Romanzo di Jacqueline Miu
IL LIBRAIO DI YVERDON


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Leggere questo libro non costa nulla; se ti è piaciuto porta un tuo dono, un piccolo modesto ma ineguagliabile gesto d’amore “un peluche – un sorriso – narra a tua volta una fiaba – ricambia il bene” all’Istituto Tumori di Milano reparto pediatria www.istitutotumori.mi.it.

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Il Libraio di Yverdon

Nulla di straordinario, solo la Fine del mondo.

 

 

 

Romanzo  

Iniziato - 17 Dicembre 2015 terminato 28 Marzo 2016

 

 

Prefazione

Passiamo la vita a cercarne il senso e iniziamo ad amare veramente appena ci accorgiamo del fatto che non ci sia altro di più straordinario per cui lottare.

 

Giorno zero – La Fratellanza

Boom! Nel centro di un piccolo paesino della Svizzera occidentale, un anziano il cui pensiero è ricordarsi di prendere per il pranzo, un panino in più, è investito in pieno sulle strisce pedonali dal paraurti rosso cromato di un fuoristrada  appena uscito dalla autoconcessionaria  e dopo un volo di dieci metri, il pover uomo muore dopo aver urtato con la testa il battistrada, questo durante un tamponamento a catena con decine di feriti gravi, mentre una donna incinta, salva sul sedile posteriore dell’auto, dove il marito è svenuto con la testa sul volante, dopo lo spavento, inizia il travaglio e porta alla luce un bambino di tre chili, sano come un pesce. Il Male e il Bene si materializzano a pochi chilometri dall’incidente.

     “Ça va?” domanda Luci (Lucifero) al fratello, con un sorriso smagliante e poi prosegue con il secondo pensiero.

    “Ho scelto degli interessanti involucri per noi. Non fare il solito fricchettone.” rafforza il commento il Diavolo, leggendo nel pensiero del gemello dizigote, l’Arcangelo Michele, entrambi improvvisamente comparsi in viaggio nel cuore della Svizzera, su una vecchia Peugeot 204 cabrio color fiamma. Lucifero inspira profondamente per ricordare l’emozione che si prova abitare uno di quei corpi umani. La cosa lo soddisfa al punto da rallegrarlo, così continua a respirare rumorosamente, ascoltando come i polmoni si riempiono d’aria, quel freddo invernale che pizzica, lo trova semplicemente delizioso.

Michele invece è leggermente sovrappeso, capelli e barba trascurati, ma sempre alto, jeans, maglietta una volta bianca e abbastanza stropicciata da pensare che l’abbia usata per dormirci e per parecchio, davvero parecchio tempo. L’Arcangelo sembra avere l’aria stanca, sempre a pensare, a riflettere, a domandarsi cosa di quello che vede sia giusto a sbagliato, mentre il fratello Lucifero si presenta sorridente, in forma smagliante, abito scuro, Converse Inferno Limited Edition e seni appena rifatti, è lo stesso essere che assapora con eleganza, quell’odore di colle bruciate e inquinamento ben nutrito dalla luce della cattiva eredità che l’umanità lascia dietro di sé.

Godere della miseria, dona parecchia compiacenza al piccoletto alla guida. I suoi occhi brillano di mera soddisfazione. Colline ancora verdi, cespugli, la striscia bianca delle corsie, consumata, piccole cose che lui assapora.

    “Io mi prendo il ragazzino, ribadisce l’arcangelo Michele scomodamente a disagio sui sedili posteriori dell’auto, non fabbricati per un uomo di una certa altezza, peso e ingombro,  dovevo guidare io!” ma la sua esclamazione non disturba il fratello che incurante del fastidio che offrono i vecchi sedili al ritrovato parente, pigia sull’acceleratore, facendo sentire al secondo occupante dell’autoveicolo, la vera potenza di un motore V12, smontato per magia a una Ferrari parcheggiata sulle strisce pedonali, davanti a un parrucchiere in centro Losanna e rimontato in una che sembra all’apparenza una carriola anni settanta. Il gioiellino a quattro ruote, vola in direzione Yverdon Les Bains.

Michele trova macchinoso, viaggiare seduto con le ali sotto il sedere e schiacciate contro la portiera, le ginocchia non trovano posto che addosso al sedile del guidatore. Luci è divertito dal fremere del puffettone cui non basta lo spazio dell’auto per trovare un sereno equilibrio dentro se stesso.

    “Di pessimo umore, eh? Tutti noi abbiamo un dramma di cui scrivere.”

    “E’ stretto.” ma la voce dell’occupante si sente appena.

    “La sensazione della gabbia, vero? Alcuni e ti farebbe impazzire sapere quanti,  provano ad aprire la gabbia per sentirsi liberi ma poi comprendono che senza una gabbia, non saprebbero come vivere. Le gabbie creano in noi emozioni, la voglia di riscatto, il richiamo della libertà. Noi tutti non possiamo farne a meno. Oh, queste gabbie …  Tutti ci sentiamo stretti in un corpo, in un ruolo, in una dimensione e per quanto cerchiamo di espanderci, ecco che arrivano i problemi.  Chi ha inventato le gabbie?  O forse sarebbe più giusto domandarsi come aprire le gabbie nella nostra testa? Fratellone, io credo che l’onnipotenza sia nel liberarsi dalla prigione che abbiamo qui dentro, e indica al proprio cranio. Le sconfitte sono la normalità e le vittorie, beh le vittorie esistono ma devi essere disposto a pagarne il prezzo, è facile rifugiarsi dove sai di trovare protezione e consenso ma molto più difficile fratellino, vivere accettando la responsabilità, il peso, il dolore e la solitudine. Tu sapresti vivere in solitudine? Da ribelle? Sapresti accettare il dolore del silenzio di quelli che ami o che hai perduto? Ci sono tanti tipi di gabbie sai, ci sono gabbie di fuoco e gabbie di luce, ma cosa cambia? Puoi davvero dire di essere libero? Ti inalberi così facilmente. Dovresti lavorare di più sui tuoi chakra. Apriti. Credimi, tenersi tutto dentro, comprimere le insoddisfazioni, fa male al nostro stato di salute mentale, lo dice sempre la mia terapista; te la presenterei se non fosse che voi angeli  troviate stomachevole il caldo.” Michele grugnisce, cercando di trattenere le parole. Lucifero fa apparire un pacchetto di cicche al mentolo che prova ad offrirgli ma inutilmente, dai sedili posteriori non arriva nemmeno il rifiuto, solo il rumore di un corpo mal seduto che tenta di trovare una soluzione più comoda e funzionale . Un paio dal pacchetto aperto, finiscono nella bocca di Lucifero.

    “Pepate, hm, proprio quello che ci voleva, poi si rivolge al fratello, il tuo guaio fratellone, è che ti lamenti sempre, Lucifero mastica con gusto la sua cicca e deglutisce il succo che sembra dargli molta soddisfazione, da quando sei nato.  Non è un peccare di arroganza, volere a tutti i costi qualcosa? Voglio un nuovo corpo, voglio chiudere l’Inferno, voglio, voglio, voglio. L’umiltà fratellone, è la parte che preferisco tra i vostri attributi e diciamocelo, non è mai stato il tuo forte, ma, anche questo è vero, tu resisti e ti pieghi così come dev’essere. Devi, è un must che rende moderni, a passo coi tempi e con le idee rivoluzionarie, abbraccia il Feng Shui, lo spazio che ti ho offerto è bel aerato, luminoso e lo dico contro me stesso, ostacola lo Sha Chi.  Tornando alle cose importanti, mi dispiace, io mi prendo il ragazzino e  tu ti prendi il gatto. Razza molto interessante. I felini, già, i felini sono sofisticati, conturbanti, indipendenti ,come me direi. Sai che cosa diceva Papino, che tra noi due, io ero il più solare, il più allegro, indipendentemente dalle cose serie che si faceva, io sorridevo sempre, ma lui ha preferito un depresso come te, forse perché più debole e più bisognoso dell’autorità paterna. Non eravate voi quelli che ostacolavano la tecnologia, quando hai preso la patente, sette minuti fa? Se guidi per come voli, mi ritornerà il mal di mare. Guiderò io.”

    Michele dà uno scossone al sedile del guidatore per spostare il ginocchio sinistro incastrato e dolorante. L’auto sbanda e Lucifero frena di colpo. Boom! Una strisciata nera e fumante sull’asfalto. L’odore acre di bitume e gomma bruciata arriva presto ai loro nasi. La patinata delle gomme dell’auto sull’asfalto, innervosisce il Diavolo che prima di ripartire, prende un profondo inspiro e sente l’aria correre in lui fino dentro l’addome, gli piace quella fragile sensazione di sentirsi vivo, ma il suo pensiero torna al fratello e con sarcasmo compie un atto che gli dona soddisfazione. Sorride, ma un sorriso che smuove appena i lembi delle labbra. Si sente un gentiluomo, non sa per quanto sopporterà la presenza del Fratellone, ma ce la mette tutta perché la cosa non vada in malora per colpa sua, quindi torna a pensare alla sua auto. Non scenderà a controllare lo stato dei pneumatici, non lo farà, ma dentro qualcosa lo spinge a farlo. Porco demonio! impreca dentro di sé. Michele gli lancia un’occhiata. Lucifero finge di non averla vista. Afferra il volante con delicatezza, quasi lo accarezzasse, fa un profondo respiro e torna a fissare la strada. Il motore potente, risponde al pedale dell’acceleratore che l’uomo schiaccia con tutta la sua forza, il cambio è già in seconda e subito in terza, la pressione generata spinge violentemente in avanti l’auto, la velocità e il ruggito dei pistoni chiamano la quarta e Michele si trova in una frazione di secondo la faccia proiettata contro il poggiatesta. “Bersaglio centrato!” ammicca Luci. Michele tenta di controllarsi ma l’urto gli procura dolore e lui grida.  Vendetta, pensa soddisfatto il Diavolo che vestito il sorrisetto di uno che sa di aver combinato uno scherzetto, imposta la velocità di crociera sul veloce, molto veloce, velocissimo, mentre Michele digerito lo scherzo, riprende il dialogo.

    “Eravamo piccoli. Da allora, anche noi lassù ci siamo modernizzati.” riprova lui a sistemarsi in qualche modo, ma l’abitacolo è troppo stretto per le ali e torna a cercare posizioni più comode, mentre gli occhi di Lucifero lo seguono dallo specchietto retrovisore con sconsolata ironia.

Quella disabitudine al corpo umano, al suo non perfetto equipaggiamento, infastidisce Michele, ma diverte parecchio l’uomo alla guida della Peugeot che osserva il paesaggio con meritata attenzione, non tralasciando nulla, fili d’erba, alberi, orizzonte, piccoli cumuli di spazzatura in strada, cicche di sigarette fumate fino al filtro e un aereo che inquina il cielo a più di diecimila metri di distanza da terra. Questa sì che è vita, pensa tra se.

    “Aggiungimi alla tua rubrica del cellulare. Ah, non ce l’hai? Papino si è dimenticato la ricarica? Ecco perché noi maggiori abbiamo più fortuna. Questa non è una gara a chi ce l’ha più lungo, fratellonzolo, ci troviamo qui perché tutti loro si ricordino di noi. Adesso si sentono autosufficienti con la loro scienza, la loro tecnologia, tra poco cloneranno anche te dalla Sindone, ma davvero sei tu quello? Comunque hai mai provato a consultare un’estetista per quei peli sul petto e un dietologo, sei molto giù, comunque di cosa parlavamo, ah ecco. Ci stanno dimenticando, anche loro sono parte della famiglia o no? I loro sogni una volta erano destinati a noi, mentre adesso ci stanno superando, loro si stanno superando. I ragazzini sono diventati grandi e vogliono lasciare la casa. Se un figlio non è libero di andare via vuol dire che la famiglia non lo ama abbastanza e noi siamo qui per soffocarli, per fermarli per ostacolare la loro crescita. Noi li vogliamo in famiglia, giusto?” Lucifero controlla sul suo fiammante telefono le chiamate.

    “Smettila. Bada ai tuoi affari.”

Lucifero guarda il volto del fratello dallo specchietto e ne fissa gli occhi poi smette di sorridere e diventa serio. La sua mano rimette il cellulare nella tasca della giacca.

    “Gli affari di famiglia, sono i miei, la sua voce è molto marcata sulla parola miei, affari. Gli uomini? Non gli puoi salvare, forse non hai mai pensato che loro non vogliono essere salvati. Non amano sempre l’estate, vogliono che ci sia un inverno in mezzo, se tutto fosse perfetto loro tutti si suiciderebbero. Non c’è salvezza da qualcosa che ti da la possibilità di immaginare e loro tutti, sognano, osano, si buttano in imprese che una volta sia tu sia io, avremmo pensato assurde per dei piccoletti destinati ad andare in pasto a Morte. La vera famiglia forse sono loro che non sanno l’ora della propria morte ma lottano per il piacere. Sono corrotti e si fanno corrompere ma sono così belli quando crollano e feriti, resistono. Gli affari di famiglia forse devono smettere di essere così complicati. Dovremmo imparare da loro e semplificare la nostra burocrazia. Quand’è l’ultima volta che ti sei emozionato per qualcosa? Ti consiglio un ottimo pezzo musicale che farebbe al caso tuo “All you need is love”, ritroveresti i brividi fratellone. Hai mai provato col sesso? Ritroveresti la giovinezza. L’amore è la cura per tutto. Troppa saggezza uccide, troppe responsabilità stancano, la devozione ci logora, abbiamo bisogno di prendere le distanze e studiare la cosa da altri punti di vista. La mia analista dice che devo recuperare autostima. L’eternità stanca fratellone, ma un momento di pausa, mai un premio, solo dovere, dovere, dovere. Tutti noi dovremmo essere messi in un museo a curarci le artriti e le ernie. Quindi, quando parli di famiglia, mi sento chiamato in causa.” la sua voce diventa seria.

    “Parli proprio tu che hai sempre voluto fare di testa tua. Sregolatezza,  dissoluzione, libertà e eguaglianza, senza devozione per il Creatore, senza un briciolo di modestia, impaziente e pronto a sperperare tutti i doni divini. Io sono rimasto a combattere, mentre tu ti facevi i bagni di fuoco.”

    “Sei sempre il solito smanioso di protagonismo. Io volevo solo togliere a Papà il peso dalle sue spalle e darlo a chi se lo doveva portare, ovvero l’Umanità che c’è di strano? Io preferisco dire le cose come sono invece che combattere per mantenerle segrete. Tutti questi segreti vi distruggeranno ed io sarò li a guardarvi.”

    “Essere fedeli a una causa e restare a difendere il Regno, cosa impossibile per chi non riesce a perseguire un’idea fino alla fine. Adesso le cose sono come devono essere, c’è  pace e c’è libertà, con le dovute regole, beninteso.”

    “Beninteso. Beh, diciamo che in questi due mila anni di umanità, nemmeno tu sei cambiato molto, anche se sento un pochino scricchiolare le tue ali, lassù sei ingrassato o sbaglio? Niente più guerre, niente più sacrifici, anche gli angeli invecchiano, n'est-ce-pas? Dovresti adeguarti, evolverti zuccherino, l’Evoluzione è la chiave di tutto, aggiunge Lucifero controllando sempre nello specchietto retrovisore che il rossetto rosso non sia sbavato sui denti; dovresti aggiornarti, adesso siamo moderni fratellone, è l’Era della nanotecnologia, del nucleare, della pizza surgelata e del Viagra, dei bosoni, del botulino, di Putin, della deforestazione, del silicone, l’umanità mangia OGM, usa Windows 10, usa il nuovo manuale anti estinzione sulla loro  Bibbia virtuale che si chiama Google, puoi apparire sulle riviste senza smagliature usando Photoshop, insomma c’è la rete, i film in Ultra HD Blu-Ray, c’è il Dolby Atmos Audio Technology e potresti sentire scoreggiare papà con effetti da affondamento dei Titani, ci sono le E-bomb,  gli ologrammi, ci sono gli smartphone, sesso virtuale, l’Isis, il Lato Oscuro della Forza, Jack Sparrow si fa i selfie in full HD, Wi-Fi, PS 4 e carnalità, molta di quella carnalità che a voi angeli non piace molto e tutto questo mondo corrotto dal materialismo, torna a beneficio di ‘moi’, piccolo e bell’angelo diseredato nonché scaraventato in un impero buio, ma sai, dopo un attento riflettere, io credo che sia bello il mondo al buio, anche i cuori degli uomini vivono al buio e vivono immaginando la luce più intensa, i sogni più belli, pertanto tu dovrai guadagnarti la fiducia di questo Nuovo Mondo, mentre io ne assaporerò in ogni singolo momento, la decadenza. L’auto svanisce, mentre continua la sua folle corsa alimentata da una forza sovrumana e le nuvole cominciano ad addensarsi all’orizzonte.

    “Un gatto …” è quasi un sussurro, il lamento stomacato dell’Arcangelo.

    “Un gatto, è la risposta sarcastica del fratello, ahhh, cosa non si fa per la famiglia … si trovano accordi, Lucifero studia la reazione del fratello, alleanze prima impossibili, piccine riappacificazioni, sento come se noi due formassimo una massoneria, lillipuziana ma di convenienza per due confratelli così speciali e non c’è nulla di più forte di una leale  devozione all’idea che ora ci lega. Nulla di più perfetto di un’idea nata come temeraria persino un pochino assurda chi avrebbe mai detto che la Famiglia mi avrebbe invitato alla festa?  Che bello è il pensare all’unisono, peccato, davvero è un peccato che questa cosa tra noi due non capiti con più frequenza.  Rispetto ai contrasti millenari, ora condividiamo persino dei segreti fratellone, di questo passo ci scambieremo le mutande e ti sorprenderesti nel vedere quanto siano sexy le mie e non mi sorprenderei nel vedere quanto siano consumate le tue, however che sarà mai una piccola, dolce, tormenta da Fine del Mondo, mi sembra di essere tornato ai vecchi tempi, non è romantico fratellone? Mi sembra un incarico da svolgersi con l’eleganza di Vincent Price … sono un inguaribile romantico.” sospira dopo un lungo silenzio, Lucifero.

    “Ma falla finita, sei il solito buffone, sembri la bambina che sa tenere aperti gli occhi senza sbattere le palpebre, in quietante e mefistofelica, tu detesti gli impegni famigliari e detesti tutto ciò che non è detestabile. Il male non si evolve mai. Venite signore e signori, sembri dire sempre, venite al Circo degli Orrori di cui sono il padrone indiscusso! Mostri e vampiri assetati di sangue, orge peccaminose e diavoli infuocati, venuti tutti a bollire nelle pentole che nessuno lava mai, venite nella mia casa a fare da pasto ai vermi prima che io vi incoroni giocatori dell’anno per le mie torture!  Tu non punisci, non premi, ma contagi e questa infezione che porti in giro è molesta, putrida, perversa. Tu sei andato via di casa, tu hai scelto il Male, tu disonori la Famiglia, tu sei una piaga, tu hai il merito della tristezza di nostro Padre. Qui non si tratta di salvare l’Umanità ma di noi. La guerra che tu hai voluto, ti ricordi per quale motivo l’hai fatta iniziare? Io non dovrei nemmeno essere qui e questa punizione del doverti stare vicino, di sopportarti, del guardarti fingere pur di piacere, di vederti godere della sofferenza degli innocenti, e della letizia dei peccatori si sente da lontano Luci, di vederti provocare morte e dolore ovunque, è difficile da ingoiare.” replica L’Arcangelo.

    “Ma sono un bellissimo non credi?” assicura Luci.

    “Mi viene da vomitare.”

    “Credi che sarà straordinaria?” domanda il re del male.

    “L’Umanità intendi? Naaaaa.” risponde la voce angelica.

    “Mini Apocalisse?” si sente svanire nell’aria la voce di Lucifero.

    “Vai col tango.” risponde da un’altra dimensione Michele.

 

Primo giorno  - Sogni, confusioni e paranoie

    La gente sia buona, sia cattiva, sogna. Piccoli sogni, sogni medi e sogni straordinari. La gente si lascia trasportare dai sogni, dietro una maschera inespressiva, costretta a portare ogni giorno.  I sogni sono la parte più selvaggia di noi, i sogni non conoscono regole, proibizioni, limiti e neppure un tempo e un luogo, perfetti. I sogni sono i miracoli che abitano il nostro DNA dalla nascita e ci sono alcuni che riescono a farli avverare, altri che li tengono chiusi, come un tesoro nel loro spirito e ci sono altri che non hanno nemmeno la forza di accettarli, questi ultimi sono quelli che pensano di non avere più nulla a che fare con la speranza.

Alcuni di noi non vedono lo straordinario, mentre altri pregano ancora per i miracoli, siamo incompatibili con il buon senso, la facilità di una morale e una coscienza equilibrata, ci vengono bene, terribilmente bene, gli errori, l’essere ridicoli e siamo imperfetti nel nostro meccanismo di credo, già dalla fabbrica.

I sogni fanno parte di noi poiché non abbiamo altro con cui ostacolare la morte. Come tutte le calamità inevitabili o le catastrofi universali, la morte è un perpetuum che noi non possiamo ancora controllare e di cui vorremmo disporre le regole, le leggi. Siamo per metà dei visionari e per l’altra metà uomini Sapiens Sapiens.

    Le cose più impossibili, accadono generalmente nei posti più improbabili. Il mondo segue la crudeltà nella sua lunga e degenerativa telenovela, così la sicurezza di tutto il mondo, segue i passi del terrorismo, quasi fossero sicuri che un terrorista debba indossare vestiti fluorescenti e abitasse case con striscioni sopra il tetto ‘Io sono un Terrorista e abito qui!’.

Se fosse vero, più di un quarto di questo pianeta, sarebbe in un penitenziario.

Il male si sa nascondere bene. Usa le sue doti di trasformista, carpisce il sentore di impurità dagli ingenui, s’insinua nelle loro paure e le manipola.

Il vento dolce ha lasciato il panorama all’inverno. La nebbia e l’aria umida, si attaccano alle foglie morte e la scena statica, è un piccolo inferno di colori, dove nessuno si addentra per capire o per darle un senso più romantico. C’è un perché al muro statico, l’inverno non ha ancora fatto pienamente il suo ingresso.

Sugli alberi, sebbene feriti dalle prime perdite di verde, le fronde ruggine sono ancora ancorate ai rami e si cullano al torpore inspiegabile dell’inverno. Dicembre, nemmeno la brina ha fatto la sua comparsa. Sì, qualche pioggerellina ma nemmeno così fitta e così permanente, come negli anni precedenti. L’umidità si muove a coprire i campi, interminabili campi ancora verdi che spingono l’occhio a cercare la morte naturale dell’estate ma sapendo già che faticherà parecchio poiché le alte temperature non fanno che tardare questa scommessa.

Il cielo limpido è tremendamente fastidioso con quel suo blu che copre la volta per chilometri, senza una nuvola. L’azzurro invasore, è un abisso agghiacciante, dentro cui affondare gli occhi nella speranza di trovare una imperfezione che lo stravolga.  L’imperfetto è ciò che di più ci fa gioire. Così è con la stagione instabile che si offre a piratare i sensi di chi la vive.

    Un gatto tigrato e con la zampa offesa, dopo un urto contro un’auto che viaggiava a velocità folle e per nulla intenzionata a frenare ala vista del povero animale che ha corso quanto ha potuto per sfuggire all’impatto, trova un uccello ferito e la sua insensibilità è pari al suo innato senso di predatore che onora, divorando l’ultimo dolore nella vita dell’essere.

Il felino, trasportata la carcassa al sicuro, pranzerà copiosamente, ignorando che la sua felicità si accompagni allo sguardo ghiacciato del cielo. Sotto il cielo, la cartolina è inespressiva se non fosse per il traffico quotidiano, abitudinario, necessario sulla Terra, ovunque non regnerebbe che il tedio.

    Il traffico è il linguaggio vitale del pianeta. Il traffico esprime la nostra organizzazione per la sopravvivenza, lo scambio sociale, i contatti umani; quando le strade sono vuote, si capisce che tutti sono a mangiare a dormire, l’assenza ha in sé, una ragionevole giustificazione. Più traffico c’è, più quella determinata città è civilizzata, nutrita, è economicamente avvantaggiata. Il grado di inquinamento, parte con la nostra evoluzione sociale, più evoluzione vuol dire più progresso e col progresso, offriamo posti di lavoro e il denaro fluisce nelle arterie della metropoli. Il male, certe volte è così indispensabile a una città, da non volerne la fine poiché ostacolarlo significherebbe la rovina di quelle ricchezze materiali che determinano la sopravvivenza per chi ci lavora.

    Tutto il cantone svizzero Vaud è uno sbocciare di fiori e non soltanto le camelie di cui il Novembre/Dicembre è la seconda stagione di fioritura dopo Aprile, ma le mimose, le magnolie ed altri arbusti con getti rigonfi sul ramo, una anomalia che non dispiace ai passanti che si credono al sicuro dalle grinfie del gelo e dai maglioni pesanti.  

Innaturale ma vero. Una dicotomia tra un bene che non dovrebbe esserci e un male che tarda ad arrivare. Fiori a Dicembre e alberi ancora speranzosi di potere tenere le proprie fronde.

L’innaturale è una normalità cui la gente non dà peso, qualcuno, quelli meno oberati dai problemi e dal lavoro, si lamentano con affermazioni “non è mica normale questo tempo” ma sono lamentele che sono sempre esistite anche quando c’era la normalità, ovvero decine di centimetri di neve a terra ai primi di Novembre.

    L’aria è un blocco unico di odori cattivi che la mancanza di pioggia non ha levato dal primo strato respirabile per gli umani. Perché è nel substrato dell’universo che tutti noi viviamo, mescolati, amalgamati, stipati, ancorati alle fabbriche del putridume, rifiuti organici, rifiuti industriali, il tossico delle nostre auto, delle nostre discariche. Noi respiriamo per come viviamo. Ma c’è quest’angolino di paradiso lungo il lago di Neuchâtel, questa cittadina senza molte pretese turistiche e poco chiasso. Oscenamente ancorata al proprio lento sistema di vita.  Qui la natura ha un suo centro biologico. Un corpus fragilis che ruota intorno ad un sistema equilibrato.

    Il lago detta le regole e tutta la zona le osserva rigorosamente. Il paesaggio è ben diverso dalla valle, qui le colline si mostrano con gli alberi nudi e centinaia di gabbiani incuranti dell’uomo che usano i tetti delle case come parchi giochi.

Vaud è una fioriera naturalmente per il genere umano che apprezza tale paesaggio. Non ci sono inverni troppo rigidi o estati troppo afose, c’è il Lago di Neuchâtel. Il lago è un pozzo di stelle d’estate e d’inverno un gigante grigio che specchia le nuvole, ma il territorio non vanta soltanto il lago, ha anche una delle più potenti e mal sfruttate stazioni termali della Svizzera occidentale. Le acque solforose erano già rinomate tra i romani. Le terme però non hanno avuto la stessa fortuna nei tempi moderni e nemmeno la carica naturale con la presenza di più di diecimila animali. Le rive del lago e il territorio, ospita una grande varietà di uccelli e nemmeno questo è riuscito a fare decollare l’economia della città, sempre così sonnolenta e dannatamente francese.

    Questo vivere sonnecchiante, questo torpore abitudinario così poco effervescente che sommato al cielo di un azzurro lindo e assente non fa che sigillare, più che confermare il detto, “tutto scorre sotto il cielo”.

In verità il caldo anomalo influenza senza portare beneficio, ogni respiro. Questa falsa pista estiva, questo velo di leggera insonnia è una maschera. Qualcosa della quiete sembra raccapricciante. qualcosa della calma affonda nel sangue il suo insano ottimismo.

    Ma no! E’ inverno! dovrebbe fare freddo e l’uggioso storpiare il panorama! ma non è così. Le stagioni non più manipolate dal destino o semplicemente dalla natura del pianeta, confermano il nostro modo di vivere, malato. Sul lago però il voli di qualche vivace pirata dell’aria, sembrano degni di osservazioni.

Le piroette e le acrobazie dei gabbiani potrebbero rubare qualche sorriso, ma alcune gocce di pioggia di tanto in tanto, interrompono il perfetto. Il quadro diventa una normale cartolina di fine autunno e l’occhio si sposta sugli alberi calvi che si bagnano i rami nudi nelle trasparenti rive di colore verde chiaro. Un verde triste che mostra tronchi inabissati e altri brutture della morte che gli inevitabili temporali hanno portato con sé.

Il fermo immagine ruba un attimo di malinconica eternità destinata al genere umano, così incurate di certe meraviglie e sempre alla ricerca di cose che siano visibile spettacolo di sé e non di intima bellezza.

 

   Venti Dicembre. Primo mattino. Sopra l’orizzonte Yverdon Les Bains nemmeno una nuvola ma il cielo all’orizzonte, è così scuro da pensare che a qualche chilometro di distanza, ci sia una terribile tempesta, cosa non vera, di vero c’è che si sta avvicinando una perturbazione sbucata dal nulla ma avvertita da molte stazioni meteo le quali prima di mezzogiorno daranno l’allarme di una bufera di neve imminente, cosa che tutti, proprio tutti i paesi e non solo Yverdon, prenderanno alla leggera. Nel frattempo le luci festive sui viali, sono ancora accese. Nelle case più del rumore delle televisioni di cui tutti ne dispongono più di una, c’è quello dei cellulari e delle macchinette del caffè o del microonde che scalda ciotole di latte o dolcetti surgelati. Nel mondo degli zombie, l’unica gioia certificata è il momento intimo con se stessi in bagno, la pace dopo i bei o i brutti sogni di cui si scordano le sfumature, poi c’è il fastidio del doversi necessariamente lavare, preparare e vestire per andare fuori, mentre il ricordo delle coperte ancora calde, chiama gli spiriti, quasi fossero delle sirene ammalianti che promettono la felicità dell’ozio. La zombificazione è una fase umana intermedia prima della totale regressione nell’alienazione. Depressione stagionale, depressione emotiva o semplicemente disadattamento all’infelicità. Chi non vuole essere felice?

    Il grigiore mattutino è ossessionato dal peso di colore azzurro che spinge contro la forza di gravità dalla stratosfera e l’allucinato colore che ne deriva dall’impasto dei due, è una cataratta malinconica e snervante, ecco perché molti di noi camminano con la testa piegata e fissando l’asfalto, per il troppo peso del cielo sulla nuca.

L’alba sopra la cittadina, si stira pigramente il corpo ancora addormentato. Le temperature si sono sensibilmente abbassate ma sono nella normalità della stagione. Piccole gocce di pioggia ghiacciata ma tanto piccole, troppo per dare l’impressione di una importante perturbazione, si fermeranno da lì a poco.

Causa l’inquinamento e il surriscaldamento globale, la siccità autunnale e di conseguenza invernale, sta colpendo l’intera Europa occidentale. Non piove da cinquantatré giorni, sarà poco? I professionisti parlano di surriscaldamento globale, di inquinamento, i fumi invasivi delle industrie concentrate nelle grandi città.

    Una televisione accesa e ad alto volume mostra l’evoluzione meteo durante le festività natalizie sulla cartina dell’Europa. Una giovane giornalista bionda, in abitino rosso che si accompagna al colore del rossetto sulle labbra, annuncia sorridente la grande perturbazione proveniente dal nord, mentre mostra con tutto il suo entusiasmo giovanile, le protuberanze dei seni che si intravvedono dalla voluta scollatura che arriva fino a quasi l’ombelico. Con la spavalda ironia, sicuramente suggerita dal  ‘gobbo’ dinanzi a  sé, prosegue nella sua attitudine di giornalista che sta per lanciare la notizia del secolo.

    “Possiamo sperare in un bianco Natale, la giovane dal carattere molto spigliato, ammicca un sorrisetto ironico, stringe un pochino gli occhi per sbattere un paio di volte, le lunghe ciglia finte e fa una lunga pausa per mostrare una posa  della propria figura molto snella che la telecamera cattura, mostrando allo spettatore, il pepe di quello spirito e la sua audace sessualità. L’effetto finale della posa è una battaglia sul capire se lei “ci fa o ci è”.  La sua vocina riprende la telecronaca delle previsioni, sempre in una posa studiata per catturarle il profilo con più impatto televisivo.  Finalmente ci serviranno il cappello e i guanti. Precipitazioni in arrivo.  Seriamente. Siamo giusto in tempo per comprarli se non li trovassimo nel cassetto dell’armadio perché ci dicono che ne avremmo davvero bisogno. Forti venti oltre i settanta chilometri orari, in arrivo dal nord Atlantico, masse artiche si incontreranno con una perturbazione in arrivo dalla Siberia. Una roba davvero esplosiva e vi assicuro le temperature saranno polari. Cosa dovremmo aspettarci? Neve e neve? Neve.. Un'irruzione artica con due profondi vortici di bassa pressione, fusi in una unica allarmante cella glaciale, abbasserà drasticamente le temperature che non si limiteranno ad essere sotto la media stagionale, ma diventeranno polari. Si teme uno stato di emergenza su tutto il continente ma le autorità hanno già provveduto affinché i cittadini non debbano temere per i rifornimenti durante le feste natalizie. Per la gioia die bambini e non solo, tra meno di ventiquattro ci dicono, i fiocchi di neve faranno la loro comparsa su tutta la Svizzera occidentale per poi allargarsi all’intero paese.” La voce sottile della giovane, riempie di altre notizie la stanza ma nessuno l’ascolta, gli occupanti della casa sono presi dalla fretta per la colazione e i preparativi di un’altra giornata frenetica.

    Sei e ventisei minuti. Lui spalanca gli occhi chiarissimi e irreali. Sopra la federa di azzurro slavato che copre un cuscino malaticcio e vecchio più della pianta in corridoio, il suo capo non trova pace. Ciocche dei lunghi capelli si sono  annodate alle asole del cuscino. Per l’intera notte,  il dolore al dente lo ha strappato al sonno. Per tutta la notte si è sentito strano e ha sudato un sacco, come quando aveva la febbre alta e il pigiama diventava un asciugamano stropicciato sotto la schiena. Con le auricolari nelle orecchie e Alt J a volume massimo ha provato a curare quella insolita insonnia. Usare la musica per dimenticare il fastidio del non dormire, non ha funzionato. Suo padre, stanco dopo aver chattato tutta notte, Xilo ha preferito evitare di svegliarlo. Per fortuna il mattino è arrivato presto e uscendo, avrebbe dimenticato quei strani pensieri di cui non ricorda più nulla.

Ha sentito certe voci nella sua testa, una lotta contro qualcosa che ha smesso di innervosirlo, qualcosa che sa che non è lui ma che ora fa parte di lui. Sebbene stanco, Xilo si sente di buon umore che aumenta col pensiero alle parole di un poeta moderno che lui è certo di non avere mai letto, quale bambino legge una cosa del genere ” La mente è un’amante agitata, che tu preferisci addomesticare lentamente, come se ne fossi un devoto discepolo, perché’ lei e non il tuo corpo, apre le porte a tutte le più grandi soddisfazioni.” eppure il solo pensarle, gli aumenta il tono gioioso del risveglio, quasi fosse la prima volta che alzandosi, vede un corridoio, un bagno e uno sciacquone che scende nel tubo di scarico e a sua volta manda il tutto in modo diretto alla ragnatela fognaria sotto la pavimentazione stradale.

La sua immaginazione in quell’istante, è così fervida che riesce a vedere l’intero, disgustoso processo che termina nei grossi pozzi del depuratore.

    Nel suo capo, le scintille di nuove idee si accendono continuamente, mentre il corpo si veste come un automa e qualcosa come una colonna sonora, un miscuglio tra la Marcia dell’Imperatore e I Pirati dei Caraibi continua a tamburargli dentro. Una cosa è costante, una voce estranea che gli brontola nei pensieri, un desiderio pressante di uscire di casa, quasi le mura invece di offrire calore, fossero una prigione. Dopo essersi spazzolato energicamente i denti inferiori, sempre a ritmo di una musica che soltanto lui ha in testa, evitando il canino colpevole di non volere cade, dopo aver rosicchiato un paio di cioccolati per colazione, tolto il cellulare dalla carica, acceso il pc per scaricare ossessivi giochi da guerra da UTorrent, messo in carica il joystick della sua PS3 che venera come una divinità, dopo aver caricato Cerbero e rubato dieci euro dal portafogli del padre, esce,  sicuro di aver svegliato il genitore che negli ultimi periodi, passa più tempo sul sito d’incontri e siti per cui persino i ragazzini come lui hanno smesso di arrossire, che nel mondo dei civili. La dipendenza da certi fattori e certi desideri, è come una prigione per lui. Probabilmente è quello di cui ha bisogno, lo giustifica il figlio, il sesso virtuale è un’abitudine scontata e a portata di qualunque idiota, le donne che piacciono al padre sono tettone e bionde, tutte colpevoli di un sorriso che sembra avvolto in una pellicola di plastica. Il pensiero di avere una di quelle come mamma, lo fa rabbrividire. Con lo sguardo disgustato dalla teoria sull’amore del padre, controlla nuovamente che i soldi siano nella tasca dei pantaloni e fissa Cerbero che ricambia lo sguardo, quasi abbia capito la sconcertazione del ragazzino.

    Gli uomini cercano una prigione per ripararsi quella cosa fragile che non sanno esprimere, anche lui la possiede, è un vago ricordo della madre, associato al dolore ma appena questo ricordo si presenta, lui lo nega, lo cancella, fa altro. Ha un talento e lo coltiva, di nascosto, incassando l’acidità e smaltendo quell’odio verso le cose senza senso che lo circondano. Ha bisogno di soldi, chi non ha bisogno di soldi, suo padre ha bisogno di soldi, le cose belle costano soldi e senza soldi, la vita insegna che tutti restano delle ombre che nascono che muoiono senza essersela goduta, spassata? Non vuole vivere fissando le sue giornate su un calendario che si ferma soltanto ad Agosto e per la festa di Natale.

Un formicaio con porte aperte, dove solo chi ha soldi può scappare. Uno dei suoi sogni, è  imparare a surfare su una di quelle onde spaventose per molti ma non per lui. Ha una tavola da surf, regalo di suo padre ma serve unicamente ad abbellire la parete della sua stanza.

Xilo accende velocemente il portatile del padre, visualizza la cronologia, tutti siti porno e d’incontri e prima di spegnerlo, usa CCleaner per una pulizia generale. Come non detto, sempre le stesse cose, mormora il ragazzino, cercando di sistemarsi i capelli lunghi e fini che gli ricadono sugli occhi.

Beato te che sei sempre abbronzato, gli passa in mente questa frase, riferita al colore caffelatte della sua pelle e detta con scherno da uno di terza, un bullo che dopo averlo preso in giro per mesi, l’ha aspettato fuori, quando tutta la scuola era già andata via e lui cercava di sistemare la gomma sgonfia della bici, per picchiarlo. I lividi li ha giustificati con suo padre con una bugia, bugia che l’uomo, troppo preso dal suo nuovo lavoro, dalla ricerca di un amore mai trovato e di piaceri virtuali, ha bevuto ingenuamente.

    Si è picchiato altre volte con Jumbo, questo è il soprannome di Martin Frayer, un bisonte di muscoli e grasso che per qualche sconosciuto motivo, piace  e questo lo fa sentire un leader indiscusso delle terze e soprattutto sovrano di quelli di seconda, come lui. Non importa, lui non ha bisogno di nessuno per sentirsi importante. Il suo miglior amico dopo Cerbero è una ragazzina, Alise con cui gioca online a Destiny e cui confida tutte le cose, cose cui lei sicuramente non deve credere così lui recita la parte di un nerd con un talento per la melodrammaticità e la recitazione. Alise non conosce il suo vero nome ma il suo nickname, quello che usa anche con gli spacciatori “Predator222”. Lei è figlia di Lidia Mare, donna italiana, sentimentalmente sola che bazzica i siti d’incontri e in cerca di un partner che non la veda come un ostacolo alla sua indipendenza, soltanto perché lei ha figli e che lui è quasi certo sia passata per il letto del padre. Alise prende le sue pillole, gli racconta, mentre giocano e fuma metà delle sigarette che ruba alla genitrice troppo presa da una vita cui deve ancora trovare un senso che dalla figlia adolescente. Ogni tanto la ragazzina, racconta a Xilo di quanto vorrebbe spargere la polverina di alcune di quelle pasticche nel caffè della madre, prima di dormire per poi soffocarla nel sonno. E’ troppo stronza, ripete instancabilmente lei, mentre Xilo ascolta e basta, i pensieri di Alise, non sono i suoi, lui ha altri progetti, altri incubi, altre responsabilità. Il male è sensibile ai piccoli come ai grandi problemi e condiviso, diventa sopportabile.

Certe ingiustizie le ha subite sì e anche di più gravi, essere un tramite per gli spacciatori, significa dovere rischiare di non essere pagato, di essere inseguito e magari di finire in un cassonetto se qualche dose sparisce e lui non restituisce i soldi al fornitore ogni sera. Ricorda bene, le volte in cui si ì nascosto nella spazzatura per sfuggire a un losco che l’ha minacciato con la pistola e lo voleva stuprare. Da allora ha trovato il rimedio, un Taser, che porta nella giacca di jeans e da cui è inseparabile, quasi quanto il cellulare. Potrebbe proccurarsi una pistola, per qualche motivo non l’ha ancora fatto ma se dovesse accadere un’altra violenza di sicuro la prenderà, certi maiali meritano di morire.

Piccole cose pensa Xilo, mentre accende il cellulare, sei e quaranta, ha tempo, gioca coi tasti cambiando sfondo al display, una immagine nera, con al centro un imbuto in fiamme. Non attenderà le sette e otto minuti, suo padre avrà di nuovo le sue crisi e come sempre si dimenticherà di aver dato di matto per così poco. I minuti possono essere un problema per certe persone. Pensando a It, uno dei suoi film preferiti, chiude dietro di sé la porta di casa e scende la piccola e vecchia rampa di scale a chiocciola. Esce in strada che c’è ancora buio, ma non un buio qualunque, bensì una oscurità tetra, priva di fascino ma inamidata con umidità si appiccica alla faccia del ragazzo che sorride.

    In quell’istante gli torna in mente la scena di “Avanti Silver!”, così spronava il suo cavallo, la sua bicicletta il protagonista di It, come avrebbe chiamato la sua bicicletta’ ecco il problema del giorno, avrebbe dovuto trovare un nome per il suo cavallo di battaglia? In attesa di potere guidare una vera macchina, e il suo pensiero più forte sarebbe di rubarne una per provare, spinge la bicicletta oltre l’angolo della strada, guardando alle finestre ancora buie.

    “Che ne dici Cerbero? Neve?”

Il gatto sembra scomodo e continua a muovere lo zaino nella cui tasca interna, ci sono undici pacchettini e ognuno di questi con otto pillole verdi,  tutto per centocinquanta, offerta speciale di Natale. L’animale non ha alcuna intenzione di mostrare il capo, nemmeno quando Xilo prova ad alzare il coperchio di tessuto per guardarlo ma la sua zampa continua a graffiare il tessuto interno, vorrebbe liberarsi. Xilo gli sorride e lo richiude dentro.

   “Non importa, oggi è un giorno speciale. Iniziano le danze.” inspira lui profondamente, tirandosi il capellino a strisce colorate sulla fronte e stringendo intorno alle dita, i guanti che cominciano a diventargli piccoli e stretti. Col mondo ancora sul bisbiglio di una sveglia, lui si lancia in strada e i suoi occhi, quasi assaporano il nuovo mondo, come se non avessero mai captato prima le piccole cose. I rami quasi spogli degli alberi, le pietre in strada, gli odori dai camini, i prati, i muri in alcuni punti sgretolati, la pipì degli animali contro i lampioni, mozziconi di sigarette, spazzatura nei cestini, i portoni verniciati con approssimazione, le finestre, dove si accendono le prime luci, rumori di motori accesi, cespugli, un aereo sopra le nuvole che si spinge avanti.

    Xilo Ten Boch in sella alla sua vecchia biciletta, pedala vigorosamente,  anche se è conscio che cappello, guanti e sciarpa,  non possano fare molto controvento ma a lui il freddo non fa un baffo, confronto al dolore del canino superiore destro che dondola dolorosamente e aspetterà che faccia veramente male, prima ti tirarlo via. Il dolore per un inconscio motivo, e da poco meno di ventiquattrore, gli piace, lo fa sentire vivo. Il dolore cancella l’assenza di una madre e l’indifferenza del padre. Il dolore è quella costante nel corpo umano che dà un senso alla vita ed è proprio il dolore, a spingerlo a sentire la gioia in una giornata altrimenti uggiosa, instabile e tremendamente priva di spettacolarità. Xilo usa il manubrio della bicicletta quasi fosse uno joystick, oh se solo il mondo fosse come in Destiny, lui avrebbe la sua armature, le sue armi di precisione, la sua super pronta per dilaniare il nemico, ma la vita non è un video gioco e c’è una sorta di urgenza in lui a volerla rendere splendida.

I suoi occhi sono vivaci, nemmeno una traccia di sonno o stanchezza, ha un sacco di cose da fare e la stanchezza a quasi undici anni non è contemplata. Xilo corre a scuola, mancano due giorni alle vacanze e la città senza traffico, offre panorami di cui non smette di saziarsi. La sua bici è in mezzo alla corsia e lui pedala, pedala con forza quasi ci fosse un fuoco nelle sue magrissime gambe. Il problema con i capelli che sono così lunghi e che raccoglie in doppia coda dura da undici anni ma i capelli non sono l’unico problema, non sopporta i vestiti, soffre di caldo e nonostante le discussioni con l’unico genitore rimasto, le promesse e i giuramenti che metterà il giubbino rosso, quello imbottito e preso ai saldi di primavera da Wim, lui a Dicembre, gira ancora in t-shirt la sua preferita “se vuoi spezzare le gambe a qualcuno - non ti drogare” , quella che si può indossare per più di un mese senza puzzare e con la cappellino per tenere in ordine i suoi amati capelli, sciarpa che nasconda il tatuaggio di una frase a lui cara “la droga è per i forti ma l’astinenza è per gli immortali” sul collo che nemmeno il padre distratto ha visto e con i guanti per coprire le unghie rigorosamente dipinte di nero. Non ricorda per quale motivo e da quando lui detesti l’acqua in tutte le sue forme, anche se vuole fare il surfista, ma l’apprezza, quando questa diventa ghiaccio, neve o pioggia, in questo caso, Xilo resta ad ammirare i rovesci come un poeta la propria opera, quasi i temporali, le tempeste di neve, fossero di natura sentimentale.

    Xilo non porta mai uno zaino pieno di libri, lo zaino in spalla gli serve per le dosi e per Cerbero, i libri li dimentica a casa, volutamente perché lui ricorda tutto. No ha bisogno di un’agenda, ha il suo telefono, il suo telefono è il suo libro contabile, la sua banca e il suo Master Chef.

La memoria è la sua vera banca, se dovesse perdere il cellulare, niente problemi, conosce tutti i suoi clienti, i loro debiti e i loro crediti. E’ un dono di natura o semplicemente fortuna, i suoi professori negli ultimi tempi sono traumatizzati dalla gestione dello studio del ragazzino. Pensano sia un problema famigliare ma a Xilo le questioni politiche del suo vivere non interessano, la sua libertà prima di tutto e finito l’orario scolastico, il ragazzino torna in sella alla sua biciletta e gira per le strade di Yverdon, non tralasciando quelle periferiche, dove è certo abiti la gente più interessante. Bigiare? Sì, potrebbe ma Xilo non vuole che il padre si intrometta nella sua la vita, dandogli più problemi di quanto l’adulto insolvente non gli stia già procurando. Essere ragazzini non è facile. La cosa che gli fa perdere sempre il sorriso, è il fornitore. Quel maledetto italiano non è mai onesto, cambia i prezzi in base all’umore, sia lui sia il barbuto con faccia da talebano non ispirano fiducia. Xilo medita sul come levarli entrambi dal giro, nel frattempo il gatto inizia miagolare che si un segnale?

Il ragazzo torna di buonumore. Il suo sorriso è simile a quello che si vede nei film con gli angeli, una parata di denti bianchi e due fossette da fare perdere la testa a una platea di settatori,  il suo volto è irradiato da una luce abbagliante e innaturale, la stessa che accende un paio d’occhi verdi che tagliano il fiato quando gli si guarda in profondità, nei e lentiggini.

    In questo giorno, in particolare, c’è qualcosa come una fiamma rossa, cosa rara da vedersi nell’iride umana, delle pagliuzze ardenti che svaniscono se l’occhio di allontana dalla luce e Xilo non ci fa caso perché non è di certo un angelo. E’ certo che in lui abitino tante persone o spiriti che continuano a dirgli cosa fare e cosa pensare. La sua pelle scura, la sua altezza sopra la norma, la sua magrezza e il suo vestire disordinato ma colorato, sono cose che mettono in risalto sia i capelli biondissimi sia gli occhi chiari, ecco tutto. Certo che tutte le ragazzine della scuola lo fissano, lo adorano, cercano il so saluto ma lui ha una freddezza per quello che riguarda i sentimenti. Certe emozioni non fanno ancora per lui. Gli basta correre sulla sua bicicletta e pensare, ascoltando la colonna sonora nella sua testa, ha un sacco di cose a cui pensare, cose importanti anzi di vitale importanza, cose che altri non capiscono o non concepiscono.

La sua città è al sicuro da quando è lui a vegliare sulla gente che nemmeno lo vede, lo nota, lo considera.

Xilo è connesso al mondo da un cellulare così usurato da sembrare vecchio, è così consunto che potrebbe avere una datazione storica, ma lui considera quell’arnese, uno strumento di lavoro, l’arma per uno che sta andando in guerra. Non è vecchio il suo telefonino, come tutte le cose indispensabili, ha i segni delle cadute, delle chiavi nello zaino e delle mani unte merito dei “fritz” di pollo Ali Jarjah, polpette piccanti e fritte in quantità industriali di d’olio motore. Il suo smartphone è una bibbia moderna per adolescenti con numeri di telefono di persone che non chiamerà mai ma di cui ha la vita nel pugno, è zeppo di fotografie, indirizzi, pagine internet di offerte speciali nel reparto Games Stop, pagine vietate ai minori con email e password del padre e naturalmente listini prezzo che cambiano regolarmente. E’ così tecnologicamente avanzato che potrebbe fare le pizze. Xilo non ha la zona ma copre “le urgenze”. Non bazzica la strada per il rifornimento, gli mandano messaggi del tipo “compro i tuoi giochi ps3 a 150€” oppure “mandami quelle cuffie in prova”. I soldi li tiene rigorosamente all’aperto, senza lucchetto ovvero nel ferro che tiene il sellino della vecchissima bicicletta. Il tubo ha una capacità di centomila euro e i risparmi li esporta alla Tesoreria, così chiama lui la sua PS3 dentro cui conserva i risparmi. Che cosa farà con i soldi? Non lo sa. Sicuramente comprerà una casa a suo padre e inizierà degli affari più dignitosi, quando uscirà dal giro, prima di farsi, prima che lo uccidano o peggio, quando arriverà una nuova concorrenza dei cinesi o dei slovacchi. La sua mente a undici anni funziona continuamente, forse per questo e non per il dolore al dente che dondola che non riesce a dormire.

    La mattinata del venti dicembre, mentre Xilo pedala verso la scuola, qualcosa di grandioso, un vero progetto sbucato dal nulla nella sua mente, illumina gli occhi del ragazzino.

La sua improvvisa fretta di raggiungere i banchi, sopra cui farà un pisolino fino al primo richiamo del suo professore, svanisce. Qualcosa nell’aria che sta respirando, qualcosa di inodore ma di insolito, raggiunge le aree più remote del suo cervello.

In quel momento quasi percepisce il bene e il male di tutti quelli che abitano nel paese, percepisce la natura e si sente parte integrante di qualcosa più grande di lui. Una insolita miscela di rabbia, d’amore, di repressione, di stanchezza, di dolore, di gioia, di soddisfazione o di apatia. Ogni essere umano di quella città  Una cosa bizzarra, una strana energia arriva alle sue mani che stringono il manubrio e nella direzione opposta a quella della scuola, lui inizia a pedalare, quasi avesse dei grandi progetti per tutti loro.

    All’orizzonte i colori dell’alba cambiano, si mescolano e si caricano di energie universalmente opposte, ma ancora nessuno sa di cosa poiché nessuno sta guardando il cielo, se non un tenero innocente ragazzino in sella alla sua bicicletta la cui ruota anteriore fa uno strano rumore, di lima che gratta con la punta affilata, la superficie di una lavagna e questo suono stridulo e terrificante, fa sorridere ancora di più l’animo del giovane atleta. Dallo zaino in spalla, Cerbero che ha spinto con fatica il collo pur di emergere dal buio , osserva qualcosa, come un mondo nuovo, non illuminato dai lampioni perché ancora primo mattino, ma da alcune nuvole cariche e pronte a riversarsi. Il pensiero del candore bianco si trasmette al ragazzino che telepaticamente, sorride non aspettandosi nulla altro che  qualcosa capace di farlo sorridere, qualcosa di impossibilmente grandioso. Nella sua testa i lupi iniziano a correre per le strade e sente le urla di paura, le grida degli innocenti poi gli spari, la rabbia, la violenza.

    L’abbassamento della temperatura e il nuvolo scuro all’orizzonte,  s’abbinano perfettamente ai suoi pensieri concentrati su tutta quella umanità distratta dalle cose più semplici, quali un’alba invernale senza nuvole e in attesa di qualcosa di straordinario. La meta di Xilo, prima di andare a scuola, è la libreria dell’amico padre perché in vetrina c’è qualcosa che gli dona ispirazione, ogni volta che ne guarda la copertina.

    L’alba si dirada, lasciando al giorno la responsabilità di affrontare i primi grandi eventi. La contaminazione artistica di quell’opera sullo scaffale, illumina le sue giornate di ragazzino e l’opera non ha altro nome che “Te stesso simile al tuo Dio” e questo gli regala un sorriso, quel libro è invenduto da più di tre mesi e la cosa, per un inspiegabile motivo, lo esalta.

Un miagolio proveniente dallo zaino, sembra voler dire qualcosa in merito, ma non ha importanza in quel momento. Piccole cose pensa Xilo e ciò che osserva, diventa dinamico nella sua immaginazione. Apre lo zaino prima di ripartire. Il gatto vorrebbe uscire ma lui infila la mano e lo ferma.

    “Le cose accadono, semplicemente perché devono accadere, giusto?” si rivolge lui al gatto che lo fissa con occhi illuminati da chissà quale riflessione sull’umanità.

    “Tu pensi troppo, ma te l’avevo già detto, vero?” ma la sua domanda non attende risposta, non sarà mai interessante quanto, ciò che accadrà. Chiude lo zaino e riparte. La sua idea di inverno comincia a farsi sentire. Il freddo non è più uno scherzo e sulle braccia del bambino ci sono i brividi che lui ignorerà perché qualcosa di simile a un inferno abita dentro il suo corpo.

Non è vero che a tutto, ci debba essere una spiegazione e se accadessero delle cose, dove non ci fosse alcuna spiegazione? Nulla di fantascientifico, piccole cose mai percepite dalla gente nella normalità. Con la meno contemporanea ma intensa Danse Macabre, la suoneria del suo cellulare inizia a farsi sentire. Sette e otto minuti più venti secondi, puntuale.

    “Dove Diavolo sei? Hai meno di un minuto per rispondermi, e nella mente di Willem inizia la conta, cosa che lo fa sudare, ti decidi a rispondere?” gli domanda Wim, mezzo nudo e di ritorno dal bagno ancora più assonato e trepidante. Nel suo cervello la conta ha inizio, è una cosa che lui non può controllare.

    “Dove Diavolo sono, mancano sedici secondi e per risponderti ce ne vogliono quindici, ecco ho esaurito già sei secondi, credi di farcela a sentire la mia risponde il ragazzo, sono Diavolo non lo so, ma sto andando a scuola.”

    “Mezzo minuto in più, dai ce la posso fare. Ma è buio, potevi svegliarmi, ti preparavo la colazione?” l’uomo continua il conteggio del tempo che resta al telefono col figlio.

Probabilmente sono più di quattro anni che non prepara la colazione a suo figlio ma Willem Ten Bosh ha perso la conta del tempo e gli sembra che l’ultima volta che loro due hanno fatto colazione insieme, sia stato il giorno prima. Wim sta utilizzando trenta secondi del minuto che avrebbe dovuto dedicare per controllare la barba. Xilo non sa se dirgli della morte di David Bowie, la sua pop star preferita “We can be Heroes” è anche una delle preferite del ragazzino, meglio di no, medita, il padre perderebbe la conta e tutta la sua giornata andrebbe in fumo e lui diventerebbe paranoico.

    “Niente colazione, dal tono di voce si sente il buon umore, non ho tempo, ci vediamo alle due. Hai risparmiato venti secondi se chiudi qui.”

Xilo ha fretta e quel genitore responsabile ma in ritardo di qualche anno, gli sta rubando tempo prezioso. E’ cresciuto in fretta Xilo, in fretta e arrabbiato. Ci sono lezioni nella vita peggiori degli schiaffi, l’indifferenza di un genitore, la mancanza dell’amore di una madre, l’insicurezza profonda di restare poveri.

    “Va bene, va bene, sbiascica il padre ancora assonato, ma fai attenzione. Ah! A proposito, mi è arrivata una email per quelle tue cuffie, hai avuto un’offerta, devo rispondere?” venti secondi esauriti.

Xilo cerca di immaginare chi dei cento clienti era così disperato.

    “Dopo, quando torno a casa, lo chiamo, credo di aver chiesto troppo poco.” chiude la conversazione Xilo. Wim si accontenta della risposta, dieci secondi risparmiati su un ritardo di più di mezzo minuto e torna alla sua frugale colazione e allo stiro di una camicia che sembrerà lo stesso stropicciata. Due minuti per stirare e pensare. E’ un periodo di passaggio, pensa, passerà e lui risolverà con lo stesso spirito positivo, tutti i problemi che si aggravano sulle sue spalle. Xilo è uno di quei problemi che non sa e non riesce a gestire. Non vuole pensare al futuro che non può dare a suo figlio, magari tra qualche anno, s’inganna lui, tra qualche anno le cose si metteranno a posto.

    Piccoli fiocchi di neve e un leggero soffio di vento, i  suoi occhi notato tutto. Il tempo che gli sfugge, il tempo è quello che gli manca. Aria gelida ma soprattutto silenzio come una colonna sonora armoniosa a un quadro perfetto che la natura dipinge con mani lente in un mondo ancora dormiente. Continua a pensare alle sciocchezze. Un panno leggero sui tetti delle case e qualche strato di ghiaccio morbido vicino alle bocche dei camini che fumano con la spinta delle caldaie prese a lavorare.  Strade non ancora pulite e marciapiedi con il volto scuro coperto da una piccola magia bianca, quanto basta per togliere al tetro la sua imponenza e alleggerire il senso di oppressione della città così affollata da aver occupato ogni spazio verde, ogni centimetro di natura incontaminata.  Gli alberi non hanno perso del tutto le foglie e qualcosa del loro antico splendore è rimasto a terra, accatastato in piccoli cumuli color ruggine intorno ai grandi tronchi.

    La bassa nuvola della nebbia si mescola al fiato freddo dell’aria. Il vento aumenta gradatamente il suo ritmo. Più di ventimila di persone assorbiranno la neve da ogni cosa che il bianco stato capace di contaminare durante quelle ore mattutine, edifici, muri, piante, strade, rive, battelli, animali, uomini.  Due chilometri dal centro città e alle sette e dieci del mattino, c’è già luce nelle villette a schiera con il giardino ordinato e voci che sommersamene imprecano prima ancora del primo sorso di caffè. Il ferro da stiro sul colletto ha lasciato un alone marrone, dieci assecondi in più ed è già fuori orario.

    Poco prima che i secondi raggiungano i minuti trenta delle ore sette del mattino, il display del suo telefono mostra una serie di messaggi su Whatsapp, tutti della stessa persona e seguiti da varie faccine tristi,  faccine di  animali che sorridono, cuoricini e persino delle stelle. Lo strillo impietoso del cellulare sul comodino scuro, smuove le palpebre del volto di un uomo avvolto nell’angoscia totale a cosa deve rinunciare, al caffè o a legarsi le scarpe? La sveglia della cucina continua il suo allarme senza tregua e lui entra di corsa, con la sua mano cerca di spegnerla, non dopo un sospiro e la sicurezza che quelle lame di luce taglienti che sfregiano i suoi occhi, non siano proprio benvenute. E’ in ritardo. L’angoscia si trasforma in terrore. Ha sette secondi per decidere a cosa rinunciare, ma la sua mente è invasa, l’ordinario di una nuova giornata, riduce al minimo il piacere dell’ultimo sogno. Lui cerca di ricordare le forme della donna che gli ha rapito i respiri durante quella cosa erotica e senza sesso, quel gioco di baci e di abbracci adolescenziali. La sua erezione è testimone delle ultime scintille rimaste in lui di quella illusione. Si toglie il pigiama e si guarda l’addome non prima di aver preso un lungo respiro. Tre minuti sotto la doccia, non ha nemmeno dato il tempo all’acqua calda di salire lungo le tubature. E’ entrato, ha sminuito la sua erezione ed è uscito poi ancora bagnato e non prende il primo asciugamano grande, appeso davanti a lui ma solo quello piccolo, dietro la porta per asciugarsi la faccia.

