte le tracce del cacciatore svaniranno.

L’orso sarà rimasto lì a spingere con il muso contro i corpi mutilati dalle zane di ferro delle trappole, aspettando che uno dei due resuscitasse e si rialzasse. Zeus, avrebbe sentito l’odore del sangue del suo cucciolo morto e avrebbe sopportato la devastazione del corpo della sua compagna, divorato preso dai lupi o dai puma. Quentin non ha colpa di quelle due morti. Lui ha solo tolto loro il dolore dell’agonia che sarebbe peggiorato prima della loro morte. Nessuno dovrebbe prendersi la vita altrui senza pagare con la propria.

Lui e il grizzly. Due vedovi inconsolabili, assaliti dal desiderio di vendetta e ignari della faccia di quel nemico invisibile al centro del loro mondo fatto di alberi, di acque limpide e  impetuose e di monti. C’è sempre il vento contro le alte fronde e la sua voce entra nel petto di Quentin che lo respira e ne inala la forza. Qualcosa in lui è cambiato ma non sa, se in bene o in male.

 

 

0. La fuga

Luglio è arrivato con una botta di afa e di caldo, intollerabili. La strada sta bruciando e i sui marciapiedi, le scarpe si incollano allo strato di bitume corposo e denso come una astuta e infida, sabbia mobile. Chi corre in auto, se non ha l’aria climatizzata, è costretto per non soffocare e bruciare dentro l’abitacolo, a tenere i finestrini aperti, così buona parte del fumo dai tubi di scappamento di mescolano all’aria che uno respira, mentre balla al ritmo di qualche canzone che strilla nella radio, ignaro di avvelenare ineluttabilmente il propri polmoni.

Nemmeno il cielo promette nulla di buono. Il suo colore è tendente a un azzurro sporco, dicono sia lo smog, ma nessuno lo controlla ogni giorno, quindi qualsiasi cosa lo faccia sembrare funereo, non è una buona cosa per chi ci deve vivere sotto. Così la gente, trova nel grigiore il proprio stile di vita, nevrotico, assassino di tramonti e stelle cadenti, banale quanto banale può essere il quotidiano con i suoi orari e programmi ripetitivi.

I miasmi si disperdono nelle zone verdi ma parecchio fuori dai centri abitati e in quelle zone, le case hanno i prezzi abbordabili per chi può comprarsi una fetta di paradiso, senza dover rinunciare ad alcuna comodità. Quando Gesù aveva creato il detto, beati gli ultimi perché saranno i primi, non si riferiva di certo a quelli che boccheggiano stipati nel traffico autostradale, fermo per qualche incidente, mentre la lancetta dell’orologio ti decapita la speranza che il tuo capo non si accorgerà del tuo ritardo dal lavoro. E’ così ingarbugliata e complicata la vita nelle città. Così tanto piena di regole e di doveri. Così presa dall’apparenza e dal futile che ha quasi cancellato dai viali, la bellezza degli alberi che quando crescono offrono ombra e frescura, la meraviglia dei colori dell’autunno con le foglie morte che danzano con l’umore del vento, la magia dei fiocchi di neve, quando imbiancano le case e le strade e creano una atmosfera da fiaba per gli occhi di chi la gioia del momento non vuole per nulla al mondo, perdersela.

Luglio è un miscuglio di quegli odori strani cui finisci col farci l’abitudine, come fai l’abitudine ai cestini dell’immondizia zeppi e maleodoranti, e alle invasioni di zanzare coscienti che il sangue umano abbia proprietà terapeutiche per la propria specie.

Ci si abitua, lo dicono quelli che stanno invecchiando spiando dalle finestre, i passanti, senza mai osare di affacciarsi per un saluto, moriranno probabilmente incollati nel proprio divano, con il telecomando sepolto nel palmo della mano mentre in Tv l’ennesima propaganda pubblicitaria sarà presentata da qualche attore o attrice che becca fior di quattrini per sponsorizzare una stronzata con il proprio nome.

Ci si abitua, lo pensa chi piange per il caro estinto e cui resta una vita avanti senza altro pensiero che con chi scambierà due parole e con chi parlerà dei propri guai? E’ la città stessa che divora in qualunque stagione dell’anno ma proprio d’estate che ti accorgi che non fa nulla per te, non ti offre riparo, non ti entusiasma con i suoi profumi o con le sue bellezze megalitiche contro cui s’infrangono impotenti, i raggi del sole. L’estate per chi sta in strada, per chi non è ricco, è l’ennesima stagione che rincorre un’altra stagione fatta di fatica, di dolore e di sacrificio. I giovani scappano dai villaggi verso le città, gli adulti scappano dalle città verso più piccole realtà mentre gli anziani, restano prigionieri di quei rimpianti che non lasciano margine alla speranza. Sognare è per i giovani, direbbe qualcuno, ma anche i sogni hanno un prezzo da pagare e molti giovani non vogliono misurarsi né con i sacrifici né con il dolore, molti ma non tutti. Qualcuno ancora, osa a pensarla diversamente.

L’appartamento nel quartiere più isolato e malfatto della città,  è sito in un edificio al cui ingresso c’è sempre odore di piscia e di vomito. Nei sei piani senza ascensori si alternano famiglie di varie origini e status sociali. Ex reclusi ai domiciliari, piccoli borseggiatori, separati, alcolizzati, persino un bordello che occupa ben tre degli appartamenti al terzo piano e i cui schiamazzai accompagnano le notti di tutti gli inquilini del palazzo.

Al secondo piano abita una coppia convivente, lei ha un figlio in prigione da nove mesi e lui finge di lavorare, come magazziniere, ma passa le giornate nei negozi di scommesse clandestine, dove si gioca tutto quello che ha.

Lori passa il tempo nella stanza di suo cugino chiusa a chiave, cugino da cui ha ereditato dei giornaletti porno, un paio di cellulari rubati, uno stereo vecchio ma funzionante e un barattolo di vetro pieno di canne. Lori avrebbe voluto trovare dei soldi e persino qualcosa da vendere, ma quel ragazzo era troppo stupido per tenersi qualcosa di buono da parte, come il padre, fuggito prima che lei nascesse, a detta della madre, continuava a mangiarsi i soldi  in prostitute e in scommesse di combattimenti illegali.

Una delle cose più difficili da capire per Lori è la vita. Perché tutta quella sofferenza che lei non pensa di meritarsi? Per lei, la vita pretende sempre qualcosa da te senza mai darti nulla in cambio e quando ti aspetti un suo piccolo favore, lei ti gira le spalle. I sogni degli adolescenti sono pagine rosa di un diario senza lettori. Le pagine del suo diario sono piene di aspirazioni, di incontri fortunati e di gioie, ma nessuna di queste cose si è avverata nei primi sedici anni di vita. Ha accettato di crescere in mezzo a sconosciuti, lei sempre piena di speranze, loro sempre più indifferenti ai desideri di una piccola donna.

“Abortisci scema!” è la frase che sente più frequentemente dalle sue amiche. Lo sanno in poche ma nessuna di loro la capisce. L’aborto l’ha considerato sì, come no? E’ così facile andare in ospedale e addormentarsi, eliminando il problema, o forse è semplicemente vergogna. La pancia non si vede e nessuno deve saperlo, non le importa delle voci di corridoio., le importa di trovare un posto, dove le cose vadano meglio per lei e per i suoi sentimenti che non trovano un’asse di rotazione.

Certo, sono in tante a farlo, chi se ne frega di quelli che non la rivedranno più dopo l’operazione, dopo l’annientamento di quella nottata che lei ricorda appena. Ogni giorno si ripete che dovrebbe farlo. Abortire, la soluzione rapida delle donne per cancellare le cazzate che fanno gli uomini che non si proteggono. Ha scritto sul diario la parola aborto per un centinaio di volte, senza trovare la risposta alla domanda. Abortire sì o no? Quando lui spingeva e lei cercava le sue labbra, non ha pensato che quella eccitazione, quel sudare, quel fuoco si sarebbe trasformato in qualcosa di importante ma soltanto per lei. Quanto sarà durata dieci minuti? No, meno, replica a se stessa che ricorda di aver visto i suoi occhi azzurri accendersi troppo presto rispetto alle aspettative della giovane ancora inesperta ma pronta per la vita.

Dopo essersi logorata per un mese con quella parola ha deciso di accantonare la parola aborto.

Non vuole diventare un rifiuto della società, anche se ha sbagliato sebbene non avesse capito in quel momento di andare incontro a uno sbaglio. Niente aborto per il momento. Però andare a scuola e fissare quelle ragazze che lo sapevano, la fa sentire sporca dentro e per lei essere incinta è un’esperienza nuova, forse non facile, ma nuova.

La vita dei ragazzi difficili non è acqua e sapone. Lei non ha mai accettato di esserlo. Per lei la cosa difficile è non aver avuto la fortuna di nascere in senno a una famiglia che l’avrebbe protetta da tutto e da tutti. Da gente che avrebbe messo da parte i soldi sin dalla nascita per i suoi studi universitari e che non avrebbe faticato a pagare la parcella dei dentisti.

Davanti allo specchio Lori litiga ancora con l’acne e spera che da un giorno all’altro arrivino i suoi 17 anni per diventare più donna, più libera, più piacente. Nel suo riflesso, lei cattura un’immagine diversa, che non le dispiace ma che non riesce a condividere con gli altri. Lei dentro è fantastica. E’ colorata e piena di speranze, non dovrebbe esserlo si domanda spesso negli ultimi periodi? Tutti quelli che incontra, amici, familiari, insegnanti,  le insegnano che la vita fuori sia uno schifo.

La città è un mare piatto e grigio, invaso da cartelloni pubblicitari fissati a modo grossi squali illuminati, capaci di divorarti con messaggi poco credibili se non vi fossero delle bellezze a mostrarli. Nella città,  dove corrono affamati i predatori si vive per non essere divorati e bisogna reinventarsi una personalità più forte, bisogna diventare furbi o crearsi una maschera, per non essere feriti e sputati nell’oblio dalla storia.

Lori Swan legge i giornali, guarda i film al cinema e vorrebbe scoprire che anche lei ha un talento per qualcosa. Probabilmente aspetta che un regista la noti per strada e le chieda di fare un provino o la prenderanno a lavorare in uno di quei negozi chic, dove il lusso è un  must e i clienti lasciano generose mance. Potrebbe studiare medicina, ingegneria, o l’ultimo grido tra le lauree, la genetica, ma la cosa richiede tanto tempo e tanto denaro e non possedendo né casa né famiglia, alcuna banca le presterebbe il necessario. La vita da normali, è una esistenza che allarga di poco i confini della città prigione, dove uno nasce, cresce, lavora come uno schiavo e poi muore, con la speranza che un Dio assurdamente buono lo salvi e lo porti in un Eden, dove ricchi e poveri sono tutti uguali.

E’ vero, dovrebbe essergli grata di essere nata con due mani, due gambe e due occhi, perfettamente in salute, ma quando pensa che lui dovrebbe salvare i bambini colpiti da mali dolorosi e incurabili, bambini offesi dalle religioni razziste e pedofile, la sua fede vacilla e si rintana in  una forza che lei considera più umana ed obiettiva, quella in se stessa. E’ incinta e non crede che sia colpa di Dio o di qualcun altro, questa è una cosa sua che non può condividere con nessuno.

Troppe volte ha letto di donne violentate, di ragazze della sua età torturate, sgozzate e mostrate al pubblico, come agnelli sacrificali. Troppe volte ascolta nei telegiornali i decessi nelle guerre contro il terrorismo, le guerre di uomini contro altri uomini e questo soltanto perché nelle nazioni, Dio cambia il suo nome in Allah, o Budda. Lo sterminio dei poveri e dei fragili la nausea perché lei, vorrebbe che quei diseredati, quei tanti nessuno, vivessero pienamente e serenamente la propria vita. L’uomo è un assassino eccellente che prima loda Dio e poi taglia la testa alle sue creature.

Lori ringrazia per la sua nascita, cercando di capire quale sia la cosa giusta da fare nella sua vita. per evitare le sofferenze e il dolore che la solitudine le procura. Nonostante lei parli e parli molto, sembra che la sua voce, non la voglia sentire alcuno.

A fatica ha sopportato quei parenti che le rinfacciano ciò che mangia, il fatto di mantenerla sotto un tetto e l’inutilità della scuola per una che potrebbe andare a lavorare. La sua disgrazia è essere diversa da loro, avere delle idee, dei sogni e non ha mai creduto che la scuola fosse una prigione ma il primo passo verso la libertà, ma ha fatto uno sbaglio che le è stato fatale. L’ha capito subito e vive nel terrore che gli altri se ne accorgano. Si è rintanata nel silenzio e ha fatto della solitudine la cornice di un quadro pieno di colori. Per i pochi lavori che fa in casa di sua cugina, riceve qualche moneta, ma tutti quei soldi li ha tenuti da parte, centesimo dopo centesimo. La sua libertà dipende da quanto riesce a risparmiare, negandosi tutte quelle cose che attizzano gli occhi a una adolescente, niente vestiti, niente trucchi e uscite.

Aspetta da sempre che i suoi sogni si avverino sempre la pagina dopo quella del giorno e così giorno dopo giorno, la pagina dopo non arriva mai. Per anni non si è allontanata per paura di perdere anche il poco che le è rimasto di una inesistente famiglia. Gli adulti spesso sono sordi alle necessità dei giovani e nel mondo in cui vive, gli adulti sono preoccupati solo per i soldi. Insomma tutte le loro gioie ruotano intorno ai soldi, non a un dialogo, a una festa, a una barzelletta, ma ai soldi, se hai i soldi, dice sempre sua cugina, ti puoi comprare il mondo e fare in modo che gli altri ti amino e si accorgano di te. E se non gli hai, domanda spesso Lori? Beh, se non gli hai ragazzina, sei un signor nessuno, una cosa che se sparisse dalla faccia della Terra nessuno si accorgerebbe, ti schiaccerebbero tutti e il tuo lamento non farebbe pietà a una mosca, ecco cosa sei senza soldi, sbiascica masticando un burrito ai gamberetti, semicongelato,  la cugina che i soldi li sogna, ogni volta che entra in quel magazzino puzzolente che i cinesi chiamano deposito alimenti e, dove deve pulire il fetidume per un salario da fame.

 

Il coraggio è una di quelle forme di affermazione che richiedono forza di carattere e fantasia e per Lori un atto di coraggio significa la libertà di inventarsi in qualsiasi posto qualcosa da fare per non essere più invisibile. E’ stato il coraggio a fregarla la notte in cui ha perduto la sua verginità con quel bel cos’era un ventenne? forse trentenne?  che ha speso un sacco di parole sulla sua bellezza e su tutte quelle cose che avrebbe voluto fare con lei, girare il mondo, vivere in una bella casa, ecc. Ricorda che le girava la testa e lui sorrideva, una fila di denti perfettamente bianchi e le sue mani che versavano qualcosa nei suoi drink rigorosamente alcolici. Tutto girava quella notte, la volta celeste, il brillio delle pupille infiammate dall’eccitazione, negli occhi di Lori il caleidoscopio sul cuore trasformava quella notte nella notte delle notti, la più bella della sua vita. Peccato che tutto si sia consumato sul sedile posteriore di una Mercedes.

 

E’ ancora notte, la notte del dieci luglio, quando lei aprendo gli occhi, pensa,  perché l’amore invece di farmi volare mi trascina e mi sbatte contro tutti i dubbi e tutte le tristezze e tutti i vaneggiamenti? Perché non dice di sì e basta. Io voglio che mi dica di sì anche per un breve momento, ancora per una frazione di secondo, un millesimo di secondo? e decide che è arrivato il momento. La decisione è un fuoco nulla più e lei deve lasciarsi trasportare dalla sua fiamma e non resisterle, come ha fatto fino ad allora, sperando che gli altri le portino quella sicurezza e felicità che non sono mai arrivate. Non le va di pensare al “Bambino”, in verità lui resterà invisibile ancora per un po’ e lei crede avrà il tempo necessario di trovare una sistemazione alle cose.

Si alza e fissa l’alba dalla finestra. Dal comodino tira fuori la rivista con il servizio fotografico sulle cinque meraviglie del Canada. La sorte ha mostrato la strada …

 

Prima di sistemarsi le cuffie nelle orecchie, la seconda batteria del cellulare pensa lei e guarda velocemente sul comodino, appena si è rassicurata ritorna alla sua pagina internet aperta, accede alla pagina Facebook della cugina e velocemente digita qualcosa di rassicurante, nulla di drammatico soltanto, sono in vacanza per un paio di settimane, e mentre le hostess chiedono a tutti di spegnere i cellulari, lei conclude il messaggio con, mi faccio sentire io, dopo aver postato un veloce selfie scattato contro la tendina che separa i vari scomparti dell’aereo.

L’aeroplano decolla, mentre lei fissa la mano maschile molto gonfia che ha invaso il suo bracciolo. Lori Swan gira il capo e fissa i motori che vibrano e si domanda, nel momento in cui Natalie Imbruglia riprende il Bridge di Torn, sarà normale?

Con gli ultimi soldi presi dal libro di matematica, sottolineato fino alle prime venti pagine si è comprata un biglietto d’aereo per Calgary e ha percorso i quasi settemila chilometri, dormendo con il collo sudato contro il poggia testa, in seconda classe appiccicata a un grassone che non smette mai di russare e di guardarle il seno. Ha risparmiato su tutto e non ha voluto portarsi via che poche indispensabili cose. Niente valigie, fotografie, rimpianti, critiche, nulla di nulla. Ha preso l’unica cosa che le appartenesse veramente, il suo cuore. Ha una bussola che vuole seguire fino alla fine senza necessità di avere risposte temerarie sul perché della vita, della sua vita, ma con il fine di poter vedere libere le sue idee. La seconda classe è piano di bambini piccoli che piangono e l’uomo di fianco a lei continua a sbuffare. Lori lo vede mentre lui le fissa le mani. Lo vede mentre lui fa finta di leggersi quel giornale inutile che parla di auto che lui non possiederà mai. Lo vede mentre allarga le braccia fingendo di cercare una posizione più comoda pur di cercare di toccarla.

Lei si stacca quanto può dal bracciolo sinistro e si incolla al vetro da dove sorveglia le nuvole e l’ala di quel dinosauro che trasporta avanti e indietro per i cieli, centinaia e centinaia di passeggeri con i loro problemi e le loro speranze. Non si toglie mai le cuffie e aumenta il volume sul cellulare per risentire Lullaby dei Cure. Immagina  di vedere quel ciccione galleggiare nel cielo, come se fosse un palloncino e a un certo punto un uccello si avvicina a lui e col becco lo fa scoppiare. Ogni tanto nella sua testa si affollano tante cose, pensieri, stranezze, timori, fantasie e lei invece di mandarle vie, le lascia lì a mescolarsi tra loro in attesa di una risposta che le faccia scoprire il perché lei sia così diversa da tutti gli altri. Vuole di più per la sua vita e vuole qualcosa che non sia imposto. Non vuole pulire le strade per tutta la vita e nemmeno prostituirsi per una bottiglietta di profumo come fa la sua amica Jennie che va fiera delle cose che riesce a comprarsi, quando i suoi amichetti molto più vecchi di lei le danno soldi o le fanno regali che una Lori Swan qualsiasi non riuscirà a comprarsi finché non troverà un lavoro degno di non essere umanamente degradante. Ma Lori pensa, anche a un’altra cosa, Jennie non è rimasta incinta del primo sconosciuto che l’ha spogliata della sua purezza, Jennie si compra i preservativi e va a letto con il suo ginecologo vent’anni più vecchio di lei e sposato, e così i pensieri tornano e rimescolarsi tra loro, fluidi e incorporei mentre i motori dell’aereo si spingono in mezzo alle nuvole con temeraria convinzione della propria meta.

Quando si diventa quasi niente per gli altri intorno a te, si smette di ragionare e lei ha smesso di controllare il peso di ogni dubbio, di ogni scelta. Ha ceduto perché stanca di aspettarsi dimostrazioni di affetto dai suoi parenti, da quelli che ha pensato fossero i suoi amici.

Per sedici anni ha respirato il fumo della città cercando nelle riviste la rivincita che alcune donne avevano avuto sulla loro condizione economica. Molte di loro erano state delle drogate, delle ballerine da taverna o persino prostitute, una volta celebri tutte quante erano pronte per fare da icona a teenager senza fortuna come lei. Ricorda limpidamente le parole di sua madre che le urla dal corridoio: t’è piaciuto il cazzo? visto che il cazzo ti è piaciuto, ti piacerà anche quello che hai in pancia! Lei si merita di più. Mentre sua madre le ricorda che nelle telenovela le protagoniste sono più furbe e si fanno amare dagli uomini con cui restano incinte, lei pensa quale tipo di madre si sarebbe meritata. Sei stata condannata senza processo Lori, dice lei a se stessa, condannata senza processo da cui esco, odiando mia madre e quella ipocrita attitudine di fallita di una che sa tutto ma non è mai stata capace a creare niente né per lei né per i figli. Forse un giorno, lei  le darà un’altra possibilità ma quel momento lo vede molto lontano e non facilmente raggiungibile. Sua madre è un joystick rotto della Playstation, col joystick rotto non c’è gioco e con una madre nevrotica non c’è famiglia.

Ha calcolato tutto. I soldi per l’aereo, il treno e poi l’autobus. Lo zaino è pressoché vuoto, uno spray al peperoncino, uno spazzolino, due smalti, un rossetto, una penna, sei pacchetti di noccioline, una barretta di cioccolato, una bottiglietta d’acqua, una felpa di pile nera con il cappuccio e gli assorbenti, avanzi dalla dispensa. I due cento dollari che ha in tasca sono gli ultimi soldi su cui può contare per sopravvivere. Nulla di tutto quello le sarebbe bastato ma ci avrebbe pensato al momento opportuno, in fondo degli assorbenti poteva farne a meno per qualche tempo.  Fissa ancora le ali dell’aereo e ricomincia il suo fluttuare in mezzo ai pensieri. Alberta è lo Stato del Canada con più sparizioni di donne e omicidi, potrebbe non farcela eppure non ha paura di morire poiché lei sa di non volere morire, anche se i maniaci e i criminali vanno a nozze con le ragazze scappate di casa in cerca della propria libertà. Alberta è un confine e non un traguardo, l’affetto non si trova sulle montagne o in mezzo ai boschi ma l’amore per se stessi sì, pensa lei. Sarà forte, se lo promette, dimenticando nel suo piano la cosa che le sta crescendo dentro e che cambierà infinitamente i suoi piani. Lori appoggia la schiena al sedile e lo distende. Per non allontanarsi dal mondo definitivamente deve ricaricarsi costantemente il cellulare, quello è la sua arma, per le emergenze e per essere sicura di potere tornare indietro se necessario.

Infine pensa che c’è qualcosa di più alto e importante della paura o del coraggio ed è la fede, non la fede in quell’essere alieno in mezzo all’azzurro e stagnante nell’aria, la fede in sé, una fede incrollabile in quello che si vuole fare essendo disposti a pagarne il prezzo.

Apre gli occhi e si piega cercando di aprire lo zaino ma un bisogno più impellente la obbliga a chiamare il ciccione accanto che la guarda con aria da vizioso sotto gli occhialini sudati come la sua fronte e le sue ascelle.

“Scusi devo andare al bagno.”

“Lui si alza e si alzano anche gli altri due, facendola passare. L’uomo con gli occhialini e sudaticcio la segue finché non scompare nella parte centrale dell’aereo. Quando ritorna, Lori supplica l’hostess di spostarla nell’unico posto rimasto libero e la donna le guarda l’addome e annuisce. Il ciccione la smetterà di annusarla e di toccarla. E' in coda all’aereo ma non le importa nulla. Accanto a lei, una signora in età dorme ascoltando musica dal suo Ipod e ha un profumo delicato di fiori che rilassa parecchio Lori che a sua volta si rimette le cuffie riascoltando i Cure il suo gruppo preferito.

La ragazza si addormenta pensando al buon profumo della donna accanto, alle vetrine die bei negozi, alle torte al cioccolato, all’ultimo ragazzo che l’ha messa incinta e di cui non conosce nemmeno il nome però era bello, così bello da meritare la sua verginità. Ritorna a pensare al profumo delicato e ricorda sua nonna, quando la portava sulle spalle al momento della nanna. Era stata buona finché non era diventata più grande e poi l’ha ignorata perché l’ha ignorata? Perché hanno smesso tutti i amarla? Sua madre era andata a vivere con qualcuno, mollandola a casa di sua cugina, una donna con il senso materno di un cobra. Tra lei e i suoi fratelli non c’era amore o amicizia e nemmeno rivalità, erano tutti degli sconosciuti che crescevano in case diverse, aspettando che la loro madre trovasse finalmente una situazione definitiva, cosa che Lori sapeva che non sarebbe accaduta mai.

L’aereo incontra turbolenza e Lori afferra i braccioli stringendo forte gli occhi, se deve essere il momento basta che non senta nulla, ripete a se stessa a se stessa e trassale quando la mano della hostess si appoggia alla sua spalla chiedendole se vuole dell’acqua per riprendersi, Lori accetta. Lori accetta qualsiasi gentilezza le arrivi da chiunque. Probabilmente anche l’atto del concepimento di suo figlio è stato un cedere alla gentilezza di un  ragazzo che non voleva conoscerla profondamente, non voleva ferirla o amarla, non voleva nulla da lei che essere gentile per qualche ora, ora che lui avrebbe cancellato dalla sua vita mentre lei l’avrebbe ricordato per sempre. Non aveva nulla di lui, un nome, la forma del viso, nemmeno la voce ricordava. Era durato tutto così poco e lui si era scusato prima di uscire poiché gli uomini ubriachi, diceva, non riescono a fare di meglio. L’aveva accompagnata a casa di sua cugina e solo al mattino lei aveva realizzato che non si erano scambiati il numero di telefono.

Ha sperato per qualche giorno che lui sarebbe tornato lì dove l’aveva lasciata ma nessuna auto come la sua, lussuosa, carina e sportiva si era avvicina al quartiere più povero della città. I ragazzi come lui, si ubriacano spesso e a volte cercano compagnia. Lei aveva notato soltanto la sua gentilezza e per quella sera le era bastata. I baci non erano stati troppi ma gli occhi del ragazzo erano così belli da luccicare mentre facevano l’amore sudati. Ricorda il loro sudore e il sorriso di lui quando le aveva schioccato un bacio da lontano prima che accelerasse nel buio. Prima di comprare il biglietto per Calgary ha ponderato bene ogni cosa. Sua madre era nuovamente incinta del quinto figlio. Lui l’avrebbe lasciata come avevano fatto anche gli altri e lei avrebbe supplicato la cugina di aiutarla poiché erano troppe le bocche da sfamare e il lavoro da cameriera non le piaceva.

Tutti sanno che con sua madre, i lavori non erano mai interessanti o ben retribuiti, a lei non piace lavorare né sacrificarsi per qualcun altro che non fosse se stessa. Le piace passare ore intere sul divano davanti alla televisione, sorseggiando caffè di seconda scelta, fumando soltanto sigarette di marca e in pantofole.

Il suo cellulare l’avrebbe aiutata a orientarsi. Nessuno le avrebbe noleggiato un’auto e l’autostop non sarebbe stata la cosa più saggia da fare, ha pensato di usare i mezzi pubblici, sugli autobus non si rapiscono le ragazze.

Un odore forte e acido le arriva fino dentro lo stomaco. Quando apre gli occhi si ritrova la sagoma del ciccione che appoggiato al suo poggiatesta le sfiora il petto con la pancia molto dilatata. Lori guarda la sua vicina addormentata contro il finestrino. Non ricorda quando si sono scambiate di posto. Lori capisce che l’attesa di lui davanti alla toilette occupata sarà lunga e dopo aver aperto la cintura di sicurezza si alza. L’uomo la fissa e dalla sua fronte sudata delle gocce di sudore cadono sul collo della ragazza. “Mi scusi!” e con una gomitata allo stomaco del gigante si fa largo in corridoio. Tutti dormono e non ha intenzione di fare una scenata.

L’uomo finge di non aver fatto nulla e continua a sostare davanti al suo posto mentre lei resta in piedi in attesa che lui si chiuda nel bagno o all’inferno se necessario. Lui lascia cadere con non curanza la mano e lei sente le dita sopra il suo petto. Lui balbetta qualcosa che assomiglia a delle scuse, ma forse è lei a immaginarselo. Impacciata Lori non sa cosa fare. Il ciccione le lancia un’occhiata strana ma lei lo anticipa, lo spinge con lo zaino ed entra di corsa in bagno, da dove avrà intenzione di uscire tra non meno di mezz’ora. Seduta sulla tazza del water inizia a pensare a quel naufragio disastroso. Con le mani fruga dentro la borsa. Forse ha trovato un rimedio a quel viscido e fissa il suo piano di vendetta, dovrà soltanto aspettare che lui si addormenti, o almeno che quelli intorno a lui si addormentino, il resto, beh, il resto lo affida alla fortuna.

Poco prima che il capitano chieda ai passeggeri di riallacciarsi le cinture, lei riapre la porta della toilette e notando l’assenza del ciccione, s’incammina verso il suo posto, mentre tutti dormono, mentre il mondo fuori dall’aereo non è che un groviglio di nuvole annodate all’oscurità, mentre lei non vede un mondo tutto suo a cui appartenere. Con la memoria azzerata, chiude gli occhi sperando di sognare qualcosa di buono, qualcosa di bello, qualcosa che la stringa e la faccia sentire al  sicuro. Si sente sola. Ecco cosa significa solitudine, non avere nessuno su cui contare, quando la tua vita è in pericolo e non ci sono alte prospettive più belle per il giorno dopo. L’essenza del nero si concentra nelle sue cellule. La sua vita è più nera che mai, di un nero che così  denso da poterlo usare come asfalto sulle strade.

Si ricrede sul posto e si concentra sulla follia che l’ha spinta fin lì. Non ne ha mai azzeccatala una, le scelte più sbagliate, più  incaute e più pericolose si sono concentrate in una unica direzione, quella che ha scelto per andare via di casa. Ricorda la voce di Jennie, abortisci stupida, non vorrai mica stare dietro un marmocchio a sedici anni? Oramai tutto è fatto ma questo non la fa sentire al sicuro. Si pente. Si pente fortemente. Forse avrebbe dovuto riconsiderare le sue priorità e concentrarsi con tutte le forze sulla scuola, su un lavoro, ma le viene in mente il posto da dove viene, le scale che puzzano di piscia e le urla delle ragazze nel bordello, la gente che vive in quel posto sogna al più di avere i soldi per comprarsi un’auto scassata e una dozzina di birre da bere con qualche pappone in cerca di nuovi talenti. Lei odia Jennie e tutto il falso mondo di cui si circonda, non fa per lei. Sicuramente ce la metterà tutta per fare una fine migliore della sua amica. Sicuramente ci sono delle alternative alla prostituzione, per una donna anche se povera. Sicuramente il suo principe azzurro non assomiglia per niente a quello che l’ha drogata e poi le ha sussurrato nell’orecchio bugie e illusioni. Lei ha sbagliato a non avere avuto consigli in merito, si è buttata sulla situazione che lei sperava fosse la più bella della sua vita, erroneamente. Sua madre le avrebbe detto, non c’è amore in un pene e le fantasie romantiche sono la più grande stupidata dell’universo.

La realtà del bosco senza un confine la infastidisce. Non ci sono case. Dove sono le case? Nemmeno una fattoria, un’auto, del fumo? Nulla.

Le mancano persino i parenti più inutili, le manca quel bizzarro modo di sua cugina di prendersi cura di lei, le manca persino il sarcasmo di sua madre che si accorgerà della sua fuga, tra sei mesi? Probabile. Ha scalato la montagna della sua paura e ha scelto di vederne la vetta. Sei proprio pazza Lori, pensa, sei l’apogeo della follia adolescenziale, della natura umana e di tutti quelli che sono disturbati mentalmente. Ha fame. Per risposta cerca nello zaino il pacchetto di sigarette e ne accende una. La fame come la paura vivono con lei e la divorano da dentro.

La fame come la paura seguono gli indifesi, gli infelici, i provati dal destino per distruggerli ma lei non vuole cedere assolutamente senza aver lottato. La sua follia, tutta quella energia pazza che l’ha spinta lontana, la sua battaglia contro il mondo, la spingeranno in una direzione e perché non quella giusta?

Poco dopo l’atterraggio, lei con altre duecento persone, attendono in corridoio di poter scendere. La fila procede lentamente verso i portoni d’uscita. La folla è concentrata su una emergenza venti posti più avanti e lei intravvede in lontananza, due hostess e persino il capitano davanti al sedile di un passeggero molto grosso che tentano di risvegliare.

C’è una sorta di panico controllato tra i membri dell’equipaggio che stanno soccorrendo un passeggero svenuto. Lori non  considera lo stato di quel bravo uomo che prima le alitava sul collo, una vera e propria emergenza, anzi è ben certa che lui sia sano e salvo. Naturalmente quell’uomo aveva soltanto bisogno di un buon sonno ristoratore, qualcosa di indotto con un paio di piccole pastiglie antidepressive, pensa lei senza alcun rimorso, mentre la fila dietro di lei, la spinge con urgenza avanti. E nuovamente alla luce di un cielo limpido e sotto una calda giornata estiva, Lori si concentra sul suo arrivo a destinazione, accende il cellulare e fissa il panorama in una delle fotografie salvate nella cartella “la mia nuova casa”, una cartolina dalla fine del mondo che posterà sulla sua pagina social.

 

 

1.     Il camionista

La tavola calda è  sul ciglio della strada e a poca distanza da Jasper. L’edificio azzurro attira l’attenzione di Lori con la sua insegna luminosa “Rocky’s” dove la “S” resta appesa all’apice inferiore sospesa tra il cornicione vecchio e senza grondaia e un pezzo di tetto anch’esso mal ridotto. Sembra datata ma le importa poco. Guarda le finestre non proprio pulite e nota che dentro il locale è pieno. Si sente un pochino a disagio entrare in quel posto, guardando da fuori le auto e i camion parcheggiati ma non ha scelta, ha fame e le scappa la pipì. Altre cinque ore di autobus ed è arrivata in mezzo al nulla. E’ scesa dal bus, poco prima di entrare in città. Non vuole vedere un’altra città, vuole solo rintanarsi da qualche parte al sicuro e fiondarsi in bagno che sicuramente avrà un odore peggiore di quello che lei ha trovato all’ingresso. Con il cellulare si fa un Selfie, fotografando la sua espressione stanca in un mondo che non ha molto di strabiliante. Posterà la sua fotografia sul social.

All’ingresso del locale, lei nota un odore stantio di moquette imbevuta di fango e di cibo avanzato e caduto. Un’occhiata alla sala le conferma che non potrebbe essere un grande ristorante, tutta gente di passaggio, sudata e dall’aspetto molto montano. La città ha i suoi vantaggi, pensa velocemente, i locali se non puzzavano di alcool, odoravano di fumo ma quel fetore è peggio di una cloaca all’aria aperta. Il cattivo odore è forte ma non vuole andarsene.

Lei mira a un angolino libero con un tavolo appoggiato contro la finestra e dimentica il cattivo odore di fritto, caffè caldo e sudore che si mescola al puzzo degli stivali pieni di fango dei clienti. Nota che ha addosso gli occhi degli uomini e si toglie il cappello rosa imbarazzata, è luglio idiota, parla lei a bassa voce, chi ha luglio indosserebbe uno stupido cappello di pile? Quale ragazza non darebbe nell’occhio se il posto fosse frequentato soprattutto dai camionisti?

Si siede e sistema nello zaino il capello. Prima di chiudere la borsa, accende il cellulare e guarda lo schermo, zero messaggi. Guarda le tacche sul display, dovrebbe metterlo in carica. Appena andrà in bagno lo metterà in carica per qualche minuto, di certo sarà meglio di niente. Si avvicina una donna minuta e molto truccata, bei capelli, dice alla ragazza che non sa se prenderla sul serio. La donna ha una magliettina verde con i fiorellini, pulita e appena è di fianco a lei sente il leggero profumo di sapone alla vaniglia, a Lori non dispiace. Prima di prendere l’ordine la cameriera infila un biglietto da visita sotto il tovagliolo di carta davanti a Lori che finge di contare i soldi nel portafogli e quando smette, fissa a sua volta la cameriera che le chiede nuovamente  se va tutto bene?  Lei risponde “affermativo” ma dentro di sé non si sente a posto e poi  in mezzo a tanti estranei è sola come il guscio vuoto d’uovo.

Prende il biglietto da visita e legge “Lizzie - Parrucchiera per Signora prezzi molto bassi e tagli alla moda.” La cameriera ritorna con una tazza di caffè e sorride nel vedere Lori che mette il biglietto da visita in una tasca dello zaino.

“Non sono io Lizzie.”

“Ah.” L’unica risposta di Lori.

“Cioè sono io ma è il mio nome d’arte, se hai bisogno ti sistemo un poco il taglio, saresti fantastica e non costa molto. Adesso  vado, non vorrei che il capo sapesse che sponsorizzo il mio secondo lavoro, sai com’è, oggi devi cercare di darti da fare se vuoi avere qualcosa per domani.”

Lori annuisce anche se non la capisce, e le chiede quattro uova e doppio caffè, la cameriera resta impressionata dalla sua fame e ricambia il sorriso della ragazza. Sembra simpatica, pensa Lori.

Un uomo si avvicina e si siede al suo tavolo. E’ un uomo biondo non molto alto con la barba rossiccia incolta e la faccia bonaria. Lui sorride mentre gli altri non notano che i due siano completamente estranei.

La cameriera porta le uova ubriache di olio e sepolte da patate fritte inforforate da dosi copiose di sale e di un colore marrone che annuncia la troppa cottura in grassi saturi e riutilizzati all’infinito, mentre lo sconosciuto chiede una birra ghiacciata.

Lori non sa cosa fare, è imbarazzata e sta per alzarsi ma si ferma appena lo sconosciuto le parla con un tono di voce calmo e molto gentile.

“Ti ho notato perché sei piccola e sei sola in questo posto? Aspetti qualcuno? Tu non sei del posto, cioè non ha mai visto il tuo viso da queste parti, io ci passo spesso, per lavoro, ho una famiglia numerosa e mi piace credere di essere un buon genitore e marito? Ma se sono invadente, mi ritiro vicino a quelli sciacalli che appena metteranno piede fuori dalla tavola calda, pigeranno con odio sull’acceleratore appropriandosi della corsia come se fossero padroni della strada. Non a tutti importa il benessere delle persone e molti pensano soltanto al denaro o al proprio benessere …”

Lori non vuole guardarlo sebbene il tono di voce non sia sgradevole. E’ un estraneo e lei è sola. Mai parlare con gli sconosciuti Lori è risaputo, lei lo sa, ne ha lette di cose in internet di ragazze rapite sul ciglio della strada e mai tornate a casa, svanite si dice di loro. Ogni tanto trovano dei pezzi di ossa, scheletri senza tempo cui faticano dare un nome e quando sanno di chi è, nessuno pensa al dolore di quella creatura prima di morire. Si muore a volte e a nessuno importa. E’ la gente normale che uccide e rapisce le ragazze indifese e lei in quel posto lontano dal mondo conosciuto è davvero indifesa, se almeno ci fosse qualche poliziotto o delle coppie con dei bambini, ma nulla.

“Non sono sola. Mangio e torno a casa, qui vicino, conclude lei sottovoce.” Lei sente l’alito di lui che sa di fumo e birra, molta birra.

“Guarda.” L’uomo apre il suo portafogli pieno di contanti e fotografie e le mostra un paio.

“Queste sono le mie principesse. Hanno quindici e otto anni. Belinda e Paula. Sono un papà fortunato e credimi, io non vorrei vedere che le mie figlie se fossero sole, dovessero trovarsi in pericolo. Un padre capisce, quando una giovane ragazza ha bisogno d’aiuto o di compagnia per non dare nell’occhio, ho una certa perspicacia. Se non ti reco disturbo, ti terrò compagnia per la colazione, a me non piacerebbe mangiare da solo, mentre gli altri mi guardano, mi imbarazza e anche se mi vedi così grande e grosso, credimi sono una persona timida e sensibile. Non mi piace essere osservato. Ci sono pericoli mascherati da gente normale che sorseggia caffè e limonata.”

