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Sommario degli strumenti
Metrica 1
Figure retoriche
Esempi
La metrica è la disciplina che si occupa della struttura ritmica dei versi e della loro tecnica compositiva. Elementi strutturali di un testo poetico sono: lunghezza del verso, ritmo, Versi italiani, figure metriche, licenze poetiche, rima, strofa, componimenti poetici. |
Significa scavalcamento. Indica il fenomeno metrico per cui la frase logica del discorso poetico non coincide con il verso, ma prosegue in quello successivo (scavalcando quindi il primo); da Torquato Tasso è stato chiamato inarcatura. Forse perché della fatal quiete tu sei l’immago a me sì cara vieni o Sera! E quando ti corteggian liete le nubi estive e i zeffiri sereni e quando dal nevoso aere inquiete tenebre e lunghe all’universo meni sempre scendi invocata, e le secrete vie del mio cor soavemente tieni. Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme che vanno al nulla eterno; e intanto fugge questo reo tempo, e van con lui le torme delle cure onde meco egli si strugge; e mentre io guardo la tua pace, dorme quello spirto guerrier ch’entro mi rugge. (U. Foscolo, Alla sera) |
Il verso ipèrmetro ha una sillaba in più del normale, il verso ipòmetro una di meno. L'ultima sillaba del verso ipermetro si elide con la prima sillaba del verso successivo (episinalefe), oppure viene assegnata al verso seguente, ipometro, avente una sillaba in meno. Non/ far/ pian/ge/re/ pian/ge/re/ pian/ge/re >>> novenario sdrucciolo + sillaba -re (ancora!) chi tanto soffrì >>> novenario tronco (G. Pascoli, La voce, 33-34) L'ultima sillaba -re si elide con an/cora del verso successivo. Si/ don/do/la/ don/do/la/ don/do/la >>> novenario sdrucciolo senza rumore la cuna >>> ottonario piano, ipòmetro nel mezzo al silenzio profondo. >>> novenario piano (G. Pascoli, Il sogno della Vergine, 49-51) L'ultima sillaba -la viene assegnata al verso seguente, ipòmetro, che così diventa novenario. Notare la rima dondo, profondo. Non un passo, non una voce >>> novenario piano mai/. Vi/von/, lo/ro/, tran/quil/li >>> ottonario piano, ipòmetro in/tor/no/ la/ cro/ce. >>> senario, ipèrmetro (G. Pascoli, La figlia maggiore, 14-16) La sillaba -in del verso ipèrmetro viene assorbita dal verso precedente: così si ottengono un quinario e un novenario. E', quella infinita tempesta, >>> novenario piano finita in un rivo canoro. >>> novenario piano Dei/ ful/mi/ni/ fra/gi/li re/sta/no >>> novenario sdrucciolo cir/ri/ di/ por/po/ra e/ d'o/ro. >>> ottonario piano, verso ipòmetro (G. Pascoli, La mia sera, 17-20) L'ultima sillaba -no viene assegnata al verso seguente che diventa novenario. Notare la rima tempesta, resta. |
Il verso si dice piano, se termina con una parola piana (accento tonico sulla penultima sillaba); sdrucciolo, se termina con una parola sdrucciola (accento tonico sulla terzultima sillaba); tronco, se termina con una parola tronca (accento tonico sull’ultima sillaba). E / vi / ri / ve / do, o / gat / ti / ci / d’ar / gén / to, (endecasillabi piani = 11 sillabe) brulli in questa giornata sementìna: e pigra ancor la nebbia mattutìna sfuma dorata intorno ogni sarménto. (G. Pascoli, I gattici, vv 1-4) I cipressi che a Bolgheri alti e schiétti van / da / San / Gui / do in / du / pli / ce / fi / làr, (endecasillabo tronco = 10 sillabe) quasi in corsa giganti giovinétti mi balzarono incontro e mi guardàr. (G. Carducci, Davanti San Guido, vv 1-4) Ec / co / l’ac / qua / che / scro / scia e il / tuon / che / brón / to / la: (endecasillabi sdruccioli = 12 sillabe) porge il capo il vitel da la stalla ùmida, la gallina scotendo l’ali strèpita, profondo nel verzier sospira il cùculo ed i bambini sopra l’aia sàltano. (G. Carducci, Canto di Marzo, vv 21-25) Spar / sa / le / trec / ce / mór / bi / de (settenario sdrucciolo = 8 sillabe) sul / l’af / fan / no / so / pèt / to, (settenario piano = 7 sillabe) lenta le palme, e rorida di morte il bianco aspetto, giace la pia, col tremolo sguar / do / cer / can / do il / ciél. (settenario tronco = 6 sillabe) (A. Manzoni, Morte di Ermengarda, vv 1-6) Quan / do / rit / to il / do / ge an / tì / co (ottonario piano = 8 sillabe) su / l’an / ti / co / bu / cen / tà / u / ro (ottonario sdrucciolo = 9 sillabe) l’a / nel / d’o / ro / da / va al / màr, (ottonario tronco = 7 sillabe) e vedeasi, al fiato amico de la grande sposa cerula, il crin bianco svolazzar; (G. Carducci, Le nozze del mare, vv 1-6) |
La rima è un altro elemento importante nella poesia, anche se non indispensabile. Essa unisce due o più versi che terminano con parole identiche a partire dall’ultima vocale accentata.
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Il numero dei versi non è fisso e varia.
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La canzone antica o petrarchesca è un componimento di varia lunghezza composto da cinque o più stanze, chiuse da un congedo. I versi utilizzati sono i più nobili della tradizione, cioè endecasillabi e settenari. Dal Cinquecento ha subito delle modifiche e nell’Ottocento si è evoluta in canzone libera o leopardiana, dove endecasillabi e settenari si alternano senza schemi fissi.
Canzone petrarchesca
S’egli è pur mio destino,
Tempo verrà ancor forse
Da’ be’ rami scendea,
Quante volte diss’io
Canzone leopardiana |
Componimento poetico di contenuto nobile e profondo, privo di uno schema metrico preciso e vario nei tipi di versi che possono essere settenari, ottonari, decasillabi, doppi quinari, doppi senari. Si sviluppò nel Cinquecento ad imitazione dei classici greci e latini: Anacreonte, Pindaro, Saffo, Orazio. È stata molto utilizzata dai nostri poeti: Parini, Foscolo, Manzoni, Carducci, Pascoli, D’Annunzio. Se tratta di argomenti civili o religiosi, prende il nome di inno. |
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Autore dei testi: Lorenzo De Ninis
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