    E’ nudo e davanti allo specchio. Si piazza davanti al piccolo lavandino per radersi ma cambia idea non ha tempo, decide di lavarsi i denti, le mani, per altro non c’è tempo. Ha tre minuti per spazzolarsi i denti, cosa che compie perfettamente in orario. Eliminando la rasatura, ha guadagnato quaranta secondi.    L’orario è il suo cappio, non può trasgredire, soffrirebbe, starebbe troppo male. Tre minuti per infilarsi maglietta e camicia a righe azzurre, ha il collo consumato, osserva lui, un minuto per la cravatta, due minuti per i pantaloni e la cintura chiusa al secondo buco. Una goccia d’acqua sulla camicia e i suoi occhi pieni di terrore fissano l’orologio, quaranta secondi, potrebbe facella, corre in bagno e prende il phon il cui getto caldo finisce con l’asciugare la goccia d’acqua nel cotone. Prima di indossare le scarpe, ha aggiustato le calze blu sui polpacci. Ha fissato le scarpe in ogni punto perché fossero lucide poi è passato ai lacci, dovrebbero essere pari non uno più lungo e l’altro più corto, altri cinque minuti per scarpa per correggere l’errore. Modificata la lunghezza dei lacci li lega. I pantaloni cadono appena tre centimetri sopra il tacco e le maniche della giacca, mostrano tre centimetri di camicia, è perfetto. Gli restano quattro minuti. Gli manca una cosa soltanto. Sul comodino guarda la piccola scatola rotonda blu, le sue mani arrivano al coperchio che con l’indice sinistro fa volare sul pavimento, lui trascura il fatto e prende due, delle venti pastiglie blu, ansiolitici, si legge sull’etichetta. Le manda giù senza acqua. Fissa l’orologio, ancora due minuti e mezzo. Il suo cuore batte molto forte ma lui sa che finirà col calmarsi ultimato l’ultimo atto dell’impresa. Si piega per raccogliere il coperchio che finisce sopra la scatola. Gli occhi sono nuovamente sull’orologio, sedici secondi, adesso è in panico. Deve uscire di casa in meno di sedici secondi, afferra le chiavi dell’auto, cellulare e portafogli, sei secondi due giri di chiave nella serratura, guarda l’orologio al polso destro, un secondo, gli è avanzato un secondo. Domani dovrà migliorare.

Lui si sistema la sciarpa e stringe il nodo della cravatta nera, adesso è pronto per il mondo, pensa davanti alla scala a chiocciola con vecchi gradini di pietra. Scendendo, fissa il soffitto illuminato e conta, la sua è una conta mentale, sessantadue secondi per arrivare al parcheggio, sessanta tre con il primo passo fuori dal portone dell’edificio. In meno di dieci minuti è seduto nella sua auto e in attesa di arrivare alla libreria. Non ha bisogno di guardare l’orologio, ogni tic del secondo è nella sua testa che ha delle lancette e loro continuano a girare, a girare, a girare. Nessuna lei dovrà mai saperlo. Alcuna potrebbe mai capirlo. Guida, leggendo i messaggi e tentando di rispondere a quelli che gli arrivano dalle ragazze che gli sembrano più interessanti, il sito nutre bene la sua necessità di essere in contatto col mondo femminile. La donna italiana continua a corteggiarlo, ci sta, pensa lui, anche se è fuori dal limite d’età, lui le vuole giovani.

    Intanto Xilo spinge il piede sul pedale e la bicicletta avanza nella nebbiolina fitta, concentrata nella zona vicino al castello. Dallo zaino il rumore di unghie che grattano. Un suono impercepibile dall’orecchio umano, corrisponde al desiderio di Xilo che toglie le mani dal manubrio per prendere il cellulare, dove digita dei numeri e nell’attimo in cui spegne il display, i fari di un’auto in corsa l’avvertono dell’impatto, mentre piccoli fiocchi di neve scendono distratti soltanto dal rumore stridulo di una disperata frenata. La neve comincia a scendere e quello non sarà il primo disastro della giornata.

 

    Sempre venti dicembre. Yverdon Les Bains. Alba. Dana Darma, Daniel Augusto Ducréma alla nascita, ma nome poco interessante per l’industria cinematografica, mondo di cui aspira farne parte,  fa il cameriere al Salon Rouge, piccolo ristorantino italiano della città, ma prima di pensare al lavoro, Dana si mette davanti allo specchio e si spalma un generoso strato di crema idratante sul viso. Fa un sorriso per verificare lo stato del colore dei denti, bene, sono bianchissimi, pensa, e torna a picchiettare la pomata affinché penetri e renda vellutata la sua pelle. I pelaci della barba fanno vedere quei puntini scuri che lui detesta, ma gli ormoni faranno il loro lavoro, spera. Fissa il suo fondo schiena sodo e ammira i capelli lunghi scuri molto sfrangiati che mettono in risalto gli occhi verdi e le ciglia lunghissime. Come ogni mattina da cinque anni e forse più, apre l’antina a specchio dell’armadietto zeppo di flaconi colorati, li fissa, con occhi vuoti e inespressivi, uno sguardo già dimentico del sorriso di prima, Dana inspira profondamente e chiude l’antina. L’immagine nell’antina prima e nello specchio, dopo, divergono, prima vedeva il mostro e ora è tornato il ragazzo di prima, che strani pensieri che ci fa fare quello dentro di noi.

Qualche minuto dopo, è in cucina che sorseggia caffè amaro con una fetta biscottata, rigorosamente integrale questa colazione per lui è già abbondante ma deve finire assolutamente con un generoso morso al pezzo di roastbeef al sangue che prende dal frigo e poi rimette  nel piatto da dove l’ha preso per poi sigillare il tutto con la pellicola di plastica e tutto finisce rigorosamente al freddo. Un morso al giorno e tutto passa, o almeno dovrebbe essere così, pensa. Il piccolo rivolo di sangue che gli esce dalla bocca, lo pulisce con il dorso della mano. Tre minuti dopo è nuovamente in bagno a lavarsi istericamente le mani, quasi fino a consumarle con lo spazzolino pieno di sapone e schiuma. Appena le mani ritornano inodori, lui si asciuga, sventolandole e torna a vestirsi.

Non ha mai smesso di indossare l’abito scuro per andare al lavoro, fa molto James Bond e lui potrebbe essere il personaggio alternativo al maschione indiscusso dello schermo. Dana coltiva molte amicizie e la sua rubrica di telefono è zeppa di numeri di amici, amiche, spasimanti sia uomini che donne. Gli piace piacere. Fare l’attore non è altro che il coronamento di quello che gli viene più naturale. piacere. E’ sempre stato innamorato dell’amore e allora perché rifiutarlo, quando arriva, è la sua regola basilare. Amare rende fortunati e soprattutto fa sbrilluccicare gli occhi, cosa fondamentale per uno che deve fare parte del mondo del cinema a tutti i costi. Il suo appartamentino è zeppo di poster con attori del calibro di Benedict Cumberbatch, che lui crede fermamente sia gay sebbene non dichiarato e Johnny Deep è uno di quelli che collezione più flirt gay di tutti i gay di tutti i tempi, Axel Rose e molti altri. Invece non crede che George Clooney sia una icona del sesso e nemmeno che sia un gay, non ha alcuna grazia.

    Dana è sempre stato così, un poco vanesio, molto allegro e molto colorato, cosa che ai suoi nonni materni, rigorosamente germanici dall’educazione ferrea e soprattutto legati al buoncostume, non è mai piaciuta. I colori sono sentimenti, pensa Dana, più li usi più ti mostrano al mondo nella giusta maniera, un raggio di sole da cui bearsi di luce. Sì l’animo di Dana, è una distesa illuminata da continue speranze e sebbene il suo Dio non abbia una faccia e una metodica precisa, di certo è gay e la sua omnia opera per bontà celestiale ha voluto comprendere anche gli etero, eppure la sua prima volta è stata con una sua compagna di classe, lei lo voleva a tutti i costi e nonostante abbia fatto egregiamente il suo dovere, proprio in quel momento, quando stanco, sudato e riappacificato con i sensi, ha capito di essere sicuramente gay.

    L’unica donna che primeggia in mezzo ai poster, è la fotografia di sua madre da giovane, col suo viso ovale, magro, ariano, mascolino quasi, in posa diva anni trenta. Una bellissima musicista che sorride alla fotocamera con il suo violino in mano. Suo padre, niente di che. Uno di passaggio, una entità che non si è costruito nulla, se non la fama di divoratore di femmine. Dana ha superato la frattura tra lui e il padre. Dana è inconsapevole del fatto che più di mezza città è nella sua rubrica del cellulare. La sua abilità a mantenere i contatti è risaputa. Tutti quelli che lo conoscono lo vedono come un clown dall’immagina non ben definita, molto colorato pensano altri ma quelli che lo incontrano per la prima volta, hanno tutti come dire lo stesso piccolo input, quello di sparargli se fosse possibile. Dana usa il linguaggio verbale plateale e non solo quello del corpo che preferisce contenere, lui non è il tipo da “Piume di Struzzo”. Gli piace ridere di se stesso e di quelli che non sanno ridere, anche se sotto la maschera del pagliaccio c’è un mostro che gli assorbe l’energia di vivere e gli ispira la sfida più estrema, quella che dovrebbe compiere se solo avesse le palle. Non fosse la gente che gli scrive, quelli che lui considera amici, sarebbe tutto inutile.

    Riesce a Whatsappare con più di venti amici contemporaneamente e questo, sebbene inconsciamente, sa che potrà un giorno essergli molto utile. Se non ci fosse il cellulare, si ucciderebbe, il cellulare è la sua vita, il suo Oz personale, il suo Mjöllnir.

Prima di diventare la star della città, era un ragazzo gay normale, anzi, un gay disperato. Voleva a tutti i costi trovare un amico, un compagno ma nulla della sua quotidianità, faceva presagire a dei buoni incontri, così fece quello che più di naturale e moderno ci potesse essere, si era iscritto a Matchpartner.com, un sito di incontri. Il suo fidanzato è Milo, fidanzato per modo di dire, in verità non esiste nel vocabolario umano una parola per una situazione amorosa indescrivibile, poiché tra lui e Milo non c’è un vero amore ma nemmeno indifferenza però dormono insieme e quando Milo non è strafatto fatto, anche dei progetti. Dana lo ha incontrato proprio sul sito e Milo non è proprio quello che si dice “un angelo” ma Dana confida nei suoi poteri riabilitativi, anche se Milo, figlio del sindaco, preferisce usufruire die vantaggi che il proprio ceto sociale offre. Dana e Milo non vivono insieme. Dana preferisce conservare ancora un poco la propria indipendenza per dare tempo a Milo a ragionare sulla loro relazione, ovvero fare sì che desideri disperatamente vivere con un cameriere aspirante attore di venticinque anni, anche se nel suo profondo conosce una verità che detesta accettare; Milo non è uno che si fa intrappolare dall’amore, Milo è eternamente innamorato di se stesso e ogni momento della giornata è dedicato a quello che lui vuole o che sente. Una mina vagante, lo ha sopranominato Maximus, il suo amico libraio, quello che costantemente elargisce positività ai suoi amici quando questi sono in calo di autostima.

La mina vagante è ancora iscritto al sito d’incontri e chissà quanti altri farà innamorare o lascerà. Dana preferisce vivere in quella situazione ambigua piuttosto che non avere alcuna situazione sentimentale da vivere.

    Nessuno luogo è straordinario se chi lo abita non lo è. Dana tiene in considerazione alcune creature che per lui sono meravigliose: sua madre, Gary Oldman, Jon Bon Jovi, Benedict Timothy Carlton Cumberbatch,  naturalmente Johnny Deep e anche se non è gay ma potrebbe essere uno dei migliori, il top dei top, uno che potrebbe stare sulla copertina del Times con un sorriso elegante ma ironico, della serie ‘pensavate fossi etero’, il compositore Hans Zimmer.

Dana fa una carrellata sui poster, impressionando i suoi occhi con la postura normale degli artisti in posa che fissandoli ben, se lui non li conoscesse e loro camminassero in mezzo alla folla non li noterebbe nemmeno così torna a ispirare se stesso con “ce la farai”. La normalità è la chiave dell’immortalità. Non dover essere a tutti i costi diverso. La sua diversità è unica, intima non di certo una cosa che altri potrebbero apprezzare, capire e premiare. Se solo suo padre non fosse stato un bigotto e avesse fatto un poco meno retoriche ovazioni alla sanità della coppia e più sull’arte di amare, sarebbe stato congeniale all’unico figlio con cui è stato premiato o punito, questo dipende dai punti di vista. Dana si è messo tutto alle spalle ma certi bagagli restano sempre pesanti da portare in giro senza il rischio di cadere.

Il suo ciondolo con delfino, legato a un sottile filo di pelle torna intorno al collo, lo leva ogni qualvolta si fa la doccia, la schiuma deteriora la pelle e lui non vorrebbe logorare più di tanto il suo porta fortuna. E’ superstizioso e chi non lo è? Il suo cellulare manda continui “tin” di messaggi in arrivo, non si è ancora cancellato dal sito di incontro, ma quando si deciderà a farlo? Non ha ancora una risposta. Lui vuole la fiaba e la sua relazione con Milo è molto lontana dall’esserlo. Dopo aver legato i lacci alle scarpe scure, tirate a lucido ma con il tacco molto consunto, indossato la sciarpa viola che non è appariscente quanto la sua cresta blu, sciarpa che farà girare intorno al collo e senza cappotto,  infila il cellulare nella tasca interna dell’giacca e corre a ingurgitare il caffè dentro cui getta l’ultima pasticca verde rimasta nella zuccheriera, deluso di essere rimasto a secco, si avvia in corridoio e chiude la porta, un solo giro di chiave. Il rumore dei passi sugli scalini, non gli fa udire il cellulare che di botto si spegne e non si accorge che il portone non si apre più automaticamente, pensa a un possibile guasto nel meccanismo, tira fuori le chiavi, apre la serratura e spara verso l’auto, è già in ritardo e la giornata si preannuncia molto nuvolosa, finalmente. La sua ricerca dell’immortalità, potrebbe avere fine e questa dovrebbe semplicemente essere plateale, così che il mondo si ricordi di lui altrimenti la dieta di proteine dovrà fare il suo lavoro, rendendolo l’artista più celebre e fico del pianeta.

    Un filo di terrore lo invade. E se morisse da solo come un cane, povero in canna e nella miseria sociale assoluta? Un pensiero di lussuria va a Milo. Dana prende il cellulare, sta per chiamare il ragazzo che più gli fa palpitare il cuore e sa che dovrà pagarlo, sa che Milo gli chiederà dei soldi e lui dovrà dare fondo ai risparmi per accontentare quel serpente che gli ha avvelenato il cuore. Col cellulare in mano aperto sulle chiamate degli ultimi giorni, ha un’erezione, Dana chiude gli occhi, la mano libera gira il volante. Le dita della sinistra sfiorano il nome di Milo e la chiamata parte. L’auto imbocca la strada laterale che porta al semaforo, la nebbia è una di quelle cose che lui non tollera ma con cui si è dovuto abituare, accelera. Contro il parabrezza dei fiocchi di neve si schiantano, spaventandolo. Due fari si piazzano nei suoi occhi …

    “Cazzo, ma il semaforo? Cos’è quella una bici?” e disperato cerca il pedale del freno che schiaccia mentre il battito del cuore sembra uscirgli dal costato. Il cellulare di Milo continua a squillare. Minuscole piume di ghiaccio, ballano sopra il fumo dello schianto. Qualcuna si scioglie, altre bypassano il disastro e si adagiano sull’asfalto circostante.

 

    Venti dicembre, alba. Yverdon Les Bains. Nella villa con dependance per il personale dei Le Flurre, nella zona del Centro Termale, già da mezz’ora, i domestici si muovono nelle cucine. Dopo il caffè, tutti corrono per preparare la sala per la prima colazione. Il sindaco ha ereditato dalla sua famiglia, parecchi appartamenti, attualmente in affitto, dei terreni e persino qualche azione della Nestle, cosa che in pochi sanno. La casa è stata comprata non meno di dieci anni fa, ma l’intonaco esterno, ha già bisogno di qualche sistematina.

    L’uomo che inciampa nel terzo gradino inferiore della grande scalinata laterale, imprecando pesantemente, è Cotin Le Flurre. Cinquantacinque anni che vizia, che cura e nutre con le migliori gioie della vita perché la sua battuta preferita di cui fa tesoro è ‘si vive una sola volta’ anche se preferisce ‘ogni lasciata è persa’. E’ un uomo egocentrico cui piace l’eleganza esteriore, è sempre stato quello che solitamente si afferma “un bell’uomo” e non ha mai smesso di curare la propria immagine, quasi fosse indispensabile per il mondo copiarlo o prenderlo d’esempio come ideale. A lui il Re Sole fa un baffo, se il sole dovesse proprio concentrarsi in qualcuno, sarà proprio lui Cotin.

Il suo carattere è semplice, tutto lavoro e la rimanente piccola percentuale di tempo rimasto, la dedica alle belle donne e il resto di un resto del tempo libero, alla famiglia. Cotin crede che sia indispensabile il rispetto più che l’amore, cosa che recita in pubblico per dimostrare di essere un degno primo cittadino. Da buon politico si vende con principi e ideali che non sono la sua regola di vita. Vuole avere un’immagine che renda permanente la sua ascesa nel pensiero di destra che vela per non procurarsi inimicizie dall’ala liberale.

    “Ho detto che la moquette si è scollata perché nessuno mi sta a sentire? In questa casa comandano tutti tranne me, da pazzi! E’ proprio da pazzi, borbotta lui, accidenti!”

Si è già dimenticato del problema, appena legge i messaggi sul suo nuovo cellulare. Adora l’abitudine mattutina del sentirsi indispensabile a un’umanità fragile e bisognosa di lui, così come adora leggere messaggi e rispondere a ognuno, prima di prendere la colazione. Non è un uomo perfetto non ha mai voluto esserlo ma nel suo intimo è un ingenuotto che crede di tenere tutti per le palle con la sua carica di Sindaco.

    Milo le Flurre ribelle e anticonformista primogenito di Cotin è un diciottenne, smagrito e con barba lunga, capelli unti, i vestiti di una settimana e scarpe ancora ai piedi da una settimana, sta fissando il soffitto della sua camera nella villa della famiglia. Ha finito tutte le dosi in meno di due giorni e anche i soldi. I soldi sono il suo problema, più ne ha più gliene servono.

Le dosi costano e nemmeno l’aiuto di Dana, gli serve a qualcosa, dovrebbe provare con qualcun altro del sito. Gli piace usare i creduloni, quando ne trova uno. E’ una dote di famiglia, manipolare la gente, i pensieri e soprattutto la fragilità, sapendo che tutti provano degli stupidi sentimenti.  La sua situazione è critica. Allarmante. I soldi sono la sua terna e predominante priorità. Dana è troppo appiccicoso e lui si sente così alle strette, odia il fiato sul collo. Prima o poi apparirà un tizio disposto a investire nello sballo del suo protetto, o una gallina ben tenuta che lo tenga sotto una campana di vetro, a lui di certo non dispiacerebbe.

Suo padre continua a chiamarlo, a mandargli messaggi del tipo, quando si butterà sui libri, ma tra i suoi ultimi ricordi ce né uno in particolare, dove tre esami più un trimestre di fotocopie sono finiti nel camino. Sua madre è la fonte delle meraviglie, ogni tanto le ruba qualche gioiello che lei dimentica nel so bagno personale, ma lei ha odorato qualcosa di bruciato e ha portato tutto l’oro in banca.

    Ha debiti con tutti il suo fornitore, con quasi tutte le amiche di sua madre di cui la metà è passata per il sedile posteriore della sua auto, con i domestici e persino con il postino, cui ha promesso un certo posto in comune, se lui avesse investito una certa somma di denaro, ma le promesse vanno mantenute e da più di una settimana si finge malato per evitare i suoi creditori. Un padre sindaco non serve a nulla, quando invece di aiutare il figlio, pretende, pretende, pretende che lui studi, che frequenti gente per bene, che si trovi una brava ragazza e si metta in politica per proseguire gli affari di famiglia.  Milo tutte quelle pretese, sa dove il suo distinto padre dovrebbe ficcarsele.  Ogni tanto medita di ucciderlo e se gli altri progetti non andranno in porto, di sicuro e messo con le spalle al muro, il vecchio se ne andrà ma poi cambia idea, la polizia, le indagini, i conti in banca bloccati, i problemi forse sarebbero anche maggiori.  Ha avuto una grande idea e crede che darà presto i suoi frutti ma “metterla in culo al mondo” ha il suo prezzo. Ogni tanto si passa la lingua sulle labbra asciutte. Si sente come se gli stessero levando la pelle di dosso, il bruciore, il dolore, il senso di inutilità del suo corpo.

    L’astinenza gli fa contorcere le budella, lo fa sudare e la febbre lo porta a delirare, una bomba in più o in meno non cancellerà l’umanità, quindi un piccolo aiuto a certa gente, potrà riconoscergli un certo posto nella gerarchia dei credenti, quelli veri ossessionati da qualcosa che nemmeno esiste e lui, pur non essendo un mistico, sarà molto bravo a recitare la parte dell’invasato. Il lavoro del padre offre un certo comfort sociale e non gli ci è voluto molto per trovare degli adepti – gente con le palle iscritta alla brillante Scuola di Ingegneria di Yverdon in verità nell’Atelier di Robotica. certe menti  hanno bisogno dello spazio adeguato ove esprimersi e lui ha trovato il meglio di quello che si presentava sul mercato. Milo fissa la gigantografia del ponte di Yfiph e una sorta di ansia lo prende e lo catapulta dentro un desiderio che gli placa la mente e i dolori nella carne. Un velo oscuro prende possesso del suo desiderio e qualcosa in lui per  un attimo, smette di scervellarsi per la droga. Gli anelli d’argento che si era tolto e gettato sul letto alla rinfusa, quasi gli mancano, così posseduto dal demone cieco dell’attimo fuggente, raccoglie ad uno ad uno i suoi tesori per rimetterli al proprio posto sulle dita.

    La Fine del Mondo progettata da Milo le Flurre, suona drammatico ma a Milo piace la drammaticità e il pensiero si fissa su Destiny, la sua sorellastra diciasettenne, brillante, bellissima, nerd, secondogenita di Cotin; pensa a Destiny con le sue gambe bianche e magre e la sua gonna corta, molto, molto corta, gli occhi neri e il seno nascosto dal corpetto di pelle nera. Non tutti i mali vengono per nuocere, sorride lui all’idea di aver acchiappato due piccioni con una fava. Destiny conosce dei tali che conoscono dei tali che sperimentano cose capaci di “disturbare forse annientare il pianeta” gente che ha le idee chiare e molti di loro con i contatti giusti. Lei aveva quel fantastico fascino di convincere le persone a credere in lei, la sua sicurezza ipnotica e il suo desiderio di farcela hanno fatto sì che Destiny vivesse da adulta la sua adolescenza, adulta capace di prendere il meglio da tutti quelli che incontrava sulla sua strada.  

Una seconda Ebola potrebbe aiutare il mondo a diventare meno egoista, meno materialista e pensa a suo padre quando elenca nel suo capo tutti questi attributi. Per lui un male vale un altro. Non si sente un eroe e nemmeno un ambientalista, semplicemente vuole di più, vuole andare oltre il limite, essere lui a fare la legge, essere sopra le parti;  il vero male del mondo è l’uomo e lo schifo che butta fuori dalla testa, quando deve distruggere con cieca avidità, la natura. Odia il mondo, il mondo quando gli si mette contro, quando non ha nulla di interessante da scoprire, quando ti fa sentire piccolo e inutile perché  non dominarlo? Perché non imperare come un Napoleone, Castro? Essere invincibile. Vorrebbe farlo fermare quel abuso di potere e di concetti sconcertanti e poco creativi verso l’altrui sofferenza. un male portato via da un altro male, battaglia alla pari.

    Il televisore si spegne e il festino delle conigliette scompare sotto  i suoi occhi. Se non fosse così delirante, si sarebbe arrabbiato ma continua a fissare prima il soffitto e poi lo schermo nero del televisore, c’è dell’agitazione in casa, ma non gli importa, forse senza corrente lui potrà vedere il senso della sua vita e gli occhi tornano alla carrellata sui poster con ponti sospesi sopra fenomenali abissi e grattacieli spaventosi con funamboli e free climbers. La corrente ritorna e il televisore si riaccende.

    Milo ascolta l’arrivo continuo di messaggi dal sito d’incontri, se ha fortuna, qualcuno pagherà il suo regalo di Natale e magari, anche l’arretrato col fornitore. Cerca tra i messaggi, solo donne. Di Destiny conserva solo l’ora e il luogo dell’appuntamento. Lei più di lui, sa come arrivare al punto della situazione. Le cose serie non fanno per lui, lascia che sia lei a deciderle. Per lui è un’avventura cui partecipa volentieri se dopo il lavoro sporco ci saranno un sacco di quattrini con cui saldare i debiti e comprarsi le dosi. L’Universo dell’amore gli è contro, ma lui dovrà accontentarsi.

    Milo comunica alla sua mano destra di afferrare il cellulare e con uno sforzo disumano, comincia a leggere i primi dei venti e passa, messaggi. Il corpo non lo ascolta. I brividi. Qualcuno parla nella stanza, sussurri che Diavolo sono , pensa?  Sta sudando. I brividi tolgono forza al ragionamento. A cosa stava pensando? Si è dimenticato.  Perché ci sono tutte quelle voci nella stanza? Quelle cose spingono il mal di testa al limite, vorrebbe strapparsi il cervello e digli di stare zitto! Tutti quei messaggi, pensa stomacato, nemmeno uno decente da una speciale. La nausea è quasi reale e il cuore tambura impazzito nel petto.  Non sa cosa vuole ma sa cosa non vuole, tutte quelle disperate, usurate, inutili. Tutte donne innamorate, tutte bisognose di sesso, abbracci e promesse d’eternità. Sceglierà quella che ha più bisogno di lui, quella che vuole a tutti i costi un uomo e scarta le due giovani trentenni e passa alle “monarche” come le chiama lui.  La Monarca (Danaus plexippus (Linnaeus, 1758) è una farfalla della famiglia Nymphalidae, nativa dell'America, ha una notevole resistenza al volo il che le consente di compiere lunghe migrazioni. Il suo avambraccio destro, sotto la felpa nera e sotto la maglietta a maniche lunghe, anch’essa nera, c’è un piccolo tatuaggio, quello di una farfalla Monarca. La sua anima bella ma nascosta al mondo, sarebbe pronta a migrare ma la sua volontà è troppo fragile per farcela. Buttarsi da un ponte ecco cosa gli rimane se non dovesse farcela. Piccole gocce di sudore gli scendono dalla fronte. I capelli gli coprono gli occhi e come un dolore gli sale nel cervello, un dolore che proviene dal cuore. E’ solitudine lo sa ma non ha voglia di accettarlo, ha bisogno della sua dose per ritornare a essere forte, per cancellare quella ombra tenebrosa che l’attende dentro i sogni. Il battito del cuore irrompe e nuovamente si lascia cadere sul letto, mollando la presa del cellulare. Non ha più voglia di niente. Il capo riverso verso la finestra e lui apre gli occhi per guardare il cielo, che strano colore, pensa, lasciandosi guidare dall’istinto di mollare tutto pur di decollare verso un mondo immaginario, dove le nuvole scure diventano aquile bianche e lui può volare senza mai toccare terra e sporcarsi dei maledetti ‘ogni giorno’ che non hanno mai nulla di straordinario che restano uguali ai precedenti. Tutta la rabbia, il disagio, come diceva il suo terapeuta “essere disadattato” si è concentrata in una troppo puerile età adolescenziale e non l’aver superato l’ossessione del controllo paterno lo sta portando a uno stadio larvale. L’unica cosa positiva, è che essendo giovane, sempre a detta del suo terapista, è sempre in tempo a prendere in mano le redini della propria vita. Milo immagina il momento in cui suo padre si schianta con l’auto contro il muro d’ingresso del Municipio, mentre sua madre impazzisce per la nuova povertà che le impedirebbe di vedere ogni giorno il suo parrucchiere, mentre a sua sorella riserverebbe un posto nel Purgatorio delle ribelli senza acume, il posto dove le disadattate mantenute e psicopatiche finiscono col fare le cameriere in qualche squallida tavola calda, prima di sfornare una decina di marmocchi a qualche grottesco camionista.

     “Mi scusi? La colazione.” il pugno che bussa contro la porta, spezza nervosamente il filo die pensieri. La ragazza dietro la porta è la cameriera, si chiama Corinne, già passata per le mani del padrone di casa che si è stancato presto, anche di lei, lasciandole però il lavoro di domestica personal della Signora con l’obiettivo che se un giorno non avesse avuto altre donne per le mani, una ripassata gliela avrebbe data volentieri.

    “No!”

Corinne è incinta di sette mesi e non è la sola a portare suo figlio in grembo. La migliore amica di sua madre, Yvonne Lamrik l’ha lasciata incinta, quattro mesi orsono ed è seguita alla sua ex compagna di liceo Barbara che vorrebbe sparisse nel nulla e che continua a mandargli minacce del tipo “mi suicido” ed altre leccornie da schizofrenici. Sembra che sia una moda, farsi ingravidare da Milo le Flurre. A lui questa cosa dà semplicemente la nausea. Si salva Marianne, l’amica intima di sua madre che è ricca e che farà credere all’amato consorte di essere ancora uno stallone e probabilmente, a scopo benefico, continuerà a finanziare Milo, senza crisi d’amore e di gelosia. Stanco di femmine incinte è passato agli uomini, alcuni però frignano più delle ragazzine. E’ la sua maledizione, non trovare pace nel sesso.

    “Mi scusi, suo padre vorrebbe che lei scendesse.” la voce innocente e inoffensiva della giovane, non riceve la medesima reazione.

    “Fanculo! Andate tutti a fanculo!!!” grida lui, godendo della propria voce e scattando dal letto verso la finestra, dopo aver afferrato cellulare e zaino contenente gli ultimi soldi, aspirine, la zippo del suo miglior amico deceduto per una fottuta leucemia e il passaporto. Dal primo piano all’auto ci sono voluti due salti e un graffio profondo alla caviglia destra. L’acceleratore è così sensibile per questo ama le auto sportive e la sua piccola A6 è come una ragazza innamorata, sempre pronta per lui. Corinne si piazza davanti al cofano.

    “Ti prego.” supplica lei con le lacrime agli occhi.

Milo non abbassa il finestrino.

    “Ti sei fatta mezzo paese e ti aspetti che cosa? Al Diavolo!”  La guarda disgustato e parte. La sua furia spinge il motore ai duecento in meno di sedici secondi, se morisse sarebbe contento e tira avanti, sfidando la forza di gravità e la pressione, aumentando la velocità sul rettilineo per poi bloccarsi al semaforo. Il suo cellulare inizia a squillare, Dana, legge e pensa. Potrebbe incontrarlo per chiedergli soldi, ma è appiccicoso e Milo è disgustato da qualsiasi cosa lo voglia incastrare in una storia. Lascia il cellulare in carica di fianco alla leva del cambio, prima legge alcuni messaggi dal sito di appuntamenti e la vista di una ragazza dall’aspetto pulito, non bello ma interessante, lo fa pensare. La prossima volta la contatta. E’ giovane e gli dà l’idea di qualcosa di pulito potrebbe farlo ripensare sullo schifo che la vita gli offre ogni giorno.  Il rosso è solo l’inizio di quello che lui ha in mente e quello che ha in mente di fare non è poco, ma frena di colpo appena davanti al suo paraurti si materializza un assurdo ragazzino in sella a una assurda biciletta. Un’auto davanti a sé senza fari accesi, lo blocca.

    “Che Diavolo ci fa un dannato ragazzino a quell’ora del mattino in giro? Porca di una …” urla Milo mentre la frenata della sua A6, lascia una scia delle gomme anteriori sull’asfalto che coprono e malamente, le imprecazioni del ragazzo che sbottonano i santi, i diavoli e ogni mala natura esistente. Il dolore al petto, qualcosa si è spezzato. Dei dolci fiocchi di neve, scendono senza lasciarsi coinvolgere dal dramma. Il cellulare di Milo continua a suonare e un gatto atterrato sopra, ignora il suono e si gode la scena. Una costola rotta, un dolore atroce, la sirena di un’ambulanza e chiude gli  occhi.

 

    Venti dicembre. Losanna. Case illuminate, stregate, incantate dagli addobbi natalizi, edifici che resistono all’inverno con le loro arterie di riscaldamento centralizzato, automobili sull’asse del silenzio in parcheggi a fianco delle strade che attendono di scaldarsi sui fogli d’asfalto scuri, dove il sole non ha mai promesso di specchiarsi. Bocche di caldaie che fumano, inquinano, bruciano il freddo assopito sulla natura durante la lunga notte  rimasta a fissare i viali vuoti, le auto parcheggiate, i portoni chiusi, le rotaie su cui patinano in velocità soltanto i fantasmi e i parchi con le loro dive nude sotto forma di alberi che posano per un mondo invisibile in cartoline tristi che mai nessuno comprerà. Cosa vediamo appena al mattino, apriamo gli occhi? La luce? Oppure vediamo le ultime sfumature dei nostri sogni. O dei nostri incubi.

Le mattine hanno un calendario scritto nel futuro che alcuno di noi conosce, sono tempi già registrati da un fato positivo o avverso, chi lo sa? Ma quello che possiamo immaginare è che qualcuno, anche in qualche minima parte, partecipi alla direzione delle cose. Gente normale che ha preso in mano le redini della propria vita, gente che combatterà per lasciare un segno del proprio passaggio o semplicemente per dare un valore alla vita, atomicamente minuscolo granello di energia nell’infinita impercepibile dell’Universo. Nessuno conosce quale sia il momento preciso dell’inizio di una battaglia o l’ultimo. Siamo tutti così presi dall’immaginarci che perdiamo la sfumatura reale di ciò che siamo.

    Le nuvole basse si sa, si chiamano nebbia e la nebbia è di casa nel mese di novembre nella bassa Losanna. E’ una caratteristica della zona subalpina, probabilmente negativa poiché contagia non solo l’umore ma lo spirito di quelli che dei Caraibi conserveranno soltanto i sogni, con il tempo uggioso non resta che rassegnarsi e restare solari solo nei sogni; la gente si sveglia e trova un muro di vapore un burqa di smog e particelle di piombo che blocca la circolazione in tutte le direzioni, peggio della pioggia, costante nemica dei pendolari affollati sulle tangenziali non solo italiane ma del mondo.

Losanna anche ubriaca di sonno, tira le sue sferzate di energia alle creature che per virtù dell’orgoglio e bisogno di soldi, si accalcano sulle sue strade. La città è nervosa appena le coperte del letto, toccano i freddi pavimenti delle stanze da letto. I fremiti alla stazione dei treni, già svegli, accompagnati ai rumori sulle rotaie, congestionano il silenzio e il freddo che dormono abbracciati da troppe ore. Il traffico sviluppa una sua musicalità, un che di romantico in una città altrimenti boriosa e uggiante.

    La Cimbali in certi bar della città consapevoli della firma del mezzo che usano, freme e il suo vapore scalda sul tetto di acciaio, le piccole tazze di porcellana per l’espresso e quelle grandi per il cappuccio. E’ una consuetudine, un caffè espresso prima di entrare al lavoro, il caffè del dopo caffè di casa che non basta a nessun spirito per un buon risveglio, quanto per una sana abitudine, ovvero, sentirsi bene prima di andare in battaglia.

Sono le sette e venti del mattino. L’ultimo autobus in direzione centro città, è pieno di studenti con cartelle pesanti, cartellette da disegno, capellini più grandi delle loro teste e gente assonata, gente fasciata in pesanti sciarpe invernali, con ombrelli, quotidiani sottobraccio, sacchetti e borse zeppe di oggetti.

    L’odore di profumi dolciastri da donna, dopobarba, focaccia, sudore, vestiti, e fango si mescolano ai respiri, alla flatulenza e all’odore dello sporco della carrozza. La ragazza al centro del bus, in piedi vicino al palo d’acciaio non più di diciassette anni con i capelli corti color platino, vestita ‘total dark’ pantaloni neri attillati, tacchi vertiginosi ed è coperta da un lungo maglione nero che arriva quasi a terra mentre il cappuccio largo le cade sulle spalle. Nessuno sa che quella meraviglia ha sofferto del complesso del brutto anatroccolo e non solo ma è cresciuta, è dovuta crescere con la consapevolezza che il proprio passato non si possa cambiare, sebbene abbia influito sull’avvenire. Il suo fisico e il suo volto fa girare parecchi uomini. Di ritorno da Londra, contenta di aver sistemato le cose, si gode l’aria di casa. Non le serve bagaglio per viaggiare. Preferisce comprare vestiti e gettarli dopo l’uso, l’unico modo per sentirsi libera. Lei ascolta musica nelle cuffie ad altissimo volume, ogni tanto infila le mani nella tasca del grosso maglione per bypassare delle canzoni e mettere le più fastidiose, le più hard, una play list lunghissima sul suo Iphone, ma la donna più alta con aria da modella, vicino a lei  che stringe il palo con la mano infilata dentro un guanto verde abbinato alle scarpe e alla borsetta, sta tentando di infilare la mano nella tasca esposta dello zaino della ragazza, di pelle nero con lo stemma di metallo giallo di una importante firma di moda da dove sbuca e in perfetta vista, un portafogli nero zeppo di cose, tanto pieno che la cinturina nera cucita vicino alla zip, difficilmente chiude.

    La donna, non più di venticinque anni, ha un aspetto molto sobrio, elegante, è truccata, porta non troppi gioielli ma di tutti di valore e veste un cappotto corto colore azzurro chiaro che  le mette in mostra le gambe lunghe,  nascoste in piccola parte dalla gonna molto corta. I suoi occhi azzurri vivaci, sono molto carichi di mascara e un velo si colore viola sopra la palpebra, cose che invitano parecchi uomini a guardarla. La sua riuscita nell’ipnotizzarli traspare dai suoi occhi ma lei sa che le verrà perdonato tutto perché bella.

Questo suo successo, rende il suo volto soddisfatto e luminoso, tanto da sembrare una che si cura poco di quei complimenti visivi, fissando distratta oltre il finestrino delle porte del vagone. La sua mano è sottile e veloce.

L’autobus è affollato e ogni tanto la modella incontra gli occhi della tipa con i capelli platinati. Gli occhi verdi della ragazza, penetrano le teorie luminose della ladra e la dark abbozza un sorriso dall’aria misteriosa.  La modella è l’unica tra i presenti che non è infastidita dal volume alto delle canzoni nelle cuffie della ragazza. Il suono che quell’aggeggio spara e abbastanza assurdo da destare in tutti i viaggiatori un piccolo ma acuto istinto criminale. Il suono del rock metal è così alto che i presenti intorno a lei sebbene tacitamente, sono esausti di sentirlo. Appena l’automezzo inizia a frenare, nella prossimità della fermata, gruppi di ragazzini, si affollano contro le porte in una sorta di corsa a chi arriverà prima alle al marciapiedi, la modella si stacca dal palo di ferro contro cui era appoggiata e con un impercettibile ghigno sarcastico si gira verso le porte. A bus fermo, tutti scendono e lei per ultima, evitando la calca e di essere toccata ma appena si chiudono le porte del metro, lei si gira con un largo sorriso verso la ragazza platinata che a sua volta sorride mostrando i denti bianchi e qualcosa in mano.

Lo sguardo della modella diventa cupo e le sue mani corrono alla borsa che inizia a frugare, trova il portafogli della ragazza platina e lo apre. Dentro un pacchetto di carta piegato che lei spacchetta e diventa un clown di dimensione umane con una targa in mano ‘Hai perso. Sai qual è la cosa peggiore di una che si crede super-figa? Essere mediocre’. 

    L’urlo in strada della vittima, Destiny molto appagata, l’ha seguito in diretta. La ragazza sarebbe risalita furiosa sull’autobus ma questo è partito prima che lei potesse protrarsi verso le porte, le scarpe alte non l’hanno aiutata. Furiosa lei, bellezza curata con tacchi alti e tailleur dal taglio impeccabile, cerca nella borsa il proprio portafogli e la rovescia sul marciapiedi, mentre la gente la guarda sconcertata. La tipetta dark, appena il bus  riparte, corre al finestrino per accertarsi del premio, poi si allontana, rimette il portafogli firmato nel proprio zaino e poi si fissa le unghie, l’angolo del mignolo va limato, pensa, prima che mi si spezzi

l‘unghia. Aumenta di più il volume nelle cuffie e pensa a quale tragedia affronterebbe il mondo se lei non esistesse. Destiny guarda il malloppo e pensa al traffico, ma davanti al mezzo non c’è nulla, molti dei passeggeri fissano il proprio cellulare, tutti non funzionanti. Dall’alto iniziano a cadere fiocchi di neve, prima piccoli e fragili ma pochi minuti dopo, quando il cielo è diventato un color grigio malva, i fiocchi cadono pesanti e grossi, depositandosi gli uni sopra gli altri, incollandosi all’asfalto, ai parabrezza e alle teste di quelli che a piedi sono usciti senza capello e senza ombrello. Sul cellulare Destiny legge, sole e temperature alte, mentre fuori nevica e le temperature sono basse, Yahoo dev’essere impazzito, pensa e cerca un secondo sito che legge le medesime temperature alte del primo, niente precipitazioni. Destiny ride, mentre un fiocco di neve si piazza sulla punta del suo naso.

In arrivo un sacco di messaggi dal sito Matchpartner.com. Un poliziotto che le manda un Ciao accompagnato da una faccina triste, un ventenne con la faccia da drogato ma carino, un biondo sulla trentina che le scrive “Il cielo sorride oggi.” e lei si domanda cosa vorrà dire?

    Altri messaggi intasano il suo Whatsapp, forse ha sbagliato a dare il numero a tutti quelli che le sono piaciuti. Tutti orchi a caccia di carne, vorrebbe concludere, ma finché restano nella messaggeria e non nelle sue mutandine, saranno innocui. Appena arrivata al semaforo, si ferma e attende qualche secondo prima di schiacciare il pulsante per attraversare. Nonostante la fretta, i suoi occhi appena percepiscono i fiocchi bianchi che cadono, si soffermano sulla danza, seguendo dall’alto in basso, la loro caduta fino al toccare terra, dove alcuni si sciolgono, altri si uniscono ai fratelli per resistere alla disfatta. Sirene della polizia si avvicinano che siano per lei? Si domanda e col capo cerca in fretta qualcosa che possa essere la sua salvezza. Ferma un taxi. Non perde tempo e si siede davanti. L’uomo fa partire il contatore.

    “Yverdon les Bains, centro, grazie.” Mentre le due pattuglie della polizia, superano il taxi, lei guarda fuori dal finestrino la città con le luci festive ancora accese.

    “Nevicherà.” tenta la conversazione il conducente, ma lei è interessata solo al suo cellulare. Gocce d’acqua mischiate a fiocchi di neve colpiscono il parabrezza del taxi e i tergicristalli iniziano a cancellare la loro esistenza.

 

    Venti dicembre. Mattina. Losanna. A due chilometri di distanza dal il centro di Losanna, all’uscita dal Cimitero de Montoie, il poliziotto cantonale, Jurre Mause nella sua Ford Focus con la carrozzeria sporca di fango e l’interno non lavato da più di sei mesi, viaggia con la radio a massimo volume in direzione Yverdon. Dietro il quadrante dell’orologio ha una piccola pastiglia incollata con lo scotch che prenderà, appena l’effetto dell’alcool sul suo istinto di preservazione, sarà svanito.

Di ritorno dal funerale di suo figlio Martin dodici anni, morto in un incidente stradale, investito dall’auto di pattuglia di alcuni colleghi, ironia della sorte. Il bambino era sulle strisce pedonali e loro, loro semplicemente non hanno visto la sua bicicletta, la creatura aveva attraversato troppo velocemente è stata la scusa dei colpevoli ma i testimoni giurano l’opposto. Per Jurre chi ha torto o ragione, poco importa. Jurre ha smesso di dormire da allora.

Dopo l’autopsia, la camera ardente, il funerale con parenti, colleghi di lavoro e studenti, non gli è rimasto altro che il dolore e vomitare. Il vomito è l’unica costante che gli addolcisce il dolore, altrimenti insopportabile. Ha provato a infilarsi la pistola in bocca un paio di volte, la sua arma di ordinanza una SIG-Sauer P2022, calibro 9mm, mentre le sue dita resistevano al grilletto così sensibile, così sensuale, cosi dannatamente altruista con la sua pena.

Il grilletto sensibile, freddo al tatto è la massima tentazione dopo lo scollare di una bottiglia di gin. Da ubriaco, la pistola gli offre un piacere alla vista migliore di una donna nuda. L’arma è perfetta per il suo desiderio di morire, di farla finita e di arrivare laddove il suo bambino lo aspetta e se non ci fosse un posto preciso, tutto l’inferno sentirebbe la sua rabbia persino nell’aldilà. Lui sente che ci sarà il momento preciso per farlo e in attesa che ciò accada, gioca alla vita, insensibile al richiamo della felicità Natalizia, delle allegre pubblicità con babbi Natale che stappano una bottiglia di Coca Cola, lasciando intendere che regalare una Coca Cola possa migliorare la vita. Balle! La vita, medita lui, è una merda mescolata ad altra amara merda per cui il giochino dei sogni e del futuro brillante, non sono altro che merda convenzionale per gente con la scatola cranica piena di fottuta merda.

Dopo la pistola, la bottiglia è la sua migliore amica. Guidare da sobri  è la cosa più insolita dopo la perdita del figlio. La sua attenzione non è rivolta alla gente che potrebbe uccidere guidando ubriaco  o fatto,  ma ai fantasmi di cui pensa di vederne le forme, sulle strisce pedonali, nelle auto, al posto dei conducenti sui camion. La morte è una danza in mezzo ai fantasmi e solo il debole richiamo alla vita, lo postano a fissare con determinazione ogni ombra finché questa non prende una forma umana, vivente e quindi non meritevole di provare il suo stesso disgusto per quello che può accadere nel quotidiano. Jurre ha smesso di pensare ma ha ancora una coscienza.

Vorrebbe farsi del male, provare male ma un qualunque bene, anche evitare un pedone, mentre la sua auto potrebbe finire contro il palo del semaforo, potrebbe portarlo al male tanto desiderato, il suo male, il suo premio, la sua paga per tutti gli sbagli commessi, schivando un pedone andare contro un muro, contro un camion.

Sei troppo duro con te stesso, sono le parole che suo padre continua a ripetergli, ma non è vero, lui è sempre stato troppo indulgente e quella sorta di benevolenza l’ha portato alla disfatta del suo matrimonio, alla vita sregolata e alla morte di suo figlio. Il valore della sua vita, di Jurre Mause vale, e si guarda nello specchietto retrovisore per concentrare il pensiero che sta formulano, meno della polvere sul cruscotto.

    La polvere sul cruscotto ha un suo perché, lui invece no. E’ certo che non troverà mai più il suo posto nell’Universo. Prima di addomesticare ciò che gli resta dentro di umano, di fragile, dovrà insegnare alla parte ferita a reagire e con forza, dandole il tempo di guarire. Pensando questo, accarezza la pistola che tiene a contatto con la camicia. La pistola è la sua “Prozac”, la sua libertà, la sua dimensione positiva. Torna alla bottiglia vuota sul sedile del passeggero. La bottiglia piena a fianco, sorella gemella potrebbe essere gelosa, dovrà scolarsela prima di arrivare a casa.

Non beve troppo, ma quanto basta per non tornare a ricordare il sorriso del suo bambino, sorriso che non rivedrà più. La sua ex moglie, ha preferito seppellire il bambino a Losanna, dove lei si era trasferita dopo la separazione. Jurre cancellerà dal suo cellulare, tutti quei messaggi dal sito più stupido del mondo Matchparner.com e si concentrerà sull’alcool, ecco cosa farà appena arriverà  a Yverdon les Bains a meno che non riesca a spararsi quel colpo che tanto immagina che gli fracassi il cranio per spedirlo velocemente tra gli angeli. Il suo piede accelera e i fiocchi di neve che arrivano dal nulla, s’inchiodano al parabrezza. Col cellulare in mano, cerca di capire chi gli continua a scrivere. Disattento e attratto dalle faccine delle molti solari ventenni, interessanti, felici, realizzate e alla moda, fissa il vuoto, mentre Destiny arrivata davanti al semaforo medita sul momento opportuno per schiacciare il libero per i pedoni. La neve è un mostro, pensa Mause ma senza mai mollare l’acceleratore e vede che c’è un semaforo a qualche centinaio di metri, qualche auto davanti, ma non realizza il momento giusto in cui iniziare a frenare. L’urto è inevitabile, la donna che vola per aria, per un momento vede i suoi occhi e lei lo guarda ma non con terrore, quasi si fosse ricordata di lui, di quello di cui ha appena letto il messaggio sul cellulare … cellulare e padrona sono ancora in aria, quando lo schianto mette fine ai milioni di pensieri dell’uomo al volante. Mause comincia a grattarsi i nervosamente il ginocchio e poi il polpaccio, ricavandone un piacere sempre maggiore. L’altra auto è contro il palo del semaforo, poteva esserci lui al suo posto, invece di fermarsi e chiamare il soccorso, lui accelera, non c’è nessuno se non poche auto dietro di lui che arriveranno da lì a pochi secondi ma non avranno il tempo di curarsi del fuggitivo. Con la coscienza a posto, prosegue per Yverdon col ginocchio infiammato dal troppo prurito e con entrambe le mani sul volante non per una guida sicura ma per recuperare dal quadro che ha appena vissuto, il terrore. L’urgenza delle sensazioni che si susseguono, lo obbliga a prendere la piccola pastiglia verde da dietro l’orologio, non usa le mani ma la strappa coi denti. Il destino non vuole fargli alcun favore. La sete si rifà viva e lui afferra dalla tasca della portiera la bottiglia che stappa con i denti.

    “Alla salute!” alza lui la bottiglia per un brindisi virtuale con i fantasmi nella sua mente e si scola più di un quarto di litro d’alcool, mentre fuori nevica con allegria.

 

    Giò Russu, Giovanni Accione Russu ha sessantadue anni, ex colonello dell’esercito italiano, si è ritirato a Yverdon Les Bains dopo la pensione. Il suo ristorante “Salon Rouge” non eccelle per la gastronomia italiana, per le pizze con mozzarella scadente a volte surgelata, quanto per gli ottimi sigari che elargisce ai clienti prima della fattura. La vita non gli ha mai regalato nulla, ma la disciplina può fare magie.  Non è sempre stato rigoroso, ha unto certe porte e si è fatto ungere, sempre per avere quelle porte aperte. Sono regole che vanno rispettate, anche quando si vuole navigare le acque alte non certo a portata di qualunque soldato.

Una stretta di mano qua, un favore là ed ecco che la villa di Yverdon è diventata realtà, così come la cittadinanza svizzera, dopo il matrimonio con Dafne, unica donna che avrebbe volentieri ucciso piuttosto che sposare ma per mantenere le porte aperte, ha preferito tenerla con sé.

Improvvisato ristoratore, ottimo tiratore scelto, ottimo assaltatore e progettista di granate magnetiche, uomo dalla carriera encomiabile e con la passione per i trenini elettrici, ha un tic che nessuno conosce, mettersi le mani in tasca e contare fino a otto, lentissimamente, battendo l’annullare sul pollice, sta innaffiando la sua rarissima Orchidea Damasco, prima di uscire di casa. Sua moglie Dafne Zinelli in Russu casalinga, anzi performer di shopping e pettegolezzi, fa da sentinella al bulldog di sei anni Jago che sta facendo tutti i propri sul terrazzo e che lei farà pulire con minuzia dalla domestica.

    Al povero animale che non ha mai fatto una vera passeggiata in vita sua, toccherà un biscottino al cioccolato rigorosamente della Canis Perfectis, marca super collaudata che non fa test sugli animali, anche se Dafne non ci crede, come fanno a sapere se qualcosa non è buono senza un test, a meno che non lo facciano sugli umani … poi al quadrupede, lei farà un bidet e un lavaggio delle zampe, prima di affondare per altre venti ore nella sua cuccia da cui si muoverà soltanto e unicamente per mangiare le crocchette “Bon Bon” adatte a bulldog con sensibilità intestinale. Dafne non conosce dettagliatamente la vita del marito, ma lui nelle lunghe ore di pausa non ritorna a casa, bensì si chiude nel suo ufficio, dove viaggia con l’immaginario p in rete, ovvero su un amabile sito d’incontri che mostra anche una sua  fotografia di un decennio prima, quando era piuttosto giovane, aitante e sorridente quel tipo di sportivo in atto di catturare un enorme Marlin  a largo di Eleuthera. I suoi occhi in risalto sulla camicia blu scuro e l’abbronzatura, attirano parecchie femmine che lo onorano con complimenti e avance. Lui ha sviluppato una dipendenza da Chat e soprattutto da quel sito che propone sempre nuove iscritte, cosa che rinnova la sua cerchia ben nutrita di corteggiatrici. Non è interessato ai siti porno, lo trova squallido. Ogni tanto si aiuta, sbircia qualche ora su quelle cose sadiche, ma pretende che ci siano ancora delle donne vere nella sua vita. Carne e ossa, pensa lui, la carne è meglio di un surrogato televisivo.

    Il cielo non gli da dato dei figli, forse meglio così. Non sente il bisogno di paternità ma di proteggere qualcuno o qualcosa, probabilmente la propria virilità. Probabilmente qualcuna di molto giovane e bellissima che si innamori perdutamente di lui e lui le faccia da protettore. Fedele. La vuole fedele. E’ una sua paranoia, avere qualcosa di sicuro ma non impegnativo, per lui, ovviamente.  Il suo scopo? cercare di restare giovane il più possibile, una moglie ce l’ha già, quello che gli manca è una giovane amante, bella anzi bellissima, magari non proprio stupida e con un alto senso dell’humor cosa che in molte di loro sfocia nel volgare e a questo punto Giò si rende conto che quanto un alto QI di qualcuno, vada a braccetto con l’ironia. Una donna intelligente potrebbe sgamarlo ma lui non si fa questi problemi per ora, ora lui si concentra sulla Chat che è come sempre intasata. Lui sa che loro lo aspettano e questo orgoglio lo fa sentire onnipotente. Loro lo desiderano. Lo coccolano. Non è credente. Dio è solo una forma nelle icone venerate dalla gente. Se davvero ci fosse stato suo padre, non l’avrebbe mai preso a cinghiate per aver mangiato le paste della nonna dal cassetto. Ha proprio odiato suo padre, meno male che il tempo lo ha portato via dai suoi pensieri e le sue ossa riposano sotto  una pietra che non vede dal giorno del funerale.

    La sua sessualità ringalluzzita ha solo l’imbarazzo della scelta. Ancora pochi minuti e uscirà di casa  per aprire il Salon Rouge, il suo gioiellino, poco distante dal lago e immerso in un giardino che d’inverno non sembra altro che spazzatura senza fronde, il ristorante non rende ma che gli consente una indipendenza altrimenti insostenibile. E la sua allegria dovrebbe contagiare il mondo non fosse per il fatto che l’auto non apra la portiera e la chiave col telecomando sia inutile. Russu torna in casa, mentre la moglie si sta lamentando del televisore che non funziona e presa dal comodino la chiave si scorta, si renderà conto che nemmeno questa funziona, proverà a chiamare il servizio clienti BMW ma il cellulare è spento. Le sue imprecazioni come in una danza, hanno inizio e nemmeno il cielo può decifrare le cose che lui ripete e ripete mentre il tic lo obbliga a giocare con le dita, ma nemmeno quel giochino funziona con la tanta furia in lui. Tentare di calmarsi non gli servirà, il suo fuoco brucia per ben altri motivi e la cosa si sarebbe risolta se non fosse per gli incubi che lo accompagnano, qualunque cosa faccia, qualunque cosa desideri e gli restano meno di due giorni per non suicidarsi. La fine dei suoi bei tempi e lui non è ancora pronto sebbene l’abbiano scoperto, siano pronti per farlo arrestare a momenti, pensa, a momenti, forse troverà una soluzione altrimenti …

L’auto risponde al telecomando e una volta al volante, riparte a grande velocità. La sua priorità è trovare una soluzione e la sua mente non gli è d’aiuto. La neve non fa che peggiorare il suo cattivo umore, meno male che Whatsapp gli ricorda chi è veramente innamorata di lui. La prescelta della settimana, la vedrà a Losanna e dopo un pranzo in qualche sontuoso ristorante, lui se la porterà a letto, in un albergo magari a cinque stelle e le farà fare una maratona di sesso, cosa che nessuna donna rifiuta dopo un buon pasto in compagnia di un affascinante riccone. Già pregusta, dopo un bel Viagra, gli attimi di lussuria e ben organizzato sul da farsi e con chi, non gli resta che pensare alla più giovane delle tante che gli scrivono. La neve lo demoralizza ma le feste lo hanno sempre rallegrato, così accetta quei disgustosi fiocchi bianchi, come premio per un mondo che dovrà essere magico il giorno della sua meritata vacanza con una deliziosa amante che vorrebbe uccidere con interminabili ore di sesso. Se solo l’inverno smettesse di esistere, procede lui guidando, pensieroso.

 

     Autostrada Zurigo Losanna direzione Losanna. L’auto scura di grossa cilindrata, sei mesi di vita, con interni in pelle chiari, pieno di benzina e riscaldamento armonico, viaggia a moderata velocità esce prima della meta, un centinaio di chilometri prima e svolta per prendere la provinciale.  Poco traffico, probabilmente perché è l’ora di pranzo.  

    L’uomo alla guida è Dominic Cambuse, ex imprenditore ittico, ex deputato, ex pilota ed ex editore, avvocato divorzista in ultimis, ha già sfoderato sei diversi tipi di sorrisi per la sua passeggera che stringe delicatamente un cellulare di cui legge i messaggi in arrivo e a cui risponde, digitando velocissimamente sulla tastiera, ogni tanto le sue mani abbandonano l’oggetto prezioso, per tentare di abbassare la gonna che volutamente è stata scelta corta. Lui continua a sorriderle, mentre sorpassa il camioncino in panne molto più distante ma le corsie sono vuote così lui decide di togliersi il pensiero duecento metri prima del problema. Lei che non è proprio una lei ma un lui, si chiama Yvonne e nulla altro poiché il cognome non è mai interessato al tipo con la macchina dalla cilindrata molto grossa. Loro si sono incontrati a Zurigo in un banalissimo caffè e lui ha notato le gambe vertiginose, il resto non ha avuto importanza. Dominic non preferisce lasciare la sua vera identità ai vari siti d’incontri presso cui è iscritto. Lui finge sia il Fato, lui propone un appuntamento alla vittima, non si presenta come l’iscritto che questa attendeva ma come un qualsiasi uomo reale che accidentalmente fa cadere il caffè su quest’ultima che fa la conoscenza di un nuovo gentiluomo e la cosa è fatta. La vittima crede sia stato il Destino, quello vero a farla incontrare all’affascinante entrepreneur. La vittima resterà affascinata dall’gentiluomo che ripagherà un nuovo vestito, anzi la obbligherà ad uscire per entrare nel negozio più chic della città, dove farà acquisti senza limite di budget. Questa azione farà capitolare la malcapitata.

    Dominic ha un desiderio perverso di spingersi oltre i limiti, di essere usato e di usare, ma lei questo non lo può sapere. Lui vorrebbe che lei gli spingesse il tacco in bocca e gli sfondasse il cranio o si masturbasse mentre lo soffoca con la sua grande borsa nera firmata. Lei però non ha afferrato il messaggio. E’ così squallidamente normale, così tanto inutilmente femminile che non sa usare la violenza per dargli piacere. Lui continua a guardare la natura con la stessa soddisfazione con cui un bambino guarderebbe un cono di gelato al cioccolato. La sua mente macina pensieri e qualche brivido sulla pelle ma nascosto dalla camicia, mentre desidera morire mentre fa sesso.

Lei è intorpidita dalle gocce che lui le ha versato nel cappuccino, “amore non farti sedurre dal lato oscuro della forza.” lo accarezza lei sulla tempia destra, mentre lui fissa il raggio di sole che sbuca dal buco di nuvole scure e sente che sia una presagio.  lei ritira le mani e gira il capo per guardare il paesaggio. l’auto si avvicina al margine della carreggiata,

Lui lascia il volante, schiaccia il tasto del blocco delle portiere e con lentezza disumana, prende l’arma dalla tasca della portiera, non ha bisogno di mirare, le spara e mentre il sangue caldo con l’umido di parti del suo cervello sbattono contro il finestrino lui slaccia velocemente la cintura del passeggero e con una spinta, getta il corpo esanime della ragazza dall’auto. Rallenta finché non sente il motore morire ma non si ferma e con la mano sinistra sul volante sposta il corpo per chiudere la portiera. Sistemato il problema, lui torna alla guida. Il sangue sul finestrino lo disturba ma il suo pensiero va al corpo che segue con la coda dell’occhio dallo specchietto retrovisore. Non si nota nulla. La sua fortuna meriterebbe un premio. Improvvisamente la radio cede al silenzio e l’auto si blocca in mezzo alla corsia.           Dominic è terrorizzato. Il blocco della sua mente è totale, ma deve reagire. Quella dannata auto,  impreca. Prova e riprova ad accenderla ma nulla da fare. L’auto sembra morta, come la sua speranza. Sgancia la cintura di sicurezza e scende dall’auto. L’occhio finisce sulla punta delle scarpe firmate, non vorrebbe si graffiassero, bagnassero, ammaccassero. Fuori l’aria pizzica e lui afferra il cappotto di cashmere di mano sartoriale italiana, per metterlo sulle spalle, cosa che impressiona la gente gli fa fare l’entrata da divo in qualsiasi locale. Adesso che si sente al calduccio, torna a ragionare. Guarda in tutte le direzioni. Non c’è nessuno. Nessuna auto e non gli sembra strano, ma pensa a un segno del cielo. Forse ha del tempo per rimediare allo sbaglio, per recuperare il cadavere ma più cammina sul ciglio della strada più si rende conto che trasportare in corpo per tutta quella distanza senza essere notati non è cosa da poco. Fiocchi di neve iniziano a depositarsi sui campi e l’uomo si affatica a trasportare il corpo della vittima. Una volta deposto nel bagaglio dell’auto, pensa che lancerà nel vuoto le prove e lui tornerà a piedi, ma dovrà aspettare di arrivare al ponte, e trovare il momento quando sarà sicuro che nessuno si azzarderà a viaggiare, soprattutto con la neve fresca e magari una bella tormenta in arrivo. Sul sedile posteriore la valigetta ventiquattrore in pelle nera e una borsetta da viaggio tigrata. Dieci minuti dopo, cento metri più avanti, Dominic guarda il falò che getta fumo nero al bordo della strada. Col cuore non del tutto leggero schiaccia l’acceleratore, ogni posto è buono per liberarsi del corpo. La sua cliente lo aspetta e gli affari non possono che prosperare, imparando a gestire le proprie emozioni. Dovrà sceglierla molto più giovane la prossima volta, molto, molto più giovane.