Ma io non lo sono, in pericolo,  vorrebbe rispondergli, solo che l’uomo la incalza, tirando fuori i soldi per pagarle la colazione. Insiste e ordina un paio di generose fette di torta al cioccolato. La cameriera lo guarda quasi sospettando qualcosa, ma si ritira appena lui usa un linguaggio molto educato e suadente.

Lori fissa la sua tazza di caffè, quasi volesse scoprirci dentro il suo futuro e prima che la mano dell’uomo le stringesse il braccio per riportarla alla realtà, un piattino rosa con tante righe blu a raggio, le si pianta davanti agli occhi. Il profumo del cioccolato, ingrediente principale di quel dessert,  le fa tornare per un attimo il buonumore.

Ogni boccone che manda giù è masticato almeno una decina di volte, lei deve alzarsi per andare in bagno e si vergogna. Ma l’uomo si alza per discutere con la cameriera e lei approfitta per prendere lo zaino e chiudersi nel bagno. Il locale emana un odore pungente, come aveva immaginato. Sono tutti degli animali, pensa lei cercando di non guardare le pozze di urina intorno al vaso.

Quando esce dal bagno, ritrova lo sconosciuto seduto a leggere il giornale. Sul tavolo un’altra fetta di torta l’aspetta e l’uomo finge di non saperne nulla, soltanto le sorride per poi tornare serio a leggere il giornale. Il dolore al dente cariato si fa sentire ma lei lo vuole ignorare, pur di favorire un altro pezzo di paradiso.

La seconda fetta di torta è grande quanto la prima, ha dei piccoli fiocchi di panna deceduta probabilmente con il caldo della sala, ma questa sazia Lori che scioglie un poco le sue difese, non ha motivo per considerare lo sconosciuto, un cattivo uomo. Lui risponde persino a una telefonata della moglie e bacia le figlie con affetto davvero confortante. Lui spiega persino di essere con una ragazza che deve aiutare ad accompagnare a casa, lei, proprio lei, e ripete alla moglie di non essere tranquillo finché la giovane non sarà sul primo autobus.

Fuori dalla tavola calda, inizia a piovere in modo quasi selvaggio e lei pensa che dovrà trattenersi là dentro per qualche tempo. Controlla il cellulare, accidenti manca il credito, pensa lei, dovrà comprare una ricarica prima di andare via, e lo sconosciuto segue ogni suo movimento, mentre con studiata lentezza risistema nel portafogli le due fotografie rimaste sul tavolo. Sono così consumate che Lori, mentre lui le mette via, pensa a quante volte deve averle guardate e riguardate durante i suoi lunghi viaggi; quell’uomo è molto legato alla sua famiglia e questo la conforta, pensando al genitore che non ha mai avuto, al padre che l’avrebbe portata a danza e sarebbe stato geloso di tutti i suoi fidanzatini. Difficile comprendere ciò che non si è mai avuto e quell’uomo, con le sue fotografie, con la sua gentilezza è l’icona di un padre che lei avrebbe amato con tutto il cuore se avesse avuto almeno la pazienza di vederla nascere, ma il bastardo è scappato prima, ecco la realtà..

“Ti accompagno a casa.” Le dice dopo aver bevuto un generoso sorso di birra. Ha le mani pulite nota lei e non le dispiace vedere che anche le unghie dell’uomo non sono marcate di nero e ha i contorni rosei, nota di uno che cura l’igiene personale nei minimi dettagli.

“Hmm …” lei non risponde e lui coglie l’attimo per avanzare con migliore proposta.

“Sempre che io non ti dia fastidio e non mi credere una persona dalla maleducazione sconfortante. I timidi sono pessimi oratori ma buone guardie dei sani principi.”

A Lori piace come parla, sembra un uomo colto e non quei buzzurri che bestemmiano e t’incalzano con argomenti osceni.

“Ero un professore, ma faccio il camionista per vivere, con lo stipendio di un acculturato non sfami i figli. Vedi? Non porto la fede, ho preferito un sontuoso anello di fidanzamento per la mia regina, sì, lui fa una pausa e un lungo respiro, perché sappi, una moglie per l’uomo che la sposa è una regina. Se resteremo in contatto, guardando le mani di lei che trafficano con il cellulare, ti presenterò le mie bambine e potrai venire a passare il Ringraziamento con noi, potrai invitare anche i tuoi, siamo una famiglia che coltiva le amicizie e ci piace credere di essere dei buoni cristiani.

“Ma lei non dovrebbe bere se guida.” L’uomo si ferma e guarda quasi con orrore il grande bicchiere di birra mentre sospira.

“Hai ragione, risponde lui, allontanando la birra e chiedendo alla cameriera del caffè, eccomi, più sobrio che mai, ma tu ora devi tornare dai tuoi perché non va bene per una brava ragazza stare seduta in una tavola calda da sola. Ti porto alla stazione dei bus, potrebbe andarti bene? Pochi isolati da qui, in verità arriveresti prima a piedi ma fuori diluvia e non ti consiglio di farla a piedi. Potresti restare alla taverna, vedi tu … a me farebbe piacere portarti in salvo al tuo autobus.”

Lori lo guarda, mentre si alza e si mette il cellulare nella tasca della giacca di jeans. Non è un brutto uomo sebbene potrebbe curarsi di più i capelli arruffati. Quella serietà e quella sicurezza, la disarmano, così cede al suo invito. L’uomo la saluta con un sorriso mentre le chiede nuovamente se le va bene il passaggio? Lei annuisce. I suoi progetti di fuga non le arrivano in testa, la sola cosa che vede è la pioggia fuori dalla finestra mentre lei è li con quel gentile sconosciuto e mentre lui si dirige per pagare il secondo caffè, inesistendo di non volere i soldi che la ragazza vuole ridargli per la colazione, Lori s’infila in tasca il cellulare accesso, in caso debba fare una telefonata di aiuto e porge una banconota all’uomo.

“Niente obbiezioni! Mia figlia ha la tua età non è il caso di imbarazzarsi, potrei essere tuo padre. Mangia e torna a casa, fuori c’è un temporale che distruggerebbe anche una piccola felicità come quel fantastico pezzo di torta. Chiama i tuoi e se ti senti più al sicuro dì loro che posso dare tutti i dati anche il numero di casa, per confortarli. Oppure, chiamali a venire a prenderti, ti terrò compagnia fino al loro arrivo.” Parla lui massaggiandosi la camicia sopra l’addome, troppo buono fa troppo male, dice lui sottovoce e soddisfatto.

La pancia di Lori sta male, ha mangiato troppo e le uova le ritornano in gola.  Dovrebbe andare in bagno e rifare pipì ma si vergogna a farsi vedere da quello sconosciuto che ritorna alla toilette per un bisogno così intimo. Lui sta uscendo e le apre la porta. Per proteggerla dalla pioggia si toglie il giaccone di jeans e lo usa come ombrello. Lei non è cieca, le nota queste finezze e non le dispiace che una persona in modo disinteressato sia gentile con lei. Lori è stanca, avrebbe bisogno di staccare la presa delle paure ma salita sul grosso camion, lei non si sente a suo agio sebbene lui non faccia nulla per darle disturbo.

“La stazione degli autobus è qui vicino, vero?” domanda Lori ascoltando per primo il conato di vomito. Si concentra per spingere giù il cibo, pronto a risalire con tutta l’acidità generata dal suo stomaco.

L’uomo le sorride innocentemente. Lui non le fissa il petto, come il ciccione porco sull’aereo. Accidenti, nono gli ha nemmeno chiesto come si chiama, si sente una maleducata ma si promette che lo farà appena l’occasione si sarà presentata. Poi si domanda scioccamente se lei si è presentata? No che non l’ha fatto. Ancora si sente a disagio per la propria ignoranza. Sono molte le cose che uno appena esce nel mondo, deve ricordarsi e molte delle quali, sono convenevoli, attenzioni, cortesie, tutte cose cui una giovane ragazza che passa tanto tempo in casa o davanti alla televisione non le ha vissute.

“Se non ci fosse questa pioggia saresti già arrivata. Appoggia la testa e rilassati, tra dieci minuti siamo in città e ti lascio davanti alla stazione degli autobus, al sicuro. Dannato temporale estivo, sai quando arriva, ma non sai quando finisce, vero?”

Lui aumenta i gradi del riscaldamento dentro l’abitacolo e accende la radio. La voce molto potente di una cantante country, ribatte contro il silenzio in cui Lori si è chiusa per pensare, ma la musica è una canzone d’amore e Lori cede a quella storia triste di due che si incontrano per una sola notte d’amore e destinati a pensare l’uno all’altra per tutta la vita.. Il volume è molto alto e Lori ascolta le parole della cantante, facendole proprie.

Lori si rilassa. Sì, lei ha proprio  bisogno di una persona amica per smettere di pensare di essere sola al mondo. A quell’ora sia sua madre che cugina, saranno così ubriache da accorgersi della sua mancanza, tra minimo una settimana. Lo sconosciuto ogni tanto dondola la testa seguendo il ritmo della canzone; ha una guida sicura e fissa la strada mentre la pioggia batte incessante contro il parabrezza, mostrando il minimo della strada e ancora meno della natura intorno. Lei gira il capo e guarda fuori dal finestrino, non nota nulla, solo forme e ombre di alberi che si piegano al vento e altri alberi e persino un cartello cui lei non da conto ma, dove c’è scritto “Tornate presto a Jasper”.

Per un attimo crede di aver chiuso gli occhi. Una dormita veloce ma rigenerante. Il caldo dell’abitacolo la conforta e si addormenta ancora per un attimo, poi lei apre gli occhi e scorge con la coda dell’occhio che la mano dell’uomo non è sul volante ma si agita violentemente sopra i suoi pantaloni. Vede qualcosa che la disgusta. Vorrebbe lanciarsi giù dal veicolo ma più lui agita la mano, più veloce va il suo camion sulla strada completamente vuota e battuta dall’acqua. Lei richiude gli occhi e comincia ad aver paura.

Un sudore freddo la prende dalla schiena e arriva fino alle caviglie. Troppo tardi per prendere lo spray al peperoncino o il coltellino dallo zaino e la portiera non si aprirà mai con lui alla guida, l’unica cosa da fare è essere realisti e giocare la carta del coraggio. Trema tutta lei quando la mano di lui le sfiora prima il ginocchio per piano piano risalire fino al bottone dei jeans. Lori pensa che è stata una cattiva idea non mettersi anche la cintura. Lui molla il bottone le sfiora la parte interna delle cosce chiuse quasi serrate.

“Siamo arrivati?” lei chiede fingendo ancora di dormire, mentre lui accosta e ferma il camion.

“No cara, ma siamo molto vicini.” Le sue mani le arrivano direttamente sul petto. Nonostante sia ingrassata, il petto è spinto in avanti da un reggiseno con il push-up, qualcosa che la fa sentire femminile, prima di essere posseduta in un’auto, prima di essere puntata da un ciccione viscido …

Non fare nulla, parla a se stessa, stai zitta e non fare nulla, sopporta e pensa, Oddio, non mi viene niente in mente, pensa e lascialo fare, devi salvarti, ma il suo pensiero è un vuoto incolore, dove sta fluttuando o peggio, dove è bloccata. Lei pensa, potrebbe combattere, dibattersi ma la stazza dell’uomo la soffocherebbe e la bloccherebbe senza altri risultati che la violenza. Allora lei gli cede e finge di sorridere. Le mani dell’uomo, stringono i suoi seni con forza. Ogni tanto quelle dita insistenti e curiose, le strizzano i capezzoli, facendole davvero molto male. Non ci crede di vivere quel trauma. E’ paralizzata e il respiro affannato dell’uomo, le grida che sta per succedere qualcosa di poco piacevole.

Lori pensa! grida nel suo cuore che ha iniziato a batterle molto forte. Sta per succedere, sta per succedere, devi trovare la soluzione, devi salvarti, salvati!! Sono le parole che le restano strozzate in gola. Ha una paura folle. La dita di lui cercano, controllano, sostano, azzardano. Vorrebbe piangere ma ferma il singhiozzo e gira il capo per guardarlo negli occhi. Lui si fa trovare mezzo nudo.

“Ti pace guardarmi eh?” le domanda lui, mentre le infila nuovamente  le mani sotto la maglia e accarezza con voracità i piccoli seni liberi dal reggiseno bloccato contro il collo.

Lei non ha scelta che fingere di sorridergli per poi guadarlo proprio lì, dove lui mostra il pene gonfio e eccitato poi si fa coraggio. Avvicina il capo al sesso dell’uomo che prima la lascia fare, poi la respinge con forza. Lori spera che lui non abbia capito. Lo guarda con il volto arrossato ma gli occhi socchiusi, più per nascondergli il terrore che altro.

“Pensavo non avresti voluto?” lui la guarda negli occhi in modo sospettoso. Lei apre un sorriso triste nella speranza di non venire travolta dal peso impossibile di quel gigante. Il camionista continua a guardarla ma lo sguardo da minaccioso, diventa interessato, fissando nuovamente il petto dell’adolescente e avvicina la sua bocca ai capezzoli, tanto è divorato dal desiderio.

“No!” è la risposta di lei al morso crudele dell’adulto.

“Fa male eh? Ti piace vero?” parla l’uomo che si concentra sui propri pantaloni e aprendo la cintura prima di calarsi il tutto fino alle ginocchia.

A lei non vengono in mente le parole. Ha schifo e vorrebbe vomitare ma si trattiene, mentre lui tira fuori la lingua per leccarle il pezzo di pelle che va dal seno fino al collo, lo lascia fare, anzi gli mette tra i capelli per spingergli il capo contro il proprio corpo e lascia che le sue dita inizino a giocare con i capelli sudatici del violentatore.  Lori non ha tempo. Si piega su di lui con una ragione precisa. La mano di lui le spinge giù il capo con violenza, è arrivato il momento, pensa Lori, e mentre lui la vuole subito, lei lo ferma.

“Per favore, mormora, apri un pochino il finestrino, si soffoca di caldo.”  Finge di aprire completamente la cerniera dei jeans e quel  rumore disorienta il suo molestatore.

La ragazza torna a sussurrargli nell’orecchio e prima che il capo di lui le scivoli tra le gambe sopra i pantaloni. Lori nota una pistola sotto la chiappa sinistra del suo assalitore. La pistola gli è caduta, quando si è sfilato i pantaloni. E’ talmente eccitato da non accorgersi di averla sotto le natiche.

“Fa molto caldo per piacere …” è la supplica convincente  di Lori. La ragazza chiude un attimo gli occhi e realizza tutto, forse ha una speranza. Riprende coraggio e torna giù con la faccia schiacciata contro il sesso di lui. L’uomo scocciato fissa il volente, accende il motore e apre di poco i di due finestrini, per evitare che la pioggia entri dentro,  mentre lei, nello stesso momento, apre la bocca e con tutta la forza della paura che le opprime il cuore, stringe i denti intorno a quella cosa oscena e appena il sesso dell’uomo le arriva in gola lei serra nuovamente i denti fino a farlo sanguinare, nello stesso momento gli tira un pugno molto forte nei testicoli. Il grido di lui è lancinante, grida il demonio, continua a gridare e a imprecare, il dolore gli impedisce di parlare, si piega su se stesso con disperazione e lei apre la portiera, afferra lo zaino e scappa sotto la pioggia.

Dopo una decina di metri in avanti, attraversa la strada e si infila nella grande vegetazione che costeggia il percorso. Ha solo alberi davanti a sé. Lei corre inventandosi un sentiero, una via di scampo al rapitore e non guarda se il percorso che fa è in salita oppure in discesa, importante è allontanarsi il più possibile dal mostro.

 

Non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, ripete lei, mentre corre accecata dai sassi d’acqua che picchiano contro gli occhi semichiusi. Corre veloce sebbene le sue gambe siano dei pezzi di ferro pesanti e scoordinati. Piange e trattiene il singhiozzo di paura. Cerca disperatamente di capire, dove sia la sua salvezza.

Si guarda indietro e poi si rigira, così impaurita che lui la segue o sbuchi fuori da dietro qualche tronco d’albero, che grida aiuto a una foresta sorda. Le fa male la milza e in gola un groppo pesante le impedisce di respirare. Piange e corre impotente nel fermare la pioggia sui suoi vestiti fradici e dentro le scarpe inzuppate. Ogni passo è un ostacolo in mezzo a rami caduti e tronchi spezzati dai fulmini. Per terra non si vede niente, i sassi, le foglie, altri sassi e altro fogliame rende scoscesa la salita.  

Avrà attraversato qualche chilometro di bosco, prima di fermarsi e vomitare. Tutto quell’acido impastato a pezzi di torta erano nella sua bocca che li sputava, convinta di aver ingurgitato dinamite e non un dessert. Le uova però quando ti ritornano indietro, sono le peggiori, hanno la cattiva maniera di puzzare sia dentro che fuori e mentre le hai ancora in bocca, impastate all’acido gastrico, senti che le tue narici ti chiedono pietà e si suiciderebbero piuttosto di risentire il tanfo con cui esplodono fino in gola, come razzi lanciati da dentro il tuo stomaco verso il mondo fuori. Ogni tanto un connato ritorna anche se lo stomaco di Lori è vuoto. Si sposta con urgenza dalla pozza disgustosa e prova a pulirsi le labbra con la manica. Adesso l’odore è davvero dappertutto, sui suoi vestiti, sulle scarpe, sulla pelle del viso.

Poteva rubargli i soldi, pensa, lasciando cadere lo zaino, contenta di essere ancora viva, mentre si pulisce la bocca, invece della pistola poteva rubargli i soldi.

La pioggia e il vento sono sempre più impietosi, non è il caso di fermarsi, si ripete, e cerca un qualsiasi cosa, possa assomigliare a un riparo. Non è più sulla strada. Lui non la deve trovare. Un grande tronco cavo le è parso di vedere e avanza verso il suo obiettivo, dimenticando di assicurarsi dove appoggia il piede. Lo spuntone della roccia coperta da muschio, le entra prepotentemente nella carne del polpaccio. Il rovescio temporalesco la investe con violenza. Si accascia e grida per il dolore. Il suo capo riceve altra pioggia e il vento non smette di investire il suo corpo. C’è una mezza oscurità e una nebbiolina che s’alza dal terreno. Cammina con gli occhi semichiusi, cercando di orientarsi. Usa il cellulare per fare luce, quanto è stupida, riprende se stessa, doveva comprare una torcia per quel viaggio, la luce del cellulare non mostra che una natura vasta e incontrastata e la spegne quasi subito; può avere bisogno di aiuto anche se non riceve alcun segnale. La consola l’arma che tiene nella maglia con le tasche. Ogni tanto la sua gamba finisce in pozze profonde e piene di fango. Le scarpe si sono suicidate e forse irrecuperabili, avesse usato tutto il sapone del mondo. Ora è sporca e fradicia e si gira continuamente per capire quale direzione scegliere. La pioggia non le dà tregua. Ha freddo e per smettere di tremare cammina, pensando al caffè. Ricordati Lori dove metti i piedi, si ripete, ma come faccio se non si vene nulla in questa oscurità, e alza lo sguardo sugli alberi alti quanto un edificio che offuscano il cielo con la loro corona di rami.

Il tronco a pochi passi da lei, potrebbe ripararla. Decide di trascinarsi fino al tronco alto quanto un’auto, un fulmine deve avere stroncato l’albero immenso che ora giace bruciato e piegato sul lato opposto di cui lei non può vedere nulla perché in ombra.  Ha le radici grosse che fa da scalini e si pulisce le scarpe dal fango prima di entrare nel buco di legno e si stringe negli abiti bagnanti, tremante di freddo e scioccata.

C’è del odore cattivo ma non le importa. Aspetterà che la pioggia finisca per farsi un fuoco e del caffè. Ha la tazza di ferro e del caffè liofilizzato, insomma il Paradiso in tasca dopo quel temporale snervante.

In tasca la pistola del camionista, non sa nemmeno come usarla, eppure non l’aiuta a non essere terrorizzata da quel posto con infiniti alberi e cime che si rincorrono dietro l’orizzonte. Prima di addormentarsi accende il cellulare ed estrae la pistola dalla sua tasca, legge la scritta sulla canna, Glock spazio 21 Gen4  spazio Austria spazio 45 Auto. Ai suoi pensieri arriva la vista del corpo dell’uomo che l’ha assalita e l’alito disgustoso sul suo petto, la pioggia avrà lavato l’impronta ma non la vergogna e la rabbia.

In meno di una giornata hanno cercato di violentarla, si è perduta in mezzo alla foresta, è diventata posseditrice di una pistola e ha quasi distrutto le scarpe da tennis, anch’esse fradicie.

Lori hai desiderato una vita migliore e quello che hai ottenuto è: una tremarella dentro il tronco di un albero, una fame terribile, una nottata al freddo in un posto solitario e pieno di bestie che ancora assalgono l’uomo, la sua voce si disperde in natura e nessuno la sente a parte il cielo e quella legione di arbusti piantati alla schiena di una montagna generosa solo con chi sa sopravviverle.

Ha finto di non voler interpretare i suoni, i richiami di quel bosco pieno di vita e il suo mezzo sonno ha lasciato per tutta notte lo spazio a una mente vigile.

Lori, Lori, Lori … non potrai stare nel tronco per tutta la vita,  è il suo consiglio a se stessa e una nuova ondata di pioggia avanza per punirla per tutti gli sbagli commessi e anche quelli avvenire. Quando la natura decide di torturarti, lo fa compiacendosi del dolore e della tristezza che infligge alle sue vittime.

E’ stanca di essere una vittima, ma nonostante questo subisce e trema per il freddo. Non ha speranza di accendere un fuoco e se la pioggia continuerà per molto, morirà di freddo o vittima di qualche predatore. Mangia le noccioline cercando riparo sotto il sacco che ha messo nello zaino e non per un motivo particolare, ma perché a lei la plastica piace, le ispira funzionalità, e per un lungo viaggio, un sacco può tornare indispensabile se non c’è nelle vicinanze un motel o una tavola calda. Con i soldi che ha in tasca potrebbe permettersi di dormire fuori per un paio di notti. Per il mangiare le basta qualche merendina e della carne secca, ma in quel momento si è ricordata di non aver comprato alla tavola calda nulla per i propri bisogni. Il ricordo della torta al cioccolato si tramuta in un conato di vomito e appena il volto del suo assalitore compare nella memoria, da libero sfogo al suo stomaco che le fa rimpiangere le pizze di Nuto’s che sua cugina ordinava ogni Martedì sera. Adesso sotto il temporale, lei sta passando un Martedì da inferno e l’odore della pizza ai formaggi, non le ritorna caro come dovrebbe.

L’acqua non smette di scendere e lei usa lo spazzolino pieno di dentifricio per togliersi il gusto acido e sgradevole dalla bocca. Il gusto della menta la libera dal male che l’assale da dentro. Non dà la colpa al bambino, non pensa minimamente sia colpa della creatura, la fatica di orientarsi, lo scoraggiamento, il timore, la sconsolazione ma soltanto la sua lucida e tenace follia.

 
 

2.     Perduta

Per arrivare in mezzo al nulla non c’è bisogno soltanto di coraggio ma di una grande buona dose di pazzia umana e Lori Swan ne ha in quantità di quella roba storta che le passa per il cervello. Ha usato la sua paranoia cittadina per deformare quello che poteva essere un bel sogno da inseguire con il tempo, con gli anni. Per arrivare nel posto, dove la terra tiene più alle montagne, agli alberi, agli animali, alle nuvole, al cielo che agli uomini, per arrivare fino a Jasper e oltre la cittadina ,dove avrebbe trovato salvezza, c’è voluta la complicità di una ostinazione così forte e cattiva da maneggiare i pensieri di una ragazza prossima ad essere madre. Appena arriva un momento di sconforto in quella lunga e interminate attesa, lei usa il cellulare per ritrarre la natura demolita e piagata dalla pioggia. Appena troverà campo, posterà le sue impressioni o meglio solo le fotografie, per ascoltare le critiche o l’incoraggiamento della gente che pur ignorandola, la degna di piccoli saluti e sporadici complimenti nei commenti.

Una parte del cuore le dice di tornare indietro, ovunque ci siano case, grattacieli, smog, treni, rumori, tanti rumori e poi luci di goni sorte incluse quelle pubblicitarie, ma un’altra parte di lei, quella più insana probabilmente, la supplica di non cedere, di non guardarsi indietro ma di tirare avanti.

 Ha legato la ferita dolorante con un pezzo della canottiera che tiene sotto la maglia di lana.

Il sangue le ha macchiato i pantaloni e le scarpe sono ridotte a un pungo di fango dentro e fuori. Stanca morta si addormenta dentro il tronco con la speranza di poter ragionare sulla direzione per tornare indietro alla tavola calda o almeno al paese più vicino. Si sveglia per un paio di volte al buio e tremolante, ha freddo e ha la sensazione che il tempo non passi mai.

Accende il cellulare ma non riceve segnale, usa la luce per illuminare gli alberi lontani, si tranquillizza non c’è nessuno. Chiude gli occhi e resta in ascolto della natura succube della pioggia; lontano molto lontano, avverte il lamento di un animale e non vuole sapere se sia un lupo o altro, appena alba camminerà verso il vecchio mondo. La sua avventura è un fallimento come tutto il resto che ha pianificato. Ricorda la faccia gentile del mostro del camion e si arrabbia con se stessa.

In qualche modo ha raggiunto è in un punto così remoto dalla città che non le basterebbe una giornata di cammino per tornare indietro. Non riesce a rilassarsi. Pensa. L’avventura ha scritto l’ultimo rigo nella sua ambizione di farcela in mezzo alle meraviglie canadesi. Avrebbe scritto che sarebbe voluta tornare indietro e avrebbe lavorato volentieri e rinunciato alla scuola pur di non rivivere una nottata come quella precedente.

La sua ferita è dolorante, se fosse rimasta a casa, sarebbe stata davanti alla televisione a compiangersi e a mangiare burritos mezzi congelati in cui i gamberetti piuttosto che sudare nel microonde si sono suicidati con la salsa piccante con dubbi ingredienti.

E’ certa se non si fosse perduta, non avesse rovinato tutto entrando in quella tavola calda, che in paese avrebbe fatto poche provviste fingendosi in compagnia dei genitori venuti sul posto per acquistare la loro casa di villeggiatura. L’uomo del drugstore l’avrebbe guardata con una faccia tenera e le avrebbe indicato i posti più belli da visitare. La solerzia del venditore l’avrebbe spinta a chiedere quale sia la fattoria più remota e lui le avrebbe risposto che lungo l’argine del fiume, ci sarebbero stati alcuni cottage ma nulla più e a lei quella risposta sarebbe particolarmente piaciuta. Prima di uscire avrebbe comprato cinque pacchetti di sigarette e il venditore si sarebbe insospettito sulla sua età ma non abbastanza da negarglieli. Lei avrebbe continuato a ripetergli che sarebbero stati per la madre accanita fumatrice e per rendere il gioco più interessante avrebbe finto di rispondere allo squillo del suo cellulare. “Sì mamma ho preso tutto. Sì mamma anche le sigarette e il venditore, un signore molto in gamba vorrebbe dirti che sarebbe il caso di smettere, siì gli dirò di farsi gli affari suoi, sì mamma, arrivo.” Chiusa la finta conversazione, avrebbe messo via nella tasca posteriore dei pantaloni il cellulare e salutato il venditore si sarebbe diretta, dove? Pensa nuovamente al venditore del negozio, lui prima di salutarla, le avrebbe gridato di fare attenzione..

“Io c’ho provato, sa nemmeno a me piace che fumi così tanto.” Gli avrebbe risposto già sulla porta del negozio intenta a scappare via dalla curiosità dell’uomo.

“Brava ragazza. Tua madre è fortunata.”  Avrebbe replicato lui, mentre Lori con l’accendino in una mano e l’altra per mettere al riparo la sigaretta, avrebbe spinto la fiamma fino al tabacco pur di sentire la nicotina in gola, la prima cosa giusta di tutto quel viaggio.

 

Ha camminato parecchio e deve fermarsi più per le fitte all’addome che per il male di piedi. Evita di guarda l’ora, in quel posto ha la sensazione che il tempo si sia fermato. Non ci sono sentieri e nemmeno auto parcheggiate e nemmeno un fuoco o delle luminarie, qualsiasi cosa possa chiamarsi salvezza.

La temperatura non è alta e le due felpe di pile non riescono a contrastare le ventate frizzanti. Il capellino rosa invece, è un vero gioiello per quella temperatura, quello che ci vuole. Ha male di pancia. Non resiste e deve accasciarsi sopra il manto di erba e rami secchi.

 “Ehi Bambino, vacci piano.” E’ la prima volta che lei gli parla. Comincia a credere che quell’essere in lei sia reale, abbastanza da avere una identità e condividere la fatica con lui, l’avrebbe aiutata a non impazzire del tutto.

“Sai Bambino, sono certa che presto, non avrò più paura di lottare per le cose in cui credo e troverò un amore così grande da non avere bisogno di cercare una luce se dovessi restare la buio, perciò fatti coraggio e resisti come me a questa grande e grossa gabbia di alberi e cespugli e rocce poiché se non lo farai, io dovrò aiutarti e credimi non sono un’eroina.”

C’erano cose che lei non poteva ostacolare, cose stabilite da leggi della natura e capiva che più si addentrava nel mondo enigmatico delle foreste canadesi più la sua vita era messa in pericolo. Sapeva che poteva morire, di freddo, uccisa da uno o più sconosciuti o semplicemente cadere in un burrone.

Nonostante questi pericoli, lei guarda con fierezza a quel regno esausto di colori e di odori. Il cuore le batteva forte e un briciolo di ragione le urlava di tornare indietro, ma a lei non importava. Non sarebbe più tornata in città in nessuna città e paura o no, forse avrebbe trovato il modo di sopravvivere. Lei che ha sempre avuto paura degli scarafaggi, dei ragni e persino delle lucertole, ora si misura con bestie più grandi, predatori liberi che non  potrà fermare con un piccolo coltellino da campeggio e in avanzata gravidanza, sì era pazza, si ripeteva costantemente e con abbastanza ironia da superare il tremore della fifa sorda che le scorreva nelle vene.

La foresta è fitta e gli odori al suo interno molto forti. Gli alberi sempre verdi, consumano la vista e nonostante quei buchi nelle loro fitte corone il cielo non è mai abbastanza. Lei si gira costantemente in cerca di un sentiero. L’ultimo sorso dalla bottiglia d’acqua e ancora quei pensieri neri così neri da abbattere la paura di sopravvivenza in mezzo a un mondo completamente sconosciuto.  Si ferma davanti a un cespuglio per i primi bisogni. Al mattino fa così freddo che la felpa non basta per ripararla dalle fredde sferzate del vento e si è persino pentita di essersi tagliata i capelli. Non ha acqua per lavarsi ma usa l’ultimo goccio per il fazzoletto, le parti intime hanno la priorità.   La direzione, ha perso di vista il punto strategico, e il suono del fiume l’ispira quasi le desse una certa sicurezza. Pensa, se vuoi arrivare a un punto sicuro della civiltà meglio seguire il corso di un fiume, e lei è pronta per mettere alla prova quella frase che ha sentito da qualche parte o possibilmente in un film, quel film con Sean Pean, ecco Wild,  di cui in quel momento non ricorda nulla altro se non Sean Pean mentre fissa il cielo … le ha sempre messo tristezza quell’attore e il film non era da meno. Lo zaino è così leggero che le ricorda di non aver nemmeno uno snack per pranzo. Il coltellino non basterà per fare provviste e nemmeno i pochi spiccioli. 

Il verde sta iniziando a nausearla, la sua gita in mezzo al cuore della natura non è più la fiaba che pensava. Scappare dal mondo per immergersi nella natura è stata una pessima idea. Quella veloce repulsione l’assale e la cattura più di ogni altra cosa. Ha pensieri e sentimenti contrastanti su quella fuga. La natura non fa per lei. Odia gli insetti, i serpenti o peggio ancora, i ragni. Deve fare un fuoco e aspettare che qualche guardia del parco lo veda, ma stare ferma per più di qualche ora in quel posto, la terrorizza. Non c’è nulla di facile, di commestibile e di interessante. Tanti rami e tanti cespugli e tanto camminare. Cose che alla lunga stancano anche lo spirito più impavido, crede Lori. Si accende una sigaretta. Sporca e stanca, ecco come si sente. Si odia per quella scelta di vedere il mondo da sola e dal punto di vista di una che la libertà la vuole a tutti i costi, ma il prezzo di quella libertà sta diventando pesante. Ogni tanto guarda la sigaretta che si consuma lentamente e la sua più grande gioia è tirare fuori i piedi dalle scarpe per pulirli con la seconda felpa. Nulla è più detestabile di qualcosa di appiccicoso addosso.

Non ha calze di ricambio e no, non ha nulla con cui asciugarsi. Dovrà aspettare l’indomani. La pioggia smetterà e lei potrà spogliarsi dei vestiti contaminati dalla poltiglia per lavarli e asciugarli sulle pietre. Manca poco cammino per arrivare agli argini del fiume.

Le due sponde sono lontane il che significa che è profondo e le sue acque sono ripide. Le acque sono così limpidi in riva che vorrebbe farsi un bagno, ma capisce che non è una idea saggia.  Cammina sulle pietre e con l’acqua fino alle caviglie, si piega per bere un sorso d’acqua. La sete è la più terribile bestia in mezzo al nulla. Si guarda intorno. Cieli immensi, alberi, acqua e nulla che la consideri importante sul pianeta. Lei è un’ospite in un posto così grande che se morisse dimostrerebbe che nella vastità della natura un essere umano  un granello di sabbia. Ha fame. Rovescia lo zaino sulle pietre e conta i suoi tesori. Passaporto, poche centinaia di dollari, una mela verde, dentifricio, spazzolino, un pezzetto di sapone, gli smalti, tre pacchetti di sigarette, gli assorbenti, il coltellino, un pacchetto di caramelle all’anice, carne secca, noccioline sparse, sei bustine di zucchero rubate al bar, un tubetto di latte condensato, sei compresse di antibiotici, un piccolo tubetto di Xanax in gocce rubato a sua cugina e per emergenze supreme, tre accendini, i guanti verdi e un cappellino rosa. Addenta la mela e ributta tutto nello zaino. Il succo del frutto la disseta e lei prende un secondo e più generoso morso. La mela non la sazia, con velocità divora le noccioline. Il nuovo mondo sta scrivendo un capitolo importante della sua vita.

Si spinge nuovamente nei boschi, ad ogni passo, si gode ogni morso del frutto tritando sotto i denti persino il torsolo e lasciando solo la piccola codina di legno.

Addentrarsi nel bosco non è stata una grande idea, crede e camminando, pensa a dove potrebbe pernottare se non dovesse trovare una grotta o una zona sicura?

Lori fissa ogni albero cui passa accanto e si rende conto, accarezzandosi l’addome, che non potrà mai arrampicarsi su quei bestioni che arrivano, dove l’azzurro si mostra ai suoi occhi. La cosa però che le vince lo sguardo è proprio il cielo, terso, infinito e di un colore spaventosamente bello che ti rapisce e ti rende sottomette alla sua bellezza. Non è davvero certa che Dio esista ma se esistesse non potrebbe che abitare lì in quel colore meraviglioso e rigenerante.

Esce dal bosco dopo quasi tre ore di stancante e disorientante camminata e scende in una nuova valle, puntando ad arrivare lungo una nuova sponda del fiume e che nonostante gli arbusti bassi e testardi, considera sia la parte meno faticosa del suo viaggio. Accende il cellulare, batteria quasi a metà, non c’è campo ma la musica è qualcosa di indispensabile per non impazzire. Ascoltandola le verrà qualche buona idea, come nei film. Ai personaggi vengono sempre delle idee molti brillanti nelle situazioni più improbabili. Dieci minuti di musica non scaricherà del tutto la batteria. Prima di premere il tasto play si fa un Selfie con sottofondo il verde delle corone legnose e il cielo, dovrebbe postarlo sul proprio profilo Facebook ma non ha voglia di fare sapere di sé, probabilmente un giorno lo farà. Ha ereditato quel cellulare dall’ultimo “fidanzato” della cugina che l’ha gettato nel water durante uno scatto d’ira e poi è corso via dalla vita di entrambe. Lori fissa il display con una piccola ombra in alto, dove non è riuscita ad asciugare c’è rimasta come una macchia che lei considera peculiarità per quel aggeggio dell’ultima generazione. Nomina la fotografia “primo di giorno d’avventura e sono ancora viva” aggiunge fiera di se stessa. Altre cartoline dalla fine del mondo nel suo diario spirituale, ecco la piccola rivincita sulla vita di città. Niente code in metropolitana, niente autobus e gente spilorcia con i sorrisi, niente fretta, nevrosi e  sete di impossibili conquiste. Non le manca la città, anche se certi piccoli vezzi, come un bagno rilassante, e una tazza di caffè. Il pensiero alla schiuma da bagno combatte con l’azzurro del cielo, vince il cielo. Il blu che lei guarda è impossibile da descrivere, da copiare e da tradurre con le parole. Vorrebbe un paio di ali e punterebbe sempre in alto se le avesse, più in alto di quegli uccelli di cui scorge lontanamente le piccole forme. Essere libera come un uccello per saltare sui rami e sfidare il vento, per conquistare la montagna, impressionando l’aria con il suono del suo cinguettio. Le sue due gambe affaticate le ricordano di essere umana. Una umana che scala pesantemente e faticosamente un pendio meno inclinato di quello che sembra. Scorge una radura pianeggiante e superati i fitti cespugli., la raggiunge con l’aspettativa di trovare qualcosa di più confortante, forse un briciolo di civiltà. Nelle scarpe il fango ha lasciato non solo terra impastata ai calzini ma dei sassolini che le grattano la pianta del piede. E’ infastidita oltre misura ma non si ferma. Non ha intenzione di cedere alla prima difficoltà del suo viaggio, la sporcizia.

Non c’è nulla nella pianura che si estende per milioni di chilometri secondo il suo punto di vista, soltanto lei, le acque del fiume ed il cielo. Intorno non ci sono che altri alberi così alti da fare scudo al sole e le punte delle montagne che si rincorrono verso un confine impercepibile tanto è distante. E’ piena di fango e i vestiti sono ancora umidi, ma la giornata, fissando lei il cielo, promette soltanto sole e azzurro dentro cui nuotare se solo avesse le ali.

Lori fissa uno dei suoi accendini. Zippo è il suo preferito, ha lo spirito di un soldato e non la molla in caso di bisogno o sotto la pioggia. Lei ha raccolto qualche rametto e il fuoco non è il massimo della difesa in quella terra sterminata. Continua a guardarsi intorno e realizza che non ci sono esseri umani e che ci vuole qualcosa più del coraggio per non farsi sopraffare dal vuoto e dal silenzio anch’esso selvatico. Non c’è la comodità del stare tranquilli, lei si gira e capisce che bisogna vigilare continuamente quasi la sua locazione fosse il punto di focalizzazione di tutti i predatori. Con il cellulare fotografa il volatile che ad altezze impressionanti sembra galleggiasse nell’aria. Appena ci sarà rete la metterà sui social, giusto per rimediare un poco all’atrofia del suono cosa carente se non si giustifica la presenza del vento. Si china con gli occhi sui sassolini in riva al fiume e calibra la mente sulla magnificenza di cose cui prima non dava importanza. Si sente sperduta e minuscola confronto all’universo di giganti, cielo, montagne e alberi. Tutto è più grande di lei, mentre in città la grandezza umana si misura in base alle cose che possiede, in quel posto la grandezza umana non è nulla se non una battaglia per la sopravvivenza. E se si presentasse un serpente? Un animale rabbioso e affamato? Non vuole pensarci. La cosa primaria è la sopravvivenza. Conta il momento. E’ troppo grande la natura che la sommerge per programmare il futuro. Lei vuole resistere pur non sapendo che l’unico modo per farlo è andare d’accordo con se stessi.

Ha letto che ci sono i puma e che i lupi vivono in branchi, qualunque cosa potrebbe attaccarla anche il gufo di cui crede di sentire il verso.

Il fuoco la fa sentire meno sola. Il silenzio fa tana nelle sue orecchie e disperata cerca nelle stelle quel conforto che prima veniva dal traffico della città e dalla gente che non smetteva di litigare o di fare schiamazzi.

Per la notte, si sdraia in mezzo alle felci coperte con il sacco di plastica nero e con il capellino sulla testa e i guanti si rannicchia, tirando sul capo il secondo pile che le lascia scoperti i piedi.

