Scritti di Diego Cocolo


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Diego Cocolo

Oggi, su “Internet” si corre, si salta da un sito all’altro, si inseguono gli itinerari più svariati ed impensati, ci si perde e poi ci si ritrova; perciò Diego Cocolo ( 23-06-1927), scrive puntando sulla versatilità, passa da testi di cronaca personale a citazioni storiche, da ricostruzioni geografiche a riflessioni filosofiche. Il bisogno della letteratura, secondo le parole dell’autore “è agilità, mobilità , disinvoltura nel saltare da un’ argomento all’altro, nell’esigenza di affrontare le più svariate tematiche, siano esse storiche che filosofico- scientifiche.” Si sofferma a riflettere sulle note dello “Zibaldone” di Giacomo Leopardi , che definisce lo stile con parole quanto mai attuali: “La rapidità e la concisione dello stile deve presentare all’anima una folla di idee simultanee che fanno ondeggiare l’anima in una tale abbondanza di pensieri, o d’immagini e sensazioni spirituali, ch’ella o non è capace di abbracciarle tutte, e pienamente ciascuna, o non ha tempo di restare in ozio e priva di sensazioni…” Diego Cocolo, da autodidatta scrive per regalarci “emozioni” rievocando momenti di vita vissuta. Tra le sue opere ricordiamo: - L’isola felice che non c’è - I giganti fumanti - Oltre l’orizzonte - Il vento della sera - Giro lungo, nell’America dell’Ovest - Ma il dolore non ha una bandiera - Note di viaggio: città e sentieri del bel paese - Perché nulla vada disperso - Dolomiti e sentieri d’Italia - Il sale della vita-
Trovate opere e dipinti sul sito: http://www.tizianaweb.it/diegococolo.htm

Raccolta 6


OMELIA DI DON ENRICO NEL FUNERALE DI COCOLO DIEGO .

sabato 21/04/2012 ore 09.00

"Quando tornerò a casa, mi condurrai alla Messa in carrozzella", sono le parole che il nostro carissimo Maresciallo Maggiore Diego rivolse al suo amico Tullio qualche giorno prima di lasciare questo mondo. Diego ha lasciato la sua cara Adriana, la sua amata figlia Tiziana, il suo Don (come era solito chiamarmi), i suoi amici, le persone di Campitello che salutava con devozione e rispetto mentre stringeva tra i denti la sua inseparabile pipa, per entrare in un regno ben più prezioso e affascinante di questo povero mondo; e Diego lo sapeva bene dove si va a finire dopo la morte: tra le braccia misericordiose del Padre, stretti in un abbraccio d’amore che non avrà più fine. Così ce lo ha appena ricordato San Paolo nella lettera ai Romani quando dice: "Nulla mai potrà separarci da quell’amore che Dio ci ha rivelato in Cristo Gesù nostro Signore." (Rom. 8, 39).

Lo sapeva bene Diego questo, perché la sua vita era illuminata dalla luce della fede, che alimentava ogni Domenica alla fonte dell’Eucaristia in questa "affascinante” Chiesa (come lui la definiva spesso), dove si riunisce la comunità cristiana nel giorno del Signore.

Ricordo bene che spesso, quando alla Messa delle ore 11.00 da lui puntualmente frequentata, mentre procedevo nella corsia centrale per la processione introitale, mi batteva la mano sulla spalla e con un cenno di saluto mi sussurrava piano piano: “Non si preoccupi, don Enrico, se c’é poca gente, ci siamo noi! “ Sono le parole di un cristiano che voleva condividere con delicatezza l’ansia pastorale del suo parroco, immaginando il suo dispiacere nel vedere alcuni banchi vuoti.

Non posso dimenticare quel pomeriggio, poco tempo prima di Pasqua, quando mi sono recato a fargli visita presso l’ospedale Carlo Poma nel reparto di Oncologia dopo alcuni giorni dal suo ricovero, come mi accolse con gioia, quasi facendomi capire: "Finalmente sei arrivato" e accennando un abbraccio sottovoce mi disse: "Ha gia preparato il mio sermone? ". Era l’espressione di un uomo che, pur provato e debilitato nel corpo, non era affatto sconfitto e amareggiato

nell’anima, perché era gia preparato per incontrare il suo Signore. Ecco il segreto del suo sorriso pieno di fiducia e di speranza, senza far trasparire nulla della sua sofferenza tisica ed interiore. Anche nella vita dei santi, leggiamo testimonianze che nel momento di lasciare questo mondo ci edificano e ci incoraggiano, ma soprattutto ci fanno capire che non temevano la morte perché sapevano bene cosa li attendeva: il cielo, il Paradiso, la gioia del Signore senza fine. Pochi giorni fa (precisamente Mercoledi 4 Aprile) abbiamo celebrato la memoria del beato Francesco Marto, uno dei tre pastorelli di Fatima, che vide la Madonna il 13 Maggio 1917 insieme alla sorella Giacinta e la cugina Lucia. Fu il primo ad ammalarsi quando nel 1919 scoppio l’epidemia di "febbre spagnola"

che decimo l’Europa. Ma sopporto tutto senza un lamento e, prima di morire, disse a Lucia: “Ormai mi manca poco per andare in cielo. Lassù consolerò molto nostro Signore e la Madonna.” 

Questo continuo riferimento al "cielo" lo ritroviamo spesso anche nelle composizioni di Diego in veste di poeta, le quali riprendono lo stesso slancio e passione tipiche dei santi, un desiderio di comunione profonda con il Signore, una nostalgia della sua pace e della sua consolazione, una fede profonda nella vita oltre la morte. Vi voglio offrire a questo proposito uno stralcio della sua poesia intitolata "Preghiera per la vita", che mi consegnò in quella mia prima visita come augurio

pasquale non solo per me, ma per tutta la comunità cristiana:”L ’amore di Dio é passato attraverso il tuo cuore, o Maria lo so che sei entrata nella nostra tormentata storia ….  Maria, siamo figli della tua sofferenza e noi veniamo a te per riempirla di luce e di speranza. Maria, la tua bontà ci ispira fiducia.. Accompagna benevolmente la nostra preghiera.” 