 

      Non tutto ciò che muore è destinato a essere dimenticato. La natura lo conserva nella memoria, una sorta di primavera continua, anche quando il crudo inverno copre il cielo con pesanti coperchi di nuvole scure. Dopo Novembre, capita di rado che i raggi sparati dall’azzurro, siano più che tiepidi o abbastanza per scaldare la parte del pianeta, lontana dal sole. E’ amore. Lo sbalzo termico, dal freddo al caldo, è amore, amore e morte, è amore lottare per poi cedere. Così la natura lotta contro ogni inverno per poi cedere appena con la primavera. Ma l’amore è dotato di un istinto di sopravvivenza proprio, qualcosa che non lo ostacola nel battagliare dentro le cortecce per preservare le linfe dal male delle stagioni. L’amore non è percepito dall’uomo poiché è in lui materia prima e nessuno si accorge di quello che i miliardi di cellule di neuroni e di connessioni nervose, fanno dentro di lui. Così la meccanica delle sensazioni, miliardi i percezioni emotive, diverse tra loro ci macinano, ci navigano ci proiettano nel tempo.

     Non tutto ciò che vive si preserva. Ci sono cose che si estinguono senza avere nemmeno il tempo di dare un segno della propria presenza e così il fragile equilibro dell’esistenza che lotta fino all’ultimo per preservare qualcosa del se, con opere spesso effimere o impianti genetici atti a volere durare durante gli indiscutibili intrecci generazionali.

Qualcosa è destinato all’immortalità, pensano quelli ancora raggomitolati sotto le coperte che li protegge dal freddo dentro le  loro case, il freddo di un gelido novembre che anticipa già un inverno lungo. Cosa non è destinato alla morte è riservato all’Olimpo dell’indelebile e l’unica forza universale che matura in noi, creature incostanti e imperfette, è l’amore.

La sirena di una ambulanza attraversa Yverdon all’alba, scorta la creatura morente verso l’ultimo viaggio, lei non sa che quella lettiga sarà il suo ultimo letto, l’infarto è arrivato senza nemmeno darle il tempo di salutare i figlio. I suoi occhi fissano il tubo della flebo e la piccola goccia lenta, troppo lenta che non colmerà il bisogno di gridare che le è rimasto in gola. Una lacrima scende dall’occhio destro mentre il medico le parla e la esorta di tenere duro. Lei l’avrebbe fatto, se fossero arrivati prima che lei mollasse il cellulare sul pavimento. Le brillanti pupille verdi restano immobili su un punto lontano e il viaggio terrestre della donna, ha fine. Dieci secondi più tardi, nella sala chirurgica due del polo ospedaliero di Yverdon, La Permanence, una donna in travaglio già da dieci ore spinge perché suo figlio nasca. Il bambino non totalmente espulso dalla pancia e con solo la sua piccola testa ancora piena di vernice, fuori dalla madre, apre la minuscola bocca che dopo il primo respiro, comincia a urlare, è la vita, nello stesso istante tutto diventa buio, la corrente viene a mancare e le apparecchiature diventano oggetti inanimati sotto gli occhi terrorizzati del personale ospedaliero. L’emergenza è solo l’inizio. Le grida di qualcuno fanno eco nei corridoi e quelli intrappolati negli ascensori, iniziano a trepidare e a consumare battiti nervosi al posto dell’aria. Il buio e la claustrofobia sono una brutta combinazione.

 

    Lui è Amine Omat ingegnere iraniano nato a pochi chilometri da Ginevra e che preferito una professione più umile, una imprenditoria facile, ha un negozio etnico appena fuori dalle mura del centro di Yverdon e concepisce una vita non fuori dagli insegnamenti del Corano ma con una libertà di progressione verso la fede. Lui è un fervido credente ma anche un moderno credente, cosa cambia? Gli ideali. Nonostante tutta la sua buona volontà di inserirsi nella società di cui i suoi genitori sono onorevoli rappresentanti, non ci riesce. Dovrebbe già avere dei figli ma non è sua intenzione prendere moglie, ha un’amica cui fa visita e lei ha circa un ventennio più di lui. Amine è fissato con l’aldilà. Adora, onora e studia la morte. E’ un devoto asceta della morte. Ha sperimentato tante cose sugli animali, sui bambini che venivano a casa sua a giocare e persino sui suoi pappagallini, sul gatto del vicino, sui cani randagi, sulla tata ahimè scomparsa, come molti dei postini di cui colleziona gli effetti personali sotto l’ultimo mattone della piccola cantina, sempre cementato e ricoperto di catrame, come il resto delle pareti.

    Amine è un giovane sano, cresciuto in scuole occidentali e con una mentalità liberale, mai asfissiante, sebbene quelli come lui, siano destinati ad ereditare la forza, i beni e il credo della famiglia. Questo strano amore per la morte non è nato da un volere usare la violenza per piegare la vita ma per dare una appartenenza a ciò che lo consuma, il senso di ciò che siamo ovvero nulla. Amine è strano, ma chi non lo è oggi giorno, pensa lui?

Accettando questa verità, lui è riuscito a diventare immune a una eventuale paura di morire e il suo pensiero ogni mattina, smesso di torturare i corpi, smesso di apprendere la resistenza della vita alla morte, è quello di lasciarsi morire ma onorando il proprio credo e non c’è nulla di più difficile del dare ad altri non interessati, qualcosa che si possiede.

Lo scopo di Amine è molto più complicato, ovvero spiegare al mondo che il male è necessario per il bene della vita. la gente deve morire altrimenti un pianeta sovrappopolato morirebbe di fame ecc.

    Come ogni mattina,  Amine apre la porta del piccolo negozio e subito il suo olfatto è invaso dagli odori forti e dalle polveri sugli oggetti e sui tappetti. Nonostante l’inverno non abbia ancora lasciato altro che poche gocce di pioggia e qualche nuvola, lui sente che nell’aria ci siano dei cambiamenti propizi per lui. Il piano potrebbe iniziare da subito e richiude il negozio per rimettersi alla guida della Peugeot nera con la portiera graffiata sulla fiancata destra, appena schiaccia sull’acceleratore, leggeri fiocchi di neve lo investono. Il motore dell’auto muore e lui inizia a litigare con la chiave e la centralina che non risponde.

Il nervosismo dura un paio di lunghi, interminabili minuti, e con la neve che non smette di scendere e il cellulare imbizzarrito da un attacco seriale di messaggi dal sito di appuntamenti Matchpartner.com, Amine gira con calma la chiave, facendo partire l’auto. I suoi occhi guardano in alto per ringraziare qualcosa che a lui non si è ancora svelato e con parte dello sguardo sul cellulare e un’altra parte sulla strada, accelera in direzione Losanna, dove conoscerà una donna speciale che arriverà alla stazione, proprio dalla Russia. La neve cadendo, lo fa sperare che lei abbia davvero un bel corpo perché ha intenzione di divertirsi un bel po’ con la promessa a lei, di un matrimonio e di una cittadinanza.

 

    Dicembre venti- Alba. Londra. Lei scende i gradini con i tacchi alti quattordici centimetri, non vuole sfidare le sue paure prendendo l’ascensore. Si sistema le ciocche di capelli ancora in disordine e le scendono sulla faccia. Non sopporta le imperfezioni. Sedici piani a piedi sono una ottima palestra. Lui non è sopportabile di primo mattino e lei lo sa. Sono fidanzati da così tanti anni da conoscere i Lunedi mattina del suo fidanzato. Un weekend col pazzo ma è così affascinante, così ricco da non darle altra scelta che amarlo. Mentre i suoi passi leggeri non tolgono il tormento del rumore dei tacchi dalla eco, lei digita velocemente sulla tastiera del cellulare, messaggi che lui troverà appena sveglio. All’ingresso del parcheggio sotterraneo, scatta un selfie che gli manda con la scritta, eccomi sana e salva salire in auto, senza aggiungere in quale parcheggio si trovi e trovate nella minuscola borsetta le chiavi della Mercedes scura di grande cilindrata, schiaccia l’allarme e dopo il bip le portiere si sbloccano. Entra e appena dirige l’indice sul piccolo quadrato, mentre i suoi occhi corrono sullo specchietto retrovisore che mostra le occhiaie dopo la folle nottata, l’auto salta in aria. Un balzo spaventoso, considerato l’urto della carrozzeria contro il cemento armato del perimetro di protezione affetto dal colpo e rimasto segnato ma senza pericolo di crollo, nel punto d’impatto.   

    Il  boato è tremendo, la deflagrazione fa volare per aria le due auto parcheggiate vicino alla sua. L’edificio oscilla, qualcuno lo avverte come un terremoto, altri, gli inquilini dei primi piani, come un bombardamento, ma tutto  sembra un sogno perché sono ancora mezzi addormentati. Immediatamente scatta l’allarme antincendio e una telefonata d’emergenza attiva alla centrale dei pompieri.

    Lei è dispersa ovunque, l’ultimo pensiero fisso nello specchietto retrovisore, era al mascara in eccesso sui suoi occhi, il tradimento che nascondevano, lo nascondevano bene. Certi incidenti imbarazzano persino la morte che accoglie gli sfortunati di passaggio per il Purgatorio, come premio all’ardore che il Male mette, quando toglie dal mondo, esseri meno mediocri. Cedra Houette ventisette anni, lascia un appartamento al ventiduesimo piano dello Sharp, settantadue paia di scarpe, trecentottanta borse, sedici anelli, una parure di diamanti e una tiara di rubini. Il suo Vertù è volato oltre panic door del posteggio. Ogni cosa nella borsa sul sedile del passeggero si è cremata, ogni cosa fuorché un piccolo oggetto di metallo che potrebbe sembrare una moneta antica portafortuna.

    Il terrore prende forma, quando qualche inquilino chiama la portineria per chiedere spiegazioni. Con gli ascensori bloccati alle sei del mattino le scale del Regis sono trincee attaccate da piccole folle in accappatoi e piaggiami, tutti disperati per la propria auto. Il fumo nero è così denso che i due piani del parcheggio sono inaccessibili. I primi poliziotti bloccano l’accesso ai sotterranei per paura di un attentato e gli inquilini restano nell’area della reception desiderosi di capire l’accaduto, alcuni filmando il panico, il disorientamento, il nervosismo e qualcuno persino cercando di eludere la sorveglianza per penetrare nel fumo nero e capirci qualcosa.

    Piccoli fiocchi di neve e un leggero soffio di vento. Aria gelida ma soprattutto silenzio come una colonna sonora armoniosa a un quadro perfetto che la natura dipinge con mani lente in un mondo ancora dormiente. Un panno leggero sui tetti delle case e qualche strato di ghiaccio morbido vicino alle bocche dei camini che fumano con la spinta delle caldaie prese a lavorare.  Strade non ancora pulite e marciapiedi con il volto scuro coperto da una piccola magia bianca, quanto basta per togliere al tetro la sua imponenza e alleggerire il senso di oppressione della città così affollata da aver occupato ogni spazio verde, ogni centimetro di natura incontaminata.  Gli alberi non hanno perso del tutto le foglie e qualcosa del loro antico splendore è rimasto a terra, accatastato in piccoli cumuli color ruggine, sparpagliati intorno ai grandi tronchi.

La bassa nuvola della nebbia si mescola al fiato freddo dell’aria. L’acqua oltre di duemila metri si è già cristallizzata e non ci sono temperature miti perché di possa disgregare in pioggia vicino al suolo. La costanza dei fiocchi di neve, aumenta e rallenta a discrezione del peso delle nuvole che gravitano insensibili allo smog, sopra i millecinquecento chilometri quadrati di superficie calpestabile. Più di otto milioni di persone assorbiranno la neve da ogni cosa che il bianco stato capace di contaminare durante la notte, edifici, muri, piante, strade, rive, battelli, animali, uomini.  Ventidue chilometri dal centro città e alle sei e mezzo del mattino c’è già luce nelle villette a schiera con il giardino ordinato e voci che sommersamene imprecano prima ancora del primo sorso di caffè.  Londra è presa dal panico del terrorismo e l’allerta viene comunicata a tutta Europa in brevissimo tempo. La neve attacca con la forza di una bestia arrivata dall’Inferno per mordere il cuore caldo del mondo.

    A tremila chilometri di distanza in linea d’aria, un ragazzino col suo gatto rannicchiato nello zaino, fissa il cielo e annuisce al vuoto con un sorriso, è giunta l’ora della punizione e la neve comincia a scendere su tutta Europa e non delicatamente, amabilmente, fragilmente, ma con carattere, con forza e con determinazione.

    Ai centri controllo meteo di tutto il mondo, arriva un allarme rosso. In meno di ventiquattro ore le temperature scenderanno non progressivamente ma repentinamente e la bufera tormenterà per non meno di una settimana l’intera Europa, concentrandosi sull’arco Alpino. Prima di redigere l’allerta, i  professionisti studiano quelle gigantesche perturbazioni che stanno per fondersi, in una tempesta da “Fine del Mondo” così l’hanno nominata.

 

    Yverdon. Alba. Il bagno è rivestito con piccole e vecchie  piastrelle verdi. Sul lavandino una fitta gamma di creme da supermercato, lamette da barba consunte, saponi usati all’odore di felce, champagne e vaniglia, schiuma da barba, shampoo per bambini, tubi di dentifricio usati per metà o per tre quarti, e una grande bottiglia di collutorio con l’etichetta doppia e la scritta ‘saldo’. Sopra il lavandino uno specchio con due lampadine che fanno una luce gialla, malaticcia ma che rende l’atmosfera calda e piacevole. Il water è chiuso con un coperchio beige che stona con la carta igienica azzurra. Un filo di acqua fredda, ghiacciata, scende da un vecchio rubinetto in una bianca vasca di ghisa. Il corpo è sul fondo e solo il naso di lei torna in superficie, ogni tanto, per respirare. Lui stringe nel pugno un punteruolo affilato  e lo fissa con piacere , prima di affondarlo nel corpo inerte del blocco di ghiaccio e lo colpisce con violenza, con rabbia quasi senza fare trasparire nulla dagli occhi calmi. Il ghiaccio esplode in centinaia di pezzi.

Alcuni pezzi finiscono sul pavimento, quelli più grossi lui gli raccoglie e li getta nella vasca, quelli più piccoli iniziano a sciogliersi, creando pozze d’acqua sempre più grandi ma che lui ignora. Una volta diviso il blocco di ghiaccio in due, lui lo prende in braccio, bagnandosi la camicia e lo deposita sul corpo immerso di lei. Lei apre gli occhi sottacqua e lo guarda, abbozzando un sorriso che resta intrappolato in una quarta dimensione senza mai apparire come tale e senza mai sviluppare l’ilarità. Lui resta immobile a osservarla, pensa a qualcosa di irrazionale che non gli importa minimamente di condividere, anche se il suo cuore batte appena sente che il respiro di lei sotto il peso del ghiaccio, diventa impercettibile.

    Lui l’osserva mentre le labbra che vorrebbe baciare ma che non sfiorerà mai, diventano violacee e i brividi sulle braccia che ogni tanto emergono, restano unici testimoni del dolore che lei prova mentre resta coperta dall’acqua ghiacciata, mentre lui ha un orgasmo, fissandola, desiderandola, assorbendo dal suo dolore la fragilità.

Molti dei blocchi che lui ha aggiunto, otto metà per esattezza, sono ancora interi. Lei non chiede aiuto e non emerge, resiste. Lui continua a osservarla, mentre con la mano destra le accarezza il volto pallido, quasi esanime. Lui si richiude i pantaloni e infila la camicia prima di stringere la cintura.

    Lei trema. La sua bocca, il suo naso, hanno smesso di respirare. A occhi chiusi, in apnea. Il battito del cuore dolorante è diventato sempre più acuto, sempre più pungente. Sì’ la morte è una cosa al limite del respiro, come il piacere, come il desiderio di sentire il fuoco dell’altro per poi trasformarlo in qualcosa di tuo. Lui infila il braccio nell’acqua e sotto il corpo della donna. Lei si raggomitola contro il suo braccio.  Lui si libera e la cerca. Lei attende. Il gioco, ecco perché è lì, il gioco gli ha sempre uniti. Il suoi seni hanno freddo ma lei ascolta altro dentro di sé. Ascolta la mano dell’uomo abile nel capire dove, come, quanto restare in lei. Ognuno ha il proprio perimetro inviolato. Ognuno domina il silenzio con un frenesia irrefrenabile ma nessuno parla. Forse così dovrebbe essere la non conoscenza della possessione. Non affezionarsi alla preda, non affezionarsi al predatore. Sottomettersi al momento e basta. Friggere, bollire, consumarsi, sciogliersi, frantumarsi, disintegrarsi, diventano le uniche possibilità di resistenza alla forza che invade il corpo appena si surriscalda. Sottomettersi non basta. Il momento non basta. Lui ritira il braccio dall’acqua e la camicia zuppa inizia a grondare ovunque, lui si serve di un asciugamano che rotola intorno alla manica bagnata. Il problema è afferrare il futuro e al cervello che macina percezioni non resta che abbandonare tutto per sforzarsi di raggiungere l’oblio. Lei non è completamente soddisfatta. Lui guarda l’ora sul cellulare e scuote la testa.

“Sono in ritardo.” grida per farsi sentire da lei.

Lei emerge e con la bocca tremante, balbetta qualcosa che lui non riesce a capire.

    “Pensavo … Martin.”

    “Pensavi cosa? Il mio nome non è Martin, mi chiamo Wim. Sai che non dipende da me. Sono in ritardo. Tu vestiti. Lascia pure la porta aperta, il mio amico tornerà per mezzogiorno. Ti prego, rifai il letto, io sono in ritardo. Ci sentiamo.” e senza aggiungere nulla di carino che possa rincuorare la vittima, si sistema i capelli nello specchio del bagno, si lava accuratamente le mani e poi esce. L’asciugamano intorno al braccio, finisce sulla lavatrice. La sua uscita di scena da attore, aumenta il dolore nel cuore di lei che medita nell’acqua ghiacciata come fargliela pagare. I fiocchi di neve investono l’uomo che sta cercando con gli occhi la propria auto, ma ha come una premonizione. L’auto è sparita. Sparita, pensa lui, significa rubata, e un attacco di panico entra nelle sue vene, ha meno di venti minuti per arrivare al lavoro. Fissa l’orologio. Perché fissa l’orologio? Il tic tac nella sua testa è scattato. Lei dovrà lasciare la casa del suo amico prima di pranzo, le manderà un messaggio e un saluto d’addio. La neve scendendo, gli fa capire che il mondo è pieno di fiocchi di neve, non bisogna fossilizzarsi su uno solo. Dovrà correre alla stazione a ricevere una nuova amica. Si sta stancando di quel gioco ma in mancanza di altro, reciterà la parte dell’uomo sfortunato che non riesce a trovare il proprio amore. Recitare è quello che gli viene meglio, quando non è preso dal panico, quando non è fuori schema. Wim non ha un berretto e la cute nuda del sua capo, assaggia il tocco ghiacciato della neve che cade. Lo attende una giornata strana, pensa lui mentre conta ogni secondo che lo separa dall’auto e mentre fissa il colore dubbioso del cielo.

 

    Tutto muta. Almeno così parlano le forze della fisica, se il tutto non è in stand by attivo, tutto si evolve. L’amore è una di quelle impressionanti e inspiegabili forze che ci spingono a voli celestiali e a cadute, ahimè, infernali. Proprio nelle cadute che si compiono le prodezze dell’ingegno umano. Più cadiamo, più ci fracassiamo le ossa dello spirito, più ci sentiamo bene. E’ un bene maggioritario che colma il vuoto di una ragione che non spesso vince e di cui spesso, restiamo vittime.

    E’ il cadere che ci rende affascinanti. Cadere tra le mani dell’amore, anche se brevemente, ci fa volare sempre con le ossa dell’anima rotte ma a quel dolore subentra il piacere e così, sebbene con ali spezzate noi proseguiamo nella vita, cercando di stabilire quali siano i nostri veri confini, i nostri limiti o peggio, il nostro livello di resistenza, prima di un’altra inevitabile caduta. La spiritualità, il razionalismo, i mantra, il Chi, e tutto il ‘vernisaj’ di profezie positivamente auto stimolanti in contatto con le vibrazioni universali, servono a poco, quando i tuoi piedi affondano nei sentimenti; inevitabilmente ti ritrovi con tutto il tuo stimato IQ ad attaccarti alle corde invisibili di qualunque informazione ti possa fare sopravvivere all’evento più devastante della vita umana, il processo d’interiorizzazione dell’amore. Più lui ci penetra più noi ci spaventiamo, decliniamo ogni responsabilità, dichiariamo falsi alibi alla nostra coscienza nella speranza di non avere testimoni per il crimine di cui ci siamo macchiati, innamorarci senza difese.

Tutto muta. L’amore non ha bisogno di armi per vincerti, per distruggerti, per prenderti e buttarti per aria stomaco, organi interni, cervello, coronarie, solo per prepararsi un minuscolo nido da qualche parte nel mistero del tuo essere. Sotto la sua dittatura, diventiamo impotenti, handicappati, stupidi ma splendenti.  Così questo animale feroce non arriva con legioni di soldati cattivi, imponenti e agguerriti, ma che avete pensato? L’amore si presenta come una goccia d’acqua trasparente, fresca e dissetante. La sua armonia, i suoi modi calmi, la sua sincerità, la sua toccante dolcezza sono le sue armi che colpiscono, disintegrano la tua razionalità su cui in meno di un attimo non darai più un centesimo. Colpiti dall’amore saremmo stracci in meno tempo di quanto al fulmine serva per disintegrare il tronco di un forte albero, però saremmo belli, illuminati, fluorescenti poiché abili a camminare in qualunque direzione, a due palmi da terra.

    Nessuno può anticipare l’amore, prevederlo, sarebbe come leggere nel futuro e alcun veggente, mistico e profeta c’è mai riuscito, quindi perché farne una tragedia? L’amore è un percorso fatto di scoperte, prima una, poi un’altra e avanti di questo passo, dei colpi di fulmine non mi sono pervenuti i dati, quindi credo che i colpi di fulmine che non facciano parte della banale ma veritiera categoria: ‘love could be a long arduous walk into a deep dark place’.

    L’amore non è la luce fuori dal tunnel e nemmeno la fiaccola nelle tenebre, l’amore è buio, il buio completo in mezzo a situazioni in cui devi fare delle scelte e in base a queste, tu potresti ricavarne delle gioie o meno. L’amore è un fondale oceanico soggetto a imponenti correnti marine e pressioni. Quando qualcuno ti dice, sei tu il fautore delle tue disgrazie o della tua felicità, non sbaglia. L’amore non è un acceleratore o un freno, l’amore è alpinismo puro senza corde e senza chiodi fissi, dove appoggiare i piedi nella salita.     

Nessuno è mai abbastanza allenato o presuntuoso dal credersi immune all’amore o preparato per esso, poiché un sentimento come questo, è tanto forte e pericoloso, quanto mortale. Non esiste una prescrizione nella scatola con i limiti e la posologia. Troppo amore o troppo poco, a seconda della nostra costituzione e della nostra dieta di sentimenti, a seconda dell’apporto proteico o glicemico, insomma non si può somministrare l’amore in base al livello di colesterolo, età, peso e abitudini.

    L’amore è una macchina pazza senza conducente che t’investe in pieno, e fatti tuoi se ti spacca le rotule in retro marcia o ti contorce i dieci metri d’intestino suscettibile all’umore, quando arriva e arriva e prima o poi, ti centra con la stessa beatitudine con cui un bambino morde voracemente una zuccherosa ciambella prima di un attacco di appendicite.

Tuto muta. Paesaggi. Strutture. Svizzera. Inverno. Inizi Dicembre. Nuvole basse. Nebbia. Sulle colline di Yverdon le Bains, già famosa per i romani per le sue magnifiche acque solforose, la neve ha lasciato il suo sottile e testardo velo bianco, mentre le nuvole non intendono lasciare passare alcun raggio di sole e nemmeno mostrare un centimetro di blu.

    A venti minuti da Losanna, questo angolo appartato e quasi insignificante sulla carta geografica, resiste nella sua tacita magnificenza, alle mode dei cacciatori di tesori nascosti. Al turismo da intenditori. Nonostante il plagio della stagione uggiosa, il profilo delle case basse, delle mura medievali del castello. I negozietti seguono un ordine mentale, logico e sono incastonati ordinatamente negli edifici.  Le case sono un po’ vecchie, un po’ ristrutturate. Pochi veri grandi palazzi, la cementificazione è ancora sotto controllo. Le Terme sono quella eccellenza che pochi stranieri conoscono.

    Le strade non sono ancora arterie a tre corsie. Nonostante nella costruzione dell’urbe ci sia stato un’iniziale amore per la razionalità, il resto si è sviluppato seguendo una logica naturale, usando il lago non come punto di forza ma di naturale limite. Gente a piedi poca, normale traffico e qualità della vita ancora visibile sebbene la recessione si senta fin troppo sopravalutata. E’ periferia ma considerata la presenza del lago a pochi chilometri dal centro, qualcosa cambia. Non è magia ma una accettazione di un bene che si possiede.

Yverdon è ingentilita dal lago, altrimenti sarebbe una qualunque periferia di una qualunque città senza speranza che l’atmosfera possa guadagnare dei punti a suo favore. Il verde non è addomesticato che da piccoli sentieri che corrono sul  margine del lago.

Le rive mostrano acque verdi trasparenti, foglie morte condensate in cumuli spugnosi, accarezzati da dolce ondeggio, tronchi caduti intrappolati per metà della sofferenza che gridano alla sabbia e qualche gabbiano che si beffa della trasparenza del lago per correre verso i tetti della città. Il verde chiaro della riva è assorbito in distanza dalla bocca d’acqua, dove si appoggia anche il cielo e il tutt’uno si perde sull’orizzonte che brontola contro la quiete spezzata dai voli di piccoli uccelli presi a suggestionare il vuoto con le loro acrobazie. Le terme, sebbene possano risollevare le sorti economiche della città, non sono ben sponsorizzate è così, chi ha il pane non ha i denti e cosa dire della Facoltà di Ingegneria, tra le migliori in Europa? La cittadina è un gioiellino sulla mano di un avaro che tiene la mano in tasca per non mostrarsi ricco.     

 L’aria profuma persino col brutto tempo. Odori di pane, di burro giallo e di acqua fredda. Vi domanderete come sia l’odore dell’acqua? Qualcosa tra l’odore dell’erba calpestata e un rovescio di pioggia. Yverdon è il rovescio del concetto che abbiamo di cigno che nonostante la sua sublime bellezza ed eleganza, lui non sa cantare, ebbene   Yverdon la sua bellezza la grida e in maniera sublime ma la sua voce è così timida, così dolce e sommersa che alcuno la sente.

Questo disperato canto di Orfeo non è per semplici orecchie ma per intenditori, probabilmente. Ci vuole un animo predisposto all’ascolto di questo timido cuore svizzero ci vuole lo spirito giusto oppure un orecchio fine che capti l’armonia del tutto. Certo che non offre molto ai giovani e forse si diventa dei tossici per superare l’autunno umido e l’inverno gelido in mancanza di pub, discoteche e scelte di varia natura che non contempli il monologo con se stesso e una canna pari del doppio della tua altezza. I giovani hanno bisogno di bruciare mentre queste cittadine sono più per vecchi o quelli che usano posti solitari per meditare.

     C’è qualcosa di piacevole in questa malinconia stagionale, un respiro freddo che parte dal punto del lago sulle rive dov’è magicamente trasparente e arriva al cuore con la sua carica calda e bruciante. E’ l’effetto dell’inverno, penserà qualcuno. La vicinanza del Natale, risponderebbe qualcun altro, ma è di più, lo dicono in molti. E’ la magia. Ci posti che nascono magici per antonomasia. Le case, mai palazzi troppo alti da coprire la vastità che tiene nel punto di fuoco blu sull’orizzonte, la sua più grande bellezza, si inseriscono perfettamente nella cartolina che abbraccia un panorama mozzafiato. I panorami vincono sul momento poiché una volta allontanati si dimenticano. Prevale la sensazione del momento che ti assorbe, quel respiro profondo e gli occhi spalancati, ipnotizzati che studiano i dettagli delle sfumature di una natura vinta dal freddo. Yverdon sa donare qualche brivido di piacere. Sarà quel suo flemma lento, i suoi silenzi, l’aura di mistero avvolto dalla nebbiolina umida e ghiacciata.

Il lago di Neuchâtel d’inverno, assorbe la luce da dietro le nuvole e diventa più blu, è così che il suo specchio ipnotizza gli occhi dei cercatori di spazi infiniti. A un certo punto dell’orizzonte, non c’è differenza tra acqua e cielo, entrambi grigi, entrambi condensati nello stesso immenso silenzio spaccato ogni tanto dal volo pesante di qualche cigno selvatico o dalle mosse ardite di gabbiani molto avventurosi che rinsaccano tra le punte della città.

    Le acque, nonostante il colosso di ferro galleggiante nella baia di Yverdon, diventano una maestà territoriale e tu cerchi di abbracciare tutta quella meraviglia con i respiri perché è l’unica cosa che di umano possiedi e che possa condividere l’aria con il paesaggio.

In quel abbraccio, i tuoi occhi perdono l’istinto di possesso e viaggiano alla velocità della luce verso il senso di quel Paradiso, sì perché il Paradiso per noi uomini, deve avere un senso. Yverdon è libera dalle catene di montaggio del turismo industriale, è una bambagia calda per intenditori, per artisti, per innamorati, per gli ultra pensatori di tutti i tempi. Qualche tedesco o svizzero tedesco a gioire delle acque del lago ma i francesi del territorio non hanno mai voluto sviluppare un qualcosa che potrebbe destare il progresso e la ricchezza del posto. Nessuno incentiva e pochi conoscono ecco Yverdon.

    Gli spietati sono quei personaggi dominati dal sentimento e uccidono con i sensi poiché hanno bisogno di farlo più per difesa della propria fragilità che per vendetta. Gli spietati, son quelli che sono stati offesi dal destino e attaccano l’amore piuttosto che accoglierlo teneramente. Tutto accade con la consapevolezza di dovere afferrare le cose belle per poi portarle in una dimensione assoluta, priva di male, di morte, in una parte invisibile dell’universo, dove le anime, quelle belle, sono libere di restare infinite e immutabili. Si può uccidere qualcuno in infiniti modi, si può uccidere con le parole, coi gesti, con i sogni, con il silenzio, con l’indifferenza o con la violenza.  Questa necessità la sviluppiamo per difenderci, per vendicarci o per provare il limite di un rapporto. L’obiettività non è determinante, quando vuoi uccidere qualcuno. La riuscita è il premio e come si sa della riuscita? L’infelicità prodotta, è pari alla gioia che proviamo nell’averla procurata. Lo spietato gode intimamente poiché nel suo inconscio questa forza la pensa completamente positiva. Il suo modo di amare, di esprimersi è totalmente libero dalle regole. Sempre alle regole pensa Maximus, seduto nella poltroncina rossa al centro della piccola libreria olistica.

    Maximus Benedict Machmanm, Max per gli amici o semplicemente “il libraio” per gli altri, cinquant’anni il dieci di Dicembre, un metro e novantadue centimetri d’altezza, biondo da giovane ora brizzolato, occhi nocciola chiari, poco propenso allo sviluppo della propria muscolatura, ma allenato con la batteria ai tempi, anche se poi l’allenamento ha cancellato i suoi segni, corporatura mista, mista significa che a volte perde peso e torna snello, atre volte diventa considerevolmente robusto e in questo momento è robusto, leggermente depresso ma non lo ammetterà mai, tante, tantissime storie d’amore forse più concepite nel suo capo che realmente vissute che lo hanno arricchito spiritualmente, forse e un desiderio innato di fermarsi con qualcuno capace di legare quella ribellione che ha in sé, ma in modo che lui non lo sappia. I fallimenti non li conta più. Ha perso tutto ma non il senso del sognare, del giocare, del credere nel futuro.

    Maximus è nato da madre tedesca e padre francese. La sua relazione col padre è la spina nel fianco, il problema di tutta una vita, il conflitto per antonomasia. Romantico fino all’osso, ma il suo romanticismo è una difesa contro quelle cose serie che non vuole più rivivere, legami, relazioni, tutto quello che significa catene lui le ha lasciate alle spalle, adesso è uno spietato con le donne, coi sentimenti e sorride appena gli amici glielo fanno notare.

Maximus si considera un perdente. Non  desidera battere il record di tombeur de femme, non è una gara quella che sta vivendo, per lui è indispensabile provare a innamorarsi perdutamente all’infinito e di tutte quelle che gli passano a tiro, o di tutte quelle capaci di conservare un filo di sottile mistero e di magia, appena loro svelano tutto, appena lui le conosce a fondo, lui si dilegua, come inchiostro simpatico. E’ sedotto da una Dea inesistente, impalpabile, eternamente desiderabile. La Dea che la sua mente ha costruito, è un sogno verso cui indirizzare le proprie fiamme e con questa vanesia percezione dell’amore, lui continua la sua galoppata nello spazio dell’immaginario poiché nella realtà ha capito che esistano solo false copie che non riescono a spegnergli il fuoco.

     Il suo cuore brucia costantemente, il suo cuore o il suo spirito si strugge di  passione inizialmente e appena catturata e divorata la preda, questo fuoco scema, così improvvisamente, cosa che lui non può controllare perché il fuoco dentro non gli appartiene bensì considera una entità superiore e inavvicinabile da altri esseri umani se non dall’amore. E’ la sua natura. Non conosce e non vuole altri modi d’amare, poiché la costanza significa noia e la noia non nutre nemmeno un poco quella fiamma con cui immagina la donna perfetta da qualche parte oltre gli orizzonti. Wim, il suo migliore amico, gli consiglia da sempre un viaggio a Tokyo, la città della luce, del rush metropolitano e dei colori. Una geisha potrebbe sedurlo e fermare la sua corsa, almeno è quello che pensa Wim. Max è sempre stato attratto dalle asiatiche, il loro volume ridotto, il loro aspetto esile, la pelle di porcellana, ma le donne del suo immaginario resteranno per sempre nella sua mente, lui lo sa. Il loro carattere, il facile nervosismo, lo disturba. Il femminile è troppo irrequieto perché possa saziarlo, lui cerca altro. Cerca la marea che lo travolga con la sua forza silente. Cerca il vento. Cerca un mare che possa avvolgerlo e dentro cui domare e spegnere il suo fuoco ma anche lui ha i suoi incubi. Quegli occhi azzurri spalancati, il bianco opaco e la pelle viola, ecco com’è la morte, una fredda bambola senza carattere, senza emozioni che emana il fetore dei vermi e della decomposizione. Il prezzo di Sarah, il ricatto di Sarah nei suoi più lontani e volontariamente, irraggiungibili ricordi. Il suicidio della ragazza che gli aveva dato tutto e che lui, lui non ricorda più perché l’aveva allontanata  e come mai lei si era suicidata nella loro vasca da bagno, in una notte stellata, con la casa piena di candele accese e la cena calda in tavola. Cos’era successo quella notte? La notte in cui nella sua testa rimbombavano le sirene delle ambulanze, alieni in tute spaziali giravano per casa sua, qualcuno continuava a chiamarlo per nome e lui non riusciva a distinguere bene le loro facce. Poi ricorda di aver vomitato, ecco l’effetto di quell’incubo, la nausea e poi la voglia di dare di stomaco. Ha dimenticato. Ha rimosso. E’ guarito almeno una parte di lui è guarita, dopo il momento di confusione, la terapia e i chilogrammi di pillole, pillole di ogni colore, dal gusto acido ma dolciastro. Pillole che superano settimanalmente l’età del pianeta e di cui in qualche modo è diventato dipendente. Ma è guarito. Pillole rosa, dopo i pasti e pillole verdi prima di mezzanotte, il numero non conta, dipende da come si sente, se preso dal panico, se vuole un sonno senza sogni, se e ancora se …

Vivi come un re Mida nella sua miniera di diamanti, tutte le donne ti vogliono ma tu non ti nutri di alcuna di loro, le parole di Wim hanno un fondamento di verità, Max lo sa. Mi sento di più “Un giovane Werther”, pensa Max, il cui dolore nella vita non è immaginario, non è focalizzato, ma è una costante spina nel fianco, senza un punto preciso del male nel suo corpo, ma più una forza oscura che lo infesta con forze alterne, in modo che lui non possa scovarla, in modo che lui non possa guarire, in possa fuggire dalla prigione.

“Io appartengo al dolore come un Otello alla sua Desdemona.” parla con se stesso e a alta voce, con lo sguardo fisso nello specchio del bagno, affumicato dai vapori caldi della doccia, mentre le mani di lui stringono i bordi del lavandino in cerca di una boa per i pensieri più oscuri che lo portano lontano. Non è colpa delle donne, le donne sono donne, mammiferi con la bussola dei propri ormoni, ma è colpa del cannibalismo di quel sentimento che si nutre di altri sentimenti e più sono forti i sentimenti che gli cedono più lui sta bene. Uccidere il dolore, uccidere la felicità, ogni gioia e ogni tristezza, per nutrire l’amore. Chi è il suo vero amore? Dove sarà la sua platonica metà? Tutte le Fanny Hill sulla sua strada lo divertono sì, ma con moderato coinvolgimento del suo cuore. La strada per il Paradiso è agglomerato di ostriche strappate agli scogli. Tutti infognati in una stretta via che porta se non alla felicità, almeno all’illusione di essa. Il mostro dell’amore vivi là fuori, pensa Max, libero e impertèrrito, un nave senza ancore, un aquilone senza fili, un uccello senza un nido, solitario, ambizioso, egocentrico, violento.  Nessuno può vederlo, può trovarlo, può sceglierlo e lui che sceglie te. E’ lui che ti trova. E’ lui che ti osserva. Il gioco e le regole le fa lui mentre gli uomini sono delle esili marionette, balbettanti e sfinite dal desio.

    Il suo ideale, dovrà ancora incontrarlo, ha aspettato per metà della sua vita, di sicuro Max ha sofferto della colpa di aver amato ed essere stato abbandonato nel momento in cui dopo tanti anni, ci aveva creduto. Cadere non l’ha fatto desistere dai suoi voli di fantasia. Solo nell’immaginario tutto è perfetto e lei, la sua lei lo aspetta con le braccia protese. Lei è rimasta perfetta, nulla della morte le ha intaccato la pelle, il volto, il sorriso.

Willem ten Bosch, quarantacinquenne, problemi di calvizie che fatica ad accettare, piccolo venditore in un negozio di articoli elettrici, è il suo miglior amico da pochi anni, poiché gli altri si sono auto cancellati con i fallimenti passati.  Wim lo capisce, gli presta soldi, condivide alcuni suoi sogni, suonano insieme le canzoni che Max compone, lo sostiene ed è l’unico a provare ammirazione per quella spettacolare libertà dalla ‘donna’ che Max dimostra spensieratamente.

Ogni tanto Maximus racconta ai suoi amici dei suoi tanti fantasmi, della sua ossessione di diventare un cantautore famoso ma dopo aver trovato i soldi per prendere delle lezioni di canto e accompagnamento della chitarra, racconta delle sue performance amatorie con ragazze  straniere nella chat ma tutto finisce con una risata sulla poverina di turno o su quelle incontrerà sul sito di appuntamenti, posto che bazzica come se fosse un ragazzino spinto più dalla curiosità del nuovo che dall’esigenza di superare una vita piena di solitudini interiori.

Max per il suo semplice concetto di vita, ha uno strano rapporto con il sesso opposto, anzi non vuole avere un rapporto troppo intimo. Lo sogna, lo cerca ma si rifiuta di dare qualcosa di se stesso, è la sua regola. Godere sempre, soffrire mai. Non gli piacciono i piagnistei femminili, i deliri e i marmocchi degli altri. Ha avuto le sue esperienze, tutte travolgenti, tutte importanti ma svanite, di quelle ombre gli restano solo i ricordi e lui non è uno che vive nel passato, no sissignore.

Suo figlio? Lo considera più un amico e poiché un amico ha i suoi spazi, lui non si interessa minimamente della vita del ragazzo, lo nutre, lo veste e lo manda a scuola ma i problemi sociali e quelli scolastici, sono per Wim qualcosa che lui non riesce ad affrontare. Le responsabilità sono belle quando sei tu a scegliertele ma se imposte diventano delle catene, pensa l’uomo ogni volta che osserva il figlio e questo non capita molto spesso poiché tra io lavoro e gli amici di Xilo i due si vedono solo la sera, anche se l’orario serale di Xilo è occupato dalle partite a playstation che durano più di una cena e meno di un discorso sull’importanza della scuola che qualunque genitore farebbe a un figlio, ma non Willem Ten Bosch.

Poiché Wim non concepisce la paternità, è completamente indifferente a migliore il rapporto col proprio e unico figlio. Se possibile, lui cerca di evitare di chiedere se le cose tra loro vanno bene, non essere interessato non significa che non vede le difficoltà con cui un padre senza soldi e senza un futuro brillante, cresce un adolescente, certo è che lui non vorrebbe essere né al posto di uno né dell’altro. Ognuno ha i propri limiti e i propri problemi e col futuro non c’è mai nulla di certo, così pensando Wim che invece di vivere si lascia scorrere ed è arrivato all’età di quasi cinquant’anni a domandarsi che senso avrebbe sposarsi se l’amore non lo lega a nessuna donna in particolare?

     Max Machmanm tortura le donne, gioca con loro, usa i loro sentimenti per difendersi dai suoi sentimenti, le sfodera e trova il loro punto debole  e sinceramente il lato romantico di una relazione, gli sembra sia superfluo, il sesso si consuma così in fretta e nulla dopo il sesso resta, nemmeno la curiosità di approfondire. Questa ‘noia’ lo accomuna all’amico Wim, la noia e l’amore per la musica, cose che fanno a pugni tra loro ma l’amore a volte si fissa sugli hobby più che sui sentimenti verso gli altri. Il male si fissa sempre sui dilemmi dello scegliere, sia lui che Max hanno smesso di scegliere, vanno semplicemente avanti e senza guardarsi indietro continuano una ricerca di qualcosa che forse esiste soltanto nella loro mente.

    “Spietato. Maximus Machmanm sei una bestia. Vivi da relitto in quest’atrio dell’inferno arrugginito e pieno di zanzare, ma sai il fatto tuo.” Wim lo fissa con ammirazione e una certa dipendenza emotiva,  Max l’ha salvato più volte dai problemi e non con un aiuto simbolico bensì con denaro che probabilmente sarebbe servito a lui per vivere.

   “In un mondo di brutture, io cerco solo l’amore.” risponde l’amico.

   “Io direi piuttosto che sei un ricercatore spirituale sperimentale. Lo scienziato pazzo dell’amore.”

    “Non voglio più fallire. Alla fine non vorrei dirlo, ma sembrano tutte uguali. Forse i sentimenti sono un dono che arrivano dall’alto. Se qualcuno mi domandasse perché non m’innamoro, gli risponderei perché sono già innamorato della mia idea e tradirla con una donna vera mi sembra come tradire me stesso. Il gioco è l’unica cosa che rende affascinante l’incontro, il resto è noia.” Risponde spesso Max con un sorriso che elargisce sommaria saggezza a platea invisibile. Gli piace ascoltare la propria voce.

    Max è il tipico uomo gioviale che non è mai cresciuto dentro è il ragazzino desideroso di spazi infiniti e libertà che lo guida nelle complicate vie della vita. Wim vede in Max la sua buona stella, l’uomo dalla luce celestiale che è approdato sulla Terra per guarire i bisognosi e per castigare le donne. Le loro serate insieme sono esilaranti. Le loro chitarre giocano, compongono canzoni e bevono, ridendo dei mali del mondo, delle donne troppo innamorate e stupide e delle donne troppo poco innamorate e sempre stupide. Wim ha visto il suo amico, quando era veramente a terra, quando il suo cuore ha quasi ceduto, quando all’ospedale non c’era nessuno a visitarlo.

    Chi è Max Machmanm? Le volte in cui Wim si è soffermato sul volto sorridente dell’amico, gli è parso di capire che fosse ‘l’istinto di sopravvivenza’ fatto uomo.

“Amico mio, è regolarmente il brindisi di Wim, che le tue briglia non trovino mani da cui debba dipendere il tuo viaggio!” Max apprezza questo genere di complimenti. Per un uomo solo che sente che la sua missione è restare celibe, spaziare oltre i confini della conoscenza,  è indispensabile circondarsi di amici che convengono con i suoi stessi obiettivi.

    Max Machmanm vive da soli quattro anni in un piccolo appartamento semi ammobiliato a pochi passi dal centro di Yverdon Les Bains ma non contento del contesto fa la spola tra l’abitazione e la Bestia, la sua prima vera casa, una vecchia immensa e mostruosa rompighiaccio in mezzo al lago che  suo nonno, con soldi rubati a una banca di Ginevra, ha piazzato nelle acque azzurre a dispetto del ‘no ‘ dei cittadini. C’è una carta firmata dalle autorità che spiega in modo chiaro che quel mausoleo galleggiante resterà per sempre l’unico orrore, o attrazione del piccolo paese. Col tempo la Bestia, senza manutenzione e senza soldi per mantenerla è diventata la tana di uno scapolo che quando fugge dalla città, si nasconde nella pancia di ferro dell’unico cimelio di famiglia che gli ricorda di provenire da una stirpe di ladri. Il nonno deceduto per infarto e in bancarotta ha lasciato alla famiglia solo il triste ricordo delle sue truffe bancarie, suo zio da padre di padre, ancora vivente, è ergastolano in una prigione di Parigi, accusato di aver molestato e ucciso un giovane studente, sua cugina di primo grado da parte di madre, è una prostituta politica ovvero è una politica che chiede e offre favori di ogni genere che poi rivende, ricambia e usa a proprio piacere, con lei sono andati a letto più di un centinaio di uomini di tutte le età e lei, alla bella età di cinquanta e molto passa, usa ancora la propria astuzia femminile per i propri scopi.

    La Bestia è Corinne, almeno così è scritto sullo scafo, Corinne era la prima moglie del patriarca Machmanm, donna di origine tedesca dall’indole prepotente e presuntuosa, laureata in religioni orientali dal carattere difficile e che fece una strana fine in un incidente nautico, inspiegabile per le autorità ma liberatorio per il vecchio uomo d’affari. Dopo la truffa, lui diede il nome della defunta alla Bastia che piazzò in mezzo al lago, contando sui permessi e sui favori che certi politici gli dovevano. Così il “mostro” fu piazzato sulle acque di Neuchâtel e dopo la morte del proprietario per ovi motivi di mantenimento e difficoltà burocratiche per la sua sopravvivenza, mentre tutti gli altri ereditarono proprietà, a lui rimase il museo già intaccato dalla ruggine e con i motori spenti, forse mai accesi. Sulla Bestia non c’è corrente elettrica, né acqua corrente, ma circa due tonnellate di combustibile, unico vero tesoro che Maximus, non intende usare. E’ il suo piccolo forziere. Il suo piccolo tesoro. I pochi turisti che vengono fino alle rive per fotografarla, hanno tutti lo stesso pensiero, è un gigantesco arrugginito coltello nel ventre della natura. Ma i curiosi grazie al cielo, sebbene non siano abbastanza, aiutano a tenere stabile la fama di una cittadina troppo piccolina sulle carte geografiche non solo del mondo ma anche del paese. Le gite intorno alla Bestia rendono quasi o più dell’esplorazione delle rive con il battello.

Certo che Yverdon non ha nulla a che vedere con la cosmopolita Losanna, è un po’ come trasferirsi da Milano centro a Triuggio zona Canali ma nulla conta se il nuovo inizio ha delle belle promesse. Ha vissuto a Losanna, ha amato a Losanna ed ha lasciato il suo ennesimo fallimento a Losanna.

Max non sarebbe mai voluto tornare indietro. Non perché non sia nel suo stile ma perché sarebbe stato l’ennesimo fallimento a farlo ripartire. I suoi amici hanno insistito perché vedesse quel gioiellino a due passi dal castello. Un posto pulito per lui e per suo figlio. Seppur vecchio, quel locale in molti se lo stavano contendendo e non soltanto per la metratura, per l’esposizione solare, per la posizione strategica ma per il prezzo, cento euro al mese sono un vero affare.   L’appartamento è vecchio, molto, molto vecchio, al primo piano, ma è luminoso e questo non è una cosa da poco. La casa è direttamente sulla strada, a fianco dell’ingresso c’è un piccolo negozietto, una ferramenta per l’esattezza e a poche decine di metri c’è la rotonda che porta al centro città e poi in tutte le altre direzioni. Il numero 8 è ben visibile e la porta, ridipinta più volte, adesso mostra il suo azzurro tenue. Tre stanze una cucina senza porta e un piccolissimo bagno tutte stanze che danno su un lungo corridoio.

    E’ nuovo inizio, ha sempre pensato lui cercando di resistere al dolore per l’impero caduto. Il dolore per le responsabilità da cui vorrebbe fuggire, svanire, sparire. Il dolore è quello il mostro da sconfiggere. Non lo sopporta. Ha bisogno di circoscrivere quel demone, chiuderlo in una stanza e dimenticare che esista. Ha divorato per anni libri sulla spiritualità, sulla positività e l’ottimismo, sulla condivisione del bene, coscienze, rituali di benessere concepiti da veri illuminati e ci crede ancora ma attende sempre un segno, un raggio di luce da quella fede che sente lontana. La cosa che lo tiene ancorato a una realtà deludente, è il sito d’incontri Matchpartner.com, centinaia e centinaia di pagine virtuali, dove passa intere notti a chattare, a curiosare sui profili, a divorare fotografie, sguardi ammalianti, scollature, sorrisi di donne, ragazze che mostrano positività, brillantezze d’animo, solarità congiunta a una vasta cultura. Pagine d’etere che macina per assaporare il mistero di qualcuna di speciale, per divorare e nutrirsi di qualche primizia non attaccata dal sistema, la cui individualità non è compromessa e il cui unico scopo e trovare lui. Ogni messaggio che riceve per lui è un banchetto e ogni banchetto nutre la sua autostima, il suo sano egoismo, la sua virilità. Incontrare seppur virtualmente è una costante nella sua vita, costante di  cui difficile liberarsi. Non c’è mai una sola donna da conoscere ma tante ed è un continuo alimentarsi di nuove pretendenti, di nuove bellezze, nuove possibile conquiste. Il suo animo gronda di una spiritualità femminile, un uomo che tratta da principessa la sua fragilità e che per nulla al mondo condividerebbe, lascerebbe che fosse ferita, maltrattata, raggiunta.

    Il difetto di Max è nascosto sotto una pietra probabilmente dentro il suo cuore. Questa debolezza che lui non ha mia condiviso con nessuno sul pianeta, ha delle difese tra cui il tic del strapparsi le pellicine intorno al pollice e la precisione di alcune abitudini, quelle che più interferiscono col suo segreto.

Ha letto ogni libro di quella libreria e non riesce ad andare oltre la copertina di quello che sta tenendo in mano “I colori dell’anima” così fissa la porta, c’è una donna fuori, la vicina Marinon che maneggia con delle chiavi prese dalla sua grande borsetta rossa. Vende pentole di una certa marca tedesca e di tutti i colori, roba di lusso. Lui ha la sensazione che la donna sia innamorata di lui e pertanto tenta di starle lontano onde evitare situazioni imbarazzanti. Lei si sbraccia per salutarlo lui finge un grande sorriso poi ritorna con la faccia nel libro aperto ad una pagina a caso ‘speriamo che non entri” ma lei entra.

    “Buongiorno Max!”

    “Butta neve, vero?”

    “Già, finalmente si fanno sentire questa festività.”

    “Già.”

    “Hai già dei programmi per Capodanno?”

    “Sì qualcosa ma nulla di definitivo, si vedrà.”

“Appena ho qualche momento, ti farò visita, sono interessata a qualcosa che ho visto nella tua vetrina, ci sono molti libri interessanti, chissà mai che mi decida a parlare con la mia parte spirituale.”

“Ti aspetto, sorride lui, sono qui per questo.”

La conversazione sta durando più di tre minuti e il tic tac nel suo cervello lo sta facendo impazzire perché la donna non si limita a parlare solo dei libri e così le cose scivolano sul personale, cosa che non è interessato a condividere con la sua vicina di attività. Marinon quasi gli legge la mente e gira i tacchi. Lui è contento, quando lei esce, presa nel cercare nella sua piccola borsetta oro di plastica pesante forse troppo estiva,  le chiavi per aprire la porta del suo negozio. Il sospiro di sollievo lo rasserena, non ha dovuto dire bugie, lei è una brava donna ma non è il suo tipo. Si rende conto che il libro è ancora aperto e sta per chiuderlo, quando un violento rumore proveniente dalla strada gli fa aprire gli occhi , chiude involontariamente la copertina e il suo sguardo si gira nel momento in cui il muso di una automobile gli piomba nel negozio. Il motore acceso e le ruote anteriori che continuano a girare fortunatamente bloccate per aria da metà della vetrata che blocca l’albero motore. Ciò che non è esploso è rimasto a fare da cornice agli occhi spalancati dei due testimoni, l’unico presente nella libreria e lo sfortunato al volante e la povera Marinon impietrita e con le mani sulla bocca per lo spavento. Lo spazio stretto del locale, diventa ancora più piccolo. Sebbene non ci sia alcun incendio, sebbene ogni cosa sia distrutta, la cosa che più manca nello spazio che felicemente guarda ai due sopravvissuti, è l’aria. La neve blocca la velocità discesa sulla modalità veloce e una tenda pesante che scende dal cielo inizia a impressionare l’aria, le strade, le luminarie spente e i tetti delle case. Immobilizzato e quasi incredulo, Max fissa la scena senza riuscire a battere ciglio. Tutto quel su cui ha puntato nella vita, è ora un campo di guerra. L’infelice al volante lo fissa quasi certo di vivere il peggior incubo della sua vita. La gente colpita dal boato è in strada a fissare il disastro, solo un gabbiano vola indifferente sul tetto della palazzina per fissare l’orizzonte denso di nuvole di neve.

  

    Milano. Margous Ota apre gli occhi scuri la mattina del venti dicembre. Il suo monolocale arredato con l’essenziale Ikea,  è zeppo di piramidi di libri che partono da terra per formare colonne alte quasi fino al soffitto, spartiti musicali usati come comodini, posate usate come addobbi per un lampadario Ikea, sedie all’ingresso usate come portafrutta. Con la mente è già sul treno. Accompagnare Alice è stata un’idea sua, non si può lasciare da sola un’amica e poi due giorni di vacanza non le faranno male e lei che pensava che Alice non stesse cercando un uomo, quando era stata lei a spingerla a iscriversi a un sito d’incontri? Fa una rapida carrellata mentale di come erano andate le cose, giusto per capire fino a che punto lei e la sua amica erano diventate pazze.

Nel suo monolocale fuori Milano tutto è un disordine ordinato, o un pulito pulitoso, come lo chiama lei. E’ una ragazza così ordinaria? Studiare le è servito per fare i mestieri nelle case della gente, il suo talento per la musica è rimasto nel desiderio di studiarla prima o poi.  La musica è l’unica che la tiene ancorata alla realtà, il suo amore per qualcosa che non ha mai smesso di amare la fa sopravvivere. Il suo violino è quello che lei chiama il patibolo dell’ozio, lui le assorbe ogni momento libero e quei pensieri che non trovano una soluzione nella sua testa, ma il non è una diva, è anziana per diventarlo e comporre musica a una certa età è come vedere una candela già consumata riaccendersi, nulla di spettacola direbbe la gente. Così lei e il violino sono invecchiati insieme, con canzoni romantiche, tempestose, struggenti come un amore mai arrivato, mai realizzato. L’amore è un sentimento così contrastante che solo una cosa cui ti dedichi completamente, ti può ripagare. Il resto è una battaglia. Una guerra. Cos’è la vita se non il libero esercizio dei nostri sogni più profondi che spingono per farci andare avanti nelle cose giornaliere più noiose? Questo ardere si condensa, non molte volte, in fatti, in forse inspiegabili e passioni che ci nutrono per qualche ora, minuto, decennio. Siamo umani. Siamo fragili all’apparenza invincibili, grotteschi nelle trasparenze e superflui nelle sfumature ma nel dettaglio, di tanto in tanto, possiamo osservare qualche ‘scintilla’ particolare, originale, unica. Ecco cos’è la vita

Lo specchio parla chiaro Margous,  l’amore perfetto non esiste, pensa lei guardandosi allo specchio del bagno, il corpo nudo, scheletrico, accettabile, inverosimilmente magro. I capelli? Cresceranno, l’ultimo taglio se l’è fatto da sola, anche la tinta, giusto per contrastare il pallore mortale. Qualcuno l’ha presa una volta per un uomo, ma come era stato possibile? ha delle lentiggini sul naso anche d’inverno e il collo sottile, dovrebbe rispondere agli scettici, niente pomo d’Adamo signori, ma per scherzo lo copre, così altri resteranno ingannati e lei si divertirà. Lascia perdere i dettagli e si concentra sul sorriso bianco, sorridi, sì, pensa, funzionerà ancora ma con chi? Con chi potrebbe ancora funzionare, se non ha funzionato sino ad allora? Si domanda lei, alzando ironicamente le sopracciglia, sottili. Niente ali di gabbiano, troppo corte e troppo sottili. Viso bianco occhiaie nere. Le occhiaie parlano chiaro, dovrebbe riposare meglio, trovarsi un sogno erotico, passionale e ficcarcisi dentro finché l’anima stanca di lussuria non dirà: basta. Tutta sfiga e lentiggini, telemetrie o semplicemente impulsi poi tradotti in parole corrono per le vie neurali del suo cervello, idee che i suoi occhi notano sotto un raggio di luce sfuggito alla tenda blu del bagno. Lei ha bisogno di un esorcista non di una relazione. Le relazioni si complicano, diventano prima cattive e poi noiose, ecco la sana verità dell’amore. Basta ragazzini. Basta uomini che cercano relazioni soddisfacenti pur di sentirsi uomini. La difficoltà dell’uomo è insita nei suoi testicoli che macinano  e macinano continuamente senza sosta, fino alla loro menopausa, mentre le donne? Le donne sono più controllate, più coerenti col loro desiderio di appagare tutto corpo e anima. Nulla esiste nella stessa forma, tutto si trasforma e probabilmente in maniera peggiore. Probabilmente i giovani di quest’era sono già vecchi per tutto e poiché l’amore è una cosa da giovani, nessuno di loro riesce a percepirlo, ad afferrarlo, a esprimerlo. E’ un continuo gioco, una estenuate ricerca di qualcosa che se non vuole trovarti, tu non la troverai mai. L’amore è un moderno strumento della pornografia che esaudito il piacere del corpo, soffocherebbe nel il libero pensiero se qualcuno cercasse di trovarlo in quegli “Oh!”.

    Margous  è capata dai mostri. E’ scappata dal sacrificio forse.  Il bene è cosi tremendamente unito al dolore e lei non vuole più provare dolore. Puoi cercare di dimenticarti degli sbagli ma non si possono cancellare.  Lei si alza sulla punta dei piedi per piegare il collo e fissare il centro del capo, la crescita bianca a quasi diciotto anni,  sotto la tinta non c’è ancora, meno male, la natura non ha accelerato la decomposizione della struttura, invecchiare è un delirio, soprattutto quando passi da una tinta mensile a quella ogni dieci giorni. La sua famiglia è soffocante, delirante per i soldi e parecchio triste. Ogni momento in cui va a trovarli, ogni cena festiva è assistere al litigio tra le sorelle e per cosa? Per soldi. Avere un futuro non è una priorità ma uscire da quella follia è la cosa migliore che abbia fatto, anche rinunciano agli studi. Ha tutto il tempo per riprenderli, più che tempo le servirebbero, soldi. Le sue storie d’amore? Imprese titaniche molto tristi in fatto di risultati, ma non è mai rimasta incinta. Gli uomini sono schiavisti, ha sempre pensato. Ti dimostrano comprensione ma poi fanno di tutto per chiuderti nel loro mondo. Schiave moderne beninteso che stirano, lavano, cucinano fanno i figli e vanno a lavorare. Il mondo si è evoluto ma gli obblighi si sono raddoppiati. Quello che veramente manca, pensa lei, è la leggerezza, il sentimentalismo, quei piccoli atti romantici, i sacrifici e snobbare un poco questa corsa al possedere cose di cui ci stanca che finiscono con l’essere sostituite da altre cose. Cose spesso sbagliate. Certe cose sbagliate dovrebbe annullarla ma non può. Le mani di quella ragazza sui suoi seni, il bacio saffico e la spinta del ginocchio contro la sua parte intima, lei lo ricorda ma non con piacere. Aveva bevuto troppo. Ecco perché l’alcool non dovrà più fare parte della sua vita. Ma non può dare la colpa all’alcool per le altre cose sbagliate. Quelle sono parte dei suoi geni, della sua fibra, del suo dna.

    I suoi pensieri si affollano. I sentimenti sono davvero un’urgenza? A quella domanda, nemmeno lei sa rispondersi. Probabilmente una bellezza che è medesima per tutti, un’icona sarà sempre baciata dalla gente poiché in virtù di quel materiale superiore anche se il contenuto non è eccellente, può aspirare a qualcosa che possa darle la felicità: un buon matrimonio, l’opulenza materiale, viaggi, serenità e una vecchiaia degna di meno sacrifici che qualsiasi donna nella media è costretta a fare.