Lo zaino è un cuscino poco comodo e la felpa non è una camicia da notte. Lori chiude gli occhi, con la pistola sotto la gamba destra, pensando alla paura e al posto isolato, dove nessuno l’avrebbe mai trovata in caso di  bisogno. Adesso era realmente sola. I suoi sogni non sarebbero più stati gli stessi.

A palpebre chiuse, può percepire la piccola vita che cresce dentro di lei. A occhi chiusi, lei sente vibrare dentro, il frastuono del nuovo mondo pieno di segreti, insidie e altri pericoli che lei, ignara creatura di città, non saprebbe anticipare e capire. Il futuro le fa paura più del bambino e a quel punto non sa perché è partita e cosa ne sarebbe stato di lei.

I minuti hanno le gambe pesanti e non passano con la velocità di quando sei a una festa o fai qualcosa che ti piace. Quando hai terrore di qualcosa, il tempo si ferma e basta. Un secondo dura un’eternità e nulla riempie la tua conta della buonanotte, nulla. Estranea a quella purezza divorata soltanto da un temporale passeggero, Lori fa i conti con se stessa.  La vera stanchezza che lei percepisce è quella che la fa sentire una perdente. Non è mai stata una ragazza scaltra altrimenti quella parola “aborto” l’avrebbe salvata o protetta dalla pazzia in cui si è cacciata.

Non riesce a dormire, fa freddo ed è calata in maniera brutale la temperatura, ci sono rumori ovunque e poi arriva quello stano silenzio. Dormire all’aperto è più duro di quanto avesse mai pensato. Si alza e tremante al buio, a pochi passi dal sacco, fa la pipì, inorridita di come sarà i suoi prossimi giorni in quel inferno senza civiltà. Deve assolutamente riscaldarsi. Ha messo da parte per la notte altri legni secchi che prova a usare per vivacizzare il fuoco oramai stanco di fiammeggiare e  infilando sotto le foglie secche che ha strappato alle felci, gli dona un poco di vita. Che sia abbastanza? Non crede, ci vorrebbe più legna per fare un vero falò ma il coltellino non stappa i rami troppo elastici degli arbusti, anche loro testardi nel voler dare dei pezzi di sé per la sopravvivenza della ragazza.

Forse dovrà fare rifornimento di accendini, pensa mentre gira la pietra del suo preferito, quello rosa con un coniglietto sorridente vicino alla base. La mano s’inabissa sotto il piccolo castello di cose secche.

Il fuoco alza la sua fiammella ma non vede nulla intorno solo un cielo stellato sopra il suo capo e allora riaccende il cellulare, e fissa, ignorando le proprie paure, quei piccoli diamanti che sparano nei suoi occhi scintille calde e invitanti, tutte piene di sogni di promesse di buona speranza. Il freddo è il suo nuovo nemico. Le temperature sono così basse da essere più che invernali eppure pensa, dovrebbe esserci la primavera, eppure, si ricrede sul volere restare da sola in un posto del genere e per l’intera esistenza. Si alza e cerca dei rami ma non trova che piccoli arbusti. Insegue i rami inferiori attaccati al terreno e ne strappa a fatica un paio che finiscono a bordo del falò; lei spera che prendano fuoco nonostante non siano secchi. Il silenzio inizia a pesarle seriamente. Un bel giorno vorrà parlare con qualcuno o smetterà di parlare del tutto, diventerà una bestia anche lei? La natura di quel viaggio le fa orrore, come un crimine che l’uomo compie contro se stesso, quando assalito dal bisogno di lasciare la città e  i propri simili si cerca nella natura un conforto inesistente. Il vuoto la spaventa. La sua esistenza è una minima cosa a confronto con quel impero gigantesco che la sovrasta e l’allontana quasi riconoscendone l’estraneità. La sua speranza è di incontrare dei pescatori o dei villeggianti che le indichino la strada verso il paese più vicino. Da quando è scappata dal camionista, non sa nemmeno in quale posto si trovi veramente. Se ci fosse campo, riuscirebbe a trovare un sentiero ma finché non c’è campo, amen. Sorride triste a se stessa, quale ragazza sedicenne incinta e sana di mente, lascerebbe tutto per avventurarsi nel posto più ostile del mondo e senza altro motivo che scappare dagli stronzi che la circondano ogni giorno da tutte le direzioni? I poveri non possono sognare, le diceva la madre, ma lei non ci vuole credere a quella cosa mostruosa. Non vuole sentirsi più povera e disadattata. I film più belli parlano di gente che lotta e vince contro i propri avversari e le proprie paure, sono film, dove ragazze povere trovano l’amore perfetto.

I ragazzi che lei ha conosciuto non conoscono l’amore ma soltanto le emozioni veloci e tutte contrastanti tra loro. Il sesso veloce è il compagno di gioco di tutti gli adolescenti, almeno così girano le voci nella scuola, ma quando ha conosciuto Lui, sperando che fosse un umo diverso dagli altri perché bello, ricco e sicuro di sé, ha capito che persino quelli più maturi hanno lo stesso problema, la toccata e fuga, senza veri abbracci, una vera amicizia, un vero bisogno l’uno dell’altra.

Se la coppia perfetta dovesse mai esistere, allora lei avrebbe il diritto di sognare una situazione sua. E’ certa che i film li fanno basandosi su una realtà dei fatti. Chi al mondo non è alla ricerca di qualcosa? Chi al mondo non cerca il temporale per poi gioire delle giornate di sole? Chi non ha mai commesso un piccolo crimine per poi pentirsi?

A volte non è colpa della gente ma del posto. Se vivi nel posto sbagliato, tutto diventa sconfortante. Lei non sa spiegarsi perché ha scelto quei monti, quelle foreste per cacciarsi nei guai. Non sa spiegarsi perché non ha semplicemente abortito e finito la scuola? Lori non sa spiegarsi perché non ha risposte alle cose ma soltanto domande e paure e incertezze? Ma la cosa che di più non sa spiegarsi è perché non è in fuga verso qualsiasi direzione le ispiri civilizzazione? Probabilmente è pazza, e allora tutte le cose si piegano e trovano un loro posto nella sua testa. La pazzia la spinge a correre lontano da tutto e da tutti nella speranza che qualcosa l’afferri e la tenga stretta a sé, come una cosa preziosa e indispensabile.

Il cielo, la musica, il fuoco pallido ma ancora accesso, l’ultima boccata di una sigaretta che ha fumato solo per metà, le fanno sembrare quella fuga un poco meno infernale di quanto non lo sia. Fissa una piccola stella, i suoi occhi si chiudo, la mano con un ultimo sforzo spegne il cellulare e si pianta sul calcio della Glock, rassicurante icona di un incerto futuro. Le temperature si abbassano molto sotto zero ma lei è entrata nel sacco foderato con foglie di felci e la seconda grande felpa, con l’odore del legno bruciato si addormenta e da quel milione di stelle sopra di sé sogna un amore che la trascini via dalle brutture e dalla sofferenza, un amore perfetto in un mondo lontano dalla vera universale bellezza. Altri rumori, sempre più freddo e Lori si rannicchia nel suo sacco in cerca di calore. Solo lei può decidere, quando smettere di fare la guerra al mondo che la ignora. Il fuoco è oramai spento appena fatta l’alba. Nemmeno un filo di fumo, non c’è rimasto altro che cenere. Un piccolo pugno di legnetti vicino, spiegano che Lori si è addormentata prima di gettarli nelle fiamme. Rimasta senza un fuoco lei ha tremato per tutta la notte.

Il lupo ha il muso piantato sulla sua faccia. Appena apre gli occhi con orrore, Lori trattiene il grido e resta immobile mentre l’animale le ringhia contro. Sente dei rumori, probabilmente non è solo. Potrebbe prendere la pistola dalla tasca posteriore dei jeans ma non è sicura che sia una buona idea muoversi. Lei alza lentissimamente la mano e il lupo si agita ma una bastonata gli arriva sulla schiena e sarebbe arrivata una seconda, se lui non fosse scappato dopo essersi lamentato per il dolore.  

Un uomo alto e magro, con una barba rossiccia lunga fino al collo la prende in braccio e la porta fino alla pietra, dove lui ha lasciato il fucile e una piccola sacca nera.

“Grazie.” È l’unica cosa che lei riesce a dire a parole ma lui senza guardarla, si piega per riprendere l’arma e si dirige nel bosco. Non si gira nemmeno per vedere se è davvero al sicuro. Nemmeno per chiederle chi è e che cosa ci fa lei in quel posto. Una frase le si stampa in mente, il mondo è pieno di mostri e ognuno con il proprio talento. Lei vede la schiena di lui sparire dietro gli alberi. Si alza per gridare sebbene la nottata le abbia lasciato la voce rauca.

“Aspetta, mi lasci qui? I lupi potrebbero ritornare?”

“Hai una pistola, usala!” risponde lui gridando.

“Ma sono incinta.”

Alche lui si ferma – torna indietro, sembra minaccioso, prende qualcosa dalla borsa di pelle e la lascia a terra a pochi metri da lei, infine si gira e sparisce nel bosco. E’ una bottiglia d’acqua che lei beve tutta d’un fiato, lasciando solo un paio di sorsi sul fondo per dopo. Grida ancora aiuto all’uomo che si è già dileguato, grida con tutta la forza della sua gola e delle corde vocali, ma lui non ritorna.

“Stronzo.” Sente la sua voce gridare al muro verde che ha dinanzi. Adesso ha la risposta al perché ha voluto mollare la civiltà, per evitare di incontrare gente che non fa che considerarla invisibile. Dei colpi di arma la riportano alla realtà. Due colpi in aria e lei cerca di salire in direzione degli spari.

I colpi dell’arma da fuoco indicano a Lori la direzione verso cui camminare. La gamba è dolorante ma sta guarendo. Per precauzione tiene in mano la sua pistola. Il bosco è così denso di cose che si ripetono e si ripetono e si ripetono … all’infinito. La natura è ripetitiva, e lei forse non capisce la necessità di tutti quegli alberi e di quel fiume largo senza delle case intorno e della gente che lo abiti e lo sfrutti. Forse il tizio ha cambiato idea e le sta indicando la via per mettersi in salvo. Cammina, si sprona lei, cammina e pensa che è vicino. Il tizio senza compassione non merita un grazie ma, quando uscirà dal bosco per merito suo, forse cambierà idea … forse.

 

3. La minaccia

Dai cespugli di felci, sbuca la canna di un fucile enorme e la faccia dell’uomo che lo tiene in mano, non è rassicurante, sebbene lui non abbia la faccia dei soliti cacciatori, lei sente persino il profumo del suo dopobarba che percepisce costoso. Ha i capelli corti, taglio militare, pensa Lori e sul capo porta un berretto scuro con un’etichetta HUNT, sicuramente una marca nota per i capellini da caccia, l’ha vista al drugstore, quei vestiti costano una fortuna e lui deve essere sicuramente un uomo esperto o uno cui piace apparire, il figo della caccia. Non è l’arrogante di prima. Quei boschi si stanno dimostrando più affollati che mai ma non è dispiaciuta, non è facile stare soli in un regno che ti parla con il silenzio. Che sia un amico del primo tizio che l’ha lasciata lì?

Improvvisamente si fanno vive le parole del convivente di sua madre. Bellina, devi trovarti un uomo e una casa tua perché io e tua madre dobbiamo cominciare a vivere la nostra storia, sai com’è, nudi, sudati e soprattutto dai dimmi se indovini? Soprattutto ubriachi. E lì sente la risata di sua madre. Non mi serve un uomo per andare via da qui. Fate schifo, ricorda di aver detto loro, tutti voi mi fate schifo e questa vita mi fa schifo! Il mondo non pensa mai ai ragazzi, alle loro paure, il mondo se ne frega di quanto loro debbano sopportare e da quante cose debbano difendersi da soli. Il mondo è cieco e si fa scivolare sulle spalle i sogni di chi sa tener in alto gli occhi, ma la cosa peggiore, quando chi ti ha creato fa parte di quel mondo. Inutile cercare di fare di meglio, inutile sforzarsi di voler migliorare con una madre che non è mai arrivata oltre una casa in affitto, due pacchetti di Marlboro al giorno e una collezione devastante di uomini più o meno gradevoli.

L’ha sempre guardata in un certo modo ma lei non ha voluto farci caso, non le deve interessare quanto lei possa piacere all’uomo della donna che chiami sfortunatamente madre. La vita è uno schifo ecco cosa si ripete goni giorno Lori e davanti al cacciatore, le restano le diciassette parole che l’hanno fatta crescere, togliti dalle palle. Pensieri veloci e completamente fuori posto, Lori richiama all’ordine la sua attenzione. E’ in pericolo davanti a quell’estraneo?

Lei lo guarda. Una delle mani dell’uomo, indossa il guanto ma l’altra che tiene la mano sul grilletto, è libera e mostra una pelle liscia e unghie pulite curate in maniera impeccabile. Strano cacciatore, pensa Lori che fissa l’estraneo incerta sul decidere, dove andare o cosa fare. Mentre lui la segue con la canna puntata contro e l’occhio nel mirino, lei pensa alla Glock, allo spray al peperoncino, al coltellino, mentre con lo sguardo fissa la roccia dietro il corpo dell’uomo su cui potrebbe saltare per correre oltre e mettersi in salvo.

“Ti ho seguita per un po’ e se tu fossi stata un orso, un cervo rosso o un lupo, credimi, ti avrei sparato.”

“In questi posti, non dovrebbe essere proibita la caccia?”

“Probabilmente.”

“La legge lo dice.”

“Dipende da chi fa le leggi e da queste parti la legge potrei essere io e tu mi sembri un poco smarrita, insomma non è un posto ricreativo per i ragazzini..”

La ragazza ha ancora lo zaino sulle spalle e la pistola in tasca, lei attende il momento propizio per prenderla.

“Ma sei una ragazza? E sei sola?”

Lori è imbarazzata. Lui è molto divertito invece. Non è il nemico che sperava di trovare e le espressioni sul suo volto passano dal meravigliato all’ironico.

Ti ho seguita per un paio di chilometri e ho capito che non ti sei persa, stai camminando senza alcun orientamento e mi sono domandato lo fai perché stai cercando qualcosa in particolare o perché ti piace rischiare la tua vita?”

“E’ un posto libero e non credo di doverlo dire proprio a te. Pensi di spararmi? Ci saranno anche altri nella zona e potresti avere delle spiacevoli sorprese.”

Lui appoggia la canna a terra, tutti pescatori, risponde, troppo presi a smaltire la nevrosi da città per vedere le prede più grandi e gli affari migliori.

“Se c’è uno come te vuol dire che ne esistono degli altri.”

“Sei anche filosofa, interessante, ma non sei furba.”

Lei cerca di sedersi ma scivola dentro il cespuglio che la spaventa.

“Monotropa uniflora. Stai attenta, potresti ritrovarti addosso l’odore di urina del maschio alfa e poi verresti corteggiata da tutte le lupe giovani del territorio.”

“Posso andare?” lei si rialza cercando di mantenere il controllo della sete che diventa una fissa.

“Comunque riponderò alla domanda di prima, per ora credo di no. Non riusciresti a farmi del male. Sono troppo grosso e poi questa è la foresta boreale, nessuno ti troverebbe nemmeno se venissero a cercarti in forze. Forse, e ripeto forse, se riuscissi a raggiungere la pianura, forse avresti scampo dai possibili cacciatori ma in pianura arrivano i lupi che da queste parti sono grandi il doppio di un animale normale e a volte i puma.”

Lori fissa la sacca di pelle che lui tiene in spalla. E’ fatta in pelle e pellicce di animale ma è usurata e grossa da poter contenere un bambino intero. Qualcosa di strano sporge dalla cerniera, dei pezzi di ferraglia che lei non riesce a immaginare cosa sia.

“Potrei essere cintura nera di Karate. Non mi fai paura. Se devi spararmi senza che io mi possa difendere, vuol dire che non sei un vero cacciatore e non avresti alcuna soddisfazione dalla mia morte.”

Lui la guarda con una certa ammirazione. Tira fuori una birra dal suo zaino e la offre alla ragazza che rifiuta anche se berrebbe volentieri un sorso, e guarda lui che la beve tutta d’un fiato.

“Uso i coltelli da quando ho quattro anni e credimi se ti dico che li so usare bene, quindi non sprecherei nemmeno una pallottola.”

“In fatto di coltelli ... e abbandona il discorso, posso fumare?” la mano sosta sopra lo zaino ma lui fa cenno di no con la testa.

“Il fumo fa male ai bambini.”

“Io non lo sono.”

“Credi?” risponde ironico mentre tira fuori il grosso coltello per scavare due linee nella corteccia del grosso larice. Da quel momento qualcosa in lui cambia.

“Una donna che gioca a fare la campeggiatrice da sola nei boschi più desolati e selvaggi del mondo! Qui non c’è nessuno bellezza. Tutto questo è miooo! Lo vuoi capire!”

“Prima o poi qualcuno ti verrà a cercare e pagherai per queste intimidazioni a me, e guardando l’albero, alla natura.”

“Per cosa? Per aver ucciso orsi e lupi? E a chi importa? Chi credi che alzerà il culo dal divano per venire a vedere a chi spara Frank? La gente non sa nemmeno che esito, anzi non sa che esisti nemmeno tu. Abbiamo sei mila chilometri di montagne e alberi, una foresta boreale che corre intorno allo scudo delle Rocciose e sai cosa? La sai? a nessuno gliene frega un cazzo del disboscamento, dell’estinzione, del buco nell’ozono, la gente compra pelli di lupo e orsi interi da fare imbalsamare al centro del salone, dove racconteranno agli amici di aver cacciato loro la preda più grossa. Tu ed io siamo simili. Non possiamo vivere in una città ma anche questo infinito di sole foreste ci sembra una gabbia. Vedi? Ho azzeccato. Tu non puoi capire quanto mi faccia sentire vivo uccidere e rischiare la vita per farlo.”

“Perché uccidere?” Lei ora ha davvero sete e vorrebbe liberarsi dell’uomo che gioca con il suo coltello da caccia.

“Uccidere è libertà. Tu decidi e non Dio o il Diavolo, tu e tu sei in cima alla catena alimentare, è sopravvivenza. I buoni predicano la Domenica e poi fanno le crociate contro popoli interi e massacrano per la fede, io uccido per sopravvivere e non ho la bieca coscienza di farlo perché qualcuno me lo ordina. Io sono il motore e non dò questa responsabilità a nessuno. Perché mi guardi così?”

“Perché c’è tristezza  in ciò che fai.”

L’uomo guarda la pancia della ragazza e poi la fissa. Ha qualcosa in mente, pensa Lori.

“Forse hai ragione ma io non ho paura di morire, di correre i miei rischi e come ti dicevo prima, non uso gli altri come capo espiatorio.”

“Tu uccidi per il piacere di uccidere.” Replica Lori disgustata.

“Mi piace la parola uccidere. Non indica desiderio ma forza. Uccido e mi sento forte. Cosa fanno i politici? Uccidono con leggi ingiuste eppure si sentono forti perché nessuno gli ostacola. Trovami le prove dello Stato che ci deruba con tasse sbagliate e cure mediche inesistenti se non sei uno di loro, loro uccidono ma è tutto legale. Io sono il più umano e il più buono tra le bestie che ci circondano e quando uccido non applico che la regola principale, io prima di tutti voi dopo.”

“Gli uomini che non hanno nulla da perdere puntano all’estremismo.” Sei come i terroristi e come loro dovrebbero punirti.”

“Interessante taglio di capelli.” Indica lui al groviglio corto di capelli ribelli che lei ha in testa e che con una mano cerca di sistemare. Capisce che è inutile e molla l’atto del pettinarsi fingendo di accarezzarsi il collo. L’uomo la fissa e Lori si sente a disagio. Lui ha ottenuto proprio ciò che voleva, l’attenzione di lei. E’ una ragazzina spavalda e lui si concentra per indagare quanto lei lo sia.

“Io ho una bella famiglia, ho conseguito una laurea e non ci crederai, ma ho un ufficio e qualcuno che predispone per me i vari impegni, te lo dico perché ho i miei motivi di credere che tu non sia per me una vera minaccia.”

“Se lo fossi?” lui rimette il coltello nel giaccone da caccia e riprende in mano il fucile. La guarda con occhi che non esprimono alcuna emozione. Il suo buon profumo sgomenta Lori che non riesce a immaginare che un uomo così curato, pulito e persino educato possa essere un efferato assassino.

“Moriresti.”

“Non mi chiedi perché sono qui?” Lei gli punta la pistola contro la faccia che è a meno di un piede di distanza ma lui sorride. Non è spaventato anzi tiene il fucile da caccia appoggiato a terra come se non temesse di morire.

“Non so se sei una piccola psicopatica o stai scappando da qualcosa o qualcuno? comunque,  risponde lui divertito, Non mi interessa. Sei sola e in mezzo ai boschi, di certo un motivo valido dovresti averlo, altrimenti saresti una poco lucida pazza che vaneggia in mezzo a diecimila chilometri di boschi. In questa situazione, la tua follia ti porterebbe a essere una preda per qualsiasi cacciatore e qui credimi, c’è ne sono tanti, non vuoi che te li elenchi vero? Lupi, puma, orsi … Mi consegni il tuo telefono, non vorrei che civettassi con qualcuno della polizia su quest’incontro?”

“No. Credo di no.” gli risponde lei tremante, osando fissare gli occhi dell’uomo, eccitati per quella piccola aggressione spinta da adolescente coraggio. Lei non accetta l’intimidazione e preme quasi sul grilletto ,mentre lui stringe la mano sul calce del fucile, ha una probabilità su tre di essere più veloce di lei, ma molla la tensione del palmo e rinuncia.

“Ferma! Ferma! Calmiamoci tutti. Interessante …”

“Non posso darti il mio cellulare. Correrò miei rischi con te, ma il telefono mi serve, c’è la musica.”

“Non so perché ma i sociopatici mi sono simpatici e tu sei la più giovane che io abbia mai incontrato, anzi l’unica di parte femminile. Potrei lasciarti libera. Ognuno deve essere libero di esprimersi e se tu sei folle, qui non interessa a nessuno.”

“Altrimenti?”

“Non voglio averti, con il dorso della mano le accarezza la guancia, non sei proprio il mio genere ma sei unica per ciò che sei e ciò che fai e questo non l’ho mai incontrato in una donna e per dipiù piccola.”

Lei si tira indietro.

“Non toccarmi!” la pistola cerca di mirare mentre il dito sfiora con più forza il grilletto. Non mollare, non mollare, non mollare quel grilletto, resisti Lori, non mollare, il suo pensiero è di ferro. La mano non molla il dannato grilletto e lei si sente debole ma anche forte, qualunque cosa accada.

“Oh, non è mia intenzione. Cara, la tua Glock è molto esplicita. Non ho bisogno di sesso violento con bambine e uccido volentieri i porci che fanno certe cose alle donne. No. Mi interessa di più, questo finto coraggio che ti spinge a sopravvivere qua in mezzo alle bestie, a quelli come me, ai serpenti e ai lupi e questo per una ragazza della tua età è ammirevole. Sociopatica o no, ti sei ficcata in un guaio più grande di te e i nemici ti assicuro non sono io o quelli che troveresti sulla tua strada, ma quelli invisibili. Una vipera, un ragno, qualunque cosa potrebbe attaccarti e in qualunque momento. Non stai facendo un corso di danza e nemmeno dello shopping, non ti preoccupi per quale maglietta si potrebbe abbinare al rossetto, sei qui per capire perché scappi dal mondo, mi piace la tua forza, anche se non credo che tu sopravvivrai.”

“N, no, noon sono sola.” Balbetta lei.

“Sei sola. Non hai nemmeno un sacco a pelo e immagino tu sia improvvisata, come la tua attrezzattura, ma questo ti rende ancora più, come dire, magica. Sei una pazza in un regno, dove solo la violenza si nutre e il resto muore di fame. In questo posto solo quelli come me sopravvivono poiché siamo i più forti nella catena alimentare e tu, tu che posto potresti avere? Vediamo? Cosa faresti se un lupo ti attaccasse? O un puma? Come te la cavi con le erbe velenose e i frutti poco commestibili? Tu sei quasi una sfida per questo posto e credo che non saprei su chi puntare. La tua morte non mi sarebbe gradita anche se … credo sia imminente.” Lori sente un odore di sangue e di carne marcia e lo sente nonostante il profumo del forestiero.

“Che cosa te lo fa credere, come vedi anch’io ho un arma puntata alla tua testa?”

“Cosa? E’ vero ma se tu mancassi il colpo, io potrei sopraffarti e tu vorresti che io terminassi la vostra vita?” lei non risponde. Lui la incalza.

“Eppure non sei dissimile da me. Una donna con una pistola è più affascinante di un qualsiasi gioiello. Questa è la cassaforte più sicura del mondo, la foresta boreale è uno scrigno per veri cultori della bellezza, mi dispiacerebbe e lo dico seriamente, che dalla mia cassaforte tu dovessi svanire. Le ossa da queste parti sono amuleti tristi di cui i pescatori non vanno alla ricerca. Quelli obesi scendono dalla città in cerca di trofei da mostrare sui social per essere considerati meno negletti e falliti di quanto non lo siano già. La gente che troveresti intorno a te si è improvvisata a cavalleria della natura ma nessuno di loro, nessuno, si cura del male che procura all’ambiente solo arrivando in macchina o usando le armi inadatte. C’è gente che porta persino i propri bambini e li fa spingere il coltello nella bocca di un orso, questa è la gente che potrebbe salvarti? Oggi sono davvero di buon umore, quasi nono mi riconosco, la tua vita è nelle mie mani ma non intendo approfittarne a meno che tu non mi faccia arrabbiare sul serio, lui cambia tono di voce, ma dal tuo sguardo impaurito credo che entrambi possiamo meritare una chance. Rischierò lasciandoti libera e sperando che non parli di me nemmeno con gli alberi, tu cammina in quella direzione per sei chilometri, dovresti arrivare a Cold Trees in meno di una giornata, ci sono dei rischi. Comunque tu morirai se non andrai via subito.”

Lei lo guarda tremante. Ha una paura folle ma non molla la Glock dalle mani, non sa se fidarsi delle parole di quell’uomo o sparargli senza perdere tempo, in quel bosco non c’è nessuno e nessuno verrebbe a cercarlo sotto un masso, ma il suo pensiero viene zittito dalle parole che le escono di bocca quasi incontrollate.

“Correrò i miei rischi.”

“Dio se mi piaci ragazza! Ti avrei sposata se t’avessi conosciuta prima. Tu sei il “Cacciatore” perfetto, niente interferenze emotive, niente dubbiosi dogmi, solo spirito libero e forza di carattere. Ti lascio libera. Vai e fai quello che vuoi ma non farti più trovare da me. La prossima volta appena mi vedi anche da lunga distanza, tu scappa più veloce che puoi e non girarti mai indietro!”

“Perché?”

“Perché la prossima volta che mi capiterai sulla strada, sarà mia intenzione ucciderti.”
 

Lui riprende il  375 Ruger in spalla, la saluta con un cenno del capo e s’incammina nel bosco, sei chilometri a nord e sei salva, sente la sua voce percorrere i metri di distanza che li separano.

Lei grida al Cacciatore, questo posto non è tuo, non lo sarà mai e quando ti ritroverò tu non mi ucciderai. Vero Bambino? E’ la prima volta che sente il bisogno di Lei si mette le mani sulla pancia, l’uomo cattivo non ci ucciderà perché non è forte e sai perché, lui è solo e noi siamo due. Sei chilometri a nord, e se avesse mentito, si domanda mentre le rimane impresso nel cervello l’odore di sangue che l’uomo spargeva. Lo avrebbe denunciato se fosse arrivata in città e scopre di avere una sete intollerabile che la spinge con vera grande forza verso la meta.

 

 

4.     Il  Cacciatore fantasma

La pelliccia della lepre, riposa insanguinata sul grosso chiodo piantato al pilastro di legno nel retro del capanno. A pochi metri,  sulla brace circondata da alcune grosse pietre coperte dal fumo nero e dalla cenere, arrostisce il corpo della piccola lepre legato a uno spiedo di legno.  La trappola di ferro ancora insanguinata è a pochi metri dal fuoco. Lui dovrà sistemarla con le altre in cantina.

L’odore della carne sul fuoco diventa acre, appena la carne divorata dalle fiamme forma un unico pezzo di carbone, il cui miasma arriva fino al cielo.

L’uomo seduto sulla pietra dinanzi al suo pranzo, fissa il vuoto da prima che la carne si bruci. Del suo passato non ricorda molto in quel momento se non gli spari poi quella voce che gli urla all’orecchio, Fallo! Fallo! e poi gli spari e poi il rumore di carne fatta a pezzettini. Il macellaio nei suoi incubi, gli sorride con il coltello grosso da cucina, quello con cui lui taglia l’arrosto il giorno di Natale, grondante di sangue scuro e denso fino all’impugnatura e quel sangue scivola giù lungo l’avambraccio dell’assassino da dove poi gocciola sul tappetto persiano con piccoli motivi geometrici di vario colore. Vede il sangue gocciolare dalla lama e vede la mano che impugna con forza il coltello, una forza rabbiosa e mortale.

Il muco e lacrime,  scendono dal suo naso e dai suoi occhi, questo basta per farlo risvegliare dall’incubo; si pulisce con la manica della camicia verde militare zeppa di toppe con stelline di plastica, cucite con filo giallo e i suoi occhi accarezzano la fantasia delle toppe, con l’amore di un uomo che ricorda bene da dove erano state ritagliate quelle piccole pezze diventate un ornamento appariscente per una camicia verde scuro e di taglio maschile.

Quel ricordo lo tiene in vita e non gli fa compiere il gesto estremo, quello che avrebbe dovuto scegliere appena la sentenza della corte, era arrivata.

La giuria dichiara l’imputato Quentin Capaldi, innocente, ma quelle parole non confermavano altro che la morte della sua famiglia  e decretava lui, unico immeritevole sopravvissuto alla strage. Lo spiedo è finito sul fuoco e non c’è rimasto molto della carne se non un cumulo di cenere al bordo delle pietre ardenti. Non riesce a smettere di piangere e spesso guarda il cielo, nella speranza di mandare indietro quel torrente che gli arriva dallo stomaco e lo attraversa incandescente e spietato. La sua sofferenza s’incolla alle stelle invisibili, al sole e all’universo nascosto dall’atmosfera. Perché è ancora vivo, continua lui a domandarsi mentre si accascia sull’erba, rannicchiandosi come un bambino in cerca di protezione?

Le sue mani tremanti tirano fuori da un flacone arancione, stipato nella tasca anteriore dei pantaloni, un paio di pillole piccole, piccole, anch’esse arancioni che manda giù senza masticare. Il gusto amaro gli sembra la giusta punizione per quello che sta provando. Deglutisce e spinge il farmaco nello stomaco. Sta aspettando la sua ora, la sua fine o qualcosa che lo nasconda alla sua memoria. Non puoi fuggire da te stesso, pensa, e soltanto la morte sarebbe il giusto premio per quella odissea da cui non farà più ritorno. Nella sua fibra il veleno ha già buttato le sue solide fondamenta. L’autodistruzione è l’ultima delle cose buone da ultimare in nome di ciò che ha amato per anni. Non s era mai accorto di quanto fosse fortunato, di quanto avesse costruito sino al giorno della tragedia.

La pace non vuole abbracciarlo nemmeno lì, dove lei dovrebbe regnare assoluta e piena di forze. Comprende che quello che sta cercando non riesce a entrare nel suo cervello e nelle sue cellule perché contaminate dalla sofferenza e il dolore considera un morbo, l’assoluzione, la cura di quei ricordi terribili e sempre vividi nella sua mente.

Non ci sarà una pace per lui,  nemmeno un lento oblio solo una sadica convivenza con la vittoria della ragione sul cuore. Non più impressionato dal male che sta vivendo, Quentin si addormenta, cercando di fissare la mente su un velo scuro, indefinito, dove lasciare la sua mente che resite alla forza del farmaco.

Lui non si è curato della ragazza nel bosco, l’ha ignorata e non riesce a sentirsi in colpa. Si guarda le mani tremanti e torna a fissare la lepre carbonizzata.

Quei boschi lo stanno contagiando con qualcosa di cui si è privato anni prima, una sorta di umanità, la stessa che non gli è stata utile per salvare sua moglie quella notte. La stessa che non ha impedito a quel ragazzo di infierire sulla sua bambina. La sua bambina … e l’immagine lo fa esplodere in un pianto rumoroso e prostrante. Non è un pianto liberatorio. Tutto è rimasto dentro, l’odio, il veleno, la vendetta, l’amaro dell’impotenza e il rimpianto. Tutto giace in sé come un vulcano pronto a eruttare e quella lava acida, quel dolore sommerso, amplifica il potere delle lacrime che scendono solo per ricordargli che nonostante la fuga e sempre un uomo.

La trama di un film cui non ha avuto il coraggio di scrivere la parola fine. Ha perso delle parti di se stesso in quei boschi, le parti migliori o peggiori, dipende dai punti di vista. Ha smesso di volere essere utile a tutti i costi.

Certe volte pensa ancora di potersi svegliare dall’incubo. Certe volte si alza di notte madido di sudore e gridando i loro nomi, invocando il loro aiuto ma loro sono morte e ancora le lacrime gli scendono giù, quasi non ci fosse qualcosa che possa chiudergli quella ferita.

 

Cold Trees è un piccolo villaggio sonnecchiante; d’inverno sepolto sotto metri di neve e d’estate invaso per lo più dai pescatori professionisti e non. Ha la fama di essere uno dei punti di approvvigionamento per il più eccelso dei pescatori, lo stesso Presidente, beh, non lui in persona, ma il suo entourage, si rifornisce di viveri allo spaccio di Floyd’s, un minimarket che vende praticamente di tutto, dai fucili alle mentine. Alla tavola calda ci sono passate le più grandi celebrità dello schermo poiché famosa per il grande salmone alla griglia e quando si parla di griglia, Bacy Lane la proprietaria mostra la sua bella griglia di tre metri, costantemente unta con grasso di maiale che esalta tutti i profumi delle cose che mette a cuocere.

Bacy è un donnone di poche parole, grossolana e ambiziosa. Il suo rossetto si abbina allo smalto delle unghie ma il resto è un trionfo di carne che lei stringe in jeans due tagli meno per favorire la protuberanza del più che generoso petto. Bacy ha ereditato il posto dal defunto marito, il povero Lane, un uomo amante più dei fucili che delle donne, è sparito un giorno e lei lo ha dichiarato morto, probabilmente divorato dai lupi o dagli orsi, dopo due settimane, la polizia dopo frettolose indagini ha chiuso il caso e Bacy finalmente libera con il piccolo riscatto dell’assicurazione è diventata proprietaria di tutto. La tavola calda è il suo orgoglio. Lei non ha mai dato un vero nome alla trattoria, tutti la chiamano “il buco” e così è rimasto per circa vent’anni, dalla sparizione di Lane, Il Buco, ovvero ciò che effettivamente è, un piccolo capanno con sei tavoli all’interno e sei all’esterno, tutti riparati, ritinti e quasi in fin di vita come le sedie le cui gambe sono pressoché inesistenti o mancanti o dondolanti come i denti di latte di un bambino. Bacy’s offre, anche un servizio di Bed & Breakfast, due camere con il bagno comunicante, dall’odore e dall’aspetto consunti dal tempo e dalla poca pulizia, ma a lei non importa perché gli avventori non mancano, è una piccola città e solitamente si trovano sempre due trasgressori innamorati che vanno lì a cozzarsi per un paio di orette. Nessuno però immagina che Lane riposa proprio tra le pareti di quelle due stanze, dietro il capo imbalsamato di un orso e la riproduzione di un gigantesco salmone. Ogni tanto. Il tanfo che il legno delle pareti trasuda d’estate, ogni tanto, si spande nell’aria fino ad arrivare al patio della tavola calda, ma nessuno immagina veramente quale ne sia la provenienza. Cold Trees è circondata dai boschi e se non fosse per la strada che la collega a Jasper sarebbe soltanto meno di un villaggio di montagna. La pompa di benzina è abbandonata da anni e per fare il pieno ci vogliono altri dieci chilometri fino a Jasper, dove puoi trovare una chiesa per il conforto spirituale, un hotel, una scuola, un ospedale e la polizia.  Cold Trees è la città di confine tra il nulla, ovvero foreste e fiumi senza  il cappio di una strada sterrata e la civiltà. A Cold Trees d’inverno, quando manca la corrente elettrica, la gente accende ancora e in strada, grandi falò per inibire il vento ghiacciato del nord e combattere contro le altezze della neve e che superano quelle umane. Si vive con le taniche di benzina sotto il patio e il generatore acceso giorno e notte. E’ più facile trovare nelle case molte candele che estintori e la legna che non manca, nutre le cento dieci stufe degli abitanti. Molti dei lupi che spariscono dai boschi e che scendono a valle in cerca di cibo, finiscono nella mira degli abitanti di Cold Trees che molte volte si scontrano con bestie più affamate di loro. Prima di rientrare mangia da Bacy’s, dove le tre cameriere lo divorano con gli occhi. A lui non importa quanto loro cerchino di flirtare, non importa nemmeno di quelle uova soffocate dalla pancetta anche lei terrorizzata dal quintale di olio in cui affoga. Non gli importa nemmeno del caffè bollente che gli ha ustionato il palato. Manda tutto giù a grandi bocconi, fissa la faccia che spara il suo truculento notiziario fatto di morti, di incidenti, di nuove tasse e di molti altri cimini, e in meno di cinque minuti si alza dopo aver lasciato il dovuto più una piccola mancia che le tre si litigano. Hanno provato più volte ad avvicinarlo, ma lui è sempre stato scostante e taciturno. Quando una delle tre gli mette sotto il naso il proprio numero di telefono, lui usa il retro del bigliettino per disegnare una tazza di caffè fumante con il dito bagnato nel caffè. Immune alle cortesie femminili si allontana e dimentica pranzo e corteggiatrici già alla porta.

Quentin ha preso un altro coltello da Floyd’s e una decina di conserve di zuppe, macedonie e pesce in scatola, uno spazzolino, aghi e filo per cucire, dentifricio alla menta e un pezzo di sapone. Le taniche di benzina che ha sistemato sul furgone serve per il generatore che d’inverno è un salvavita. Ha comprato un nuovo cellulare ma serve soltanto per i bollettini meteo e per scattare qualche fotografia alle trappole nel bosco, non dovrà più recarsi alla polizia, potrà inviare i messaggi seduta stante e se nessuno provvederà a rimuoverle, continuerà a mandare le fotografie a chi di dovere, quel paese doveva pur essere governato d a una legge o da qualcuno, almeno uno, che la rispettasse.

 

Fino a Jasper, ha pensato allo stanzino sul retro del capanno. C’erano delle modifica da fare e sta immaginando quali. Mettere al sicuro un edificio improvvisato è quasi impossibile ma le sfide impossibili non lo hanno mai fermato. Ma metterlo al sicuro perché? Si domanda lui, cogliendosi in controsenso. La sua vita è destinata a un regresso e prima poi a una fine. Perché sistemare un capanno che gli serve soltanto per progredire in quei pensieri neri e portatori di morte?

 “Vero papà che noi possiamo volare un giorno?” la voce di Elly si fa strada nella memoria, ma non è la sua voce, perché non ricorda la vera voce di sua figlia, non ricorda più la risata e quel tono leggero di ironia che la bambina aveva, no, non ricorda più che voce ha la persona che ha amato di più nella sua vita.

“Con la morte, noi perdiamo molte delle caratteristiche di quelli a cui siamo legati, i loro visi, i loro atteggiamenti, l’espressione dei loro occhi, come correvano o come mangiavano, ma in primis la voce, dott. Capaldi, la voce di un congiunto o di un amico o di un nemico, svanisce e la memoria non se ne appropria mai più. E’ una perdita irreparabile e sconsolante.” Il commento del medico del carcere è triste quanto la volontà di quell’uomo di essere di sostegno ai criminali e alle loro patologie in un posto che ha più dell’inferno che di un istituto di correzione.