Non vi sembra questa una testimonianza eroica, per di più avvalorata da una penna che scrive su un letto d’ospedale tra le sofferenze dentro il corpo di un malato grave, che non dispera dell’amore di Dio, ma si affida a lui completamente mediante la Madre Maria, come è raro trovare nelle persone di questo mondo? Negli incontri successivi il grande insegnamento che ricevevo era sempre quello: Diego mi faceva capire, anche col suo silenzio che nascondeva una sofferenza interiore, che non sono le grandi cose che rendono grandi gli uomini, ma le piccole, spesso nascoste e insignificanti agli occhi del mondo, ma non certamente agli occhi di Dio, perché il mondo, lo sappiamo bene, guarda alle apparenze, Dio invece guarda al cuore.

Anche il Vangelo di Matteo (13, 44-47) che abbiamo appena letto, ci ha fatto capire che la meta é Dio, che siamo fatti per Lui, per il cielo. Questo é il tesoro da cercare. La vita e un dono troppo prezioso per essere sciupato e banalizzato e non deve essere ridotta ad emozioni e passioni per spremere più che si può dalle occasioni che di giorno in giorno si presentano; ma la vita per il cristiano e come un pellegrinaggio alla ricerca e alla scoperta del vero tesoro che non finisce

mai, perché il tesoro e l’Amore di Dio che e racchiuso nei nostri cuori.

Ora Diego e pronto per consegnarsi a quel tesoro prezioso che ha cercato nella sua vita e che finalmente ha trovato come ci ricorda lui stesso in questa poesia tra le ultime da lui composte e consegnatami personalmente come testamento spirituale che intende trasmettere e regalare a ciascuno di noi perché lo conserviamo gelosamente: “Ogni sera prima di addormentarmi, guardo il cielo stellato, alla ricerca nel firmamento della mia stella. Ma poi mi addormento con il profumo e il sapore di te. T u sei vicino al mio cuore.” 

La stella che brilla per l’eternità ora ti illumina, caro Diego, e questa stella che sorge dall’oriente (come dice la sacra liturgia), è Cristo, il cui volto che ora tu stai contemplando con gli angeli e i santi é avvolto di una luce che non tramonta mai. E mentre ti immaginiamo con la penna in mano per scrivere la poesia più bella della tua vita dinnanzi a quel volto trasfigurato, ti chiediamo di pregare per la tua cara sposa Adriana, la tua amata figlia Tiziana, per i tuoi famigliari, per don

Enrico, per questa comunità cristiana perché un po’ di quella luce abbagli anche ciascuno di noi e ci faccia provare tanta nostalgia di quel Paradiso che ora ti accoglie per sempre.  

                                                                                                                                          Don Enrico.

 

I giovani non hanno momenti per riflettere
Quando si è giovani quindicenni si è ancora acerbi; ricordo con gli amici un episodio successo dopo l'8 settembre del quarantatre. La truppe tedesche si attestavano verso Salerno, gli americani sbarcarono sulle coste calabre. A Cosoleto c'era un posto d'avvistamento della milizia nazionale fascista. Avevano requisito una casa in mezzo ai vigneti, sopra l'acquedotto avevano sistemato una serie di razzi di comunicazione che segnalavano ogni aereo che passava e la sua provenienza per allertare le artiglierie di Reggio Calabria. Quando si sentì alla radio che l'Italia si era alleata con gli americani, i soldati buttarono via tutto, armi, divise e sparirono.
Noi ragazzi non avevamo momenti per riflettere e siamo andati in questo luogo, ove c'erano le postazioni militari, erano posizionati i razzi di segnalazione e noi pensando di fare chissà che cosa, alla notte abbiamo lanciato alcuni razzi credendoli fuochi artificiali.
Nel cielo, una scarica di razzi sul litorale di Palmi e Gioia Tauro . Le truppe accampate all'interno del paese vedendo questi razzi in cielo si allertarono; un carro armato piazzato all'inizio del paese era pronto a distruggere tutto, due motociclisti americani, dalla piana di Gioia Tauro salirono fino al paese per vedere cos'era successo e se ci fossero state truppe in attesa di combattere.
Questo luogo fu ispezionato e noi ragazzi scappammo via: era stata una ragazzata.
Ecco perché spesso i ragazzi non hanno tempo per riflettere, non sanno ciò che è giusto e ciò che è sbagliato: ma noi eravamo solo ragazzi ed i ragazzi sono sempre perdonabili.
E' stato un momento di paura ma il peggio era passato.
I tedeschi, avevano abbandonato sotto gli ulivi le munizioni e i loro armamenti e tutti i ragazzi si divertivano a smontare e rimontare le armi, talvolta lasciandovi braccia, gambe ed occhi…
Molti miei amici restarono mutilati per questo motivo.Una squadra di artificieri si è fermata sulla zona per bonificarla e renderla meno pericolosa: momenti tristi della nostra storia.
Per le strade, camionette abbandonate, camion nei fossi e i meccanici del paese smontavano i motori per riutilizzarli, sembrava tutto un cantiere militare.
Carri armati capovolti, si raccoglievano uomini morti e si seppellivano. Pagine sconosciute di storia.
Io e mio cugino Giuseppe abbiamo scoperto dentro un garage una vecchia motocicletta tedesca , l'abbiamo messa in ordine e lui, più anziano di me ha iniziato a guidarla per le strade del paese, non so che fine, poi abbia fatto.