I sentimenti se esistessero, se fossero importanti, servirebbero a nutrire dei talenti che lei, tornando a misurarsi con la sincerità dello specchio, non ha.  

Quindi perché dovrebbe mentirsi, non è mai stata così fortemente ripagata delle passione e probabilmente non lo sarà mai? La questione che la frenesia obblighi gli uomini a non prendere sul serio i sentimenti, non trova risposte. Gli uomini presi dalle molteplici possibilità di scelta possono evitare di donarsi a una sola idea e se la donna è fragile e cede, loro spariscono, con le loro promesse, i loro “ci si sente” diventando dei fantasmi nelle memorie delle sfortunate.

    L’amore dovrebbe essere un bicchiere d’acqua invece spesso si trasforma in veleno, in un acido che ti corrode la mente e lo stomaco. Ha dato amore, sesso e senza alcun limite e al pari non ha mai ricevuto nemmeno gli orgasmi. Questione poco importante, non fosse che lei si trova dalla parte delle donne, quelle che gli orgasmi li devono contare sulle punte delle dita poiché gli uomini hanno poco tempo, poco tatto, poco qualunque cosa per preoccuparsi d’imparare che ogni donna ha un modo suo per raggiungere il piacere. Già niente piacere senza conoscenza e la conoscenza è l’unica cosa che penalizza una relazione. Gli orgasmi sarebbero rimasti una sorte di off limits poiché l’uomo perfetto e l’amore perfetto, non esistono.

Primo o poi lo farà e lei spera poi, una scelta forte ovvero sentire un sentimento, o almeno dopo aver provato ancora e in maniera più che esagerata quella stretta allo stomaco della passione. E’ giovane, potrebbe essere fortunata. Funziona così, è la regola. L’uomo non ha molto bisogno di aiuto per godere, la donna di tempi di sperimentazione, ahimè tabù per una conversazione al primo appuntamento. Scusa, vorresti farmi godere, sai dopo quarant’anni, avrei imparato cosa e come lo voglio ma non so se tu saresti in grado di: primo, aspettarmi e secondo, farmi arrivare a un piacere assoluto, sai come il tuo? Quale uomo capirebbe che una donna necessita di un lavoro di squadra molto appassionato non solo un su e giù ossessivo e irritante? Non esistono delle vere proprie risposte a questa domanda, tutti gli uomini si spaccino pure per raffinati intenditori sessuali ma in pratica le capre hanno più pazienza e destrezza ad arrivare sulla cime di qualcosa, di un uomo.

Ma la speranza è l’ultima morire, pensa. Margous fissa quella minuscola ruga sopra il labbro superiore, proprio sotto il naso, ecco il mostro, pensa, il mostro è sempre in agguato. Innamorarsi rende folli, rende, luminosi e magri, sotto tutti i punti di vista. L’amore ti purifica, non c’è cavolo che tenga e fissa la lampadina della plafoniera che esplode, riportandola alla realtà. Poi pensa. Velocemente. Tanti pensieri. troppi pensieri. Le viene la nausea. Rallenta le immagini nella mente, è soltanto una donna e non un’eroina non lo sarà mai per nessuno.

   “Respira, don’t panic. E’ tutto okay. Un segno divino? No! Non lo è. si risponde da sola, è soltanto una lampadina che esplode.”

E’ una ragazza che conosce la vita, pragmatica. Non ha mai pensato all’amore con un prode e figo eroe sul cavallo bianco, arrivato dai suoi più bei sogni per rapirla; il suo perfetto cavaliere, svaniva nei suoi deliri adolescenziali, prima ancora di potere realizzare quale fosse stato il suo volto. Non le piacciono le fiabe con uomini che non conoscono il significato del dolore e del sacrificio, lei di certo è fuori dal girone infernale delle fate turchine e delle principesse. E’ un’invisibile. Una che non scalfisce l’animo di alcuno, una che dona il proprio corpo perché per lei il suo corpo non è un tesoro ma un mezzo per sperimentare, per sperare di arrivare almeno una volta alla gioia. Non è timida.  Non si considera sfortunata. E’ solo nata in un periodo dove il complesso dell’esteriorità batte l’indulgenza dello spirito. La società ruota sempre intorno ai felici, ai possessori di eredità, a quelli nella loggia della Scala con abbonamento a vita, alle miss che studiano all’estero, ai Lapo che non si è mai rotto una pellicina delle dita lavorando, eh, la vita degli invisibili è un suono breve.

  Non è la ricchezza che può fare splendere gli occhi di un eroe ma il suo coraggio. Il problema che gli eroi appartengono quasi sempre alla schiera degli illustri per definizione e non per lotta.

Mag conosce il sentiero dei sentimenti e la loro angusta meta. Tutto è una prigione. senza soldi la prigione resta chiusa, senza libertà dalle ristrettezze non ci sono incontri interessanti ma incontri, la gente eccitante è quella che si può permettere di osare, di indagare. Spesso l’eroe è corrotto dai vizi. Il principio, la regola, l’educazione, il rispetto, la pietà, la compassione, non appartengono più alla società moderna. Sperimentare tutto e senza tabù. Il gioco. La facilità dell’abbandono, basta un messaggio sul cellulare ed è fatto. Nessun giuramento, nessun impegno, soltanto la speranza che tra uomo e donna possa esserci qualcosa che li spinga oltre il precipizio della noia. Usare ed essere usati. Provare e imparare. Il suo corpo non è sconosciuto a nulla ma la sua anima trova misteriose le vie delle emozioni che legano le persone. Quei fili sottili che ti stringono, riportando nei sogni tutto ciò da cui stai scappando.

Visti i suoi precedenti e le sue amiche, capisce che non esiste un uomo perfetto per nessuno. Donne e uomini si tradiscono, pur di cercare all’infinito la cosa perfetta ma lei crede che tutti loro lo facciano per fuggire dal sacrificio, dal fallimento della propria scelta o peggio dalle responsabilità. Adesso è sola. Non è una top model. Non può vantarsi di avere talenti che altri non possiedono.

Il suo disturbo forse è di ordine sociopatico. Patologie sociali anzi di disturbo antisociale di personalità, caratterizzato dal disprezzo patologico del soggetto per le regole e le leggi della società, potrebbe descriverla meglio. La sua cerchia di amicizie è ristretta come è ristretto, una sola amica cui manda pochi messaggi e da cui pretende la stessa cosa. Margous odia il telefono non in quanto mezzo di comunicazione ma di rottura e invasione della sua privacy. Per lei non è giusto che bisogna essere disponibile a qualsiasi ora del giorno e della notte. Comunicare deve avere un senso proprio, un atto necessario del fare, vieni che facciamo oppure ti chiamo perché ho bisogno, altrimenti per altre smancerie, prove d’affetto o altro, meglio non chiamarla.  

Nella buona cara Wikipedia, Margous ha trovato un suo posto, disturbo della personalità, ovvero disprezzo da comportamento impulsivo, dall'incapacità di assumersi responsabilità e dall'indifferenza nei confronti dei sentimenti altrui. Questa cornice di termini la descrivono così chiaramente. Perché questo allontanamento dalle folle di possibili amici, conoscenti e varie? Perché la sua personalità è talmente sincera da diventare fonte d’aiuto per qualsiasi essere bisognoso cui serva aiuto, perché Margous ha un handicap non sa dire di no. Appena la conoscono, le succhiano l’energia, la positività, l’altruismo, una sorta di caricatore universale. Aiuterebbe chiunque veda profondamente sofferente, è la sua missione o semplicemente la sua natura ma questo senza farsi invadere da chissà quali sentimenti. La sua bambina interiore non ha mai smesso di gridarle “quanto sei stupida a volte”.

Amici ristretti, in verità soltanto una Alice trent’anni più grande di lei, e ristretto è anche il suo conto in banca eppure lei si sente ricca, ha un lavoro, una passione e dei piccoli sogni che ha fatto diventare degli ideali. Trovarsi un lavoro migliore, anche da centralinista, comprarsi un paio di scarpe che non si scollano dopo la prima stagione che le ha indossate e un viaggio però non da sola, non sopporterebbe lo sguardo degli estranei. Questa stupidaggine del sogno che non si realizza, lei non l’ha mai bevuta. Le cose hanno un prezzo, in fatto di tempo di costanza e di sacrifici che devi essere disposto a pagare. Lei crede nel “La via più dura è la migliore.”. Il vero premio, la soddisfazione che altro non è che nutrimento per l’amore proprio. Una esecuzione capitale del vivere senza una ragione superiore.

E’ una donna che ama le sfide, ho appreso il senso pratico e critico già a diciassette anni, dopo aver studiato Popper che in qualità di mentore filosofico, sostituente di una famiglia mai avuta, è riuscito a spiazzare i dogmi antiquati del come, il mondo di una donna dovrebbe essere, quindi potere credere a una sola relazione stabile con l’uomo costruito da madre natura esclusivamente per me, usciva da qualsiasi canone. Le meteore non cadono nello stesso punto, due volte, quindi, non poteva esserci uno stampo identico a lei, versione maschile. Margous sarebbe rimasta, unico e originale punto di impatto di una meteora sbagliata, caduta nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Non esistono persone perfette, ha sempre pensato, pertanto, nemmeno le relazioni tra uomo e donna potevano mai esserlo, nemmeno nell’era più evoluta degli esseri umani, quella della rete internet, dei cellulari sofisticati, dei computer che hanno sostituito i libri,  e dei siti pornografici aperti ai curiosi di qualunque età.

L’amore è rimasto quel traguardo difficile e indefinito per molti dei sopravvissuti alle imprevedibili ed disastrose relazioni sociali. Tutto ciò che oramai si consuma gratuitamente è il sesso. Sesso non più concepito come l’apice di una appagante, estenuante e vittoriosa caccia selvaggia alla femmina o al maschio dominante, ma un rapido sostituto dell’aspirina oppure dello Xanas.

Peggio dell’eiaculazione precoce, il sesso tra sconosciuti che si mentono sull’identità dietro il display del Laptop, la malattia colpisce circa il settanta per cento della popolazione mondiale. La febbre dell’appuntamento al buio, del sesso veloce e dei tradimenti sono diventati una normalità nella frenetica vita metropolitana. Possiamo immaginare infinite sfumature di rosa, quando dietro un display lei mostra la foto di vent’anni prima e lui del sesto mese di palestra mentre sudato alza i pesi. La meccanica è la medesima, non può cambiare. Lui finto ingegnere e modesto idraulico e lei finta giornalista di mestiere casalinga. Cosa cercano? Una cura alla solitudine o apprezzamento dell’ego che oramai spento necessità quelle attenzioni preziose e sessuali che fuori dalla porta di casa non abbiamo. Margous si stende sulla pelle del viso, la goccia di crema che tiene sulla punta del medio e inizia a tamponarla con delicatezza.

La conversazione anzi, il monologo con se stessa fa parte di            quelle scelte molto eroiche che nessuno potrà mai premiare nella vita di un altro essere umano, sono vittorie intime, inconfessabili, timide. Si è vero che il risultato del proprio vissuto, è potere ancora sorridere dopo i fallimenti, le cadute e i traumi, ciò significa che non soltanto che si è degli ottimi attori ma anche dei terribili bugiardi con la storia. Accettarsi per la propria fragilità senza sputarsi nello specchio ogni mattina dopo il risveglio, è già un traguardo considerevole, c’è gente che non accende nemmeno più la luce per non ritrovarsi il pallore e la cattiva cera del proprio vissuto. Margous fissa i lineamenti e espira. L’aria che lascia il suo corpo e il nuovo respiro che segue, sembrano un atto romantico. Dopotutto potersi guardare nello specchio e sorridere è una vittoria sulla sorte, una scommessa vinta con la morte e così via.

La gente applaude gli attori del cinema ma invece dovrebbe applaudire donne come lei, quando riescono a superare i guadi più difficili e completamente da sole.

Ecco cos’è il premio, un riconoscimento al valore e nessuno premia se stesso dopo una valorosa battaglia contro i sentimenti meno luminosi del pianeta quali: l’odio, la rabbia, la frustrazione, l’angoscia e ogni paura che ne consegue.

La verità è che le statistiche non mentono. C’è un diavolo, anche in quei tristi numeri che confermano che la nostra infelicità dipende anche dalla nostra evoluzione, insomma noi donne, pensa Margous, compriamo sempre più vibratori che superano la prestazione di un normale pene.

    L’attività culturale che più cura la nevrosi cittadina, sesso senza complicazioni, sesso senza inibizioni e sesso senza coinvolgimento emotivo. Tutte queste facilitazioni hanno rovinato il vero e proprio mercato dell’amore, delle persone sensibili, di quelli che credono ancora in qualcosa. Siamo arrivati ala stregua “ehi bella zia te la sbatti dieci minuti” per masticare una cicca ci vorrebbe di più. Abbiamo finito le argomentazioni dell’amore o sono rimasta l’unica scema su questo pianeta a cercare il mio idolo? Voglio avere i brividi quando penso a lui e cosa ci sarebbe di nel volere un grande amore a tutti i costi?

Comunque tra le milioni di difficoltà canoniche  e meno, che questo privilegiato sentimento affronta, ce n’è una, la più grande, la più massacrante e probabilmente quella fa crollare qualsiasi buon atleta già alla partenza ed è la fiducia. Amore è dare e  non aspettarsi di ricevere e pare che nessuno se lo ricordi. Tutti vogliono essere amati, essere circondati da attenzioni ma quando si tratta di te, di ricevere, girando la testa non trovo che il vuoto. L’amore che dovrebbe arrivare anche a te, quando arriverà?  E allora, zia,  è proprio sfiga, ti risponderebbe qualunque adolescente che conta alla sua tenera età più orgasmi di quanti tu ne abbia mai avuti in tutta la vita.

L’amore viaggia su strade sterrate e di sicuro non puoi avventurarti con l’aria da santarellina innocente che si aspetta dal primo contatto in rete, un amore eterno! Ma cerchiamo di essere oneste, l’amore perfetto non esiste. No esistono quei respiri corti che ti raddrizzano i peli a giorni di distanza.

 Le donne sempre confuse e contradittorie, tenaci e volubili spesso irritanti, piagnucolose, irrequiete, mentalmente disordinate e disorganizzate, mentre gli uomini testardi, troppo riflessivi o troppo spontanei spesso orientati a soddisfare il primo principio di inerzia, ovvero di stabilire le relazioni tra il movimento del proprio organo riproduttore e gli enti che ne modificano l’asse gravitazionale, la velocità di rotazione, l’inclinazione, la resistenza e tutte le altre forze fisiche esistenti in natura e applicabili al corpo umano.

    In verità è che Margous ha smesso già da adolescente, cioè da poco, di aspettare il suo lui perfetto, mentre le altre ragazze diciasettenni, abbracciavano il loro amore, sospiravano per le attenzioni di qualche compagno di scuola, lei non era guardata da nessuno, nessuno che fosse come quei cavalieri scintillanti e corteggiatori di ragazze forse meno timide e impacciate. Troppo acqua e sapone, troppo bassa o troppo magra, troppo marroni i suoi occhi e i suoi capelli, per nulla straordinaria la sua carriera extrascolastica. Eccellere a scuola non porta corteggiatori, anzi sei sempre vista come la triste (sfigata) secchiona che tiene per sé stessa i segreti dell’umanità senza volerli condividere, ma lei no. Lei è diversa. Condivideva, regalava le risposte ai compiti in classe, preparata le tavole di tecnica e cercava di illudersi che prima o poi sarebbe uscita dall’ombra. Ma una come lei non può farcela? E’ una cosa che non è mai accaduta. Come il cardinale Richelieu, è rimasta lontana dalle attenzioni mondane e non perché la sua carriera fosse scialba e priva di soddisfazioni, semplicemente perché il palco non lusingava la sua mente che come un tesoro, custodisce lontano dagli sguardi predatori dei curiosi che macinano pettegolezzi e gossip per rendere la propria vita interessante.

Per tutta l’adolescenza è rimasta alla finestra ad aspettare, cosa per cui, se pensa ad oggi, dovrebbe ringraziare. Le brutte vincono ancora? Non saprebbe, non si è mai considerata brutta ma la sua è sempre stata una meravigliosa profondità di spirito che avrebbe per sempre prevalso su qualsiasi di espressione di bellezza esteriore. Atteggiamento sbagliato? I treni giusti non esistono ma esistono le occasioni giuste. Anche di questo detto non ha mai azzeccato i tempi, troppo tardi , troppo presto, le sue occasioni si sono concentrate sul come mettere alla prova questa considerevole forza di una mente affascinata da tutto ciò che resta ancora da apprendere dal mondo umano.

    Mentre le donne snelle con i tacchi alti e le unghie perfettamente limate si esibivano sul red carpet della vita quotidiana, donne carine e qualunque, lei studiava con una frenesia quasi alimentare, una bulimia dell’immaginario che la portava  a decapitarsi  le unghie per non rovinare o ferire i tasti del Laptop. Il suo amore immaginario si faceva attendere. Il lavoro aveva la priorità.

Detto questo, non c’è molto da aggiungere se non che è stato il pragmatismo a mettere in discussione ogni scelta amorosa di Margous. Rimasta quasi orfana da sempre, con famigliari disattenti e ossessionati dall’arrivare, dal comprare, dal guadagnare, lei ha cercato una famiglia o il sesso? Sa che è impossibile, averli entrambi e durante il percorso che va dall’adolescenza, all’età adulta, ha capito che i sogni delle ragazze, restano totalmente inappagati e avrebbe pensato ancora così fino all’incontro con un uomo possibilmente non perfetto.

Non vuole mistificare la teoria che mettersi a cercare un compagno, un qualcuno che la ascolti almeno, dopo una relazione fallita sia quasi ridicolo appellandosi alla teoria massimale di sua madre, ciò che cerchi, deve sempre l’opposto di quello che freme nelle tue mutande. Ma non è mai stato questo il suo problema, avrebbe voluto risponderle. Poiché nemmeno lei, sua madre,  ha avuto il tempo di godersi il suo uomo morto prematuramente, non ho tenuto conto di quella massima assolutamente povera di spirito. Margous ha passato dei mesi a fissare il display, cui avevo dato la parte migliore dei suoi ultimi dieci anni. Un lavoro migliore, annunci e annunci. Il lavoro crede, l’avrebbe aiutata.

Ha iniziato quello che altre donne come lei, direbbero, la risalita della sua autostima.  Per chi si tiene impegnata la mente oltre le 10 ore al giorno con la faccia rivolata nel tubo si carico di un cesso, non è difficile crearsi una aura di positività abbastanza forte da lasciare ai problemi sentimentali, inaccessibile qualsiasi ingresso e sarebbe continuata così se la sua unica amica e ripete a se stessa, unica perché se non fosse più intelligente di lei probabilmente non mi sopporterebbe nemmeno, come dice, lei, Alice, personalità solare, bellezza mediterranea stratosferica, figura piccolina ma accattivante, si è insinuata nella pagina della sua vita sentimentale, appena entrata nella stessa agenzia di pulizie.

    “Ma perché non provi a incontrare qualcuno?” il suo tono di voce, avrebbe dovuto allarmare Margous sempre impegnata nel mandare email a centinaia di annunci pur sapendo di avere un curriculum più succinto delle mutande di Miley Cyrus.

    “Lo sai che non mi interessa. E dove? Gli uomini non vengono a bussare alla porta ed io non ho intenzione di uscire per andare a caccia.” aveva risposto gesticolando,  la donna ancora in jeans e canottiera con la scritta ‘X Factor tu lo possiedi’, ignorando la serietà con cui si era stata posta la domanda.

    “Ma ci sono quelle cose fantastiche chiamate siti d’incontri!” risponde enfatica come una fanciulla innocente, Alice che ha cinquant’anni, un matrimonio quasi fallito e una figlia all’università, tiene sempre viva quell’aria di primavera che cerca di vendere all’amica, nascondendo qualcosa.

Margous si gira sulla sedia, indubbiamente toccata e le risponde. In verità non se l’aspettava, loro erano sempre state persone tranquille, un caffè al bar, niente uscite serali nei locali, niente follie tra donne, ma la sua domanda tendeva a mirare proprio a Margous. Gesticola velocemente. Le sue mani magrissime balano nell’aria. I piedi nudi sotto i jeans, mostrano le unghie rosa senza smalto.

    “Mi stai proponendo di mettermi in pasto ai leoni?” Alice attende che Margous finisca di spiegarsi. In realtà non è interessata a quello che la ragazza ha da dire, la vuole felice e innamorata o assieme a qualcuno capace di farla sorridere.

    “Dovresti metterti del rossetto sei troppo pallida oggi e poi … ma che leoni e leoni, come te ci sono anche uomini colti, ragazzi giovani,  in mezzo a loro potresti trovare anche brava gente. Insomma qualcuno con una testa più grande della tua e magari che riuscirebbe a trascinarti fuori dalla tana.”

Per un attimo si è sentita una fetta di carne abbandonata sul tavolo di una macelleria, dove se il macellaio non mi avrebbe presto riposta nella cella frigorifera, di sicuro sarebbe diventata la cena ideale di tutte le mosche. Alice ha un sorriso per tutto. Un sorriso ironico, uno più che sarcastico e uno da innocente, quello che usa il lupo prima di buttarsi sull’agnello ed era con quel sorriso che parlava a Margous.

    “Ma che hai capito, sciocca, comincia a tastare l’ambiente, non sono mica tutti porci e tutti ignoranti?”

Il suo volere sistemarla a tutti i costi la commuoveva. Ecco a cosa servono gli amici a commuoverti e a sostenerti in mancanza di un chi innamorato ti avrebbe sorretto se solo tu avessi avuto la possibilità di conoscerlo. Alice era già pronta. Aveva pensato alla cosa per più di un paio di giorni e conoscendo Margous, l’aveva studiata in modo da farle cercare un compagno di dialogo, un celebrale nulla più e questo, non sembrava affatto disgustoso, in fondo come essere umano, lavoratrice, confrontarsi con una persona capace di incuriosirla o di insegnarle qualcosa senza pretendere di entrare nella sua mia vita o peggio volerla conoscere dal vivo, poteva non dispiacerle. Alice però non usava tanto il tatto, quanto il suo irrefrenabile spirito del “facciamolo e vediamo come va.”.

    “Il problema è che io non sto cercando nessuno, risponde Margous schioccando le labbra e lasciando uscire un suono tremendo e quando ha visto l’amica spaventata, ha proseguito con i gesti, quindi vedi di divertirti tu e lasciami qui a cozzare con il mio lavoro.”

Margous parla nel tentativo di dissuaderla dal fare ciò che sapeva che Alice avrebbe fatto perché quando la donna ha una idea, non può fare a meno che metterla in pratica. E’ una cosa più forte di lei, è un fattore epidermico, poiché non smette di verti vicino e di toccarti la spalla in attesa che tu le dia ragione.

    “Ma tu non lo devi vedere se non ti va. Insomma lascia almeno che si presenti, non sono mica tutti orchi e poi guarda, ci sono un sacco di persone a posto.” Cerca lei di autoconvincersi.

    “Metterai la tua di foto perché io non ne ho! Non faccio selfie e non mi denigro. Io non uso le mie immagini per queste stupidaggini.” gesticola nervosamente Mag, guardando Alice lei scopre la sicurezza di una che su quel sito c’era già andata, o per propria esigenza o in compagnia di altre amiche. Per favorirle la pace poiché non la avrebbe mai lasciata senza tentare quel passo, pena le avrebbe telefonato per giorni e dopo ore di chiacchere inutili l’avrebbe convinta e questo soltanto per il bene delle sue orecchie, più che per la felicità di tutti i single online.

    “Ma va, questo non è il problema, dimmi ti piace l’idea?”

    “Di chattare? Margous mostra lo schermo del pc e poi continua a esibire le sue ragioni, ho un affitto da pagare, un cane obeso che non scende le scale da due anni, odio i cellulari perché ti rompono in qualsiasi momento della giornata e mi chiedi di dimostrarmi l’adolescente che marca il territorio per compiacere i miei ormoni? Credo che tu sia impazzita. No mi va di sentire uomini che probabilmente sono non soltanto soli ma non hanno capito che la donna non è la loro mamma. Oppure uomini sposati, malati, alla ricerca di un posto, dove sfidare la durata dei propri testicoli … Credimi lascia perdere.” nella stanza c’è  un silenzio di pietra quando Alice non tenta di comunicare con l’amica.

    “Ma dai Mag, lei la chiama Margous, sarà divertente e tu sei sempre così seria che ti scriveranno sulla lapide, morta lavorando e lontana dalle tentazioni.”

Mag le risponde. Tra un gesto e un altro riflette Non esistono cose che lei non prenda sul serio. Non è un gioco.

    “Ecco brava, mi hai descritta e perfettamente.” i muscoli del viso seguono le espressioni delle mani che spiegano il nervosismo interiore della donna.

L’animale solitario in Margous, dopo un attimo di emozione, si era già ritirato nella sua caverna, a macinarsi le onde cerebrali contro le fortezze dell’insensibilità umana, quelle dozzinali, quelle che la gente finge di non vedere nei suoi simili. Si è rimessa le cuffie e macina continuamente “Words” di Low che dava un tocco molto intenso e lo spirito giusto a ciò che provava, la simmetria dei sentimenti è una bufala, ripeteva a se stessa, sdegnando l’idea che avrebbe dovuto quanto meno, con positivismo pragmatico, considerare. Ma c’era in lei qualcosa che respingeva a quel progetto folle e fuori dalle sue coordinate geografiche e morali. Cara Alice, nella mia mente, la simmetria dei bisogni e delle volontà, non è per due, pensa Mag. Alice non smette però di farle pressione. Al terzo caffè e a capo di una dozzina di no certi di Mag, ecco che Alice arriva ancora all’attacco. Margous afferra il momento e le parla, spiazzandola. Il pensiero le rimane bloccato sulla bocca.

    “Senti, visto che tra te e tuo marito non funziona come prima, perché non lo fai tu?”

Dall’ugola di Mag esce un suono gutturale, anemico, mentre il viso mostra solo la severità degli occhi.

    “Perché io non ho il tuo spirito, o forse lo sto già facendo senza successo, dai smettila di fare l’associale. Potresti scrivere in qualsiasi di quelle lingue che conosci. Non devi parlare con loro, scriverai, sei un’artista, farai sentire la tua musica, ti farai corteggiare. Conoscere non significa necessariamente parlare, vedere e potresti continuare con quest’esperienza per arricchire quel libro che mi dici di aver iniziato.”

Gli occhi di Alice si trovano a meno di due centimetri dagli occhi di Margous, tanto che la donna sente il suo alito di caffè, Margous è terrorizzata, non vorrà mica baciarla? Per fortuna conosce bene la sua amica perché la fissa negli occhi e capisce dove vuole mirare. Alice stringe gli occhi neri ben truccati e nascosti dalle onde di mascara. Lei prima di ritirarsi, fa l’occhiolino a Mag e torna a sorseggiare la goccia di caffè dalla tazzina oramai ghiacciata.

“Non si infilano nelle tue mutande ma tu nella loro testa.” Deflagra la bomba.

Ecco la parola magica. Testa. Parlare con qualcuno che abbia una testa, era diventata una cosa se non attraente, appetibile. Un uomo disinteressato a chi lei fosse, cosa facesse e persino cosa volesse dalla vita, interessato e chiacchierare sereno sui temi della vita.

    A questo punto, l’idea era meno sconvolgente e scabrosa di quanto non le fosse sembrata all’inizio. Lei però non aveva tutta quella fiducia nel popolo maschile e per evitare di trovare gente, arrivarono a un accordo che non sarebbe stata una donna italiana e che avrebbe al massimo parlato a uomini d’oltre oceano. Alice le indica un nome Matchpartner.com. In quel momento la patria più vicina alle corde vocali di Mag erano gli Stati Uniti perché abbastanza lontana dal suo paese d’origine, e naturalmente per non avere problemi con gente che potrebbe piangere, o urlare sotto casa o che reclamerebbe chissà cosa dopo un solo incontro. Niente legami, niente allarmi.

L’inserimento della scheda era preciso. Lei è diventata il nick BeautifulMind per i visitatori occasionali della pagina, una ragazza ventiseienne, semplice,  alla ricerca di un amico, serio, bevitore occasionale, assolutamente non fumatore. La prima cosa di cui non era sicura, era di vedere un sacco di quarantenni e cinquantenni riversarsi sulla nuova pollastra dall’aspetto etero, pallido, inusuale.   Niente fotografie sul sito, un’immagine sfuocata, e un alone di mistero che sarebbe rimasto tale a meno che …

    Mag digita, rispondendo alle poche domande, che servono a dare una descrizione interessante del suo personaggio, inserisce attributi in quello spazio immenso con fotografie bellissime di ragazze con il naso dritto, le labbra carnose, tinte di biondo platino e dal seno perfetto, contro cui sarebbe stato impossibile competere. Onesta fino al dolore, scrisse il suo peso reale, la altezza reale e conclude con capelli medi marroni, occhi maroni, insomma normale. Non c’era nessuna storia da lasciare, niente informazioni aggiuntive, insomma una ragazza lavoratrice interessante non accattivante, per un uomo che le strappasse il cuore dal petto e se lo portasse via. Come avrebbe potuto sembrare una persona speciale, quando le domande e le descrizioni che gli iscritti del sito avrebbero letto, sembravano così anonime e lei era solo la somma di tutte quelle fotografie inespressive, stampate come cartoline? Niente da fare. La sua permanenza in quel posto affollato, sarebbe stata breve, ma per accontentare Alice e farci su due risate, durante la pausa caffè serale.

Dopo aver passato un paio di ore a fare scorrere le pagine degli Stati Uniti e ancora convinta che l’amore non potesse abitare nelle celle di un congegno fatto di bit e di megabyte, osservando tutte quelle persone sole, disorientate e in attesa che nella loro vita rientri una ventata d’aria fresca, Mag spense il laptop.

    Gli uomini belli, sono quelli che sanno di essere belli e pertanto ti ignorano. Per loro, lei è invisibile. Ci vorrebbero attrazioni fisiche maggiori che lei non possiede e non intende intervenire chirurgicamente per avere un circo da mettere in mostra. Un sito è una zona di caccia molto strana, finite le prede, si attende l’iscrizione di nuove prede e così via, è un circolo vizioso, una volta iniziato un uomo non si accontenta, attenderà infinitamente che arrivi quella giusta e il giochino si ripeterà e si ripeterà. nessuno di loro considererà seria una donna che si contaminerà con un posto del genere. E’ inevitabile conoscere molti e inevitabile che qualcuno si avvicini a te per provarci ed è inevitabile che ti consideri una donnaccia solo perché hai dei sentimenti e magari ci caschi mentre lui è già passato a un’alta. Già, un sito d’incontri è un’aia con lupi e volpi, con molta più domanda che offerta e tutti loro, se sono in quel posto è perché fuori non riescono a relazionarsi o perché quel posto offre una libertà, una sorta di “sono protetto dal display e ti posso raccontare tutto”, altrimenti introvabile. La cattiva reputazione è la Terra promessa di un vincente. Probabilmente l’unico che non ha fatto intendere di sé di essere un fallito dopo un divorzio, uno smarrito a caccia di qualcosa che nemmeno lui sa, un uomo che ha mantenuto la serenità è lui, è MM. Lei ha iniziato con un semplice “Hi!” e lui ha risposto, coi suoi tempi, coi suoi modi. Non si aspetta nulla, probabilmente è o sarà un gioco sessuale, uno scherzo tra adulti, quindi l’unica cosa era prenderla per come era, una cosa astratta e senza obbligo.

 

Bip messaggio Whatsapp

    “Ciao. MM”

    “Ciao.”

    “Tu?”

    “Ciao Us.”

    “Davvero è il tuo vero nome?”

    “Diminutivo.”

    “Sei americana?”

    “No.”

    “Io sono francese.”

    “Mezza greca …”

     “e?”

    “Italiana.”

    “Perché hai scritto americana sul tuo profilo? Sei così strana.”

pausa quaranta minuti

one calla away Over and Over Again

Bip messaggio Whatsapp

    “Per evitare gente sotto casa.”

    “Sarà difficile frequentare le persone che poi conosci.”

pausa due ore

 

Bip messaggio Whatsapp

    “Interessante. Una foto?”

    “Non metto foto in giro. Ci sono un sacco di persone che abusano.”

    “Non vorresti vedermi in un foto? di sapere con chi stai parlando?”

    “Non per adesso.”

    “Una foto che sarà mai, non tutto ciò che vedi è ciò che è.”

    “Forse ma non ora. ”

    “Scrivi bene in inglese.”

pausa un giorno

 

Bip messaggio Whatsapp

    “Il mio inglese è semplicemente assurdo. Sai il francese?”

    “Non so scrivere capisco ma poco …”

    “Non ho mai visitato l’Italia, Milano, la cattedrale.”

    “C’è smog, fumo, traffico, gente stanca, gente che non si saluta nemmeno se sono i tuoi vicini. Un mondo è bello se visto con gli occhi di chi non si alza al mattino per andare a lavorare, strippato in una fila di auto o nel vagone di un treno quasi sempre in ritardo. La ricchezza rende felici, o quasi.

pausa dieci minuti

 

Bip messaggio Whatsapp

    “Sei single?”

    “Non sposata.”

    “Non è una risposta.”

    “Tu.

    “Io non sono sposato.”

    “ Ha! Questa non è una risposta.“

pausa tre ore

 

Bip messaggio Whatsapp

lui manda il file di una canzone in francese

pausa otto ore trentasei minuti

 

Bip messaggio Whatsapp

    “Carina l’hai scritta per me?”

pausa un giorno

 

Bip messaggio Whatsapp

    “Ti  è piaciuta?”

    “Scrivi canzoni?”

    “Si a volte suono con amici ci divertiamo insieme.”

    “Vado a dormire buonanotte.”

pausa un giorno

 

Bip messaggio Whatsapp

    “Volevo darti la buonanotte ma sei andata via. Buonanotte.”

    “Giorno.”

pausa due ore

 

Bip messaggio Whatsapp

    “Siamo come foglie, il vento della vita ci spinge in tutte le direzione e la nostra unica certezza, è quella di cadere un giorno.”

    “Siamo meglio di questo risponde.”

    “Voglio quelle labbra. Mia Us.”

    “Siamo i pionieri su un nuovo pianeta che aspettano di stupirsi.”

pausa di tre minuti

 

Bip messaggio Whatsapp

    “Non mi disturbare, ti sto baciando.”

    “Meglio parlare.”

    “Sto parlando,  ti sto amando … sono in te”

    “Solo perché sei nascosto dietro un display, troppo facile.”

Pausa tre ore.

 

Bip messaggio Whatsapp

    “Sono di fuoco. Non chiudere la gabbia.”

    “Non ci sono gabbie per il mio uomo.”

    “Sei la mia acqua. Ti amo.”

    “Sei il mio fuoco MM.”

“Mi sei sempre mancata.”

“Sono la parte migliore di te.”

“Anch’io sono la parte migliore di te. Sono un fuoco indomito, ardo, incenerisco e mi dissolvo.”

    “A me piace la neve di notte, il caffè e il blu. A pelle sento che sei blu.”

pausa un giorno

 

Bip messaggio Whatsapp

    “Mia Us.”

    “Io credo  invece nell’evidenza delle cose e che tutto abbia un percorso con inizio e fine

allora non avrebbe più senso gioire, piangere, amare e procreare.”

    “Io credo nel futuro.”

    “Io credo nell’oggi. Il futuro non sai se esiste, aspettandolo finisci che non vivi il tuo oggi, preferisco l’oggi.”

    “Tu sei i miei oggi.”

    “Tu sei il mio futuro.”

pausa un giorno

 

Bip messaggio Whatsapp

    “Come va?”

pausa due ore

 

Bip messaggio Whatsapp

    “Sì.”

    “Nutri il mio fuoco.”

    “parole.”

    “Dimmi che cosa provi.”

    “Vorrei dissolvermi. Batticuore.”

pausa un giorno e mezzo.

 

Bip messaggio Whatsapp

    “Mi mancano le tue labbra. Dolci.”

    “Ciao.”

    “Ho fatto un bagno nel lago ghiacciato, sto congelando.”

    “Vengo anch’io.”

    “Non credo che tu abbia calore a sufficienza.”

    “Nuotare d’inverno ...”

per chi l’ha cacciato più volte l’amore non ritorna perché se non c’è in te non lo trovi altrove se non sei il primo ad amare a dimostrarlo a dare non puoi aspettarti che ci sia un altro a farlo perché non è detto che quello che ti sta dando tutto se stesso tu ne sia innamorato, per sentire l’amore sei tu che devi dare.

pausa di dieci minuti

 

Bip messaggio Whatsapp

     “Siamo foglie. Amore odio sono parole. Siamo spinti dalla fame dalla sete e dal sesso.”

    “La fame di conoscenza, la sete di arrivare e il corpo di un altro che ci riscaldi e che confermi che non siamo soli.”

    “Il sesso è conferma di solitudine sono abbastanza grande per controllare il mio sesso e sono consapevole di non dover cacciare una donna per farlo.”

    “Il sesso conferma che ci accoppiamo e c’è speranza di procreazione ma basta una carezza che scateni un’amozione per scacciare la solitudine.”

    “Nasciamo soli moriamo soli …”

    “Ma chi ci ha conosciuto ed amato resta con noi fino alla fine.”

    “Mia Us, piccolo fantasma col cuore in trepidazione l’attesa è lunga e l’amore spesso non si presenta al banchetto.”

    “Basta non cercarlo, non invitarlo, non essere mai pronti e lui verrà ne sono certa

    “Caro fantasma non ci sono regole universali per l’amore, la vita evolve, la civiltà evolve, una volta ci saremo incontrati per strada forse non ci saremo nemmeno guardati se le nostre spalle si fossero  sfiorate, adesso ci troviamo tutti in questo parco di anime, smarriti e a caccia di sensazioni, di partner, io preferisco dire di emozioni ed è sempre meno naturale l’incontro, sempre più alienato. Troppo presi dalla fretta che schiviamo l’amore, lo ignoriamo, ignoriamo i segnali di un collega, di un vicino di un amico e preferiamo trovarci qui.”

    “Molti uomini lo fanno perché è una zona di caccia ben nutrita da donne meno complicate.”

pausa di un’ora
 

Bip messaggio Whatsapp

    “Anche tu sei come loro.”

    “Ti mentirei se ti dicessi di no sei bella.”

    “Ti mentirei se ti dicessi di si.”

    “Non sei francese.”

    “Avrebbe importanza?”

    “Se tu fossi vicina – probabilmente.”

    “Non lo sono e credo sia prematuro frequentarsi.”

    “E’ per questo che siamo qui, adulti consenzienti su un sito di appuntamenti, in verità prima di una corrispondenza come questa, bisognerebbe capire se c’è feeling, attrazione o un interesse e poi iniziare a conoscerci …”

    “Ognuno è qui per dei motivi propri – se non scattasse il colpo di fulmine o la chimica al primo appuntamento e visto che non siamo amici, vorrebbe dire che non ci sarebbe nulla, nemmeno questa corrispondenza – credo che ci debba essere una qualche forma di frequentazione o amicizia prima di vedersi – una perdita di tempo perché il tempo è l’unico sacrificio o regalo che puoi dare di tuo a qualcuno e se quello passa del tempo con te vuole dire che sta investendo ciò che di più prezioso in te e in mille altre persone che sta frequentando contemporaneamente.”

pausa di due giorni

 

Bip messaggio Whatsapp

    “Perché sei qui?”

    “Parlare fondamentalmente mi aiuta a passare il tempo.”

    “Quindi sei sola?”

    “Qui ci sono persone che sono sposate convivono o fanno credere di essere sole –     sono senza compagnia e ho il tempo a mia disposizione – sono un animale sociale

ma non ti basta socializzare con quelli che già conosci? cerchi l’uomo perfetto e credi che questo posto possa dartelo?”

pausa di quindici minuti

 

Bip messaggio Whatsapp

    “Io probabilmente sono la più adatta per questo posto.”

    “Saresti la preda perfetta per molti di loro.”

    “Non per te.”

    “probabilmente anche per me, mia Us.

    “Non sono tua.”

pausa di un giorno

 

Bip messaggio Whatsapp

    “Sì ma mi piace crederlo – forse sei carina.”

    “Gli uomini hanno gli artigli.”

     “Tu hai gli artigli? non capisco.”

     “Non puoi sapere mai con chi stai parlando …”

     “Anche tra persone che escono normalmente – non si può mai sapere?

      Che lavoro fai?”

    “Impiegata. Tu?”

pausa un giorno

 

Bip messaggio Whatsapp

    “Sono qui per fare nuove amicizie – sto pagando per tutte le mie vite passate.”

    “Non capisco.”

pausa un giorno

 

Bip messaggio Whatsapp

    “Mia Us.”

    “Mio M …”

    “Credo di averti amata dal primo click vorrei vederti per poterti sognare.”

pausa sei ore

 

Bip messaggio Whatsapp

Le manda la foto delle sue labbra.

    “Voglio sognare le tue labbra, stanotte. Dammi qualcosa per cui sognare, ti prego?”

 Lei gli manda la foto delle sue labbra, senza rossetto, ma i suoi denti sono bianchi e il sorriso è sincero.

    “Mio Dio!” le risponde.

pausa un giorno

 

Bip messaggio Whatsapp

    ”Ehi!”

    “Giorno”

    “Mia Us, ho sognato le tue labbra. Vorrei baciarle.”

    “Tu non lavori, perdi un sacco di tempo con me.”

    “Tu riempi il tempo che altrimenti sarebbe vuoto.”

    “Adesso mi fai sorridere …”

    “Sono la parte migliore di te.”

    “Anche io sono la parte migliore di te.”

    “Non ho dubbi per questo vorrei baciarti – le tue labbra hai i denti bianchi

    “Che cosa fai, quando non dici alle donne che le sogni?”

    “Lavoro nella mia nuova libreria,  passo del tempo con gli amici, scrivo musica, suono la chitarra.”

    “Amo la musica e ogni tanto scrivo, ma oggi credo lo facciano tutti.”

    “Sei così misteriosa.

    “Sono la parte migliore di te ricordi?

pausano due giorni

 

Bip messaggio Whatsapp

    “Anche tu sei la parte migliore di me …”

    “Quasi.”

    “Mia Us.”

    “Mio MM …”

pausa due ore

 

Bip messaggio Whatsapp

    “Ti sto pensando.

    “Come fai a pensare a un fantasma?

    “Le tue labbra sono belle tu non puoi essere brutta.

    “Che cosa te lo fa credere?

    “Sensazione.

    tu credi nelle sensazioni

    “Io sono molto molto spirituale.”

    “Io sono molto per la fisicità le persone si sentono si odorano la chimica fa tutto

non sempre a volte siamo noi a controllarla con la gioia con un sorriso possiamo trasmettere tutto.”

    “Io credo che la vicinanza serva. “

pausa sette ore

 

Bip messaggio Whatsapp

    “La distanza alimenta la passione.”

    “Ma la passione svanisce l’amore e l’amicizia no.”

    “Noi siamo amici.”

    “Non ancora non abbiamo confidenza.”

pausa una settimana

 

Bip messaggio Whatsapp

    “Vorrei vederti.”

    “Non c’è fretta.”

    “Voglio quelle labbra sulle mie.”

    “Pazienta.”

pausa due giorni

 

    Margous apre la borsa, l’orario di lavoro è appena terminato, il cellulare non smette di squillare.

     “Ciao mamma.”

     “Novità? Quella tua amica sai che non mi piace.”

    “Dimmi, che c’è?”

    “Così  per sapere come stai. Esci con qualcuno?”

    “Tutto bene.”

    “C’è un ragazzo,  ha una macchina fantastica ed è divorziato, non ha figli e questo è un bene, ha un’azienda sua di stampa o qualcosa del genere.”

    “Che stai facendo?”

    “Dico che se lo conoscessi, sai è molto alto, piace un sacco alle donne.”

    “Mi stai svendendo?”

    “Meglio una poco di buono che una morta di fame.”

    “Ho un lavoro, mi pago l’affitto.”

    “Si ma non riesci a fare altro, non vuoi una vita migliore?”

    “Non del genere che intendi tu.”

 

Bip messaggio Whatsapp

    “Vorrei che tu fossi bella da togliere il fiato.”

    “voi uomini vi fatte abbagliare dalla bellezza.”

    “Vorresti un uomo brutto e grasso?”

    “Se la tua compagna diventasse brutta per qualche motivo o malattia, l’abbandoneresti?”

    “Non c’entra, l’amerei.”

    “Prima però deve essere bella da togliere il fiato, ma quel genere di donne non credo abbiano bisogno di stare su questo sito e credo nemmeno gli uomini …”

pausa tre giorni

 

Bip messaggio Whatsapp

    “La mia amica ha conosciuto un uomo di Yverdon, è dalle tue parti?”

    “Io sono di Losanna. Yverdon è sul lago di Neuchâtel.”

    “Lei andrà a trovarlo.”

    “Io abito fuori Losanna.”

    “Ti va di incontrarci?”

pausa - silenzio

 

    Piccolo bagaglio a mano non serve altro. Alice starà col suo bello e lei si troverà qualcosa da visitare. Era certa che Alice si fosse iscritta a quel sito molto tempo prima che lo condividesse con lei e bella com’era, non poteva non trovare un simpatizzante, buon per lei, pensa Margous. Ad Alice non serve che un fidanzato amico, qualcuno che abbia la pazienza di ascoltarla e di reggere le sue follie stagionali, shopping ai saldi, cinema in settimana perché costa meno, la degustazione di tequila nei bar più improbabili della città.. L’albergo che avevano scelto, era carino e poco costoso. Una pensione gradevole per chi come loro, non avevano soldi da spendere nei hotel a quattro stelle. Prima di chiudere casa, guarda la custodia del violino, solo bagagli a mano, pensa lei e salutato l’amico, chiude la porta, ha un treno da prendere. “C’è lo sciopero dei treni” riceve un messaggio da Alice.

    “Ciao davvero c’è sciopero, perderemo i biglietti?”

    “No stai tranquilla solo le partenze nazionali. Guarda che casino alle biglietterie, la gente non ne sapeva nulla, tutto funziona alla rovescia in questo paese, ti danno la notizia solo dopo il casino e mai prima così uno si regola.”

    “Sotto le feste si sono trovati a scioperare. Meno male, sto arrivando.”

Diavolo di un guanto, dove ti ho messo!? pensa lei, ritrovato il guanto, afferra il cappotto rosso in tema natalizio e con una grande borsa col solo cambio per una notte, esce di casa con gli occhi al cielo ma ignorando completamente il suo colore e la sua vastità.

 

    Nella vita si può fallire in tanti modi, nel lavoro, nell’amore, o in qualsiasi altro aspetto che determini la nostra esistenza e sperimentare uno di questi, oppure tutti quanti gli aspetti insieme, non sappiamo se sia determinato dal caso o dalla sfortuna, chi può saperlo?

 Quando ciò accade, non restano che due vie, uccidersi ed è la via più drammatica ma cui l’aspetto di mera tranquillità acquisita con la dipartita, ci affascina, nel senso che sappiamo che tutte le nostre paura verranno spazzate via, oppure continuare a combattere e a scervellarsi per come uscire, sopravvivere e superare il fallimento.

Chi ha avuto tempo per pensare ai propri fallimenti già sa che i fattori di circostanza influiscono parecchio sulle decisioni da prendere, ad esempio i nostri familiari, gli amici, quelli che in qualche modo ci vedono, ci giudicano, ci migliorano o peggiorano l’esistenza. I fallimenti sono un gradino necessario per maturare? Ragionevolmente sì, pensa Alice che fissando il finestrino del treno, fa una carrellata della propria vita alla ricerca di un qualcosa che abbia avuto un senso e non trovandolo si rifugia nell’oggi, nell’attesa che qualcosa di magico possa accaderle, per poi cambiarle totalmente, drasticamente la vita. Naturalmente in meglio. Guarda la piccola scheletrica Margous, strana ragazza, pensa, indipendente ma strana. la sua fisionomia ricorda un ragazzo. Non è malevolo pensare che quella magrezza non ha nulla di femminile. Lavora sodo ma la sua vita per lei è un completo mistero.

    “Chi preferiresti tra i due? Dracula o Sherlock Holmes?”

    “Il Signore del Male o il Principe della deduzione? Bella battaglia, risponde Mag, oggi vorrei viaggiare nel tempo e scelgo il Conte. Mi piacciono i balli, le maschere, l’atmosfera gotica.” gesticola Margouse.

    “Non avrei mai detto che tu fossi romantica.”

    “Il romanticismo centra poco, la decadenza è ciò che abbaglia lo spirito, quando intorno trova solo maschere soffocanti che la annoiano. Avrei voluto conoscere Oscar Wilde? Sarebbe stato molto sexy.” Mag compone una frase lunga, sorridendo e  cercando di articolare delle parole per farla comprender velocemente alla sua amica di viaggio.

    “Chi?” domanda Alice

    “L’ex fidanzato di Florence Balcombe Stoker?”

    “Questo gossip mi è sfuggito.”

    “Dracula è figlio di Stoker.”

    “Figlio??”

Alice non capisce quale tragedia abbia toccato la sua giovane amica. I suoi discorsi sono difficili da capire. Tutti scappiamo da qualcuno o da qualcosa, che sia stata l’assenza di una famiglia? Un amore sbagliato? Chi lo sa, e finisce così il pensiero di vita di Alice che continua a guardare fuori dal finestrino del treno nella speranza che quell’incontro con Wim, uno dei tanti interessanti nella lista della chat, sia fatale per entrambi e che lei possa trovare l’amore della sua vita. Mag la guarda, con occhi velati da un’ombra che può dire tante cose o nulla.  Con un filo di voce prova a stimolare il discorso.

    “Non mi hai mai raccontato nulla di tua figlia?” le mani di Margous si appoggiano sul petto, per intensificare il sentimento con cui propone la domanda alla sua distratta amica.

    “Pamela? Una testa di cazzo come suo padre.”

    La risposta secca di Alice le basta e Margous trova di non aver altro da replicare. Il suo profilo spigoloso si specchia contro il finestrino del treno. la pelle senza trucco, le labbra screpolate, lei ha smesso di leggere il libro che tiene sulle gambe, un giallo consumato ma solo le prima cinquantadue pagine che sono state lette e rilette per parecchie volte, lascia intendere la copertina è persino un best seller, considerato l’angolo superiore a destra con un paio di stelle oro scintillanti. Non sa perché sta accompagnando quella donna nella sua avventura puramente sessuale. Un’uscita fuori dalla monotonia, potrebbe essere la migliore risposta. Le donne non hanno la parità di nulla. Poche sicuramente non conoscono nemmeno un solo nome di un detersivo per pulire i pavimenti della casa, mentre ci sono bambine che si devono prostituire per un pezzo di pane. La parità non è mai al comando, una donna Presidente, una donna Papa, perché l’uomo può girare a torso nudo ma i seni della donna è proibito mostrali in pubblico, i seni servono all’allattamento è la condizione di alimentazione primaria dei mammiferi appena nati e allora perché è proibito alla donna girare mezza nuda? Quale ipocrita religione o ragione, considera le donne lontane dalle virtù della chiesa cattolica? Perché alle soglie del duemila, l’amore tra un uomo e una donna è una cosa così difficile? In una civiltà, dove l’informazione viaggia in rete alla velocità della luce, la parità dovrebbe essere una legge e non una cosa per cui ancora combattere? Il falso moralismo, la politica usata dai politici solo per il proprio beneficio, l’esaltazione del materialismo e la non punizione dei veri grandi crimini, sono l’ostacolo alle sincere relazioni sociali. La corruzione dello spirito, la finta cecità dei veri grandi mali fano parte della vita quotidiana e nulla di lontano dalle persone, ogni legge fa sentire impotente, ogni sopruso fa sentire inadeguati e la lotta per sopravvivere una concessione alle masse. Facile esaltare i morti, ma la vita dei van Gogh, di Shakespeare, è stata una battaglia, un dialogo con la morte e il male dell’Umanità. Cosa mai potrebbe lasciare lei all’Umanità per migliorarla? Quando finisce l’adolescenza ed inizia l’età adulta? Perché vivere comporta farsi del male perché non ci sono le istruzioni per l’uso della vita? Perché la gente preferisce vedere la violenza al telegiornale piuttosto che vedere premiare un bambino eroe, una donna che ha messo al mondo cinque gemelli, un chirurgo che ha salvato la vita a una creatura spacciata? La violenza la schifa. La gente indifferente, insofferente non meriterebbe la fortuna di crescere dei figli? Neonati buttati negli asili nido in attesa che qualcuno dia loro affetto, tempo per l’educazione? Chi insegnerà a questi figli, come mangiare, come essere altruisti, alzarsi per fare sedere un anziano? La Televisione? Un documentario? Nessuno dovrebbe più sentirsi stretto nei panni della propria nazione poiché ora, tutte le nazioni sono un miscuglio di tradizioni e idee, cosa che può fare sperare in un mondo migliore. Un mondo che si confronta con la marea umana in fuga dalla povertà dell’Africa, dell’Asia. Il mondo che vivrà  è un bambino in attesa che il genitore gli dia qualche lezione di educazione, ma senza genitore, quell’orfano avrà solo due scelte, morire o rimboccarsi le maniche. Se lei non fosse lei chi o cosa vorrebbe essere? Le mani ossute della ragazza, avvolgono il libro e il suo trasporto mentale verso un mondo migliore, è totale. Si sente leggera, portata via da un sogno, volare sopra il mondo per osservarne le meraviglie, la punta degli alberi, i prati, le vette dei monti, gli animali che corrono, le nuvole che si dissolvono poi si accumulano fino a formare una coperta soffice e umida.

Qualche minuto dopo, entrambe le donne ammirano il paesaggio invernale, ancora verdeggiante, offerto dalla Svizzera e le case sparse in ordine casuale sulle colline che corrono verso un dove senza limiti. Il treno dell’amore, corre sulle rotaie del tempo nella direzione sconosciuta di un mistero umano che si chiama sentimento.

I pensieri delle due donne si volatizzano e il comune silenzio abbraccia qualsiasi disordine regni sul mondo che visto dalla fuga di un treno verso Yverdon, sembra attendere qualcosa di poco ordinario-

 

Giorno uno – La Tempesta di neve

    Alba. Yverdon è sveglia. Si potrebbe dire che la città mostra un paesaggio da favola. Il lago, le colline innevate, i gabbiani che si rifugiano con voli bassi sopra le tettoie, gli alberi con rami lunghi protesi verso l’infinito e incuranti del peso bianco che sorreggono coraggiosamente. Nessuno nota l’anomalia della precipitazione. Uno sfogo, penserebbe chiunque, uno sfogo invernale fortunatamente sotto le feste. Molti negozi di articoli per la casa e giardinaggio, comanderanno di urgenza alcune slitte e stivali di gomma perché saranno ricercatissimi e fonte di ulteriore sicuro guadagno.

I pochi che durante la notte si sono avventurati in strada, hanno avuto la sfortuna di incontrare la peggiore tempesta di neve che abbiano mai avuto la sfortuna di vivere. I mezzi senza catene rischiano soltanto di patinare penosamente e a poco serve un buon guidatore sulla lastra di ghiaccio sotto le gomme.

   Alice e Margous tengono gli occhi sul televisore nel bar della pensione, l’immagine è fissa sulla giornalista che parla professionalmente, mostrando ai media la peggiore perturbazione del secolo che infierirà da lì a poco sull’Europa.

Vi informiamo che questa gigantesca tempesta obbligherà molte città a chiudere il traffico sia di terra che aereo. L’emergenza durerà finché la perturbazione non si sposterà e questo non prima di una settimana. Nella nostra regione, le pubbliche amministrazioni saranno allertate e consigliamo di non intraprendere lunghi viaggi e di approvvigionarsi per tempo. Adesso vi mostriamo come appaiono oggi le capitali europee …” e le immagini di città coperte di neve, arrivano a impressionare le due donne e la cameriera che sta servendo loro il caffè.

    “Ciao.”

 

    Wim si presenta con le scarpe completamente impiastrate di neve e il capo calvo bagnato. E’ un uomo attraente non si può negare ma anche molto strano, quasi infido, una bellezza consapevole e colpevole di chissà quante cose. Sono così gli uomini sicuri del proprio fascino, i belli  usano le persone, le manipolano poi si sbarazzano, pensa Margous che guarda l’espressione raggiante di Alice, mentre si alza dalla sedia con macchie di goni genere, dove uno straccio altrettanto grasso a provato inutilmente a rimuoverle, per salutarlo, baciandogli la guancia. Lui non ricambia, sorride soltanto, poi fissa con molta curiosità la ragazza che accompagna la “tizia della chat” nomignolo che vergognosamente a usato per descriverla a moli dei suoi amici, ma lei non lo saprà mai. Alice elettrizzata e troppo agitata, smette di fissarlo solo quando si ricorda di Mag.

    “Già, scusatemi entrambi.  Wim, ti presento Margous, la mia amica, lei voleva visitare la tua città, così siamo venute insieme.”

Lui resta bloccato dal muro di magrezza della giovane. La guarda e si aspetta un saluto ma Margous non dice nulla, lo guarda e gli da la mano che lui stringe, ha la mano molle pensa Margous, cattivo segno e l’uomo le sorride, cercando di capire l’età del ragazzo. Ma è un uomo o una donna, si domanda? Se fosse una ragazza, allora la sua bellezza non lo colpisce, anche se rispetto ad Alice è molto più giovane e se si curasse di più potrebbe essere interessante, non certo da farlo innamorare, ma una breve storia e poi rivolge lo sguardo ad Alice che si è preparata per lui, capelli in ordine, truccata, molto ben vestita e troppo vecchia per gli appetiti di Wim che continua a fissare Margous.

    “Non parla molto la tua amica, lui si avvicina e si siede al tavolo con loro, forse non gli sono simpatico.”

Margous finge di non aver capito il francese, anche se l’ha capito benissimo. Alice ha avuto una nonna francese, per lei è diverso, anche se molte parole le sbiascica in un inglese maccheronico.

    “La simpatia non c’entra, semplicemente ha bisogno di conoscere le persone, meglio di me o forse è più saggia di me, e lo guarda maliziosamente, cosa che non colpisce Wim, queste donne folli …”

    “Andiamo a farci un giro dopo il caffè? Ho un amico in difficoltà che mi ha chiesto un consiglio, andremo nella sua libreria e poi saremo liberi. Quando dovresti ripartire, domanda lui, mentre ascolta le previsioni meteo in televisione.” ma i suoi occhi restano su Margous.

    “Stasera.”

    “Andiamo, e lui infila la mano dietro la schiena di Alice per accompagnarla, ti saluto amica di Alice ci vediamo più tardi e fai attenzione, qui noi siamo cattivi, molto cattivi, scherzo no? Ciò che vedi non sempre è, ciò che è.”

Wim usa il trucco della battuta ironica per osservare meglio la ragazzina. C’è qualcosa in lei di indefinito, di magnetico e non vorrebbe ammetterlo, di pericoloso. Alice sorride a Margous che guarda i due con un sorriso ironico e alza la mano per salutarli. Nonostante si sforzi di comprendere quei due, lei non ci riesce. Ha avuto una certa repulsione al profumo, all’atteggiamento di Wim.

    “Credo proprio di non piacerle. E’ lesbica?” afferma Wim, mentre aiuta Alice a indossare il cappotto e sbirciando la ragazzina.

    “E’ una brava ragazza, un po’ particolare, la sua famiglia la ignora, ma quando lavora è molto precisa.”

    “Dici, torna lui a guardare quella creatura insipida, è così aliena. E’ un uomo, oggi non si capisce più nemmeno il sesso della gente? Ti porto al mio posto, se ti va, così parliamo un po’ da soli?”

    “Ti piace?”

    “La tua amica? Scherzi, mi spaventa. Sì, torna lui a guardarla un’ultima volta prima di uscire dall’albergo, è un tipo, molto giovane ma a me sembra così distante, androgina, mi confonde.”

    “Ha degli occhi freddi, a volte mi fa la stessa impressione, sempre arrabbiata ma non lo è. E’ una ragazza speciale ma non parliamo più di lei, ti dispiace?“ Alice guarda l’uomo e cerca di capire se veramente le piace, lui ha la barba trascurata e la camicia non è da lavanderia, c’è qualcosa in lui che le sfugge, forse era più carino in fotografia, nemmeno lei sa spiegarsi cosa c’è che non va.

 

    Margous cammina da dieci minuti e sul marciapiedi della città. I negozi non sono tutti aperti e le auto faticano a circolare, la neve con fiocchi grossi non smette di scendere. Cos’è la normalità? si sente sola, lo è sempre stata ma quella città sembra avere il potere di esaltare certe sensazione nelle persone. La solitudine è un male marginale confronto alla bellezza che quei fiocchi cadendo, regalano. palazzi, strade, l’aria fredda contro pelle e quel vuoto sopportabile, in fin dei conti che è uno scenario aperto su “tutto potrebbe accadere e in qualsiasi momento”. La delusione della solitudine è spazzata via dalla corsa di un cane intorno al guinzaglio che una donna tiene in mano mentre fissa la vetrina di un negozio poco distante. Cane e padrone si allontanano ma a Mag resta la sensazione di pace nell’anima. Piccole cose, pensa lei, la vita di ogni giorno è fatta di piccole cose, pochi fuochi d’artificio ma sorrisi che possono tamponare anche per poco, ma hanno il potere vero di farlo, le tristezze.

In città nonostante la neve scenda copiosa, c’è parecchio movimento. Gente con i volti nascosti dagli ombrelli camminano cercando di affrontare la violenza dei fiocchi. Per Margous è uno scenario magico e divertente. C’è proprio un’atmosfera natalizia in quel posto e l’aria fredda la mette di buonumore. La spesa per gli ultimi regali e pensa di prendere proprio lì un pensierino per Alice, l’unica amica che ha.