“Io, dott. Capaldi, vedo ogni giorno efferati criminali, scippatori, raggiratori, stupratori ogni genere di personalità e mi creda, nessuno di loro si domanda, cosa avrebbero guadagnato se non avessero intrapreso la strada del loro crimine? Nessuno. Non pensano al dolore procurato ma gioiscono per quello che si sono lasciati dietro. Lei è il più normale di tutti noi, e queste ossessioni per recuperare ogni momento con chi ha amato, questa sua indagine, non troverà altre soluzioni che un vuoto. Ferite che resteranno aperte per sempre. Nessuno le ridarà la voce di sua moglie e sua figlia. Nessuno potrà consegnarle un solo secondo di quello che ha perduto, ma la questione è dove vorrà vivere? Nella realtà con quelli che prima di lei hanno dimenticato le voci o con se stesso, in un mondo buio e freddo alla ricerca di Graal? Spetta solo a lei, decidere.” Quentin spegne l’auto. Ha fatto troppi chilometri per tacere nuovamente sull’accaduto.

 

“Signor Capaldi non ci sono cacciatori nella riserva la posso assicurare.”

“E queste trappole che cosa sono, pensa le abbia messe io? Mostra lui le immagini dal cellulare.

Non saprei signore, potrebbe averle messe lei? Dei giocattoli? Cosa vuole che le dica? Comunque ho preso nota della zona, dove dice di averle trovate e ci faremo un giro. Ma lei stia lontano dagli orsi.”

 Il vice Hunt, è un giovane sicuro di sé e molto sarcastico ma il suo atteggiamento cambia appena un uomo più anziano e in divisa si avvicina ai due.

“Salve Quentin, ancora con la fissa del Cacciatore?”

“Capo.” Gli occhi freddi e verdi di Capaldi si fermano per guardare la trappola sul cellulare, che il giovane poliziotto esamina incredulo. Quentin mostra l’immagine al poliziotto più anziano.

“Pensa ancora a uno scherzo?”

“Quentin non ho elementi. Appena mi darà un indizio, un vero indizio e non parlo di quel incidente. Insomma ha visto qualcuno, quanti erano? Ha visto le loro auto? Ha delle fotografie più indizianti?

“Lei era al corrente?” domanda Hunt incredulo.

“No signor Hunt, il dottor Capaldi mi ha parlato altre volte di questa sua idea o meglio del suo tormento sul cacciatore di orsi fantasma. Crede che ci siano dei cacciatori di frodo, ma non abbiamo altre segnalazioni.”

“Se avessi voluto farlo intenzionalmente non sarei venuto da voi. Lei sa a cosa alludo? Ma vedo che perdiamo il tempo in tre.” Capaldi fissa con i suoi occhi ridotti a due dardi incandescenti, i due in divisa, avrebbe voluto trovare un modo per ficcare in testa a quella gente le idee giuste ma capisce che la gente è sorda e cieca al bene, meglio lasciarli perdere. Il Cacciatore è un suo problema. Quentin gira i tacchi e sale nel suo vecchio furgone.

“Dobbiamo tenerlo d’occhio capo?”

“Sembra innocuo ma chissà? I pazzi si travestono anche da forestieri innocui ora abbiamo emergenze maggiori.”

“Crede che ci sia un cacciatore di orsi nei dintorni?”

“Impossibile, hanno tutti il chip e nella riserva nessuno entra, ci sono le telecamere.”

“Ah, non vuole che controlli?”

“Diecimila chilometri di rocce e boschi per la fissa di un pazzo?” risponde il Capo.

“Già forse meglio controllare il pazzo.”

“Gli faremo visita uno di questi giorni.”

I polizotti si allontanano mentre Quentin fissa la loro auto che gira sulla Main.

“Idioti.”

Stringe le mani sul volante e si avvia verso casa. C’è qualcosa nel bosco e lui ha intenzione di scoprire chi o cosa sta mettendo quelle trappole. La strada è vuota e l’aria comincia a essere fresca, Quentin guarda in alto e si rende conto che la stagione sta cambiando. E’ già passato un anno pensa senza focalizzarsi su qualcosa di preciso, qualcosa gli dice che se dovesse ricordare starebbe così male da strapparsi il cuore dal petto, no, lui punta gli occhi sulla strada e schiaccia con forza sul pedale dell’acceleratore. Pensa nuovamente e guarda il coltello che spunta a fianco del sedile del passeggero, meno male che la polizia non nota mai le cose importanti. Sulla lama una leggera striscia di sangue raggrumato si rende visibile più della lucentezza dell’acciaio pressoché nuovo. Un buon acquisto pensa Quentin, un buon acquisto.

 

5. Il muro invisibile

Ha visto il fumo che sembrava più vicino del percorso che ha dovuto fare per avvicinarsi alla fonte. Pensa ancora al Cacciatore che non ha scherzato quando le ha detto di volerla uccidere se la dovesse incontrare. Sta scappando dal mondo, da un violentatore e adesso anche da un Cacciatore.

Vede il piccolo capanno di legno con un portico fatto di tronchi d’albero e un tavolo vicino alla ringhiera di rami ondulati cui  è fissata una panchina lunga e dalla parte opposta del tavolo due sedie. La capanna è una costruzione quasi rudimentale ma ben fatta. Ha tre piccole fessure che improbabilmente si possono chiamare finestre e il tetto spiovente con  una canna fumaria di mattoni. Fuori lei non vede vasi di fiori né cose di altro genere. Potrebbe sembrare non abitata se non ci fosse il fumo che esce dal camino.

Guarda dentro casa spiando dalle piccole finestre, per farlo si mette in punta dei piedi. Non ci sono né tende né vestiti appesi. Dentro si intravvede la grande bocca di un  camino di pietra e non c’è altro che un tavolo e una libreria aperta costruita da un tronco ritagliato lasciandone la spalla e i rispiani. Chi l’ha scavato, l’ha fatto a perfezione. Il letto è basso e semplice. La sua composizione sono delle assi di legno con un cuscino rosa e una coperta scura. Il cuscino rosa la colpisce. Torna a ispezionare il capanno. Cammina lungo il perimetro trova sul retro una cantinetta, chiusa con una porticina improvvisata e sulla parete esterna molti chiodi che riordinano una serie di coltelli, tutti con le lame lucenti. Appena poco più distante dalla cantina, una botte sospesa tra quattro grossi, davvero grossi, tronchi e una specie di graticola di rami che fanno sembrare la costruzione, una doccia rudimentale o qualcosa di similare. Un enorme ceppo pieno di trucioli sopra e alle radici, indicano qualcuno che lavora il legno ed è facile capirlo, dalle latte di biscotti zeppe di qualcosa che somiglia a degli stuzzicadenti. Sotto i trucioli lei nota la copertina di un libro grosso e molto usurato. Non fatica a trovare il nome dell’autore Alexander Pope, lei l’aveva studiato e lo trovava meno deprimente di certi noiosi scrittori moderni. Ha sempre amato i libri, li trova romantici e ricchi di sogni e cose che lei stessa pensa. Apre una pagina a caso e legge “Beato l'uomo che non si aspetta nulla, perché non resterà mai deluso”. Lei richiude il libro e trova di rispecchiarsi pienamente nella riflessione di un uomo di quasi trecento anni fa. Chiunque legga Pope non può essere un assassino. Pope è sempre stato uno scrittore raffinato e dall’acume acuto, non è da uomini moderni, leggerlo e soprattutto leggerlo mentre lavora. Lori ha della considerazione per l’individuo o per la tizia che leggono poeti classici in mezzo al più selvaggio degli ambienti.

Grossi rami e pali di tronchi tagliati stano appoggiati alla parete della cantina. La porticina del deposito aperta la invita a curiosare. Una quantità impressionante di pesce in scatola, zuppe, scatolette di macedonia e utensili, le mostrano un mondo meno antico di quanto avesse pensato. Le mensole sono pulite e ogni attrezzo ha il suo posto sulla parete o appeso a un chiodo. Lei torna a guardare con appetito le scatole di cibo.

L’odore di legna bruciata arriva da fuori dal capanno. Una serie di pietre molto grandi a forma di ferro di cavallo e al centro dei grossi legni, più dei tronchi che ardono. Fuoco dentro e fuoco fuori.

L’abitazione è così inconsueta in quel selvatico mondo di pietre e alberi. Finalmente degli esseri umani potrebbero offrirle dell’ospitalità che lei potrà ricambiare, pagando o lavorando.

Lori sollevata, si avvicina, potrebbero spararle ma lei guarda il posticino sotto la scala che porta al portico. Si guarda intorno e corre per rannicchiarsi al sicuro contro il muro di legno della casa. Non si è stupita, quando l’uomo che abita la casa, arrivato poco prima del tramonto, altro non è che lo stesso che l’ha abbandonata nel bosco.

Si aspetta che una donna esca dalla casa, ma ad accoglierla non c’è nessuno. Non sente parlare e nemmeno passi leggeri o pesanti che dimostrino la presenza di altri ospiti.

Lui pare non accorgersi della ragazza, fa il giro della casa, apre il rubinetto della botte e dopo essersi denudato, fa la doccia. Lei non lo vede, ma capisce che non gradirebbe la presenza di una estranea in piena intimità. Si rintana, cercando di scacciare le paure e i brutti ricordi. Nudo e bagnato, terminata la doccia, disinteressato che lei lo veda o meno spoglio di indumenti, Quentin sale le scale del portico e si chiude in casa fino all’alba.

E’ piena notte. Lei vorrebbe azzardare e svegliarlo, ma non trova il coraggio di farlo. Odia il mondo e le paure che la opprimono, vorrebbe non sentire il bisogno di parlare con qualcuno, ma ha fame ed è stanca e non sa cosa fare. Chiude gli occhi, cercando una speranza per il giorno dopo. Aspetterà e penserà sul come presentarsi. Lui potrebbe avere una famiglia che sta per arrivare e potrebbe nascondere dei corpi di gente che ha ucciso nel bosco.

Per tutta la notte, Lori ha girato intorno alla casa, prima per i propri bisogni e successivamente in cerca di qualcosa da mangiare. Con molta fortuna ha trovato una torcia sul ceppo e non ha perso l’occasione di usarla, finché sarebbe arrivata l’alba. Sul fuoco, un grosso spiedo con degli avanzi di carne che lei fotografa con il cellulare mentre li strappa con le mani violentemente per portarseli in bocca. La cena frugale la sazia.

Ha fame e il gusto della carne la riporta in forze. Spera che lui non si svegli per cacciarla via e così, torna al nascondiglio’, dove l’attende un ospite, un cucciolo di cane anzi di lupo. Il cucciolo dapprima abbaia  forte dopo le fa le feste in cerca di attenzioni. Lei cerca di prenderlo in braccio per zittirlo ma lui continua ad abbaiare e la festa dura poco.

L’uomo è arrivato da loro in un attimo e il suo volto non è per nulla allegro. Lori fissa l’estraneo che ha davanti in mutande. Le storie d’amore non hanno un vero e proprio inizio, ma è un continuum temporale di qualcosa che pensi di aver già vissuto, riflette Lori guardando Quentin. Involontariamente gli punta in faccia la torcia e lui si copre gli occhi con il dorso della mano. Lei si scusa e posa la torcia a terra. Adesso lei è nascosta dal buio e lui e lì, probabilmente irritato. Quell’estraneo ha gli occhi del Diavolo, verdi come i rami più bassi degli abeti e incutono timore e lei ha l’impressione che si illuminino al buio. Lui non ha alcun istinto amichevole. Non accenna alcun saluto. Non le dice nulla che la faccia sentire meglio e meno desiderata. Lei sente il cuore in bocca e non fosse che il battito è imprigionato nel petto, sicuramente la renderebbe ridicola. Nonostante l’aria minacciosa, a lei piace perché non è un brutto uomo, anche se è uscito di casa in mutande e impugnando il fucile.  

Sarà solo la sua blanda percezione, ma sente che non è  un personaggio cattivo, potrebbe sbagliarsi, l’ha sempre fatto ma vorrebbe tanto fosse vero. Ha bisogno di aiuto e di un appoggio morale. Potrebbe, dovrebbe fuggire nella foresta ma non lo fa.

E se lui volesse altro da lei? Se la colpisse alle spalle, o peggio se la picchiasse? Quante cose brutte le sono rimaste in testa dall’ultima aggressione, dagli interi anni di vita passati con gente che l’hanno guardata come se fosse invisibile. L’uomo continua ad avanzare ostile.

Lei posa il cucciolo a terra e cerca con le mani la pistola che non è più in tasca. Il pensiero di averla persa la terrorizza, l’uomo potrebbe ucciderla e lei dove ha lasciato l’arma? Lo zaino è nel sottoscala e non farebbe mai in tempo a prenderlo. Niente spray al peperoncino. Meglio che lui non sappia dello zaino e esce fuori dal sottoscala affrontando il proprietario.

“Mi sono persa. Non volevo abusare della sua ospitalità. Non ho rubato nulla. Vado via.” Appena pronuncia le ultime parole riversa la cena sulle scarpe di lui. Vomita per altri minuti e poi cade a terra esausta. Lui le gira le spalle e va a prendere l’ascia con cui si allontana nel bosco di notte.

“Non mi ha detto se posso restare? Non che sia una cosa buona restare con un altro maniaco ma ho freddo e fame e sono stufa di questo posto.” Non la sente nessuno. Il cucciolo di lupo ha seguito l’uomo e lei è sola. Entra nel capanno e non trova quello che si aspetta. Il capanno non ha suppellettili o stoviglie. C’è una tazza sbeccata, una pentola media con il coperchio, una forchetta e un cucchiaio con il gambo piegato. Una piramide di mele contro la finestra. Lo zucchero e il caffe sono sul piano del caminetto e il lettino di legno è una rete costruita con tanti piccoli tronchi con sopra un paio di coperte di lana infeltrita. Il cuscino ha una federa con farfalle rosa e dei buchi, dove si è consunto. Candele ovunque. Niente radio, niente televisione, niente giornale e sebbene ci sia una lampadina al centro del capanno, niente elettricità. Eppure la lampadina le dà qualche speranza sull’arrivo della tecnologia anche in mezzo ai primitivi.

Una vita senza vantaggi  pensa lei. Si avvicina alla piramide e prende una mela. In cambio, dopo una breve corsa nel sottoscala, torna in casa per lasciare dei soldi sul davanzale.

Così non penserà che gli rubo il cibo, mormora.  Si addormenta davanti al camino, senza vestiti e con la mela da cui ha preso due soli morsi prima di abbracciare Morfeo.

All’alba è sola in casa. Lei esce a controllare il resto della capanna e soprattutto per fare pipì senza essere spiata dai troppi ospiti del bosco. Sul retro di fianco alla doccia improvvisata, una seconda botte di legno con un piccolo coperchio ma niente wc. Capisce l’uso della seconda botte. E fa un veloce uso sperando che le sottili pareti di pali legati con spago non offrano uno scenario penoso a qualche curioso o animale spione.

Il bosco non è lontano ma nemmeno vicino, quindi se di notte ti scappa, sono problemi. Un ripostiglio per il generatore e delle taniche di benzina in cantina, completano la casa dello scontroso.

Lori fa ritorno al sottoscala, si annoia, ma sul retro del capanno trova una porticina che lei apre. E’ quella specie di deposito, piena di conserve, attrezzi, persino delle trappole giganti, che lei le fotografa, mentre guarda le pelli di coniglio e una presa elettrica. Il rumore del generatore la riporta nel ventunesimo secolo.

Lei resta scioccata. Corre a prendere lo zaino. Tira fuori il cellulare e lo mette in carica.  Posterà le sue fotografie e persino quella del cibo sullo spiedo, qualcosa di triste da condividere con il mondo che se ne frega di me e della mia solitudine.

“Funziona!” il suo grido felice le sfugge dalla bocca che poi si tappa con una mano. Spera che l’uomo non rientri troppo presto ma lui arriva. Sente i passi pesanti sul patio e lei esce, lasciando il telefono in carica.

Adesso ha due problemi, uno è la pistola e due, il cellulare. Si siede fuori sulle pietre, dove il fuoco arde anche se solo sotto una piccola brace.

Lo straniero arriva con in spalla due grossi tronchi che lancia vicino a lei. Senza guardarla comincia a tagliarli a pezzi e a buttarli sulla brace. Finito il lavoro, si avvicina al secchio di ferro coperto con un coperchio e beve dell’acqua dalla tazza legata con spago a una delle maniglie. Non è molto igienico, pensa Lori che ricorda di avere sete, tanta sete da sentirsi in fiamme la gola. L’uomo riparte per il bosco senza dire nulla alla sua ospite. Poteva anche uccidermi ma non l’ha fatto, parla a se stessa mentre ritorna al deposito degli attrezzi, ma stavolta non è sola, il cucciolo nono ha più seguito l’uomo bensì è rimasto con lei. Lori cerca nello zaino le noccioline rimaste e le offre al cane. Lui le divora e torna da lei a farle le feste. L’uomo ritorna prima che lei esca dal deposito attrezzi, dove sta ammirando la collezione di conserve, tutte invitanti e pronte a soddisfare il palato affamato di una sedicenne incinta. Lei esce dalla dispensa, appena il cucciolo corre fuori a fare le feste al suo padrone che gli consegna un osso appoggiato alla pietra che fa da sgabello intorno al fuoco. Il cucciolo afferra il suo trofeo e si sdraia a pochi metri dal fuoco per azzannarlo. L’uomo butta il corpo senza pelliccia sulla pietra e con il coltello perfora il cranio, dove fa entrare lo spiedo di legno. Lori vomita. L’uomo la guarda con una espressione sconsolata e prosegue con il mettere il corpo dell’animale sopra la brace allontanando il fuoco verso il muro di pietre. Mentre la carne cuoce, Lori continua a dare di stomaco, il cane rosicchia il suo osso gigante e Quentin, rientra dal deposito con una lattina di birra ghiacciata. Il suo congelatore funziona e ne è profondamente soddisfatto, così più della metà della birra finisce sulla carne sfrigolante. L’odore solletica le narici del cucciolo e Quentin incurante dello stato di Lori rientra nel capanno.

Lui la ignora. Lei sta male e non capisce se è per il bambino o per cosa. Ha fame, ma se pensa all’arrosto, torna a dare di stomaco. L’unica cosa che sopporta è guardare quelle conserve che le fanno gola. La macedonia in scatola, quella è la sua preferita, cioè non l’ha mai mangiata ma è molto meglio delle noccioline. Lori si fa coraggio e torna al patio. Trova la porta chiusa, non vuole vedere l’uomo in atteggiamento promiscuo o peggio, nudo. Bussa. Lui non risponde. Lei aspetta un attimo. Certo che non è facile dare disturbo ma se non l’ha uccisa e cacciata vuole dire che forse può osare a domandare ulteriore ospitalità.

“Scusa? Mi chiedevo se posso pagarti per una conserva di frutta? Ho dei soldi, posso darteli tutti.”

Quentin apre la porta e le restituisce i soldi della mela.

“Non mi piace che tu stia qui, chiama i tuoi o vattene.”

“Ho fame, appena mangio vado via. Ho caricato il cellulare nel tuo deposito. Come ti chiami?”

“Non mi interessa. Devi andartene. Non voglio guai.”

“Posso pagarti per una conserva? Mangio e vado via.”

“Quentin.”

“Cosa?”

“Mi chiamo Quentin ma tu non mi chiamare in alcun modo, anzi, non mi chiamare mai.”

“Va bene Mister Q.” risponde sommersamente.

Lui la spinge per uscire fuori. Si dirige al deposito. Poco dopo torna.

“Ecco.”

La scatola di macedonia fa scintillare gli occhi di Lori.

“Devi andartene.”

“Tu sei un cacciatore?”

“Vattene. Conversazione finita.”

“Ho incontrato un altro cacciatore, credevo foste amici. Si è ripromesso di uccidermi, ma non credo ti interessi.”

“No.”

“Potrei aiutarti., in cambio di cibo e alloggio.”

“No. Devi andare via. Non so se ti sei vista? Sei incinta e sei minorenne, quanti anni hai, dodici, tredici?”

“Ho sedici anni, quasi diciassette. Non sono così piccola e sono molto stanca.”

“No.”

Ha una voce seria, anche se nei suoi occhi Lori vede altre cose, tutte tristi e non cattive. Lori guarda nuovamente il bosco e fissa l’uomo con la sua barca incolta, i suoi capelli lunghi sulle spalle ridicolo nella camicia militare cucita con pezzi di plastica decorata con stelline. Pensa sia solo un uomo molto infelice che non sa sorridere e nemmeno vivere a guardare il suo stile di vita.

“Posso partire domani, per favore. Ho le scarpe piene di fango e dovrei lavarmi i vestiti. Prometto che me ne vado. Dormirò nel ripostiglio o vicino al fuoco. Non voglio la tua compassione, soltanto un posto sicuro, dai lupi e altri animali. Domani vado via.”

“No.” E quella voce categorica ha chiuso il discorso. Lui torna allo sgabello di pietra e comincia a mangiare dallo spiedo, ma più della metà finisce in bocca la cane.

Lori guarda il bosco e sente una repulsione, un odio o peggio una paura che la assale. Cerca di avvicinarsi ma non pensa minimamente di rientrarci. C’è una parete d’aria dura come il vetro che la respinge. Appena Quentin ritorna nel bosco, lei si nasconde per un po’ dietro il tronco di un abete e appena buio, ritorna nel sottoscala, dove si mette le cuffie nelle orecchie e inizia ad ascoltare un poco di musica. Ha già divorato la macedonia, fortunatamente le sono rimaste delle caramelle che consuma evitando di fare rumore e sperando che il cucciolo non torni a trovarla. Quella notte, non riesce a dormire. Sente dei suoni, dei rumori e persino qualcosa come rami spezzati. Qualcuno si sta avvicinando al capanno e la cosa potrebbe farsi pericolosa.

Spegne la musica e resta in ascolto. Colta poi dal sonno, si rannicchia e si sveglia soltanto quando i passi dell’uomo si sentono sui pioli della scala.

Speriamo che non guardi qua sotto, spera tremante di paura.

“Esci!”

Lori si trascina sulle ginocchia e poi si alza. Il cucciolo è tornato a farle le feste e Quentin la fissa collerico. Tiene in mano il suo cellulare e sta componendo un numero.

“La polizia? Salve.”

“No! No! Per favore, ti supplico, no. Vado via subito, ecco vado via.” Risponde lei mentre lui resta con il telefono a mezz’aria e la voce dall’altra parte continua a chiedergli se ha bisogno.

Lori corre. Stronzo, è la parola più comune tra le imprecazioni che gli rivolge. Swan sei una cretina, e la sua corsa le impedisce di continuare la sua lista di insulti.

Non entra nel bosco, non può, corre sul margine e le sue lacrime le sente in bocca. Non è sola il cucciolo corre con lei.

A un certo punto, quando il capanno non si vede più, lei si siede a terra e inizia a piangere.

La foresta non è un posto che abbraccia le anime perdute, quella foresta è una prigione per i dannati che scontano qualche pena infernale e probabilmente anche lei ha da scontare la suo. Lori si calma. Il cucciolo le gira intorno e va ad annusare i cespugli e le radici degli alberi, portato da un istinto più forte del suo, un istinto selvaggio e primordiale che quelli di città hanno perduto durante generazioni e generazioni di evoluzione della razza umana.

Cerca nello zaino le sigarette e prima di trovare il pacchetto, trova la pistola, lei è sicura che non ci fosse prima a mano che, lui non l’abbia rimessa dentro. Prende il pacchetto e si accende una sigaretta. Il cucciolo si siede accanto a  lei. Lori lo fissa stanza e comincia a sfilarsi le scarpe, e le calze. E’ una giornata calda, dovrebbe lavarsi. Si ricorda che è scappata senza portarsi dell’acqua. Accende il cellulare e fissa il display. Non c’è rete. Non c’è niente. Lei scatta una fotografia al cucciolo di lupo e le mette anche un nome “Wolf”. Torna nella pagina internet e posta la foto del cucciolo che subito trova commenti e approvazioni dal mondo civile. Nessuno di loro immagina che non sia un semplice cane, tutti quei commenti spiegano quanto la gente sia ignorante, quando si tratta di animali e qualcosa che non siano auto e etichette di vestiti. Il successo della fotografia di Wolf e altri post con lo scenario della foresta boreale è tale che presto le arriva la proposta di un giornale naturalistico di volerle comprare qualche scatto. Quando lei legge il messaggio non crede 

ai suoi occhi. Il cucciolo ha avuto successo. Wolf sarà un lupo bianco, pensa lei fissandolo mentre girovaga a pochi metri di distanza. Forse quei pochi soldi l’aiuteranno a pagarsi il cibo, ma la gioia si trasforma in freddezza, e se la proposta di comprare le fotografie, fosse una bufala, una presa in giro di qualche sua amica? Lori torna con i piedi per terra. Risponde all’offerta rilanciando di qualche decina di dollari. E’ certa che nessuno pagherà mai per avere le sue fotografie. La gente cerca cose straordinarie e uniche, scatti di violenza immortalati mentre bombe o mitra cantano alle spalle dell’operatore. La gente cerca ciò che non ha mai visto e qualche albero e un cucciolo di cane non sono né rari né unici.

Dietro di sé, la foresta in cui non vuole più entrare, è un guardiano severo e vigile. Ha il terrore di affrontarla. La boscaglia maschera cose e persino gli uomini cacciatori, quelli che usano il fucile per farsi giustizia e non la fame.

Il tempo non passa mai. Si guarda le unghie dei piedi e con pazienza, dopo averle pulite alla meglio con le mani, stende un velo di smalto verde che lascia asciugare. Quello rosso lo conserverà per le occasioni speciali. Perché il pensiero torna sempre all’uomo del capanno? Perché è affascinato da lui, non è mai stato gentile o premuroso e nemmeno attento o compassionevole? Eppure lui è qualcosa che sopravvive, come ora lo sta facendo lei, e sebbene non abbia emozioni, Lori cerca di immaginarlo come se ne avesse. I suoi occhi possono spegne o accendere il cuore di una ragazza, una ragazza non incinta, non con problemi e con molto più fascino.

La giornata è lenta e dopo aver fatto i suoi bisogni tra le grosse felci, generosamente sparse nella radura, si concentra sull’immediato. Ha fame. Aspetterà il tramonto per ritornare al fuoco, dove spera ci siano degli avanzi d’arrosto ma soprattutto l’acqua. Non ce la fa più ha sete e il cucciolo l’ha abbandonata da parecchio. Sa che non può più nascondersi nel sottoscala, lui la troverebbe, ma potrà restare intorno al fuoco, di notte lui non esce mai dal capanno, e lei avrebbe il tempo al mattino di andarsene.

In piena oscurità approfitta per lavarsi tutta. Metà dell’acqua del secchio se la rovescia addosso e con il sapone toglie dai capelli il fango e dal petto la saliva del porco che l’aveva quasi violentata. Si risciacqua, rovesciando le ultime tazze d’acqua fredda dal secchio vuoto, che portano via qualcosa della schiuma che ha addosso ma non tutta. Quantomeno adesso non puzzo, pensa lei.

Nonostante ci siano tante conserve dentro, lei non tocca nulla. Con l’appetito che ha, divorerebbe un dinosauro ma quello che l’attira di più è la macedonia. L’arrosto sullo spiedo è solo un ammasso di carbone e la sua fame è grande ma si trattiene e va a sdraiarsi sotto la pietra sgabello. I rumori e i suoni della foresta sono tantissimi ma lei cerca di non farci caso e si concentra sul cielo. I suoi occhi hanno trovato migliaia di stelle che brillano in una danza, pensa, le stelle danzano e quel brillio la rapisce e la consegna a sogni più belli e infinitamente meno raggiungibili. Accende il cellulare e scatta una fotografia al cielo stellato. La foto finisce sui sociale e riprende la sua pagina FB, nessuno le ha risposto nella messaggeria, forse doveva accettare la prima proposta. I commenti arrivano da ogni parte del mondo e ci sono più di un centinaio di persone che condividono la sua fotografia. Il sorriso di soddisfazione le allevia la paura del futuro.

E’ una cartolina perfetta per quelli che trovano nelle stelle, i ponti verso ideali molto meno precari dei sogni. Guarda dall’obiettivo del telefonino quelle stelle e s’inebria. Sono tutte dei  trampolini di lancio verso un oltre di bene e di conforto. Lei è una principessa e quelle stelle sono pezzi del suo abito e della sua corona. Lei sotto quel cielo non è una sedicenne qualunque, incinta e senza nessuno che la ami, è una imperatrice in incognito mandata sulla Terra a preservare un certo ordine. Nel suo sogno, l’uomo senza nome che le nega l’ospitalità, si prostra ai suoi piedi come un servitore devoto e lei divora cibo cucinato con maestria, mentre lo guarda tagliare rami da mettere sul fuoco mentre il cane gli lecca una gamba, accidenti, piove, svegliati, pensa Lori e aprendo gli occhi si ritrova il muso del cucciolo che le lecca la guancia. Lori si alza e guarda al capanno. Per fortuna lui non è ancora uscito. Si rimette lo zaino in spalla e con il secondo pile in mano, comincia a correre verso il margine della foresta, a nascondersi, ma qualcosa va storto, e cade.

Quentin si avvicina con la stessa aria minacciosa e lo stesso complesso di superiorità di prima. Non fa nemmeno lo sforzo di tirarla su. Lei resta a terra e evita di guardarlo.

Lo sente nemico e non vuole affrontarlo. Lui invece di parlarle, la guarda, poi tira sulla spalla la grande ascia e si allontana. Il cucciolo lo segue. Lori si rende conto di aver dormito praticamente in mutande e guarda i vestiti stesi sulle pietre intorno fuoco. I suoi vestiti sono ancora bagnati. Si prende del tempo e porta lo zaino nel sottoscala, se lui avesse voluto che lei non avesse la pistola, l’avrebbe gettata via, quindi mette al  sicuro i suoi pochi averi e entra in casa.  C’è del fango a terra, lui non passa il tempo a pulire e si nota subito, anche se c’è del buon profumo all’interno, caffè e qualcos’altro che lei non sa spiegarsi. Si sdraia un attiamo sul letto e lo trova più comodo che mai.

La casa comprende una sola grande stanza divisa in zona notte e zona giorno con un piccolo mobile di legno vuoto, una tazza blu sbeccata, un piatto, una pentola e una caffettiera. Nei cassetti non c’è nulla, nemmeno la polvere.

Il tavolo troppo grande per stare dentro è fuori, sul patio, con due sedie e una panchina e Lori si domanda perché tutti quei posti a sedere se lui detesta il genere umano? Che stesse aspettando lei o che abbia vissuto con una donna? Il tappetto è indiano, di quei tappetti stopposi ma con una storia e il suo odore non è per niente cattivo.  Improvvisamente il suo pensiero cambia di rotta. Quell’estraneo potrebbe ucciderla, sta solo meditando quando, o sta aspettando il bambino per venderlo e nascondere ovunque il cadavere della madre, dopo averla fatta a pezzettini. Forse la getterà nel fiume, nessuno verrebbe a cercarla fin lì e a nessuno importerebbe se lei morisse.

Dorme in terra da tanti giorni e potersi risposare sopra un cuscino, lo trova semplicemente magnifico. E’ addormentata, quando la porta sbatte con forza contro la parete e per poco non fa saltare il vetro alle finestre.

“T’ho detto che te ne devi andare!” grida lui incollerito.

Il cucciolo nel contempo va da lei e comincia a farle le feste. Lori si copre il petto con la coperta mentre Quentin avanza per afferrare il cucino che fa volare contro il mobile all’ingresso.

“Non toccare più le mie cose, hai capito?”

Quel cuscino deve essere molto importante per lui, accidenti Lori hai fatto una cazzata, era meglio nel sottoscala. Lei muove il capo affermativamente e piangendo, esce fuori a cercarsi i vestiti. Quentin resta in casa ma cambia idea in poco tempo e torna al deposito, dove lei si sta vestendo. Lei lo guarda impaurita. Lui ha in mano il fucile, come quello del cacciatore, forse più grande e la guarda con astio.

“Ok. Hai ragione, ma adesso vado via, promesso, non c’è bisogno che mi spari. Ho fame. Mi daresti una conserva? Ti darò tutti soldi che mi restano. Oppure uccidimi per averti mangiato le tue scorte di sopravvivenza?”

“Vattene.”

“Non si tratta così nemmeno un animale.”

“Questa è casa mia e tu non sei un’ospite.”

“Ho fame?”

“Chiamerò la polizia. Hai capito cosa ti ho detto? Te ne devi andare da casa mia.”

“Fallo. Va bene, grida lei, tu fallo. Chiama la polizia o meglio, sparami. Non me ne frega niente. Pensavo che un uomo di cuore non guardasse quanto sono giovane, o brutta o inutile, o incinta. Non ho più paura. Dirò che mi hai violentata e che adesso che sono incinta, mi vuoi cacciare ....”

“Dico sei pazza? Rifugiarti in montagne selvagge alla tua età e nelle tue condizioni? Potrei spararti e nessuno saprebbe che sei venuta qui.  ”

“Fallo! Mi sono rotta. Fai lo stronzo ma sai cos’è l’ospitalità? Sai che significa non avere nulla a questo mondo? Non hai nemmeno pietà, almeno quello che voleva violentarmi, mi ha offerto due pezzi di torta prima di provarci, sei così piccolo dentro che non ti avanza nemmeno una scatola di minestra, ingozzati, con i tuoi viveri e vivi da bestia che sei.” Grida lei tenendo i pugni stretti per la rabbia.

“Chiamo la polizia, lui le parla adesso con un tono di voce molto pacato, e la sua voce fa più paura di prima, e credimi lo farò. Non ospito nessuno. Se non hai un cellulare o qualcuno da chiamare ti porterò in città e li potrai trovarti una sistemazione.”

“Io dirò che mi sei saltato addosso in campeggio.”

“Non ti crederà nessuno. Sei pazza?”

“Sì, forse ma ti tratterranno finché non saranno finite le indagini e le prove del DNA, nel frattempo sarò libera di vivere al capanno fino al tuo rientro perché dirò che questa è la nostra casa d’amore visto che ho sedici anni e tu, cento?”

“Sei davvero pazza.” Lui esamina le poche cose che lei si è portata con sé nel viaggio ed è ridicola persino nella scelta della valigia, non capisce se fa la stupido o lo è per davvero. Qualunque sia la risposta, non lo interessa.

“Rinnova il repertorio. Ho solo il coraggio di stare con me stessa in questo posto. E ti dirò che non è così difficile vivere con le bestie quanto lo è stare con gli esseri umani.”

Lui resta zitto e avanza. Lei teme che le metta le mani addosso, invece, lui prende un paio di conserve da dietro il capo della ragazza e le svuota in una pentola più piccola che lei non aveva ancora visto. La pentola finisce direttamente sul fuoco. Ancora senza parlare, lui prende il grande cucchiaio di legno appeso alla parete sopra il camino e il cucchiaio di fero con il manico piegato. In meno di pochi minuti, lui adagia la pentola fumante sul tavolo fuori dal patio e apre il coperchio. Lori è ancora in piedi, impaurita di fianco al fuoco. Vorrebbe mangiare ma d’istinto e senza preavviso si vomita addosso. La sua serata finisce nell’acido e senza badare o meno alla presenza dello straniero, si denuda.

 

Il cucciolo non la molla finché il suono del fischio non lo fa correre dal padrone, dove riceve un osso bonus per buona condotta. Lui si alza dal tavolo e ritorna da Lori. Lei è in piedi in mutande e reggiseno. Si sta pulendo la bocca con il palmo della mano e incurante di lui, si toglie anche le scarpe, in cui ha rovesciato non solo il contenuto dello stomaco ma la sua bile. Quentin la guarda. Non le parla. La guarda ancora e poi lascia il cucchiaio di legno sulla pietra e dopo aver tolto la pentola piccola dal fuoco, si siede per mangiarla  da solo.  Non si cura dello stato né del morale della ragazza. Non gli importa. Non è un’ospite. Non rimane nulla dentro il tegame e quando lui ha soddisfatto il suo appetito, sempre ignorando l’ospite,  si alza, abbraccia il fucile e parte per addentrarsi nel bosco. Lori fissa il cucchiaio per un attimo poi corre verso il patio dove la pentola aperta, manda un odorino invitante e due birre fredde aperte le attirano gli occhi, ma le lattine sono vuote e sul fondo del tegame, il poco brodo non basta nemmeno per una cucchiaiata. Non ha più la nausea, il bambino ha smesso di comandare sul suo appetito e adesso anche lui ha fame. Secondo me non dovevi ribellarti a quello che avevo nello stomaco perché adesso mio caro c’è molto meno per te e per me, gli parla lei accarezzandosi la pancia.

Lei impreca poi si siede sulle ginocchia a mangiare un pezzo di cioccolato, mentre soffre annusando il buon odore mandato contenuto della pentola. Che fine avrà fatto il Cacciatore? Poi pensa al lupo da cui Q l’aveva salvata e se quel lupo l’avesse aggredita? Lori è sconsolata.

Per troppo tempo si è sentita quegli epiteti,  “testa di cazzo”, “faccia di merda” , “ ce l’hai nel culo” dai suoi simili e consanguinei. Per troppo tempo “vali una sega” le ha mostrato di essere una nullità incapace di crearsi un futuro perché disprezzata da quelli in cui lei aveva più fiducia e adesso, lontana dal mondo degli epiteti, forse si sente ancora più sola, ma nessuno ha più il diritto di farle del male. Nessuno può ferirla con parole tanto crudeli quanto ingiuste. Gli occhi fissano il soffitto basso e comincia la conta dei tronchi che reggono il cielo dall’altra parte del tetto. Non passa molto tempo e lei si addormenta sul tavolo con i due cardigan di  pile come cuscino. I suoi sogni cercano una luce calde verso cui volere per assorbirne il benessere e la magia.

 

Quentin non ha avuto il coraggio di cacciarla e si odia per questo. Non ha voluto darsi dei motivi, l’avrebbe fatto, si è riposto lui, col tempo, ma ha tenuto conto dello stato della ragazza e senza chiederle spiegazioni, ha preferito lasciarle lo spazio della capanna. A prima impressione, le è sembrata una sbandata con parecchi problemi alle spalle e dopo aver avuto la garanzia che è innocua, le ha consegnato il suo letto, lui preferendo andare a dormire nel deposito. Ha avuto qualche dubbio, quando ha visto che lei possiede una pistola ma si è dato pace, nel vedere che lei la pistola la lascia ovunque e non la porta addosso. Nemmeno i principianti lo fanno. Chi ha una pistola ed è sicuro di usarla non la mollerebbe mai, ecco perché Lori è rimasta, il suo attaccamento alla pistola non è prioritario. Chi mai cederebbe a una ragazzina con i capelli rossi corti e ribelli e una marea di lentiggini che le hanno procurato più problemi che simpatie. Se non avesse la pancia, direbbe che è una bambina, incinta, in sovrappeso e con problemi di personalità.

Comunque non sarebbe stato in alcun modo gentile con lei. Le conserve le avrebbe potute condividere ma non la conversazione, il dialogo non fa parte dell’ospitalità. Sicuro di aver fatto quella scelta più per il bambino che per lei, Quentin comincia una guerra del silenzio e di brontolii, appena lei accenna di voler fumare un sigaretta. Proprio stupida, rafforza lui il primo pensiero su di lei.

Per un mese, lei ha approfittato della non ospitalità di Quentin che ha fatto di tutto pur di evitare un contatto umano con lei. Non le parla. La ignora, quando la sera sono insieme intorno al fuoco. Ignora o probabilmente detesta che lei pulisca la capanna. Lui passa intere giornate a scolpire da tronchi enormi, minuscoli stuzzicadenti e quando non è sul ceppo a giocare con i suoi coltelli, entra nel bosco con il fucile per poi tornare, ogni tanto, con delle trappole di ferro vuote. La sua igiene è esagerata. Si lava più di tre volte al giorno, almeno lei sente spesso il rumore della doccia  e lo vede sempre con l’acqua che porta dal fiume a secchiate. Molti dei vestiti, lui se li lava nel retro del capanno e  li appoggia sulle pietre. Q non è quello che fa sembrare e lei lo percepisce dall’energia che sprigiona e che c’è tra loro, quando s’incontrano. Molte cose non si possono raccontare a parole e quella chimica, quell’odore che le pare di sentire quando lui le si avvicina, sono unici. I sentimenti romantici non sempre sono chiari e non sempre mostrano le loro intenzioni, ma certi opposti, riescono

  E’ un lavoro di fatica ma in quel posto non c’è di meglio da fare. Lori si domanda come farà con il sesso? E’ impossibile che lui resista tra i monti senza vedere un altro essere umano e la risposta la trova, quando sulla mensola del deposito nota le chiavi di un’auto, insomma è un uomo adulto e di certe cose, loro hanno bisogno come l’aria. Ha fatto il giro del bosco cercando sia la radura dove lui l’ha parcheggiata sia la strada che la porti fuori da quella trappola, ma non ha trovato nessuna delle due. Certo, avrebbe potuto domandargli dove fossero, ma avrebbe rischiato che fosse cacciata nuovamente.