La tradizione delle "Colombe pasquali"
Era grande tradizione che tutti i bambini dovevano andare a Messa con la "Colomba pasquale"
Teresa, mia madre non aveva gli ingredienti per cucinarle e confezionarle e allora una mattina di fine marzo, mio fratellino Rosario ed io siamo andati a trovare Giovanni in campagna, un nostro cugino che lavorava al frantoio con mio padre. Coltivava un terreno ove seminava grano, cereali, aveva una vigna ed un aranceto.
Mia madre mi mise al collo una bisaccia e senza scarpe, perché in marzo noi bambini andavamo scalzi per non consumare le scarpe per le stagioni fredde, ci avviammo verso Marviano per andare in visita al cugino.
Appena ci vide, ci ricevette molto felicemente. Maria, mia sorella, lavorava sempre in fattoria dalla semina del grano alla trebbiatura. Ci vide:" Venite bambini, avete già mangiato qualcosa?" e ci rifocillammo con latte e pane. "Siamo venuti, perché la mamma non ha ingredienti per fare le colombe e tra poco è Pasqua…lei ti chiede se hai qualcosa da darci" Nella bisaccia mise due chili di farina, dodici uova e un po' di strutto di maiale. Latte non ce n'era perché la capra non ne faceva, ma ci diede fichi secchi e alcune arance. Ci ha accompagnato per un tratto di strada fino a "Vignacurta" una fattoria di fronte la stalla di Francesco Zucchi, un nostro compagno di scuola delle elementari. Siamo entrati per scaldarci, non aveva la madre, ma la zia; allevavano mucche e vitelli anche se non producevano formaggi.
Mia zia ci ha messo un bel pane nella bisaccia senza che noi ce ne accorgessimo e una bottiglia di latte. Francesco ci ha accompagnati vicino al paese perché ci ha dato una mano con la bisaccia che era molto pesante ove c'era anche uva passa per la colomba.
Siamo arrivati a casa stanchi ma felici.
Durante la notte, mamma Teresa ha impastato il composito e ha fatto due belle colombe con quattro uova ciascuna; in genere ne matteva solo due, da ciò si dimostrava che non eravamo poveri.
Le altre colombe, quelle di Maria e di zia Cristina erano di semplice pane con un uovo sopra.
In casa non c'era zucchero: la "bagnarota" girava per le strade per vendere la sua merce e fermatasi a casa nostra ci propose di scambiare dello zucchero con un litro d'olio d'oliva che a noi non mancava mai. Avanzò farina anche per le tagliatelle e allora mia madre tirò il collo alla gallina piu' vecchia per fare il ragu'. La mattina di Pasqua si diffuse nell'aria un delizioso profumo di dolci. Indossammo i vestitini migliori e gli stivaletti in gomma per le grandi occasioni : io e Rosario andammo a Messa e ci sedemmo davanti, nei primi banchi vicini ai ragazzi ricchi, con le nostre colombe in mano (come richiedeva la tradizione) che sembravano fatte in pasticceria….
Abbiamo fatto invidia a tutti gli altri e un nostro amico che aveva un negozio ci dono' anche una bottiglia di vino. Sulla tavola pasquale anche le tagliatelle fumanti con il ragu' di gallina, invitammo anche zia Cristina che abitava a fianco a noi, per festeggiare insieme.
Eravamo felici quel giorno di Pasqua.

Sull'Aspromonte mancava la comunicazione ma non il "coraggio"
Otto settembre del quarantatrè: cinque anni di guerra terminati. L'Italia aveva firmato l'armistizio con l'America e le battaglie navali si trasferirono lungo le coste calabresi.
Sull'Aspromonte un battaglione di paracadutisti aveva preso posizione, le nostre truppe furono prese di sorpresa: "è mancata la comunicazione ma non il coraggio." Fu una battaglia storica.
Le truppe tedesche si defilarono sotto il grande uliveto della piana di Gioia Tauro, anche a Cosoleto si accamparono sotto i balconi delle case e dopo alcune settimane le truppe tedesche si attestarono nel porto di Sorrento. Le truppe alleate continuavano a percorrere il litorale calabro verso nord.
I paesi della Calabria costiera, furono abbandonati; l'annonaria non forniva più pane e provviste, i magazzini erano esauriti, la popolazione allo sbaraglio.
Noi, piccoli contadini coltivavamo appezzamenti di terreno in varie località: cereali, grano, pomodori e verdure.
Le nostre mamme raccoglievano tutto ciò che potevano nelle campagne per poi essiccarli e conservarli per la stagione invernale.
Raccoglievano i fichi e li facevano essiccare al sole, le melanzane sotto sale.
Il paese era circondato da un torrente che forniva acqua potabile; lungo le rive ci sono ancora oggi boschi di castagne e frutti di bosco. In autunno si andava a castagne, il pane dei poveri. Dai boschi si ricavava la legna per accendere il fuoco e cucinare le castagne.
Tutto veniva conservato con devozione e rispetto, ogni piccola cosa serviva al proseguimento della nostra vita.
Nel boschi raccoglievamo i funghi che venivano selezionati e conservati.
Una cosa trascurata voleva dire un giorno senza cibo.
Si raccoglievano persino le ghiande per alimentare Pasqualino, un maialino che ci seguiva come un cagnolino. Non c'era molto mangime e perciò cresceva lentamente; talvolta in inverno anche lui serviva per fornirci carne e lardo.
Ciò che abbondava in casa era l'olio d'oliva ricavato dalle nostre piante. Nelle giare venivano conservate le olive in salamoia.

Ognuno chiude dietro di se' il cancelletto della fanciullezza e segue la scia di chi prima di noi.
Paese mio…. che stai ai piedi di una verde collina di uliveti e castagneti.
Il nostro è un antico borgo di vecchi palazzi, costruito dagli antichi greci.
Si racconta che al termine della guerra di Troia, i greci sbarcarono sulla costa della Calabria, portando gli ulivi, gli agrumi e la vite.
Non si conosce la data esatta, ma il primo borgo di Cosoleto è sprofondato in un grande lago, in seguito ad un abbassamento del terreno, li' sono rimasti solo i ruderi del castello; quindi fu ricostruito l'attuale paese nella medesima posizione e prese il nome di "Cusolito"
E' un altopiano da cui si vede il mare, è circondato da torrenti e da sorgenti d'acqua corrente.
In questo paese non c'erano per noi giovani prospettive di un prossimo futuro, ad un certo punto uno chiude il cancelletto della propria fanciullezza, come si dice, e si segue chi prima di te ha iniziato l'emigrazione; non si sapeva se sarebbero state rose o spine ma bisognava seguire la loro scia-
Io sono stato fortunato, ho seguito la carriera militare nell'Arma Benemerita , ho raggiunto il massimo grado dei sottufficiali, coronando cosi' il sogno di mia madre Teresa che mi accompagnò alla corriera e mi disse:"… vai mio piccolo cavaliere e torna valoroso." Sarebbe felice di sapermi "cavaliere della repubblica."
 