Le sue scarpe affondano in più di venti centimetri di neve e presto sente le calze bagnate. Con i guanti ben tirati sulle dita, sistema la sciarpa intorno al capo e la lega sotto il mento. Se non compra un ombrello, le sarà difficile girare la città in quelle condizioni, quasi impossibile avanzare senza avere negli occhi grani di ghiaccio. Avrà fatto bene a venire, si domanda? Quel mondo fatto di incontri e di sconosciuti, le risulta bizzarro. Fa fatica a immaginarsi l’incontro con qualcuno che le parla da un telefono o su un pc. La chimica parla dei veri sentimenti e non le parole, le parole entusiasmano, fanno ardere ma la chimica rende possibile o meno, una relazione e queste cose Alice dovrebbe saperle.

Margous si pente. Certe scelte, certe cose non sono da lei ma oramai è troppo tardi. Ancora un giorno e tornerà a casa. Un gabbiano sopra il suo capo la fa sorridere. Un gabbiano in una città non di mare, che strano, pensa e segue il volo dell’uccello fino al tetto dell’edificio con la vetrata di un negozio a pezzi, dove i suoi occhi restano per captarne il dolore.

Lei fissa la vetrina sfondata, le lamiere piegate, il terribile aspetto del locale seviziato da un disordine innaturale. C’è molta gente dentro e le sembra di intravvedere Alice con il suo amico che parla ad un uomo preso a adagiare in un grande sacco della spazzatura i libri, volati un poco ovunque. All’esterno qualche auto rallenta per godersi lo scenario apocalittico del negozio strappato alla normalità, donna e un cameraman filmano dall’esterno il vano tentativo del libraio di sistemare il suo negozio.

Un ragazzino con i capelli biondi lunghissimi e aiutato da una donna robusta, tentano di fissare un grande telo di plastica con dello scotch, l’impresa è ardua e il buco è immenso, mentre i due giornalisti soddisfatti del proprio lavoro, salutano per avviarsi alla propria auto. Uno di loro resta catturato dall’insistenza quasi allarmante con cui la neve scende, eppure un giorno prima non l’avrebbe detto che ci sarebbe stata una tempesta. La donna dentro la libreria appena scorge Mag, sorride, si sbraccia e non aspetta che Margous le risponda. Un attimo dopo è in strada e senza cappotto.

    “Vieni ti presento!” grida lei per farsi sentire.

Margous fa segno di no con la mano.

    “Smettila vieni!”

I due giornalisti, schivando i cumuli di neve e cercando riparo lungo il cornicione, corrono per salvarsi dai robusti fiocchi di neve. Wim guarda la ragazza e fa un cenno sorridente all’amico che non sembra interessato, dopo averle dato una veloce occhiata, bassa, magra, castana, capelli legati, un punto rosso sotto il mento forse un brufolo, cappotto rosso corto, sciarpona a fiori,  occhi scuri, pallida, indifferente.

“Wim tu conosci già Margous, Margous ti presento Maximus.”

Maximus fa del suo meglio per sorridere, è la sua natura non apparire frustrato e soprattutto depresso. Margous per nulla intimidita dall’altezza e la stazza impressionante dell’uomo, allunga la mano, l’espressione del viso è controllata, gli angoli della bocca tirati e quello che si può leggere sul suo volto non è l’abbozzo di un sorriso, ma qualcosa tra incertezza e impaccio. Occhi scuri, niente trucco, nulla che la valorizzi se non la magrezza che a lei dona effettivamente qualcosa di diverso, quasi bello. Maximus la guarda senza esserne colpito, finché capta qualcosa di strano in lei, un odore, una sensazione, nulla di particolare, ma pur sempre qualcosa.

A primo sguardo chiunque penserebbe che sia un ragazzo con indosso un cappotto da donna. Wim lo guarda e Maximus in un francese molto veloce gli sussurra “non me la faccio con i ragazzini”. Wim sorride ironico e si allontana, fingendo di controllare lo stato delle librerie non attaccate dai vetri volati per aria nell’urto col muso dell’automobile.

“Conviene coprirle, il legno col freddo si piega.” afferma, chiamando l’attenzione di Max.

“Ho già ordinato la vetrata, il problema è la cornice, spero che per sera la sostituiscano.” starnutisce.

    “Qui si gela.” Wim guarda l’amico.

    “Ancora qualche ora.”

    “Nel negozio si gela, anche se per qualche strano motivo sono tutti senza cappotto, tutti surriscaldati da qualcosa che Margous non riesce a capire, anzi più li guarda, più sente freddo e si stringe il bavero del cappotto rosso intorno al collo. Max continua a lavorare e a rispondere al cellulare che squilla spesso e che ogni volta che lo distoglie dalle pulizie, sembra rallegrarlo. A nessun piace fare cose infelici, pensa Margous e Max la guarda quasi avesse percepito il suo pensiero. La ragazza si allontana dal gruppo per avvicinarsi al ragazzino e alla donna sulla scala.

    “Marinon, lascia stare faccio io.” la esorta Maximus.

    “Tanto vedo da qui se devo aprire negozio, se non ci si aiuta tra vicini? Xilo è un ingegnere, bigia sempre a scuola ma insieme abbiamo sistemato i due angoli inferiori, forse sopra, visto che deve reggere il peso, ci vorrebbe un chiodo, a  meno che, dice lei cercando di mettersi in punta die piedi, non lo appoggiamo su questo spuntone di ferro finché non sistemiamo anche l’altro angolo. Ci sarà uno spiffero ma sempre meglio di questa onda di gelo che entra dentro. L’umidità non va d’accordo coi libri.”

    Margous si toglie un guanto, raccoglie un paio di pietre colorate da sotto il mobiletto della cassa che appoggia su uno dei sacchi pieni di libri. Max prova a sorridere e torna a raccogliere i pezzi del negozio. La frustrazione per quella devastazione, rattristisce la ragazza.

    “Possiamo darti una mano? domanda Alice ma Wim la prende per il braccio e con gli occhi le fa capire di no.

    “Noi dobbiamo andare, ci dispiace. Max tieni, e gli lancia le chiavi di casa, grazie.”

    “Andate, dovrebbero arrivare degli amici a darmi una mano, riflette un attimo e prosegue, se volete possiamo pranzare da me? Fatemi sapere.” Wim sembra poco interessato alla cosa e Alice sposa perfettamente il pensiero di Wim con cui vorrebbe stare un poco da sola.

Margous è terrorizzata dal restare e si avvicina a Alice. Xilo fissa il cellulare, un messaggio di Milo “voglio due dose a credito.” Xilo è costretto a digitare in fretta la risposta e per farlo va fuori fingendo di guardare dalla strada il telo di plastica.

    “Niente credito. Abbiamo un accordo, tutto doppio e sei in arretrato di tre dosi.”

    “So dove abiti.”

    “Hai un patto con me.” gli risponde Xilo, digitando velocemente sulla tastiera, così veloce da impressionare Margous che a quella velocità esegue  mentre i fiocchi di neve si addensano sulle sue dita.  Xilo entra nella libreria e informa al padre di andare a casa per portare la bici e per giocare a playstation. Prima di partire slega Cerbero, lo richiude nello zaino che ha nascosto sotto il cappotto e presi entrambi in spalla, parte accompagnando a mano la bici.

    “Non puoi uscire a maniche corte!” grida il padre.

    “In meno di due minuti sono a casa, guarda ho messo la sciarpa e il capello.” nessun genitore avrebbe gatto allontanare il figlio senza fargli indossare almeno il maglione ma Maximus non è concentrato su questo problema. Il ragazzo svanisce e lui torna a fissare il cumulo di cocci esplosi dalla vetrata.

Max preoccupato per l’amico, lo allontana dalla sua nuova fiamma per parlargli sottovoce.

    “Wim, non sono affari miei ma credo che il tuo ragazzo abbia bisogno di manutenzione.”

    “A cosa ti riferisci?”

    “Tu sai il bene che voglio a Xilo, insomma, quel ragazzino ha bisogno di qualche regola.”

    “E’ già un ometto, mi fido di lui e poi è giusto che lui non capisca i miei problemi, non è colpa sua se siamo in questa situazione. Non saprei cosa fare di più. Cresce alla velocità della luce e non me ne rendo conto probabilmente …”

    “Forse i ragazzi di oggi sono più indipendenti, tecnologia, videogiochi, libertà, ma è strano, tu non lo vedi strano tuo figlio? Quale figlio non lo è? Tu non lo eri, io ero parecchio fuori di testa e molto prima degli undici ani.”

    “Io ai suoi tempi, tornavo a casa pieno di fango dopo aver fumato mezze sigarette trovate per strada, bevuto fondi dalle bottiglie di alcool,  giocato nei campi a calcio e aver guardato le carte da gioco sconce. Adesso i ragazzini hanno porno gratis sui siti accessibilissimi, si incontrano online, messaggiano su Whatsapp e abbracciano un joystick.”

    “E’ tutto un mondo proiettato nel futuro, a volte vorrei cambiare qualcosa tornando indietro e sapendo di non poterlo fare, mi disarma. Invecchiare non è una cosa entusiasmante e l’amore dura troppo poco per dargli l’importanza che meriterebbe.”

    “Sei troppo romantico, amico mio. Guarda me, io amo continuamente, senza angosciarmi e senza farmi altre illusioni. Le incontro, le amo e poi le lascio prima che loro lascino me. Meno sofferenza, meno spesa e meno ulcera.”

    “Se il mondo non vuole cambiare, e io non voglio cambiare chi ci difende dalla rovina completa?”

    “Credo il Diavolo. Il bel peccato originale ovvero i figli, anche se dopo nove generazione il nostro dna è completamente svanito dalle loro viscere, dopo vari mescolamenti, diciamo che ognuno interpreta una parte che non riceverà mai e poi mai dei riconoscimenti, nemmeno con i sacrifici più grandi. Gandhi è morto e il  mondo ignora i poveri. Viviamo l’attimo e per noi stessi, al meglio e basta.”

    “Non so. Credo ci voglia una lezione, qualcosa o qualcuno capace di farci cambiare tutti.

    “Non c’è riuscito un Dio non riuscirà di certo un uomo. Noi siamo stati capaci di crocefiggere un Dio, ti rendi conto?”

Maximus si fissa le mani, hanno delle piccole rughe. Sta invecchiando e odia la vecchiaia.

    “Probabilmente non lo era. Probabilmente non meritiamo un Dio o forse ci illudiamo troppo di contare qualcosa in questo grande universo. Moriamo, svaniamo, svaniscono i nostri ricordi, tutto quello che siamo stati. Dimenticheremo da morti il nostro nome, le nostre battaglie e il nostro passato.”

    “A me sta bene. Voglio morire pensando di rinascere un re o qualcuno molto molto ricco. Che senso ha partire senza speranza? Non ci resta che quella sia da vivi che da morti. Se io avessi quella nave, Dio, la farei diventare un bordello o meglio il migliore casinò del Cantone. Vendimela!”

    “La Bestia? Tra poco metteranno i sigilli, mi diranno di rimuoverla dalle acque pubbliche, il che significa che non potendolo fare, quel posto resterà a marcire finché la municipalità la smembrerà o ne farà un museo, ma ne dubito. Il mondo non cambia, Wim.”

    “Basterebbe che tu cercassi di cambiare il piccolo mondo intorno a te.”

    “A cinquant’anni ho capito che non ci sono mai indietro ma solo un accelerato avanti.”

    “Fatti un figlio! Fatti pagare profumatamente dall’assicurazione di quest’idiota e indica al buco nella finestra del negozio. Ho visto le foto che mi hai inviato, sono da shock totale, amico.”

    “Detesto i ragazzini, escluso Xilo, con lui è più facile, sembra più un adolescente che un bambino e non ti sta mai tra i piedi. Guardo te e mi ricordo che fare un figlio significa dannarsi per tutta l’esistenza. La mia nave è piena. Di me.”

Wim sorride.

    “Come va con Jeannine?”

    “Dovrebbe arrivare a momenti, le piace fare la fidanzata coinvolta. Mi sta addosso e io continuo a dirle che ho problemi di soldi così non avanza con l’idea di vivere insieme. Con questo disastro e gli mostra la libreria distrutta, forse capirà che deve soltanto aspettare.”

    “E l’altra?”

    “Indiana? No, con lei non è mai iniziato nulla. Giochiamo online di tanto in tanto, parole. Mi annoiano Wim, mi annoiano tutte. Alcuno sono troppo vecchie, le altre beh, restano lì a provocarmi e basta. Non voglio badanti ma solo angeli. Messaggio con qualcuna, con tante ma nulla di speciale. vorrei ardere, bollire, o forse non voglio niente. Quelle che sogniamo non diventano mai realtà, restano chimere, ardenti, brucianti chimere.”

    “Mi servono soldi, devo portare Xilo in vacanza da qualche parte, non passo con lui le vacanze da quand’è nato. Ho sempre inventato qualcosa, una scusa.”

    “E adesso hai voglia di fare il padre? Dovresti trovare qualcuno che pensi a voi, qualcuna che cucini, non saprei che dirti …”

    “Voglia? No ma sono pur sempre l’unico genitore che ha.”

    “Il mio senso paterno è zero assoluto ma se hai deciso che è il momento di fare qualcosa …”

    “I miei sogni e le mie aspettative non sempre vanno a braccetto con le disponibilità. Ho paura di tutto, e ho bisogno di riprendermi dal panico ogni volta prendo una decisione importante.”

    “Io ho scelto di non combattere, quello che deve arrivare arriverà. Ho sempre perduto, qualcuno, qualcosa. Voglio sorridere e divertirmi. Non mi servono mogli che urlano e ragazzini che sbavano per cellulari e auto. La mia vita è un fiume che scorre e nulla o nessuno potrà fermarlo con una diga.”

    “Devi smettere di prendere quelle dannate pillole. Sei certo che ti facciano bene?  Mi domando perché non usano due rinoceronti come noi come protagonisti di una commedia? Potremmo insegnare alla gente come stare alla larga dal fenomeno delle passioni passeggere e degli amori con etichetta fine?”

    “A chi lo dici.”

    “Lei ti aspetta, vai. Sempre casa?”

    “Non so è vecchia. Forse solo pranzo, forse, risponde lui, mentre guarda Alice che lo segue sottocchio, non so se oggi ne ho voglia.”

Margous parla all’amica che finge di aiutare a raccogliere pezzi di libri in un contenitore di plastica.

    “Non ti preoccupare. Puoi andare a farti un giro.” le sussurra. Margous guarda Wim, poi Max e esce in strada, camminando sulla neve che continua a cadere formando una muraglia gelida davanti ai negozi, lei in mancanza di un cappello si tira il bavero del cappotto.

   Fissa il cielo e sorride. Lillà, adora quel colore impastato al grigio pesante delle nuvole cariche. L’amore non si vende, non si compra, non si trova sugli scaffali, riflette pensando a Wim e al suo amico, così vecchi e così, nemmeno lei sa rispondersi come, torna a camminare con l’intenzione di guardare attentamente ogni negozietto, magari berrà una cioccolata e poi tornerà in albergo, c’è poco da fare con una neve così alta. Sarebbe fortunata se incontrasse qualcuno di straordinario, un ragazzo che la notasse dalla sua auto o dal suo negozio, ma sa che è quasi impossibile per chiunque transiti su quel viale che distolga gli occhi dalla guida.

Le piace il posto, un poco meno gli uomini. Per un non preciso motivo si sente sporca, non una poco di buono, ma quegli incontri forzati hanno qualcosa di squallido, pensiero che non ha intenzione di condividere con Alice, così presa dal suo fresco amico. Vecchi e per di più incontrati su un sito, Margous si sente imbarazzata. Alice prima di uscire, dice una cosa ai presenti, cosa che impressiona Max più della tragedia che l’ha investito, in fondo l’assicurazione del colpevole avrebbe pagato tutto e questo lo tranquillizzava ma quella ragazza, senza bellezza particolare che avrebbe dovuto lasciarlo indifferente, l’ha stordito.

    Margous comincia a sentirsi i piedi bagnati e la camminata perde la sua bellezza con l’ondata di neve che continua a scendere. Le punte delle dita sono congelate e la neve le finisce in bocca, negli occhi, s’incolla con insistenza ai vestiti. Neve uno, Margous zero. E’ alla ricerca di un bar, dove berrà anche un semplice caffè, qualsiasi cosa la possa rigenerare prima di chiudersi in albergo, dove approfitterà per farsi una doccia bollente e guardare la tv in lingua francese. E’ un posto strano, ha qualcosa di misterioso, un bisbiglio impercettibile.

    “Filou” è un localino ben illuminato e vuoto ma questo non ostacola il suo volere di entrarci. qualcuno la saluta ma lei fa solo un cenno col capo. Un bel ragazzo seduto a un tavolo con un piattino pieno di paste è occupato a parlare velocemente al cellulare. Nuovamente si pente non avere mai studiato bene il francese. Cerca un tavolino vicino alla finestra da dove ammira quella nevicata che non trova ostacoli. Il ragazzo termina la telefonata e la guarda. Lei è presa dal sistemare la sciarpa bagnata e il cappotto ancora con neve sull’orlo delle maniche. Si slega i  capelli per rifarsi la coda di cavallo e cerca di un menu che non trova. L’uomo dietro il bancone del bar si avvicina e le chiede l’ordinazione. senza proferire suono lei mima quello che potrebbe essere un libro aperto.

    “Menu?” chiede l’uomo.

Lei annuisce con il capo e torna a fissare fuori, evitando lo sguardo del ragazzo che la fissa, mettendola in imbarazzo.

Milo è in attesa della sua dose. Dopo essere scappato dall’ospedale con le due costole rotte, inseguito da Dana quasi piangente, evitando la polizia che chiamerà suo padre, cerca di riprendersi dall’ennesima crisi di astinenza, sorseggiando un caffè amaro corretto con cognac.

    La ragazza con il neo sopra il labbro non lo attira particolarmente ma continua a fissarla, lei ha tirato fuori un taccuino e sta scrivendo, non vede molte ragazze che scrivono, ultimamente, probabilmente, pensa lui, sarà un’universitaria. Xilo ancora a maniche corte e sulla sua ridicola bicicletta, sotto la neve e con il gatto ancora nello zaino, entra nella cioccolateria/bar/paninoteca con la solitaria seria e i capelli bagnati che gli grondano sul collo. La maglietta è attaccata alla pelle e i brividi di freddo compensano il tremolio a mal appena contenuto. Xilo controlla chi c’è nel locale e appena scorge Milo davanti alla tazza fumante di caffè corretto, s’incammina velocemente, giusto per recuperare un pochino di calore con il movimento delle gambe, ma una ragazza tutta dark con i capelli color platino, appena entrata di corsa nel bar, si dirige verso il medesimo bersaglio, e Xilo cambia strada, diretto al bancone e dopo aver pagato per una cioccolata chiede del bagno. Milo nonostante il locale sia vuoto, non l’ha notato, ma la ragazza ha notato lui e si siede al tavolo, non prima di avergli sussurrato qualcosa all’orecchio. Margous, scrive della neve che cade in quella cittadina irreversibilmente noiosa e molto piccola. Il locale in meno di dieci minuti si riempie, Jurre appena arrivato da Losanna, entra per bere una birra e fissare il bicchiere in attesa di decidersi di tornare a casa. Dafne, stanca dello shopping natalizio, alla ricerca di un fantasma che le risvegli il cuore, entra per aspettare un paio di amiche con cui pettegolare e vantarsi della nuova automobile che Giò ha fatto arrivare dalla Germania col suo nome in acciaio cromato sulla carrozzeria, cosa di cui vantarsi, quale marito farebbe questo per sua moglie dopo vent’anni di matrimonio?

    Seduto davanti alla sua birra, Jurre pensa di vedere le allucinazioni. Vede mostri. Le due ragazze sedute ai tavoli opposti, sono delle criminali, hanno i maglioni e le mani imbrattate di sangue. La mano destra sotto la giacca sfiora il grilletto della pistola. E se quelle due si alzassero per sparare? Beh, lui è pronto. La sua testa gli dice che è pronto e lui le crede. I mostri lo circondano da quando, non ricorda nemmeno più da quando, quei mostri, accidenti, gli mancano le pillole. Il ragazzino che era al banco, si ricorda di lui, è quello che gli vende le pillole, ma non è sicuro, rischia di brutto se lo avvicina e se non fosse lo spacciatore? Se fosse segnalato per pedofilia o peggio, arrestato per spaccio? i mostri però gridano nella sua mente. Rivolge lo sguardo alla ragazza col taccuino. Che cosa sta scrivendo? E’ il segnale? Un gatto nero esce dal bagno e gira sotto i tavoli.

    “Ah!” grida Jurre spaventato.

    “Cerbero.” Xilo lo chiama e Jurre riconosce il ragazzino ma torna a fissare la sa birra. Se compresse una dose si sentirebbe meglio. Digita velocemente sul cellulare. La risposta arriva subito dopo. Appuntamento nel bagno, dove Jurre si fionda. Lascia la banconota da cento sotto il lavandino e ritira le tre pillole verdi. E’ una giornata da pillola verde. Ne ingoia una, appena si siede e la birra scivola giù  per la gola dandogli una sensazione di sollievo. I mostri restano lì nei suoi occhi, bloccati come in un fermo immagine ma non ha intenzione di sparare, loro non lo stanno attaccando,. Se lo facessero, lui sarà pronto ad affrontarli.

    Margous guarda la biondina dark al tavolo col ragazzo pallido e chiaramente sofferente. Lei la osserva e le fa un sorriso amicante. Imbarazzata torna a sorseggiare con lentezza infinita la poca cioccolata già fredda, rimastale nella tazza bianca con manico rosso, proprio in tema natalizio. Il giovane e l’uomo con la birra oltre al proprietario sono gli unici uomini nel locale e lei non si sente attratta da nessuno di loro. Il ragazzino è quello che ha visto nel negozio del libraio, sempre in maglietta in pieno inverno, pelle ossa e con quei capelli biondi in risalto sulla pelle caffelatte, impossibile non riconoscerlo. La neve cade sulla bicicletta di quest’ultimo, preso a entrare e uscire dal bagno, mentre la sua cioccolata fumante lo aspetta al banco. C’è un continuo via e vai da quel bagno. Margous si concentra sulla strada affondata nel bianco. Così dovrebbe essere il Natale, bianco, pensa lei e le viene in mente “tormenta di neve di Listz” quella difficile di combinazione di bello con la difficoltà umana di comprendere la bellezza trascendentale dell’impossibile. Un io straordinario che risiede solo nel congenito, ovvero o lo possiedi oppure no. La vita dispensa la gioia a chi la veste, può capire perché la parola Natale offra del sollievo soprattutto, mentre i fiocchi danzano grossi davanti a un paio di occhi sognanti. Se solo arrivare l’amore con quella danza. 

Mia Us, dopo il Bip, segue il messaggio in Whatsapp che lei legge istantaneamente. Dopo tutto quel tempo, solo un “Mia Us” lui si ricorda della sua  esistenza, forse è un segno del destino e torna a fissare i fiocchi di neve. Lui è così vicino, Losanna, potrebbe farlo arrivare, potrebbero incontrarsi? la neve è la risposta, lei adora la neve. Il gattino nero salta sul suo tavolo e la fa trasalire.

    “Scusami.” chiede lei all’animale.

Xilo rincorre l’animale e lo prende in braccio. Lo sguardo inquietante del ragazzo la raggela. I suoi occhi chiari, quasi alieni sembrano leggerle la mente. Qualcosa in lei si spezza e ricorda. Un ricordo doloroso. Un peccato imperdonabile. Un inferno che  aveva rimosso.

    “E’ un curioso.” si giustifica Xilo, acchiappando il gatto. Margous ritorna in se e fissa il viso sorridente di Xilo.

    “Ci siamo incontrati prima.”

    “Sì, Max. Il libraio è un amico di papà, già, un’auto gli ha sventrato la vetrina del negozio.” poi si gira senza dire altro e torna al bancone a sorseggiare la sua cioccolata.

Lei ricancella l’incubo dalla mente e torna a fissare i messaggi, dovrebbe rispondergli. Dovrebbe incontrarlo, visto che è già lì.

    “Sono a Yverdon. In una cioccolateria. Al castello.”

Pochi minuti dopo lui le risponde.

    “Vorresti che ci incontrassimo?”

    “Sì.” gli risponde. Le sue dita digitano velocemente e con un certo piacere che lei non si nega. Nel medesimo momento un uomo s’incolla alla vetrina del negozio e lei si spaventa. Sta cercando di guardare dentro e lei purtroppo è vicino alla vetrata ma lui la ignora sta guardando oltre. Ha soltanto un vestito scuro,  i capelli sfrangiati pieni di neve non gli nascondono la bellezza. Lui si fionda nel bar, correndo fino a tavolo di Milo.

Margous sente una scintilla nel capo che si accende e si spegne. Riprende il cellulare  vicino al suo taccuino e scrive a MM.

    “Meglio di no. Non sono pronta.”

Lui le risponde subito.

    “Hai ragione.”

Dana catapultato contro la faccia di Milo si foga, mentre Dafne inorridita cerca di fissare il menu.

    “Bastardo sapevo che te la facevi con una donna!” le sue urla svegliano Jurre che istintivamente porta la mano alla pistola. Lui è pronto a difendere. Fortunatamente, aperti gli occhi si accorge che è semplicemente una banale scena di gelosia tra gay. Un conato di vomito lo spinge a correre urgentemente in bagno ma gli occhi di Xilo si soffermano sul girovagare del gatto, lo lascerà perdere perché dovrà andare in bagno a sistemare i conti.

   “Solo una?” lo ironizza Milo.

Destiny si alza incurante e si dirige al tavolo di Margous.

    “Sei una fica.”  le sussurra prima di farle l’occhiolino.

Margous deglutisce a vuoto e schifata, raccoglie cappotto, taccuino e cellulare, poi si alza per andare a pagare. Sul tavolino resta il pezzetto di carta con un numero di cellulare. Destiny ritorna al tavolo di Milo.

    “Sono sua sorella.”

Dana si siede sconfitto e imbarazzato. Milo sottovoce gli chiede di andarsene, non prima di aver pagato Xilo, almeno se vuole ancora avere le sue attenzioni.

    “Devi andare da un dottore.”

    “Lo porterò io.” lo rassicura Destiny.

    “Io, mi dispiace Milo. Perdonami, non dovevo.”

La faccia di Dafne segue tutta la sceneggiata, adesso ha qualcosa da raccontare alle amiche.

Jurre dopo essersi bagnato la faccia con acqua gelata si gira verso Xilo che gli consegna un “omaggio della casa” due pillole blu, qualcosa di molto energetico, gli spiega il ragazzo che sembra non avere emozioni, quando parla. E’ terrificante quanto Nightmare, pensa Jurre e gli viene in mente suo figlio, così diverso da quel piccolo e maledetto spacciatore. Il bagno diventa affollato, quando Dana si presenta per “sistemare i conti” o una parte del debito di Milo. Xilo regala la dose omaggio ai suoi “clienti migliori” e dopo aver contato per tre volte i soldi, segna la rimanenza del debito di Milo sul cellulare  e torna nella sala. Cerbero è fisso contro il calorifero all’ingresso e pare abbia un certo interesse per Margous che lo ignora. Non le piacciono i gatti, nulla in contrario con chi li tiene ma lei li trova infidi e troppo gatti. Il gatto nero scappa nuovamente dalle braccia di Xilo che sistema i soldi nella tasca nello zaino e poi nuovamente nel tubo sotto lo sellino.

Mag presa dal correre al più presto fuori dal bar sbatte  la figura molto alta e molto robusta di un uomo sovrappensiero che cerca di entrare.

   “Pardon.”

Lei lo fissa, è il libraio, e tenta di sorridere ma non le riesce ed esce sotto la neve, cercando di capire la direzione da prendere. Potrebbe avere deciso ma dietro di lei, l’uomo la chiama.

    “Margous?”

Vorrebbe fare finta di nulla ma non ci riesce. Non può andare avanti ma non vorrebbe nemmeno parlare allo sconosciuto.

    “Un caffè?”

Lei gira la testa in segnò di negazione.

    “Ma sì un caffè, non ti preoccupare non mordo. “ Lui le parla in inglese e sembra un cinquantenne innocuo. Mentre lui si pulisce il capo dalla neve, Xilo si dirige verso la porta.

    “Ehi che ci fai tu qui?” Maximus guarda il ragazzino ancora in maglietta e fissa i presenti nel locale. Jurre è il primo a riconoscere il libraio e lo saluta alzando con fare stanco la mano.

    “Volevo una cioccolata.”

Maximus non lo ascolta, finge di guardare distrattamente il neo sopra il labbro di Mag.

    “Corri a casa, o chiamo tuo padre!!”

    “Stronzo.” aggiunge il ragazzino sottovoce.

Xilo non ha voglia di affrontare una discussione, cerca con gli occhi il povero Cerbero rimasto incollato al termosifone e fissare la neve che ipnotizza molti dei presenti nella sala.

Con la mano sulla porta ancora aperta e la neve spinta dal vento verso l’interno, Xilo come tutti i gli clienti della cioccolateria, sono chiamati a prestare attenzione al messaggio d’allerta in televisione di cui il gestore alza il volume.

Il giornalista, un uomo distinto sulla cinquantina ma ben portati, in abito scuro e cravatta rossa, legge una cartina meteo alle sue spalle, che non promette nulla di buono. La sua voce molto controllata, Non si arresterà la tormenta chiamata “Apocalisse” per i prossimi sei giorni. Siete pregati a non usare la vostra auto se non necessario e di rifornirvi per tempo. I camion dei pompieri saranno impiegati ventiquattro ore su ventiquattro per la pulizia delle arterie principali e per lo sgombero della neve intorno agli ospedali. La fornitura di energia elettrica e di gas non dovrebbe subire interruzioni ma tenete in casa delle candele per le emergenze.

Max avanza cercando un tavolo più riparato dove sedersi.

Sente la voce di Wim nella sua testa.

    “Sei tornato per lei? Max guarda velocemente Mag. Ma l’hai vista?”

    “Si la sto vedendo.”

    “No, guardala meglio, ha una camicetta in poliestere, metà a righe e l’altra metà, mio Dio a fiorellini di campo.  I suoi stivali, sono bozzi, con il tacco alto quadrato, non sono fuori modo, nemmeno al mercatino dell’usato e quei capelli, non li taglia per risparmiare sul parrucchiere.”

    “Che male c’è a risparmiare sul parrucchiere. Ha le mani curate anche se non tiene le unghie lunghe? E’ molto, molto giovane. Alla fine l’età conta qualcosa?”

     “Non è una donna di classe. Guardale i calli sotto i polpastrelli, e hai visto il suo cappotto, sembra infeltrito. Il tono di rosso è allarmante. E’ troppo magra, senza tette e sicuramente non ci sarebbe molto di cui parlare, non credi?”

    “Va bene, ma ha un neo sopra il labbro e questo mi basta.”

    “Tu sei tutto folle.”

    “C’è qualcosa in lei.”

    “Il pericolo.”

    “Smettila. voglio solo conoscerla, è una ragazzina.”

    “Una ragazzina con cui chatti e che ti piace.”

     “Il Regno degli Inferi, ha un nuovo cliente.”

    “Come se volessi a tutti i costi andare in Paradiso?!”

    “Io vorrei andarci, se solo sapessi che esistesse ma siccome so che non esiste, non mi limito nelle mie cattive azioni.”

    “Adesso sei qui per me.”

    “Già.”

    “Lei mi piace voglio conoscerla meglio.”

    “E’ un errore.”

    “Tutta la mia vita e se non sbaglio anche la tua, lo è stato. Gli errori sono le cose che ci vengono meglio.”

    “E’ magra e bassa.”

    “Così domini tu!”

    “Sì così domino io.”

    “Poi ha dei bei occhi con una luce strana.”

    “La luce strana è l’Inferno ricordati. Una creatura strana. davvero strana. Provo qualcosa tra attrazione e repulsione. Non ha un canone di bellezza ben preciso, è innaturale. Sembra che sia sempre triste o nasconda in quegli occhi freddi, di una tonalità così scura di marrone, la fine del mondo. Comunque a me non piace.”

    “Mi ricorderò.”

    “E Jeannine?”

    “Jeannine cosa?”

    “Se venisse a sapere?”

    “Che cosa dovrebbe sapere, non c’è nulla da sapere, non siamo sposati e non sto tradendo nessuno, potrei essere fuori con una cliente interessata alle scienze olistiche e alla letteratura spirituale? Jeannine non mi confonde quanto quest’ombra apparsa dal nulla. e non ha fatto nulla perché la notassi, questo mi dispera, mi divora.”

Xilo non è uscito dal locale, è rimasto a fare con lo sguardo una carrellata generale sui presenti. I suoi occhi fissano ogni presente, indaga poi ritrovano gli occhi del piccolo felino nero con cui hanno un dialogo muto. Una raffica di vento entra nella cioccolateria, portando nevischio e mettendo in agitazione la povera Dafne che scompigliata la capigliatura, sente l’urgenza di andare in bagno per darsi una sistematina.

     “So che partite oggi, ti accompagno in albergo, sta nevicando parecchio.”

Mag fissa la vetrata poi guarda nuovamente Max. Fa cenno di sì con la testa. Le dita magre, senza anelli, senza smalto, chiudono il taccuino rosso, dove gli occhi di lui sbirciano curiosi. La scrittura è ordinata, nemmeno una macchia.

    “Prima posso mostrarti un mausoleo in mezzo al lago, credimi ne vale davvero la pena? E’ poco lontano da qui, si vede dalla strada o meglio dalla riva. mando un messaggio a Wim magari ci incontriamo tutti lì così lo vedrà anche la tua amica.”

La ragazza continua a cercare di leggere negli occhi nocciola e luminosi dell’uomo. E’ leggermente robusto, molto alto ma sembra di indole semplice. Ha un bel aspetto, molto giovanile e tenero, quasi. Ma quanti mostri non sono teneri? pensa lei che fissando lo scarno anzi sciatto abbigliamento dell’uomo. Indossa una camicia mal stirata, niente maglione e il giaccone turchese è tipico dei sciatori. Che sia uno sportivo? Sarebbe stato affascinante vestito in un abito scuro, sicuramente sarebbe sembrato un attore ma si vede che lui sta passando il suo periodo “no”. Di sicuro è una buona forchetta, ma nemmeno poiché le sue gambe sono magre, è semplicemente un disordinato, un uomo solo quasi sempre lo è, quando deve cucinarsi, pulire casa da solo. Ma il suo viso è piacevole e Mag non lo trova indisponente. Per le poche ore che la separano dal ritorno a casa, si lascerà accompagnare dal libraio.

    Xilo è già in strada con lo zaino in spalla, quando Dominic Cambuse, lasciata l’auto in divieto di sosta, con il suo cappello sulle undici e il cappotto in cashmere color cammello, entra cercando di togliersi da subito la neve dalla punta delle sue scarpe Prada. il suo unico pensiero e fare attenzione a non sporcare con quella inutile neve, le sue meravigliose calzature molto alla moda. Finge che quella mattina non sia successo nulla di particolare. Non ha dimenticato di aver ucciso qualcuno, semplicemente non vuole dare tutta l’importanza a quella inezia. La sua ossessione per la perfezione, è notata da due persone in particolare, Destiny che ha già un’idea di quell’estraneo abbellito ma con l’aria da vizioso e l’uomo dietro il bancone che lo trova attraente e avanza per prendere l’ordinazione dal nuovo arrivato, nella speranza di piacergli a sua volta . Xilo  Il ragazzino lo fissa con un triste sorrisetto sul volto e per risposta a quel maleducato che lo investe senza nemmeno scusarsi, facendogli cadere quasi, la bicicletta dalle mani, libera la testa di Cerbero dal coperchio dello zaino. Il vento si intensifica e la temperatura diventa sempre più bassa, cosa che i clienti nel locale, non possono sentire finché restano in quell’ambiente riscaldato a sognare, fissando la neve grossa cadere.  Dominic è quasi scocciato. Hai suoi motivi. Dopo aver pulito con le mani le spalle e sbattuto il capello un paio di volte contro il termosifone all’ingresso cerca la persona per cui è venuto. dafne uscita dal bagno, lo nota e con un cenno della testa lo invita a sedersi. L’uomo con la ventiquattro ore e l’unghia dell’indice destro, ancora macchiata dal sangue. L’omicidio non paga, e lui ha quasi dimenticato la frenesia con cui ha dovuto cercare un posto, dove abbandonare il corpo dell’ultima amica.

Destiny si alza per andare a sua volta in bagno, passa dietro ai due elegantoni seduti a sfogliare carte aperte sul tavolino. Lui ha lasciato il cappotto sull’attaccapanni e il secondo errore, le chiavi dell’auto sono nella tasca destra. Prese le chiavi, ritorna a sedersi vicino a Milo, gli sussurra qualcosa, vanno insieme al bancone, dove pagano l’ordinazione. Il messaggio di Dana sul cellulare di Milo, avverte che la polizia lo sta cercando. Milo non gli risponderà, ha altri progetti.

Cotin Le Flurre si è visto bloccare il viaggio di lavoro, appena la polizia lo ha invitato a presentarsi alla centrale. Lui un’idea ce l’ha, Milo ha combinato uno dei suoi soliti casini, e dovrà usare tutta la sua diplomazia per tirarlo fuori dai guai per l’ennesima volta. Per scaricarsi i nervi continua a tempestare di chiamate e messaggi il primogenito.

    “Margous, bel nome. c’è un diminutivo? Mag?”

Lei gesticola lentamente, ma appena lui non capisce, prende il taccuino e lo apre a una pagina bianca, dove scrive, mi dispiace per il tuo negozio.

    “L’assicurazione pagherà, fino ad allora, mi sveglierò tardi e cercherò di sistemare i libri che si sono salvati. Ho un sacco di tempo a disposizione. Io non sono mai stato a Milano. Deve essere bello il vostro Duomo.” Max deve stare attento a non pronunciare il diminutivo sbagliato.

Lei sorride e fa cenno con la testa.

    “Quanti anni hai, quindici?”

Lei non sa se mentire o dirgli la verità. Sceglie la via di mezzo. Mostra le l’indice e il dito medio.

    “Venti. Ok.” e Max torna a guardare la costanza con cui la neve continua a scendere.

    “Oggi credo che non smetterà.”

    “Amo la neve.” gesticola lei, e il barista consegna loro i due caffè scuri e la madeleine alla crema che Max ha ordinato per sé.

Milo e Destiny escono dal locale e Mag è costretta a guardare la bella ragazza dark che le ha fatto quelle avance. Destiny si è già dimenticata di lei, ha troppa fretta di uscire dal bar e col fratello barcollante per il dolore, si concentra sull’auto che dovrà acquisire senza il permesso del proprietario. Il drammatico appello di Cotin, il continuo schiacciare il tasto per rendere silenzioso il suo cellulare,  obbliga Milo a frugare nella tasca per le sue pillole e appena le trova, masticarle direttamente con la bustina di plastica. Spera di potere cancellare il dolore e felice di non dovere essere lui alla guida dell’auto, si fa aiutare da Destiny che lo accompagna, trascinandolo dalla vita. Il profumo vanigliato della sorellastra, eccita i sensi drogati del ragazzo. Col capo battezzato dalla neve affrontano la strada, dove un ragazzino appena partito sulla sua bicicletta, mostra il suo fisico scoperto e i capelli lunghi sulle spalle alla natura invernale. Cerbero trova il modo di liberarsi e scappa dallo zaino con un balzo dritto nella neve. Xilo si accorge in ritardo della piccola macchia nera che svanisce girando strada appena dietro il semaforo. Le cose diventano interessanti, pensa Xilo che inizia a fare un giro della città senza sentire il peso della neve sulle spalle ghiacciate e sul capo. Mentre pedala, è costretto a tenere gli occhi chiusi, una forza più grande di lui lo spinge a cercare di sistemare per sempre i conti con quella città.

Dafne sente che il nuovo anno le porterà un bel divorzio e tanta fortuna economica, cosa che Giò non vorrà darle in alcun modo, ma certe fotografie che lei ha dei documenti del marito, potrebbero fargli dire di sì.

 

    Alice poggia la tazza di caffè e resta a fissare la finestra della cucina. E’ sempre una bella donna, curata. Wim si avvicina, mentalmente ha già un conto alla rovescia, il panico pensa lui, deve tenere a bada il panico,  e le chiede se va tutto bene, le sue mani sono sui capelli di lei che piega il capo, accettando il gioco. La differenza tra normalità e anormalità è così sottile, come è sottile l’alone di mistero che custodiamo in noi fino alla fine. Lui prova a baciarle il collo ma lei si gira e con le mani gli afferra la testa. Lo fissa. Lo studia. Non è un bell’uomo ma è un tipo. Non è basso, è vero ha un problema di calvizie ma ha dei begli occhi. Il loro momento è fatto di azioni lente finché lui la porta in bagno e le mostrala vasca. Lei lo guarda.

        “Come corri.” sorride, lui però è molto serio.

        “Io sono così.” sì, risponde lei mentre inizia a spogliarsi, immagino di sì.

        “Lo vuoi veramente?”

        “E tu?”

 

Lui si concentra sul volto della donna, Alice non è giovane, la sua pelle è passata, ha qualche ruga intorno agli occhi scuri, matita e mascara, in abbondanza ma applicati con precisione, qualche sbavatura di rossetto, oltre la riga della matita per labbra, troppo scura forse, però la scollatura è invitante, i  seni sodi sotto la camicetta una taglia meno per farla sembrare snella, sì i seni sono grandi, interessante scollatura, pensa anche se a lui piacciono molto le donne più giovani,  lei in fondo non gli dispiace del tutto e poi è certo che non la vedrà più dopo averci giocato. Con la mano inizia a fare scorrere l’acqua fredda.

    “Dovrai resistere.” le dice mentre sfiora con la guancia le sue labbra. Lei si eccita e sentire la barba dell’uomo e il suo profumo, lo lascia fare.

    “Spogliati.”

    “Non …”

    “Non mi dirai che sei pudica?”

    “Che c’entra è che  …”

    “Tu mi piaci tantissimo. Troppo. Davvero. Fortunatamente. Mi piaci. Tanto.”

A questo punto lei scioglie tutte le sue difese. Ogni lasciata è persa, pensa.

Lei è molto lenta. Lui non vuole baciarla, non ha alcuna intenzione di metterle la lingua in bocca, ma continua a torturarla finché non si eccita e si allontana da lei che col fiato corto, aspetta la prossima mossa.

    “La tua amica, è così giovane. Sei sicura che non sia un uomo, un ragazzo intendo? La sua faccia magra, non si nota il pomo d’Adamo ma ci sono tipi che lo nascondono, così magra, scheletrica. Sicura sia una donna?”

    “Ti piace?”

    “Non è il mio tipo,  e poi è muta, mi sembra che tu abbia detto? Mi sarebbe piaciuto sapere che tra voi ci fosse stato del piccante ma nutro il sospetto che nulla di ciò sia ma avvenuto.”

    “Lesbica? Ma che dici? Noooo. Non direi. Togliti la parrucca dal neurone e la polvere dai testicoli e dimostra di essere un u0mo non un ragazzino che sbava dietro qualsiasi cosa respiri. Mag, è una brava ragazza.  Non l’ho mai vista con un uomo, è molto riservata ma no, non credo sia lesbica. Mag ha sofferto tanto, sono una sorella per lei, nessuno le bada, nessuno l’ascolta.”

    “Calmati, non volevo offendere nessuno. Adesso … La vasca è piena Principessa.”

Lei sorride e si mostra nuda. Lui la guarda. Non aveva aspettative, ma il corpo di quella cinquantenne è ancora in buon stato. Dovrebbe torturarla, in fondo è venuta per lui, per farlo contento, sì, il pensiero di torturarla è molto invitante e guarda l’acqua fredda che scorre e riempie la vasca.

 

    “Ti piace?”

Gli occhi di Mag restano intrappolati sulla figura della nave. Le acque intorno a quel colossale mostro, sembrano un piccolo, minuscolo stagno. La nave copre le colline e la sua stazza, le da l’impressione che si possa teletrasportare nelle dimensioni temporali, tanto appare quale una creatura fantastica i cui poteri superano in determinazione di sopravvivenza, quelli umani. Tutto intorno a lei, smette di avere importanza. La neve non l’attacca, qualche piccolo cumulo, ma il suo corpo ruggisce, reagisce con la superiorità dei titani. Quel Purgatorio di ferro e vernice, senza luci natalizie senza lumi che possano rallegrarlo, la colpisce. La neve la colpisce con paziente silenzio e la nave finge di subire quella forza che l’attacca. Gli occhi di Margous smettono di sognare e fissano con la consapevolezza di un essere umano che osserva qualcosa di impossibile, il corpo galleggiante. Come mai quella cosa si trovava lì? Forse non era il posto ideale e in qualche modo deturpa la bellezza delle collina …

    “CORINNE La Bestia Machmanm.”

    “Bestia?” domanda lei, curiosa e muovendo il capo per meglio osservare la nave e contenendo il proprio scompiglio.

    “Mio nonno soprannominava così la prima moglie, era pestifera e dispotica e a detta di lui, tante altre cose, più perverse, ma questa è solo una barca.”

    “Tu possiedi quella barca?” gesticola Mag.

 Lui fa cenno di sì e continua a osservare il suo tesoro. Max insiste per presentarle il suo tesoro. Ha l’idea che CORINNE abbia avuto un felice impatto sulla ragazza, ma non è così. Lei semplicemente ammira senza sottovalutarne l’inutilità in quel lago, vicino a quella rive e per cosa? Chi ha mai voluto che un gigante dei mari con il compito di perseguire rotta attraverso i veri ghiacci, stesse lì, fermo, immobilizzato, sofferente e probabilmente rancoroso di non avere veri grandi spazi in cui navigare. Gli occhi di Mag ipnotizzati, parlano da soli. Quella cosa inquina, potrebbe danneggiare l’ecosistema, pensa lei. La nave è una bomba. Non lascia respirare la natura, soffoca le acque e finge di proteggere la zona col proprio colosso. La sua testa macina pensieri. Piramidi di altezze umane - vortici di parole - paure dighe e sogni sottopelle - albe in fiamme - il silenzio e il  blu nel battito ma cuore che aspetta solo un abbraccio diventa marea sotto la ciglia dell’unico coraggioso capace di sfidare il mare dell’improbabile, demone piacere e mistero tentazione, quel monumento di ferro è il varco. Lei fissa l’uomo innamorato di quel mostro, mentre lei sente i brividi. Su quella cosa, potrebbero esserci nascosti decine di cadaveri, o peggio tutti sono stati sezionati e gettati nel lago ai pesci.  Lui fissa il cielo e piega il labbro in una smorfia di disappunto. L’ombrello è già piano di neve e ogni tanto, Lui lo apre e richiude e riapre per pulirlo. Poco distante da loro una coppia, abbracciata osserva CORINNE. Amine ha portato la sua fiamma a visitare la Bestia. La donna parla con forte accento russo e in modo allertato dall’entusiasmo, filma l’attrazione della città. Maximus si sente disturbato dai due e si avvicina al viso serafico di Mag.

    “Vuoi salire?”

Lei fa cenno di no con il capo ma sorride, lui non riesce a indovinare quel tipo di risposta. Lui la riprende sottobraccio e si allontanano dalla Bestia. La stringe a sé mentre affronta la nevica con l’ombrello. Lei si sente piccola, piccola al suo fianco, ma nonostante questo, quell’uomo non le fa per niente paura. Sulla via del ritorno lui non parla. Notano però una pattuglia della polizia ferma a fianco dell’auto che sicuramente appartiene agli altri due venuti a vedere in riva CORINNE. Max cerca di capire cosa stia succedendo ma dalla figura di uno dei due, capisce che sia meglio non curiosare. Mag guarda la scena e non ha intenzione di salire, vorrebbe capire cosa sta succedendo ma Max le apre la portiera e l’aiuta a entrare. Uno dei due uomini in divisa resta vicina all’auto, il secondo entra nel sentiero che porta alla riva, sta cercando il proprietario e per qualche serio motivo. Max torna alla guida e sotto l’occhio indagatore del poliziotto fa manovra per uscire dal parcheggio del camping. Max sente la neve fresca sotto le gomme, anche volendo non potrebbe accelerare per allontanarsi prima che i due poliziotti rovinino la quiete di quel momento tra lui e la ragazza. Lei è presa a levarsi dal volto la neve e sbatte i piedi fuori dalla portiera per pulire gli stivali.

 

    Dopo la visita alla Bestia, cosa che l’ha affascinata, ma anche intimorita, sconcertata,  lei ha accettato un caffè a casa sua. Gli ha detto che suonava il violino e lui ha colto l’occasione per confessarle di scrivere della musica. Maximus non è bello, non è giovane e nemmeno uno ricco, ma coltiva esperienze di viaggi straordinari, e poi sa sorridere. Ha un sorriso sincero, almeno così le sembra. Non c’è una forte attrazione sessuale che la spinga tra le sue braccia, ma ha un bel naso, begli occhi e denti bianchi. La sua pelle emana un buono odore, non di profumo che non lo usi? Un uomo così vecchio senza un vero lavoro che ha appena aperto una libreria dopo quanti fallimenti? Certo che se non fosse sbiellato non avrebbe fatto per lei, Mag questo lo capisce. Più lo guarda più vede il fallimento. Un uomo che si è abituato a vivere da solo, nella cui casa non ci sono fotografie di famiglia, è un uomo solo e sbiellato. Lo lascia parlare. Ha capito che lui la sta studiando, non che ci sia molto da capire di lei, da fuori. E’ un ospite eccellente. parla tanto e a lei piace, le piace anche l’inglese con forte accento francese. Margous cerca di cambiare ottica di valutazione. Quell’uomo non ha figli, eppure lei pensa che da giovane, lui doveva essere stato molto bello. Non capisce se è povero o semplice di suo. Un uomo privo dell’arroganza solita degli uomini che vantano la propria posizione sociale, la propria auto o muscoli o abiti firmati. Un uomo fuori dagli stereotipi.
 

    Ha smesso di scrivere nel piccolo taccuino rosso con i fogli color polvere. Perché lo fasta facendo? Non per i posteri. A nessuno interesserà che cosa ha vissuto, cosa ha scritto e quale insignificante opera lascerà. Le piace credere di comporre un puzzle. Deve riordinare la sua mente sbiellata. Sistemerà i mattoni e uscirà dalla confusione e quelle immagini annebbiate prenderanno una forma, i suoi incubi si auto cancelleranno e forse riacquisterà serenità, o meglio, una coscienza che l’aiuti a scartare le scelte sbagliate. Fino ad allora prende tutto, vive tutto. Incassa la sofferenza, senza uno scudo. Il risultato? Molte volte, si ritrova a non capire chi è e com’era stata prima che la sua vita da adulta iniziasse. Lei non l’ha fatto parlare. Non le interessa se è davvero un buon cuoco. Si alza dalla sedia, lascia cadere il cappotto e la prima cosa che fa è avvicinarsi a lui, alzarsi sulla punta dei piedi e assaggiargli le labbra. Lui è solo quanto lei. Potrebbe rifiutarla, potrebbe usarla, potrebbe persino ritirarsi e cacciarla di casa, ma dentro di sé, Mag sa che lui non farà nulla di tutto quello.

    “Sono stanca.” gli indica con le mani.

    “Certo. Ti puoi riposare.” lui l’accompagna verso la camera da letto, ma lei non attende che lui ritorni in cucina. Riprende a baciarlo. Non riesce con le braccia a contenere la stazza dell’uomo, è troppo alto ma quel peso che ora si adagia di fianco a lei sul letto, le piace. Lui si tira indietro ma lei gli spinge il capo contro la sa bocca. Perché lo fa? Si domanda Max ma a un certo punto, il suo odore lo vince, non gli importa sapere. Le sfiora le labbra e questo gli basta per fagli perdere il controllo. La testa ha smesso di pensare e lui affonda nella bocca di quella fragile creatura, ma si blocca. Gli piace troppo. L’eccitazione rischia di distruggere la sua forza interiore, non deve cedere. Le mani dell’uomo cerca di allontanare Us ma lei gli mette le mani sul petto e si avvicina nuovamente in punta dei piedi per appoggiare il capo sul mento di Maximus. L’uomo perde la testa. E’ una donna continua lui a pensare e non riesce a fermarla. Perché non riesce a fermarla? Ma è troppo tardi. La lascia fare. Lei torna alle sue labbra e lui la prende per le braccia con la forza e la gira. L’urto contro il muro è forte ma lei non lo sente perché tutto il corpo dell’uomo la sta schiacciando contro la parente mentre la bacia e non con passione o con fuoco, la bacia non dandole il tempo di respirare, di ragionare di coordinare i movimenti. Lo lascia sfogare il suo fuoco. Ogni volta che la tocca, sente il corpo esile rispondergli. Ha voglia di farle male, ha paura di continuare ma non riesce a fermarsi dal baciarla.

    “Io non dovrei.” ma le fa nuovamente male e lei gli risponde.

    “Taci.” e lei gli guida le mani. Il dolore che le provoca, le piace. Lui apre gli occhi sorpreso e smette di respirare davanti a lei che cerca di capire quali sensazioni lui stia sentendo. Lui vorrebbe trattenersi ma non può. Agisce. Mag lo asseconda. L’essere che la travolge ha una forza sovrumana. Una mano finisce sulla bocca della ragazza, la sta soffocando. Un attimo lungo una eternità. Lui la libera e poi nuovamente prova a soffocarla. La alza di peso e se la porta in grembo. Per lui, lei è così leggera. Lei geme. Max sorride. La alza e il muro è necessario per sostenergli entrambi. Lei non si ferma e lo lascia fare. Lui chiude le chiude gli occhi con un bacio. Il suo peso dell’uomo diventa imponente. Le mani sbottonano, accarezzano, indagano, assorbono, parlano. Lui vorrebbe resistere di più, fare di più, darle di più ma sa che è impossibile. In quel momento tutto ciò che in lui comanda è una valanga emotiva, un tornado di emozioni, una marea che lo sommerge e contro cui non può lottare. La stringe a sé con forza perché lei lo senta. Un piccolo grido poi nulla. solo respiri.  I loro vestiti volano per aria e i corpi si cercano, si divorano, poi si calmano.

Sei ore dopo lei è in piedi, incollata con la faccia al vetro della cucina, dovrebbe tornare in albergo ma trova che l’altezza della neve sulle strade sia preoccupante. Prova a chiamare Alice ma lei non risponde. Si sente al sicuro ma lui. Lui è appena stato in bagno e lei lo attende in cucina, nuda.

E’ già vestito? si domanda fissandolo con i pantaloni e un maglione scuro, i capelli bagnati, ha fatto la doccia.  Le passa accanto, ignorandola e prepara il caffè. Prende due tazze, è di buon auspicio, le sta preparando il caffè. Lui la guarda e poi torna a letto con il caffè in mano.  L’isolamento la colpisce. Non ha nulla di cui parlare con lui. Fortunatamente il bip di un messaggio su Whatsapp, attira la sua attenzione

    “Come stai, mia Us?”

Lei non dovrebbe rispondergli, ha appena fatto sesso con il libraio e probabilmente dovrebbe vergognarsi, ma il suo corpo non è d’accordo con quella riflessione ipocrita. Ma gli risponde.

    “Se non fosse che tra uomo e donna non esista in definitiva alcun legame che surgeli i loro sentimenti, ti direi che la mia speranza è di sbagliarmi.”

    “Mi vuoi incontrare?”

Mag si affaccia leggermente sulla porta della cucina, ma non osa entrare in camera da letto. Probabilmente l’uomo non sa come liberarsi di lei e lei dovrebbe affrontare quella montagna di neve e tornare in albergo. Potrebbe chiamare un taxi, ma fuori non circola nulla, nessun folle potrebbe affrontare quel cataclisma.

    “Da te nevica?”

    “Eccome.”

    “Sì vorrei incontrati un giorno ma non adesso.”

    “Sei impegnata?”

    “Sono bloccata.” scrive lei, digitando velocemente. La frenesia sessuale si è dissolta. Non ha nulla in comune con quel uomo. si sono sfogati, tutto qui.

    “Sempre a Yverdon?”

Lei non risponde più. Lui continua a farle la stessa domanda. Un miagolio arriva dalla neve. Lei fissa il punto nero bloccato in strada. Senza pensarci torna in camera da letto, afferra i vestiti e si chiude in bagno

    “Io, non so cosa dire.”

Lei dal bagno non risponde, si veste e si lega i capelli. Si guarda allo specchio, non è cambiato nulla. ha fatto del sesso, forse l’ha usato più di quanto lui pensi di averla usata.  Si rimette gli stivali, il capotto rosso e senza salutare apre la porta di casa. Sulle scale si blocca. deve tornare indietro. Il suo taccuino. Dove l’ha lasciato? Lui sta guardando qualcosa al computer, sdraiato sul letto. La guarda. Lei prende il taccuino ed esce. Maximus sta pensando. Sta bruciando, ma la sua corsa non può arrestarsi davanti a una ragazza, anche se carina, lui deve continuare la sua impossibile ricerca di una perfezione, di una donna assoluta. Lei non si sente attratta dal suo mondo, dalla spiritualità, dai libri magici e solarti, dai chakra, ma le è piaciuto baciarlo. Sentire come le sfiorava la pelle sotto gli slip, come la spogliava. Ha sentito come l’assorbiva baciandola. Il male appena la stringeva dopo, la necessità di ricominciare e poi stringersi le mani, anche dopo il dormire. Cosa vorrà dire?

Fare del bene è come avere una garanzia di vita eterna.

L’uomo che parte, si porta anche la storia della sua esistenza e ogni viaggio rende più ricco non solo chi ci incontra ma anche la nostra memoria. 

La vita non è fatta solo di momenti speciali perché allora dovremmo dire che ogni respiro che c’è donato da Dio è speciale come lo è un vivere ogni giorno sperimentando le nostre conoscenze e apprendendone altre.

Io sono quasi alla fine del mio viaggio, lo sento e tu, tu sei giovane e non posso rapire i tuoi anni nemmeno volendo. Mag lo guarda. dondola la testa in segno di negazione poi gesticola “tu pensi troppo”.  Io faccio scorrere la vita. “E non combatti?” chiede lei. “Non combatti per un amore?”

    “Io non combatto.” Mag delusa smette di guardarlo. Lui non è.

    “Ti racconterò una storia. Ti va una tazza di tè?”

    “Nonostante lui sia strano, la sua casa, con finestre grandi, pochi mobili e senza tende, le piace. dalla finestra osserva la strada e il palazzo di fronte, il tetto del palazzo e il cielo. Gli alberi sono nascosti dal peso bianco che si è accumulato sui rami. Sembra un paesaggio da fiaba.

lui inizia a parlare senza guardarla .

 C’era una volta, in questo mondo moderno, un uomo … Gli occhi dell’uomo si chiusero per il sonno e la testa si appoggiò piano, piano, alla vecchia spalliera della sedia di legno rattoppata con funi, per tenerla ancora in piedi.

La stanza era modesta e non fosse stato per i tappeti, anch’essi consumati di colore, ce ne sarebbe stato ben poco. Sui fornelli una pentola con un piatto sbeccato sopra per coperchio e per non farvi entrare le mosche e al posto della porta, una lunga tenda a righe color marrone e rosso, con molti buchi dovuti al logorio. Le sue mani inconsapevolmente stringevano l’impasto d’argilla ancora morbido. Ogni tanto un colpetto di tosse lo svegliava, lui tornava a far girare la ruota velocemente e modellava i margini del suo vaso, come se cucisse i lembi delicati di una veste. Le mani doloranti avevano gobbe d’artrite ma lui le bagnava di tanto in tanto.

Non vedeva molto bene ma le dita si cercavano per ascoltare la consistenza dell’impasto o per seguire la forma di un corpo che aspettava solo lui per liberarsi dalla prigionia della materia.

    Lev plasmava l’argilla con lo stesso amore che avrebbe dedicato a qualunque essere. Il caldo faceva asciugare troppo in fretta la sua creatura e si chinava verso un secchio malridotto, dove ci stava appesa una tazza di ferro che riempiva per metà per inumidirsi le mani e la creta. Quella massa lo ascoltava come una figlia e lui le cantava con speranza e seguendo paziente infinita la sua crescita.

Il cuore dell’uomo spingeva la testa a dondolarsi in segno di soddisfazione ogni giro di ruota che portava il palmo ad accarezzare la pancia del vaso.

Lavorava per ore, lentamente, misurando con il cuore e non con l’occhio le dimensioni della sua opera. Sapeva che era la materia stessa a parlargli a fargli sentire le dimensioni con cui voleva crescere.

Era invecchiato precocemente e la vedovanza lo aveva privato di quello che lui considerava, una seconda vista. Si caricato di tutto il dolore possibile, pur di non mostrare ai suoi figli la devastazione che portava la solitudine.  Viveva in un mondo che non lo capiva sebbene lui comprendesse come andavano certe cose umane. Sapeva combattere usando la saggezza e mai mostrandosi duro a chi portava come Dio protettore un fucile.

Sì, erano tempi difficili da lasciare in eredità a un figlio. La storia degli uomini cambiava seguendo il principio falso del potere e non della giustizia.

Lev sapeva che il futuro non era ancora stato scritto e i giovani con lo spirito giusto, avrebbero potuto cambiarlo. Ogni sera le recitava una preghiera perché nessuna creatura che non fosse prima benedetta dal padre doveva vantare la sua bellezza a Dio. Non era certo che a Dio piacessero i suoi lavori ma i clienti non erano pochi e il pane sulla sua tavola non era mai mancato. Tra lui e Dio c’era sempre un accordo. Lev capiva quanto fosse limitata la vista dell’uomo e quanto grande quella del Creatore.  Per lui i mali della vita e la morte erano a stima del divino perché solo lui poteva valutare l’opera dell’uomo per considerarla degna.

La fine della vita non era da addebitarsi come cosa cattiva a chi aveva avuto il merito il creare non solo gli uomini ma anche l’amore.