Lori ha scoperto invece,  che non riesce ad avvicinarsi al bosco. C’è un muro invisibile tra lei e gli alberi. Un muro che appena lei cerca di valicare la respinge e la intimidisce.

Ha provato più volte, giusto per passare del tempo, a seguire Quentin ma non è mai entrata nel sentiero stretto che lui percorre, prima di svanire dietro dei grossi fusti. Il muro esiste ed è impenetrabile. Più lo affronta più sente la sua paura rimbalzare contro la superficie dell’ostacolo.

Ha notato invece che lui è preso da qualcosa, qualcosa che gli da filo da torcere più di lei che si è spaventata, quando lo ha visto una sera rientrare con delle grosse trappole in mano. Trappole che a suo parere sono grandi quando mezzo tavolo e non riusciva a capire per quale genere di animale potesse esistere.

Quella sera, Quentin ha imprecato a lungo nel deposito, contro se stesso e contro certa gente che lei non ha capito chi sia. Lei crede che lui sia un cacciatore ma non lo ha mai visto con grosse prede e nemmeno con pellicce di altri animali che non fossero lepri. Quello che vede spesso sono trappole che lui riporta dalla foresta e spesso sono molto pesanti persino per un uomo alto come Q. Certo, fosse stato per lei, nemmeno le lepri andavano cacciate, ma la fame certe volte ha la vittoria sulle tue migliori convinzioni. Lui passa il tempo a intagliare grossi rami di legno fino a ridurli degli stecchini e quando non va nel bosco, continua con la sua maniacale attività, forgiando

Quelle cose sottili per ore, senza mai smettere e usando tutti i coltelli che ha a sua disposizione. Adesso Lori ha compreso il perché di tutti i coltelli, anche lei ha la mania degli smalti, o meglio delle unghie curate nei mini mi particolare ma non fino a quel punto o forse non fino a quel punto perché non se lo può permettere.

Lui intaglia rami fino a creare cose di piccole dimensioni e in quei momenti, la sua aura di tristezza e solitudine svanisce, mostrando un uomo severamente concentrato sul lavoro che fa. Ci mette delle ore e lei lo osserva mentre legge sorseggiando il caffè che è squisito e non capisce se per merito dell’acqua o del caffè, nelle pause, dalla caccia e dalla falegnameria.

 

Un giorno appena prima dell’alba, lui la sveglia. Lei sa che lui dorme nel deposito, dove si è portato una coperta e il suo cuscino rosa, cui è affezionato in modo impressionante, ma, quando entra per svegliarla, è meno grossolano del solito.

“Presto.”

Presto per Lori è già una parola più decente rispetto a “vattene” e “hmm”. Quella gentilezza inaspettata la spaventa, che la voglia uccidere nel bosco per poi seppellirne il cadavere? Con quella faccia da zotico montanaro, tutto potrebbe essere possibile. Lui le chiede di alzarsi ma senza gridare, con una evidente gentilezza. Gli occhi assonati di Lori potrebbero confondersi, che sia davvero lui?

Lori non capisce. Lo guarda. E’ vestito e il caffè è già caldo nel camino. La ragazza si alza e gli fa cenno di girarsi, si deve vestire. Appena finito di mettersi la maglietta si rende conto che lui è già uscito e lo segue, con le scarpe ancora da allacciare. Il cucciolo è cresciuto ma è sempre allegro e non la molla mai. Quentin l’attende a metà sentiero e lei ci pensa un paio di volte prima di raggiungerlo. Il muro, ripete lei, il muro è alto. La barriera d’aria la soffoca appena cerca di sfiorarla. Ancora un paio di passi ma cambia idea e torna indietro. Non ce la fa.

Quentin continua a camminare finché non sparisce dietro delle grandi rocce dietro il capanno. Sono poche decine di metri. Lori, devi cercare di fare pace con la foresta, pensa, sono solo pochi passi e cerca di ritornare al sentiero, colpita dall’odore di foglie e fiori e dei frutti nei cespugli adiacenti. Quentin torna indietro e le consegna una scatola da biscotti chiusa con il coperchio. Lei la apre e scopre che è piena di mirtilli ma quando vuole ringraziarlo, vede che è già avanti di parecchio. Con la faccia nella scatola prende due belle boccate piene di frutti scuri. Sono meglio della cioccolata, pensa. Divora metà del contenuto della scatola e si ferma sorridente. Con una mano si toglie le goccioline di sudore dai capelli ribelli e mossi sulla fronte. Averli tagliati corti significa, aver soltanto tolto un poco del loro peso ma non il denso. Guarda la scatola di biscotti e chiude il rimanente dei frutti, con il coperchio. Lui le ha postato frutti. Non ci pensa una seconda volta, quando inizia a seguirlo. Ha la scatola di mirtilli con sé e molta paura meno. L’uomo si ferma e a lei mancano una diecina di passi per arrivare alla radura, dove lui sta fissando qualcosa.

Lori procede, guardando a terra. Non vuole incontri strani con qualche ragno o qualche serpente. Arrivata, si siede sulla pietra, dove l’uomo in piedi fissa qualcosa, come una piccola cascata che si trasforma in un laghetto e che ha uno sbocco in un torrente ma più a valle.

“Cos’è questo posto?”

“E’ un posto magico. Gli indiani i nativi, lo chiamano “la culla del mondo” ovvero il luogo dove i salmoni vengono a depositare le loro uova. Ogni salmone nasce in un fiume e ritorna al medesimo posto dove sono nati ma raggiunge l’età adulta in mare e quando ritornano per accoppiarsi compiono un viaggio lungo ed estenuante. La femmina sceglie il proprio compagno appena prima della risalita del fiume e poi coppia rimarrà nelle vicinanze delle uova per difenderle e proteggerle  fino a che entrambi moriranno.”

“E’ triste.”

“Perché non guardi oltre il sacrificio. Loro muoiono per poter concepire dei figli in una natura ostile e con molti predatori.”

“Predatori? Gli uomini?”

“Il Grande orso bruno, i grizzly.”

“Che meraviglia, cos’è questo posto? Cosa sono quelli? E quanti sono!”

“Qui i salmoni si danno il loro appuntamento d’amore. Risalgono per centinaia di chilometri il fiume, in cui sono nati e da dove sono partiti per il mare. Al momento dell’accoppiamento fanno ritorno dal mare, seguendo un radar interno  o una spinta divina. Sarà nel luogo dove sono nati che si accoppieranno, morendo  dopo per la fatica ma questo momento, che ora vedi è l’atto più puro di una vita che nasce e muore nello stesso posto, dove ama. Un essere che senza l’ausilio di macchinari, affronta con testardaggine ostacoli che la natura li mette davanti per potere rivedere casa e dare vita alla propria progenie. Non sono cose che si insegnano a scuola. La natura va ascoltata, non puoi programmarla, è lei che ti indica il momento, il posto, la ragione.”

Le parole di Quentin la confondono. Lei intuisce dell’ammirazione verso la natura dell’amore, cosa inusuale per un bisbetico. Il tono di voce dell’uomo la fa ricredere sulla sua poca dimestichezza con la cortesia e la gentilezza.  Peccato che le parole che le escono di bocca spezzi la magia.

“Q io non mangio i salmoni.”

Quentin la guarda e lei si sente nuda, così da abbandonare il colore degli occhi di Quentin per quello delle acque in piena invasione di salmoni.

“Non siamo qui per pescarli, ma per ammirarli.”

“Posso farmi un bagno?” i suoi occhi brillano di gioia, è passato molto tempo da quando lui non vede gioire una persona in sua compagnia.

“Con loro?”

“L’acqua è così trasparente. Non mordono mica. Mordono? Q se così fosse mi salverai vero?” e ride ma si rattrista subito, appena lo vede allontanarsi.

Quentin la lascia sola, senza salutarla. Si è sprecato di parole, poi svanisce così, ha proprio una genetica storta, borbotta lei, mentre si toglie i pantaloni ma non le mutande e il reggiseno. Prima di assaggiare la temperatura dell’acqua scatta con il suo cellulare delle fotografie. Sono magnifiche e poi così colorate, sarà bello mostrarle al mondo, ignaro che tanta bellezza ci possa essere, anche lontano dai negozi e dallo shopping.

Quei pesci danzano, quando saltano controcorrente, una danza d’amore cui non possono negarsi, anche se sanno di dover morire. Molto romantico, la cosa la fa pensare a notti d’amore in quel posto con una persona che potrebbe innamorarsi di lei e, poggiando le mani sulla pancia, del suo bambino. Il volto di Quentin riappare ma lei lo cancella, disturbata e imbarazzata. Perché invece di pensare a un uomo nuovo, al ragazzo che l’ha messa incinta, agli uomini che lei ha visto fino ad allora, pensa a Quentin? L’acqua fredda non deterge le visioni involontarie, non cancella i moti dello spirito, ma lei ci prova e allontana la figura oscura di Q, trovando più divertente osservare i salmoni nella loro pazza corsa all’amore.

Prende dallo zaino il cellulare. La sua indipendenza è intatta. Finché il cellulare funziona, lei è ancora in contatto con il mondo, lo stesso che ha voluto abbandonare.

Stranamente, in quel posto la rete c’è e lei approfitta per postare le prime nuove impressioni del suo viaggio. I colori incredibili dell’acqua e dei salmoni spinti in migliaia di esemplari controcorrente, mettono in risalto ogni immagine catturata con un piccolo clic. Non ha nessuno da chiamare e cancella le telefonate di amiche che non vuole ancora sentire. Non ha nulla da dire sul perché sia andata via, nulla da condividere se non quei pochi e rari momenti di colore e di pace nella natura. Appoggia il cellulare sulla roccia. Si guarda la pancia, lo fa sempre ma in quella occasione si accorge che diventerà mamma. Che strana cosa, lei madre. Sarà buona? Sarà in grado di dare al suo cucciolo quello che lei non ha mia avuto? Intanto pensa al piccolo che se ne sta buono dentro di lei e lo porta con gioia a nuotare nell’acqua più chiara che lei abbia mai visto da quando è al mondo. Ecco, come deve essere il paradiso, pensa, uno specchi o d’acqua trasparente e verde come gli occhi degli angeli … e di Quentin.

Finito il bagno, esce per asciugarsi e resta piena di brividi sulla pietra, aspettando che il sole l’asciughi. In attesa posta le fotografie. Ci vuole un attimo perché arrivi il commento di uno dei tanti pseudo amici del social. Subito dopo molti altri scrivono che sono ammirevoli e c’è qualcuno che condivide le sue fotografie. Nessuna altra offerta di soldi per le sue immagini, peccato. Sarebbe stata una fortuna, potere guadagnare anche pochi spiccioli. Lei non ha bisogno di altro. Spegne il cellulare e torna alla visione celestiale del laghetto e dei suoi ospiti.

Non ha con sé il sapone e nemmeno la pistola ma i suoi pensieri non sono al pericolo imminente ma a al bagno ristoratore. Mentre resta con i piedi nell’acqua guarda tutti quei pesci sforzarsi nell’avanzare contro corrente. Pensa che sia qualcosa di mistico, di innaturale ma bello, di una bellezza divina e di un coraggio ultraterreno, guardare quelli esseri nuotare cocciutamente mentre la corrente fa da muro invisibile al loro sforzo.

Lei si rende conto che tutti hanno un muro da valicare, tutti trovano una contro corrente per i propri principi e per il proprio credo ma chi ha fede, avanza, anche se molte volte, il premio può essere la morte. Lei si riguarda la pancia. La sua gravidanza è appena percettibile e non capisce cosa dovrebbe fare. Cosa potrebbe rendere felice la creatura che porta in grembo e cosa potrebbe rendere felice lei? Ha perso dei chili e i pantaloni cominciano ad esserle molto larghi. Per risolvere la cosa, ha tirato fuori dagli occhielli dello zaino, il lungo laccio che facendo passare dai passanti dei jeans ha usato come cintura.

Sta vivendo con un estraneo che a fatica la sopporta e forse dovrebbe convincersi che nemmeno quel posto, per quanto bello e misterioso, non le appartiene. Ma la riva del fiume le ispira magia e cancella i pensieri negatici, lasciandosi trasportare dallo specchio dell’acqua che riflette le nuvole diventate repentinamente minacciose.

Una raffica di pioggia la investe inaspettatamente e pesantemente. Il temporale è arrivato all’improvviso e lei scappa, prendendo i vestiti e le scarpe in mano. I goccioloni la colpiscono e i passi di lei affondano nudi nel terreno. La corsa verso il capanno le procura non poche ferite alle piante dei piedi e arrivata al capanno, si getta davanti al camino che non ha mai visto negli ultimi due anni, il fuoco spegnersi.

Quentin in quei minuti, è rimasto dietro la grande roccia finché lei non ha finito di lavarsi. Ha evitato di fare considerazioni sulla nudità di una ragazzina., ma sente che è un suo dovere, fare attenzione che non le succeda nulla, soprattutto con i cacciatori in giro. Appena lei esce dall’acqua, lui torna al capanno, mentre Wolf va incontro alla ragazza che accetta le feste del piccolo lupo e lo premia con metà dei frutti che ha riportato sotto il temporale. Il cucciolo non vuole saperne dei mirtilli e corre fuori capanno, oltre il muro invisibile che lei odia tanto.

Il capanno è una costruzione di legno, stretta tra quattro pareti di legno che non arrivano atre metri, c’è un soppalco, per le poche stoviglie e vestiti, mentre sotto c’è una stanza con un mobile cucina, ma senza tavolo, al suo posto contro la piccola finestra ci sta un letto di legno e una coperta. L’unico pezzo davvero grande è il camino. In verità la sua struttura è obiettivamente sproporzionata considerata la scarsa dimensione della stanza.

Sotto il letto di Quentin dorme il cucciolo di lupo. Wolf non ricorda la tana nel bosco e lui in mezzo ai fratelli morti con una pallottola nella zampa, ma ricorda Quentin che l’ha medicato e per lui è sufficiente. Sia per Wolf sia per Lori, quella foresta alza davanti a sé un muro cattivo e questo punto c’è da domandarsi se questo muro è una minaccia, oppure uno scudo fatto per difenderli da certe paure che loro non hanno ancora superato?

 

6  Sentimenti e altre catastrofi

Non serve un orologio per capire che le stagioni cambiano a un certo punto. L’estate lascia il posto all’autunno e l’autunno si ritira modestamente appena il vento più freddo comincia a spingere le nuvole sopra le vette delle montagne preannunciando le prima nevicate.

La temperatura  è precitata in meno di un paio di giorni. Da dieci a meno venti gradi ed ecco l’inverno. La guerra che Quentin combatte è silenziosa e non molto efficace. Lui sa cercando di proteggere l’orso ed è quasi vicino a scovare il Cacciatore, ma la donna nella casa gli crea non pochi problemi. Il Cacciatore potrebbe trovare il capanno e ci potrebbe essere uno scontro, mortale. Quell’orso ha un valore inestimabile, per la natura e per i criminali che vendono bestie al mercato nero.

Vuole assolutamente che la ragazza vada via, è pronto ogni giorno ad accompagnarla a Cold Trees, ma per qualche motivo si ravvede e non vuole indagare per capirlo. Attende. Molti dei suoi vestiti sono finiti a lei, lei che si mette lo smalto verde sui piedi, che fuma quarti di sigaretta, lei che gioca con Wolf, lei che mangia e poi vomita, ogni cosa le capiti sotto il naso, ma la sua preoccupazione sono sempre le trappole. Da giorni Zeus, il grizzly adulto è scomparso. Quentin è certo che non è per merito dei cacciatori ma vorrebbe accertarsi che la sua tana è sicura e che nessun dannato criminale si darà da fare per distruggergliela.

In quei mesi Quentin ha ricordato meno spesso Elly e si sente pentito di questo tradimento. Sua moglie non ha più voce nel suo capo, si è dimenticato della voce della donna che ha amato, gli è rimasto soltanto il vago ricordo del suo sorriso e nulla più. Lui non vuole dimenticarle ed è per questo che la ragazza cono il suo fardello e la sua vita incompleta e disordinata deve andare via. Troverà il modo di portarla in città e di sistemarla finché non sarà più leggera, presso una onesta pensione e ha qualche ideuccia in mente, qualcosa che funzionerà ne è certo.

La giornata è meno lunga di quanto sembra. La luce dura poco e Lori si alza e fa due passi per i propri bisogni e cammina fino al laghetto, dove si spoglia e si lava. Le prime volte aveva sospettato di essere spiata e non levava nulla se non la maglietta e i pantaloni. Il suo pensiero andava al Cacciatore e ad altri pericoli. Poi ha cominciato a togliersi il reggipetto per lavarlo, non avendo altri cambi. I bagni al laghetto sono diventati abitudine. Si sente libera dalle regole e dalle imposizioni. Può dormire finché vuole e passare il tempo a cercare di fotografare gli animali in quel paesaggio maestoso.  Sono mesi che a Quentin intima ogni mattina di stare in casa, per evitare che lei, lavandosi al laghetto, si allontani per la vergogna di essere vista e lui non ha mai veramente risposto, le ha sempre mostrato una specie di sguardo fisso con quegli occhi verdi freddi e penetranti che potevano dire tutto o nulla.

Cammina e la natura per una volta, le sembra meno ostile del solito, anche se non si addentra nel muro degli abeti, nella fitta foresta, oltre il muro invisibile. Le basta restare dietro al capanno, al sicuro e seguire il perimetro della foresta. Riesce a percepire degli odori e dei suoni forse di uccelli che la divertono. Per un secondo ha l’impressione che quello sia un posto magico. Una terra inospitale che per lei è diventata un comodo salotto, dove poterti sedere e ammirare le nuvole correre nel cielo o lo specchio caldo dell’acqua, anche il vento più dolce molesta l’acqua calma, pensa. Si ferma e guarda l’albero gigantesco davanti a sé, la corteccia ha delle crepe profonde ma l’albero è alto e non sembra soffrire per quelle ferite. Molti dicono che l’amore sia fatto di gesti e di parole, ma io credo che l’amore sia fatto di spazi di grandi, immensi spazi che respirano con te la stessa vita, pensa lei.

Il Lago è circondato da massi di roccia e cespugli ma Q in quell’ambiente, sembra più terrificante delle rocce e dei fitti cespugli spinosi, probabilmente perché lui rende difficile qualunque cosa lo circondi. Non vuole nemmeno pensare che esista un gigantesco orso e che lui possa arrivare proprio lì, mentre lei si fa il bagno. Si avvicina alla bassa spiaggia d’erba bassa. Ci sono molti insetti tra le foglie ma lei lascia correre, per il loro mondo che calpesta, lei è il gigante cattivo cosa da sfatare perché non è più la Lori di prima, quella che schiaccerebbe qualsiasi insetto per paura o per ripugnanza . La nuova Lori guarda le piccole cose e si rende conto di quanto siano importanti e indifese, come lei ,quando ha di fronte un lupo o un orso o gli occhi di Q.

E’ nuda. Si guarda la pancia prominente e le manda un bacio con la mano destra.

Assaggia l’acqua con i primi passi che camminano sopra i sassi piccoli e l’acqua le scivola addosso con dolcezza. Per un paio di metri le acque non sono né torbide né profonde e la loro trasparenza è così invitante da farla dimenticare molte cose, dandole una serenità da tempo perduta. Si lancia in una nuotata e quella beatitudine temporanea le mostra la vita per quello che è, una piccola cosa che tocca ogni tanto l’azzurro del cielo contagiandola di sogni. Con quei sogni lei, galleggiando stellina sulla superficie del lago, pensa a Quentin. Q è un uomo dal passato oscuro, un assassino o un maniaco o semplicemente uno stanco della pazzia cosmopolita ma è un uomo giovane e fisicamente bello, già, pensa, i suoi occhi invitano all’amore e le sue mani sono così forti da volere che la sollevino. Un uomo così non l’avrebbe mai considerata nella città da cui viene. Gli uomini belli cercano donne intelligenti e lanciate in carriere importanti, cercano donne socialmente evolute e sofisticate. Lei non ha nulla, cultura, sofisticatezza, una carriera ma ha il conforto di essere ancora molto giovane con tante cose da imparare. Lei a dispetto di altre ha vinto la paura del vuoto e dell’infinito senza frontiere, quante donne sofisticate avrebbero accettato di vivere in quell’universo senza lavastoviglie, senza balsamo, televisione, auto, profumo e ristoranti?

Quentin l’ha salvata dalla noia e continua a nuotare finché sulla sponda non nota un lupo. Un lupo? E’ già nel panico. I suoi vestiti, la pistola, sono rimasti sotto le zampe dell’animale. Non ha nemmeno il fiato per gridare aiuto. La voce strozzata e l’animale è lì che la osserva. Non sa cosa fare, perché Q non c’è quando ha bisogno di lui?

 

Il lupo si gira e svanisce nella foresta. Lei ancora trema di paura, quando decide di correre, lasciando i vestiti a terra e pensando soltanto a tornare al capanno. La corsa dura poco e si guarda indietro, nessun animale selvatico. Ha bisogno di fermarsi per riprendere fiato. Le fa male la milza e persino la pianta dei piedi, dove si è tagliata. Zoppicante continua la camminata verso la salvezza. Dimentica la tensione di prima e il dolore del piccolo taglio è sopportabile. Le piace l’aria fresca del bosco e quell’odore pungente di pino e di frutti tardivi. Si è affaticata e il sudore le gocciola sulla fronte. Se si è orientata bene, dovrebbe essere vicina al capanno. La luce della radura è invitante e lei la segue, contenta per la prima volta di tornare a casa. Lei si lega i capelli con un ramo da cui ha tolto le foglie per usarlo come ago da chignon. A un certo punto della ripida discesa, sente il rumore di acque che scendono giù vertiginosamente, delle cascate, pensa lei e si affretta per arrivare al cespuglio che le impedisce la visuale. Il luogo è poco più vicino al capanno del laghetto, dove ha fatto lei il bagno.

Appena apre le folte chiome del piccolo arbusto vede Q in piedi sulla roccia, dove le acque si spaccano violentemente.  Delle rocce aguzze spaccano lo scenario colorato da pochi cespugli bassi e qualche albero.

Lui si sta spogliando. Lei indietreggia, dovrebbe tornare di corsa a casa, o chiedergli aiuto, ma appena gira le spalle, lei si ferma. E’ curiosa. Torna al cespuglio e apre qualche ramo, giusto una spaccatura tra le foglie da cui guardare l’uomo. Lui è a torso nudo e si sta togliendo i pantaloni. In un attimo è nudo che fissa l’acqua dinanzi a sé. Ci mette del tempo a girarsi proprio verso gli occhi di Lori. Lori fissa ogni dettaglio di quel corpo e soprattutto le parti intime, cosa che non ha mai fatto  con un ragazzo in carne e ossa. Potrebbe considerarsi soddisfatta e rientrare ma è catturata da lui e dai muscoli che si nascondono molto bene sotto i vestiti abbondanti e vecchi. Ma cosa sta facendo Q, lei si domanda, e continua a spiare lui che si tocca il pene e continua a toccarselo per lungo tempo, tempo in cui lei lo osserva a bocca aperta. Lui tiene gli occhi chiusi e quel gioco con la mano, quel gioco violento e veloce pare gli dia piacere, abbastanza da farlo restare immobile sulla roccia appena la mano finisce di andare avanti e indietro. Q alza la testa, forse si sente osservato, e lei si tira indietro, ma non abbastanza velocemente da non mostrare le foglie del cespuglio che si muovono. Q si tuffa tra le rocce seguendo la corrente della cascata e dal basso, riguarda nello stesso punto, dove prima Lori si era nascosta. Nuota fino alla roccia e si riveste in fretta anche se tutto bagnato. Lei rientra cercando di contenere in un remoto ricordo ciò che ricorda di aver visto. Lui aveva un corpo bello, bianco, magro, muscoloso, alto e arrossisce mentre apre la porta che cigola. Vorrebbe buttarsi sul letto e sognare ma lui è già lì. Come fa lui ad essere già in casa? Mentre si domanda quelle cose, il suo imbarazzo la spinge a rintanarsi sopra la sedia fuori. Non vuole che la veda che legga nei suoi occhi quello che lei ha visto e in fondo quanto le era piaciuto ciò che aveva visto.

 

L’autunno irrompe e il menù è sempre uguale, zuppa di cereali in scatola, macedonia in scatola e nei giorni delle trappole, lepre arrosto.  Lori è rimasta legata al ricordo e all’emozione che ha provato giorni prima, guardando Q farsi il bagno. Il suo sentimento è cambiato e più di prima ne ha il terrore, forse perché si vergogna per ciò che ha visto o perché le è piaciuto. Lei non è più tornata alle cascate. Lui è legato ai suoi ricordi, a una vita libera che lei ha stravolto. Dovrebbe smettere di tormentarlo e andarsene. Il problema, e si guarda il basso ventre, è la gravidanza. Gli chiederà di andare via, i pochi soldi che ancora ha le serviranno per qualche giorno eppure pensare di andare via dal paradiso, non la rende per nulla felice. Un acquazzone irrompe mentre lei scatta nuove fotografie ai piccoli fiori gialli sotto le rocce.  

 

Il Cacciatore ha trovato una pista. Non gli importa nulla dell’orso che prima o poi prenderà, ma è interessato al relitto in cima alle rocce che il fiume Fraser costeggia appena si supera Jasper. Non ha idea di come ci sia arrivato lì e poco gli importa. Quell’ordigno è ancora attivo e la cosa impressionante che potrebbe essere utile a un certo compratore. Per anni ha atteso l’occasione giusta e la fortuna gli sta mostrando la strada. I primi tre giorni passati a Jaser, gli sono serviti a mettere a punto un piano, l’investimento confronto al guadagno è minimo, una decina di ragazzi ben armati, un elicottero e qualche mezzo di trasporto. Il problema vero è l’inverno, perché da quelle parti il tempo e le bufere di neve sono incontrollabili e tutti i piani possono saltare da un momento all’altro e senza preavviso.

Gli uomini migliori sa di trovarli a Cold Trees. Il paesino è piccolo e non offre molte possibilità di lavoro, così qualunque offerta da parte di un generoso imprenditore, per i boscaioli sarà manna dal cielo.

Due piccioni con una fava, è il suo pensiero. Orso enorme catturato da giovane e intrepido politico e un dispositivo statunitense di drone abbattuto o caduto in mezzo ai boschi più deserti del pianeta. Per lui è come aver trovato una nave con il suo tesoro nei fondali dei caraibi. Quella è casa sua e conosce bene ogni cima e ogni pendio. Sa tenere testa a un branco di lupi da solo e può benissimo abbattere un orso gigante con due colpi di fucile.

Non ha paura il Cacciatore e prima di buttarsi nella sua più grande sfida, comincia il suo giro di telefonate. Con un paio di fotografie sottomano, inizia online e a certi clienti, la vendita al rialzo del relitto. A lui non interessa che il drone sia funzionante o meno, a lui non interessa sapere se possiede o meno una testata, gli interessa vendere il pezzo al migliore offerente. Sicuramente nessun altro lo ha visto, quindi per la legge della proprietà, chi per primo trova un tesoro, è suo.

Ha impiegato meno di due mesi per studiare la zona, centimetro dopo centimetro. Conosce bene tutte le case e le famiglie di Cold Trees e la cosa che ha tralasciato è una piccola capanna, di proprietà di un certo Capaldi, misogino e dalla vita molto ritirata, che non considerava dal punto di vista della sicurezza, prioritario visitare. Quella zona, doveva essere sotto il suo controllo finché non avrebbe terminato con l’orso e con il  cimelio.

Avrebbe aspettato di trovare un accordo economico con il compratore poi via libera al recupero dei suoi tesori ancora intrappolati nella sua foresta.

Basta fare una vita normale, pensa il Cacciatore. Il suo compagno organizza le feste perfette per i benestanti di Seattle, anche se l’ha tradito più volte e non solo con la caccia e il lavoro.

Sogna già di essere il primo presidente gay e con lui cambieranno molte cose. Ha già gli appoggi giusti, conoscenti, interessanti, finanziatori. La sua campagna elettorale sarà incentrata sulla nuova famiglia e soprattutto sull’aiuto che lui vuole dare all’ambiente e alle famiglie, chi non vota qualcuno che difende gli animali e i bambini?

Ogni mattina al risveglio, lui vede il mondo come una grande e immensa riserva di caccia e lui l’unico grande predatore. Quale giovane uomo dotato di talento per il potere e il successo, ha mai scalato così velocemente la politica? Lui. E questo emozionante pensiero brilla intorno alla sua auro quando si specchia al mattino prima di rasarsi e di sistemarsi i capelli. I ribelli, secondo lui, sono la feccia che non rispetta le regole, gentaglia da cui va ripulito il mondo prima di dargli nuove severe regole. Lui è l’uomo che impererà sul paese, con il consenso di quegli amici cui ha promesso di sistemare le famiglie nei posti più importanti della direzione governativa.

Il Cacciatore torna nella foresta nonostante non sia ancora tempo di uccidere la sua preda. Non abbandona mai il display del telefono e conta di arrivare al più presto sul luogo del relitto per filmarlo e per mandare le immagini al quel “anonimo” molto interessato alla vendita. Nessuno di quel piccolo stato dietro lo scenario del mondo, potrà fermarlo. Lui tiene tutto e tutti sotto controllo e l’operazione “Presidenza” è già alla prima fase della sua attuazione. Fischietta il Cacciatore, mentre sale sul suo piccolo aereo, pensando alla ragazzina in mezzo ai boschi e alla natura degli orsi destinati a morire per fare diventare celebri i coraggiosi.

 

Nonostante sia fradicio e incurante dell’acqua che scende dai suoi vestiti, Q sorseggia il caffè,  guardando il fuoco scoppiettare nel camino. Ogni tanto lui lancia uno sguardo alla pila di rami e legnetti che sta scarseggiando. Appoggia la tazza a terra ed esce, ignorando Lori che detesta questa mancanza di curiosità da parte del suo ospite o proprietario di casa o come diavolo avrebbe voluto che fosse considerato. Lei chiude gli occhi e si mette le mani sulla pancia. Capire cosa deve fare a quel punto della vita, con un bambino in arrivo e nella casa di uno sconosciuto che la ignora completamente, ha la proprità. I pantaloni la stringono e lei li apre completamente ma lui passa con la legna in braccio e nota la cosa.

“Che c’è’?” domanda lei con uno sprizzo di cattiveria. Lui mugugna qualcosa di incomprensibile e dopo averla guardata lì nel basso ventre, passa oltre, poi cambia idea e torna indietro. Lei si spaventa ma non scende dalla sedia.

“Quale idiota porta vestiti stretti al sesto mese di gravidanza?”

“Che ne sai tu a quale mese e poi sei così, così bagnato e puzzi Dio, puzzi a sterco di animale o qualcosa del genere e …”

“E?”

“Nulla.”

“Ah.”

“Tutto qui, solo un ah?”

“Mah. “ risponde lui mentre sistema la legna.

Lei entra in casa cercando di fare aderire i pantaloni alla pancia. Non vuole rovinare tutto, ha bisogno di restare in quel posto poiché non ha un altro posto dove andare, lui basta ignorarlo, basta fingere che i modi da barbaro sono la nuova conquista sociale del sesso maschile. In fondo a lei, le donne più grandi specie quelle della famiglia, le hanno sempre detto che gli uomini basta farli sentire dei galletti nell’unico pollaio che possono avere ma è vero anche che le donne della sua famiglia erano tutte separate, divorziate o vedove.

Lui si è addormentato. La pentola con il brodo di lepre è sulla pietra con un brutto coperchio rosso consumato dai colpi e dalla ruggine. Il brodo ha un odorino invitante. Sul tavolo un paio di mele hanno fatto l’apparizione dal nulla. Ne prende una ma la mano di lui la blocca. Lei si spaventa e molla il frutto. Lui abbozza un sorriso, cosa che fa spaventare Lori, lui non ha mai sorriso, non ha mai pensato che lui fosse capace a esplicitare qualsiasi emozione. Corre sopra il letto e si gira sul fianco, non vuole vedere che si prende gioco di lei, al diavolo la sua mela e il suo brodo anche se ha una fame che morderebbe il legno del letto.

Q si alza e porta la mela che lascia sul letto dietro la schiena della ragazza.

“Meglio una mela che la sigaretta.”

Lui torna al camino e appoggia la testa sulle braccia posate sul mobile, così facendo si abbandona ai pensieri e chiude gli occhi, inevitabilmente il suo pensiero si ferma in un determinato momento della sua vita e lui scorre quel momento gioioso fotogramma dopo fotogramma ma l’incantesimo si spezza e nel sogno s’insinua una scena cruda con gente che grida violentemente e bambini che piangono molto forte e sangue, ovunque fiotti di sangue che non escono dal suo corpo e allora se non escono dal suo corpo da dove escono? Q grida e si sveglia. Il temporale picchia contro le finestre e il fuoco si è spento da un pezzo. Lei dorme ancora rannicchiata sul fianco, lui si alza e riaccende il fuoco ma la pioggia non lo tranquillizza, deve uscire e sorvegliare il perimetro.

Lo fa ogni sera, ogni sera dopo il tramonto, quello è il momento critico. Si assicura che il fuoco resti acceso e poi apre la porta. Col vento contro, fatica a girare intorno alla casa. A prima occhiata vede che è tutto a posto ma lui sente che qualcosa non va. Percepisce la presenza estranea e minacciosa ma non capisce in quale momento attaccherà. Si gira per guardare la porta dell’ingresso. Lei è al sicuro e quel pensiero lo conforta ma con il fucile carico la realtà è più del conforto. Rientra che lei si è girata verso il fuoco. Dorme profondamente e Quentin la guarda, guarda la pancia prominente che spunta dai pantaloni, guarda il petto che si alza con regolarità ad ogni respiro, guarda i capelli pazzi che la fanno sembrare un ragazzino di dodici anni e non una giovane donna in prossimità del suo primo parto. Lei apre gli occhi e lo guarda. Si guardano. Lei si siede sul letto e cerca l’accendino nello zaino per terra. Ignorando la mela e con la sigaretta in mano, scende dal letto e apre la porta per tirare la prima boccata di nicotina.

“Non fa bene al bambino.”

La voce di lui arriva dal nulla. Fuori c’è buio e l’acqua continua a battagliare contro le apreti del capanno. Wolf non è rientrato e lei cerca con lo sguardo, qualcosa oltre la tenda dell’oscurità degli alberi.  Lui si alza nervoso, non ha sonno, comunque quando chiude gli occhi fa orrendi incubi. Uscirà sotto il temporale a cercare il lupo. Certe volte pensa che Wolf prima o poi l’abbandonerà, quando troverà una femmina. Certe cose della vita oramai lo mettono a disagio. Anche i lupi formano una famiglia e nulla resta così com’è per sempre.

Quentin è in mezzo alla pioggia e sul retro del capanno. Ha portato sotto braccio il suo libro, leggerà nelle serate di pioggia, anche se conosce ogni pagina, ogni riga, ogni  parola di quell’opera. Non degna Lori nemmeno di uno sguardo, Lori che ha piedi nudi fuma cercando di rivedere con l’immaginazione le proprie priorità. In casa Quentin resta davanti al fuoco, a terra  e chiude gli occhi. Con gli occhi chiusi il suo cuore si apre,  la voce solare di una bambina irrompe dalla memoria. Lui è contento di vederla ma non è sicuro di ricordare bene la sua voce.  La bambina si avvicina e lui prova a toccarle i capelli solo che lei svanisce e nell’aria resta solo una ilare risata che la ragazzina fa echeggiare dentro il pensiero di Quentin. Poi una voragine si apre e lui si fa prendere da una vertigine che lo fa girare lasciandolo senza fiato e tremolante. Quando l’ondeggio finisce, lui apre gli occhi e gli sembra che il mondo non abbia mai smesso di girare. Quentin attende il sonno solo per riabbracciare quel ricordo così raro e così bello. La bambina gli sussurra qualcosa all’orecchio ma lui nega, continua a girare il capo in segno di negazione. La bambina insiste e torna a sussurrargli qualcosa che rende il sogno nuovamente un incubo. La risata della ragazzina svanisce e i fiotti di sangue, accecano Quentin che non trova la via di uscita dall’incubo.

 

La neve nelle Montagne Rocciose Canadesi non arriva come una benedizione ma come una condanna prepotente e autoritaria. Tra Canada e in tutta l’Alaska non è l’uomo a decidere sulle forze della natura, è impossibile programmarsi per l’inverno, devi sottostare alle forze della natura. L’estate dura poco e l’inverno domina quasi tutta la stagione dell’anno. Gli uomini devono lottare per la propria sopravvivenza, chi vive nelle montagne, sa che il carburante non si procura facilmente e le medicine vanno prenotate per tempo. Appena la neve scende, l’intera zona per migliaia di chilometri cambia completamente faccia.

Non c’è nulla di romantico nel bianco sterminato che inghiotte valli e il cielo stesso, tutto si confonde in un modello informe, dove soffia un vento ghiacciato dal nord che gli indigeni chiamano con candore “il soffio del Diavolo”.  Il palmo di Dio è ghiacciato e quando si appoggia al mondo, non arriva con una carezza, o come una benedizione ma come una lama, affilata e tagliente che penetra le carni dei più coraggiosi e ferisce gli spiriti di chi pensa con orgoglio di resistergli. Persino i branchi di lupi attendono intirizziti, l’odore di una preda, la spavalderia di qualche cervo solitario, lo smarrimento di una volpe. Il selvaggio lotta contro il selvaggio, mentre la natura cede al peso del bianco, come una sposa fedele nel giorno delle sue nozze. Quando poi il vento notturno, corre dietro le nuvole e le allontana, i cieli diventano una tempesta di pietre preziose che brillano per l’incanto di chi le guarda. E’ la magia dietro una natura pungente. E’ il segreto di quelli che amano sentirsi il fuoco delle stelle dentro e spinti da quella fiamma, sognano le cose più straordinarie.

L’incanto del cielo avvolge il mondo di cristallo che resta sospeso in un tempo vuoto, un tempo inerte che tace e pazienta, come un’orchestra il cui direttore si affida a una stregata bacchetta magica. Il quadro delle foreste d’inverno, porta il sognatore sulle vette più alte del suo credo. E’ il modo con cui la natura cattura l’uomo, usando i suoi colori, le sue spie luminose e i suoi artefici che fa gridare al miracolo. La natura entra nel cuore e lo carica, una mano invisibile che tira il cordino di un intimo carillon che poi canta e vibra di suoni celestiali. Ecco l’inverno nel suo cappotto meno tragico, meno drammatico che non vede le creature morte di fame o congelate nell’atto di scampare ai predatori.

L’inverno è come quel umano che pensa sempre alla festa e gode più di questo pensiero che della festa in se stessa. L’inverno è un velo di pace per tutti gli sconfitti e i vittoriosi che devono riposare prima di altre battaglie. Lori fa la prima esperienza del nulla. La vita all’aperto in mezzo a montagne quasi invalicabili e piene di insidie.

Ha tutto il tempo per pensare alle cose giuste e sbagliate che ha fatto nella vita e spesso è in disaccordo con se stessa; non trova le risposte pronte e nemmeno facili, anzi le sorgono altri dubbi, altre incertezze, una nuova sintomatologia della sua carenza di “qualcosa che le manca da sempre”.

Stare da sola le ha impedito il suicidio probabilmente, il suicidio morale e sociale. Per una sedicenne vedere il mondo assoluto e spoglio di inutili cincescaglie è una novità e per niente adorabile. Avrebbe voluto di più, risposte, cambiamenti, sentieri chiari ed espliciti in cambio, scappando ha ottenuto complicazioni e nuove non meno interminabili paure. Ha dovuto mimetizzarsi con la casa per non procurare fastidio a Quentin, in fondo è la stessa cosa che ha dovuto fare da sua cugina,  con sua madre e il suo convivente, si è sempre dovuta nascondere, quasi fosse una vergogna fare sentire la propria presenza e voce. Wolf la capisce. Wolf che le raggiunge l’anca tanto è cresciuto, le dimostra affetto e per Lori è la prova che una bestia è meno bestia di un uomo, ovunque esso si trovi.