Due chili di grano
Seconda guerra mondiale: i tedeschi erano in fuga, gli americani erano da poco sbarcati, non c'era piu' nulla da mangiare, Maria, mia sorella ha pulito il granaio e ha ricavato due chili di grano, li ha messi in un sacchetto che mi ha spedito al mulino. Quindi con quella farina c'era da mangiare tagliatelle per una settimana.
Vicino al mulino sul fiume c'erano i militari italiani che avevano situato delle contraeree, uno di essi mi ha disse: "Dove vai ragazzo? "
Risposi:"Sono andato al mulino per sopravvivere qualche giorno"..
Allora lui: "Fermati, non andare via" mi riempì il sacchetto di scatolame e di gallette
" Prima che li mangino i tedeschi, è meglio che li mangiate voi…. "
In famiglia sembrava fosse tornata la ricchezza.
Basta poco per fare felice una famiglia; ieri come oggi.
 

 

 
Il Trenino Rosso del Bernina:
Cent’anni portati bene.

Escursionismo
Il trenino del Bernina


Oggi non siamo qui davanti al nostro personal computer, per descrivere le consuete passeggiate sui sentieri Alpini e Dolomitici, su quel paesaggio innevato ed ovattato dalla neve, per scoprire che la tendenza del nostro corpo, nonostante la leggerezza dell'aria e dello spirito, è comunque quella d scendere verso il basso e poi, già che ci siamo fino a valle, mentre oggi ci succede al contrario, dalla grande valle terrazzata di Tirano, saliamo verso il Morteratschh, il ghiacciaio più grande delle Alpi Retiche, dove regna il silenzio e la solitudine interiore di questi luoghi incantati, di questi luoghi dei folletti e delle fate.
Il CAI di Mantova, sotto la guida sapiente dell'amico Sandro Zanellini, ha messo da parte i tradizionali sentieri dolomitici, e ha come si vuol dire, rotto il guscio ed ha varcato i confini del nostro meraviglioso Paese, per scoprire una località particolare e non consueta alla maggior parte di noi vecchi veterani dell'escursionismo nostrano.
Mentre il Trenino Rosso, attraversava la grande vallata gelata al cospetto del grande e superbo ghiacciaio, dove regna soprattutto la pace, la meditazione, l'armonia e la bellezza dei luoghi, della luce e dei colori, ma soprattutto dove regna il silenzio, che per un attimo ti sembra di rivivere quel religioso silenzio dei chiostri. Ad un tratto del percorso, Adriana mia moglie, parlando del silenzio, mi ha chiesto:
" Ma da dove scaturisce tanta pace e questo infinito Silenzio ovattato dalla grande valle ghiacciata?"
Oh, si, il silenzio, viene di là dei tempi, dalle epoche anteriori ai mondi, dai luoghi dove i mondi più non esistono".

Ci voleva proprio il famoso "Trenino Rosso: una ferrovia internazionale a scartamento ridotto Tirano- Bernina - At Moritz" Il treno che scala le montagne incantate, per farci scoprire una pagina l'una meravigliosa favola creata dalla tecnologia e alla sapiente mano dell'uomo. Si, è proprio così, oggi parleremo di un trenino che scala le montagne in uno scenario spettacolare da quinta teatrale: un indimenticabile percorso ferroviario che inizia, appunto da Tirano e termina nella bellissima cittadina di St Moritz, in territorio Elvetico.
Prima di iniziare a parlare di questo nostro viaggio mozzafiato sul Trenino Rosso, che supera una pendenza del 7 % ( senza cremagliera), raggiungendo un'altitudine di 2253 metri sul livello del mare, che senza dubbio, è una cosa unica in Europa, ci dobbiamo soffermare e raccontare le nostre impressioni sulla cittadina di frontiera di Tirano, che sorge in una bellissima vallata terrazzata, dove germoglia fin dall'antichità, la vite, probabilmente portata dai .Romani. Tirano conserva resti delle mura e del castello medioevali, due porte turrite del XV secolo ( erette per volere di Lodovico il Mori), la quattrocentesca collegiata di St Martino, con campanile romanico e bel portale laterale. Palazzi signorili dei secoli XVI. XVII e XVIII, adorni e di stucchi e "stufe" pregevoli affreschi, stucchi e "stufe". Notevolissimo è il Santuario della Madonna di Tirano, con portale romanico e l'interno di un bellissimo barocco fiorito, mentre l'organo ligneo è l'opera più pregevole che dà al Santuario la larga fama e suscita l'ammirazione dei visitatori. Silvio il bravissimo conducente del pesante pullman, appena entrato nel centro storico della bella cittadina di Tirano, con una manovra a lui congeniale, che fa parte delle sue quotidiane abitudini, ha effettuato un seme giro della piazza e si è andato a fermare proprio di fronte alla collegiata di San Martino, dove è ubicato un bar, dandoci la possibilità di poter sorbire in santa pace, la tradizionale tazzina di caffè fumante. Gioia e delizia di noi italiani. Poco discosto della collegiata di San Martino, sorge il Palazzo Salis dove eravamo attesi dalla simpatica bravissima signora Angela, la direttrice dell'antica casa vinicola Salis. Appena ci ha visti, ci ha accolti con il tradizionale saluto: "Allegra!" che è il saluto ospitale degli Engadinesi si scambiano quando si incontrano. La signora Angela ci stava aspettando per la visita dell'antico maniero. La storia della famiglia Salis ha origine nel lontano Medioevo, quando attorno al XII secolo i primi rappresentanti infeudati dal vescovo di Coira, si trasferirono dalle originarie terre comasche a Soglio in val Bregaglia, la valle che da Chiavenna porta nord- est verso l'Engadina, qui ebbero origine vari rami della famiglia Salis, che si sparsero successivamente in diverse località dell'attuale Svizzera, soprattutto nella regione di Coira. Un ramo della famiglia Salis, e precisamente Rodolfo Andrea von Salis Zizers fu infeudato di vari beni in Valtellina e cosi toccò al figlio Giovanni pensare ad amministrarli Dopo essersi stabilito a Tirano nel 1646, egli fu nominato due volte podestà Grigioni e poi governatore della Valtellina, iniziando la costruzione del Palazzo di Tirano, che abbiamo visitato, locale dopo locale. Alla fine della visita del bellissimo palazzo Seicentesco, siamo stati introdotti nel " Santuario della cantina". Sul lato sinistro dello Scalone, si accede attraverso un vecchio portone in legno di castagno, alle cantine che si sviluppano sotto l'intero perimetro del corpo centrale del palazzo. La nostra accompagnatrice, ci ha spiegato che documenti dell'epoca attestano che nel 1665 la famiglia Salis riforniva, con i suoi pregiati vini, le nobili famiglie locali oltre al vescovado di Coira e alla Corte dell'imperatore Leopoldo I dì Asburgo. Nel nostro percorso esplorativo, abbiamo constatato che le cantine si collegano ad un'ampia struttura a rustico, adiacente al palazzo, dove ha sede produttiva l'azienda vinicola. Prima di congedarci, la signora Angela, ci ha offerto un ricco spuntino, innaffiato il tutto con gli ottimi vini che si producono nelle vigne terrazzate della Valtellina.