La sua casa era di pietra rossa presa dal deserto e resisteva all’afa come al caldo torrido oramai da più di cinquant’anni cioè da quando suo padre l’aveva costruita e sicuramente lui l’avrebbe lasciata al suo figliolo. Avrebbe voluto che Hani * avesse di più dalla vita. Sarebbe non fosse stato che dopo la perdita della moglie, il peso della crescita del ragazzo stava diventando acuto ma non per la sopravvivenza del corpo quanto per quella morale; lui era il genere di uomo che sapeva bene quanto una madre poteva dare al bambino in emozioni e affetto e l’eredità di una casa non poteva sostituire una volta adulto, l’amore da chiunque fosse arrivato.

Lev sentiva che il suo tempo era arrivato e per non inimicarsi la fortuna aveva cercato di pensare a un piano di salvezza per il suo bambino.

Non una salvezza dal mondo violento e cinico, non dalla fatica della sopravvivenza ma dal vivere soli in un posto che aveva smesso da parecchio di dare emozioni.

La modernità aveva rovinato le tradizioni nel loro villaggio e le persone non differivano molto dalle macchine che compravano o dalle cose che avevano sostituito gli affetti o semplicemente il rispetto. Da tempo Lev stava ragionando sul fatto di mandare Hani dalla figlia Nur che si era da poco sposata e viveva con il marito a Gerusalemme.

Strana famiglia la loro, ebrei e musulmani insieme, chi l’avrebbe mai detto ma l’amore si sa, inventa pozioni magiche, abili a fare avvicinare leoni e agnelli allo stesso pozzo d’acqua perché in fondo il credo è puro e chiunque lo porti dentro non deve temere di condividerlo.

Sorrideva tra sé il vecchio Lev lasciando che la pezza umida di cotone coprisse il vaso quasi pronto. L’uomo cercò di alzare la propria vecchiaia sulle gambe sottili e si allontanò dal tavolo del lavoro ma prima pulì la pedana dai resti d’argilla che cadeva copiosa, mentre plasmava i suoi vasi.

    “Ogni bene necessità la sua cura.”, diceva lui sfregando bene il terriccio asciutto e bagnando più volte una spugnetta nel secchio d’acqua sporca.

    “Ogni bene che riceve altro bene benedice le mani di chi lo tocca.”

L’anziano percepiva la gioia in quelle briciole di fango che modellava da quasi quarant’anni.

Hani scriveva sul suo quaderno con un tozzo di matita cui non riusciva più a fare la punta. Di tanto in tanto girava la testa per guardare il padre intento a pulirsi “la macchina” perché così chiamava lui il tornio dove lavorava. Non si parlavano molto e la televisione era un lusso che guardavano a orari fissi, ma era vero che Hani interessava di più passare fuori la giornata cercando con altri ragazzi del vicinato a rincorrere una palla bucata sulla strada piena di polvere e di sabbia. 

Ricordava ancora bene sua madre e non si sentiva perduto perché Lev gli aveva insegnato che Dio l’aveva chiamata per stare in Paradiso, un posto dove poi si sarebbero riuniti tutti quanti.  Ma una lacrima ogni tanto gli scivolava sul viso e avrebbe voluto fossero delle mani calde e un petto, dove annidarsi quando arrivava il buio e con il buio il vento. Il vento parlava di cose che lui non capiva e quei rumori che sembravano voci lo facevano tremare come se persone nell’invisibile volessero comunicargli qualcosa d'incomprensibile.

Hani aveva capito che suo padre era un uomo diverso da quello che era abituato a frequentare ogni giorno; lui non si copriva mai il capo, la sua barba bianca era corta e curata e i suoi capelli non crescevano mai nemmeno di mezzo dito. Aveva un modo strano di cogliere i pensieri dalla Sure e dichiarava silenziosamente al figlio che la sua preferita era la prima, la lode,  Al-Fâtiha*, gli altri versetti nonostante li recitassero insieme alla Mecca diventavano un dialogo aperto sulla violenza che alcun Dio trasmetterebbe ai suoi figli.

Lev invece, conosceva quasi tutti i versetti del Talmud a memoria, suo padre era stato bravo a ripetergli la Torah, tutti i santi giorni della sua vita e quando morì gli aveva lasciato in eredità casa di mattoni di argilla rossa, un tornio e  il suo sapere.

Da allora e per tutti quegli anni Dio gli aveva parlato in lingue e con credi diversi ma tutti erano indirizzati all’amore per la famiglia e per il suo lavoro.

L’uomo non disprezzava come molti del suo villaggio, i diversi, quelli di altre fedi perché come lui erano padri di famiglia e sposi e come lui plasmavano qualcosa che amavano come una creatura vivente.

Lui era certo che Dio non volesse, i suoi figli condannati alla schiavitù delle guerre, ma capiva che le guerre, i falsi principi e l’autorità usata con spregiudicatezza, erano una prepotenza degli uomini e non voluta dal divino.

Il male non avrebbe mai toccato il cuore di Dio e lui non lo avrebbe scritto per plagiare le sue creature al male. L’uomo soltanto, secondo Lev, sceglieva di comandare come Dio usandone i dettami come arma.

Malacchia Rabi padre di Malacchia Salomon Lev si era stabilito in Giordania per amore di una bellissima donna musulmana, lasciò Gerusalemme e la sua professione per compiacere i genitori della sua sposa e decise di abbracciare la fede dell’islam onorando, i suoi impegni con Dio fino alla fine.

Lui si autodefiniva un patriota di tutte le fedi di questo mondo perché alcuno dei campi religiosi cui doveva essere devoto avrebbe mai accettato l’avversario per un connubio di idee e per il bene della pace.

La sua fede era tanto grande da capire che Dio, in qualunque, sua forma o lingua, non predicava il male ma erano i suoi figli a storpiarne le parole, per copiare il diritto di bene e di male che lui soltanto può avere.

La casa d’argilla rossa se la costruì con le sue mani perché era un architetto e Madaba* come culla della civiltà antica, gli sembrava un luogo perfetto per concepire i suoi figli.

Divenne il maestro dell’argilla, questo lavoro umile lo aiutò a sfamare la famiglia perché le facce e gli uomini del paese erano ancora scettici sul conto di un ebreo convertito e nessuno gli avrebbe dato il lavoro per cui aveva studiato.

    Quando Malacchia morì, Lev aveva imparato da suo padre che la differenza tra il bene e il male, era nell’intenzione della gente e la gente, reagiva alla tua predisposizione come il ramo al tocco gentile o forte del vento.  Le scelte fatte col loro cuore non potevano portare la serenità che avrebbero voluto ottenere da una condizione di vita pacifica e si dovettero accontentare di ricevere solo la benedizione della salute dalla sorte. Lev capiva che doveva ragionare su una migliore scelta per la strada di Hani e quella scelta includeva anche un cambiamento totale della sua vita. Ogni giorno da un mese oramai, Lev curava, come si assistono i bambini neonati, un cocomero che gli era cresciuto da poco in un angolo dell’orto, sopra una fila di cipolle e d’erba scampata alle frequenti tempeste di sabbia.  Sopravvivere al deserto chiedeva a tutti, uomini, animali, natura, un atto di volontà e coraggio, ebbene era proprio quel coraggio con cui la natura manifestava la sua presenza che Lev ammirava.

Aveva benedetto quel frutto appena si accorse del fiore e quando prese una forma più sicura di quello che sarebbe divenuto, Lev lo battezzò: “Nawal” il dono. La bellezza di quell’opera di Dio era tanta che non poteva che essere di genere femminile, un vero segno del cielo e raro come assistere a un miracolo.

Come dicevo, ogni giorno di mattino presto, prima che crescesse il sole sull’orizzonte e qualche ora dopo il tramonto quando l’aria era più fresca, s’incamminava verso il muro del giardino, per vedere lo stato di salute della piccola creatura.

Sopra il muro in rovina, aveva inchiodato un paio di legni, giusto per attaccare una tenda di lino da un vecchio abito e questo per riparare il frutto dal freddo notturno e dal clima torrido durante la giornata.

Hani lo seguiva come se ne fosse affascinato e curioso di verificare la crescita dell’unico frutto che fosse mai cresciuto nel loro piccolo orticello.

“Vedi Hani, questa cocomera è un buon segno e appena prenderà peso, partiremmo per Gerusalemme, da tua sorella.”

Il ragazzo era contento, in fondo non aveva mai visto che la sua città e di quella sorella che ricordava buona come un pezzo di pane, ne sentiva più che mai la mancanza. Il frutto aveva messo gioia al padre come al figlio ed entrambi sentivano di buon augurio quel dono che Dio aveva portato nella loro casa.

Il padre gli accarezzava il capo mentre lo istruiva sul lavoro che doveva fare.

    “Tu la bagni stasera perché io andrò via per mezza giornata a sistemare le carte per il confine.” e dopo aver coccolato la creatura, diede un bacio sulla fronte al figlio e si mise il telo in testa, continuando a girarlo finché non ebbe sistemato l’ultimo capo di stoffa in modo di chiudere il copricapo.

“Papà?”, domando il ragazzo, “E’ la prima volta che ti fasci il capo che succede?”

“Dove vado, io, ci sono regole degli uomini che la mente non può ignorare, ma Dio sa che lo sto facendo per una buona causa.

Per favore dai a Cane gli avanzi della tua cena e mettiti a letto presto, tra pochi giorni dovremmo affrontare un lungo viaggio e sarà meglio che tu sia più che riposato. Alla piccola Nawal ci penserò io.”

Il figlio annuì e guardò il padre portarsi via sotto braccio un sacco di carte, sperando che il tempo passasse in fretta per andare via verso un paese che sperava fosse bello come quello che si era costruito nel suo immaginario bambino. Certe volte Hani sognava di correre sui prati verdi fotografati su alcuni giornali e di correre verso le onde del mare con rive ricche di quegli strani alberi con foglie lunghe e fitte.

Era notte fonda quando Lev tornò dal giro delle carte, come lo chiamava lui il visto consolare e tutti gli affari di polizia.Stanco, invece che sdraiarsi sul letto si versò una tazza di tè e si sedette intorno al tornio. Quel gesto gli levava tutte le fatiche del mondo perché quello che faceva come lavoro era una sorta d’incontro con l’anima di terra di Dio e modellare l’anima santa gli metteva una pace addosso che nemmeno mille carri col fuoco in canna avrebbero potuto rovinare.

Prima di fare girare il piatto levò lo straccio di cotone ancora umido, bagnò per bene vaso e mani poi piano, piano come se stesse componendo una canzone, prese a modellare i bordi e la pancia della sua creatura.

Quando gli occhi cercavano di chiudersi, alzava le mani dall’argilla per sorseggiare dal bicchiere il suo tè. Era stanco ma contento del suo progetto.

Certe volte lui sentiva la mancanza della sposa con cui si confidava e di cui ascoltava i consigli.

Gli mancava come una mano e sentiva il peso della vita come un bagaglio che trascinava da solo. Sorrideva l’uomo e si compiaceva di quello che stava per nascere, un vaso per l’acqua che lui avrebbe dipinto di blu come il colore del mare, come gli occhi di sua figlia di cui cominciava a sentire la mancanza.

La mattina dopo lo aspettavano il medesimo angolo di giardino e il medesimo rituale. La cocomera ricevette la sua benedizione, e dopo averla pulita dalla sabbia e accarezzata, Lev versò mezzo secchio di acqua alla radice.

    “Che Dio, piccola mia, ti dia il sole e la dolcezza che ti servono per crescere. Tu sarai una creatura benedetta perché solo un bene può strappare la forza al deserto e sarai portatrice di gioia.”

Prese due pali di legno, li fissò nella terra e ci mise sopra una rete rotta che aveva trovato nella baracca degli attrezzi.

    “Adesso sei al sicuro.”, poi accarezzò di nuovo il frutto e contento di sé, ritornò al lavoro.

Hani aveva perso l’appetito da quando il padre gli disse che sarebbero partiti. Il suo pasto preferito, carne sullo spiedo e patate cotte non lo tentavano minimamente.

Lev era vegetariano e mai avrebbe consumato il piatto destinato al figlio ma vedere lo spreco, la sua serenità si agitò immensamente.

“Non hai fame? Che ti prende, c’è qualche problema? Sai che con me puoi parlare di tutto vero?”

    “Non ho nulla sono solo felice.”

    “E tu la felicità la esprimi digiunando? Che strana cosa, sai, se Cane ricevesse questa porzione di agnello ti assicuro che si leccherebbe i baffi, le gambe della tavola e persino la pedana di argilla.”

Hindi rise di gusto.

Cane arrivò annusando nell’aria il profumo di arrosto.

    “Guardalo e non ha nemmeno bisogno d’invito.”, e Lev rise col figlio di Cane che girava senza pace nella stanzetta della cucina cercando di scoprire quale avanzo sarebbe stato per lui.

    “Hani devi mangiare perché sei ancora tenero come il germoglio del nostro giardino, il cibo da forza e ti rende invulnerabile a certe malattie che nemmeno la fede riesce per quanto salda a riparare.”

    “Parli della mamma?”, disse il ragazzo che aveva iniziato a mangiare.

    “Si, parlo della mamma.”

La loro cena finiva con un racconto dalle memorie del nonno Malacchia e la Torah che Lev stava tramandando a suo figlio, sembrava una bella favola con i suoi lati avventurosi.

    “Mi dici se qualche volta, la gente incontrava con Dio?”

    “Io dico che Dio non è mai andato via da qui solo che noi non lo vediamo. Lui ci osserva e ci giudica cercando di capire se certe nostre abilità le meritiamo o no, oppure se possiamo aspirare a molto di più.”

    “Come dei superpoteri?”

    “Come dei superpoteri.  Perché chi guida gli aerei o chi opera, chi inventa i macchinari non credi che abbiano dei superpoteri?”

    “Si e vorrei anch’io scoprire quali sono i miei.”

    “Per questo noi partiamo perché credo che tu debba stare per un po’ a Gerusalemme, con tua sorella. Potrai valutare i tuoi superpoteri con lo studio e con la fede.”

    “Ma io non voglio lasciarti. Perché mi vuoi portare così lontano?”

    “Hani non è un lasciarsi ma un iniziare una strada migliore. Io sono rimasto qui perché tua madre non sarebbe mai andata via dalla sua terra, sebbene io abbia dovuto abbandonare le mie aspirazioni, i miei amici e la vita con i parenti che mi erano rimasti a Gerusalemme dopo la morte del nonno ma tu, tu devi ancora formarti la mente così la mente t’indicherà i tuoi superpoteri e allora dirai grazie a questo padre che oggi vuole portarti via dal deserto dove ogni tanto crescono anche le cocomere. Tu sarò sempre al tuo fianco.”

Hani si strinse al petto del padre e questo gli accarezzò la testa come faceva con lui suo padre tempo prima.

Cane riuscì a mangiarsi una bella fetta di carne e contento delle ossa rimaste nella ciotola si rannicchiò come il solito sotto il tavolino del tornio, aspettando che Lev iniziasse a lavorare per addormentarsi.

    “Mi dica Signor Salomon in quanti siete a partite e come? In auto? In aereo?”

    “Siamo in quattro, io, il mio ragazzo, l’asino e il cane.”

    “Cosa vi porta a fare un viaggio così lungo e così lontano da casa e dalle vostre certezze?”, sorrise ambiguamente il poliziotto.

    “Ah, credo che sia un viaggio voluto da Allah per darci la possibilità di conoscerci meglio.”

    “Ho capito, ho capito. Ma voi da chi pensate di andare, avete prenotato un albergo? Avete degli amici a Gerusalemme che vi ospiterà tutti?”

    “Signor ispettore sono povero ma non sprovveduto, vado solo a trovare mia figlia che è tanto tempo che non vedo.”

    “A Gerusalemme?”

    “Già.” rispose Lev con un grandissimo sorriso sul volto.

    “Va bene i documenti sono pronti ma credo che avrei problemi con tuo figlio, al confine non fanno passare i ragazzini che non hanno sul loro passaporto la firma di entrambi i genitori.”

    “Ma io sono vedovo e non separato perché dovrebbero negare a mio figlio l’ingresso, se l’albero non ha un ramo, non vuol dire che sia morto.”

    “Ha ragione ma le leggi non le facciamo noi, noi le rispettiamo soltanto.”

    “Si figliolo ma le leggi devono ascoltare il bisogno delle persone se no che senso ha farle? Comunque vada noi crediamo che Allah abbia la virtù di ingentilire  parecchie cose che all’inizio posso sembrarci ostriche.”

    “Va bene ma l’asino e il cane li dovrete lasciare prima del confine perché non possiamo darvi alcun documento di accompagnamento per gli animali.”

    “Ma io non so a chi potrei lasciarli e se li abbandonassi, commetterei il peggiore peccato della mia vita.”

    “Non saprei. Loro non passano. Le carte lei le potrà ritirare settimana prossima, buongiorno.”

Rimasero a casa ancora una settimana. Lev finì di far asciugare e di decorare il suo vaso, il cocomero era cresciuto in maniera spropositata, tanto che Hani faticava a circondarlo con le braccia.

Il giorno in cui padre figlio, recisero il frutto dalla pianta, la borsa per il viaggio era pronta e piena di viveri e vestiti. Il cocomero che pesava quanto un bambino, fu messo sopra un carretto che l’asino avrebbe trainato fino al prossimo villaggio, dove un cliente di Lev avrebbe tenuto gli animali fino al ritorno di questi. Lo loro partenza passò inosservata e per i primi chilometri. Sulla strada, l’unico a dettare legge sul loro cammino, era solo il sole.

Hindi camminava col capo fasciato lasciando che il padre spesso gli bagnasse il telo con l’acqua dalla damigiana di plastica che si erano portati via.

Un lungo pezzo di strada, lo fecero assieme a un agricoltore che portava i suoi datteri al mercato e le loro fatiche nonostante il viaggio fosse appena iniziato, sembravano finite perché la condivisione e il dialogo li avevano rallegrati.

Dormirono sotto le stelle dimenticando le fiacche sotto i piedi e gustando il cibo anche con i due animali visibilmente provati dal caldo e dal cammino. Arrivarono al confine.

    “I documenti per favore?”

L’uomo lasciò il cocomero vicino ai piedi di Hani e prese dalle tasche dei pantaloni i passaporti.

    “Salomon Lev? Salomon Hani? E ?”

    “E chi scusi?”, domandò Lev girandosi e non trovando altri dietro le loro spalle.

La coda d'auto mostrava i visi stanchi della gente che avrebbe dovuto aspettare i comodi della polizia per passare il confine arabo.

    “Quello!”, disse lui interrogando il cocomero.

    “Ma questo è un cocomero.”

    “Questo è grande come un bambino e se lei vuole farlo passare mi deve favorire i suoi documenti.”

L’uomo guardò severamente il figlio che cercava di trattenere le risate.

    “Posso sapere perché non si può passare con un frutto, il confine? E un dono per mia figlia che non vedo da qualche tempo.”

    “Potrebbe essere  una spia.”

    “Il  cocomero?”

    “Potreste trasportare esplosivo o qualche arma biologica di cui nessuno è ancora a conoscenza.”

    “Ma io sono solo un artigiano, guardate!”, e svelò il vaso blu.

    “I documenti! Oppure se lo può mangiare qui prima di passare.”

    “Tutto questo cocomero peserà una trentina di chili figliolo, forse dopo una settimana di marcia nel deserto si può ragionare di farlo, altrimenti sarebbe come ammazzare un innocente.”

“Quello non ha i documenti e non può passare.” disse la guardia minacciando e alzando la voce e sperando di intimorire padre e figlio.

    “Ma io ti conosco? Hai un volto conosciuto come ti chiami?”

    “Ahmet Abel. Perché ti interessa?”

    “Tu sei il figlio di Ahmet Jafar e hai un fratello, l’ispettore di polizia di nome Jusuf, ehee, i tuoi genitori sono stati miei clienti e ho partecipato a tutti i loro battesimi incluso il tuo.”

    “E’ vero?! Si accomodi e mi dica perché vuole passare il confine?”

    “Io le rispondo ma solo per curiosità perché il mio cocomero è quasi diventato un ostaggio? Sai devo portare mio figlio Hindi a trovare la sorella che non vede da quand’era piccolino, con questa occasione spingo queste vecchie ossa a operare per il bene di Allah perché ho coscienza che i suoi figli siano degni di servirlo.”

“Hai ragione. Sai anche mio padre avrebbe parlato allo stesso modo. Per quanto riguarda il tuo amico, il cocomero, quello che facciamo qui non è niente, sappi che dall’altra parte è anche peggio; molti di loro buttano i vostri bagagli in mezzo alla strada e chiedono giustificazioni per ogni cosa che portate con voi. Ora vi consiglio di mangiarvelo, giusto per non avervi visti fare questa fatica per niente.”

    “Allora possiamo passare e il cocomero?”

Lev sorrise bonario quando il soldato annuì.

    “Passate col cocomero e buon viaggio. Che Allah non alzi il vento di sabbia davanti ai vostri occhi e vi spinga con buon vento fino a destinazione.”

    “Sei un ragazzo saggio e tuo padre deve essere fiero di te.”

L’uomo con duo figlio passarono il confine trascinandosi il pesante carretto col cocomero nascosto dai vestiti; percorsero la strada per lunghe ore prima di vedere l’atro posto di blocco stavolta israeliano e la gente coi fucili in mano avevano un aria come se fossero in guerra con chiunque cercasse di passare come se la gente in transito fosse il nemico.

Lev era stanco e si sedette sul bordo di cemento della strada, prima di proseguire lui e Hani, condivisero un pezzo di carne secca e alcuni datteri; documenti alla mano l’uomo avanzò  verso la guardia armata.

    “Dove state andando?”

    “Da mia figlia a Gerusalemme.”

    “Sua figlia vive qui?”

    “Si ha sposato un bravo ragazzo, un medico ed io le faccio visita perché il fratello è troppo tempo che non la vede.”

    “Va bene. Aprite il vostro bagaglio sul tavolo fuori e mostratemi quelle cose che vi portate appresso?”

Lev slegò i poveri beni dal carretto e li sfilò sul tavolo di pietra con cura, per ultimo il gigantesco cocomero che attirò l’attenzione di altri soldati della guardiola.

    “Che ci fatte con questo? Avete un permesso per lui?”

Disse il soldato indicando il cocomero.

    “Questo chi?”, finse di non intendere, Hani. Il padre sorridente lo guardò girando il capo anche lui in cerca di un possibile sconosciuto dietro le loro spalle.

Anche il secondo soldato interdetto, ma per un attimo, copiò i loro gesti poi resosi conto della stupidaggine del primo collega ma ritornò serio a indicare a sua volta, il frutto.

    “Ci riferiamo a questo!” il dito suo sfiorava la corteccia salda dalla quale proveniva un profumo zuccherino e invitante.

    “Mi scusi e quale permesso? E’ la nostra fonte d’acqua, sa abbiamo attraversato il deserto.”

    “Dico che potrebbe essere un clandestino o una bomba.”

Mi sembra di aver già sentito questa cosa, mormorò tra se Lev evitando di fare ironia ad alta voce. Si grattò la barba cercando di pensare.

     “Mi perdoni, ma è solo una cosa paffutella e mai potrebbe offendere il genere umano, anzi è nata per nutrire.”

I soldati si parlarono e fu deciso che il cocomero sarebbe stato interrogato.

    “Mi scusi ma come potrebbe un cocomero rispondere al vostro interrogatorio?”

Lev era molto perplesso. Ma il suo spirito divertito capiva che c’erano cose nella natura dell’uomo ancora da comprendere. Osservava quei soldati presi a difendere il mondo da un frutto. Capì che molti avrebbero usato la bellezza di una cosa creata da Dio per fare del male.

    “Poiché il suo frutto non parla, sarà lei a interpretare le sue risposte. Se considereremo che siano in buona fede, vi lasceremo passare ma se le risposte saranno deludenti, ci dispiace ma sarà trattenuto qui con noi per successive indagini.”

La faccia del giovane soldato era seria. Nemmeno un accenno alla situazione grottesca che si era arrivata a creare.

Gli occhi di Lev guardarono solo per un attimo il cielo e Hani capì che il padre aveva trovato la soluzione. La soluzione divina, come la chiamava lui.

I soldati chiamarono i loro capi che accompagnarono padre e figlio in una guardiola senza mobili, ma con un tavolo e sei sedie.  Il vecchio uomo si sedette e Hani rimase in disparte, vicino alla finestra, dove si potevano vedere bene le auto che aspettavano di entrare nel paese. Uno dei capi aveva i capelli bianchi ma non era anziano. La sua statura minuta non lo faceva sembrare meno autoritario e Lev riuscì a leggere nel cuore di quell’uomo meglio di un indovino.

    “Adesso Lev Malacchia Salomon, faremo entrare l’anguria e lei la seguirà nell’altro ufficio fra pochi minuti, quando noi avremo preparato le domande da sottoporle.”

Malacchia piego la testa in segno di assenso. Poi con lentezza alzò la mano destra perché la sinistra la teneva sul cuore, come per avanzare una supplica.

    “Signor Comandante, per favore può assistere anche il mio figliolo all’interrogatorio?”

Il soldato si girò verso il bambino che si finse poco infastidito dallo sguardo serio dell’uomo.

    “Perché?” domandò un uomo leggermente più anziano ma anche lui graduato.

    “Credo che ci siano degli insegnamenti che il ragazzo potrà apprendere dalle difficoltà della vita. Voi avete autorità ma con i bambini serve la pazienza perché loro non hanno comprensione del male ma solo della mancanza.”

Lev rimase per ore in una stanza vuota, lontano dal figlio e in pena per le sue bestie.

Il primo soldato arrivò con una tazza d’acqua che il vecchio benedì prima di berla.

    “Non è per mancanza di rispetto figliolo, ma il tuo gesto merita un ringraziamento superiore.”

Il giovane lo guardò come se lo credesse pazzo e l’uomo se ne accorse; invece di dire altro gli restituì la tazza e si sedette sulla panca consumata appoggiando le mani sul tavolo che sembrava molto più vecchio di lui. Stava lì e pensava.

Il soldato gli diede un’ultima occhiata poi se ne andò lasciando la porta aperta. Una lacrima gli scese sul viso. Così. E nel suo scendere l’occhio si chiuse su un mondo, dove lui, non si sentiva più solo. Solo a combattere. Solo a cercare di capire. Solo a difendere una fede e dei principi che non contavano più nel mondo degli uomini. Aveva un certo timore a domandare del mulo e del cane ma quello che gli premeva di più era suo figlio, non voleva che sofiste per cose che nemmeno gli uomini riuscivano a spiegarsi. Una seconda lacrima scese dall’altro occhio e finì sulle sue mani intrecciate come se stessero in preghiera.

    “Perché piangi papà?”

Il ragazzino era apparso dal nulla e senza fare rumore. Lev lo abbracciò con lo sguardo.

    “Mi mancavi.”

    “Io non ti ho mai visto piangere. Ti fa male qualcosa?”

    “No. Sono solo felice. Abbiamo condiviso molte cose e questa forse è tra le più importanti per te.” e lo prese per la piccola mano per metterselo sulle ginocchia.

    “Papà … Mi hanno detto che il mulo e il cane devono essere vaccinati altrimenti non li fanno passare.”

   “Si sono comportati bene con te?”

    “Certo. Ho mangiato anche un pezzo di cioccolato. era molto buono. Lo prendiamo ancora il cioccolato papà?”

    “E’ vero. Noi due insieme non abbiamo mai mangiato il cioccolato.”

Il ragazzo guardò negli occhi di suo padre.

    “Ma non m’importa di mangiarlo papà. Mi basta stare con te. “

    “Sì. Lo so. Ma ci sono cose che sarebbe giusto che tu vedessi e provassi. Come il cioccolato.”

E sorrise al piccolo, mentre gli dava un buffetto sul mento macchiato da una scia marrone.

I due comandati arrivarono, senza scusarsi dell’attesa, che avevano procurato ai due. Misero due bottiglie d’acqua dinanzi all’uomo e al suo figliolo poi si sedettero dal lato opposto del tavolo.

Hani si dondolava sulle ginocchia del padre quasi divertito per la situazione e i due comandati fecero arrivare il cocomero. Nel momento in cui gli occhi di Lev videro la cocomera, l’uomo si mise la sinistra mano sul petto mentre con la destra portava Hani a sedersi per terra.

La panca di legno si rovesciò e l’uomo cade invece di lamentarsi si mise a ridere così rumorosamente e così bene che tutti i soldati di frontiera vennero nella stanzetta e senza volere iniziarono a loro volta a ridere ma per altri motivi, ridevano per i capelli bianchi del vecchio che sembravano spazzolare l’aria in tutte le direzioni come una scopa.

Ma la festa non durò abbastanza. Il comandante più anziano, un uomo rude e dall’aspetto irrequieto sibilò ai suoi soldati qualcosa d’intraducibile, un comando breve che spaccò l’aria e il suo aspetto rilassato. La stanza divenne un forno, dove il silenzio friggeva più del caldo.

    “Questo cocomero non può passare la frontiera. Prendetevi le vostre cose e andate via. Potete passare.”

Il vecchio si alzò non con poca fatica e dopo essersi sistemato il lungo abito e i capelli chiuse gli occhi espandendo alla luce della finestra un largo sorriso. Ma il comandante prese da dietro la cinta un lungo coltello militare e lo spinse senza pietà nella buccia del frutto che cedette e si spaccò.

Lev pianse e pianse pure il figlio che dopo aver visto sventrare il cocomero si nascose dietro le spalle del vecchio padre per non guardare la crepa.

    "Adesso che non c'è più il problema potete partire!" il comandante si ripulì sui pantaloni il grosso coltello e con aria indifferente fece per allontanarsi ma Lev lo fermò.

    "Mi scusi comandante?"

Il volto dell'uomo tardò a girarsi ma capito il conflitto fece un paio di passi indietro e si piazzò a pochi centimetri dal volto del vecchio uomo.

    "Cosa vuoi? Non ti basta il fatto che faccio passare la frontiera a te e a tuo figlio?"

    "Vorrei un piacere da vossignoria."

    "Un piacere? Che genere di piacere?"

Le lacrime smisero di rigare la faccia di Lev ma dentro il suo cuore soffriva ancora.

    "Vorrei giustizia."

    "Giustizia. E per cosa?"

    "Per la mia cocomera."

    "Aveva un passaporto?"

    "No."

    "Allora non poteva passare la frontiera."

    "Comandante mio figlio amava tanto ed io anche, quel povero frutto."

    "I cocomeri non si uccidono, vecchio pazzo, è solo un frutto che penso sia meglio non contagi il nostro paese e fissò la crepa nella grossa pancia del frutto quasi immaginando quanto fosse gustoso a quell'ora del giorno e dopo tutta l'afa."

Lev si accorse della debolezza dell'uomo e spinto il figlio in un angolo, alzò la mano destra in segno d'invito.

    "La prego, lo mangi. E' dissetante e credo che potrà essere un segno di pace."

Il comandante soffriva dentro, per problemi suoi, ma chi non ne ha nella sua vita e Lev, prese lo spunto dell'offerta per parlargli.

    "Mi scuso, davvero mi scuso per essermi affezionato all'anima di un frutto ma credo che condiviso con lei, questo frutto sarà ancora più importante. Vede, nella vita tutti siamo costretti in parte ad accettare delle difficoltà senza poter controbattere la cattiva sorte che ce le ha portate.

    "Sei un uomo saggio ma io non accetto doni. I doni diventano un debito e un debito è un segno di debolezza. Tu abbandonerai qui questo peso inutile e potrai riprendere il cammino col tuo figliolo."

La voce del comandante era dura e vuota come se dal suo cuore non provenisse alcun buon precetto ma solo una rabbiosa scommessa con se stesso.

Lev si lasciò scappare ancora qualche lacrima sul volto imberbe poi s'inginocchiò per supplicare l'uomo.

    "Che fai pazzo, cerchi di commuovermi?" i soldati che assistevano alla scena ridevano come se una malattia disgustosa avesse vinto il cervello di quell'uomo.

A mani congiunte e labbra serrate Lev aveva iniziato a pregare, era più un mormorio dolce come una cantilena che si sussurra ai bambini per farli dormire.

il comandante gli sputò sul volto.

    "Mi fate schifo, voi predicatori che non pesate i sacrifici di un soldato ma pregate per la morte di un frutto. Mi fa schifo la gente come te che si trascina dietro i figli, pensando di lasciare loro in eredità il mondo ma il mondo, vecchio pazzo, il mondo non ha bisogno delle tue preghiere ma di queste armi, e gli spinse la canna del fucile in bocca, senti quanta verità grida quest'arma."

Stava per uscire, quel soldato con il suo carattere severo e il suo sguardo scuro da uomo infelice quando Lev si alzò e gli mise una mano sulla spalla.

    "Ho una cosa da dirle e poi se vorrà potrà uccidermi anche qui davanti a mio figlio."

 Il piccolo Hani tremava nell'angolino della stanza ancora rannicchiato contro la parete. Piangeva sommessamente ma non osava staccare gli occhi dal padre che temeva già di perdere.

    "Io non sono un guaritore e non sono un soldato ma sono un padre. Anche i soldati hanno un padre e ogni padre prega per la sorte del proprio figliolo perché sta nell'amore la vera forza di una famiglia. Io non conosco molte verità ma ho fatto un lungo cammino con questo spirito, cammino che tutti gli uomini devono fare prima o poi."

Il comandante nonostante la furia non reagì e si girò lentamente per osservare dalle fessure degli occhi il volto dell'uomo che aveva di fronte.

    "Perché sei così attaccato a un frutto?"

    "Perché un padre è attaccato al suo figliolo?"

    "Il frutto non ha un'anima."

    "E' vero comandante ma il frutto nasce dall'amore dell'anima ed io ho riversato su di lui lo stesso amore che riverserei su qualunque essere umano."

    "Non si possono amare le cose, le cose sono cose."

     "Certe cose ci ricordano che abbiamo bisogno di loro per sopravvivere. ed io sono sopravvissuto a tanto dolore riversando amore su un piccolo frutto. La prego mi conceda di offrirlo ai suoi soldati, sono certo che sarà apprezzato. "

Il comandante prese il coltello e sminuzzò la polpa finché non rimase che della povera poltiglia presa a scivolare col suo succo dolce dal tavolo.

    "Ecco la caduta!"

    "Cosa stai dicendo infermo?" urlò il comandante a Lev.

    "Il terzo gradino della felicità è la caduta."

    "La caduta? Che demenza è mai questa?" intanto i soldati raccoglievano puntante contro il vecchio. C'era chi si giocava le sigarette, chi la paga, ma tutti davano già per morto il povero vecchio. Molti erano i terroristi che cercavano di espugnare i confini e sicuramente il comandante avrebbe indicato i poveri viaggiatori come attentatori. Nessuno si sarebbe mai accorto che erano solo dei poveri contadini. Ma il vecchio prese della poltiglia rossa e la fissò con candore.

    "Il quarto gradino della felicità è il desiderio."

    "Non ho tempo per le tue frenesie, vattene da qui!" e gli indicò la porta.

    "Voglio un piccolo seme."

    " Non toccherai più nemmeno un frammento di quel frutto, hai capito?"

    "Io sono un padre e pensi se suo padre avanzasse a un uomo forte come lei una piccola supplica."

Il comandante fissò il ragazzino e avrebbe voluto umiliare quel genitore senza spina dorsale perché nessun figliolo dovrebbe vedere supplicare un uomo sopratutto il proprio padre.

    "Ehi tu ragazzino vieni qua!"

Il comandante puntò l'indice e Hani chiese al padre con gli occhi cosa avrebbe dovuto fare ma Lev gli sorrise serenamente per poi chiudere gli occhi e così il ragazzino si alzò e avanzò a passi lenti verso il soldato che gli afferrò le spalle con entrambe le mani.

    "Tu sai chi sono io?"

Hani fissava il comandante con gli occhi rossi e gonfi di pianto.

    "Chi sono? Rispondi!" la voce perentoria frustò l'orecchio del bambino.

    "Lei è , lei è il comandante."

la risposta arrivò sottile e tremolante ma il soldato alzò di peso il ragazzino per girarlo verso il padre.

    "Guarda questo pappa  molle, guarda come piange per un frutto, tu vorresti continuare a crescere con uno così? Tu lasceresti che si prendesse un seme per poi alimentare altra pazzia nella sua mente e nel suo cuore?"

    "Il quinto gradino della felicità è la forza."

Il comandante lasciò la presa e il bambino cadde a terra, urtando dolorosamente contro il pavimento ma il padre lo raccolse con la premura di chi non vuole perdere un altro figlio e senza indugio si offrì al comandante in sacrificio.

    "Nella vostra famiglia siete tutti pazzi. Per tuo figlio non c'è speranza anche lui diventerà come te, o morirà nella nostra prigione se volessi indicarlo quale terrorista."

    "Se Dio ha pensato di benedirmi con queste creature, disse lui indicando il figlio e il frutto maciullato, io posso solo ringraziarlo con infiniti atti di fede."

    "Benedirti con un figlio pazzo? Gradini della felicità, mah, io direi piuttosto gradini della follia. Cos'è questo gradino?"

“Il primo gradino della felicità è il sacrificio. Il secondo gradino è il dolore. Il terzo gradino è la consapevolezza. Il quarto gradino è l’illuminazione. Il quinto gradino della felicità è la Forza. Il sesto gradino della felicità sono i Sogni. Il settimo gradino della felicità è la Preghiera. L’ottavo gradino della felicità è l’Amore.”

    “Io morirò, mio figlio morirà un giorno, ma l’amore che tiene uniti tutti noi, quello resterà vivo in quelli cui lo avremo tramandato, nessuno di noi è mortale, Comandante, nessuno di noi deve temere la morte. La nostra energia non può andare distrutta e questa per una legge universale, non divina. Forse non sopravvivo al male ma posso offrirgli tutti i doni dell’anima non in cambio della mia libertà, ma come l’offerta di uno che non lascia bagagli al mondo.”

    “Tu non mi temi?”

    “Io stimo il difficile compito di un uomo che deve fare il proprio dovere e che a sua volta ha una famiglia che lo onora, per cui prega, che lo ama. Io posso perdere tutto, ma non la capacità di amare fino alla fine.”

Il Comandante, liberò i prigionieri.

La voce di Max si ferma. Nei suoi occhi un velo di tristezza, ha attraversato l’iride e senza dire altro, lui si gira e si chiude in bagno. La morale non c’era o c’era, si domanda Mag? L’amore è tutto ma l’amore per chi? Quale amore? Quell’uomo la ama? Perché dovrebbe, non la conosce neppure? Perché le cose sono sempre così difficili?

L’uomo non prova nessun sentimento. Vorrebbe che il suo cuore scoppiasse di gioia o di dolore nel petto per quella creatura silenziosa ma no può mentire a se stesso, in quel preciso momento lui non prova nulla, né gioia né dolore soltanto una apatia e una stanchezza fisica e prova il desiderio di restare da solo per capire se ha ancora die sogni. La ragazza è soltanto un piccolo incomodo, una desiderio carnale soddisfatto che non resterà a lungo nei ricordi a lungo termine. La sua mente è annoiata, lui è annoiato, vorrebbe che un fulmine lo svegliasse da quel torpore di mezz’età. Più guarda Us più prova invidia, la ragazzina è all’inizio della sua vita, lui va verso la parte finale.

Mag si stringe con le mani le spalle, davanti alla finestra della cucina senta tende e resta a fissare il traffico della strada sotto piccoli fiocchi di neve. Le piace quell’appartamento che manca del tocco femminile ma è luminoso e la città è un incanto.  Qualche minuto dopo è seduta al tavolo e sta scarabocchiando gabbiani su un quarto della piccola pagina del suo taccuino rosso.  Una decina di messaggi da nuovi iscritti dal sito di incontri che sta ignorando. Un ragazzo continua a mettere “like” sul suo profilo. Lei ha pensieri contrastanti sull’uomo con cui ha appena fatto sesso. Perché si è disturbato a raccontarle quella cosa? Non ha trovato interessante la storiella. In verità non l’ha capita. Avrebbe dovuto? L’eterna lotta tra il bene e il male. Il cosmico sapere vincolato all’amore ma quel padre che amava tanto il figlio e la sua cocomera, si considerava appagato solo della conoscenza, dal fatto che gli era rimasto un figlio da crescere? Gli bastava la gioia di un frutto nato per essere mangiato? Un uomo dovrebbe darle delle risposte più determinanti del tipo “mi piaci” oppure “sei bella”, qualsiasi cosa inerente a lei, ma è come se non fosse stato toccato da nulla. In verità a parte travolgerla, mangiarla, morderla, penetrarla, baciarla, non le ha detto nulla, nulla che la facesse sentire speciale. E’ stato solo sesso, semplice necessità corporea, nulla del tipo “cinquanta sfumature di grigio” e nemmeno la passione di “L'amante di Lady Chatterley”. Avrebbe voluto sognare le sue mani sul suo corpo che la guidano che le insegnano, avrebbe voluto vederlo desiderarla, esplorarla, conoscerla. Nulla. Un fuoco violento e veloce, ceneri senza consistenza disperse dal vento del dopo, passione senza un fondamento, nulla. Accettato questo, Mag capiva che non ci poteva essere altro, andare avanti, sopravvivere e ritrovare i suoi sogni, di sicuro più appaganti. Doveva conservare salda la stima di se stessa e uscire da quella casa, senza vergogna. Il sesso ha attenuato la sua sensazione di solitudine. Una placebo che andava valutato come tale e nulla più. Come amanti ne aveva avuti di peggiori, ma anche di migliori. Il suo vicino di casa, passionale, divertente e dotato, così dotato da farla gridare violentemente, goni volta che provava a entrare in lei, forse per questo lo evita, è troppo dotato e la vita con un uomo non deve essere sempre sofferenza.  Lui poi è alla ricerca di quella intelligente, realizzata ricca e bionda. Ognuno ha i propri ideali no? Ci sarà mai un uomo che si metterà in ginocchio davanti a lei per supplicarla di amarlo perché innamorato folle? Immagina un paio di occhi che la osservano dentro, spazzano via i fantasmi di tutti i suoi amanti immaginari, un paio di occhi che accendono un fuoco in cui lei si lascerà bruciare. Non si ritiene sfortunata semplicemente inesperta. Degli uomini conosce solo il 0,01 del loro processo vitale, quello riproduttivo, il resto di loro le è completamente sconosciuto anzi dubita che un uomo maschio possa possedere dei pensieri profondi, delle emozioni, forse solo le donne sono così complicate con le loro allucinazioni sentimentali e le loro capricciose ossessioni. Torna a pensare alla Bestia, quella nave le è piaciuta invece, è così fuori dal normale, così unica, tanto unica da innamorarsi, fosse per lei vivesse solo la dentro senza dovere scendere a riva per vedere il mondo. Gira il capo e osserva i fiocchi impressionanti che cadono molto nervosamente. Sugli alberi e sui tetti ci sono già delle ricche stratificazioni. Il suo cellulare continua a vibrare, lei non ha voglia di vedere quei nomadi della rete, potrebbe essere una cosa che crea dipendenza, la curiosità famelica di vedere sempre nuove facce, in attesa del prossimo migliore uomo che potrebbe iscriversi. L’amore è pur sempre colpo di fulmine. L’amore conta ancora qualcosa per qualcuno e lei deve solo avere la fortuna di incontrare quel “qualcuno”. Una bella bufera di neve, dovrebbe vestirsi e andarsene. Si prepara da sola una tazza di te. Non dovrà mica chiedere il permesso per bere una tazza di te? Comunque non lo farà. Non ha intenzione di chiedergli nulla, di capire cosa ha sentito o cosa sente un uomo dopo quel giochino spinto. C’è un proverbio piuttosto brutale ma vero dalle parti del comasco “Una lavada un’asciugada manco adoperata”, beh in quel caso è la verità. Per nulla impressionata, se non dalla magica nevicata, Mag riversa la sua disillusone su ogni sorso di tè dolce che le scende giù per la gola; è certa che quell’uomo lo avrebbe dimenticato appena iniziato il lavoro e risposto a qualche altro fenomeno della rete con gli ormoni e il testosterone in subbuglio. Perché le fa male lo stomaco? Vorrebbe piangere ma non ci riesce. Gira nervosamente i fogli del taccuino rosso e legge la fotocopia di alcuni versi, i suoi preferiti, versi che avrebbe dovuto leggere il suo lui e dedicarli a lei. Tutti i gradini della follia per amore. La fotocopia è sbiadita, usurata con macchie di caffè e cuoricini a matita:

Dille che l’ami

stringila finché non avrai sentito la resistenza delle sue ossa

assorbi dal suo calore ogni timore che ha di fare l’amore

invadi ogni sua paura stravolgile i piani

e baciala finché non le avrai tolto il respiro

denudala fiore di ogni petalo perché ti mostri il lato nascosto del suo cuore

ogni fragilità ogni piccola bugia e ogni segreto

toglile i veli del pudore e con l’istinto accarezzala

falla tremare falla piangere poi portala oltre i suoi stessi sogni

mostrale quanto l’amore non sia un percorso facile ma decisivo

dalle un motivo per cui ragionare all’infinito con tutta se stessa

dille che l’ami ma non con le parole – con gli occhi

portala a trionfare sui tuoi domani

e se

se un giorno il tarlo del dubbio verrà a rosicchiare da certezza

se il potere dei tuoi baci smetteranno d’avere il credo dell’inizio

se sarai stanco di vederla semplicemente donna tu ricordati di quei momenti

dove eravate un infinito e nulla delle forze conosciute vi potevano abbattere

torna da lei disilluso e pentito

torna da lei stanco e sincero

torna a dirle che il mondo è solo una palla che gira

e che in mezzo ai pazzi soltanto lei è perfetta

    Con gli occhi nel vuoto, chiude il taccuino, e sospira. Ognuno deve imparare a nascondere il proprio dolore, le proprie tragedie, sfuggire ai propri incubi. Il suo mattone dentro è un cancro senza cura e resterà così fino alla fine dei suoi giorni. A volte si dimentica di avere dei mostri nel passato, a volte si dimentica degli sbagli commessi ma questo lo fa per sopravvivere senza suicidarsi. Al centro della copertina del taccuino rosso ci sono un cuore grande e uno piccolo disegnati con pennarello indelebile coloro oro. Indelebile, le piace la parola indelebile ...  e pur sforzandosi di dimenticare ciò che aveva dimenticato per  un po di tempo, continua a soffrire.

La neve continua con programmata serietà la sua discesa. Guarda il suo taccuino, poi torna a fissare la tazza con il tè oramai freddo e decide che sia giunta l’ora di togliersi da quell’impiccio. Hanno fatto sesso e adesso lei deve solo vestirsi e tornare albergo come se nulla fosse. L’amore, nemmeno in quello che lui racconta, ci crede. Un uomo della sua età dovrebbe avere figli, ma non ha nessuno. Lui usa le estranee per viaggiare, per sentirsi più giovane probabilmente, o per nascondere la verità, a una certa età è difficile amare o farsi amare. Una estranea gli ha riempito la giornata. Un’estranea nella sua casa che potrebbe, se volesse, ucciderlo, potrebbe addormentarlo mettendogli dello Xanax nel te e poi soffocarlo. Lui è dietro le sue spalle, lo percepisce, la starà guardando. E’ vero, pensa Mag. Si gira e lo guarda. Lui fissa il corpo trasparente di Margous e l’abbraccia. Non c’è virilità nell’abbraccio, ma solo della compassione o cosa? Si domanda lei. Max pensa che quella ragazza abbia solo la pelle morbida, i sentimenti, non arrivano come quando hanno fatto l’amore, meglio, pensa lui.  La ragazza lo lascia nuovamente  indifferente, sebbene … sebbene il suo corpo leggero, sia perfetto per essere torturato. Il suo essere fragile tanto da essere spezzato gli ricorda qualcosa, un’emozione provata tanto tempo prima. Non ci sono molte cose di cui parlare con lei. Non parla. Per distrarsi dall’ospite continua a messaggiare con Wim. Allora com’è, continua il suo amico a domandargli. Un morto morbido, gli scrive lui, segue una risata registrata di Willem che Maximus ascolta dopo aver abbassato il volume del cellulare. L’ombra di Mag compare nel corridoio e Max pensa a lei, vorrebbe fare ancora del sesso, stringerla. Quel pensiero non lo scioccato, ha fatto molte cose con molte donne prima di lei e lei sicuramente ha avuto altri uomini. Ci sono cose di quella nuova emozione che lui non vuole capire, non vuole che lei gli sia indispensabile e continua a desiderare qualcosa che terrà soltanto per se stesso.

    “Io amo la neve.” gesticola lei, lasciando entrare nella camera da letto solo la testolina.

    “Dovrei uscire, vuoi stare qui? Devo fare una cosa urgente prima, ti dispiace, e la sposta dalla porta del bagno, devo proprio.” lui si fionda su un cassetto in cucina pieno di sacchetti di pillole che lui apre come se fosse una sorta di drogato preso da una urgente frenesia. Riesce a frenare un pochino quell’istinto ma impiega uno sforzo immane per farlo. Torna dalla ragazza e si avvicina pericolosamente, la testa di lei gli arriva sotto le spalle ma la sua testardaggine lo supera. Lei lo fissa. Lui la fissa. le sfiora col dorso della mano il viso ma non riesce ad andare oltre, ha un’urgenza e torna senza dire nulla al suo cassetto magico. Le prende tutte senz’acqua. Deglutisce lentamente e poi si siede con la testa tra le mani.

Lei nega con la testa. E’ disgustata. Non c’è nulla di affascinante nella vita di quell’uomo. La sua schiettezza è fastidiosa. Sarà il suo modo di fare allontanare quelle che dormono con lui. Lei ritorna a pensare alle ore prima. Il sesso con lui è stato un misto di fuoco e rivalsa, qualcosa che probabilmente i cinquantenni fanno per riavere dell’autostima. Niente emozioni per lei, lei era lì e lui doveva dimostrare qualcosa più a se stesso che alla sua partner, no? La considerazione è valida per scacciare qualsiasi possibilità di riprovare con lui l’errore di prima. Niente notti di una geisha, il corpo di quel gigante per quanto frema di un fuoco sincero, non ha mezzi per dimostrarlo, se sedato con quelle quantità di droghe, pillole, medicine che Diavolo potrebbero essere?  tutte contradizioni del mondo la esortano di andare via da li. Eppure lei ha provato piacere e lui un senso di possesso di cui si era scordato l’intensità, l’aveva intuito quando la fissava, certe cose non hanno bisogno di parole per essere capite. L’ha avuta e l’ha fatta soffrire ma anche sorridere e anche implorare. E’ così dunque, quando qualcuno di inaspettato ti colpisce la mente?

Decide finalmente di tornare in albergo e massaggia ad Alice. “Tutto bene?” le chiede, ma non ottiene risposta. Pericolosamente la neve sta raggiungendo altezze impensabili e prima di cercare di spostarsi, forse sarebbe meglio capire come arrivare alla stazione, la difficoltà di alcune auto bloccate in strada, l’allarma. Il rumore della doccia, le dice che è libera di uscire, senza l’obbligo del saluto. Col cappotto in mano, attraversa il corridoio, fissa il piccolo studio luminoso, la sala con un divano improvvisato, senza televisione e quattro chitarre in bella vista, forse il suo unico vero tesoro. Ricorda il motivo che le ha mandato, sul tavolino una risma di fogli, corretti, macchiati … canzoni, pensa lei. Ma la voce di Max non è quella di un vero talento, come lei non sarà mai una vera violinista. Il cielo dispensa favori ai mortali, secondo canoni sconosciuti, ed esce senza un saluto. La dimensione raggiunta dalla al suolo la disorienta. Non c’è anima viva in giro, fortunatamente qualche negozio ha le luci accese, entrerà per chiedere indicazioni per tornare in albergo. Per camminare deve affondare i piedi e sente che quella coperta bianca le arriva alle ginocchia. Torna a consultare il cellulare. Chiama Alice, perché non risponde?  Avanza contro vento con i fiocchi di neve in faccia, in bocca. Il vento la disorienta, forse se avesse preso un ombrello … Il ragazzino che gira in bicicletta la spaventa. L’ha incontrato tante volte eppure la fa rabbrividire, vederlo girare smanicato in pieno inverno, quasi non avesse un genitore a casa che si curi di lui o lo rimproveri per come esce vestito. Dovrebbe provare pena, ma nel suo cuore, non scaturisce alcuna scintilla di sentimento, lui col so zaino nero è soltanto un’immagine colorata in un inverno altrimenti bianco. Gli occhi di Xilo, la osservano mentre gira intorno alla rotonda dell’incrocio. Sembra che la bicicletta del ragazzo non incontri alcuna difficoltà nell’avanzare in quella neve alta persino per una automobile. Lei avanza, ignorando l’unico essere umano oltre a lei in strada. Avanti un centinaio di metri trova quello che presumibilmente dovrebbe essere lo scenario consono durante una nevicata del genere. Alcune auto deragliate traversamente bloccano la strada, qualcuna ha il motore ancora acceso, una grossa ruspa prova a a spostare la neve verso i marciapiedi ma dietro di se altra neve sta aderendo e pare una lotta inutile che non finirà alla pari. Solitamente vince la natura, pensa Mag. Lei rivolge veloci pensieri a Maximus, l’ennesimo errore, solo un esercizio carnale conclude e torna ad affrontare i fiocchi di neve che le arrivano contro. L’uomo resta chiuso in bagno incurante della sua ospite. Si guarda nello specchio e decide di farsi la barba, certo che non la fa per lei, ma ha voglia di darsi una rinfrescata e quella mattina è ideale per tornare in forma. Sotto lo scroscio dell’acqua non sente i passi di lei verso la porta d’ingresso. Non potrebbe, ha il ritmo di una canzona in testa che l’accompagna e ogni tanto batte il ritmo coi piedi tanto è contento. La piccola finestra posta troppo in alto perché lui osservi l’altezza della neve, lascia filtrare un po’ di luce e Max rivede le scene di lui e Mag. sarebbe stato facile intavolare una conversazione sensata dopo essersi messo a nuovo e di buon umore esce dal bagno, sicuro di voler accompagnare la ragazza in albergo e magari salutarla lasciando una speranza alla loro “strana” relazione.

Arrivato in cucina, controllati la camera, la sala e l’ufficio si rende conto che lei l’ha preceduto. Lei ha agito da donna e ora lui si detesta per non aver lasciato il giusto ricordo di sé o almeno uno spiraglio per il futuro, nel caso fosse stato possibile un futuro tra loro due. Questo  altri pensieri contrastanti lo spingono a vestirsi e appena giunto in cucina, di avvicinarsi alla finestra e sbaragliare gli occhi davanti a quella cosa fuori che sta inghiottendo il mondo.

 

Tre Giorni dopo – Verso la fine del mondo

Dicembre ventiquattro. Vigilia di Natale. Nevica costantemente, l’altezza drammatica e preoccupante della neve, è inarrestabile. Due metri e venti centimetri, sfiora la soglia di una vera e propria apocalisse. Il traffico da e per le città è bloccato dal primo girono della nevicata, quando poco prima delle otto di sera, orario del treno di Alice e Mag, la stazione è stata chiusa e tutte le corse cancellate. La città era paralizzata dopo sole cinque ore di nevicate, dopo settanta ore, il paesaggio è freddo e fiabesco. L’intera Europa è nella morsa del ghiaccio. Non ci sono collegamenti e questa situazione destabilizza non solo l’economia ma ogni risorsa sembra esaurirsi per la corsa alla sopravvivenza. Ovunque casi di panico, congelamento, atti vandalici e rapine. La polizia stenta a tenere sotto controllo il terrorismo che potrebbe colpire con facilità, proprio nel momento in cui le difese del mondo sono abbassate.

Jurre Mause chiamato in Centrale, dovrebbe indagare su un sospetto terrorista arrivato da Losana. La sua partecipazione a questa caccia all’uomo è arrivata al momento giusto.  non riesce a tornare al lavoro, l’auto è bloccata in strada e dovrebbe uscire se non vuole impazzire e spararsi in bocca per davvero. E’ sobrio da sedici ore, cosa allarmante per un uomo che non ha mai lasciato la bottiglia nelle ultime due settimane ma se è un modo per dimenticare, lo farà. Vuole dimenticare di esistere, di soffrire, di aver perduto la sua intera vita con la scomparsa del suo bambino. Ma soffrire per Jurre è solo una piaga, i demoni nella sua mente, sono ben peggiori. I suoi nervi sono a fior di pelle e la sua finta apatia nasconde dietro la facciata un vulcano. Come dovrebbe essere questo terrorista? Tutto quello che il comando ha dato per certo è che è una donna. Più di cinquecento persone sono state “sistemate” nelle palestre delle due scuole medie, molti cittadini sono attesi a riempire quelle dei tre licei e per gli abitanti rimanenti ci sono delle pattuglie d’emergenza che portano viveri e benzina per i generatori. Il pericolo maggiore è rappresentato dal peso della neve sui tetti e dalla velocità del vento che non smorza durante la notte. I termometri oscillano dopo il tramonto tra meno quindici e meno ventun gradi, ma si pensa che possa anzi debba peggiorare.

Milo e Destiny hanno sistemato  il giorno dopo l’incidente alla libreria di Maximus “la bomba” sulla Bestia. Non è stato facile, ma i soldi possono fare davvero tante cose. L’uomo che ha investito il negozio di Max ha fatto proprio un buon lavoro, Max è rimasto lontano dalla tana per tutto quel tempo e loro hanno avuto modo di guadagnarsi la stima che la “gente senza volto” avrebbe ricambiato. Lavorare con i terroristi o per loro, probabilmente è l’ultima spiaggia ma Milo si fida di Destiny, lei è l’unica che non l’ha mai abbandonato. Lei ha trovato il medico che gli ha sistemato la ferita, lei ha pagato la nuova dose, lei e sempre lei, lo ha portato in albergo, dove ha dormito come se non ci fosse un domani, mentre fuori la nevicata sembra diventare il peggior film horror del secolo.

Wim non è stato costretto a trattenere Alice per altri notti, lei è tornata in albergo, dove lui le ha dato il bacio d’addio. Xilo ha dormito in salotto giocando a PS3 per quasi tutto il tempo, fingendo di essere un  ragazzino modello ha ottenuto il permesso di uscire il giorno dopo per i propri affari e uno di questi era cercare Cerbero, sparito.

nevica con una costanza e una disperazione, uniche. Il traffico è fermo, non paralizzato o bloccato ma fermo, mezza Europa è costretta a stare nelle proprie case, a sperare che la bufera si attenui. Alla routine spezzata si sommano i problemi elettrici, del carburante e dell’alimentazione. Le temperature polari ghiacciano l’acqua nelle tubature. Una semplice nevica ora terrorizza il mondo impotente e impreparato. Non mancano i colpi di arma da sparo contro i malintenzionati, banditi dell’ultim’ora, immigranti disperati e ladri di professione. Allarmi di antifurti sbottano, ma nessuno può farci nulla. Alcuni tetti di case più vecchie, crollano, blocchi di neve si staccano dai rami di alberi, dai muri e inghiottono le strade, quasi non ci fosse nulla oltre alle case, solo uno strato bianco a prova di coraggiosi che abbiano voglia di nuotare o di esercitarsi con la morte. Rubare, forzare la propria sopravvivenza in quella tragedia naturale, è una sfida alla morte. Quelli che hanno provato a forzare i cavò di una banca, pur essendo riusciti si sono trovati durante la fuga a piedi un blocco di ghiaccio staccato con l’intera tettoia. Sono morti in due, mentre il terzo morirà da li a poco perché sotto i corpi dei compagni di delitto e nonostante le urla la neve caduta sopra più quella che cadrà, lo farà tacere per sempre.

Gli uffici pubblici non più sicuri obbligano il Sindaco Cotin Le Flurre a trovare un posto adatto a un rifugio per famiglie con problemi di alloggio, bisognose di riscaldarsi e di farsi una doccia calda.

    Destiny e Milo salgono sulla Bestia. Quella cosa è impressionante vista dal basso e persino dal ponte. La neve impedisce loro il giro turistico e Milo non è in forma, ha un dolore continuo.  Prima di trovare la stanza giusta, hanno girato un po’ per i corridoi bui. E’ un labirinto che potrebbero usare per un film horror. Destiny ha lasciato il fratello per una decina di minuti, il tempo per trovare il luogo dove curarlo e dove finire lavoro per cui sono saliti. Pessima infermiera la sorellastra, ma per lui che è ubriaco dall’astinenza e dal dolore, lei resta solo una bella donna che non gli fa ribrezzo desiderare e lei lo sa. Milo non l’ha mai vista come una sorella minore, anzi ha sempre ammirato in lei quel carattere forte e indipendente che lui non ha mai avuto. poi c’è quello strano rapporto tra loro due. Lei sa tutto, quasi avesse vissuto cent’anni in un corpo da adolescente e lui l’adora senza inibizioni, senza mentirle, in fondo non è un uomo perfetto e non vuole nemmeno iniziare a esserlo. Per placare il dolore della costola, lei dopo avergli fasciato il torace, dato un antibiotico e una dose di pillole blu, ha fatto l’amore con lui. Per lui è stato un sogno in un sogno ma lei, meno fatto, mano impaurita, l’ha preso, si è sodisfatta e l’ha lasciato dormire con i postumi di quel cocktail di antibiotici, droga e alcool.

    “Mi piaci.” sono state le uniche parole della ragazza.

    “Hmmm … “ è il suono dalle labbra chiuse di Milo già agonizzante tra eccitazione, dolore e orgasmo imminente.