La neve è arrivata già a ottobre e fino a dicembre la sua presenza ha sopraffatto il paesaggio. Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese,  lo scenario si è spogliato un poco alla volta dei propri colori, lasciando imperituro il nobile bianco. In quella purezza di forme l’isolamento dal mondo, pesa a una ragazza che cerca ancora di fare l’abitudine ai cambiamenti dentro il proprio corpo. La sua pancia ha dimensioni grottesche e il seno è raddoppiato sebbene le gambe siano diventate sottili, come le sue braccia. Il suo viso e pallido ma i capelli lei li ha sempre tenuti corti, usando lo specchio che Quentin  tiene nel deposito. Lori ha perso più di dieci chili e il bambino adesso ha dato una forma più tonda alla sua pancia.

 La gravidanza è un peso per Quentin che nasconde nel suo tuttofare fuori dalla casa, un terrore invasivo e perforante. Per ridare la fiducia alla ragazza, le ha lasciato la pistola, spera di non aver sbagliato nel valutarla. Se lei lo uccidesse nel sonno, lui non avrebbe comunque nulla da rimpiangere, ma lei più fragile di quello che vuole fare sembrare, o forse spera che lei lo faccia, che lo uccida finalmente così tutto quel dolore smetterebbe di pugnalarlo.

Nessuno è ancora riuscito ad abituarsi a nessuno. Due creature che vivono sotto lo stesso tetto che non comunicano tra loro e non si sfiorano nemmeno con una leggera conversazione, sono esseri terminali che si spengono lentamente nei propri mai condivisi sogni. Lori lotta con monotonia giornaliera, fissando e osservando le abitudini di Quentin. Quentin che si fissa le mani ferite e tagliate intorno alle dita, per ore. Quentin che si passa le mani tra i capelli rimproverandosi silenziosamente qualcosa. Quentin che lotta con Wolf prima di lanciargli il suo osso. Quentin che non la guarda, quando le riempie il piatto di minestra scaldato sul fuoco del camino. Nonostante le discrepanze e l’assurdità di quella situazione, vivono come una famiglia. Lei evita di fargli domande e lui evita di notare l’imminente parto di lei. Tutti si augurano un cambiamento che non stravolga la loro vita, ma nessuno azzarda partecipare in prima persona.

Wolf è quasi adulto e la sua mole cresce esponenzialmente. Lei e il lupo, passano le giornate giocando nella neve o aspettando Quentin, che esce prima che si alzi il sole e rientra, quando il sole è già tramontato. Il sole nelle foreste del nord, tramonta presto, lasciando il posto a un cielo grigio e roseo, gravido di fiocchi enormi, felici di scendere, appena le temperature diventano più miti.

Sono mesi lunghi e difficili per tutti. Lori non ha più le nausee e il bambino sembra muoversi.  La sua pancia ha cominciato a nasconderle le gambe, da qualche tempo i suoi occhi non vedono oltre i grossi seni e la diga della pancia.

Lei non si domanda, quando e come Quentin faccia rifornimento di provviste, anche se è curiosa, volentieri andrebbe a farsi un giro in città, ha finito lo smalto verde e quello rosso lo riserva per il periodo natalizio. Lui per qualche motivo non la porta al furgone né tanto meno a fare la spesa delle zuppe. Lei vorrebbe togliersi qualche sfizio, una cioccolata calda, visto che ha quasi smesso di fumare, e magari del cioccolato o meglio, del burro di nocciolino, cosa che manca in quel posto. Vivere con i lupi con significa aver perduto le tradizioni.

Quentin non perde mai quel flemma triste e a ogni rientro dalla foresta, lei lo segue e guarda i suoi vestiti pieni di sangue. I discorsi più lunghi, lui li fa con se stesso, imprecando. Lei lo sente nella cantina che litiga con nulla altro che non il proprio spirito. Eppure è certa che lui non sia un pazzo. Si affatica per uscire ed è un obbligo cui è chiamato ogni mattina, da quando lo conosce.

La neve con la notte è arrivata al tavolo, inghiottendo il patio. Quentin non caccia più. E’ rimasto in casa a fissare il bosco dalla finestra e a alimentare il fuoco. Per passare il tempo non fa che spaccare legna e sgomberare il sentiero intorno alla casa dalla neve.

Le sue giornate non sono migliori di quelle di Lori. Ha bisogno di caricare il telefono ma attende. Quentin è sempre di cattivo umore e lei non vuole andarsene. Non si sta male con i primitivi. Lori non gli chiede perché. Non le interessa. Continua a postare le sue fotografie di paesaggi sui social e questo la rende felice. Sua cugina finge che lei non sia scappata e mette ok su tutti i suoi post. I commenti sono aumentati e persino la gente che le chiede amicizia online. I suoi post ricevono commenti come: magici posti, magnifica fotografia, dov’è questo Paradiso, ed altri ancora da ogni parte del mondo. Le serate le condivide con le poche boccate dalle sigarette rimaste. Fa cinque tiri e poi la spegne, così la sigaretta si conserva più a lungo. Ha provato a parlare a Quentin, ma lui non è interessato al dialogo. Il suo unico interessamento è stato “il fumo fa male al bambino” alche lei ha risposto con una lunga aspirata di fumo dalla sigaretta e un sorriso, alla poca autentica imprecazione di lui “cazzo”.

Sebbene fuori non ci sia un vero confine tra neve e foresta, il muro di cui Lori ha paura, sorge ancora in mezzo al bianco e lei non riesce a oltrepassarlo. Sente una grande repulsione e paralizza appena si accerta di essersi allontana troppo dal capanno.  Si accontenta delle passeggiate con Wolf lungo la riva del fiume o fino al laghetto, ma con il sentiero pieno di neve e la difficoltà di muoversi con il ghiaccio nelle scarpe da tennis rovinate,  piace trafficare nel deposito, dove scolpisce e ritaglia, o ripara arnesi di ferro che a lei sembrano trappole. La pancia le pesa e l’urgenza della pipì ovunque lei si trovi, la infastidisce. Quando è fuori, mentre il lupo corre vivacemente sopra il manto fresco di neve, lei osserva il muro e il bosco. E’ lì ferma con le guance rosse e il respiro caldo. I suoi occhi cercano quella cosa che non si può confondere con il tutto, quella cosa che lei sa che significa pericolo, non è stupida, non ha mica dimenticato le parole del Cacciatore, e adesso attende che dal muro arrivino legioni di entità oscure che romperanno quella pace idilliaca.

 

Il capanno non offre riparo dai sentimenti ma li amplifica. Sia Lori sia Quentin, sono materia ancora indefinita, spiriti che stanno ancora cercando il proprio posto nel mondo e quando si incontrano è inevitabile che si scontrino.

Lori conserva ancora la pistola per le emergenze, e lei si domanda perché lui non gliel’abbia presa e nonostante queste piccole gentilezze, queste piccole carezze della sorte, loro non riescono a  stare vicini? Quentin ha un pensiero che potrebbe mettere in opera e da qualche giorno guarda Lori non lasciando trasparire alcuna intensa emozione. Lori lo evita ascoltando musica e facendo fotografie, ma quando è in casa capita che si siedano entrambi davanti al camino e allora il pericolo di spogliarsi completamente dei propri scudi diventa imminente.

Smettila di guardarmi, cos’hai da guardare? Lei parla sottovoce, imbarazzata ma il tono più che le parole arriva diretto al segno. Quentin stringe i pugni e afferrando il giaccone, evita la risposta, le mani tirano il capello sulla fronte e poi finiscono in tasca.

Dannazione, risponde a se stesso, e Quentin esce di casa sbattendo la porta, Lori non è la tua amica, tua parente o la tua compagna, pensa lui. Non è troppo tardi per cacciarla via. Lui non vuole guai e nemmeno una bambina cresciuta troppo in fretta da adottare. Ma non può cacciarla in quelle condizioni, di sicuro la porterà all’ospedale e lì si prenderanno cura di lei e del bambino. Quella è la cosa migliore oppure farà in modo che lei lo veda come un mostro, questo sì che gli riesce bene. Quentin ha un piano e oltrepassa il muro invisibile che tanto spaventa Lori, per entrare nella foresta senza un fucile, senza una difesa, soltanto con i propri pensieri.

Lori lo guarda con rabbia dalla finestra. Appena lui si gira e la vede, lei scappa vicino al camino e si siede per terra contro il muro, aspettando che i suoi nervi si calmino, è la cosa migliore aspettare. Lo diceva anche suo finto padre, il convivente numero tre, appena prendeva la cinghia e la mostrava alla madre: vedi questa? La vedi stronza? La tua fortuna è che conterò fino a dieci poi smetterò di provare la voglia che ho di lasciarti rigata quella pelle da stronza. Finivano così i litigi tra i due, parole pesanti, qualche minaccia, poi la musica a alto volume, quando il padre obbligava la madre a fare sesso e la donna cedeva perché non aveva un’altra casa né cibo con cui sfamarsi. Le lacrime di Lori finiscono sul pavimento e a quel punto lei intuisce di essere un peso per Quentin.

Ha invaso lo spazio di un uomo che non la considerava nemmeno un essere umano, un uomo cui era aliena qualsiasi emozione e la pietà.

E se lui si innamorasse di lei? Se lui sentisse quello che lei prova, un brivido e una sorta di bruciore quando lui la guarda. La carne di quell’uomo che fosse davvero di ghiaccio, che lui non avesse alcuna necessità morale, spirituale o fisica? Lei lo sogna. La braccia forti intorno a sé e il suo corpo, completamente nudo a sua disposizione.

Quentin è fuori e taglia una lepre mentre Lori lo guarda. Sotto la barba si nasconde un uomo non comune, magro ma dal volto angelico quasi, ma con i cappelli e la barba sembra un indemoniato lurido e probabilmente molto violento. Poi guarda la sua camicia cucita con filo giallo in più punti e il giaccone scuro pieno di fiocchi di neve. Lei sorride. Sembra Babbo Natale. Il bambino ha fame, pensa Lori appena guarda come Quentin infila la Lepre sullo spiedo. Le piace quell’uomo, non l’avrebbe mai voluto o pensato, ma le piace e sa che lui non farà mai nulla per ricambiarla, mai.

Wolf passa delle lunghe ore di libertà. E’ arrivato a cacciarsi da solo il cibo e quando rientra, Quentin gli consegna il suo premio, un osso di manzo che scongela regolarmente dal suo congelatore e che ha tenuto da parte, sopra una delle mensole del deposito. E’ partito, lasciando la città ma non è riuscito a diventare un cacciatore, a dipendere solo dalle risorse della foresta, che avrebbe significato uccidere caribù, orsi, e altri mammiferi per mangiare.

Ha scelto la via più indolore, il cibo che trovava nelle trappole dei cacciatori e quello che si procurava in città. La teoria delle “zuppe in scatola” avrebbe fatto progredire il mondo selvaggio?

In una di queste lunghe giornate, quando la tormenta sposta la neve mentre altri fiocchi si spingono per depositarsi a terra. Manca poco alla vigilia di Natale. Lori ha cercato tra gli abeti uno piccolo che potesse arredare la stanza del capanno senza soffocare troppo gli spazi. Con l’orlo del pile, che ha tagliato, ha creato delle stelline che appenderà all’albero. Ecco il suo futuro regalo di Natale per Quentin.

Nevica da ventiquattro ore. Hanno litigato e lei è corsa fuori. Non è l’uomo che ogni donna desidererebbe, eppure lei ci ha fatto l’amore, a modo suo ma l’ha desiderato. I corpi non c’entrano con la mente, pensa lei, il corpo è sensibile a certi richiami ma la mente è più progredita, la mente cerca quello spirito raffinato che la colga e la conquisti.

“Se esci io non ti verrò dietro sappilo.”

Dannata ragazzina impreca sottovoce, lui, gettando il legno scolpito sul fuoco. Non doveva ospitarla, doveva cacciarla via subito, doveva chiamare la polizia  e lasciare che lei uscisse dalla sua vita. Perché quel dannato giorno non l’aveva mandata via? Quale folle pensiero l’ha spinto a un atto di bontà che chiunque potrebbe rinfacciarglielo, come l’atto di un pedofilo spinto dal suo istinto più squallido, o di un cacciatore di giovani donne con estremi problemi, eh sì Lori comportava per chiunque la conoscesse molti problemi estremi.

Lori l’ha sentito benissimo ma non può fare a meno di fuggire nella neve, sperando che in quel cuore di uomo primitivo e ghiacciale scaturisca una scintilla di qualcosa, qualsiasi cosa le dimostri un poco di affetto anche se lei non è nulla per lui. La neve è umida e fredda. I suoi piedi ghiacciati nelle scarpe da tennis le impediscono di arrivare al fiume. Si ferma sotto un pino e aspetta. Il tempo non passa in fretta quando stai male. Il silenzio, resta con lei, solo il silenzio e chilometri di cielo narcisista, insofferente ai suoi problemi.

I piedi le fanno male e dalla pancia parte l’avvitamento di qualcosa che assomiglia a un piedino, un piccolo piede che la sua creatura le mostra. Lei avrà il Bambino. I bambini non crescono nei boschi, pensa addolorata, non devono crescere con famiglie alcolizzate o drogate o peggio che seviziano la propria progenie. I bambini meritano di meglio di una sedicenne senza casa, denaro e forse buonsenso, di una ragazza che si è fiondata nel covo di un probabile assassino, paranoico, cacciatore. A guardare le grosse trappole per orsi che Q conserva sul retro della casa, pensa lei, tutto potrebbe avere un senso. Forse è meglio che lui non la rincorra e che lei riesca a non farsi toccare dalla speranza di vivere con quello conosciuto, prima di tornare alla civiltà. In quale mondo lei potrà sperare di salvarsi? Fuma l’ultimo mozzicone che ha in tasca e quando ritorna alla baita lui non c’è. Meno male pensa. Si versa il caffè ancora caldo e si siede lasciando le scarpe vicino al camino. Il bambino si muove e sente che i pantaloni già aperti fino a metà cerniera le sono stretti.

“Quelli non vanno bene.”

Da dove è apparso? Alto, barbuto, minaccioso? La sua energia è pari alla sua irritabilità. Lui le lancia dei pantaloni da uomo modificati.

“Ho spostato il bottone all’estremità, ti andranno comodi e larghi.”

“Non mi metto le tue cose.”

“Tu smetti di fumare e metti dei pantaloni comodi, non lo faccio per te, i pazzi non si possono curare, ma i bambini non sono colpevoli dei genitori che si ritrovano.”

“Grazie, ma vano benissimo i miei.”

“Ho portato della carne di cervo.” Le mostra un pacchetto di carne congelata.

“Io non mangio quella cosa. Te lo puoi scordare.”

“Le proteine non sono per te, pensi e agisci sempre da egoista, sei una madre, quando ti decidi di crescere e di renderti conto che ora decidi per due e lui deve mangiare.”

 “Io non posso smettere di fumare e la carne rossa non mi piace.”

“Nemmeno io ti sopporto eppure eccoti ancora qua.” Le fa cenno di indossar i pantaloni.

“Io non mangio quella roba.”

“Non c’è altro .”

“Io non mangio gli animali.”

Lui non risponde, butta la carne nella pentola con acqua e la mette a cucinare. Un’ora dopo, mentre lei si guarda nei pantaloni di jeans,  risvoltati  e cuciti dietro per restringerli, lui si taglia un pezzo di bollito dalla pentola che ha tolto dal fuoco e la mastica con gusto.

“Mi fai schifo.”

“Anche gli hamburger sono animali e il pollo la pancetta, le bistecche, le costine.”

“Ma si comprano al supermercato, non gli ho uccisi io.”

“Infatti io l’ho comprato e come vedi., non mi sento un assassino, solo un imbecille che continua ad ospitarti. Mangia?”

“Mai.”

“Se tu sei stupida fatti tuoi, ma il tuo bambino se non vuoi che abbia problemi, deve ricevere del cibo vero. Per me puoi non mangiare nulla. Non sono tuo padre.”

Lei tira fuori dallo zaino un ultimo quadrettino  di cioccolato e lo divora.

“Lui si taglia un altro pezzo di carne, la trangugia, beve acqua dal secchio con la tazzina a fiori rosa e se ne va sbattendo la porta. Lori sente il fischio che chiama Wolf dal so padrone e lei manda al Diavolo entrambi, uomo e animale.

Lei resiste al profumo della carne. Non ha intenzione di cibarsi di animali morti e cacciati dall’idiota ma il profumo è invitante e lei ha davvero fame. Si avvicina alla pentola e sposta il coperchio, potrebbe assaggiare un pezzetto e lui non si accorgerebbe nemmeno. Ma non lo farà! Fissa le ossa che lui ha lasciato nel piatto e toglie un pezzetto di carne da uno si essi mastica lentamente poi si allontana dal tavolo, va a letto e si rannicchia.

Lui ritorna in casa facendo finta di nulla. Finge di non vedere la tristezza negli occhi della ragazza.

“Vuoi patinare sul fiume? Ehi! Sto parlando con te.” La sua voce è scherzosa. Da quando in qua lui scherza? Si domanda Lori inebetita.

“Con me?”

“Puoi pattinare sul fiume con questi, e le lancia due sacchetti di plastica di due colori differiti.”

“Io non so pattinare.” Risponde lei,  ma lui è già fuori, sta camminando verso il sentiero dietro al capanno che porta proprio al fiume e al piccolo laghetto, dove l’ha visto spogliarsi.

Lei si ferma sull’argine gelato. Lui è al centro della sponda e ha fatto un grosso buco dal quale sta pescando.

“Ci sono pesci d’inverno?” domanda divertita.

Lui non risponde e nemmeno la guarda. Lei si massaggia la pancia e si guarda le gambe, non riesce nemmeno a vedere le proprie estremità tanto le è cresciuta la pancia. Indossa i sacchetti sopra le scarpe da tennis e piano piano fa scivolare i piedi. Sembra divertente anche se è molto goffa e molto grossa. Non c’è che dire, lui è strano passa dal litigio allo scherzo in pochissimo tempo e per Lori è una soddisfazione aver vissuto una giornata più serena e in fin dei conti più divertente, dopo i tanti litigi che hanno avuto. Quella pausa fiabesca, colpisce entrambi e mentre lui non ha intenzione di farsi domande sul perché sta facendo gioire quella ragazza insicura e ridotta a un fuscello con una palla di gravidanza in mezzo al corpo, lei si chiede se un giorno lui le potrà mai confessare delle belle parole, quelle che lui nasconde sotto il severo mutismo.

 

In piena notte, Lori sente Wolf abbaiare e il suo latrato acuto,  arriva dentro il capanno. Lei impiega pochissimo per uscire di corsa e con soltanto il pile sopra il pancione. Corre con le scarpe che ha indossato a modo ciabatte fino al deposito. Quentin è lì sdraiato sopra una rete di tronchi coperti da una coperta con il giaccone sopra il corpo e il suo capo è sul cuscino rosa. I suoi lamenti sono così forti da aver gettato di lato il giaccone. Lui è nudo e Lori è scioccata.  Wolf è sveglio e continua a gironzolare intorno al suo padrone. Lo chiama, lo annusa e sembra molto nervoso. Quentin non ha sentito il freddo della stanza scaldata da un piccolo radiatore elettrico, non ha sentito la ragazza entrare di prepotenza, mentre delira. Lori si avvicina, dovrebbe scappare e non farsi trovare lì, ma resta per guardarlo. Lui ha gli occhi chiusi e i capelli sudati. La sua pelle è piena di brividi, un leggero tremolio appare con intermittenza quasi regolare e per Lori, il suo corpo non è repulsivo come avrebbe pensato. La cosa che lei guarda ipnotizzata è il suo sesso che non ha nulla di orrido, come avrebbe sperato.

“Elly! Elly, no! Fermi. Fermi. Caroline! No, no, no, no, vi prego, lasciatela, Ellyyyyyyyyyy, no.”

La sua voce e il suo tormento sono reali. Chi è Elly si domanda Lori? Lei non sa assolutamente nulla del passato di Quentin, nemmeno il suo cognome. Non sa nemmeno quanti ani abbia, potrebbe avere sulla trentina o una cinquantina portati molto bene. Potrebbe finalmente cercare i suoi documenti, ma lei resta a fissarlo. Non le importa nulla di chi è o di chi era. Il suo corpo è sodo e giovane, ha solo delle rughe di espressione sul volto, ma sopravvivere in piena natura selvatica, è cosa difficile e qualche ruga te la fa venire a forza di sopportare, dolore, difficoltà e solitudine, da soli.

Nei tanti giorni passati insieme, non ha mai cercato di scoprire la vita fuori dalla foresta che poteva avere avuto o non avuto quell’uomo? L’aveva una vita precedente a quella attuale? Ha lasciato una moglie? E’ stato lasciato da una moglie? Ha abbandonato dei figli? Anche lui ha lasciato una minorenne incinta e poi si è rifugiato sulle montagne? E’ scappato dalle sue responsabilità per non pagare alimenti e non vedere crescere il proprio erede? Se avesse una donna che vede con regolarità in città e lei non sapesse che lui vive in un capanno con una estranea, minore e incinta ma non di lui? Che forte storia, nemmeno se lo raccontasse la gente le crederebbe.  In base al suo attuale stato, Lori, considera che sia prioritario non farsi programmi di alcun genere. Lui l’ha sopportata per tutto quel tempo nonostante l’avversione che le ha più volte dimostrato. Adesso il gigante è crollato e lei non sa cosa fare.

Lori gli tocca la fronte che scotta. Quentin continua ad agitarsi febbricitante, mentre Wolf è irrequieto. Lori si alza e manda fuori il lupo che corre verso il muro invisibile, lei lo vede svanire oltre gli alberi e dopo che la foresta l’ha inghiottito, lei torna dentro il deposito. Vicino a Q malato, lei si sente davvero piccola e impotente. Ha freddo e il cardigan di pile le copre malamente le gambe che sentono il freddo del ripostiglio. Vorrebbe portare Quentin nel capanno ma non sa come trasportare l’uomo. Lui ha bisogno di stare al caldo. Trasportarlo? Troppo alto e troppo pesante. Si china per afferrare la coperta  e appena copre la nudità cui è sempre interessata, lui le afferra il braccio e lo stringe con forza, facendole male. Lei si spaventa.

“Non andare via.” Le parole escono con un filo di voce dalle labbra secche di Quentin.

 Le sue parole la immobilizzano.

“Ti devi alzare. Quentin! Quentin svegliati!” Ma lui non apre nemmeno gli occhi. Si lamenta e lei prova a alzarlo, prova a prendergli il braccio ma cede sotto il peso dell’uomo che a peso morto è impossibile che lei lo sposti. Prende una bottiglia d’acqua e l’appoggia alle sue labbra,. Lui non beve e l’acqua gli scivola lungo il collo.

“Quentin.” Lo chiama poi smette di parlargli per uscire dalla porta e portare una generosa bracciata di neve con cui copra la faccia e il corpo di Quentin preso dai tremiti. Lori torna al capanno, e nel tragitto sente un ululato, dapprima pensa sia Wolf poi ne sente altri che le mettono paura. I lupi cacciano in branco, come tenere lontano un branco di animali selvaggi e affamati? Chiudendosi in casa, si risponde da sola. Cerca il cellulare per trovare rimedio alla febbre di Quentin. Nello zaino ha sempre le pastiglie di Xanax e gli antibiotici. Dargli un antibiotico? Apre il cellulare, cavolo, non c’è campo. Per la prima vola, da quando vive lì, non c’è campo. Sicuramente la tempesta impedisce al segnale di arrivare, ma lei deve pensare a Quentin. Corre nuovamente al deposito. Gambe nude e scarpe da tennis. Cardigan di pile e pancione all’aria. Non si è vestita e a mani nude porta altra neve al corpo di Quentin combattuto dai brividi. Lo veste con la neve e aspetta. Appena la neve si scioglie, lo asciuga con la camicia che lui ha lasciato sulla sedia. Lori la trova assurda, come tante cose che lui ha o fa. Quei pezzi di plastica cuciti alla camicia militare devono averlo ossessionato. Lui continua a delirare, chiamando una certa Elly. Chi è Elly?

Lori lo guarda e ogni tanto abbassa la coperta per studiarlo. Lui è indifeso e a lei piace, anche se teme che lui peggiori o si risvegli di colpo, accorgendosi di lei che lo guarda. Nessuna ambulanza potrebbe arrivare fin lì, probabilmente un elicottero e senza bufera. Una ragazzina incinta tiene a bada i lupi e difende l’uomo che la odia ma che le offre ospitalità, se lo raccontasse in giro non le crederebbe nessuno. Ogni tanto Quentin grida sempre quel nome e lei vede persino delle lacrime che gli colano giù. Quentin piange.

Lori si sveste e si sistema nuda di fianco a lui. Ogni tanto si rialza per mettere della neve nella camicia e usarla come garza per la fronte del malato. Le piace la sensazione della sua pancia cresciuta contro il corpo dell’uomo. Lei non sta pensando al bambino ma a se stessa. Il suo corpo le parla e non sarebbe male ogni tanto ascoltarlo. Quentin è immobile. Lo guarda e vede che sta dormendo, quindi non si accorgerà se lei gli darà una sbirciatina più da vicino. Sposta la coperta e gli guarda il sesso e poi torna a fissarlo, a essere sicura che lui non la veda, non capisca quello che sta per fare. Sorride e azzarda ad allungare la mano. E se  ricordasse? I suoi occhi mollano l’oggetto interessante e tornano a guardare Quentin. Niente da fare, pensa lei, è KO e con più fiducia, azzarda una carezza. Uno strano salsicciotto, e ghigna, ma la cosa è interessante e cerca di agguantare il pene toccando anche i testicoli molli. Quel coso, è rosa e ricoperto di peli, tanti peli che avanzano fino al petto,  potrebbe dare piacere e lei del piacere non sa proprio nulla. Fa una cosa ancora più azzardata. Q è assente e lei si toglie le mutande. Sente come un bisogno urgente di rifare il gioco dell’amore, le basta anche soltanto del sesso, e lui è perfetto per la situazione in cui lei si trova. Prova a capire, se toccandosi intimamente con lui, il piacere arrivi. La sua vagina approva. Il suo cuore batte forte, è impazzito. Lui le piace e questo le basta, è molto meglio da svenuto che da sveglio. Si muove ma il pene è molle e non offre garanzia di riuscita a quello che deli desidera. E’ politicamente scorretto Lori, ma nega a quella vocina di avanzare con altri richiami, che mi faccia causa, e torna al suo piccolo piacere di giovane donna molto, ma molto incinta. Il tremore dell’uomo e cosi forte da sembrare un posseduto, dal cui corpo sta per uscire un demone, ma lei ha un’urgenza, deve prima pensare a quell’urgenza che la spinge a fare cose veramente strane. Dapprima prova a toccarsi e la cosa non è piacevole quanto dovrebbe, per riuscire, prende una delle mani dell’uomo e fa quello che l’altro pezzo di sé non è stato capace di fare. Ancora Quentin, parla lei un attimo dopo … e Lori ha il suo primo vero orgasmo.  E’ una scossa acuta, quella sovraeccitazione che fa tremare ogni cellula del corpo ma poi arriva la pace. Con soddisfazione si rialza e si riveste. Un sorriso sul volto traduce la sua piena maturazione. Si sente una donna.

Lui non smette di tremare. La sua mano, quella che prima serviva a Lori per farsi esplorare il corpo, si agita a mezz’aria. Lei gli prende il capo e cerca di svegliarlo. Con forza gli spinge una pastiglia in bocca e spera che la mandi giù anche senza acqua. La febbre è ancora molto alta. Torna a prendere altra neve e la sistema sopra il capo e sul petto. Gli tiene la mano, ma non ha intenzione di fargli capire di essere stata così disponibile, un burbero non si sa mai come la prenderà? Eppure le ha chiesto di restare.

Lei gli accarezza il volto e la barba per poi tornare a infilargli le mani tra i capelli bagnati di sudore. Qualcosa salta fuori dalla barba, è un piccolo insetto. Guarda alla radice dei capelli e trova i mostri. E’ piano di pidocchi. Eppure è uno che si lava in modo quasi ossessivo e con acqua ghiacciata. Ma è possibile che mille docce non possano cancellare la presenza dei parassiti. Come ha fatto a non accorgersene? Poi guarda la sua branda nel deposito e capisce il perché. Ha rinunciato al letto per lei.  

 

7. Il principe della Foresta

Prima di trasportarlo in casa, Lori chiama Wolf. Prova a fischiare, grida, ma dalla foresta non le risponde nessuno. Ha tante cose per la testa, deve portare Quentin in casa, preparare del brodo caldo e trovare altre medicine, è certa che lui ne abbia da qualche parte nel deposito.

La temperatura è ancora molto alta e spera che riesca a calare con tutta la neve che ancora lo ricopre. Ci sono scatole nel deposito in cui dovrebbe dare una sbirciatina. Lo sa che se lui la scoprisse frugare tra le sue cose, si arrabbierebbe e sicuramente la cacerebbe dal capanno. Ne è certa. A lui, lei non piace neanche un po’, ma Lori deve tenerlo in vita perché da sola probabilmente non sopravvivrebbe per molto, forse nemmeno per qualche giorno. O forse le piace abbastanza da fare qualcosa di buono per lui. La prima fatica è trascinare il corpo dal deposito all’interno del capanno, però prima di farlo torna nel capanno con la pentola di acqua calda e toglie di mezzo i parassiti, tagliando quasi a zero i capelli di Quentin e sbarbandolo. Lei si guarda nel vecchio specchio senza cornice e capisce di dover procedere con se stessa nel medesimo modo. Il taglio cortissimo la fa sembrare una ragazzina e soltanto la pancia che sborda dalla magrezza del suo corpo, è quel qualcosa di inconsueto da vedersi nelle giovani ragazze. I capelli di entrambi e i peli della barba finiscono sul fuoco.

Lui senza barba è diverso. Il suo volto scavato e ossuto mostra un umo molto giovane con il naso prominente, come quelli delle persone interessanti e per nulla scontate, non che Quentin lo fosse, di lui non conosce molto, ma i suoi gesti bruschi non nascondono un uomo rude bensì un uomo ferito. Non ha più l’aura di severità e sembra più una persona comune, con qualche cicatrice profonda, sotto l’arcata mandibolare e sopra la tempia destra che racconta di un brutto incidente a cui lui è scampato. Quando lo riguarda, vede sul suo corpo altre cicatrici sottili, tagli, tanti tagli che sono oramai guariti e lei si domanda se appartengono a una vita precedente o a un incidente nel bosco?

Lui è in casa al sicuro e Wolf è vicino a lei, nel deposito che annusa tutti gli angoli, non tralasciando un centimetro del perimento. Lei si concentra sulle mensole. Nulla di speciale, scatole, lattine vuote, giornali vecchi accatastati, qualche attrezzo, cacciaviti vari e munizioni per il fucile. Le munizioni occupano più di mezza mensola, come se Quentin fosse in attesa della fine del mondo, pensa lei.

 

A peso morto, quell’uomo sembra essere un tronco insabbiato. Lori però, ha un’idea. Lega le gambe di Q con de cinture che lei si fa passare intorno dietro al collo e poi comincia a tirare. Sei mesi di gravidanza e le sue forze sono quelle di una bambina con una botta incollata all’addome. Nulla da fare. Lo sforzo le provoca una cosa inaspettata, si è fatta la pipì addosso. E’ dimagrita troppo e le sue forze non sono quelle di una donna normale, è incinta e le sue braccia sottili non offrono una buona leva, ma nemmeno le gambe. Comunque non ha intenzione di mollare.  L’odore della propria orina la infastidisce ma tanto non c’è nessuno a notarlo, prima dovrà terminare il suo compito. Il corpo di John è uno scoglio e Lori lo vincerà. Lo trascina, centimetro dopo centimetro, finché non arriva fuori dal deposito.  Ha bisogno di farsi un bagno caldo e una tazza di latte sarebbe gradita con della cioccolata, sogna, aspettando di ritrovare le forze per continuare la sfacchinata.

Ci mette quasi un’ora per arrivare alle scale del capanno. Fissa quei dannati gradini con odio, sono alti e sono cinque, non potevano essere meno? I piedi e le gambe di Q sono già sul primo gradino, mentre la sua testa è a terra. Gli lega il pile intorno alla testa come se fosse un capellino, l’urto contro i gradini potrebbe fargli male, anche se non c’è per accorgersene. O la torcia o le cinture? Deve rinunciare alla torcia per portarlo in casa. Con la porta aperta e il fuoco nel camino, tutto sembra possibile. Continua a nevicare e lei sente i piedi bagnati, congelarsi. Abbandona per un altro minuto Q, cambiando le calze e con i piedi caldi, potrà trascinarlo, altrimenti, lo sforzo sarà nullo e l’uomo non arriverà in casa.

Nevica in abbondanza. Le sue gambe penetrano nella neve e il capo di Q è quasi sommerso nel velo bianco. Dovrà sbrigarsi. Il paradiso invernale, sta diventando un inferno per entrambi e gli ululati, che sta sentendo, non la tranquillizzano.

Fortunatamente Wolf, sbucato dal buio, le risolleva il morale. “Dove sei?” e vede che il pelo dell’animale è completamente bagnato di sangue e lui ha addosso un odore di morte. Lui la guarda curioso, aspetta il suo osso, quello che ogni sera Quentin gli tiene da parte.

“Sei stato a caccia? Cattivo. Non si cacciano gli animali indifesi non lo sapevi?” Wolf la ignora e va ad annusare il proprio padrone.

“Sì sta male, dobbiamo portarlo in casa.”

Quentin non ha mai aperto gli occhi e forse non si è nemmeno accorto di essere stato trascinato nudo sopra la neve fino in casa.

Arriva in casa e controlla il corpo di Quentin che ha fatto da nudo, tutto il tragitto dal  deposito. La sua schiena è piena di piccoli graffi ma nulla di grave. Lei lo sistema davanti al camino, dove alimenta generosamente il fuoco aggiungendo due grossi tronchi. Wolf è esagitato e lei lo richiama più volte. Prende le due torce e corre al deposito, stando attenta a non fare incontri strani, con lupi a altri animali simili.

Cerca medicine e nel suo cercare s’imbatte in una vecchia borsa da dottori, è in pelle scura e piena di polvere. Lori la prende e punta la torcia sulla chiusura, non ci sono combinazioni soltanto una cintura che apre e una zip che fa scorrere contro mano. La borsa è aperta. Dentro trova uno stetoscopio, dei medicinali, ecco di quelli ne ha bisogno e un portafogli, anzi due portafogli. Uno nero femminile e uno maschile. Apre quello femminile, Carol Capaldi, insegnante, nata il ventidue giugno millenovecento settantanove. La fototessera mostra una bella donna, bionda , occhi chiari e fossette nel sorriso stampato. Lori non trova altro che delle banconote e delle fotografie di una bambina, Lori gira la fotografia e legge il suo nome, Elly.

Con tristezza pare il portafogli maschile e tira fuori la patente, Quentin Capaldi, medico, nato il 22 marzo millenovecento settantacinque. Quentin aveva una moglie e una figlia. Nel portafogli di Quentin ci sono delle carte di credito e dei contanti. Chiude i portafogli e si concentra sui medicinali, ma dalla ricerca sbuca un foglio di giornale piegato ripetutamente. Il foglio è ingiallito ma lei lo apre e legge il titolo a grassetto. Scagionato dell’orrendo crimine il dottor Capaldi ha deciso di non rilasciare interviste. Il giovane assassino dopo aver confessato l’efferato crimine della famiglia Capaldi … Lori è pietrificata. Cerca con lentezza i medicinali e legge le prescrizioni, non c’è alcuno per la febbre. Chiude la borsa e la rimette dietro la mensola, al suo posto. Continua a cercare e finisce con osservare il grande cesto della spazzatura. Lui ricicla tutto, non c’è quasi mai spazzatura nel capanno, ma il sacco nero è pieno di cose arancioni, tante cose arancioni. Lei si avvicina e illumina i barattoli. Ne prende uno e legge l’etichetta. Lori ha capito tutto. Q si droga e costantemente con quantitativi industriali di antidepressivi.

 

8 Strane stelle di Natale

Lori ha cercato altri flaconi arancioni ma non gli ha trovati. Crede, almeno è quello che lei pensa, che lui sia in crisi di astinenza. L’ha visto più volte a casa di sua cugina, quelle sue amiche, sempre ubriache e con pastiglie di ogni genere nella borsetta.

Nella più lunga notte della Viglia che lei abbia mai avuto, Quentin è il punto fisso dei suoi ragionamenti. L’uomo non accenna a svegliarsi. Wolf continua ad abbaiare e lei comincia a sentirsi in pericolo. Non ha mai fatto così e Lori spera che l’agitazione dell’animale sia soltanto perché Quentin non sta bene, ma dalla foresta le arriva la risposta alle sue paure. Ululati continui e sempre più vicini paralizzano la ragazza.

“Che hai fatto Wolf?” gli domanda lei mentre chiude dietro di sé la porta del capanno. Adesso indossa il giaccone di Quentin  e no sente il vento  gelido alitarle contro. Non sapendo come usare il fucile, prende la pistola, sperando non ci sia bisogno di alcun sparo.

Con la torcia contro il muro delle tenebre lei cerca di intravvedere la minaccia ma nulla sembra volere farsi avanti. Eppure i lupi sono vicini e lei stupida, non ha pensato di fare il fuoco fuori, per spaventarli e per mettere un poco al sicuro la casa. Velocemente spegne la torcia e  mette la pistola in tasca. corre al buio lungo la parete del capanno fino a contare dieci dei pali che Quentin mette da parte per i ritagliarli, li butta tutti al centro delle pietre, qualcosa si agita nel buio, lo percepisce, ma no ha tempo per la paura, corre nella stanza del generatore, e cerca tra le taniche di benzina, sono quasi tutte vuote, tutte tranne una che rovescia sulla legna. In meno di un attimo accende un falò spropositato che le mostra gli occhi lucenti delle belve alte mezzo uomo e pronto all’assalto. Wolf sta ringhiando e latrando mentre lei, fa quello che le sembra più giusto, sparare un colpo in aria.

Lei deve proteggere l’uomo dentro il capanno e Wolf corre all’attacco verso il punto più scuro della foresta. Il suono di un animale ferito le arriva al cuore. Qualcosa ha fermato la corsa del suo amico? Un secondo colpo di pistola taglia il silenzio e l’ululato cessa improvvisamente perché la cosa che sta uscendo dagli alberi è di una stazza disumana e avanza furiosa verso il capanno. Lori sa che deve uccidere se vuole sopravvivere. Dovrebbe chiedere aiuto a qualcuno ma nemmeno se sparasse una cannonata in aria, qualcuno la vedrebbe. Wolf è svanito ed è rimasta sola con la torcia in mano e gli ultimi dieci proiettili nella Glock. Se ha fortuna uno di essi colpirà il bersaglio. Il mostro continua la sua caricata e lei corre nel capanno chiudendo con il grosso maniglione di ferro la porta. I primi colpi contro la porta sono orribili. Quell’essere sta devastando e sta grattando con il rumore di quelle che sembrano degli artigli, la porta dell’ingresso. E’ un orso, si risponde lei. Il grugnito è di un orso molto grande. Quanto grande? Si domanda lei piena di paura?

L’unico orso non in letargo, ora è dietro la porta del loro capanno. Quentin è ancora incosciente e lei fissa il fuoco nel camino. Ecco la sua salvezza. La sua idea è pericolosa ma è l’unica che le potrebbe salvare la vita. Spegne il fuoco nel camino con abbondante acqua e lascia che il fumo invada la stanza. Velocemente corre dietro la porta e conta fino a tre. Al tre lei apre il chiavistello di ferro e corre per rannicchiarsi di fianco, un attimo dopo l’orso spinge con forza per entrare. Lori trema e con il capo sotto il pile, guarda Quentin che ha aperto gli occhi e lei terrorizzata vorrebbe parlargli, ma lui risponde “Ssssst” e allunga una mano sul suo capo per proteggerla. Con la mano di Quentin che la ripara lei non smette lo stesso di tremare. Il bestione è dentro e non ci vuole molto perché gli calpesti. La loro fortuna è che l’orso ha trovato più interessante la scatola di pesce che Lori ha aperto e lasciato sul tavolo. L’orso spinge il muso dentro la scatola e ne lecca il contenuto. La sua irruenza si placa e continua a degustare il pesce per il sollievo di Lori. Dopo aver leccato zucchero e miele caduti dai barattoli che ha fatto cadere e annusato un poco in giro , alla ricerca di altre prelibatezze e dopo aver buttato per aria, pentole, piatti, il bestione si ritira.