Nel tardo pomeriggio, abbiamo raggiunto il piccolo Borgo terrazzato di Teglio, che è abbarbicato al vertice della collina, dove germoglia da sempre la vite e da dove si ammira un paesaggio mozzafiato. E' circondato dell'acrocoro di montagne altissime che hanno per sfondo il massiccio delle alte e innevate montagne Orobiche che fra l'altro, fu sede del trattato del 1512, in virtù del quale, Tirano passò ai Grigioni. In questo Borgo medioevale di grande bellezza paesaggistica, in posizione panoramica di grande respiro. Sorge l'Hotel Ristorante Combolo, che ci ha ospitanti per la cena ed il pernottamento.
Ben venuti alla cena in Valtellina.
Qui a Combolo, è nata l'Accademia del Pizzocchero, una specie di tagliatelle confezionate con la farina di grano Saraceno e condite con i famosi formaggi di Teglio. Nel menù del nostro convivio, perché di un convivio si è trattato, oltre agli Sciata di Teglio su prato di cicorietta, Per primo, piatto ci sono stati serviti i famosi " Pizzoccheri dell'Accademia, mentre per secondo piatto, la bresaola con Crema di Braulio. Naturalmente, come succede in queste cene convivio, non si è andato o per il sottile con le libagioni. Le bottiglie dell'ottimo vino dei colli terrazzati di Teglio, hanno fatto la loro parte. Insomma, eravamo tutti allegri e felici di aver trascorso una serata in grande allegria. Il nostro pullman, condotta dall'amico Silvio, alle ore 8 del mattino, era già pronto davanti all'albergo Combolo, gestito dalla famiglia di Laura Valli, che ci ha accompagnati con il famoso trenino Rosso del Bernina fino a St Moritz. Dalla Stazione di Tirano ci accingiamo a compiere per la prima volta un viaggio che possiamo definirlo, un viaggio d'avventura. Attraversando regioni di confine così diverse, ma per certi versi molto simili, potremmo cogliere gli aspetti più suggestivi di un tragitto che non si limita ad essere semplice collegamento tra l'Italia e la Svizzera, ma si rivela un'occasione per un diretto confronto tra due realtà che presentano una certa affinità sia dal punto di vista geografico che culturale.
Quindi, è stata un'avventura unica nel suo genere a bordo di un mezzo unico nel suo genere in Europa: Il Trenino Rosso del Bernina, che senza l'aiuto della cremagliera , ma esclusivamente per adesione, " si arrampica" sulla montagna raggiungendo, nel punto più alto la stazione ferroviaria dell'Ospizio Bernina, a 2253 metri, fermata che prende il nome dell'omonimo ospizio, situato sul valico della carreggiata del Passo Bernina a 2309 metri. Dopo un paio d'ore di viaggio su quel fantastico Trenino Rosso, eccoci giunti all'agognata meta della nostra singolare avventura. Siamo a St Moritz, il cuore della mondanità engadinese di fama internazionale, dove sorgono le ville più belle dei grandi personaggi dell'industria, del cinema e dello sport. Le piante dei giardini di queste bellissime residenze erano tutte fiorite. Insomma era un'esplosione di luci e di colori in quella vallata riparata delle grandi montagne innevate, dove grazie al micro clima, ti sembra di vivere in un altro mondo, in un'altra dimensione. Per concludere questa nostra avventura molto piacevole, dobbiamo doverosamente rendere omaggio alla simpatica signorina Laura Valli, che tra l'altro, è autrice di un bel libretto escursionistico. Che illustra sapientemente la valle di Tirano e di St Moritz, che ci ha fatto da guida per tutto il viaggio, raccontandoci ogni particolare sia storico che culturale. Ella, oltre che bravissima guida turistica, è una giovane molto simpatica ed estroversa. Grazie Laura.
Concludiamo questo nostro itinerario, con questa breve poesia:
Il poeta così faceva a scrivere:

" Oltre la montagna,
Nella gola della luna
Crescente, là,
Dove Oriente
Sposa Occidente,
Mimun ricerca ognor
Quel Cosciente che
D'attraente
Le riserva il presente.
Eterna
Giovinezza
In coppa poi accarezza,
Anelando
Dentro al vino,
Ciò che a noi
Cela il divino".