  “Mi hanno stuprato a dodici anni e da allora ho rubato, ho sedotto uomini più grandi, più ricchi ma deboli. Mi sono divertita, vendicata, mi sono fatta una cultura sulla debolezza umana e sulla resistenza, ma sai, caro fratellino, nessuno resiste al sesso con una quindicenne, nessuno.” ride lei mentre cavalca soddisfatta, il corpo del giovane delirante. La nave è una abitazione impressionante e lei ha portato a termine il suo compito. Dopo aver coinvolto il fratellastro, così innamorato dei soldi, cosi adepto alla droga, finalmente potrà soddisfare quella amarezza che l’ha portata a diventare forte, cinica e probabilmente cattiva. I messaggi del padre che invita entrambi alla cena di famiglia, la fa pensare. Dovrebbero scendere dalla nave prima che la bufera peggiori e prima della notte che li troverebbero al ghiaccio. Le stanze arredate con semplicità ma piene di oggetti, di libri, fanno innamorare Destiny di quella reliquia galleggiante. potrebbe comprarla al libraio e farla sua dimora … potrebbe, ma lei ha altri progetti. Nonostante la cucina offra una varietà di scatolette, di biscotti e persino caffè – lei si limita ad accendere il camino con la poca legna rimasta e usa della neve per bollire del caffè. Lascerà che il fratello dorma un paio d’ore dopo di che lo sveglierà e finiranno il lavoro. Al buio, di ritorno dal bagno, dove ha controllato che ciò che ha incollato nel water, resista ad almeno un paio di scarichi prima che vada giù, esce con la candela ancora non consunta, gira nel labirinto di stanze della Bestia. Fa freddo, parecchio freddo e ogni respiro diventa ghiaccio che si appiccica al viso. Niente mostri, niente fantasmi, cattivo odore e infiltrazioni. Il buio è suo amico, il buio l’ha fatta diventare donna e il buio la vendicherà. uscita sulla prua si accorge che il tramonto è vicino. Il caro fratellino dorme e tra le cose nella sua piccola borsetta, Destiny ha una siringa con un liquido magico che sveglierà il suo amante o almeno lo metterà in piedi. Le voci che arrivano dal ponte allarmano la ragazza. Visitatori? Il libraio? O altri criminali? La vista delle armi che due di loro abbracciano, le mettono paura. E’ da sola. Quella gente ha pensato di rifugiarsi nello stesso posto in cui lei ha messo “la Bomba”. Di male in peggio. Fortunatamente la separano decine di metri dai nuovi arrivati. Correndo potrà svegliare Milo e trovare un piano per uscire dalla trappola in mezzo al lago. I verità non ha molto tempo per scendere. Anche lei ha una pistola, ma non basta per fermare la gente con armi automatiche. Il risveglio di Milo è lento, non poteva essere diversamente, ma lei lo spinge con tutta la dolcezza di una donna ad alzarsi. Lo bacia sulla bocca e lo prega di sbrigarsi, lo esorta, gli da coraggio. Milo prova a sorridere e cede ai baci della ragazza. Il proibito gli scorre nel sangue. Il corpo del ragazzo reagisce e lei gli racconta le strane presenza sulla nave.

    “Dobbiamo sbrigarci, altrimenti siamo intrappolati qui.”

    “Ma noi abbiamo sempre una sorpresa per loro, vero?”

    “Vero, ma non adesso, non è il momento. Dobbiamo tornare, prima del tramonto, altrimenti saremo qui prigionieri.”

Milo si avvicina alla sorella e stanco alza la mano per sistemarle una ciocca di capelli.

    “Ho fatto un sogno strano su di noi.” si guarda il corpo avvolto in una coperta trovata nella stanza del proprietario.

    “Ma sono nudo?”

    “Dovevo medicarti le ferite da vestito?”

Lui non vuole sapere la verità, va bene così.

    “Un bel sogno … sono quasi nuovo.”

    “Io non credo nei sogni.” risponde lei baciandogli la punta del naso.

    “Dovresti, quando finisce la dose è l’unica cosa che ti resta, chiudere gli occhi e sognare.”

    “Ci faranno sognare per sempre se non corri. Hai dolore?”

    “Mal di stomaco.”

    “Sono gli antibiotici. Tu mangia questa, e gli mette in mano una barretta ipocalorica, ho già pensato a tutto io. Glock.” gli mostra la pistola.

    “Con quella … cosa pensi?”

    “Di fare? Nulla. Ci difendiamo se fosse necessario. Il problema che ha solo diciotto colpi. Abbiamo ancora del lavoro da ultimare. Vuoi diventare ricco, giusto?”

L’arma che tiene con mano ferma fa di lei la sua eroina. Lui la fissa con occhi nuovi. Quella ragazza, più piccola di lui, più minuta, è mentalmente e fisicamente più forte.

Senza forze Milo ha lasciato che fosse Destiny a remare fino a riva. Niente motore, altrimenti gli avrebbero già uccisi. Destiny non teme il vento, non teme il freddo, e lui la guarda innamorato del personaggio che lei interpreta così bene. Il torace fasciato gli fa meno male ma la sensazione di dolore allo stomaco, l’acidità e la crisi di astinenza cominciano a farsi sentire.

Arrivati alle porte del centro i due ragazzi osservano il nulla davanti loro. Le luminarie natalizie sono spente e il sole sta già tramontando, lasciandosi dietro un buio artico e probabilmente pieno di pericoli. La luce è staccata già da ventisei ore. “Adesso devo sapere se sei un orso polare.”

Milo guarda la sorellastra.

    “Un male può essere sostituito con un male maggiore e più incisivo. Mi serve che tu non crolli in mezzo a questa neve e gli mostra il muro alto più di loro, due metri e per orientarci, come faremo?”

    “Dal campanile.”

    “Già. Il punto più alto è la nostra stella polare.” Un’altra alba con l’aria fredda e graffiante. La neve già alta, molto alta, ghiaccerà durante la notte. Se qualcuno pensasse per un attimo all’impossibile, non avrebbe bisogno di libri, di film per immaginarlo. Il bianco è così perfetto da ipnotizzare gli occhi ma lo scenario è apocalittico. Le vetrine dei negozi sono sommerse, le strade, dopo un abbozzo di pulizia e una tonnellata di sale disperso, ora sono abbandonate e invase da altri cumuli di neve, alberi giganteschi caduti hanno smesso di resistere all’agonia del ghiaccio sulle radici rimaste scoperte. Le auto all’aperto sono impacchettate, avvolte, bloccate. Nonostante il freddo, qualche gabbiano sfiora la superficie del lago, non era mai successo che ghiacciasse in superficie, il gabbiano lo sorvola poi si allontana verso un gruppo di case con i tetti appesantiti e ghiaccioli sotto le grondaie.

Per sei chilometri a diverse distanze, cavi elettrici piegati, doloranti,   – il vento è il vero problema. Un vento tosto e aspro, cerbera contro ogni cosa. La neve cade e cade fitta, obesa, indifferente. L’armonia è spezzata dal freddo pungente, la tempesta sembra voglia dire, non ho intenzione di smettere né di cedere né di impietosirmi. Il rumore secco di un tetto che cede potrebbe fare accapponare la pelle a chiunque se solo ci fosse la possibilità di uscire per rimediare, per pulire e fermare quel mostro.

Da Yverdon a Losanna non c’è speranza di poter viaggiare. Non c’è strada, parco, bosco, non c’è modo di viaggiare, camminare, muoversi. metà dell’Europa è divorata dal clima più rigido degli ultimi duecento anni. La penuria di cibo e di carburante sono i maggiori problemi. Parigi, Roma, Praga, Budapest, Vienna,  sono sotto lo stato d’emergenza. Yverdon è la cittadina più colpita di tutta Europa, quasi tre metri di neve e la bufera non smetterà per altri cinque giorni., almeno così avevano parlato i professioni sti del Centro Meteorologico Europeo. Il Diavolo bianco non ha pietà di uomini o animali e di qualunque cosa abbia bisogno di scaldarsi col freddo che persevererà. Nulla in aiuto proveniente dall’Africa, nessun anticiclone che mitighi la forza di quel diavolo sotto forma di precipitazione nevosa. Il maltempo con la protezione di altre agitazioni in arrivo dalla Siberia, non potrà che peggiorare. C’è sempre il peggio del peggio, dice in una intervista, un colonello dell’aereonautica mentre spiega la drammaticità  del nucleo che ha investito in pieno l’Europa.

Alcuni treni interregionali sono fermi sulle rotaie da più di sedici ore, gente intrappolata cerca di avventurarsi nei campi, alla ricerca di cibo e calore.

Gli aeroporti di mezza Europa sono bloccati, fermi e offrono lo scenario agghiacciante di gente disorientata, preoccupata, bisognosa di informazioni e di aiuto. Si dorme per terra, sulle sedie, sotto le coperte offerte dalla protezione civile, mentre i bar stanno finendo le scorte di acqua, di cibo, di caffè e bevande calde, caramelle, merendine e qualunque cosa si possa masticare.

    Il Natale investe con una sfumatura triste di gente intrappolata in attesa di arrivare a casa, di gente chiusa nella loro casa attaccate dai venti oltre cento chilometri orari, di gente che ha freddo, ha fame o è in attesa di un pronto soccorso che non  potrà arrivare a dispetto della tempesta e della neve impossibilmente alta. L’aria di festa si è perduta o sostituita dalla cartolina che mette allegria solo ai ragazzini impressionati dalle montagne bianche sopra le automobili completamente svanite o dai ghiaccioli lunghi metri sotto le grondaie delle case. Il capolavoro di una natura ostile mette paura ad uno e fa brillare d’allegria altri. In questa contrapposizione di fatti, la città si è arresa. Chi è rimasto bloccato in ospedale, chi sui posti di lavoro a sorvegliare, accudire, proteggere, è rassegnato. Il cibo e il caldo sono i fattori primari per cui preoccuparsi il resto, il resto è aggrappato alla gonna della fortuna. La protezione civile di Yverdon è riuscita a trovare una soluzione per offrire riparo e protezione alla gente presa dal panico e rimasta senza carburante o alimenti. Centinaia di tetti crollati in meno di tre giorni. Il panico e la bruttura delle strade inaccessibili, hanno spinto i sopravvissuti a ricorrere al rifugio della città. La marcia attraverso la neve altissima è drammatica. Alcuni si fanno il segno della croce, altri pensano a qualche manipolazione da parte degli scienziati, tutti convinti di non conoscere la vera portata di quel male inaccessibile all’uomo.

    L’essere umano è abituato a sconfiggere le tragedie, parlandone, trattandole e combattendole nei film, nei talk show, nei dibattiti televisivi, nelle assemblee, nei libri, sviscerandone la forza e credendo di poterle controllarle, programmando statistiche e metodi con cui contrastarle in qualunque futuro loro si manifestassero. In verità ciò lui fa, è solo scongiurare quell’incubo insito nello spirito che teme la morte imminente, quella che non ci lascia tempo di riflettere, di difesa e soprattutto di adoperarci dei mezzi per poter affrontare il peggio. Le tragedie, la violenza estrema, i mostri inimmaginabili sono il motore di certe industrie che lucrano sul fascino che il male genera sullo spirito e sulla curiosità morbosa e a volte autolesionista. Ma parlarne non significa essere pronti e quando un cataclisma arriva, se arriva, non si è mai veramente preparati. La tragedia si adopera dell’uomo spesso, non per rafforzarne la fede, ma per rimetterlo al suo posto, ovvero di mammifero fragile davanti all’onnipotenza della natura. La natura ha leggi ed equilibri inafferrabili all’uomo che può studiarla all’infinito senza poterne cogliere quel 0,00001% di pura magia che nulla può distruggere. Magia è intesa come quella minima percentuale di azoto nel latte materno che non riescono a mettere nel latte in polvere per i nascituri. Le festività con la neve, una tradizione da cartolina possono fare sorridere tutti coloro che godono al pensiero di un risveglio con un bianco Natale ma, se questa fiaba non fosse che il rovescio di una brutta medaglia?

Il brutale continuum del maltempo ha spinto la protezione civile a usare il Polo come rifugio. Non avendo chiarezza sulla fine di quella gigantesca nevicata e temendo che molti potrebbero restare prigionieri delle loro case, finché le strade sono state percorribili, poliziotti, volontari, militari hanno portato la gente in salvo.

 

Piena tormenta - un passo d’amore

    Il male ha molti modi per esprimersi e quando lo fa, non teme di usare i mezzi che possono suggestionare l’uomo, quelli più piacevoli alla vista e così la speranza perde quasi di significato. L’irreale subentra alla normalità e l’attesa logora, come una lunga cura contro una malattia fulminante. L’anomala neve che scende su Yverdon ha generato il caos. Stare fuori diventa una battaglia contro la natura. respirare chiede una fatica immane e nulla rende il corpo immune al freddo che penetra nei tessuti tecnici delle giacconi invernali che riparano per poco tempo dal soffio aspro del vento. La neve cade e cade e cade senza una sosta, senza mai perdere d’intensità, senza diminuire il peso e la grandezza dei fiocchi. Manciate, pugni, valanghe di farina attraverso il setaccio rotto del cielo. La precipitazione è un fiume in piena che scende dal cielo senza alcuna cortesia. L’anagrafe è bloccata. Nascite, decessi, tutti pagano il prezzo della bufera. Non c’è nemmeno un obitorio di fortuna, impossibile trasportare i defunti fuori casa e in caso di emergenza, beh … preghiera, fortuna, speranza. I bambini più piccoli sono gli unici a sentire magica una situazione così drammatica e irreale. Corrono, giocano, sbirciano fuori e aiutano quelli che provano con costanza a sgomberare almeno il viottolo fino alle auto sommerse nel parcheggio. E’ impossibile scappare in qualsiasi direzione, la neve arriva al primo piano degli edifici. Ciò che non muore congelato, trema di freddo. La Bestia è diventata un colosso bianco in mezzo al lago ghiacciato.

    Alice e Wim non si guardano neppure. Dopo la giornata particolare passata insieme, lui ha cancellato il suo numero e tutti i messaggi da Whatsapp. Lei se l’aspettava ma non così velocemente, non così drasticamente. Avrebbe voluto chiedere spiegazioni ma capiva che sarebbe stato inutile, quando un uomo non ti vuole, inutile inseguirlo. Lei è arrivata dall’albergo con Margous, per nulla contenta di essere rimasta bloccata in un paese straniero e lontana da casa. Gli ultimi messaggi di MM alla sua Us, erano stati “anche qui nevica” e “ti penso”. La donna si tiene occupata, aiutando come può coppie di anziani spaventati. Milo però ha capito chi fosse Mag e continua a mandarle messaggi dal sito. La fissa mentre lei continua cancellare a rifiutare le chiamare, ma lui, ragazzo testardo e tenace non mollerà. Quella ragazza gli piace. Tutti chiusi in quell’ambiente, Destiny che perseguita qualche donna di cui si sarà innamorata perdutamente. Us è diventata una ossessione per il ragazzo, un sfortunata ossessione dopo la droga e dopo il suo desiderio inconscio di possedere la sorellastra.

Dei ragazzi con la chitarra, ridono e fanno chiasso, affrontando il Capodanno con l’umore di chi non ha nulla da perdere se non qualche risata. Tra macabro e allegro, dualismo imperfetto ma meritevole di ciò che accade. Lo sbigottimento ha vinto sulle supposizioni. L’allegria è sostituita dall’insicurezza.  Dopo sei giorni di neve, la gente ha trovato difficoltà a uscire di casa, neve troppo alta persino per i camion spazzaneve. Nevica senza sosta. La Mouette ovvero il Polo sportivo di Yverdon, è uno spazio così ampio da offrire ai cittadini aree di servizio, aree svago e piste per varie performance sportive: piste ciclabili, pista per skateboard e hard bike.  Il polo è famoso anche per il suo poligono di tiro e tramite due tunnel si unisce al tre campi da tennis al coperto e allo stadio.

    Cotin ha pensato bene, dove avrebbe potuto distribuire e proteggere i suoi cittadini, appena fosse stato costretto a metterli al riparo dalle proprie abitazioni pericolanti dopo il grande peso della neve sui tetti.

    Quelli ancora rimasti nelle case a proprio rischio e pericolo, sarebbero stati difficilmente contattabili. Colpa non solo delle strade inaccessibili ma anche dei venti molto forti che riducevano l’intera tempesta a alla dinamica di una vera e propria apocalisse glaciale. Nonostante il suo egocentrismo, la sua scarsa fedeltà alla famiglia, il suo animo, lui non è un rospo impietoso. La compassione come un atto pubblicitario prima del voto? E’ probabile, ma in mezzo al cataclisma si trova anche la sua famiglia e di certo non è nella sua volontà fare perire la gente senza che lui provi a proteggerla. Tutti i contatti con le sedi centrali sono bloccate. Non funziona nulla. In caso la corrente elettrica venisse a mancare, lui ha un piano di riserva, difficile da attuare ma è pur sempre un piano. Mai e poi mai avrebbe creduto, pensato, ipotizzato che quelle feste avrebbero potuto essere le ultime della sua vita. Ha paura e quale uomo sano di mente non l’avrebbe?    Quella fuori, non è una nevicata qualsiasi, tutti lo hanno capito. Il fatto di perdere il contatto col mondo, di vivere una situazione di vera e drammatica emergenza, mette una agitazione addosso quasi incontrollabile. Cosa succederà quando ci sarà bisogno di operare qualcuno?  Dio non voglia, pensa Cotin, tornato improvvisamente cristiano. Non ci sono forze dell’ordine straordinarie e per un pronto soccorso dovrà allertare tutti, nemmeno lui è in grado di farcela da solo. Mobiliterà tutti gli impiegati, i poliziotti disponibili, gli ausiliari se necessario e servirà una stanza, per le emergenze.   L’idea di portare l’ospedale al Polo, non tutto l’ospedale ma alcune attrezzature del pronto soccorso, rianimazione, un paio di incubatrici, il necessario insomma, aveva incontrato pareri sfavorevoli poiché dispendiosa, ma lui ha come un presentimento, era disponibile a spendere di tasca sua perché quello che era certo che le cose sarebbero potute andare anche peggio di quanto non lo fossero già. Qualche buon angelo gli aveva messo quell’idea in testa, ovvero dopo la domanda “E se le cose fossero peggiorate? Lui ha pensato alla gente, a una possibile urgenza, al resto si era affidato al buon Dio, entità della cui esistenza si era dimenticato fino ad allora. Il male che prende la forma di ciò che più ci rallegra in natura, destabilizza le certezze.

Un predicatore esaltato, calvo, barba lunga, occhi lacrimanti ma per il freddo e senza cappotto, piazzatosi con la Bibbia in mano all’ingresso del Polo, esorta la gente a pregare e a pentirsi dei propri peccati perché era giunta l’ora della Fine, le sue parole impastate a una abbondante salivazione volano letteralmente addosso alla gente; Cotin non può impedirgli di parlare ma se ciò dovesse creare ulteriore allarmismo, la parola di Dio dovrà attendere tempi migliori prima di diffondersi per bocca di qualche prematuro profeta. Da lì a poco tempo sarà allontanato dall’ingresso e pregato di propagare la parola di Dio sottovoce in un angolo della palestra, dove non avrebbe disturbato le famiglie già provate dalla tragedia.

Quella pace non sarebbe durata a lungo e il panico sarebbe stato il vero problema, oltre la fame, il freddo e il bisogno di medicinali nonché di benzina. La gente mormora, la gente chiacchera, si lamenta continuamente, monopolizza il tempo dei militari impegnati nei lavori di sistemazione, controllo e approvvigionamento, la gente è confusa e Cotin vorrebbe conoscere la soluzione per tenere testa a quella cosa che ha bloccato mezzo pianeta. Qualche sportivo, professionista si è offerto di controllare lo stato delle cose in città e con gli sci in spalla un paio di corde si è inabissato nella tormenta. La fuori, tutto è pericoloso. Nonostante gli edifici siano sepolti dalla neve, qualche pazzo potrebbe tentare una rapina, o peggio attaccare la gente in casa ma a questi, problemi Cotin non riesce a trovare una soluzione, gli serve tutti gli uomini al Polo. Non può permettersi di lasciare senza aiuto e difesa quelli che hanno cercato scampo e caldo, abbandonando tutto ciò che possedevano nelle loro dimore.

Nella grande stanza degli attrezzi gettati fuori nel cortile, ammassati contro il muro di fondamenta, palle da basket, tappetini di gomma e accessori, gli ospiti del polo hanno portato le gabbie obbligatorie coi propri tesori, cani, gatti, canarini, un furetto, due serpenti occhi di tigre e persino dei pesci. Sarebbero morti di freddo i compagni di una vita e il Sindaco Cotin ha dovuto pensare anche a loro. Restano liberi solo i quattro cani lupo della protezione civile che servono per difendere i civili ammassati e indifesi nella grande palestra. Pochi giorni sono passati dall’inizio della incredibile e inarrestabile bufera di neve. Le strade impraticabili e le poche caldaie non colpite dal gelo che di notte scende sotto i venti gradi, continuano a resistere. Nevica. Il territorio è un triste e bianco campo di battaglia. I primi a soffrire sono gli animali nelle stalle ma non c’è essere che non sia stato colpito da questa avversità. Cotin, senza rasatura, senza le sue gocce lucidanti per capelli è tutt’un altro uomo. E’ rimasto in tuta a coordinare gli aiuti, gli sgomberi e la sistemazione delle famiglia. Oltre ai problemi logistici, il riscaldamento e l’elettricità sono cose prioritarie. Cajou Peter è il suo rivale politico e acerrimo nemico.

    “Mi divertirò a vederti fallire.”

    “Non eri comodo nella tua villa? Non abbiamo bisogno di atleti che remino contro. Ti potrei chiamare come riservista dell’esercito, sai che posso.”

    “Sì molto ma ho portato la famiglia per dimostrare alla comunità che io ci sono nelle emergenze e per vederti fallire. Io non farò un bel niente per te manipolatore, disonesto, figlio di puttana.” Cotin non ha alcuna reazione a quelle parole. Peter ne ha usate di peggiori nella campagna elettorale, lo sfogo di un rivale sfigato non lo tocca minimamente.

    “Dovresti dare una mano, invece. Qui la faccenda è seria.”

    “Il Diavolo è vero e non ha pietà, risponde Peter fissando il maltempo che persevera e la gente legata alle corde che continua a darsi da fare per aiutare, sistemare, sopravvivere, entrando e uscendo dalle porte spalancate delle due grandi palestre. Sono contento che non sia capitata a me questa patata bollente. Cosa farai quando la gente avrà bisogno non di un dottore ma di intervento, quando i neonati avranno bisogno delle incubatrici e quando terminerà il carburante per il generatore, andrai tu la fuori con tre metri di neve? Hai fatto pace col libraio vedo? Ti fidi al punto che lo fai giocare con la benzina, beh non sarei sorpreso se il drogato della città combinasse qualche guaio, magari in preda a una delle sue visioni?! Cosa succederà, quando l’assassino dell’anno smetterà di prendere le sue pillole, ucciderà un’altra ragazzina? Quante ne avrà uccise? Non lo sappiamo perché sei stato tu a testimoniare e a fornire un alibi a un ‘assassino, ma tu sai che lui era lì con lei, con la mia Sarah?!” Peter stringe i pugni. Il libraio finge di non aver sentito il discorso, ma le parole gli arrivano dritto allo stomaco. Corinne che sta cercando di portare dentro una borsa piena di trucchi e profumi di lady Le Flurre, si sente sollevata appena la mano di Max le toglie il peso dalle mani. La giovane non osa guardare Cotin, probabilmente non sa nemmeno lei di chi sia il bambino nel suo grembo e poi teme di perdere il lavoro, un tetto sopra la testa. Un gattino nero gira liberamente, mentre Xilo sta fissando dagli spalti più alti, tutta la società di Yverdon e praticamente quasi l’ottanta per cento dei suoi clienti. Quella situazione lo diverte. Sul suo cellulare, centinaia di messaggi e ordini, peccato che le dosi rimaste sono pochissime e lui il prezzo, in caso di emergenza, lo alzerà fino alle stelle. Corinne guarda negli occhi Max che le sorride. Cerca di coprire il pancione col cappotto senza riuscirci. Il libraio passa davanti a Peter e per un attimo i loro occhi si incontrano. Peter sarebbe dovuto o potuto essere suo suocero. Una cosa è certa, Sarah non c’è più e non c’è più nemmeno il sentimento che legava i due uomini prima che lei morisse.

    “Ho sempre pensato che tu non avessi le palle e questa è la prova.”

    “A te non frega un bel niente di questa gente, io lo so, tu lo sai. Sei un politicante e adesso ti trovi coi piedi nella merda. Non ci sarà nessuno ad assumersi la responsabilità al posto tuo, la responsabilità delle loro vite, di tutti questi che tu hai radunato in questa trappola per topi, non siamo in America, se tu sbagli, loro pagheranno. Il mondo non gira sull’asse di Cotin Le Flurre. Lui non ti darà la Bestia, Cotin. Quell’obbrobrio è suo e tu non riuscirai a metterci sopra le mani. Un giorno, quella ferraglia qualcuno riuscirà a inabissarla, magari questa nevicata e fatti la barba, non sembri nemmeno l’uomo più importante di questa città, dice ridendo, naturalmente dopo di me.”

Peter si sistema il nodo della cravatta e sorride ironico al vestiario del primo cittadino ma senza rispondere poi guarda Max allontanarsi con le borse della povera Corinne. Lo fissa per un po’, lo osserva, lo soppesa poi soddisfatto, gira le spalle al sindaco e si allontana fischiettando.

    “Idiota.” gli parla dietro Cotin.

Il vento aumenta di intensità e chiunque voglia avventurarsi, trova impossibile avanzare persino di un paio di metri. Sembra Antartide ma con tetti di case ancora visibili, ma per poco. Cotin fissa il cielo e il muro bianco che dice all’uomo “nulla da fare”. Sa che molti, se continuerà a nevicare, saranno in serio pericolo. Una ragazza suona il violino e molta gente applaude, nonostante la paura, qualcuno si difende, cercando di gioire e dare un’area di festa almeno ai bambini. Alice sta addobbando un albero con fiocchi colorati, carta colorata strappata a forma di cuori e qualche donna e ragazza si sono unite a lei per comporre un albero di Natale. Una donna anziana sta piangendo, ha lasciato i due cavalli nella stalla e sa che moriranno di freddo e di stenti.  Appena fuori dalla struttura Cotin osserva il lavoro del Capo dei pompieri che sta provando a fissare delle corde ai lampioni della luce.

    “Stringi quella dannata corda se non il vento ci porterà via. Comincia già a ghiacciare, sbrigati!” grida lui agli uomini che si muovono al rallentatore per il vento contro.

Cotin ha la mente in ebollizione, non sa a cosa pensare, troppe cose, ci sono troppi fattori ancora da considerare, la durata di quella atrocità, la difficoltà di spostarsi dal Polo che è distante da ospedali, centro città, medicinali ecc. Per la prima volta dal suo mandato, lui vorrebbe essere un semplice cittadino e lasciare ad altri il compito di occuparsi dell’emergenza. I pensieri dell’uomo continuano il loro rullino, mentre l’uomo fissa le dita del libraio che digitano sulla tastiera del cellulare un messaggio.

Maximus è sempre stato un personaggio enigmatico, qualcosa lo fa sembrare colpevole poiché ha sempre ben recitato la parte dell’uomo ingenuo e sincero, ma Cotin sa che nessuno è così perfetto. Non è più sicuro di quello che crede di aver visto il giorno della scomparsa di Sarah. Non è più certo di nulla. Lui ricorda il libraio in strada, davanti alla libreria ma era voltato di spalle e chiunque, della sua stazza, sarebbe potuto essere. Lui ricorda vagamente che l’uomo trafficava con una scatola e Cotin ha pensato fossero dei libri ma se non lo fossero stati, se non fosse stato il libraio e quella scatola fosse il trasloco di qualche poveretto, chiunque che stesse portando una scatola? Perché era certo che fosse il libraio quell’uomo? Cotin si era dimenticato ma non voleva pensare di avere a che fare in quel preciso momento, anche con un presunto assassino sotto cura farmacologica. Avrebbe controllato più da vicino i movimenti di Maximus e senza pensare ad altro che a trilioni di problemi piovuti sul capo, Cotin si augura che il maltempo non duri più di un paio di giorni.

Le follate gelide non risparmiano nessuno dei presenti. A meno quindici gradi, gli unici eroi fuori dal Polo, sono i fumatori. Tremano, ballano sul posto, fissano quella ondata di gelo che blocca la messa a fuoco degli occhi, mentre aspirano la nicotina, placebo debole ma pur utile in determinati e drammatici casi.

    “Signor Sindaco?! Sergio Norri, l’alpinista si ricorda?”

L’uomo con i ghiaccioli sulle sopracciglia e il volto semicoperto dal ghiaccio, si toglie sciarpa, cappuccio della giacca e il cappello.

    “Ho perduto uno degli sci durante il crollo di un tetto. La neve ha superato i tre metri e molti tetti sono crollati. Farmacie, supermercati e banche sono sottoterra. E’ difficile pensare di poter trovare un collegamento, io ho avuto la fortuna di camminare sui tronchi di alcuni alberi crollati, altrimenti sarei rimasto in qualche dannata buca. La neve è la cosa più subdola che io conosca. Di un precipizio puoi percepirne la fine, lo puoi calcolare ma la neve, la neve ti tende tranelli inimmaginabili.”

    “Tetti crollati, dici? Ma la gente?”

    “C’è un silenzio da fine del mondo. Qualche camino fuma ancora, ma col vento contro e il gelo, è difficile abbandonare la via che pensi sicura. Se mi fossi avvicinato a qualche casa, sarei sprofondato sotto la finestra del loro secondo o terzo piano, e mi creda, sono fortunato ad essere vivo. Ci sono dei cani in giro, ne ho visti un paio e quelli avranno fame, molta fame.”

    “Non sono loro il problema, il peso della neve. Speriamo che il tetto regga questa calamità, afferma lui, mentre fissa l’edificio del Polo.”

    “Non so che dirle, ma adesso ho davvero bisogno di scaldarmi, ci sono meno ventidue gradi la fuori e appena inizierà a nevicare, la cosa non potrà che peggiorare.”

    “Speriamo che invece smetta …” sospira sottovoce il sindaco, per garantire l’incolumità alla gente, dovrò chiudere le porte, almeno mettere qualcuno che sorvegli i ragazzini, ci manca solo che qualcuno faccia qualche follia, pensa lui, mentre lo sportivo coraggioso si trascina verso l’ingresso completamente infreddolito.

Dopo aver pensato, dibattuto e scritto con il Capo dei Pompieri e il Capo della Polizia, alcune regole base, Cotin prepara delle fotocopie che farà distribuire ai cittadini. Sono orari per le razioni, l’esortazione a non uscire finché la tormenta non sarà passata, orari visita ai propri animali in deposito e come richiedere l’assistenza medica in caso di bisogno. C’era, anche l’esortazione a chi volesse offrirsi volontario per la pulizia delle cucce, dei bagni, lavoretti di sorveglianza, turni di guardia notturni,  assistenza alle famiglie, assistenza ai bambini. Un lungo elenco di specialità seguivano le regole comportamentali: medico, insegnante, infermiere, idraulico, elettricista, veterinario ecc. In cambio la municipalità, appena passata la bufera, offrirà degli sconti sui servizi ai cittadini modello che hanno prestato servizio e questo per rinnovare la gratitudine della cittadinanza verso i meritevoli e coloro che si sono dedicati agli altri.

    In meno di un’ora c’erano lunghe file ovunque, davanti alla stanza degli animali, all’improvvisata sala medica, ai bagni, ai due microonde, alle macchinette del caffè. Molta gente si lamenta del fatto che l’acqua calda fosse razionalizzata, ma Cotin non ha detto loro la verità, ovvero che sarebbe stato possibile che le tubature si sarebbero gelate e il carburante finito. certo che è più facile lamentarsi di tutto quello che non funziona, piuttosto delle poche cose che stanno in piedi, osserva l’uomo, mentre le grida accentuate di un possibile litigio, lo avverte che il panico è già iniziato.

A qualcuno, una ragazza ha riferito che c’è una bomba dentro l’edificio. Cotin pensa a uno scherzo di cattivo gusto, ma spesso gli scherzi … Adesso non ha più solo il problema del panico. Un quarto della città, verrebbe polverizzato in meno di un secondo da qualsiasi pazzo. Costretto ma non per scelta, manda a chiamare Peter, l’unico in grado di tenere testa a quella spinta adrenalinica negativa. Ha bisogno di una seconda mente che lo aiuti ad affrontare quella follia che se fosse vera, dovrà fermare, stando attento a non fare trapelare alcun timore. La sua famiglia è lì come sono lì un sacco di bambini, di donne in stato di gravidanza e famiglie intere che si aspettano di essere aiutate, supportate, protette. E’ sempre stato un uomo sicuro di sé, Cotin, ma per la prima volta in vita sua, lui ha paura.

 

    Maximus ha visto delle strane cose che tenta di dimenticare o forse solo di elaborare, sono i vari movimenti di Xilo. Quel ragazzino, ogni volta che lo incontra o lo intravvedere, parla con qualcuno stringe la mano di tutti, quasi avesse amici a non finire. Xilo non è il tipo che passa inosservato, ma è come se non fosse mai stanco e non gioca con i suoi coetanei, come dovrebbe, ma parla con adulti sempre. Non indossa alcun maglione, come se avesse caldo o come se fosse trascurato dal padre, anche lui bisognoso più del figlio di attenzioni. Max vede per la prima volta la verità. Un padre che scappa dal suo dovere e un figlio che cerca negli adulti quella attenzione e quel dialogo che gli manca a casa. La cosa di cui si accorge Maximus è la pattuglia serrata dei cani in mezzo alle famiglie. Un sacco di volontari e poliziotti coprono il perimetro, nessuno si è accorto ma lui sì. Stanno cercando qualcosa. Non è normale routine. Sa già a chi chiedere.

    “Posso aiutare? Vedo parecchia tensione?” domanda lui a Mause che fissa Xilo, mentre discute per l’ennesima volta con Milo.

    “Non posso dirtelo Max.”

    “Sai che di me ti puoi di fare, cosa succede Capo?”

    “C’è un allarme bomba. Potrebbe essere lo scherzo, un’invenzione di qualche ragazzino, ma in questa follia, non si sa mai.”

    “Questo sì che è un problema.”

Jurre annuisce, mentre fissa tutta quella gente intenta a parlarsi, a mangiare, a farsi i fatti propri.

 

    Xilo litiga con Cerbero che non ha intenzione di ascoltare. Il felino cerca in tutti i modi di sfuggire alla prigione dello zaino. C’è un modo tutto loro di lottare, di vincolare l’altro a regole non scritte e indecifrabili  agli uomini. Ogni tanto il capo del piccolo gatto, sporge da sotto la maglietta del suo carceriere, altre volte, dalla tasca dello zaino, sempre in cerca di una scappatoia, il bene deve provare a liberare il mondo dal male. Finché Cerbero si libera e scappa ma non fuori nella neve. Resta in mezzo ai rifugiati, a quelli che pregano, a quelli che attendono un segno dal cielo per ritornare alle proprie case, alle proprie cose.

Max non è certo ma crede che sia proprio Cerbero quello che lui vede gironzolare libero, cosa che a molti potrebbe non piacere, poiché tutti costretti a chiudere gli animali per rispetto di coloro che sono allergici o per semplice precauzione igienica. Il gatto lo fissa con curiosità quasi umana e dopo averlo fissato, passa il tempo a grattare con la zampa i polpacci di tutti quelli che insegue, chiederà coccole, chiederà da mangiare? Spesso si piazza sulle conduttore esterne del gas e resta in precario equilibrio per incerto motivo. Il gatto di Xilo è fuori dalle righe un poco come il ragazzino, il figlio di Wim, anche lui un amico un pochino fuori dalle righe, ma nulla che possa fare pensare al fatto che abbia doti particolari, semplicemente è socievole, almeno è la spiegazione che rassicura Max. Prima di pensare ad altre scuote la testa. sente una frenesia. I baci di Sarah, la sua risata e il neo sulla natica destra, quello che lo faceva impazzire. Perché quei ricordi gli riaffiorano nella mente? Poi il volto si Sarah diventa scuro, violaceo e gli occhi freddi, coperti di una patina biancastra che fissano il vuoto … Il ricordo di quell’orrore gli fa venire un conato di vomito acre che lo obbliga a deglutire e tutto l’amaro gli invade la gola, mentre le lacrime gli bagnano gli occhi. Si pulisce il volto col dorso della mano, cercando il freddo del vento contro per riuscire a respirare. Fa un ampio respiro col diaframma e espira, ma i suoi muscoli sono ancora tesi. L’uomo comincia a sentire l’esigenza di calmare i propri nervi. Non ha le sue medicine e qualcosa riaffiora nella sua mente, fantasmi, incubi, colpe. Il suo corpo ha un tremito, un brivido. Rancore, rabbia, tristezza, impotenza scorrono nelle sue vene. Per la prima volta, dopo la scomparsa di Sarah sente di avere davvero bisogno delle sue medicine per resistere. Non mangia né dorme da più di ventiquattrore. Non si sente lo sceriffo della situazione, ma vede il male dietro quella tempesta, dietro gli ultimi avvenimenti. La sua libreria distrutta, i suoi sogni di recuperare un poco della sua vita lavorativa, svaniti. quindi non gli resta che partecipare per non focalizzarsi sulla tristezza, a quel salvataggio di famiglie, spaventate più di lui e quando nota qualcosa che non quadra, lui chiama quel poliziotto che più di tutti gli ispira fiducia, Jurre Mauser. Jurre sente che quella tempesta lo porta lontano dalla sua idea di suicidio. Quasi duemila persone si sono riparate dentro quegli edifici e Dio non voglia, pensa lui, che qualche maniaco, qualche demente in preda al panico faccia un gesto insulso. Nessuno ha avuto il tempo di controllare i civili, nessuno sa se si sono portati dietro armi o cose che potrebbero mettere in pericolo gli altri. Jurre è uno dei primi che ha usufruito dei servigi di Xilo. Non ha potuto farne a meno e nonostante si senta uno schifo comprare droga da un ragazzino cui dovrebbe dire di smettere di fare lo spacciatore, continua a farlo, tacendo sulla situazione

    “Us non mi rispondi più?” Max avrà mandato una decina di messaggi identici senza ricevere risposta. Nel suo capo arriva l’input di una parola “la preghiera”. E’ la prima volta che sta pregando una donna e non è una cosa che riesce a controllare. Riceve centinaia di messaggi da donne improponibili del sito, alcune nude sul proprio letto con la faccia oscurata dal colore scuro di un pennarello, donne belle, giovani e meno giovani ma lui non ne vuole sapere. Non risponde più ad alcuna.  Tra poco la batteria si spegnerà e dovrà trovare il modo per metterlo in carica. Fissa il camion dei pompieri. Ha già trovato il modo per ricaricarlo. Lei è dentro il Polo e lo ignora completamente. Probabilmente ha ragione, lui non è pronto per nessun legame serio allora perché la pensa costantemente? Perché vorrebbe fare l’amore ancora e ancora con lei e nessuna altro ma lei? Una ragazzina gli ha sfondato la mente col suo silenzio e lui è sotto tortura da giorni. Max non ha intenzione di capitolare, non è masochista, starà con lei finché quella follia meteorologica non avrà fine. Jeannine gli sorride da una ventina di metri di distanza e lui sa di doversi togliere dalle spalle un impiccio. Un gatto nero gli sfiora le gambe. Max fissa l’animale e con la gamba prova a indirizzare il gatto verso la porta aperta dell’ingresso, ma il gatto salta e corre dentro, facendo inciampare Alice che in fila per il bagno, cerca con gli occhi di vedere Wim, l’uomo è sulla scala a sistemare dei cavi elettrici. Sistemare quel posto per tutte quelle anime non è facile e ci sarà sempre qualcosa che mancherà o andrà storto, pensa lui, mentre le grida di una partoriente, zittisce i centinaia di presenti in sala fuorché i bambini. I bambini corrono, fanno i bambini, si ricordano di ridere, di schiamazzare e di fare disperare gli adulti che provano a tenerli buoni, ma nulla da fare, quella cosa là fuori per loro è meraviglia e basta.

    Il giovane che si è sistemato nella zona del grande magazzino e che comincia a sbuffare è Dana. La stanza a una decina di passi da lui, è chiusa, poiché i cani continuano ad abbaiare. Gli animali sentono, soffrono e condividono. Dei volontari si occupano di trasportare dei grossi sacchi di crocchette per animali fino al deposito. Alcuni bambini curiosi, entrano ed escono dalla stanza o girano intorno alla gabbie per osservare le creature rinchiuse.

Quella umanità spinta a integrarsi, più che serenità, dona sconforto al ragazzo che preferisce stare ritirato nella zona opposta ai bagni, ai tre ingressi, vicino ai magazzini va bene. Quella mancanza di privacy lo disgusta. E’ vero che i tre metri di neve fermano qualsiasi cosa, ma lui non ha intenzione di usare quei bagni, al momento giusto mediterò per una soluzione ma è certo anzi certissimo che qualcun altro la pensa come lui perché parecchi escono fuori e non solo per vedere la neve cadere e quali altezze impressionabili abbia raggiunto quella catastrofe. Il magazzino dei viveri è chiuso con due grassi lucchetti e due poliziotti sono di guardia, sebbene sarebbe inutile se i migliaia presenti nelle palestre, insorgessero per protestare contro le razioni, per il freddo o semplicemente per claustrofobia.

    Dana stringe il suo cuscino, non s’è portato altro, crema idratante, un deodorante, il pettine, due barrette energetiche e il cuscino, aspetta Milo ma Milo è occupato. Soffre come un cane, soffre per amore, ma preferisce fingere di leggere i messaggi sul cellulare che una volta scarica la batteria, finirà di farlo sentire vivo. Che farà dopo? Il terrore lo spinge ad alzarsi e osservare Milo. La figura magra di Destiny col suo look dark total, sempre fresca, quasi non soffrisse la reclusione, la follia di quello che tutti stavano passando, gli sta sempre incollata e danno l’impressione di essere “insieme” non sarà una cosa reale ma è una cosa che lui percepisce solitamente non si sbaglia. Milo gli manca. Occupato a con sua sorella Destiny, strana, stranissima ragazza, e quella Corinne? Pensa Dana, la ragazza incinta che piange rumorosamente che fa crisi isteriche, che urla di suicidarsi, cosa che tocca solo un gruppetto di donne che la confortano, persino Dafne, così elegante e sobria, le tiene la mano da ore. Dana non sa ma Dafne sarebbe interessata a quel nascituro senza padre. Un rumore. Una decina di metri ma gli altri dormono o parlano, o tossiscono, attrae la sua attenzione, dietro gli spalti, nell’angolino buio della porta del magazzino chiusa con un lucchetto e sicuramente pieno di viveri, dei respiri affannati e un gridolino, Dana vuole indagare. Un ragazzo sta facendo sesso con una ragazzina schiacciata contro il muro e i pantaloni di entrambi abbassati fino alle ginocchia. Lei gli stringe il collo e lui continua  il suo su e giù, il giochino dura una decina di minuti,.

    Amine è seduto a fissare il perimetro di quella scatola di sardine. Studia i presenti, li osserva, se qualcuno, pensa lui, lanciasse una bomba in quel momento farebbe una strage e ne conosce di gente così flippata, ma in cuor suo spera che non succederà anche se il sovraffollamento di certi spazi, provoca nella gente crisi di isteria.

Mag non ha più guardato Maximus per ore. Si è concentrata sul suo taccuino rosso, sui discorsi senza senso sugli uomini di Alice e sulla gente stipata in quella larga sala diventata un piccolo ambiente dopo l’arrivo di numerose famiglie. Si dorme su coperte improvvisate, sui giacconi, sulle valigie. Ci si scambia di tutto, viveri, acqua, alcool e sigarette. I Robur sparano aria calda ma il freddo è una costante e Un piccolo mercatino nero, adolescenti spacciatori e pusher ratti delle tragedie. I pavimenti sono ghiacciati e la gente cerca di usare come materassi le poche coperte disponibili. Xilo ha moltiplicato gli affari e Giò è al settimo cielo. I messaggi di Milo a Xilo sono vere e proprie minacce. Xilo sta facendo di tutto per non trovarsi faccia a faccia col suo drogato preferito. Milo ha avuto modo di raccontare a Destiny del suo piccolo spacciatore e adesso è lei che lo sta cercando. Per la prima volta, Xilo vede nel suo tachicardico padre, la salvezza e per ammansire lo sprovveduto genitore, ha in tasca le medicine del genitore contro il panico. Finché lavora, Wim riesce a tenere sotto controllo i nervi ma prima o poi, inizierà il suo conteggio e potrebbe impazzire senza le sue abitudini, il bagno, la casa, le scale, l’auto. La routine sono il suo “posticino sicuro” dove non temere nulla.

    “Chi ti ha dato quel violino?”

Alice legge la gioia sul volto di Mag, osserva l’amore con cui lei tiene lo strumento. Mag mostra la ragazza tredicenne che sorride e la madre della piccola che si presenta alzando la mano. Mag accorda il violino della sua giovane amica e poi lo rimette nelle sue mani ma la piccola le chiede di suonare. L’archetto sfiora le corde poi le dita diventano decise e calcano sino a formare il suono che si amplifica e vibra e scuote ogni cosa si trovi in quella grande arena animata.

Il suono dello strumento si espande, esplode in dolcezza sebbene sia un pezzo rock e qualcosa si accende in quella atmosfera di sconforto e preoccupazione, una scintilla di allegria colta da due ragazzi con la chitarra in angoli opposti della palestra che si uniscono a lei, un terza, indovinati alcuni secchi da imbianchino, vuoti e usando le mani nude, comincia a individuare il tempo e a suonare, l’orchestra funziona. Un quarto bravo con i vocalizzi improvvisa un basso e il risultato è da brividi. Milo si alza in piedi  a osservare Mag. E’ preso da lei, ipnotizzato, incantato. La voce calda di una ragazza che resta seduta in mezzo alle amiche e che fa venire letteralmente i brividi, inizia a cantare. Le sue amiche cominciano  a battere le mani. Quel concerto è filmato da molti dei presenti. Max resta a bocca aperta. Fissa la scena incredulo, disturbato dalla scoperta che ha fatto, la donna minuta arrivata quasi per caso nella sua vita, lo ha maledetto. Non riesce a toglierle gli occhi di dosso. Quando Mag ferma l’archetto e la cantante ripete senza musica l’ultimo ritornello, il silenzio è agghiacciante finché il fragore di fischi e applausi investe la stanza. Cotin e tutti, tutti i presenti hanno sorriso per almeno una decina di minuti che in quel calvario invernale non è poco. Mag ha deciso di spegnere il suo cellulare, di ignorare messaggi di tizi che non le interessano e di cui forse non si innamorerà mai, ma il messaggio di Milo le è piaciuto “Ti vedo, sono qui in piedi davanti a te e vorrei conoscerti.” e sorride al ragazzo che la mangia con gli occhi e che sventola le braccia per farsi vedere.

    “Ciao, sono io!” grida lui e Max osserva la scena da trenta metri di distanza, geloso. La sua gelosia gli strappa lo stomaco dal corpo, lui vorrebbe fregarsene, annullare quella sensazione, ma non può. Maximus nota il tremolio constante della mano sinistra lungo il fianco del ragazzo. Un tremolio innaturale. Appena Milo si avvicina a Us, lei lo guarda con aria interrogativa ma lui non riesce a contenere la gioia, la prende in braccio per farla girare, vorrebbe sparargli.

    “Eri tu in cioccolateria, ti ho riconosciuta ma sei uscita così in fretta che non ho avuto il tempo di salutarti?”

Mag allunga la mano e si presenta.

    “Piacere Milo Le Flurre, la pecora nera del villaggio e figlio del Sindaco, quel ciccione che fa a gara con gli scimmioni ma solitamente è tirato a lucido. Sono contento che tu sia qui. Io sono un chiacchierone.”

Alice guarda i due ragazzi e si allontana, un pochino invidiosa, quel ragazzo con l’aria da dannato le piace parecchio chissà perché abbia scelto Mag, si domanda mentre Wim è già parte di un passato che non vuole ricordare. L’unica ancora attratta dal sito è Alice che si conforta massaggiando e sperando di incontrare finalmente quello giusto, in mezzo a decine e decine di uomini che probabilmente la contattano solo per del sesso facile. Pochi momenti dopo, Alice cambiata idea ritorna, non vuole andare da sola nemmeno per le proprie necessità, quel posto la mette a disagio.

Maximus attraversa la sala, giusto nel momento in cui Alice chiede a Mag di accompagnarla in bagno, la fila è troppo lunga per aspettare da sola e Mag, dopo un sorriso a Milo si allontana con l’amica non prima di aver sentito Milo gridare.

    “Io ti aspetto, sappilo.”

Queste parola fanno sorridere sia la donna che la ragazza che sorride.

Maximus ha sentito bene invece e da dietro le spalle gli parla sottovoce

    “Smettila di giocare con lei.”

Milo si gira con aria di scherno.

    “Che vuoi? Sei suo padre per caso?”

Milo lo guarda dritto negli occhi e poi esplode in una risata.

    “Sei geloso! Tu sei geloso ma quanti anni hai, duemila, sedicimila? La chiamano pedofilia.”

Le mani di Max iniziano a tremargli violentemente e lui è costretto a affondarle dentro le tasche dei pantaloni, cosa che non sfugge a Milo. Molto veloce a inquadrare l’uomo che ha davanti, continua a sfidarlo con gli occhi.

    “E’ una brava ragazza, lasciala stare.”

    “Ci stai passando in mezzo eh?

     “Mezzo a cosa?”

     “Cosa ti fai exo, dbt, pastiglie gialle? quelle gialle sono un fenomeno, peccato che costino quanto un’auto. Ti aiuterei se potessi ma sono in crisi anch’io.”

Maximus è infastidito da quello specchio umano. Quel ragazzino gli ha letto dentro o sulla faccia, la sua dipendenza. La sua rabbia diventa quasi incontrollabile.

    “Tu lasciala in pace.”

    “Io non la lascio in pace e tu vecchio drogato non fai paura a nessuno.”

    “Vedremo.”

    “Vedremo, ma lei sarà mia. Me la scoperò, me la sbatterò e la farò urlare di piacere, hai mai sentito una muta urlare di piacere? Io no, ma vorrei vederlo. La legherei in una stanza di quella tua barchetta e me la scoperei per mesi, fino a ucciderla perché no? Sai che la tua nave ha delle visite, quando sono sceso c’era gente che stava salendo, armata.”

Max inizia a pensare, comunque non può spostarsi, la Bestia dovrà aspettare. Destiny si avvicina e nota la tensione tra i due. Milo non è in forma e il sudore gli cola sulla fronte. Lei dovrà trovare quel ragazzino, altrimenti le cose potrebbero peggiorare per davvero.

    “Ciao gigante. Il mio fratellino ha preso una sbandata e potrei prenderla anch’io per te se non te la fili.

    “Digli di lasciarla stare?” indica lui con la mano.

    “Chi deve lasciare stare?”

Milo la indica con la testa.

    “Ohhhhh lei, Destiny si passa la lingua sulle labbra, il mio fratellino ha buon gusto. La ragazza del bar, beh, piace anche me. Ho provato a infilarle la lingua in bocca ma ha serrato i denti. Ci sa fare quella. C’è un detto che dice, i muti fottono il mondo, forse non è un bugia?!”

Maximus fissa i due ragazzi disgustato e si allontana, mentre decide di mandare un messaggio a Us per farsi perdonare. Deve fare in modo di allontanarla da Milo che chiede a Destiny di trovare Xilo. Il dolore comincia a farsi sentire e non prende una pillola da dodici ore, cosa che potrebbe mandarlo in panico. Maximus cede al sonno più velocemente di quanto avesse voluto, probabilmente per colpa delle medicine che non ha preso. Una stanchezza fisica contro cui non ha potuto combattere e mandato un messaggio d’amore sincero, supplicando Us di essergli fedele che sarebbe arrivato a salvarla, si addormenta. Dovrà trovare il modo di parlarle, ma è terrorizzato e se lei lo cacciasse? Se lei gli dicesse in faccia la verità, che è solo un vecchio cinquantenne che rivuole la sua virilità e il tempo perduto indietro? Max dorme e vorrebbe sognare ancora di fare l’amore e di stringere un corpo fragile tra le braccia.

Lei gli cede in bagno, mentre la lunga fila di persone, resiste anche di notte. Una cosa veloce ma Milo non aveva in mente altro. Con i messaggi, con le suppliche, con le lusinghe, con i baci sul collo prima e uno sulla bocca appassionato dopo, ha lottato. Quella sfida doveva vincerla e lei gli ha ceduto. Sentirsi una poco di buono? Aveva dei pensieri ma lui l’ha ipnotizzata, l’ha supplicata, l’ha voluta e Mag si è voluta vendicare così ha finto di cedere e per quei dieci minuti, è stata presente, ha goduto e l’ha fatto godere abbastanza da vedere che i suoi occhi la volevano ancora. Quando sono usciti dal bagno, parecchi li hanno fissati, chi diverti, chi severi, chi dubbiosi e sarcastici. Milo si è allontanato dopo averle baciato la mano e lei è tornata da Alice addormentata contro il muro.

   

Cotin è l’unico tra i presenti, ad avere la sensazione di “qualcosa che non va” e non è mai stato così certo di una cosa in tutta la sua vita. E’ un disagio che gli sta incollato come se dovesse aspettarsi di peggio in quella forzata quarantena, dove tutti erano esclusi dal mondo e dalle autorità. Un piccola fine del mondo, pensa lui, fissando la neve che continua a cadere sulla porzione di strada non ancora sommersa dal ghiaccio. Tutto inghiottito – auto – negozi, banche. Probabilmente i ladri andranno in questo lasso di tempo a rubare ma non sarà facile nemmeno per loro, pensa lui. E’ vero che stanno operando con tutti i riservisti e che le strade sono fori controllo ma è anche vero che tutto il circondario è una trappola, ovunque crollano tetti, ovunque ci sono muri alti quanto case e nulla può atterrare, decollare o circolare, i ladri coi loro bottini dovrebbero sgambettare nella neve alta due uomini o più, fino alla salvezza. Per non contare gli animali scappati dallo zoo, selvatici, affamati e pericolosi. Tante sfumature della disgrazia che non porta da nessuna parte. Cotin si sente surclassato dal suo ruolo.

    Volentieri passerebbe la staffetta a un rivale a chiunque voglia prendersi delle responsabilità. Molti di quelli presenti sono brave persone ma alcuni sono possibili criminali, tutti potrebbero possedere un’arma, chiunque potrebbe impazzire per una razione di viveri in meno, per qualsiasi cosa, persino per la fila ai bagni che nelle ultime ventiquattro ore è aumentata di unità. La gente cerca posti, dove potere fumare, qualcuno ha acceso un fuoco all’ingresso con delle sedie recuperate nei magazzini, ma la tempesta impervia e da lì a poco le fiamme si spegneranno.

Ai ragazzini è impedito di uscire pertanto Xilo si trova obbligato a usare la finestra del bagno degli uomini di notte per lanciare il suo zaino il più lontano possibile.

Giò è preso dal corteggiare una giovane vedova che gli fa girare la testa e non ha tempo per stare dietro alle richieste del ragazzino. In quello spazio ci sono più drogati che normali, pensa Xilo, e non si decide a trovare un posto dove fermarsi per riposare e le cose potrebbero sistemarsi non fosse che più o meno verso le tre di notte un boato spaventoso sveglia tutti tra grida, urli e panico. Il pezzo centrale della cupola è crollato e qualcosa come una tonnellata di neve ha coperto una decina di famiglie. Le grida, la gente che fugge verso l’ingresso, la gente che prova a soccorrere le vittime, il freddo pungente e la neve che continua a scendere, rende unico il quadro negli occhi di Margous.

Cotin è uno dei primi che si spinge ad affrontare lamiere e ghiaccio. A mani nude inizia a scavare e a gridare, anche agli altri, di dare una mano. I cani arrivano saltando e annusano in mezzo all’acciaio piegato, quelle che potrebbero essere delle persone.

Un disastro dentro il disastro. Qualcuno prega, i bambini si stringono infreddoliti, qualcun altro piange mentre i più forti usano secchi per spostare la montagna di neve che ha spinto contro il tetto, facendolo crollare. Il Sindaco chiede a un uomo dei suoi di verificare se la sua famiglia è salva e mezz’ora dopo quest’ultimo gli porta buone notizie. La brutta notizia che dopo mezz’ora, alcuno era riuscito a penetrare oltre le lamiere per liberare la gente intrappolata. Si sentivano delle voci soffocate, dei pianti ma quelli fuori potevano solo dire loro di resistere che sarebbero riusciti presto a salvarli ma come senza una gru? Il rosone centrale di legno acciaio e plexiglass è crollato con cinque metri di neve sopra e di sicuro in mezzo ai superstiti ci potevano essere anche delle vittime, cosa non facile da affrontare.  Per non rischiare un collasso dell’ordine e al limite del caos, Cotin chiamati i volontari, decide di spostare le famiglie nel magazzino degli animali e nella piccola palestra oltre il corridoio, tutti stretti piaggiati ma salvi, anche se molti preferiscono restare per salvare, per aiutare o solo per osservare. Dopo un breve discorso che puntava alla sicurezza dei bambini, molte donne, anziani, aiutati da poliziotti si sono trascinati verso il magazzino, in mezzo ai loro animali. La fila davanti ai bagni resta immutata.

Milo consolato da Destiny non trova pace. Quella tragedia non è grande quanto la sua crisi di astinenza, pensa lui. Vede gente che si affolla intorno alle macerie che grida, ma a lui tutto quel rumore da fastidio. Persino Dana, con le mani ferite dagli spuntoni taglienti, continua a scavare in quella pancia bianca.

    “Non smettete, ci sono bambini la sotto per Dio!” continua a gridare Cotin.

Wim è appiccicato al muro dell’ingresso che conta. Si sente disorientato. Jurre fissa la piramide centrale che ha inghiottito uomini e si domanda perché non c’era lui là sotto, avrebbe volentieri dato la sua vita per quella di quelli innocenti.

 

    Cotin spinge i volontari  a creare un varco, un piccolo corridoio dentro cui scivolare e  cercare di offrire i primi soccorsi. Xilo è rimasto con il padre, mentre Cerbero gironzola libero. Dopo aver spento il cellulare e essersi nascosto da Milo, fissa i volontari, mentre qualcuno chiede loro di andare nella palestra piccola. Wim che a fatica riesce a coordinare le parole, indica Maximus e l’uomo capisce che anche lui è un volontario. Xilo non vuole invece lasciare il padre e si ricorda di quello che ha in tasca. Fruga velocemente e mette le pastiglie nel palmo dell’uomo che fa una cosa sconvolgente, abbraccia il figlio. Maximus è preso dalla frenesia di spostare le macerie, si è quasi dimenticato del problema con Mag.

Fuori è ancora buio e il generatore di emergenza, illumina non sufficientemente lo spazio immenso ferito dal crollo. Milo non resiste e inizia a chiamare l’attenzione. Chiede a Destiny  di stare pronta e si piazzano sopra la montagna di detriti e acciaio con essere umani sotto.

    “Ho una bomba!” grida lui, alzando il braccio per mostrare una borsa.

I volontari che gridano per indicare la provenienza delle voci di superstiti non gli danno retta ma Destiny che fissa freddamente l’umanità colta nella sua debolezza, quella del proteggersi, lo aiuta, e con molta lentezza prende la pistola da dietro la schiena, la carica, alza il braccio sinistro e spara un colpo in aria, mentre Milo fissa la ragazza muta rimasta a aiutare alle macerie, con Alice stanca, sporca e sconvolta dagli ultimi giorni. Il colpo genera silenzio. Tutti si bloccano e si ferma persino il loro respiro. Un silenzio agghiacciante piomba dentro, assieme al vento glaciale che irrompe dall’apertura nel soffitto.

Cotin ha la prova di ciò che ha sentito prima, l’avvento di una tragedia dentro una tragedia. Suo figlio in piedi e sua sorella con un’arma in mano, cosa potrebbe accadere di peggio? Lo scoppio di una bomba. Allora esiste il peggio del peggio, una volta toccato il fondo c’è ancora molto da scavare. Cerbero sale sui tubi contorti per arrivare in cima.

    “Ascoltatelo se non volete morire.” ripete un paio di volte Destiny.

    “Io ho una bomba. Non è esplosiva, peggio, un virus cui solo noi due siamo immuni. Se questa cosa si rompe, potreste sopravvivere al massimo una settimana e con questa bufera dubito che troviate una cura, non vi basterà un mese per capire di cosa si tratti, quindi, accertato che io ho qualcosa e questa cosa potrebbe trovarsi in qualsiasi altro posto di questa minuscola città, dimenticavo, ciò che è qui è contagiosa quindi, se solo uno di voi lascerà infetto la città, beh l’umanità potrebbe anche dimezzarsi, cosa che farebbe bene a una nuova economia …”

    “Che sta dicendo?” domanda qualcuno.

    “Ma non è il figlio del Sindaco? Si è bevuto il cervello.” con perfidia e una certa paura Peter, indica il ragazzo drogato che resta fermo sulla sua posizione.

    “Ragazzo sotto di te ci sono delle persone, qualcuna ancora viva, non abbiamo soldi da darti, nulla, lasciaci salvare quelli sotto le macerie.” parla il Capo della Protezione civile.

    “Milo?” Cotin resta a una decina di metri dal figlio con le braccia aperte.

    “Tu sei la causa di tutto.” risponde Destiny, mentre Cerbero scende dalle macerie per avvicinarsi a Cotin.

    “Mammina ti ha sempre protetto, non ha mai capito o non ha mai voluto capire, ed ecco, quando un figlio si trasforma di chi è la colpa, della società? Di chi?” grida Milo. Jurre chiama dei colleghi che tolgono le pistole e mirano ai due giovani.

Cotin non risponde. Pensava fosse già acqua passata quella notte, ma si rende conto che Destiny per tutti quelli anni era scappata dal mostro, da suo padre.

    “Via gattaccio schifoso.” un calcio fa volare il gatto nero verso le macerie, la povera bestia, scappa verso Mag e Alice che sono letteralmente pietrificate dalla scena.

    “Ragazzo smettila, parliamone.” diplomatico e abituato a fare da mediatore, Dominic che finge di aiutare ma invece osserva la gente che lavora al cunicolo, sempre attento a non sporcarsi le scarpe, si fa avanti.

    “Chi sei tu?”

    “Sono un avvocato. Un buon avvocato.”

    “Io non voglio un avvocato. Voglio lo zaino di quel ragazzo.” indica Xilo.