I corpi di Lori e Quentin sono rimasti a terra sotto la coperta e nemmeno per un secondo, hanno mai pensato di farcela.

“Buon Natale” segue il sospiro di sollievo di Lori che fissa l’uomo cui la fronte non è più febbricitante.

“Sei pazza?”

“Oggi è Natale e penso sia quasi l’alba.”

“Hai rischiato la tua vita e quella del bambino ti rendi conto? Ti sei bollita il cervello? Dio! Fermati. Fermati dal fare cazzate Lori. Il mondo non gira intorno alla tua evanescenza, il mondo ha delle regole che devi rispettare se vuoi vivere? A volte mi domando se tu non sia incline al suicidio, beh se lo sei, sei pregata di andare via, adesso, presto.”

“Questo è un grazie? Grazie Lori per avermi salvato la vita.”

Lui cerca di alzarsi e scopre che è nudo. La guarda. Lei tace.

“Quel bestione poteva schiacciarti!” lui si guarda.

“Mi hai spogliato tu?”

“No. Eri così nel deposito.”

“E come hai fatto a portarmi qui?”

“Ti sei quasi portato da solo e a proposito abbiamo avuto i pidocchi. Adesso sono fritti, tutti. Non ringraziarmi, è stato facile, un colpo di rasoio e via la spazzatura aliena dai nostri capi e dal tuo mento, sai quanti parassiti possono vivere nella barba di un uomo? Non lo sai? Ti metteresti a ridere se lo sapessi? Non ti interessa no? Sicuro? Q?”

Lui si tocca la barba che è scomparsa e i capelli, che non ci sono più. Q tira la coperta sulle sue parti basse e si alza dolorante, disorientato e senza parole.

“Tranquillo, lì non ho voluto guardare, se hai i parassiti intendo.” Ma nel suo pensiero Lori rievocava il momento di eccitazione e attrazione che aveva provato per lui. Q la fissa come se volesse cancellarla dal mondo. Ha la sensazione che lei gli menta ma ha troppi pensieri in testa, l’orso che potrebbe essere ancora fuori, la bufera, lui nudo e depilato. Quella ragazza è pericolosa e potrebbe provocare danni maggiori di quelli che gli ha procurato fino ad allora.

Nel suo capo le immagini dei barattoli di pillole finite sono la grande maledizione da cui stava scappando. Non vuole ammettere di essere un tossico, ma lei ce l’ha messa tutta per salvarlo e questo non gli conviene, non vuole essere salvato, curato, capito o amato. Non vuole essere nulla per nessuno. Q si tocca la schiena, sente di avere un livido sopra la colonna vertebrale.

“Cosa ho sulla schiena?”

Lei non guarda nemmeno.

“Delle sciocchezze. Ti sei ferito scivolando verso il capanno.”

“Mi hai portato al capanno nudo?!”

“Stavi male, a proposito la tua crisi di astinenza.”

“Cazzo! Cosa?”

“Ho trovato i barattoli vuoti.”

“E cos’altro hai trovato?”

Lei vorrebbe dirgli la verità.

“Non funzionava il cellulare e ti ho dato un paio di antibiotici. Avevi la febbre alta.”

“ Ma tu sai che non funzionano con la febbre.”

“Con te hanno funzionato.”

Il rumore e il grugnito li riporta alla realtà.

“L’orso sembra ferito. Dov’è Wolf?” Q fischia per chiamare il lupo ma l’animale non arriva.

“Xanax.”

“Cosa?”

“Non so usare il fucile e ho messo dodici compresse di Xanax nel pesce in scatola. Adesso sarà ubriaco e calmino per un po’.”

“Tu vieni con me.”

Lui si alza incurante di essere nudo e lei non gira la testa ma continua a guardarlo. Lui è stupito. Lei lo guarda nudo e non sembra vergognarsene.

“Vestiti!”

“Perché?”

“Verrai con me.”

“Dove?”

Mentre Q s’infila i pantaloni, ancora barcollante e pallido, Lori si avvolge nella coperta.

“Che stai facendo?”

“Mi sono fatta la pipì addosso. Mi lavo, ma tu dovresti uscire, un attimo.”

“Fai presto. Vestiti e vieni con me.”

“Due minuti.” Chiede lei all’uomo dietro la porta ma dopo quasi mezz’ora lui è costretto ad entrare senza bussare. Lei si sta dipingendo con lo smalto rosso le unghie dei piedi.

“E’ Natale. Questo è lo smalto del giorno speciale e oggi lo è.”

“Vestiti! Ti aspetto fuori.”

“Ma c’è l’orso?”

“Non ti devi preoccupare, non tornerà.”

“Mi dici come fai a essere così sicuro, sai Q eri meglio quando eri malato.”

 

La strada per arrivare al furgone è oltre il “muro invisibile”. L’orso è a terra addormentato e chissà per quanto tempo resterà lì, ma la sua molle eccezionale, impressiona sia Lori sia Q che s avvicina al capo dell’animale per ascoltarne il respiro. E’ vivo, pensa Q e questo lo riporta alla decisione di prima, fare allontanare la ragazza dal capanno e dalla sua vita, il prima possibile. La forza di volontà non basta a Lori per concentrarsi sulla salita in mezzo alla neve fresca ed evitando quei mostri di legno alti quanto un palazzo. La nebbiolina mattutina è livida e fa sembrare lo scenario un perfetto film di fantasmi o mostri millenari nascosti sotto lo strato ghiacciato. Q è molto più avanti di lei, conosce la strada e non intende rallentare anche se la ragazza è costretta dal suo pancione ad avanzare lentamente.

A pochi minuti dal capanno, c’è la radura che ospita l’auto di Q. Lori è grata per non dovere camminare di più, le sue scarpe da tennis sono già zuppe e i suoi piedi ghiacciati. Le scappa la pipì ma si trattiene, appena incontra lo sguardo sdegnato di lui. Non capisce perché dovrebbe sentirsi in colpa, d’altronde gli ha salvato la vita ben due volte eppure a lui non interessa. Prima di salire, mentre lei si pulisce le scarpe e i pantaloni maschili con l’orlo zuppo e risvoltato per tre volte, la sua voce da vita ai pensieri che le frullano per il capo.

“Senti non potresti fingere di volermi qui? Fingi che noi si possa convivere ed io non ti darò più alcun fastidio?” Lui non risponde ma sale e accende il motore, mentre lei sale e lui le indica con gli occhi la cintura di sicurezza al che lei gli risponde con lo stesso flemma.

“Manon vedi che ho già un pallone davanti?”

Il furgone viaggia lentamente e la neve ogni tanto fa scivolare le ruote. Il vento e la bufera si gettano contro il parabrezza, ma nell’abitacolo Quentin e Lori fissano severamente in silenzio la strada.

“Hai lasciato il camino acceso.”

“La città è a meno di un’ora.”

“Perché non mi hai detto che era così vicina?”

“Non mi pareva che tu cercassi compagnia, anzi mi supplicavi di restare al capanno “forever”.”

“Sì ma se avessi saputo che eravamo così vicini avrei preso le mie cose …”

“Lo farò io dopo.”

“Dove stai andando Q?”

“Ti lascio a Cold Trees.”

“Io non conosco nessuno lì e non mi hai chiesto se volessi andarci?”

Lei nota che lui non la vuole ascoltare.

“Q?” grida lei.

“Smettila di urlare.”

“Ferma sta dannata auto!!!” continua Lori a voce alta.

“Smettila di fare la bambina.”

“Ferma sta cazzo di auto o mi butto giù.” e apre la portiera.

Lui frena di botto e impreca.

“Cazzo! Cazzo! Cazzo! Tu sei pazza!” Hai bisogno di aiuto. Hai un bambino e non ci sono ospedali in mezzo alla foresta, lo vuoi capire?”

“E tu sei un tossico! Lo vuoi capire …”

Il silenzio tra loro è livido. Ogni parola in quell’abitacolo è una sciabolata e il continuo bombardamento di cattiverie reciproche sta spezzando il loro già fragile legame.

“Non mi hai chiesto se volevo andare in città quando avrei avuto bisogno e tu mi porti per mollarmi li? Non sono il tuo pupazzo, io decido per me e per mio figlio, fermati e io deciderò dove devo o non devo andare!”

Lui decelera poi frena lentamente e infine spegne il motore. Le sue mani stringono con forza il volante.

“Io non ti ho mai chiesto di stare con me, tu non mi servi, io non ho bisogno di te, ma tu hai bisogno di aiuto. Non voglio esserci quando metterai al mondo tuo figlio, è vero, dovrai decidere da sola cosa, fare, adesso lascia che ti porti in città, al sicuro, per strada moriresti di freddo o peggio potresti avere delle contrazioni.”

“Non mi hai fatto salutare Wolf e l’orso, io ti ho salvato la vita, e tu mi devi  più un favore.”

“Io non ti devo nulla, hai vissuto con me e questo è quanto. Hai mangiato, hai avuto un tetto sulla testa ma adesso siamo pari, tu vai  per la tua strada ed io per la mia, intesi? Senza follie?” e la sua mano arriva sul braccio di Lori che sente la forza della sua stretta. I suoi occhi guardano Lori che sta piangendo.

“Sei uno stronzo. Hai ragione, io devo andare per la mia strada, comunque lasciami in questo posto ma ripostami lo zaino con le mie cose, con comodo. I miei soldi e le cose che ho sono lì.”

“Non molli mai il tuo zaino. Sai, adesso che vogliamo dirci le nostre confidenze, sei solo una ragazzina illusa che pensa di poter saltare gli ostacoli per arrivare all’obiettivo ma sai non è così, ovunque è difficile vivere e non c’è nessuno che ti mostri la strada, devi cavartela altrimenti soccombi perché se sei debole la natura non ti vuole.”

“Io posso essere debole, ma non sono stupida, e non voglio più pensare che tutto quello che devo vivere sia un continuo dolore, dolore per non aver avuto una famiglia, dolore per essere la prossima fallita di questo pianeta, dolore per dare fastidio con la mia esistenza persino a un idiota che si nasconde dal mondo peggio di un criminale. Tu dici a me che fuggo e cerco di scavalcare gli ostacoli? E tu che fai? Tu bello mio, fai la stessa cosa e mentre a me dovrebbe essere perdonato tutto perché sono giovane a te, dovrebbero dare il trofeo per il vigliacco dell’anno se non del decennio.”

“Sapevo che facevo uno spaglio, tenendoti … Gli orsi Lori, o come ti fai chiamare, sono più ragionevoli di te.”

Lei non sopporta quelle critiche.

“Lo sbaglio l’ho fatto io e dovresti ringraziarmi per averti tenuto compagnia, per aver sopportato i tuoi silenzi e le tue paturnie. Sei un essere vuoto e privo di qualsiasi emozione, una pietra diventa più calda di giorno tu sei spento e freddo 24 ore su ventiquattro. Grazie per avermi concesso di vivere in questa silenziosa e tetra prigionia che di umano ha soltanto quella pentola suo fuoco. “

“Sei, sei, il Diavolo e credimi il Diavolo è molto più ragionevole di te.”

“Meglio il Diavolo che nessuno, già perché tu nono hai un’identità, almeno io so chi sono.

 “Ti porto in città per il tuo bene.”

“Vacci tu in città o all’ospedale,  forse lì avranno hanno un reparto psichiatrico per quelli come te!”

“Smettila di fare l’incosciente hai un bambino che sta per nascere tra pochi mesi.”

“Non è tuo, quindi … che ti allarmai a fare? Perché ti scaldi fratello? ”

Lui lancia un’occhiata cattiva alla ragazza.

“Bravo ecco un tipico comportamento da adulto maturo …” Si sente lui che tira un pugno alla portiera del furgone. 

“Vai al Diavolo!” si gira lei verso il finestrino ignorando la rabbia dell’uomo.

“E per tua informazione, continua lei rivolgendosi al vuoto, io non ho bisogno vivere con i lupi o con gli orsi per sentirmi viva, io sono capace di generare un figlio e tu cosa sei stato capace di fare in questi anni?”

Si appoggia al fianco della portiera dell’auto per sentirsi al sicuro. Non le importa di andare via senza denaro o cibo, capisce che è una scelta pericolosa, potrebbe partorire in mezzo alla foresta, agli estranei, ma tra loro non funziona.

“Pensavo che non sarebbe andata peggio di così, comunque ho il cellulare, mi chiami ed io mi prendo le mie cose e poi addio.”

Lui si gratta il mento e considera la cosa fattibile. Ha perso le staffe e dovrebbe sapersi controllare, non è da lui quel comportamento adolescenziale. Dovrebbe fermarsi e comprarsi i farci, dovrebbe, pensa, ma d’altro canto sarebbe stato meglio tenere duro. Conosce bene la storia clinica dei tossici e le loro visionarie prepotenze. Dovrà controllarsi per uscire dal tunnel è sarà come aver scavato una gigantesca buca sotto il sole e a mani nude, quello che sa , che gli farà male. Per qualche misterioso motivo, è disposto a farlo. Rinunciare alle pillole, per un po’, un caso contrario si sarebbe fiondato in città a comprarle, nulla di più facile. Quando guarda quella ragazza, qualcosa riprende la sua coscienza, la strattona violentemente   finché il suo spirito ritorna vigile,  qualcosa non come una dolcezza, ma una rabbia che gli arriva come una sberla dritta in facci e che gli chiede “ma che cazzo stai facendo?”.

“Senti, abbiamo entrambi esagerato. E’ pieno inverno e ci sono dei predatori vicino al capanno, non credevo diventasse così pericoloso. Ti lascio da Bacy’s, è una piccola pensione e ha delle camere libere in questo periodo.”

“Ti lascio da Bacy’s, è una piccola pensione e ha delle camere libere in questo periodo.”

Lo canzona lei con la vocina stridula e sgraziata. Lui dondola la testa spazientito. Lei fa spallucce.

“Mi farai passare le festività da sola?”

“Tu non sei la mia famiglia e io non sono la tua.”

“ E se stessi male?”

“C’è un posto in città chiamato ospedale, là ti aiuteranno.”

“Tu sei più bravo di loro, potevi farlo tu.”

Lui riparte e finge di non aver sentito.

“Tu sei un medico più bravo e potevi non buttarmi via come stai facendo adesso.”

“Che ne sai tu di me? Non provarci.”

“Io so tutto di te e forse sei tu che non sai nulla di me.”

“A me non interessa. Lori basta. Tu vai per la tua vita e io per la vita. Strade divise, punto.”

“Potresti esserti innamorato di me e non saperlo.”

Lui frena di colpo e lei si spaventa. E’ arrabbiato, molto arrabbiato. Picchia con i pugni e le mani il volante e il cruscotto e continua a farlo con tanta violenza che la ragazza pensa di essere a sua volta colpita, tant’è che si ripara la faccia con il braccio. Ma lui apre la portiera ed esce in strada, dove impreca e urla, svuotando il suo fegato dalla rabbia. Poco dopo rientra in macchina e avvia il motore ma è Lori a scendere.

“Dove stai andando?”

“Sono incinta di sei mesi e mi scappa la pipì. Vuoi vedere se la faccio?”

“Potrei, con te non si sa mai, dimmi se ha intenzione di fuggire nella foresta, così prendo il fucile e ti rendo più agile la fuga.”

“Spiritoso, sei diventato un simpaticone, da che non parlavi al parlare troppo e al veleno. Nel tuo DNA sei sicuro non ci sa anche dell’acido muriatico, se non riesci ad arpionarmi almeno potrai disintegrarmi. Forza un poco quel sorriso perché persino i mostri sanno esprimere gioia ogni tanto.”

Lei scompare dietro il furgone e dopo essersi liberata, nota di non vedere più nemmeno la punta delle scarpe tanto è diventato grande il Bambino. Si accarezza la pancia e poi si tira su i pantaloni e abbassa i due cardigan di pile. Non ha preso con sé né il capellino rosa né i guanti verdi. Avrebbe dovuto evitare quella bestia prima di viverci assieme, pensa lei, una volta sistemata sul sedile del passeggero e in corsa verso una città nel profondo culo del mondo, dove la vita si scandisce con la caduta dei fiocchi di neve, l’arrivo dei salmoni o la conta dei temporali estivi. Vivere con i lupi non era poi così malvagio e questo nonostante il “muro invisibile” che ancora la terrorizzava.

 

10. La battaglia

Non si è meravigliata di trovare veloce la strada che dal capanno porta alla città. E’ frustrante sembrare stupidi. Poteva avanzare oltre il “muro” e scoprire il sentiero, invece che cedere alla paura. Adesso poteva spiegarsi la frequenza con cui Q riempiva il congelatore. Lo detestava, perché non le aveva mai chiesto se voleva comprarsi qualcosa di utile, spazzolino, mutande o persino un libro, nulla. Si è comportato, non facendole mai intuire dove nascondesse il furgone. L’impressione di Lori è che lui abbia voluto tenerla con sé in prigionia forse per insegnarle una lezione, o perché anche lui soffriva la solitudine. Alla vista dei primi edifici, si sente sollevata. Ricorda di aver lasciato nello zaino il numero di Lizzie, avrebbe proprio bisogno di un nuovo taglio di capelli, e lo pensa mentre si passa la mano tra i fitti capelli corti, ranzati con le forbici per debellare i pidocchi.

La piccola cittadina è accogliente e c’è parecchio traffico nella mattinata di Natale. Lui è diretto alla banca, dove ad uno sportello bancomat ha prelevato dei soldi. Lei non vuole parlargli. Resta in auto a fissare gli addobbi natalizi sulle porte dei negozi o nelle vetrine. Da quasi dei  mesi che non vede la civiltà e quell’incontro sotto la neve non è terribile. Cold Trees ha il tipico aspetto del paese di montagna e le sue strade sono pulite e ordinate, ti invita a passarci le vacanze e ad assaggiare i biscotti delle feste. Bacy’s ha un’insegna piccola davanti alla vetrina della trattoria. Lori la scorge dal finestrino dell’auto, proprio in fondo alla strada principale. 

“Tieni sono per te.” Lui le mette nelle mani delle banconote.

“La pensione è già stata pagata per tre mesi, fino al parto tu sarai tranquilla, ma non puoi restare con me.”

Lei annuisce e sebbene quella decisione, di farla dormire in un posto che non conosce nemmeno,  sia arrivata contro la sua volontà, lo ascolta chiedendogli un ultimo favore.

“Venire a messa con te? Sei matta?”

“Prima che tu sparissi e pensando che resterò sola per un bel po’ di tempo ti chiedo d accompagnarmi in chiesa, solo perché ho il pancione e la gente potrebbe farsi strane idee se mi vedesse da sola.”

“Non hai tutti torti ma io e Dio abbiamo litigato ultimamente e credo non sia una cosa possibile riappacificarci.”

“Voglio solo accendere una candela per il mio Bambino e poi andremmo via.”

Lui è stato di parola. Lei sale la scalinata ed entra a metà funzione. La gente si gira per guardare i nuovi arrivati e ci sono delle parole di conforto del sacerdote che loda gli ultimi ospiti.

“Dio accoglie i ritardatari con doppio affetto poiché i loro cuori si sono voluti unire al Signore per gioire insieme della sua nascita. Siate benvenuti in qualunque momento la casa di Dio vi accoglierà perché avete avuto la forza di entrare in questo edificio benedetto dagli amici che hanno un grande credo verso i suoi miracoli.”

Q borbotta qualcosa, mentre Lori gli tira una gomitata nello stomaco. Lori sente che è finalmente Natale anche se non ha una casa, dove festeggiarlo, ma è grata di avere avuto per poco tempo quell’uomo, quello che ora sta al suo fianco, per nutrirla e per offrirle una casa.

Finita la funzione Q esce dalla chiesa mentre Lori accende una candela e s’inginocchia per pregare. Lei non ha mai avuto fede in nulla, non ha mai sentito il bisogno di inchinarsi a cosa aliene che infestano la testa della gente in cerca di protezione celeste e divinatoria, ma ora è giunto il momento, secondo lei, di arrivare al cielo e di toccare il cuore del Creatore che la tirasse fuori da quella situazione complicata e pericolosa.

 

“Salve, Miss Bacy è impegnata ma io sono Jarou Harmmad e questa è la chiave della camera della Sig.ra?”

“Mi chiamo Swan, Lori Swan, e sono signorina, appena il Signor Quentin, qui con me, mi porterà il portafogli, vi mostrerò il mio documento di identità.”

L’uomo di origini marocchine, viso scuro ma benevolo e parlata gentile, guarda lo stato di gravidanza della donna e sorride. Nota la pancia in avanzata gravidanza e evita di porre altre domande.

“La maternità è una bella cosa, arriverà presto?”

“No, no, grazie al cielo manca ancora un pochino.”

“Il Signore si ferma con noi?” si rivolge lui a Q.

“No, il Signore va via, risponde seccato Quentin, Le auguro buone feste e tanta salute.” Ribatte lui, lasciando perplesso il guardiano che continua a sorridere.

“In šāʾ Allāh” risponde il guardiano, onorato delle parole di buon auspicio. Lori prende la mano di Q e lo chiama in disparte. E’ davvero goffa con i suoi pantaloni grandi, giaccone da uomo in cui nuota, la testa con pochi capelli ondulati e tagliati in maniera asimmetrica, le guance rosse e gli occhi nocciola tendenti all’olivastro che paiono gli specchi di un lago celle favole. Quello che stona sono le sue scarpe da tennis estive in un posto, dove scarponi o gli stivali di gomma,  sarebbero più utili. A Lori nono importa come è vestita. Prima le importava di essere grassa ma adesso che sente di essere una madre, certe cose sono cambiate nella sua testa.

“Q ti andrebbe di pranzare con me?”

“No. Mi è bastata la chiesa. Per favore, soltanto un caffè e mi dirai come comportarmi, dove trovare l’ospedale e poi mi scappa la pipì e mi vergogno entrare nella tavola calda da sola per chiedere del bagno? Prometto che ti ascolterò, forse.” gli risponde saltellando sul posto.

Da Bacy gli ospiti di Natale affollano la tavola calda. Molta gente non ha casa o preferisce mangiare fuori. Q trova un tavolo vicino all’ingresso del bagno e Lori corre dentro con la certezza di farsela addosso. Al suo ritorno, trova sul tavolo due grandi tazze di caffè caldo.

“Caffè?”

“No. E’ cioccolata. Non s perché ma credo che ti possa piacere”

“Sono millenni che non bevo la cioccolata.”

Lori osserva la gente in sala e nota un viso conosciuto. Lo scruta e riconosce l’uomo che l’ha minacciata nel bosco. Il Cacciatore sta parlando al telefono ma gli basta girare la testa per notare Lori.

“Oddio, andiamo via.”

“Che c’è stai male?”

“L’uomo in fondo alla sala è il Cacciatore di cui ti parlavo. Mi ha minacciato di morte dicendomi che le foreste sono tutte sue. Q osserva l’umo che ha rimesso il cellulare nella tasca della giacca elegante e che prima di azarsi ha lasciato una mancia più che generosa alla cameriera che non si stanca di fargli gli occhi dolci.

“Quell’uomo è un demonio.”

“Per questo è meglio che tu resti in città.”

“Io credo che non sia una cosa buona, ma va bene.”

Quentin ordina che il pranzo lo mettano in un pacco. La cameriera consegna il cibo caldo in una busta che finisce tra le mani di Lori. Prima di uscire Q ringrazia la ragazza dietro al bancone, tra i due pensa lei, preferisce quest’ultimo, più alto e con un viso angelico. Quentin finge di non sentire le spudorate avance della ragazza e si allontana tenendo Lori sottobraccio.

“Adesso vai in camera. Ci sentiamo domani, quando ti riporterò lo zaino.”

“Posso uscire?”

“No. Credo che quel tizio ti abbia guardata fin troppo e non sei in grado di difenderti.”

“Fammi tornare al capanno.”

“Tra orsi e cacciatori non saprei chi è il più pericoloso.” Lui le stringe ancora il braccio e l’abbandona per andare verso il furgone. L’uomo nel grande fuoristrada di marca tedesca, osserva il legame tra i due. Non pensava che lei fosse legata a qualcuno, gli sembrava una sbandata, comunque è una cosa innocuo che non può mettersi tra lui e i suoi obiettivi.

Quentin resta in auto finché il Cacciatore non si allontana. Le parole di Lori lo hanno incuriosito e forse doveva ascoltarla la prima volta che gli aveva parlato di lui. Se fosse lui, il tizio che piazza quelle trappole? Quel genere di marchingegno è caro per un normale boscaiolo quindi chi le piazza non teme di perderle, non rimpiange i soldi buttati via.  Q è davvero incuriosito e segue il fuori strada fino al lembo chiamato lo “Scoglio”, dove i cacciatori e i pescatori parcheggiano nella stagione aperta alla caccia. La stranezza del comportamento dello straniero arrivato in giacca e scarponi sul pendio della montagna, spinge Quentin a prendere il fucile dall’auto. Qualcosa non va, ma non può avvertire le forze dell’ordine soltanto per una sensazione, ci vogliono prove. Sulle orme del Cacciartore, Quentin si addentra nella parte della foresta che meno conosce però è certo che segua le sponde del fiume Fraser fino alla vecchia tana dell’orso, il posto, dove sono morti l’orsa e il suo cucciolo. Non si meraviglia, quando arriva a una baracca di legno senza porta. Note non senza dispiacere, che parecchie pellicce sono appese ai chiodi sulle pareti del rudere. Usa il mirino per studiare le pelli e nota che sono pelli di lupo, quell’uomo potrebbe essere uno degli sterminatori del branco, dove ha salvato Wolf. Un fischio lungo e forte attraversa la foresta. Quentin sta richiamando il lupo, mentre il Cacciatore esce dalla baracca con il fucile sotto tiro.

E’ guerra, pensa Quentin e corre sul versante opposto, dove il Cacciatore non potrebbe vederlo in mezzo ai fitti e bassi arbusti. Wolf arriva correndo e un secondo fischio segue a chiamarlo. Si sentono dei colpi di fucile e Quentin guarda dal mirino il Cacciatore che spara in aria, come per avvertire l’animale della sua presenza.

“So che ci sei e non mi fai paura! Esci fuori e ti prometto che non ucciderò ciò a cui dai la caccia. Sono un Cacciatore anch’io?”

“Questo non è periodo di caccia, risponde Quentin. Tu non dovresti essere qui e quelle pellicce ti incriminano, chiamerò la polizia.” Grida Q prima di spostarsi per evitare che il Cacciatore indovini la sua posizione.

“La polizia di Jasper? Vieni qui, ho un permesso speciale, io sono la polizia di Jasper ma dimmi tu chi sei?”

“Non ha importanza.”

“Ci siamo già conosciuti? Io sono un ottimo uomo d’affari, potrei offrirle dei soldi, sarò generoso?” continua il Cacciatore cercando con il mirino la sua preda.

Quentin decide di aspettare. Wolf è arrivato e si è seduto alle gambe del suo padrone.

Adesso dobbiamo aspettare gli parla l’uomo , tirando fuori dalla giacca un pezzo di torta che ha portato via dalla tavola calda, buon Natale amico. Al lupo bastano un paio di bocconi per finire dolce e bricioline rimaste sulla neve. Quentin continua a carezzargli la schiena, mentre aspetta che il Cacciatore faccia la sa mossa ma l’uomo non ha intenzione di muoversi dal suo baracchino. Dopo quattro ore, si sentono voci scendere sul pendio. Quentin prende la mira e nota una decina di individui avvicinarsi al capanno. Una riunione di famiglia, pensa sarcasticamente. Tu sei un poliziotto come io sono un bandito, adesso esci fuori e dimmi chi sei. Quentin è pronto con il cellulare a fare delle fotografie a lui e alla banda dentro il rudere. Materiale per la polizia, pensa lui, che spera di trovare, chi tra loro sta piazzando le grosse trappole per gli orsi. Il cacciatore esce appena il sole tramonta, non sono nemmeno le quattro e mezzo del pomeriggio, ha due torce e si dirige verso il pendio ovest sopra le cascate, almeno quella è la direzione che lui imbocca. In quella direzione Quentin non ricorda ci fosse la presenza di qualche branco di lupi, sempre che quella gente fosse dei cacciatori di lupi. Qualcosa non gli quadra e segue passo per passo, scivolando nella neve e scostando i rami pesanti degli abeti, cadendo a faccia in giù e mangiando ghiaccio con resti di aghi spinosi e quello che il crudele inverno non ha voluto risparmiare, ghiacciandolo. Il Cacciatore non è sicuro di aver cancellato le proprie tracce ma non ha paura dello zotico che ha osato sfidarlo. Ha fretta di trovare il relitto. Il pranzo gli balla in gola e vorrebbe aver gustato il caffè che a causa della ragazzina psicopatica, ha saltato. Mentre cammina velocemente, cercando la direzione giusta, seguendo i punti precisi del cellulare, pensa a quella strana coincidenza, lo zotico e la ragazzina per giunta incinta, due persone da tenere d’occhio in caso le cose non vadano come dovrebbero andare.  

 

Quentin capisce la ragione della presenza del Cacciatore, e a sua volta, quando il Cacciatore ha lasciato la zona, scatta delle fotografie con il cellulare e della zona. Quell’uomo ha trovato una fortuna, Quentin invece pensa di fare arrivare l’esercito, ma seguendo i canoni ufficiali, i soldati non arriveranno in meno di ventiquattro ore ameno che la notizia non arrivi ai falchi, ovvero ai giornalisti, loro sì che riescono a fare esplodere letteralmente una notizia. Sebbene sia buio, lui sale alla guida del furgone e parte per Jasper. Lori non gli ha scritto e lui azzarda mandarle un messaggio cui spera che lei risponda, ma due ore dopo, lei non ha risposto ad alcun messaggio. Si preoccupa. Prima di andare a Jasper, ritorna a Cold Trees per accertarsi che la ragazza stia bene. Arrivato al motel, lascia Wolf sul furgone e  lui scende, suona alla porta della stanza di Lori, ma nessuno gli risponde. Dentro la camera, nessuna luce accesa. Cosa non buona Quentin, cosa non buona, si ripete lui. Forza la serratura ed entra. Nella camera il letto è pulito così il bagno, non ha nemmeno avuto il tempo di lavarsi ma sopra il televisore sono rimasti i soldi che lui le ha dato per sopravvivere fino al parto e una decina di stelle che lui tocca. Ne prende in mano un e la studia. Sono stelle che ha ritagliato dal suo pile, cui ha fatto l’occhiello e passato il filo bianco, ha creato delle stelle per l’albero di Natale. Buon Natale Lori, vorrebbe dirle lui, dispiaciuto e preoccupato. Adesso Quentin, riordina la tua testa, calmati e trovala, lui sente la sua voce in testa che gli parla. Torna dal guardiano che appena lo vede, alza le mani al cielo.

“Attendevo lei. Ho un messaggio e questo cellulare. Il Signore che mi ha lasciato questo biglietto mi ha chiesto, pagando profumatamente, che lei sia puntuale.”

Quentin prende il biglietto che legge “ La  signorina, che come ben sai non sta molto bene, ti attende, vedi di non fare tardi. B.”

e il cellulare di Lori, Ci sono due registrazioni per lui, a parte una cartella con una marea di fotografie. La prima Lori l’ha fatta appena lui è andato via.

Ciao. Volevo solo dirti grazie e che non ho intenzione di spendere i tuoi soldi, appena mi riporterai lo zaino tornerò a casa, a farmi insultare, ma è meglio che essere di peso a uno sconosciuto. “il messaggio finisce con il rumore di qualcuno che bussa alla porta. Quentin trema, quando schiaccia il tasto play per sentire il secondo messaggio vocale.

“Lui mi ha chiesto di mostrargli, dove viviamo, io non ho paura, ma sono così pesante che, ehi non mi stringere, mi fai male, devo rispondergli altrimenti mi scuoierà, queste sono le sue parole. Adesso mi porta al capanno, dove spero che tu non venga. Q mi dispiace., ahi, mollami il braccio …” la registrazione finisce con il grido di dolore di Lori e Quentin è furioso al punto di sentire il sangue bollire nelle vene.

Un’ora dopo, lui sta schiacciando sull’acceleratore, mentre le gomme e il ghiaccio non creano l’attrito necessario per quella velocità. L’auto si ribalta. Buio. La voce di Elly lo chiama da lontano, ma non è la sua voce, lui sente che è la voce di Lori ed Elly si dilegua, lasciandolo addolorato e vuoto e piano di rabbia. Elly è lì con lui e lui non dovrebbe svegliarsi, dovrebbe restare com’è per non perderla e per raggiungerla ovunque lei si trovi. E’ tutto buio, quando lui apre gli occhi e la lingua di Wolf ha circumnavigato il suo viso finché lui non ha aperto gli occhi. Il lupo salta e corre e si agita nell’attesa che Quentin gli dica cosa deve fare. Bravo ragazzo, bravo ragazzo, continua a complimentarlo l’uomo e il lupo si acquieta sotto l’auto, in attesa che il suo padrone esca.

Sono vivo, pensa lui. Gli gira la testa ma è vivo. E’ ancora dentro l’abitacolo e il fugone è sul pendio, fuoristrada ma non sa di quanto. Prova muovere le gambe, ma le sente incastrate sotto il sedile, deve uscire da quella prigione e pensa a Lori, Lori sola con quell’uomo o con tutta la gente che forma una bella banda di criminali, pensa a Zeus che probabilmente sarà già stato abbattuto e alle sue cose, alle sue cose lasciate nella cantina del capanno.

Ha bisogno di me, lei ha bisogno di me, ripete a se stesso cercando di trascinarsi fuori mentre Wolf continua a saltare e a correre intorno al furgone. Ha una gamba ferita e un taglio in fronte e una contusione su entrambe le ginocchia ma nulla di grave.  Si alza barcollando e quando ritiene di potersi piegare, torna al buio verso il retro del fugone, dove cerca di introdurre la mano, nelle lamiere del portabagagli aperto e distorto, per afferrare il fucile. Usa la luce del cellulare per capire se ha campo e per orientarsi. E’ a più di tre quarti di strada dal capanno. In meno di mezz’ora a piedi sarà arrivato e lì lo attenderà presumibilmente la morte, ma non vuole rischiare la vita di Lori. Deve trovare una soluzione prima che arriva a casa. Risale il pendio e in mezzo alla strada ghiacciata, lui e il lupo avanzano verso il punto di non ritorno che porta alla radura, dove solitamente parcheggia ma che è certo che né Lori né il suo rapitore conosce.

 

Nel capanno c’è luce e qualcuno ha fatto il fuoco. Lo vede attraverso il mirino. Lei è seduta sul letto, rannicchiata, probabilmente legata, ma questo non lo può vedere. Si sposta per guardare dentro casa da un’altra angolazione e non nota nessun altro a parte Lori. E’ una trappola, pensa, che senso ha una trappola? Passando dal retro controlla il generatore spento. Le taniche di benzina sono ancora piene e nessuno le ha toccate, ne prede una e gira intorno alla casa.

Appena si avvicina alla porta sente i lamenti, sempre più forti e sempre più dolorosi.

Oh! Quentin! Quentin! Aiutooo. Mi sentite? Sto male? Ahi! Che dolore. Lei si tiene la pancia e urla.

Quentin si fionda in casa posando il fucile a terra e gira Lori che lo guarda impaurita.

“No. Ti uccide, vattene. Ahi!”

Lui la alza e le mette un cuscino sotto la schiena dopo di che le apre i pantaloni.

“No!” Lei gli ferma la mano.

“Non voglio che tu mi veda nuda!”

“Sinceramente vedrò se il tuo bambino sta o meno arrivando e non devi muoverti. Calmati. Non deve nascere qui è troppo presto, è un rischio a soli sei mesi. Tu guarda la porta.”

“Mi spoglio da sola! Ah!” lei smette di provarci e abbandona le mani lungo il corpo.

Lui si avvicina e lei gli stringe con forza il braccio.

“Fa maleeeee. Oh. Lui ha sospettato che tu vivessi con me e teme che noi possiamo essere un problema, sta cacciando l’orso credo o qualcosa del genere. Mi ha minacciata e poi è uscito. Ho fatto la pipì a letto. Non mi toccare!” Lui si si lava le mani con l’alcool che trova sul tavolo, una bottiglia di whiskey raro portata in casa dal suo nemico.

“Come ti ho appena detto toccherò soltanto il tuo bambino.”  Lui gli chiede che lei lo guardi negli occhi mentre le infila due dita proprio là sotto e le spinge fino al collo dell’utero.

“Non ti voglio qui Ah!, una nuova contrazione,  Ho cambiato idea, resta, il mio Bambino?”

Quentin ritira la mano, si alza e la guarda terrorizzato, parte per il mobile e prende il coltello che lascia sul fuoco, mentre lui guarda fuori dalla porta, intimando a Wolf di andare nella foresta. Il lupo lo ascolta e corre per tufarsi nell’oscurità, dove svanisce senza fare rumore.

“Sta nascendo, Lori, e non abbiamo un’incubatrice. Adesso chiamerò la polizia e un’ambulanza, se la bufera smettesse, forse avremmo una speranza.”

“Che devi fare con quello?” gli chiede lei terrorizzata, ma lui non ha il tempo di risponderle.

Uno sparo attraversa il vetro della finestra.

“Chi? Chi sta sparando? Ah!” Una forte contrazione la fa urlate.

“Devo uscire, tu cerca di respirare e  di conservare le forze per le spinte. Non avere fretta, respira forte. Respira t’ho detto!” Il grido di lui la tranquillizza e lei inizia respirare forte, pausa respiro respiro, pausa, respiro, respiro e così, lui l’ascolta mentre guarda dalla finestra della cucina.

“Devo uscire.” Lui prende il fucile.

“Non mi lasciare sola adesso!” grida lei in preda al panico e al dolore.. altri due pallettoni raggiungono i piedi del letto e Quentin torna indietro, prende in braccio Lori, l’adagia a terra e con forza ribalta il letto mettendolo come riparo davanti a lei. Prende il cuscino e la coperta e la adagia sopra. Tu resta qui, io devo uscire altrimenti siamo in trappola. Tu non muoverti, se lui dovesse entrare, io non lo lascerò avvicinarsi a te o al bambino. Sarà davanti alla casa sul pendio, io sarò a pochi metri da voi, pensa a questo, io vi vedrò e vi proteggerò.

La paura di Lori la faceva lacrimare senza che lei aprisse bocca. E tutte quelle lacrime le scendevano lungo il collo fino a bagnarle la maglietta con la scritta yes I’m a star.

Non lo aveva mai visto così preoccupato per lei, probabilmente il momento era drammatico per entrambi.

“Lascialo stare Quentin, resta qui per favore. Proviamo a  parlare con lui.”

“Non credo sia qui per parlare, lui ci ucciderà entrambi e credimi so che lo farà. Non posso permettergli ancora di uccidere.”

Quentin è già fuori, quando Lori inizia la spinta che la fa urlare come se le avessero strappato le carni di dosso. Lei stringe la coperta, come se volesse ucciderla. Q sente il suo grido e vorrebbe tornare indietro a soccorrerla, ma facendolo vorrebbe dire morire entrambi e procede velocemente oltre gli abeti, dove si accascia cercando mirare alla finestra per guardare dentro.

“Cazzo come ti odio, torna quiiiiii! Ahhhhhhhhhhhhhhhh!!!!!!” E nuovamente la spinta le procura un grande dolore e un urlo disumano. Le pallottole hanno smesso di selciare l’aria ma lei avverte il freddo nella stanza. Sul fuoco la pentola d’acqua sta bollendo e dentro c’è il coltello. Lui non ha preso il coltello. Vorrebbe alzarsi ma sente la testa del bambino è parzialmente fuori dalla vagina. Con delicatezza si copre le parti intime e sebbene la spinta sia nuovamente in arrivo e nonostante il dolore che preavverte lei si alza. Si trascina fino alla pentola con la mano sul piccolo cranio che sporge tra le sue gambe. Il coltello scotta e si toglie la maglietta restando nuda con il solo reggiseno in dosso.

“Interessante.”

L’uomo all’ingresso è talmente alto che sembra una montagna e non è Quentin.”

Lei cade a terra e sente la necessita di spingere.

“Davvero interessante, ripete il cacciatore, mentre punta la canna del grosso fucile contro il basso ventre di Lori.

“No, ti prego non farlo. Ahi! Oh no! Oh nooo!” lei cade a terra e sente la necessità di spingere.