 


Il fiordo di Lovere

Un'escursione a Lovere
La Lombardia non è soltanto la regione dei colori velati della nebbia, ma è un susseguirsi di panorami incantevoli e sensazioni suggestivi, quasi al limite dell'irreale. Questa mattina, quando siamo partiti per raggiungere il Lago d'Iseo, la pianura Padana era immersa in una sottile nebbiolina che con il levarsi del sole, tutto è ritornato alla normalità, facendoci ammirare un paesaggio autunnale bellissimo. Con i suoi lunghi filari di pioppi colorati, i cascinali dai colori stinti e i lunghi fossati. Dappertutto risaltava il paesaggio piatto ma bellissimo e colorato dai caldi colori autunnali, con quel tappeto di foglie morte, dove è sepolta la storia della grande pianura padana.
Da Brescia, con la veloce l'Autostrada, abbiamo raggiunto la bella località bergamasca, con le sue stupende montagne e la costa rivierasca, vestita dai colori caldi dell'autunno. La splendida cittadina di Sarnico era inondata di un sole caldo, un sole quasi primaverile.
Molte sono le strade che dalla pianura padana portano ai ventiquattro chilometri delle montagne frastagliate. La più pittoresca, senza dubbio, è la via che si incontra a Sarnico con il lago d'Iseo, il Sabino dei romani, il "fiordo italiano" caro alla San, che lo disse "dolce come un'egloga virgiliana". Una dolcezza ancora più seducente se si percorre questa strada che tocca Prudore, Tavernello, Riva di Sotto, Castro; spesso è scavata nella roccia che scende a picco, tra un continuo mutare di prospettive, fino a raggiungere gli strapiombi danteschi dell'Orrido di Bon, per poi sfiorire la sponda tranquilla sino a Lovere.
Questa cittadina è situata a 197 metri sopra il livello del mare, da Bergamo dista 27 km, e si trova all'estremità sud-occidentale del lago d'Iseo. Conta 5.681 abitanti ed è nota per l'estrazione della pietra arenaria e per la motonautica. Abitato in epoche antiche conserva del periodo medievale numerose tracce del tessuto urbano. In una cornice unica, con la sua Porto Turistico, è una delle strutture nautiche più moderne e attrezzate del panorama lacustre europeo. Situato in una posizione ideale, all'avanguardia dal punto di vista funzionale e tecnologica, costituisce l'attracco ideale sia per chi vuole godersi un lago bello e affascinante come quello Sebino, sia per chi vuole visitare e scoprire le meraviglie dell'entroterra e delle isole vicine. La bellezza stilistica e architettonica, la qualità dei materiali, gli ampi spazi verdi, ricreativi e commerciali e le numerose opportunità sportive ne fanno una struttura moderna idonea ad una nautica di alto livello e un luogo dove godere della bellezza del paesaggio in un'atmosfera raffinata e rilassante.
Da questo stretto braccio del lago, che possiamo benissimo definire un fiordo, anche se ha il significato di "approdo") è un braccio di del lago d'Iseo che si insinua nella costa bergamasca (anche per vari km) inondando un'antica valle glaciale o fluviale. Solitamente, infatti, le pareti del fiordo sono molto simili a quelle dei calanchi, ripide e scoscese ma coperte di foreste. Un fiordo può anche essere un caso particolare di costa alta: lunghe e strette insenature che penetrano all'interno del territorio anche per molti chilometri.

Dopo una curva
Appare la cittadina di Lovere.


Seguiamo la strada scavata nella montagna rocciosa che costeggia il fiordo che si eleva superba con i suoi magnifici boschi colorati con i colori autunnali che fanno da cornice alle sponde dello splendido e antico Borgo di Lovere, la sua lunga passeggiata che costeggia il meraviglioso e placido lago. Uno stormo di bianchi gabbiani sorvola l'abitato e segue il vaporetto, che è appena partito alla volta di Mont'Isola. Il tessuto urbano di questo simpatico borgo è sviluppato in funzione del suo territorio, stretto tra il lago e la montagna, e si presenta come un grande anfiteatro. Con le sue case stinte del tempo e di color pastello colorate.
Splendidi palazzi costruiti con buon gusto e perfetto senso architettonico, fanno da secoli degna cornice e splendida corona alla piazza del porto, una delle più belle dei laghi Lombardi. Il lungo lago era splendido con i bianchi cigni e le anatre che nuotavano e i bambini divertiti a dare loro del cibo. I giardini e le aiuole fiorite ti davano la sensazione di un paesaggio astratto e metafisico. Con le aiuole variopinte

Qui, in un apposito parcheggio, Mauro, ha parcheggiato la sua autovettura " Ulisse" mentre Tiziana e Adriana, continuavano a scattare delle fotografie di quell'angolo di paradiso terrestre Nel vicino Bar ci siamo fermati per sorbito un ottimo caffè, ristoratore, godendoci la bellezza del lago illuminato dal sole di quest'autunno tiepido. E' bellissimo passeggiare lungo la sponda del lago Dopo questa magnifica pausa distensiva, dalla piazza, attraversando il rione delle "beccare", si sale per il centro storico e si arriva in piazza Vittorio Emanuele II, dove l'orologio della vecchia torre civica scandisce il passare del tempo. In questa piazza, racchiusa tutt'intorno da splendidi edifici, confluiscono tutte le vie piccole e strette del borgo medievale. Si sale ancora e si arriva alla chiesa di S. Giorgio. Eretta alla fine del XIV sec. sulle strutture della medievale torre Sica, fu ampliata e modificata nel tempo, fino al XIX sec. Contiene una grandiosa tela posta sulla controfacciata raffigurante "Mosè che fa scaturire l'acqua dalla rupe" del pittore fiammingo Jean de Hertz (1657); la pala dell'altare sinistro dipinta da Gian Paolo Cavagna (1556-1627) con l'"Ultima cena", e la pala dell'altare maggiore del bresciano Antonio Andino (1565-1630). All'altare della madonna addolorata il 21 novembre del 1932 le due future Sante di Lovere presero i voti.