    “Uno zaino e ti calmi.”

    “Xilo lo zaino.” urla Milo

    “Ragazzino dagli il tuo zaino.” prega Dominic e Cotin che fissa il padre del bambino, ritenendolo probabilmente responsabile o peggio il fornitore.

    “Deficienti è uno spacciatore e lui ha la mia dose, quindi per adesso mi basta la dose.”

    “Io non ho più lo zaino è fuori.”

    “Sei uno spacciatore?” Wim è rimasto scioccato e Max sorride quasi se l’aspettava una cosa del genere. La conta di Wim inizia da cento e scivola lungo il muro perché ha la sensazione che il cuore gli esca dal petto. Xilo si raccoglie i capelli e si avvicina a Milo, ma Jurre gli taglia la strada.

    “Chi è il tuo capo? Tuo padre? Uno della città? E’ qui adesso?” domanda Mauser.

    “Ti sembra il momento per fare questa domanda, si gira furioso Cotin, adesso pensiamo alla gente!”

    “Non ho più lo zaino!” grida Xilo.

Il gatto comincia a scendere dalle macerie e si rifugia tra le ginocchia di Mag seduta per terra, stanca e sudata. Lei allunga le mani per coccolarlo e lui per risposta fa le fusa.

    “Io voglio andare via da qui.”

Come se le avesse letto nel pensiero e senza sentire quello che ha detto Alice, Milo chiede di bloccare le uscite.

    “Tutti insieme come una grande e bella famiglia. Dov’è lo zaino?”

    “L’ho lanciato fuori, nella neve.”

    “Non ci credo.” risponde Destiny.

    “L’ingresso era bloccato sono andato in bagno ho aperto la finestra e l’ho lanciato, adesso sarà la sotto.”

    “Bene, qualcuno andrà a prenderlo.”

    “Mi offro io.”

    “No libraio non sarai tu a uscire, non voglio che mi giochiate qualche scherzo. Voi altri, e indica i volontari, continuate a scavare, la gente va salvata.”

I volontari guardano Cotin che li supplica di continuare. Peter fissa il rivale prima di infilarsi nel cunicolo per aiutare gli uomini che stanno facendo di tutto per strappare alla morte le vite innocenti, gli da una pacca sulla spalla.

    “Pensavo di rallegrarmi ma invece non è così.”

    “Andrà lei.” Destiny indica Margous.

    “Morirà di freddo la fuori ed è notte. Potrebbero esserci persino degli animali.”

    “Lei va bene, risponde il fratello che manda un bacio metaforico alla ragazza, e andrà nuda, giusto per capirci.” solleva la borsa e la apre con una mano mostrando alla gente una fialetta piccolina.

   “E se fosse uno scherzo?” domanda Dana, emerso dalle macerie, sporco e provato.

   “Se vuoi provare, io vi uccido tutti e adesso, bambini compresi che cosa dici?”

   “Dico che tu non sei così, e guardando male la sorellastra, dico che Milo non farebbe del male a nessuno.”

    “La ragazza muta andrà fuori entro cinque minuti e Xilo le indicherà dove ha piazzato lo zaino e se ci sparaste o meditaste di farci altro, ho questo coso, e mostra loro un cellulare ancora carico, vedete ho il dito incollato quasi, sparatemi, vi assicuro che quello che deve succedere accadrà e non pensiate di salvarvi.”

Mag si alza e inizia a togliersi il cappotto.

    “Per favore fai andare me.” si offre Max e Mag lo guarda senza lasciare trasparire un’emozione.

    “Va lei e basta.” afferma Milo.

    “Bastardo.” replica Max.

I poliziotti si avvicinano con le armi e chiamano rinforzi dalla palestra piccola.

    “Siete pazzi???? Io non ho paura di voi, avete capito, grida a gola squarciata Milo, io me ne fotto di quelli come voi! Che c’è paparino non ti piace il ragazzo che hai avuto?! Non ti piace avere avuto solo un figlio legittimo, vero? Dai Destiny, di a questo coglione che sappiamo tutto di lui, ricordagli come ti ha violentata, sai papino Corinne sta partorendo il tuo figli, la mami lo sa???? E voi schifosi, non avvicinatevi p vi faccio saltare tutti per aria i piani di sopravvivenza a questa tempestaci di neve? Avete capitooooo? Adesso dite al piccolo delinquente di portare Us alla borsa.”

Wim prova ad avvicinarsi al figlio.

    “Non toccarlo!” grida Destiny, non toccarlo! Lui ha davvero una bomba e vi conviene ascoltarlo.

    “Se provate a spararmi non vi dirò dove è il secondo timer e non farete in tempo a sgomberare questa cloaca.” i nervi di Milo stanno collassando, nel so corpo gli organi vitali, litigano tra loro, percepisce dolore che gli sembra gli penetri fino dentro le ossa.

    “Fatemi spazio, spostatevi.” Cotin si avvicina.

    “Che fretta papi, parla sarcastico, ti consiglio di fermarti li dove sei.”

    “Smettila. Stai spaventando la gente. Sotto di te ci sono bambini, sparami se vuoi ma lascia in pace questa gente sta già soffrendo abbastanza.”

   “Tu devi tacere. Adesso ascolta, per una volta tu taci e ascolti. Non sei il sole, il entro dell’universo, hai capito? Sei uno come tutti noi, inutile a te stesso e alla tua famiglia. Ti è mai stato chiaro il concetto di famiglia? Naaa, siamo tutti oggettini, marionette che un burattinaio felice e ricco maneggia a proprio piacere. Tu studi questo, ti sposi questa, farai politica, stringerai le mani sudate di porci col conto in banca cospicuo e avrai una corte di puttane cui comprare le scarpe alla moda e tutto questo dovrebbe dare la felicità?”

    “Questa è proprio una figata.” ripete a bassa voce Peter che vede muoversi una piccola mano in fondo al corridoio.

    “Qui c’è un bambino! e si spinge a scavare e gli tira fuori la testa e piano il resto del corpo.”

La gioia del momento dura poco. Il ragazzino viene portato fuori mentre Mag si spoglia.

    “Anzitutto se non volete morire, zitti tutti, ho detto zitti!”

    “Zitti!!” ripete Destiny.

    “Chiudete le porte, nessuno andrà via, proprio nessuno.” ripete Destiny con gli occhi macchiati di trucco scuro. Il suo volto disegna sentimenti spinti al limite. La sua vendetta non le provoca la gioia attesa.

    “Ma ci sono bambini la sotto, grida una donna, per favore lasciateci andare via, vi supplico.”

    “Stai zitta!!! Se vuoi che non ti uccida per prima e davanti ai tuoi figli!” punta la pistola Destiny.

Mag è rimasta solo in reggiseno e slip bianchi poi Milo indica Xilo.

    “Portala a cercare il tesoro.”

    “E’ una follia. Non ce la farà a stare nemmeno tre minuti conciata così nella neve, borbotta Cotin, verso il figlio.”

    “Morirà di freddo.” risponde Wim.

    “Guardate come è magra, trema già da adesso, poverina.” si sente la voce di un uomo.

    “Dove l’hai lanciato?” Milo grida a Xilo mentre vampate di caldo e freddo lo assalgono.

    “Dietro ai bagni, meno di una decina di metri ma sarà nevicato sopra. Là fuori è buio, mi è impossibile capire, posso indicare la zona, ma dovrebbe scavare.”

    “Ci sarà da nuotare? Lei scaverà ha le mani potrà farlo, datele un paio di guanti, nulla altro.”

    “Almeno le scarpe, Milo, lasciale le scarpe figliolo, non hai commesso alcun crimine ti prego non ti macchiare di questo.” lo esorta il padre.

Alice porta un paio di guanti a Mag ma lei li rifiuta.

    “Smettila, morirai di freddo.” la mano di Mag spinge di lato la donna preoccupata e la ragazza fissa Milo. Il giovane la guarda e non smette di stupirsi quanti sentimenti la vista di quella creatura, provochi in lui ma nonostante questo, si fida solo di lei e dovrà sacrificarla alla causa e a quanto pare, lei non sembra per nulla impressionata dalla sua decisione. Stare nuda in mezzo a quella gente impaurita e senza vergogna non è da tutti perché ciò che legge nei suoi occhi è una sfida. Non fossero dove sono, lui la farebbe sua, quel coraggio che lei mostra, lo stimola nel profondo della mente.

    “Andate.”

Mag gli lancia un’altra ultima, enigmatica occhiata e procede, facendosi largo in mezzo alla gente che la guarda, la accarezza, le sussurra “coraggio” come se la salutassero per l’ultima volta. Max si sente un idiota impotente. Si è pentito di tutto, di come l’ha trattata di come non l’ha trattata. Gli mancano le parole e nella sua testa c’è solo posto per il corpo di lei che affronta il freddo e il viso senza trucco con stampata una freddezza e compostezza, disumane. Max li segue.

    “Tu fermo! Va solo il ragazzino e la ragazza!”

    “Io voglio aiutare per favore!” la voce di Max non ferma la camminata di Mag verso i bagni ma lei sente la voce protettiva dell’uomo, troppo tardi, si è deciso troppo tardi, pensa lei.

    “Non ti muovere!”

Ma Maximus per la prima volta in vita sua non intende né ascoltare né avere paura e continua a camminare dietro ai due che raggiungono il bagno ma qualcosa lo ferma. Destiny col braccio alto ha deciso che solo i due scelti da Milo dovessero uscire, in fondo l’uomo non è il suo tipo. La mano è ferma. Il dito tocca il grilletto, lei non deve contare ma agire. La pallottola attraversa severamente il blocco d’aria e lo colpisce alla schiena. Lui cade con la faccia a terra e Mag si ferma per girare il capo e spaventata mette le mani davanti la bocca per fermare quello che le è rimasto in gola, un urlo di angoscia e rabbia. Qualcuno grida. Il sangue riempie la bocca di Max e Wim corre per aiutarlo. Milo fissa Destiny e si sente sempre più innamorato della sua amazzone. Max fissa il viso di Mag che con le lacrime negli occhi e prima di appoggiare la faccia a terra vede il corpo della ragazza svanire dietro la porta dei bagni che un uomo deve tenere aperta in modo che i due dalla montagna di detriti possano controllare. Max ha chiuso gli occhi, le sue forze smettono di combattere contro quella cosa caldo che lo avvolge, forse è questo il significato di morire, il torpore finale e i ricordi veloci, troppo veloci per essere assaporati. Wim abbraccia il capo dell’amico e grida in cerca di soccorso. Le lacrime gli scendono sul volto e nel suo capo il conto alla rovescia inizia da trenta ma davanti al corpo di Max, perde il filo e la concentrazione così inizia a tremare e a piangere come un bambino.

    “Sono qui amico mio, sono qui con te.”

Mag è ferma davanti alla finestra del bagno e Xilo sta osservando la scenda del padre che abbraccia il suo migliore amico. Mag non ha il coraggio di vedere la morte l’uomo che ha nel cuore. Le lacrime continuano a scenderle sul volto. Il suo corpo ha già freddo e deglutisce prima di aprire la finestra. Deve trovare in se stessa un momento per pensare. Che stai facendo Mag, domanda a se stessa, che vuoi fare che cosa vuoi provare.

    “Tu vai avanti!” grida Destiny alla ragazza.

Le lacrime non servono a molto in certi momenti. Il freddo ferma il suo dolore per sostituirlo con un’altra sofferenza, il gelo. Appena affonda le mani nella neve sul davanzale, il suo cuore inizia ad accelerare. Il cellulare di Xilo fa luce sulla massa bianca. La neve è così alta che una inghiottirà il corpo fragile della donna. Lei non sente più alcuna voce nella sua testa. E’ il momento di decidere. Mag è un automa. Si aiuta con le mani e gettata giù la neve in eccesso, sale sulla finestra e salta nella neve alta che la sommerge. Tutto il freddo del pianeta contro il suo corpo. I suoi piedi sono già ghiacciati e le sue mani cercano al buio, scavano,  mentre Xilo tenta di illuminare un pezzo d’area completamente sommerso dal bianco.  Sta morendo di freddo. Il dolore è impressionante. Le sue lacrime smettono di scendere, trema in modo spaventoso e la sua pelle fatica a difendere quel cuore che batte forte per difendersi dal freddo. Forse quell’inferno, pensa lei, serve per ricordarle il male che ha fatto, forse il suo prezzo da pagare. Sarebbe rimasta lì. Il gelo stava facendo il suo lavoro. Lo zaino è davanti alla sua mano, se lei restasse in quel preciso punto, per un paio di ore, raggomitolata, tutto finirebbe, finalmente. Tutti i mostri svanirebbero dalla sua mente e non soffrirebbe più. Non sarebbe stata più la triste cameriera, incapace di farsi una vita più dignitosa e con meno sbagli. Avrebbe trovato la pace e l’abbraccio di qualcosa che avrebbe sostituito l’amore che le è sempre mancato. Non che qualcuno si fosse mai curato di amarla veramente. Qualcuno che arrivasse sotto casa sua e dichiararle l’amore di notte, di cantare e svegliare i vicini. Qualcuno che le dicesse che ha bisogno di lei e di lei soltanto. Ok, il freddo comincia a prendersi parti del suo corpo, non sente già più le sue estremità e persino la voce di Xilo le arriva lontana. Morendo avrebbe incontrato Max dall’altra parte e forse sarebbero stati felici, forse avrebbe vissuto una nuova vita, più felice. Il buio è così tiepido quando vuoi addormentarti per sempre. Non ha nulla da lasciare al mondo in suo ricordo.

Svegliati egoista che non sei alto, sente la voce nel suo capo. C’è della gente da salvare, smettila di piangerti addosso e torna dentro, la vita di molti dipende da quello zaino, non riesce ad aprire bocca per imprecare ma il grido dentro è cosi dannatamente forte che si sveglia dal suo incubo intimista. Non sa nemmeno con quali forze ha aperto la mano congelata per prendere una delle bretelle della borsa incastrata tra i rami dell’albero. “Cazzo!” pensa, non darà soddisfazione a quei due disgraziati, non ha alcuna intenzione di farlo. Il suo stesso respiro le pesa e le pesa volere ritornare dentro, a vedere il corpo inanimato di Max, tornare alla sua inutile vita in quell’inutile appartamento e a un lavoro che nessuno avrebbe mai apprezzato.  Le gambe sono vero grande problema, sono dei macigni di pietra. Non osa nemmeno guardarsele, sa solo che sono congelate. Non sente la punta delle dita e probabilmente si è fatta la pipì addosso, cosa piacevole perché ha sentito un rivolo caldo scenderle lungo le gambe ma subito dopo è diventato umido e ghiacciato. Qualcosa brucia dentro lo stomaco e sente come se qualcuno le avesse messo la fiamma di un accendino in faccia. Le brucia tutto. Serra le labbra. Qualcosa le scende lungo le gambe. Ha le mestruazioni. Ancora la sensazione di caldo poi nuovamente freddo.

Il sangue si mescola alla neve che le deterge le gambe. Il suo corpo è bloccato e non reagisce. Appena la fitta al basso ventre finisce, decide di muoversi. Altra sofferenza.

La neve è così alta che dovrà cercare si scalarla. Procede lentissimamente. Fatica e non pensa ad altro che alla faccia di Milo che ride. Non gli darà alcuna soddisfazione. Non darà soddisfazione a quel maledetto maniaco di sopraffarla. Prova a salire ma il piede cede e cade. Tutto le fa maledettissimamente male. Dovrebbe staccare una parte del cervello collegato al dolore. Mag pensa che non provi dolore, ti stanno facendo il solletico e tu resisti, ti stanno facendo il solletico non è dolore Mag. Solo nuvole bianche Mag, stai camminando su nuvole bianche, non senti nulla, non fa male Mag, non fa male. Non vede niente e Xilo è salito sul davanzale per illuminarle la strada.

    “Pochi metri.” grida lui.

Le nuvole bianche funzionano. Il suo corpo ha smesso di mandarle segnali e lei si concentra sulla sua missione, sì perché ha deciso di avere una missione e per nulla al mondo, nulla, dovesse anche morire dopo, non mollerà. Ha mollato per troppo tempo e per ragioni meno dignitose, stavolta non mollerà perché lei ha qualcosa da dire e per farlo deve uscire da quella merdosa neve che l’assale con le sue zanne ghiacciate. Ho conosciuto mostri peggiori, parla dalla sua testa al mostro bianco. Non ti ho mai parlato di mia madre, bene, racconta lei a se stessa mentre avanza lentamente e dolosamente, bene mia madre è una donna molto pignola che crede che il mondo debba essere vissuto da persone perfette e mia madre impreca appena uscita dalla chiesa, impreca quando guida e mio padre, beh si è dimenticato che i figli non sono automi, macchinine  che seguono i sogni dei genitori, quindi tu che sei qui davanti a me, non mi procuri altro che disgusto, se dovessi temere qualcuno, ti assicuro non sarai tu. Le sue mani scavano quasi avessero la percezione degli spazi al buio. Come si combatte il Diavolo, si domanda e si risponde da sola, ma facendogli vedere il sole. Oggi c’è il sole e io sto nuotando nel mare più cristallino che abbia mai visto. C’è il sole, quindi le mie mani, anche se stanche di nuotare, caro Diavolo, avanzano e non smetteranno finché non saranno arrivate dove devono arrivare. Al detto che è più importante il viaggio che la meta, io rispondo, è importante la fede con cui vuoi fare il viaggio per avere la meta e mai avuto tanto credo in vita mia, quindi alza il culo Mag e vai avanti! Non fa male! Non fa male! Non fa male! Non fa male! a un certo punto nel suo cervello è piombato il silenzio, ma lei taciuta la voce ha alzato la testa per guardare il cielo senza stelle da cui continuavano a cadere quei demoni di ghiaccio.  Il mondo non ha bisogno di eroi, e nessuno si ricorda dei perdenti. Mag resta con me! Non mollare! E se la Morte fosse bella? La domanda la spiazza nuovamente e la blocca tremante nel ghiaccio. Le sue mani ardono e il medesimo fuoco lo sente in altre parti del corpo. Una voce nella sua testa continua a esortarla. Parlami Mag? Mag! Mag Parlami, non mollare! Ti voglio bene, qualunque cosa succeda, ricordati che io ti voglio bene, ripete a se stessa. Non mollare, sono le ultime parole della sua voce stanca che recede nelle stanze segrete della memoria. Adesso che ha detto addio a se stessa, dovrà decidere se fermarsi per sempre o provare ancora a uscire dalla bocca del mostro. Chiude gli occhi e ascolta il battito fortissimo del suo coraggioso cuore. Bum, bum, bum, bum, potrebbe contarli nonostante la velocità e probabilmente le spaccherebbero il torace per uscire fuori se potessero. Loro sono la sua ultima difesa. Le ultime barricate e non ci sono altri soldati in trincea, non ci sono parole incoraggianti e nemmeno voci dagli spalti, lei è l’ultima in se stessa a tenere lo stendardo, se crollasse in quel momento, beh, sarebbe finita, senza musica, applausi, solo un morso del buio al suo ultimo battito, ma non è ciò che vorrebbe, non andrà così perché uscirà, deve uscire da quella prigione e lottare, lotterà già lotterà. Ecco le ultime forze, assolutamente le troverà sì, beh, le troverà. Nella sua testa idee continuano a temporeggiare e i suoi piedi hanno perduto tutta la loro sensibilità. Ancora un’ora e probabilmente tutto finirà, basterebbe continuare a fantasticare su qualcosa e allora immagina di ritrovare suo figlio, il piccino che ha dato in adozione, di avere uno splendido compagno innamorato e di fare l’amore per ore, giorni e di ridere, ballare e viaggiare, poi la figura di Max che la bacia senza farla respirare riaffiora nella mente e nello stesso momento, il corpo di Max giace a terra, a faccia in giù. Dana vomita dietro un palo che sorregge la scalinata con le sedie in ferro. Tutto quell’emblematico attacco di Milo e Destiny lo hanno spiazzato e adesso che cominciano a sparare sulla gente, gente che lui conosce, vorrebbe tanto che si svegliasse presto dall’incubo.

     Noooooooo Mag, smettila di essere auto lesionista e pensa, pensa al sacrificio. Tu non sei nessuno Mag, sei una semplice cameriera, hai dato via tuo figlio ma eri giovane, inesperta, stupida. La vita ti da il diritto di imparare. Ti da il diritto di sbagliare ma non quello di morire. Tu hai pagato e il sacrificio che hai fatto, l’hai fatto per amore. Trova una via d’uscita da sta merda ghiacciata e vai a combattere, sei una donna non una bambina, dimostra che tipo donna vuoi essere.  La voce nel suo capo la convince. Tutto quello che ha fatto, l’ha fatto per amore. Troppo piccola per allevare un bambino e troppo povera per tenerlo. Era la scelta giusta in quel momento. E’ rimasta troppo tempo nella buca di tre metri di neve. Sente che il suo il volto è immobilizzato dal gelo, col corpo che ha smesso di sentire dolore in mezzo al freddo polare così a dolorose bracciate,  fa lo sforzo di arrampicarsi per emergere. Non sente più le mani e i piedi e sente le sue lacrime, piccoli pezzi di ghiaccio legati alle ciglia. Non è la neve il mostro che deve combattere, le dita dei piedi sono nere

Xilo la illumina con il cellulare e grida dentro a tutti che lo zaino è stato trovato. Lei cammina con lentezza sovrumana. Alice, Dafne, molti sono ad aspettarla con coperte pronte ad avvolgerla ma lei non si ferma all’ingresso per riscaldarsi. Vorrebbe cedere. Vorrebbe cadere ma trascina nuda, il corpo sudato, i piedi con unghie bluastre, livida, ghiacciata e lo zaino striscia perdendo piccoli pezzi di neve. Parte della testa e del collo sono bruciati. Respira affannosamente.  La sua faccia ha ustioni di secondo grado e così il resto del corpo, le sue labbra sono blu e sebbene inespressiva non mostra la sofferenza, non ha rabbia e non teme. E’ sotto shock. Wim ha trascinato il corpo di Max dietro la tana di Dana e un dottore ha controllato che fosse ancora vivo. Vorrebbe stare col suo migliore amico ma lui ha un figli che deve proteggere, non è mai stato il padre perfetto e sta pagando per questo ma Xilo non merita quella tragedia e qualsiasi cosa abbia fatto, se ne assumerà la responsabilità. Destiny tiene sotto tiro la ragazza e Milo ha un sorriso stampato sulla faccia. Destiny non vede più il corpo di Maximus. I morti li spostano.

    “Fermati dove sei, lancia lo zaino.”

La ragazza nega con la testa.

    “Uccideremo tutti, lancia lo zaino!”

La ragazza nega ancora. Destiny punta la pistola contro Mag e il suo indice preme sul grilletto. Cerbero passa sopra la testa di Destiny che perde equilibrio e cade, mentre la pistola vola via.

    “Dagli quello zaino!” si sente alle sue spalle la voce di Cotin furioso.

Milo fissa Destiny che si sta alzando e cerca la pistola che è caduta in mezzo alle macerie, Cerbero torna vicino a Mag.

    “Dagli lo zaino!” grida Wim disperato e impotente.

Amine lasciata la sua compagna che non ha mai smesso di stargli appiccicata da quando ha messo piede sul territorio svizzero, più incisivo degli altri e con una fune in mano presa dal magazzino degli animali prova a fare un lazzo. Vorrebbe fermarla e ci sarebbe riuscito se il gatto staccatosi dalle gambe della ragazza non fosse saltato in faccia all’uomo che preso da una frenesia nervosa, comincia a tirare manate in aria nella speranza di prendere il colpevole. Nessuno è in pace, tutti hanno i nervi a fior di pelle. Dalle macerie si odono delle grida e molti ancora gridano dal magazzino e dalla piccola palestra. Dominic Cambuse avrebbe la sua arma e sta meditando di usarla, non vuole morire per colpa di quella sciocca e se le sparasse, sarebbe giustificato dal negare a tutti una fine peggiore. Il gatto che ha preso di mira Amine sta saltando verso Dominic che per nulla impietosito dalla piccola grandezza della creatura, spara.

    “Non sparare al gatto! No!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!” urla Xilo che cerca di correre verso Cerbero ma troppo tardi. Il colpo sveglia da una sorta di breve letargo Margous che fissa il sangue della creatura ferita e sorda ai brividi che le corrono lungo tutto il corpo, avanza ancora di un paio di metri, disprezzata da entrambe le barricate. Un pensiero nella sua mente la taglia con una fitta di dolore che non può più percepire, Maximus è morto e per cosa?

Il suo corpo a terra, nel sangue, la gente che lo fissava e quella lontananza di tutti da lui, da lei, da chiunque volesse proteggersi a quella sorda assurdità.

    “Smettila di sparare, smettetela tutti, urla Alice isterica, non sparate!!! Dagli lo zaino Mag! Ti prego cara, ascolta, dagli quel maledetto zaino, qualunque cosa ci sa dentro non potrà peggiorare la situazione e forse le cose si sistemeranno, vero? si rivolge lei a Milo. Vero che possiamo considerare tutto un malinteso e tornare tutti in pace alle nostre case? Ti prego Mag, ti supplico, ascolta, non farlo, non andare lì, dagli quello che vuole e vieni qui, sei congelata, ti prego, ti prego, lascia che ti aiuti.” la supplica Alice che piange stringendo le mani in preghiera davanti al viso sconvolto. Mag gira il capo e guarda Dominic come si guardasse un morto. Dominic ha la pistola sul fianco pronta per il secondo sparo ma Jurre da dietro gli punta la sua arma di ordinanza al capo. L’altezza di Jurre sovrasta di un paio di palmi il dandy di mezza età in procinto di salvare il mondo.

    “Oggi non giochiamo agli eroi.” gli sussurra sottovoce nell’orecchio, mentre spinge con la volata contro l’osso del cranio e sente dentro una certa soddisfazione, qualcosa di misto a tristezza e rivincita. Probabilmente uccidere quel balordo più che fermare il criminale che decreta la fine del mondo, sarebbe l’unico raggio di luce in un buio altrimenti vincitore su tutto e su tutti. Non ha bisogno di risolvere i mali del mondo ma certi insetti, già erte creature immonde, esistono per dare a lui Jurre Mause delle certezze, ovvero che il pianeta vuole girare sempre sull’asse del bene, anche se Doiminic non è per nulla d’accordo con la teoria del il mondo è libero se la feccia resta feccia, se la feccia è la migliore cosa sul mercato in quel momento, vada per sossannarla, votarla e viverci assieme. Il dito di Cambuse spinge sul grilletto e volendo, pensa lui, potrebbe sparare prima al problema che gli spinge la canna contro l’occipitale e poi alla zombie nuda e pazza. Il vento freddo e le macerie gli ricordano di non aver indossato la sciarpa, dovrebbe sbrigarsi per poi coprirsi prima di prendersi un accidente. Jurre stringe la pistola con due mani, ha intorno a se tutti i testimoni, non può sparare per primo e vorrebbe essere più deciso ma il viso di Michel gli appare davanti agli occhi. Senza mollare la pistola incollata al capo di Dominic, Jurre scoppia in un pianto di sfogo. Dominic approfitta per predenre la sua decisione.

    “Fottiti.” risponde l’uomo con la mira pronta e le gambe divaricate per un equilibrio perfetto, sette, otto metri, potrebbe farcela a centrare quella troietta.

    “Pregami e potrei farti felice.”

    “La stronzetta va fermata. Lasciami fare, ti pago se vuoi sono ricco, voglio solo che questa situazione finisca.”

    “Tu provaci e io t’inculo.” e spinge la canna contro il capo dell’uomo che abbassa il braccio e lascia cadere l’arma a terra. Jurre cammina lentamente verso Mag. Dominic non ha alcuna intenzione di cedere alla minaccia di quel cretino, la ragazza va fermata e magari il drogato lassù lo vedrà come un eroe e almeno lui si salverà.

Jurre fissa Mag che cammina a piccoli passi e potrebbe avvicinarla e il grido di Xilo lo obbliga a girarsi di scatto e reagisce all’uomo con la pistola puntata contro le sue spalle cui spara un colpo in fronte. Il delirio è totale. Gli spari, le grida, la paura, tutto accade a una velocità che né Milo né Destiny riescono a controllare. Pe Destiny sarebbe facile, farebbe piazza pulita e poi raccoglierebbe lo zaino con la droga, ma

certe volte le cose diventano “un fatto personale” e nessuno più di lei potrebbe capirlo. Il corpo di Dominic a faccia in su è a pochi passi dal gatto agonizzante. Xilo tocca il volto dell’animale, gli accarezza le orecchie e poi appoggia il palmo della mano sul piccolo muso, una lacrima, una sola, gli scende sulla guancia “Arrivederci fratello!” pensa lui mentre preme finché gli occhi di Cerbero restano immobili e Xilo prova dentro un fuoco e con le mani sporche del sangue di Cerbero rimasto nella pozza di sangue, fissa Mag, è un falco, si avvicina a lei e prova a prendere lo zaino dalle sue mani ma lei, abbassa la testa senza esprimere alcuna emozione e con uno sforzo che le provoca un dolore  indicibile, agguanta il braccio del ragazzino e lo ferma a mezz’aria. La stretta è così dolorosa da scavare e lasciare un segno rosso sul braccio del ragazzino. Xilo guarda nei suoi occhi e si spaventa. Se il Diavolo dovesse avere un vero volto, potrebbe essere il suo.  Un corpo magro, i capelli bruciati, ferite scure sotto  le chiome attaccate al viso, le pupille fisse senza luce, palpebre immobili e un pallore disarmante. Ma quello che davvero colpisce tutti quelli che in mezzo alla neve che cade dal centro del rosone crollato sono i suoi occhi, dove solo Xilo, legge una determinazione d’acciaio. La Morte avanza in lei, con lei. Solo il quarto cavaliere dell’Apocalisse può dare tanta forza a un essere umano, altrimenti agonizzante.

Quel corpo magro con il cuore che batte all’impazzata per combattere le ferite e il freddo acuto che la sta divorando, è un automa.  Se Mag fosse una creatura orribile, tutti  si allontanerebbero per lo spavento ma lei, in quel momento è la bandiera di qualcosa di sovrumano e respira appena. Il fuoco che la brucia da dentro, le deteriora i sensi. Aveva provato qualcosa del genere, mentre faceva l’amore con Max ma anche quel ricordo diventa un incubo appena ricorda il corpo dell’uomo a terra, ucciso. Sotto i suoi piedi ci sono delle vesciche ma nonostante questo, trascina gli arti, superando gli ostacoli dei centimetri con qualcosa che la anima dentro e le tiene vivo il fuoco. Probabilmente morirà, pensa lei, perché ha smesso di sentire il dolore in molte parti del corpo, forse ha anche smesso di tremare poiché ha la sensazione di bruciare. Nonostante il fardello dei muscoli bloccati, smette di pensare alla paura e pensa a Max, pensa ai suoi sogni di violinista, pensa al momento in cui è nato suo figlio. Xilo con il suo sguardo alieno resta ipnotizzato dalla volontà di quella che mai, mai avrebbe considerato una eroina. Lei in mezzo ai due fuochi, il male e il bene che si scambiano le parti. Il bene che uccide per dare al male la sua dosi. Non ci sono vincitori ma solo perdenti quella notte. I suoi occhi, i suoi occhi su quella struttura fragile pronta a crollare, resistono e mostrano un vuoto incolmabile, rabbia forse ma soprattutto una sorta di “no way out”.  Mag è un automa, stringe il pugno e alza la borsa dalla bretella quasi all’altezza dei suoi occhi.  Le dita sono rigide ma le muove lentamente per aprire lo zaino e guarda dentro. Wim che vinto il suo attacco di panico e in un conto alla rovescia nel suo capo, prende le spalle del ragazzino e lo ferma. Lo chiude con le braccia e tutti fissano Margous che torna ad avanzare dolorosamente con le unghie dei piedi già nere, le gambe sono livide e ghiacciate, lei avanza verso la montagna di detriti, cui nessuno osa avvicinarsi. Milo è soddisfatto, ha quasi vinto e la sua opera perfetta, finirà con una vendetta perfetta, pensa ubriaco di astinenza. Un gusto amaro in bocca gli arriva dallo stomaco e le costole gli ricordano di essere ancora spezzate.

I poliziotti sono costretti a mirare contro Mag per proteggere tutti gli altri dalla   “Bomba” nelle mani di Milo ma lei non ha alcuna intenzione di fermarsi. Non li guarda nemmeno, mentre le urlano contro, mentre continuano a minacciarla, mentre Milo ride, divertito a quella paladina che sta sfidando tutti, forse perché l’unica con le palle per farlo.

    “Lascia lo zaino a terra, o ti sparo!!” grida Jurre. Altri poliziotti armati, arrivati dalla piccola palestra, dove si sentono grida di panico, puntano le loro armi contro la ragazza nuda in piedi, ghiacciata e con lo sguardo fisso su Milo che accetta la sua sfida e le ride in faccia sarcastico. Nella testa di Mag, decine, centinaia di voci vorrebbero obbligarla a dare a quella nullità la sua dose. Qualcuno la sta minacciando di morte e quella cosa non la tocca minimamente. Quelli che dovrebbero proteggerla ora la rinegano come una criminale ma lei se ne strafrega di tutti loro, delle loro piccole paure, dei loro limiti e della loro disgustosa prepotenza. E’ facile quando impugni un arma, pensa lei con il volto che è rimasto inespressivo e tanto livido da farla sembrare solo il corpo magro di un morto che cammina.

Lei scuote la testa e nega. Le braccia lungo i fianchi e la mano sinistra congelata incollata alla bretella usurata.

    “Mi sfidi? Vuoi farmela pagare?” grida Milo.

Lei si ferma davanti al monte di macerie e alza il braccio sinistro offrendo lo zaino. Piega il capo ustionato in segno di sfida a sua volta.

“Hai capito tutto eh? Brava.” Milo rimette la fiala nella borsa e scende di corsa per prendersi lo zaino, dall’altra parte del cumulo Destiny ha come un presentimento.

“Milo nooooooooooooooo!”

Milo ha una sensazione, è nella sua testa, e se chiudesse gli occhi per sempre? Se quell’orrore avesse un lieto fine? Una stanchezza immane gli pesa su tutto l’essere. Il dolore delle costole si propagano allo stomaco, poi all’addome gira il capo verso Destiny, lei non ha mai mollato e guardandola, capisce che lei non mollerà mai, ha quella cosa innata chiamata follia, talento che l’avrebbe fatta diventare qualcuno se non fosse stata tradita da chi avrebbe dovuta amarla. Lei ha diritto alla sua vendetta. Finito il pensiero incontra gli occhi di Mag e realizza il male che ha scalfitto la ragazza e la resa così ferrea. Quegli occhi lui vorrebbe leggerli, decifrarli e il suo sarcasmo si riduce a un filo di terrore. Quella cosa che si è impossessata della donna muta è talmente seducente, dannatamente forte che lo ammalia, lo eccita persino. Xilo prova a liberarsi dalla stretta del padre ma quest’ultimo lo blocca, non ha intenzione di lasciarlo andare da alcuna parte. Gli occhi del ragazzino corrono al corpo dell’amico rimasto a terra, rigido, toccato solo dai fiocchi che scendono dalla cupola rotta. Il gatto non replica al freddo entrato nel suo corpo così come Xilo non replica alla tristezza che lo invade.

    “Mi dispiace.” replica Xilo con le mani ancora insanguinate, mentre spinge il padre con il gomito per fuggire. Wim non ha avuto nemmeno il modo di rispondere e di realizzare l’intenzione del figlio. Il ragazzino prende la rincorsa in direzione della montagna di macerie davanti a Mag, la ragazza percepisce, fatica troppo per girare la testa “sto arrivando!” grida Xilo; una scintilla si accende nella mente di Margous che con una fatica inimmaginabile, spinge le ultime energie alle gambe infreddolite, immobilizzate, bluastre e inizia a sua volta a correre verso la montagna inseguita da Xilo. La ragazza non ha nemmeno le forze per sorridere al favore che Xilo le ha fatto, cosi lei chiude gli occhi con le ciglia bruciate, come per approfittare della spinta che il piccolo usando le braccia le da per volare in avanti e in quel volo capisce tutto.

Mag lancia zaino e il suo corpo contro Milo che afferra la borsa, poi una caduta libera, cosciente, liberatoria, e soprattutto veloce. Dana avverte l’istintivo bisogno di portare la mano alla bocca e per la disperazione di aggrottare la fronte in attesa di ciò che capisce che dovrà succedere.  Un rumore secco, due grida sommerse. Entrambi incontrano lo spuntone del tubo spezzato che emerge dagli ammassi di neve e legno e trapassa il corpo del giovane e entra in quello della ragazza. La borsa in mano a Milo resta sospesa sul vuoto mentre la mano destra del ragazzo, distesa che mostra la farfalla Monarca probabilmente ora libera, ha gli ultimi spasmi di vita.

A trenta metri distanza, sotto le grida disperate di Destiny e il suo pianto davanti al corpo del fratello, nella piccola palestra, Corinne porta alla luce il suo primo bambino. Il maschietto di quasi tre chili di peso,  fa sentire la sua voce appena il suo capo è fuori dalla madre e qualcuno applaude, quasi in quella tristezza, questa fosse l’unica vittoria.

 

epilogo

    All’alba i primi raggi di sole escono dalle nuvole sconfitte. Il primo bucaneve che ha spaccato la grossa lastra bianca di neve, è un buon segno. Le nuvole grigie sono svanite, lasciando dietro di se un cielo azzurro e terso. L’azzurro sdrammatizza il trauma dei giorni precedenti.  Il sole regge con forza e avvolge in caldo abbraccio ciò che prima tremava per il freddo. Dai rami degli alberi, blocchi iniziano a staccarsi, a sciogliersi. Tutto si aggiusta, il paesino ha fatto i conti con la distruzione, con i detriti, con le vittime e con i superstiti. L’Europa ha girato pagina ed è uscita dall’incubo bianco.

Margous ha perduto cinque dita dei piedi, è stata in ospedale due mesi per ustioni del terzo e quarto grado, un polmone bucato e due costole spezzate ma è sopravvissuta. Non è mai andata a cercare Max, nell’ospedale di Losanna, di cui ha saputo che la pallottola gli ha sfiorato il cuore ma non l’ha ucciso. Nemmeno lui si è fatto vedere all’ospedale di Yverdon. Mag pensa che in fondo non avevano nulla da dirsi e sarebbe stato inutile anche cercarlo per comunicargli cosa? In fondo per lui, lei non era mai contata nulla. Dopo la terapia è tornata è tornata in Italia a vivere con la sua famiglia, si è ripresa dall’abbandono di suo figlio ed è certa che un giorno lo ritroverà e gli spiegherà tutto e gli chiederà perdono. Lavora ancora come cameriera, ma studia fuori corso per diventare infermiera di sala operatoria. Ha una vocazione per aiutare il prossimo e non le dispiacerebbe riuscire a mettertela in pratica, quella cosa che sente dentro. Il suo cuore sebbene ferito, è ancora vivo e lei ha fede che l’amore prima o poi l’avvolgerà col suo sogno.  Non ha più risposto ai messaggi dal sito, non è più andata nemmeno per cancellarsi, ha girato pagina, anche se ogni tanto, pensa ancora a Milo e ai suoi occhi che le sorridevano prima che morisse. Lui le ha sorriso e ha capito che fosse un “grazie” almeno l’ha inteso così. Ha cancellato completamente l’interrogatorio, l’odio di Cotin e le minacce di Destiny. Ha cancellato tutto tranne il gesto di Xilo che non ha più rivisto ma che qualcuno ha trasmesso da parte sua, mentre lei era in ospedale, una lettera. In verità un bigliettino scritto sopra un tovagliolo con una penna che evidentemente perdeva inchiostro blu, a lei è sempre piaciuto il blu. Il biglietto appallottolato, maniera originale per trasmettere un messaggio, diceva questo con una calligrafia disordinata e un piccolo errore grammaticale “Le cose migliori sono quelle per cui combatti – se vuoi spaccare le gambe a qualcuno non ti drogare – all you need is love, sei forte X.”

    Alice si è cancellata dal sito di appuntamenti, troppi praticanti di trwuling che porterebbero a casa di tutto: code di gambero, sirenette, conigliette congelate nel botx, arnie alla moda, celie e bambole già pronte per zapping. Con la separazione, suo marito resosi conto di non trovare un’altra come lei, ha iniziato a corteggiarla sul serio e probabilmente torneranno insieme mentre la donna non ha cambiato lavoro, alla sua età non saprebbe fare altro e in fin dei conti lo stipendio non è malaccio. Le visite a Mag sono rare ma sono rimaste buone amiche.

Xilo è in un Istituto Correttivo per ragazzi con problemi di tossicodipendenza, i medici non sanno come curare quella patologia di seconda personalità fissa, ovvero quella di credersi Lucifero; il padre ha iniziato a drogarsi da quando ha scoperto la personalità di suo figlio. Le sue manie sono rimaste come all’origine e la sua smania lussuriosa l’ha allontanato completamente dall’erede che spera un giorno possa essere migliore di lui. Ogni tanto va in terapia e benché non si veda con alcuna donna, anche certe fantasie piccanti e perverse sono rimaste nella sua immaginazione un’altra cosa di cui non può proprio farne a meno. Il ragazzino ha ottenuto il permesso di giocare a Playstation una volta al mese come premio per gli studi in cui eccelle perché ha intenzione di diventare un buon medico, uno di quelli che entra nella testa della gente e sorride all’idea di potere cambiare l’Umanità a modo proprio.

Dafne ha divorziato da suo marito, che morirà da lì a poco in un incidente stradale, con la coniglietta di turno sulle sue gambe. Dana ha ottenuto la sua prima vera parte da comparsa in un serial televisivo francese, dove ha conosciuto il nuovo fidanzato, motivo per cui ha cancellato l’alias dal sito di appuntamenti. Marinon festeggerà la nascita del suo primo nipotino. Corinne è rimasta a lavorare a casa Le Flurre, oramai divisa dai litigi e problemi legali, peccato che so figlio somigli molto a Milo.

Destiny è finita in carcere con una lunga lista di imputazioni e l’unico rammarico della ragazza è suo fratellastro Milo che amava davvero. Milo è stato cremato, senza cerimonia e sepolto nel nuovo cimitero di Yverdon. Dana ogni tanto torna dai suoi impegni lavorativi per lasciargli un fiore.

La sua “Bomba” è ancora al vaglio degli esperti. Destiny non collabora con la giustizia e Cotin si è accollato tutte le spese legali, nonostante sia a sua volta imputato di pedofilia e abuso su minore.

    Primavera a Yverdon. La municipalità e la direzione del cantone Vaud, la Banca di Zurigo, hanno approvato un progetto che renderà “La Bestia” un Museo delle Belle Arti. Maximus ha rinunciato alla proprietà in cambio della promessa che la nave non sarà usata a scopo di lucro. Jurre ha collegato Destiny a molti degli omicidi di Londra e Parigi. Non si trattava di terrorismo ma solo di vile vendetta. La tizia le aveva rubato il moroso e Destiny facilitata dai soldi di famiglia e dal borseggio facile, ha trovato il modo di ucciderla. La ragazza psicopatica, è stata arrestata nella  villa dei Le Flurre. La sua relazione con eventuali terroristi non è stata ancora scoperta. Giò Russo è stato ucciso da un fornitore, poco prima di arrivare all’aeroporto internazionale di Zurigo, mentre tentava di fuggire dalla Svizzera.     

Cerbero abita nel bosco fronte lago, lì è stato seppellito da Dana e lì è rimasto. Il piccolo fiore viola di plastica si è un po’ schiarito coi raggi del sole, ma la vista sul lago è spettacolare. Un quotidiano che non trova pace, ha ricominciato la sua fuga verso una felicità umana irraggiungibile. Dal Paradiso ogni tanto si sentiranno i fulmini diretti coi temporali sugli uomini, ma qualcosa fa sperare loro che ogni sbaglio sarà perdonato da Dio che altrimenti si annoierebbe.

    I gabbiani sono tornati sui tetti della cittadina. Il traffico è limitato e l’aria è fresca ma non fredda. Il lago specchia il cielo e tutto sembra perfettamente sposato alla quiete. La Bestia è magnifica sotto i raggi del sole, magnifica e solitaria.  Una turista appena arrivata dagli Stati Uniti si ferma alla Stazione di Yverdon Les Bains, scesa dal treno, si dirige verso il centro informazioni della stazione ferroviaria.

    “Mi scusi, sono una giornalista e sto cercando questo?” mostra la fotografia della Bestia sotto la neve.

    “Corinne? beh, è diventata la mascotte della nostra città, il nuovo Sindaco pensa di farne un Museo e a buona ragione, è magnifica quella nave, pensi cento metri di rompighiaccio nelle acque di un lago, sapesse quante ne ha passate quel posto, sicuramente verrà un bel servizio giornalistico sulla nostra Bestia. Sette mesi più tardi qualcuno, durante il lavoro di restauro forzerà lo sciacquone del bagno della cambusa e qualcosa scivolerà giù per il tubo di scarico pronto a disperdersi nel lago.

 

    Venerdì undici e venti del mattino. Il sole è un impianto di calore fisso e funzionante sopra la città. Qualche piccola nuvola resiliente ma nulla che turbi il sereno colore del cielo. L’aura di smog della metropoli è una condizione sine qua non della ricchezza di rumore, traffico e condizione economica prestante che simboleggia solo benessere. La giornata non ha subito alcun attaccato alla calma abitudinaria delle folle, quindi tutto funziona bene, le metropolitane, il traffico degli autobus, dei tram e dei taxi. Chi arriva a Milano da una qualsiasi parte d’Italia o del mondo, non la sceglie di certo per i suoi silenzi ma anche in una città così frastornate così esausta di cartelloni di seminudi giganterrimi, di stronzate pubblicitarie e immagini di belve a milioni di cilindri in offerte speciali – l’amore è un processo lento.

Marciapiedi sempre più vuoti, auto sempre più strette, abbracci sempre più rari ma c’è qualcosa nel cuore di tutti gli esseri viventi, un cercarsi sprinti dai sogni di una felicità mai veramente vera mai veramente lunga ma pur sempre importante alla vita. In questa giornata qualcuno ha deciso di affrontare un cambiamento. Un uomo capace di tale scelta merita il conforto della comprensione.

 

L’uomo molto alto con le tempie larghe che mettono in risalto una vena pulsante, scende dal treno alla Stazione Centrale di Milano è Maximus Machmanm, indossa una abito blu e una cravatta color porpora appariscente quanto basta da fare nascere un sorriso a chiunque lo guardi. L’uomo oltre al giaccone non porta con se altro. Ci sono volute ore e giorni d’insonnia per decidere. Non è totalmente sicuro di essere sano di mente ma aveva fatto una scelta per la prima volta in vita sua senza volere ponderare tutti i contro e tutti i “ma”.

    Gli uomini spesso si innamorano dell’idea schivando qualunque possibilità di perseguirla per paura di perderla totalmente vivendola. La magia spesso vola via con l’abitudine. Lui pensa ai momenti cin cui lei gli è mancata.

Ha fatto un sogno strano, ha sognato di rincorrerla.  Lui è l’astronauta che cammina sulla superficie deserta della città senza doganieri al confine, senza traffico in entrata e in uscita, in assenza del rumore di gente stanca, felice, arrabbiata, ma viva. Cerca di stringere i pugni ma i guanti sono inflessibili e riesce appena a muovere il metà carpo. Di nuovo lì. La sua fronte bolle. Un mix esplosivo di chimere, di attesa, di piacere perduto, di orgasmi mattutini senza idillio, di solitudini cementate ai poteri sovrumani della speranza, prendono a pugni il testosterone. Cammina, nonostante la febbre, nonostante le tenebre siano l’unica certezza, ascoltando nel casco il rumore del proprio respiro. Inspira, espira al ritmo di un tic che ha in testa, una forza che ancora lo regge in piede e lo guida avanti. Perché i passi sono così pesanti, si domanda senza mollare la spinta sotto lo sforzo. Qualcosa lo muove in avanti e ricorda di stare male ma è certo che starebbe peggio se tornasse indietro. Tutte le pulsazioni della città sono svanite. L’ultimo rimasto non ha tempo per il cordoglio, se dovesse cedere alla paura, pensa, sarebbe il minore dei mali. Il suo cammino ha uno scopo. Il suo passo ha un dove.

Capiterà, pensa lui, che nella solitudine, tu avrai vere poche certezze diventate per necessità del resistere, abitudini e capiterà che farai ogni sforzo per migliorarti ma senza amore tutto il tuo piccolo impero non avrà alcun senso. Per questo un giorno sorteggiato a caso dal destino e dopo aver fallito tanti tentativi di cui avrai perso conta nome e numero di telefono, andrai a quell’incontro senza aspettative. Ecco perché due sono destinati perché nessuno dei mortali ha dimestichezza con la magia se non la Sorte.

Sarà in quell’attimo che percepirai che è lei! L’astronauta avanza, recuperando fotogrammi, ricordi, memoria. Il suo cuore batte, continua a fibrillare nel petto che sia un richiamo della morte, pensa, fissando la città spenta e cercando di capire dove lei sia dispersa, smarrita, prigioniera dentro uno di quei fotogrammi che lui non riesce ad afferrare perché troppo veloci. Camminare protetto lo disturba più del nulla che lo circonda e che dovrebbe intimorirlo ma che non ci riesce. Quello che morde non è la fuori ma è dentro. Nulla lo spaventa più della sua amnesia da sogno. Non è il buio che gli fa paura. Non sono le dannate ombre che premono sui suoi occhi, non è la velocità del tempo che non sente scorrere se non nella pressione del suo sangue, ma c’è qualcosa, uno strappo dentro, una pagina che lui ricorda di aver scritto e probabilmente nascosto perché non fosse perduta. Sarà la follia, sarà il peso di quella protezione, sarà che l’aria non gli arriva al cuore così lui, lui si toglie il casco e per miracolo, ricorda, ricorda dove l’ha lasciata e inizia la conta: uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette … otto. Il suo corpo è fermo sul ciglio della strada. La sua resilienza lo tiene in equilibrio sopra le dimensioni temporali. Presente, passato, futuro dentro quella stella che sorgendo gli riempie gli occhi, accoglie la luce  e soddisfatto, si dirige verso l’angolo di un piccolo palazzo, l’incubo ha lasciato spazio all’alba, lei dorme in macchina.

Adesso Max fissa il cielo e l’azzurro ridente col sole, lo spinge a fare quello che doveva aver fatto già da tempo. Prende il cellulare dalla tasca dei pantaloni, sfoglia le cartelle sul display a apre Whatsapp, si ferma in mezzo al binario 8 oramai sgombero dei viaggiatori e scrive il suo messaggio ma un attimo dopo lo cancella per registrarne uno, sicuro che la sua voce farà più presa sulla ragazza:

L’unico modo che ho per toccarti è con le parole. Tutti i sentieri che portano a te sono invisibili e bui. Tutti gli uragani hanno una formula magica per combinarsi e dopo la loro furia non resta che un cielo ancora più limpido, lo dicono i superstiti. Gallifrey non è soltanto memoria o semplice approdo, ma è la congiunzione astrale  dei folli. Più le onde sono spaventose più sono straordinarie, più il sentiero è difficile più appagante sarà il viaggio. La tempesta perfetta non è la prova delle prove ma la conferma che marinaio e timone sono un’unica cosa, una sola cosa davanti al mostro che ribolle di acque. L’unico modo che ho per toccarti, sono le prove dell’esistenza dello straordinario, poiché è in una gabbia toracica che si nasconde un sogno e devi respirare con tutti i polmoni, col diaframma per mostrare al suo timido viso, l’alba. L’unico modo che ho per toccarti, è abbattere i muri. Cielo, pareti di casa, strade, città, uomini, portarti in un’altra dimensione e resteresti senza gabbie intorno, senza difese sul cuore, senza parole sulle labbra. Le tempeste esistono per gli uomini per temprarli e prepararli a un mostro più forte che scardina il loro dentro, le loro leggi, le sicurezze, il reale. Ma non è abbattendo i muri che intendo avanzare, anzi mi fermerò a guardarti.  Sarai sull’orlo del desiderio di togliere a qualsiasi onda davanti a te, la forza e per me, quella stessa tempesta sarà una calma vigilia prima del viaggio. Non resterò, abbattuti i muri perché io sono oltre il mostro, oltre la tempesta e dovrai legarti al timone per superarlo, per arrivare, per togliere al livido dentro la forza e fare posto in te soltanto allo straordinario. L’unico modo per restarti dentro, sarà indietreggiare. Lasciarti avere paura di tutto e non darti le risposte. Farti soffrire prima del sonno e gettarti in braccia a qualsiasi chimera non abbia il mio nome. L’unico modo che ho per fermarti è farti sognare. L’unico modo che ho per dirti qualcosa è farti ascoltare, il vuoto. E tu dirai “è solo sesso”. Ebbene sì, non lo è. I mali superiori sono dure prove e per duri resilienti che incarnano sogni volti a trapassarli. Da una volontà non umana la sfida al quid delle nostre anime miscelate. Mi dirai ce la posso fare, ti risponderò, nessuno è mai certo di farcela, ma chi ci riesce, ritrova l’onnipotenza dell’essere parte di qualcosa di sconvolgente. Non ci sono buone risposte, ma domande intelligenti. Quanto? Non lo so. Perché? Non lo posso sapere. Cos’è? Mi dispiace non ho la risposta. Ma le risposte non sono tutto. I buoni piani si basano sulle teorie impossibili, sulle innovazioni più assurde. Io non so nulla ma conosco delle domande che reggono la teoria del noi sopra ogni cosa e una di queste è, e se fosse? Poiché se non fosse stato, non ci sarebbe la notte con le chimere sudate sopra i nostri occhi.

Un poliziotto di pattuglia tra i binari lo osserva sospettoso. Max si gira di spalle e continua la sua registrazione. Troppi minuti che la stanchino? Non è mai stato un posta. Quella melassa che esce dalle sue labbra sia davvero frutto del suo cuore? La sua voce continua a rullare vicino al cellulare.

“Treno in arrivo al binario 5! Attenzione!” una voce metallica prosegue il suo annuncio, nonostante questo Max continua a registrare il suo messaggio.

Certe sfide abitano il tuo sangue, da sempre. Puoi negarti a qualsiasi comando che non arrivi dalla voce dentro e se la voce ti chiama, puoi cercare di nasconderti, di tuffarti sopra una scacchiera piena di figura eppure fibrillare. Non c’è resilienza al volere se tale è supportato dai sogni. Certe sfide ci tolgono la pelle per farci sentire le cose come realmente sono. Alcuni di noi “attraversano il tempo” o qualche portale della sorte e non ricordano più la propria missione. Certi silenzi sono fatti per ricordare la sua voce, o per chiacchierare con la furia del cuore di cui non sei un domatore perfetto. Possiamo mentire e mentirci, possiamo dimenticare e scappare, possiamo cancellare, proibire e ironizzare ma quando arriva, qualunque direzione tu prenda, qualsiasi cosa tu beva, chiunque ti conforti, stai male. Non si resta adulti davanti a tutto questo. Non ci sono regole scritte e una grammatica precisa. Non esistono indicazioni stradali, mappe sicure ma solo strade senza uscite, vicoli in salita e parecchio buio. C’è un modo per uscirne? Ognuno ha dentro una stella, una bussola e il suo ago non sbaglia. Le vere belve ci aspettano dentro.  Quei desideri nella testa ci divorano e lo fanno col sole quando è alto, quasi non temessero nulla del mondo reale. Vuoi pianificare? Cosa? I battiti del tuo cuore? I migliori piani sono scritti nelle “illuminazioni” e dietro ogni piano c’è sempre un credo. Vuoi calmare il tuo cuore? allora smetti di credere. Io non ho profumo, non ho gambe, né braccia, né labbra, io sono informe come i tuoi battiti. Tu non vedi nulla della tua vera vita, dei tuoi pensieri, del tuo cuore che pompa con violenza il sangue, eppure vivi cercando di essere superiore. La vera vita è dentro e allora per eliminarmi, dovrai cancellarmi da dentro così che dal sangue, dai battiti, dai pensieri, io esca. Ma se vuoi rischiare, se la paura che affrontiamo non è se noi “non” ma se noi “sì” allora apri la porta di casa perché sto arrivando!

Margous leggerà il messaggio dieci minuti dopo e probabilmente sarebbe stata l’ultima cosa che si sarebbe aspettata di leggere quel giorno. La sua reazione è stata: non avere una reazione. Forse un brivido, o qualcosa di ancora più tremendo che pensava sedato, cancellato, annullato. Avrebbe aspettato per rispondergli?

Lei non risponde al messaggio.

E’ così nervosa e così strana e impreparata. Probabilmente lui l’avrebbe baciata per lungo tempo e probabilmente avrebbero fatto l’amore per giorni. Di lui ha solo ricordi e la sua voce i suoi occhi le mancano. No è più che nervosa, lei è elettrizzata. Si guarda addosso è ancora in pigiama e maglione a quadretti da montana. Non è possibile farsi trovare così – dovrà cambiarsi e getta un’occhiata alle unghie, un disastro! Ha meno di un’ora per sistemarsi. Lo aspetterà in casa! No! Prende il cappotto e scende in strada. Quella agitazione le mette insicurezza e gioia forse più gioia di insicurezza e vorrebbe gridarlo al mondo ma resa ferma a fissare la auto passarle davanti agli occhi. I bozzoli nello stomaco si aprono e diventano farfalle e le farfalle si liberano dolorosamente nel suo stomaco. Una sensazione di smarrimento l’assale.

Qualche ora prima la sua vita sembrava vuota e destinata al nulla del ogni giorno ed ora fulmini la attraversano facendola sentire importante, desiderata, folle. Lei sorride. Il mondo davanti ai suoi occhi non è più fatto di soli palazzi e negozi e gente distratta che fissa il proprio cellulare sperando come lei una volta, un messaggio d’amore. Alza gli occhi in alto e il cielo è rosa. I lembi delle labbra si spostano in alto e un sorriso profondo si apre sul suo volto. “E’ Primavera!” grida lei intorno ma nessuno l’ascolta e meno male, quello stato di euforia le mette le ali.

Lei, è nervosa e non sa come attendere ... così chiama la sua migliore amica che le augura felicità e la rassicura. Mentre parlano si aspetta che lui arrivi da un momento all’altro.

“Cosa dovrei dirgli?”

La voce di Alice è calma.

“Fai parlare il tuo cuore. Non fare la sciocca. Non parlare troppo e non prendere decisioni avventate, ricorda la strada che ha fatto per venire da te.” le risponde l’amica.

“Ma non è venuto all’ospedale.”

“Chiedigli perché ma non cacciarlo senza dargli il tempo di spiegarsi.”

“Sono impazzita. Dovrei chiamarlo non gli nemmeno risposto al messaggio e penserà che lo stia prendendo in giro.”

“Se è arrivato fino a Milano per te non credo abbia intenzione di ritornare a casa senza vederti.”

“Credi?”

“Ma sì sciocca. E’ un uomo e ha preso una decisione. Dagli fiducia. Pensa che farete sesso, tanto bel sano e divertente sesso!”

“Scema.,”

“Ehi! Non sei monaca di clausura, hai bisogno di un uomo e a quanto pare quell’uomo ha bisogno di te.”

“Non saprei. Voglio e un attimo dopo non lo voglio più pensando al passato. Sono entusiasta ma anche incazzata, forse più incazzata … ma hai ragione devo vederlo.”

“Dagli una possibilità cara.”

“Continui a ripetermelo ed io sono già in strada. Ho qualche perplessità ..”

Il roboante motore di una motocicletta attraversa l’aria e rende impossibile la conversazione.

“Adesso smettila, grida Alice, smettila di fare capricci, hai idea di quanto sia difficile per lui ammettere di volerti a ogni costo e dispetto di tutto?”

La voce di Alice ha continuato a risuonare nelle orecchie di Mag. La moto sorpassa la fila ferma di auto in colonna lunga, il semaforo è rosso ma un masso caduto accidentalmente a un camion, blocca il traffico.

Il taxi è fermo in colonna.

“Siamo quasi arrivati.” avverte la voce spazientita del conducente. Max fissa dal finestrino del taxi i palazzi grigi le insegne colorate e quel rosso del semaforo che in quel momento detesta perché ferma la sua corsa mentre i battiti ruggiscono nel petto. Ha una sua teoria sulle donne. Le donne esistono per terrorizzare, calmare e ammansire gli uomini che cederanno per legge della natura in quanto sesso debole e lui si riconosceva in questa dipendenza e debolezza.

Da quando è sceso dalla stazione non ha mai mollato dalle mani il suo cellulare. Compone il numero di Mag ma è occupato. I suoi occhi brillano ipnotizzati dal blu del cielo … sorride col capo rivolto all’alto come se sentisse  la risposta a tutte le sue domande. Finalmente la speranza gli porterà gioia. Lo sente. un motociclista sfiora il taxi e il conducente impreca malamente contro.

“Guarda sto cornuto!!!!”

Max non lo vede nemmeno, immerso com’è nei propri pensieri. Il semaforo torna verde e la motocicletta sfreccia aumentando velocità ma la colonna è ferma. L’accelerazione è disumana e il masso fermo appare appena il ragazzo supera il grosso camion che ne ostacolava la vista. Mag chiude la conversazione con Alice e guarda l’ora. Lui dovrebbe essere quassi arrivato. E’ pronta. Cammina sul marciapiedi come se volasse, le sue dita cercano di aprire la rubrica. Dovrebbe chiamarlo.  Col cuore raggiante si gira verso la strada e non nota nemmeno il traffico, il ruggito feroce dei clacson e quella moto nera perde malamente il controllo e malamente prende in pieno il masso. Il ragazzo finisce sul paraurti dell’auto posteggiata sulla corsia opposta ma la moto fa un volo di venti metri. L’urto è l’ultima cosa che Mag vede che mai ricorderà mentre Max in colonna controlla sul cellulare la chiamata in arrivo del suo amore.

fine

 


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