“Non ho mai visto una donna in questo modo. Certo è meno sexy di quanto mi aspettassi ma possiamo provare a sorvolare sulla cosa.”

“Vattene” Quentinnnn aaaaaaahhhhh!!!!!!!!!!!!!!!! Il suo grido è così forte che favorisce la spinta che fa nascere il bambino. Lei accoglie con le mani il piccolo corpo che scivola da lei con l’ultima spinta.”

Il Cacciatore chiude la porta, ma quando si gira, trova la ragazza barricata dietro il letto. Lei è nuda e piana di sangue, tiene in braccio una bambina piccolissima, cui non ha ancora tagliato il cordone ombelicale. Un nuovo colpo al basso ventre l’avverte di una spinta inaspettata. Lei grida, stando attenta a non fare cadere la bambina. La placenta esce e il cacciatore divertito, arriva a guardarla nella sua tana dietro il letto. E’ completamente vulnerabile. Lui ha già ucciso altri cuccioli ma una neo madre con il suo bambino, potrebbe essere un trofeo che renderebbe grande qualsiasi gladiatore nella sua piccola arena piena di nemici.  Un colpo lo sfiora e lui si gira.

“Spiacente siamo uno a zero per me.” Grida il Cacciatore fuori dalla porta. Tra poco dovrai farti trovare, morto possibilmente altrimenti loro, ti assicuro, moriranno davanti a te e credo, anche per mano tua. Perché se non li ucciderai tu, io li torturerò infliggendoti così le pene dell’inferno, perché nessun uomo resiste alla tortura che si fa a un debole o a un indifeso.

Quentin ascolta quelle parole e gli sembra di rivivere il suo vecchio incubo.

“Quentin, ti chiami Quentin vero? Posso ucciderli in meno di un secondo e credimi non mi costa alcuno sforzo, se la vuoi viva esci subito senza fucile, senza scherzi, altrimenti mi basta un colpo per spappolarle il cervello e una scarpata per schiacciare quella piccola testolina. Certe volte ai cuccioli faccio, anche di peggio, li torturo e mi diverte guardare quanto sopravvivono, delirando per il dolore. “ Il Cacciatore torna dalla ragazza.

 “Non ti avvicinare a me porco!” lei gli mostra il coltello.

Qualcosa si muove fuori e il Cacciatore gli spara senza nemmeno dargli il tempo di avvicinarsi alla casa. IL coltello di Lori finisce nella neve, dove il Cacciatore lo lancia.

“No!!!” grida lei disperata.

Il Cacciatore chiama i suoi al raduno e lei ha solo il tempo di tagliare il cordone ombelicale, cercando di avvolgere il piccolo nella grossa coperta. Lei è nuda e sanguinante, cosa che disturba più il suo nemico che lei. Il Cacciatore la fissa e quasi nauseato le lancia il suo giaccone.

“E’ vivo?” chiede lui senza volere avvicinarsi al piccolo.

“Lei sfiora la guancia del suo tesoro e ascolta la fatica che il Bambina fa per respirare.”

“E’ viva.”

“Vestiti. Tu vieni con me. Andiamo a caccia.”

“Fuori si gela e la bambina morirà.”

“Se non è forte non è degna di sopravvivere. Copriti e esci. Dobbiamo andare.”

Lori raccoglie i vestiti bagnati di sangue e se li mette addosso. Perde continuamente sangue ma non importa a nessuno di questo, lei ha degli assorbenti nello zaino, ha anche la pistola, meglio lasciare perdere. Usa un pezzo di pile come assorbente e avvolge la piccola nei pile e in una busta di plastica perché non si bagni. Sotto i pantaloni trova il suo cellulare, Quentin ha fatto in tempo a lasciarglielo. Funziona e la batteria e carica per metà. Mette sul muto il telefono e lo nasconde tra le pezze che porta sotto i pantaloni, dove alcun uomo spera, cercherà di perquisirla. Intanto fioti di sangue le colano lungo la gamba e lei sa che i lupi, quelli veri, fiutano il sangue a cinque chilometri. Probabilmente, anche gli orsi come Zeus che non sono andati in letargo perché sono dei solitari, saranno a caccia. Si sente colpevole per quel dramma che sta facendo vivere a tutti quanti. Quentin è ferito, al petto e al braccio, Sta perdendo sangue e si è spostato verso la cascata, da dove potrebbe prendere di sorpresa il nemico prima che uccida Lori. Il suo incedere non è veloce e il dolore lo termina già a metà strada, dove crolla. Il Cacciatore ha trovato le prime chiazze di sangue ed è certo che Quentin stia morendo o comunque non gli manchi molto per farlo. I suoi colpi sono stati precisi e sa di aver centrato in pieno il bersaglio. Ora non ha più paura, farà in modo di trovare il corpo dello sfortunato, appena i ragazzi si riuniranno a lui, dentro la vecchia tana dell’orso, davanti al relitto. La ragazza sarà solo un pegno per il suo passaggio, una certezza che nessuno arrivi inaspettatamente, mentre lui sottrae i tesori alla foresta. L’operazione non è facile né poco costosa, quindi dovrà stare attento a procedere velocemente e con massima coordinazione.

Prima di salire sul pendio, il Cacciatore si ferma per guardare la sua opera. La casa in fiamme, urla, grida aiuto e si dimena, come un essere vivente che lentamente si spegne sotto le fiamme e il veleno del fumo che sale su al cielo, scaldando una nottata altrimenti gelida e piena di stelle. Lori è scoppiata a piangere. Un boato, parte dalla cantina e una seconda esplosione riduce in milioni di pezzi, la piccola capanna e i suoi ricordi.

 

11. La casa dove i salmoni risalgono il fiume

Quentin sta facendo del suo meglio per sopravvivere. Sa bene che per proteggere Lori e il bambino non può permettere che restino all’aperto per troppo tempo. Lei è una ferita aperta e il bambino troppo piccolo per le temperature glaciali dell’aperto. Così ferito non riesce ad agire ma non ha molto tempo, deve farsi aiutare. L’uomo delle trappole giganti è diventato nemico non solo suo ma dell’intera umanità.

Il Cacciatore e i suoi uomini sarebbero ritornati presto a cacciarlo e a bruciargli il corpo. Lui on avrebbe potuto ostacolarli. La sua casa in fiamme è stato un vero e proprio atto di guerra. Avrebbero avuto armi serie e munizioni in abbondanza. Quella gente è senza scrupoli e gli invasati trovano spesso chi li protegge o li copre. Il corpo imponente di Zeus è rimasto inanime in mezzo alla neve non lontano dalla baita, ma in una rupe sotto la cascata, ecco perché il Cacciatore non l’ha trovato. Ma appena fatto giorno, l’avrebbero visto e trucidato. Lui avrebbe dato la vita perché ciò non accadesse.

 “Papà, fallo per me, lo fai?” quelle parole irrompono nella sua testa. Lui dondola il capo e si copre la faccia con le mani. “Papà, lo fai?” la sua voce è piena di dolore anzi è quasi un grido. “Elly, ti prego, amore di papà.” Le sue parole si mescolano alle lacrime torrenziali. “Papà lo fai?”, si sente ancora chiamare mentre qualcuno in quella stanza aperta sta tagliando il corpo di sua moglie a pezzi con il coltello elettrico della cucina. Un volto sarcastico gli appare dinanzi agli occhi “Ehi amico?! Mi senti?” domanda Nicolas mentre spinge la punta della mazza da baseball nei testicoli del suo prigioniero. “Io dico che hai due possibilità, fare quello che ti chiede tua figlia e sicuramente la lascerò vivere oppure lei morirà Quentin e tu non vedrai più la tua principessa, gli sussurra nell’orecchio.”

“Che devo fare, dimmi che devo fare?” supplica Quentin.

“Scopartela.” E gli mostra la bambina nuda, piena di tagli freschi sul corpo, tenuta con le gambe divaricate e livide e sanguinanti in ogni parte, dal ragazzo con i capelli unti e lunghi che non ha mai lasciato il taglierino della mano destra.

“Papà ti prego, ho male, lo fai per me? ” lei piange per il dolore e supplica che smettano.

“Che cosa amore?” risponde lui senza tornare a guardarla.

“Morire. Fammi morire papà.”

Il cielo ha nubi che vanno dal rosa al grigio scuro e i colori si mescolano tra loro con molta forza, spinti a comporre una solida massa minacciosa che scaricherà la sua energia sulla natura dormiente. Con una nuova tempesta in arrivo non ci sarebbe alcun modo sarebbe stato possibile per Lori, attraversare la sponda del fiume e arrivare a piedi a Jasper. A volte venti chilometri possono diventare duecento se tar te e il tuo obiettivo la neve fresca è alta più di due metri e le trappole sotto di essa possono essere micidiali.

 

Si trova in una specie di grotta maleodorante e gelida. C’è un odore acre di escrementi e qualcos’altro di cui non vuole conoscere la natura. E’ mal vestita e i pantaloni sono bagnati fradici di sangue. Ha sonno e i dolori al basso ventre sono fortissimi. Il pensiero più frequente è a Quentin, se fosse morto non se lo sarebbe perdonata. La sua follia ha spinto la situazione all’estremità del tragico. La sua incoscienza, la sua indolenza alle regole, hanno messo in pericolo di vita la piccola creatura che ora stringe tra le mani. Prova ad aprire il giaccone e spostare il reggiseno. Vuole che la bambina senta il suo seno caldo e il palpito del cuore della sua mamma. La piccola è ancora calda e questo le dà una minima speranza. Lei sa che più le ore passano più la piccola rischia di perire. Trema ed è sotto shock. Non è legata ma se scapasse, loro che sono un esercito, la troverebbero se non la trovano prima i lupi. Pensa, Lori, pensa, tu no vuoi morire, pensa alla Bambina, e l’idea avanza, sebbene sembri impossibile. E’ Natale e nessuno potrebbe darle retta, ma è certa che il giorno di Natale la gente è attaccata alla rete, in cerca di riconoscimenti, di saluti e di compagnia, più che mai.

Lei ha pochi secondi e spera di vincere il tremolio delle dita. Prima prega che il cellulare trovi la rete. Ha bisogno della rete e cerca con precisione una pagina social della città di Jasper, sa che è una follia ma non può che tentare, da sole lei e la Bambina, contro quell’esercito di cacciatori non ce la faranno mai. Scrive e lascia acceso il cellulare affinché il segnale sia ricevuto da qualcuno. Quando si spegnerà amen, lei ci ha provato. La sua creatura dorme, o probabilmente è soffrente, lei non può saperlo. Quello che sa che la Bambina non ha fatto un bagno,

Alle 22.30 il minore dei fratelli Hunt, nella casa dei genitori a Cold Trees, stanco di ingurgitare cibo e dolci speziati, entra nella pagina della sua città per postare gli auguri al fratello vice della polizia di Jasper. Sa di non dover trovare notizie eclatanti sulla pagina ufficiale, anche se qualcuno di tanto in tanto posta le fotografie delle proprie feste, o c’è chi inserisce gli inviti ai picnic stagionali ma lui, la prima cosa che legge è un messaggio che sembra seriamente disperato. Prima pensa a uno scherzo ma è un ragazzo molto meticoloso e vuole controllare la veridicità della fonte. Chiama suo fratello alla centrale e non lo trova, allora lo cerca sul cellulare.

“Bob abbiamo un problema.” E il giovane Hunt gli legge il messaggio di una donna disperata che si è fotografata con il figlio neonato dentro un vecchio drone con la targa degli Stati Uniti d’America, e dice di essere circondata da una decina di uomini armati, cacciatori di orsi. La notizia ha dell’inverosimile e Bob risponde al fratello più piccolo che non esistono cottage, case o tane di orsi nella zona, dove la donna dice di essere inseguita., quella zona è accessibile soltanto a piedi e ci vogliono come minimo quattro ore dal margine della statale per arrivare. Hunt chiede al fratello maggiore di controllare il GPS del cellulare, ma il fratello non è alla centrale in quel momento e promette al fratello di occuparsi della cosa la mattinata seguente.

Lori non sa se Quentin sia ancora vivo o no. Dovrebbe allontanarsi dal bambino per qualche tempo per chiamare Wolf. Deve uscire dalla grotta.  

Hunt è già in strada sul furgone di suo padre, geometra in un cantiere residenziale e non è il solo a voler aiutare la povera ragazza prigioniera di una foresta selvaggia in pieno inverno e con i cacciatori alle costole, c’è il suo ragazzo Philip che più di lui sente il bisogno di non lasciare che i cacciatori di frodo o peggiori criminali deturpino la loro casa. Phil Brooke ha provato ad avvertire la polizia, ma la centralinista l’ha preso per pazzo alche ha dovuto lasciare un messaggio concitato ai vigili del fuoco nella speranza che qualcuno di loro avesse verificato il messaggio della ragazza e il luogo, dove loro erano diretti per salvarla.

 

Alle due e mezzo del mattino,  la piccola città di Cold Trees è in subbuglio. Il ragazzo seduto sul tetto della sua auto in mezzo alla strada è Jason Hunt fratello di George Hunt ,il vice capo della polizia di Jasper. Le sue grida di aiuto sono filmate dal cellulare di un amico che impiega meno di tre minuti per postare il video in Youtube. Il quattordicenne spera che qualcuno lo ascolti e in molti si fermano per ascoltarlo.

“Oggi ho ricevuto il messaggio di una ragazza tenuta prigioniera nei boschi vicino al fiume Fraser da un gruppo di bracconieri. Lei ha sedici anni e tiene un neonato in braccio, e la polizia di Jasper ha ritenuto opportuno aspettare. Quella gente è armata e lei, ecco vi faccio vedere il suo appello sulla pagina della città, e mostra la pagina internet sul suo cellulare.”

“Chi ci dice che non sia una bufala inventata da voi ragazzi per poi metterci tutti, come degli idioti armati e partiti in guerra, su Youtube o Dio sa quale altro sito per voi maniaci della rete?” domanda una donna che si è avvicinata alla macchina del giovane per fotografarne la targa.

“Io sono il fratello del vice capo della polizia di Jasper, mi chiamo Jason Hunt e vi supplico di aiutarmi a liberare Lori Swan dai suoi aguzzini! Vi prego credetemi! Quella donna ha anche scritto che la Bambina l’ha partorita prematura e necessita aiuto medico! Ascoltatemi, sono due minorenni, due persone rapite proprio la notte di Natale dai bracconieri e voi vi preoccupate su come digerire il vostro grosso e grasso tacchino?”

“Anche volendo, ci sono più di sessanta chilometri di foresta intorno alla sorgente del fiume e la potrebbero tenere nascosta ovunque. Potrebbero persino aver lasciato la zona.”

“C’è un’altra fotografia che la ragazza ha postato, una è lei e la neonata, guardate è quanto un palmo umano, e l’altra, guardate, guardate! E’ questo drone o aereo che vogliono! Guardate ci sono anche le fotografie di un orso gigantesco.”

La posa del gigante attira l’attenzione.

“Potrebbe essere una farsa.” Commenta un uomo, uscito di casa in ciabatte e con il fucile sulla spalla.

“Ma se fosse vero, capireste che sarebbe una meraviglia della natura, una meraviglia che richiamerebbe il turismo dalle nostre parte e sarebbe l’attrazione più interessante dopo la pesca al salmone. Non ci sono trucchi, controllate, chiamate la polizia e obbligateli a seguire il GPS di questo numero, vi prego venite con me a cercarla.”
“Perché non la chiami tu che sei il fratello di uno di loro?”

“Perché mio fratello non vuole credermi, ma voi siete in tanti e mi offro volontario e mi prendo la responsabilità di ogni cosa.”

“A voi minorenni non fanno nulla per uno scherzo del genere.”

“Credetemi, non è uno scherzo, questa ragazza ha la mia età e ha partorito nella foresta un bambino, voi non avete nemmeno un grammo di compassione e allora perché andate tutti in chiesa a pregare Dio? Perché non seguite la sua parola? Volete la felicità senza guadagnarvela? Dite di volere aiutare i bisognosi ma quando si mostra l’occasione vi tirate indietro?” la gente lo osserva senza replicare. Qualcuno sale in auto e ritorna a casa, altri tornano in casa e si chiudono la porta di casa dietro le spalle, incuranti della notizia vera o falsa che sia. Jason è sconsolato e scende dal tettuccio della macchina, quando due ragazzi e un uomo anziano arrivano con i fucili in mano e si uniscono a lui.

“Noi vogliamo credere nel ragazzo. Questo è un paese, dove la libertà di ognuno di noi è sacra e non accettiamo che chiunque ce la possa togliere. Quella donna tenuta in prigionia non è che una bambina, potrebbe essere vostra figlia o vostra sorella o vostra nipote, voi tutti avete l’obbligo di restituire la libertà a  questa fragile creatura e a suo figlio. Per Dio muovetevi poiché se suo figlio è così piccolo,  non ha molte probabilità di sopravvivere con quegli animali! Non sparate all’orso! Se doveste vederlo, se dovesse attaccarvi , scappate o chiamate aiuto,  voi, quelli più giovani filmerete tutto così i passi della legge saranno con noi e mettetelo su tutti i network che conoscete.”

L’intero paese tranne pochi incerti si è armato. E’ poco prima l’ora di pranzo che una carovana di furgoni, auto, camion, automobili di ogni genere parte per la sponda est del fiume. Una dozzina tra uomini e donne e ragazzi cominciano a scendere la sponda del fiume. Sono tutti preparati con sacchi per la notte e viveri. Alcuni membri della carovana si sono staccati per andare a Jasper a informare il Capo della polizia dell’accaduto. Il frastuono della notizia ha fatto il giro della città in meno di una decina di minuti. Il sindaco Mayer e l’intera giunta si sono riuniti d’urgenza, la cosa va studiata, si parlano, mentre il fratello di Jason, George Hunt si ferma nel garage di casa per prendere la cosa che avrebbe dovuto salvare la vita al fratello, un vecchio fucile da caccia appartenuto al padre di entrambi defunto di cancro pochi anni prima.

Sei tra auto e furgoni spariscono sulla strada che sale fino al sentiero dietro Cold Tress.

 

Passano meno di tre ore che le troupe televisive arrivano a Jasper e le più astute si piazzano già a Cold Trees. I reporter sono a caccia di notizie e non esitano di svegliare la gente, per raccogliere a caldo l’ultima delle notizie che girano nella rete, il rapimento di una ragazzina che ha appena partorito nella foresta un nascituro prematuro e la presenza di un drone militare statunitense, nel cuore della foresta boreale. La tavola calda di Bacy’s è illuminata a giorno e la televisione è sul canale 44, con le ultime notizie sullo stato di emergenza che si è creato tra Jasper e il fiume Fraser. Una cronista recatasi sul posto, racconta della nuova drammatica emergenza. La donna ben vestita ma imbottita con cappotto di lana e sciarpa lunga fino ai piedi parla al microfono indicando la foresta alle sue spalle. Ha sua voce è seria e non sono i pochi i curiosi che si apprestano ad ascoltarla. L’operatore la riprende mentre lei indica il piccolo centro della città e la grade costola della montagna che la sovrasta.

Ecco il posto da dove tutto è iniziato. E’ proprio in questo regno di alberi sepolti da metri di neve e chissà quali altri ostilità oltre ai predatori quali lupi e puma, grizzly, che la giovane di nome Lori Swan è stata rapita. Lori ha sedici anni e un neonato prematuro, appena partorito. Nella foto alle mie spalle, ha indicato al mondo perché è stata rapita, quel gigante alle sue spalle è un grizzly di impressionanti dimensioni e pensiamo che sia il motivo per cui i cacciatori abbiano voluto trattenerla. Lori Swan ha chiesto aiuto sulla pagina social della città di Jasper e tutti hanno pensato a uno scherzo finché le venti persone partite in suo soccorso non rispondono ancora alla chiamata dei loro cari. Si pensa che si trovino in una zona non c’’è rete.  Stiamo cercando di rintracciare i GPS delle loro auto e possiamo dirvi che è stata aperta una l’indagine federale d’emergenza. Questa eroina moderna ce la farà contro i suoi sequestratori e riuscirà la vigilanza locale e l’esercito chiamato in aiuto, a trovarla ancora viva? Le condizioni del tempo qui a Cold Tress stanno peggiorando, luna nuova bufera che porterà temperature più rigide sta arrivando dal circolo polare artico. Salvare lei e gli animali di questo posto, significa salvare tutti noi e ricordatevi il Grizzly che aveva visto nella foto è reale e non dobbiamo permettere a nessuno di uccidere un esemplare che è simbolo di questa magica, incredibile e ancora intoccabile foresta. Vi trasmetteremo le novità appena la polizia rilascerà la sua dichiarazione. Lori Swan deve sopravvivere e voi potreste aiutarla!

 

Spesso le cose accadono velocemente. Si passano dagli attimi che durano un secolo. Quentin ha Wolf. Il suo lupo lo porterà da Lori. Non è morto. I due antibiotici hanno fatto il loro lavoro e la perdita di sangue l’ha arrestata, tamponando le ferite che bruciano, come se avesse un fuoco dentro il sangue, ma quando pensa a Lori e al Bambino, i dolori si attenuano. Lui non si merita il dolore. Lui non merita Lori e pensa che Elly deve essere vendicata. La sua vendetta, il suo rancore, non morire perché la sua piccola e adorata Elly, non muoia senza una vendetta.

Lori ha sempre idee pazze, così le chiama lei quelle idee che le arrivano, quando è terrorizzata. La mia Bambina non deve morire, la mia Bambina non morirà, ecco cosa devi fare Lori, fan culo Jennie, io ho la mia amata Bambina e tu non hai nulla, Lori si toglie il giaccone e costruisce un nido per la sua piccolina.

“Solo cinque minuti, io torno ad amarti e credimi, lo farò!” lei la bacia, la creaturina e corre fuori dalla grotta senza perdere tempo. La prima cosa che fa, pensando a Q, è togliersi i pantaloni, zuppi di sangue. Lei inizia a trascinarli da un albero ad un altro albero e così via. Ha preso anche la pezza di pile che ha usato come assorbente e l’ha gettata oltre il muro invisibile che non le fa più paura. Finiti gli indumenti, lei inizia a rotolarsi nella neve finché ogni goccia di sangue si mescola all’acqua ghiacciata e poi fa un paio di profondi respiri. Uno, due e grida. Il suo urlo è acuto e forte. Appena perde fiato riempie nuovamente i polmoni e urla. Un ululato lontano risponde alla sua chiamata. Sono riuscita, pensa. Tra pochi minuti un branco verrà, seguendo il suo sangue. Infreddolita e con solo le mutande e reggiseno ritorna alla grotta. Gli spari si mescolano agli ululati, mentre due uomini che lei noon ha mai visto entrano nella grotta. Lei non ha modo di difendersi. E’ nuda e la sua Bambina è nel giaccone. I due ragazzoni ridacchiano, come se si trovassero sul set di un serial televisivo. Il rumore di un elicottero sopra le loro teste, la convince che stanno facendo sul serio. Il Cacciatore ritorna nelle grotte e la guarda.

“Tra poco sarà tutto finito.”

“Per te non per me.” Osa lei rispondergli.

Lui si avvicina e guarda le sue gambe.

“Perdi sangue. Il sangue piace a molti animali, sai, e mi sembra giusto che tu abbia la possibilità di salvarti. Hai freddo, n'est-ce pas? Barrow è qui per mettere fine alle tue pene, non sono un uomo cattivo ma gli affari sono affari. Vedi, sono onesto mi sono persino presentato?  Stanotte farà freddo e parecchio. Hai pensato prima alla tua creaturina ma credo che non ce la farà?”

Il Cacciatore si avvicina al nido e guarda la Bambina, sotto gli occhi terrorizzati della madre.

“Mi sono promesso che se ti avessi rincontrata ti avrei uccisa. Io voglio essere un uomo di parola. Non sarò io a ucciderti ma loro, i tuoi difensori. Il tuo rapimento ha fatto notizia e qualcuno si è persino mobilitato. In caso arrivi l’esercito, ebbene, spareranno all’impazzata …” L’ululato dei lupi diventa una canzone molto gradita dalle orecchie di Lori. Il Cacciatore combatte contro il tempo, come lei. Altri due elicotteri arrivano e tutti e tre sorvolano la zona con dei ganci molto lunghi.

Che ha intenzione di fare, si domanda Lori, ma si risponde da sola subito dopo, fissando la capsula piantata nel terreno e con la bandiera dell’esercito americano.

In tutto quel trambusto, uomini, animali, sangue, sparatoria, la cosa meno chiara è la posizione di Quentin.  In un momento lui decide di disarmare il fucile e di uscire dal bosco. L’orso è disteso sul fianco e del sangue gli esce dalla gola, a pochi metri da lui Lori urla a squarcia gola e nonostante le sue grida siano forti nessuno le ode. Si tiene la mano sul petto e Quentin nota che le sue mani sono impastate di sangue. Per la prima volta apre gli occhi e scorge l’orrore. La ragazza che lui ha conosciuto sette mesi prima è diversa. E’ cosi magra che un fiato di vento, potrebbe buttarla a terra ma è così cocciuta nonostante tutto a resistere al vento, ai cacciatori e persino a lui. Quentin la guarda e ha paura. A Q, quella ferita non dice nulla di buono. Corre in mezzo alle pallottole dei nemici e dei difensori e si butta sopra il corpo di Lori con la mente a un Dio buono e lungimirante, quello che perdona ai suoi peccatori i piccoli crimini d’orgoglio. Mezza città combatte contro i cacciatori e l’esercito spara in tutte le direzioni cercano di capire chi sia il nemico. Dal violento scontro lui esce ancora sconfitto, la sua mano tampona la ferita di Lori che ha grumi del suo sangue nei capelli corti e ribelli e un sorriso sarcastico di dolore.

“No. No, no, no, no, non a te, hai capito, tu non, tu ora arrivi con me all’ospedale.”

Ma Lori ha già chiuso gli occhi. Quentin evita di guardare in basso verso  il suo ventre e le mutande tutte sporche madide di sangue perché teme di conoscere la risposta alla sua domanda e quando nota che lei si è fredda,  capisce che la ragazza ha perso tutte le forze resistendo. La domanda snervante è da quanto, da quanto tempo La sua bambina non piange? Qualcuno dei giovani ragazzi, filmano il combattimento. George Hunt affronta due dei killer assoldati da Barrow il Cacciatore per recuperare il relitto e ammazzare l’orso. Lui è il Vice Capo della polizia, non può permettere che dei cacciatori di frodo abbiano la meglio sulla giustizia e soprattutto uccidano il suo fratellino. I pugni fanno male e appena riesce a disarmare uno di quei grandi criminali, comincia a saltargli addosso con rabbia e non lo molla finché il bandito non è KO. Il grizzly è a terra ferito ma non mortalmente e il branco di lupi, corrono in circolo, intorno alla tana e all’esercito di umani che si combatte. La foresta brilla di luci di fuoco, degli spari e dei proiettili che saettano nell’aria. Colpi di bazuca e lanciarazzi, fanno scoppiare le rocce, fanno saltare gli alberi e scogliere le acque del fiume. In atto c’è una vera e propria guerra. Indescrivibili le scene, dove nessuno capisce più chi è contro chi.

Il Cacciatore è sparito, mentre i suoi uomini sono circondati, da due ragazzini che tengono puntato il loro fucile contro il nemico. “Dai fai un passo falso così ti riempio di buchi come il formaggio” parla il giovane Hunt con il fucile a pompa appena caricato.

A Cold Trees nessuno ha più chiuso gli occhi. Tutti gli abitanti sono stati svegliati dalle sirene e dall’arrivo di soldati. La città è colta da una grande emergenza. Le ambulanze che stanno partendo da Jasper, arriveranno prima dell’alba. La rete è bombardata da ascoltatori, da gente preoccupata, da famiglie che lanciano appelli a favore di Lori e da alrtri che gridano, puliamo la Terra dalla feccia umana.

Le immagini dei combattimenti diventano la notizia dell’anno sulle reti mondiali. In meno di tre ore, l’intero pianeta segue il rapimento di Lori Swan. Nemmeno la madre di Lori ha capito quanto sua figlia fosse diventata importante. La cugina invece, impressionata dalla fama di Lori, continua a chiamarla e a lasciarle messaggi di ammirazione sulla pagina Facebook, dove la gente trova straordinario il lavoro fotografico della ragazza. L’offerta di lavoro arriva da più giornali e persino National Geografic si è candidata, come interessata al lavoro di ricerca in ambito naturalistico di una giovane pioniera. Il nome di Lori Swan diventa bandiera di impegno umanitario e sociale il giorno successivo al Natale, il giorno del compleanno di Lori. Ogni uomo o donna e ogni bambino, conosce la scelta e la resistenza di Lori Swan in mezzo alle foreste boreali e ai suoi pericoli.

Il Parlamento dell’ONU si è dato appuntamento d’urgenza per parlare del caso umano ed eroico della sedicenne che ha affrontato un esercito per salvare se stessa, il suo bambino, un drone militare e un magnifico esemplare di Grizzly gigante. L’assemblea voterà per una medaglia all’onore, mentre il Papa dal San Pietro pregherà che lei ritorni sana e salva dalla cattività.  

 

Lori è in ospedale e la Bambina è nel l’incubatore, ancora in pericolo di vita ma ci sono delle buone speranze che sopravvia. Il corridoio dell’ospedale di Jasper è piantonato da due poliziotti e l’ingresso da soldati che pattugliano la strana finché l’eroina non uscirà. I reporter si spingono all’ingresso, a spettando il bollettino medico, mentre i cittadini di Cold Trees rilasciano interviste. Zeus è ospite dell’ambulatorio veterinario di Jasper e dopo attente valutazioni sul suo recupero, sarà liberato. Le fotografie di Zeus e di Lori riempiono le pagine dei notiziari e dei giornali.

“Signor Capaldi?”

L’infermiera si ferma davanti all’uomo sulla lettiga che corre verso la sala operatoria.

“Mi scusi ma abbiamo bisogno di qualche informazione.”

Lui ascolta l’infermiera che scrive sul foglio che tiene nella cartelletta azzurra.

“Mi conferma per favore il nome della paziente e se conosce il nome della bambina, dobbiamo registrarla. Vuole aspettare che la paziente si risvegli?”

“No. Non ci sono problemi. La paziente si chiama Lori Swan Capaldi e la bambina, lui guarda il cielo fuori dalla finestra e le nuvole che filtrano una luce chiara, la stessa che ha  spezzato l’oscurità della notte, si chiama Alba Capaldi.

Prima di addormentarsi prega che loro siano in vita al suo risveglio.

 

12. Cartoline dalla fine del mondo

La piccola città di Cold Trees è in festa, nonostante il disagio dell’esercito in ritirata. I giornalisti e le stazioni televisive sono i nuovi alieni invasori, tutti buoni clienti per Bacy’s che ha improvvisato brandine persino nei magazzini della trattoria. Tutte le stanze in affitto  tra Jasper e Cold Trees sono occupate, gli affari vanno a gonfie vele e l’immagine della nuova eroina sono i simboli della due città.

Quentin ha lasciato Wolf nella foresta e spera che lui sia ora con il branco, ha bisogno di unirsi a quelli della sua specie. Ha lasciato l’ospedale, solo dopo due ore dall’intervento, per darsi una lavata, è sempre un giorno di festa il ventisei dicembre, niente negozi, dove comprare vestiti, quindi si è adattato a una lavanderia automatica, dove ha atteso per venti minuti in mutande e dopo una veloce doccia nella camera di Lori, si prescrive antidolorifici che compra nella farmacia di turno. Il guardiano gli ha prestato la sua auto, perché a parole sue, l’ha data a un personaggio famoso. Così torna all’ospedale e non a fare visita alle due creature che stanno lottando per la loro vita, ma cerca la piccola cappella, dove si siede nell’ultimo banco, dove Dio non potrebbe vederlo. Non avrebbe mai creduto che sarebbe ritornato da Dio a pregare e a supplicare di non perdere per la seconda volta ciò che amava di più. Quentin resta scioccato, nel suo capo gli è parso di sentire la parola amare, le sue mani congiunte si stringono con forza e lui guarda la croce con gli occhi colmi di lacrime. Per qualche momento rivive il massacro di Elly e di sua moglie, nei pochi secondi le abbraccia entrambe con infinito affetto e promette loro di non dimenticarle. Vuole che siano loro ad aiutare Lori a sopravvivere, che siano loro a lasciare un segno sulla continuità di quell’amore che in lui non si spegnerà mai. Un uomo in abito scuro si avvicina e si siede di fianco a lui. Lo guarda con tenerezza e poi si inginocchia in preghiera. Gli parla guardando fisso la croce che gli fa illuminare gli occhi.

“Certe volte, Lui sembra assente e noi ci sentiamo smarriti. Le cose e i mali che ci accadono ingiustamente, pensiamo siano per colpa Sua. Spesso litighiamo con Lui perché non affronta con noi le prove più difficili, quelle che siamo costretti a passare, quando quelli che amiamo sono in pericolo, ma ci sono momenti in cui Lui risponde. I miracoli sono un atto di fede e non pochi quelli che li vivono. Quando un amore è così forte e così sincero, nulla tende a spezzarlo. Nessuno potrà mai cancellarci la speranza e con quella la volontà di credere che chi soffre cela possa fare. Abbi fede e credi nel miracolo. Lui ti risponderà!

L’uomo in abito scuro saluta Quentin con una pacata sulla spalla e dopo essersi inchinato esce dalla cappella con passi impercettibili. Adesso è solo. Ispira l’aria con tutto il petto e ricorda in fretta tutti quei mesi vissuti con lei, una vera lotta, tra due pazzi. Ricorda la ragazzina goffa, dai begli occhi e in sovrappeso che ha mollato nella radura, poco dopo aver cacciato il lupo. La stessa dopo sei mesi che l’ha trascinato nudo e che l’ha amato, la ricorda nuda e sopra di sé ed è quasi certo che non fosse stato soltanto un delirio. Sorride. Quentin sorride divertito alle cose che ha fatto per lei, per farla arrabbiare, per farla cambiare, per farla divertire e ora gli manca. Quando il Cacciatore ha mirato col suo fucile e le ha sparato, lui ha pensato che il mondo, il suo mondo fosse terminato. Wolf si è lanciato su Barrow azzannandolo alla gola e uccidendolo senza alcuna pietà mentre lui, si dimenava e gridava ferito invocando giustizia e pietà. Barrow agonizzante era caduto a appena vicino a Quentin che era già sopra il corpo smagrito e sottile della ragazza, a farle da scudo. Quel fuscello di donna l’aveva riportato in vita dopo la crisi e lui sarebbe stato in debito con lei, per parecchio tempo o forse per tutta la vita.

Se lui era ancora vivo, lo doveva a lei. Il ricordo del sorriso di Elly si allontana e lui lascia che vada in quell’angolo luminoso della memoria, da cui non lo caccerà mai più.

“Sig. Capaldi è sveglia.”

L’infermiera arrivata per chiamarlo, ha il vispo commosso e pieno di sincera gioia.

Quando Quentin è entrato nella stanza, trova gli occhi di Lori a fissarlo. Lei prova a sorridere, ma fa una smorfia di dolore.

“No, devi stare tranquilla.” Risponde lui accarezzandole il viso. Lei tenta di aprire la bocca ma fa parecchia fatica a fare uscire le parole.  Lui si avvicina alle sue labbra.

“Lei?” domanda quasi senza fiato. Lui sorride.

“Sta bene. Sta dormendo e ha preso venti grammi.”

Lori chiude gli occhi e lascia scendere le lacrime. Quentin le pulisce e le stringe il viso con i palmi.

“Sai, ho pensato che ti terrò ancora finché non deciderai, dove vorrai andare.”

Le labbra di Lori si muovono e le sue frasi faticano a farsi sentire.

“Ma se non hai una casa.” Dice lei con un filo di voce.

“Sei così ricca che la comprerai tu, questa volta.”

Lei abbozza un sorriso che termina per il dolore.

“Non le ho dato un nome?”

“Cosa?” domanda lui mentre cercava di aprire le tende per fare entrare la luce nella stanza.

“Non le ho dato un nome.”

“Alba.”

Lei aspetta un po’ a rispondere. Fissa il soffitto e poi l’uomo che ha davanti a sé.

“Le tue ferite?”

“Sono guarite.”

“Non è vero ti fanno male ma tu vuoi stare qui.”

“Sono un pessimo bugiardo.”

Lei non sa di essere del tutto sveglia e non pensava che sarebbe accaduto in quel modo, ma lui, si è avvicinato, si è chinato dimenticando il dolore delle ferite appena suturate e l’ha baciata, a lungo, cercando di farle capire che per lui, lei è una certezza e i baci sono continuati per parecchio.

“Così mi soffochi.”

“Credi che ti libererai di me?”

“A questo punto temo di no.”

“Comincia ad avere paura perché ti proporrò di passare la tua vita con me.”

“Non sono così pazza Q.” risponde lei.

 

Epilogo

Il capanno dietro le cascate non c’era più, il violento incendio l’ha spazzato via. In cambio una montagna di ceneri e detriti ammassati al fango e alla neve, sono rimasti a ricordare della battaglia tra uomini contro animali e uomini contro uomini.

 La città di Jasper e Cold Trees, entrambe risarcite dei danni provocati nella foresta e nelle città,  dell’irruzione dell’esercito americano per il recupero del loro prototipo, avevano in serbo una bella somma di denaro per la giovane Lori Swan, somma che la stessa Lori ha voluto destinare alla preservazione della foresta e dei suoi abitanti. A riconoscimento per quanto la giovane benefattrice aveva fatto alla regione delle Montagne Rocciose Canadesi e del Parco Nazionale di Jasper, quasi tutti gli abitanti si sono uniti per costruire l’abitazione della famiglia Capaldi sulle rovine della precedente, anche se il dottor Quentin Capaldi avrebbe preferito chiedere un mutuo per non onerare quella brava gente degli sforzi che avrebbero fatto per terminargli la dimora. Il mutuo Quentin lo avrebbe chiesto per la casa a Cold Trees, per quando la famiglia sarebbe rimasta in città per le compere settimanali.

Alba Capaldi ha mosso i suoi primi passi, sulle sponde del laghetto in piena invasione di salmoni reali innamorati. Ha giocato e nuotato con loro nel laghetto magico, dietro il nuovo capanno.

Durante una delle loro lunghe passeggiate nella foresta, Quentin e Lori hanno avuto modo di osservare la famiglia di Zeus che aveva messo al mondo non uno ma ben due cuccioli entrambi con una macchia bianca sull’orecchio. Durante una notte piena di stelle, quando i due innamorati si rinfrescavano nella vasca sotto le cascate e la piccola Alba dormiva nel suo cesto in riva al fiume, un lupo molto grosso si è avvicinato alla riva. Quentin terrorizzato ha fissato la cesta della bambina che non avrebbe potuto salvare dall’attacco, ma appena arrivato vicino all’animale ha ritrovato Wolf che non si è fermato per fargli le feste, ma è scappato via e nella fuga, Quentin e Lori hanno visto che insieme a lui c’era un altro lupo, presumibilmente la compagna. Wolf ha ritrovato posto tar la propria specie ma per Q questo non significava aver perso un amico perché Wolf si sarebbe sempre ricordato di loro e forse sarebbe arrivato più spesso in visita e con la famiglia.

Quentin ha ritrovato la vocazione e continua a fare il medico di medicina generale a Cold Trees, mentre Lori, non cede interviste per guadagnare, e non appare in televisione ma le sue fotografie, che parlano delle meraviglie nella foresta boreale, sviluppate in formato gigante, abbelliscono le migliori gallerie del mondo e si vendono in quanto le opere della più grande artista ambientalista, vivente. La sua famiglia ha provato a mettersi in contatto con lei ma lei non ha mai più voluto parlarle. Il “muro invisibile” c’è ancora ma Lori lo attraversa con rispetto perché quello che la terrorizza di più è  non avere la libertà di farlo.

Alba ha imparato che nell’erba ci sono una infinità di piccoli amici e che la natura dalla terra fino alle stelle è bellissima.

Lori ha scoperto l’amore, quello vero e Quentin ogni volta che la guarda, la sua piccola moglie, si sente un uomo fortunato e no, non ha dimenticato la famiglia che ha perso, le donne che ha amato sono rimaste nel suo cuore, ma la sua priorità e fare sì che Alba e Lori e i bambini che arriveranno, siano felici con un uomo che per fuggire dall’inferno, casualmente ha ritrovato il paradiso.

Fine.

 



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