Sul lungolago fa bella mostra di sé il palazzo che ospita la Galleria dell'Accademia di belle arti Tadini. La storia ci racconta che il palazzo fu costruito in gradevoli forme neoclassiche tra il 1821 e il 1826 per ospitare nelle sale affrescate le ricche collezioni d'arte del conte Luigi Tadini, che aprì al pubblico il suo museo - tra i più antichi della Lombardia - nel 1828, oggi ospita le raccolte in 33 sale. Significativo è il gruppo di opere di Antonio Canoa (1757 - 1822): il raro bozzetto la terracotta della Religione e la Stele Tadini (collocata nella cappella gentilizia) tra le ultime e più belle opere del grande scultore, che sembra tradurre nel marmo quella 'corrispondenza d'amorosi sensi" che Ugo Foscolo legava ai sepolcri. Tra i dipinti si evidenziano le opere di Jacopo Bellini (una meravigliosa Madonna con Bambino), del veronese Francesco Benaglio di Parsi Bordon, di Palma il Giovane. Le epoche successive sono documentate dai dipinti di Giacomo Ceduti detto "il Pi tocchetto", fra' Malgaro, Giandomenico Tiepolo, Francesco Hayek, Cesare Tallone e G. Operandi.
La Galleria inoltre ospita una ricca collezione di porcellane, tra cui importanti pezzi delle manifatture di Seveso, Meissen, Hochst, Capodimonte.
Negli ultimi anni è stata aggiunta una sezione di arte moderna contemporanea.
L'Accademia di Belle Arti istituita dal conte comprende anche le scuole di musica e di disegno, ancor oggi attive e frequentate.
Proseguendo per il lungolago - dominato dalle belle facciate di numerose ville e palazzi (tra cui il cinquecentesco palazzo Marinoni e villa Milesi con il suo parco) - appena passata la piazza si risale e ci si trova di fronte all'imponente basilica di S. Maria in Valvendra, edificata dal 1473 e consacrata nel 1520, in un periodo di particolare floridezza economica per Lovere. La Basilica dà a sua volta il nome al borgo rinascimentale di Santa Maria, una silenziosa strada fiancheggiata da case del Quattrocento e Cinquecento che conduce al borgo medievale.

La Basilica presenta forme classicheggianti rinascimentali di gusto lombardo, con influenze veneziane. L'interno è a tre navate, suddivise da dodici colonne, con cappelle sul lato sinistro. L'opera di maggior pregio è costituita dalle grandi ante dell'organo, collocate originariamente nel Duomo Vecchio di Brescia, dipinte, all'esterno, da Floriano Ferramola con l'Annunciazione e, all'interno, da Alessandro Bonvicino detto "il Moretto", con i Santi Faustino e Giovita a cavallo. L'abside e il presbiterio sono affrescati da Ottaviano Viviani. Il solenne coro ligneo è cinquecentesco; l'altare maggiore ricco di sculture e marmi policromi è opera della bottega dei Fantoni di Rovetta; la tribuna centrale di Andrea Fantoni è del 1712. La pala dell'Assunta, ispirata a motivi del Moretto e di Tiziano, è attribuita al bresciano Tommaso Bona. Molti anni fa, nell'escursione ad Assisi, il frate Roberto che ci guidava. Ha detto: " Dopo la mistica ci vuole la mastica". Egli aveva ragione.

IL BORGO DEL FILATOIO

Subito dopo il pranzo, nelle prime ore del pomeriggio, abbiamo lasciato il Lago di Lovere e ci siamo diretti nel borgo di Sovere, raggiungendo il Borgo del Filatoio, dove sorge un moderno villaggio turistico, di recente costruzione, dove Tiziana, nostra figlia, ha acquistato uno di questi appartamenti, quale residenza estiva.
Ma che cos'è il " Filatoio"? La località un tempo occupata da un antico filatoio, dove si crede venissero trasformati i bozzoli da seta, ha preso vita un importante progetto di riqualificazione urbana, che attraverso la realizzazione di un piano integrato di intervento, convenzionato con il comune di Sovere, propone la costruzione di edifici residenziali all'avanguardia, sia in relazione al contesto (parco, piscina centro benessere ecc) sia costruttivo, tutte le unità immobiliari sono costruite con criteri improntati al risparmio energetico e possono usufruire di un impianto di riscaldamento all'avanguardia che sfrutta in gran parte l'energia geotermica.

Borgo del Filatoio ", è collocato in un contesto naturalistico di grande interesse, rappresentato dall'area di rispetto del fiume Borlezza. In adiacenza a detto fiume e parte del piano, verrà realizzato un parco pubblico di circa 8.000 mq, un ampio spazio di verde attrezzato con l'altro uno spazio dedicato al gioco dei bambini. Questo Borgo sorge su di una verde collina, da dove si ammira un paesaggio bellissimo fra le montagne bergamasche. L'aria e pura ed il sole illumina quella collina fino al tramonto.
Lovere, il Borgo più bello d'Italia, dista soltanto tre chilometri, che è collegato con un pullman di linea, due volte al giorno. Quindi, di giorno, si prende il sole sul lago e la sera si gode il fresco sulle alture di Sovere.

La cittadina di Lovere era probabilmente una roccaforte contro i camuni. Molti sono i ritrovamenti archeologici di età gallica e di età romana. Fu luogo di scontri, di contese e di saccheggi nel Medio Evo. Ma già verso la metà del Settecento i riverberi cupi di un passato tumultuoso dovevano essersi dissolti, se la scrittrice inglese Lady Wortley Montagu diceva di Lovere: "Questo paese è il più vagamente romantico che abbia visto in vita mia". E Lovere meritava sicuramente una sosta, alla ricerca dei suoi scorci romantici, le vie strette della città vecchia che a tratti lasciano apparire, quasi con riluttanza, ritagli di lago, e il variare degli azzurri dell'acqua, delle montagne bresciane, del cielo. Dove continuano a volare i bianchi gabbiani sulla scia dei vaporetti che trasportano allegre comitive di simpatici turisti.



IL LAGO di LOVERE
Le aiole fiorite
Con il loro intenso profumo
E poi c'è la spettacolare vista
Del Lago di Lovere
Che ti rapisce
E ti riempie il cuore
Per la sua meravigliosa bellezza
Una sosta nella Piazzetta
Da dove si ammirano
Le montagne con i suoi
Vasti orizzonti
I fiori di campo
Hanno nei petali
Il respiro
Dell'acqua che scorre
Nel ruscello
Nel cuore del villaggio
La luce del sole
Che morbida l'accoglie
Ne seguono le verdi
Colline
E la catena montagnosa
Con le sue alte cime
Che si perdono all'orizzonte
L'erba del prato dei giardini
Ondeggia nel verde
Della collina
Il lago di Lovere
Con il suo lungo Lago
E le sue caratteristiche
Stradine e case colorate
Di pastello
Con le sue placide acque
E i gabbiani che sorvolano
Il cielo e il lago
Gocce di pioggia
O di rugiada
Cadono alla fine della
Giornata
Come melodia
Scivola sui colori
Scivola sulla pelle
Lieve come i pensieri
 

Genova-Quarto
Rievocazione storica

Nel nostro girovagare nelle località e nei borghi del Bel Paese, siamo ritornati a rivedere il Borgo marinaro di Boccadasse, La passeggiata Anita Garibaldi, nota soprattutto con il nome di passeggiata di Nervi, è un'importante luogo turistico di Genova nella delegazione di Nervi e da qui ci siamo spinti fino al Borgo marinaro di Quarto. Luoghi a noi molto conosciuti, perché meta nelle nostre giornate libere. Quarto, oltre ad essere un luogo felice è anche un bellissimo borgo marinaro, con le sue tradizioni, che ci ricorda una pagina della storia del nostro Risorgimento. La storia ci racconta che la sera del 4 maggio del 1860 le vie di Genova brulicavano di una gran moltitudine; tutti ripetevano le parole: " Partono stanotte". In tanta agitazione di animi solo il governo sembrava dormire. Cavour aveva capito l'immenso risultato che si poteva sperare da questa spedizione: se falliva, n'era responsabile solo Garibaldi; se riusciva, essa avrebbe portato un grande vantaggio all'interesse; perciò non solo lasciò fare, ma favorì indirettamente in tutti i modi la spedizione.
La notte dal 4 al 5 maggio Nino Bixio fingeva d'impossessarsi con violenza, nel porto di Genova, di due navi, il Lombardo ed il Piemonte, appartenenti alla società Rubattino ( con la quale però si era già d'accordo) Be le conduceva al vicino villaggio marinaro di Quarto, dove 1200 volontari s'imbarcavano per recarsi a soccorrere l'isola insorta. Il ricordo di quei momenti entusiasmo Garibaldi, tanto che nel narrare nelle sue Memorie la partenza dei Mille egli eleva il suo stile e par quasi diventato poeta:
"- Ove ci sono dei fratelli che pugnano per la libertà. Italiani, là bisogna correre, - Voi diceste, ed accorreste senza chiedere s'eran molti i nemici da combattere, se sufficiente il numero dei volontari, se bastanti i mezzi per l'ardua impresa: Voi accorreste sfidando gli elementi, i disagi, i pericoli con cui ve attraversaron la via nemici e sedicenti amici. Invano il Borbone col numeroso naviglio incrociava stringendo in un cerchio di ferro la Trinacria insofferente di giogo, e solcava in tutti i sensi il Tirreno per profondarvi nei suoi abissi: Invano! Vogate, vogate pure, argonauti della libertà! Là sull'estremo orizzonte meridionale splende un astro che non vi lascerà smarrire la via, che vi condurrà al compimento della grande impresa; l'astro che scorgerà il grandissimo cantore di Beatrice, e che scorgeva i grandi che gli successero, nel più cupo della tempesta: la stella d'Italia.
"Vogate! Vogate impavidi! Piemonte e Lombardo, nobili veicoli d'una nobilissima schiera; la storia rammenterà i vostri nomi illustri a dispetto della calunnia, E quando gli avanzi dei Mille, che la falce del tempo avrà risparmiato per gli ultimi, seduti al focolare domestico racconteranno ai nipoti la favolosa impresa, a cui ebber l'onore di partecipare, ben ricorderanno alla gioventù attonita i nomi gloriosi che componevano l'in trepidissima spedizione".

In quella bella schiera di prodi spiccavano Nino Bixio ( che come scriveva Giuseppe Garibaldi, fu certo il principale attore della sorprendente impresa), Crispi, Turr, La Masa, i fratelli Cairoli, Sirtori
, Mosto ed un giovane poeta padovano, che doveva poi miseramente perire l'anno dopo in un naufragio, Ippolito Nievo.
Il lombardo ed il Piemonte si fermarono al promontorio di Telamone, e qui i Mille, riuscirono ad ottenere dal comandante piemontese della vicina fortezza di Orbetello molte cartucce, alcuni fucili ed un piccolo cannone. Garibaldi credette opportuno di far scendere 60 uomini e dirigenti verso lo Stato Pontificio per dare una diversione all'attenzione delle potenze a far credere che la spedizione fosse diretta contro il papa, Poi le due navi ripresero il viaggio alla volta della Sicilia, tenendosi fuori della rotta ordinaria per sfuggire alle navi borboniche.
Nel nostro breve soggiorno nella bella cittadina di Milazzo, abbiamo appreso che si concentrarono le truppe borboniche, e là Garibaldi andò ad assalirle. Da principio le sorti del combattimento volsero a favorevoli ai borboni; solo verso sera esse si mutarono in favore di Garibaldi.
Il 20 luglio, data sotto la quale il combattimento di Milazzo. Tutta l'isola, si può dire, aveva abbattuto il governo borbonico.
Garibaldi, l'eroe dei due mondi, da Reggio Calabria a Napoli, egli non fece che una grande, entusiastica marcia trionfante, Il 6 settembre Francesco II, vedendo che i suoi stessi consiglieri cominciavano ad abbandonarlo, o cercavano di tradirlo, partiva da Napoli per ritirarsi a Gaeta ed invitava la sua flotta a seguirlo; ma essa invece di ubbidirlo si univa alla flotta piemontese giunta nel porto. L'indomani Garibaldi faceva il suo ingresso in Napoli in mezzo alle ovazioni di un popolo folle di gioia.

Nel 26 ottobre 1860 - si legge nella storia - avvenne a Teano l'incontro di Vittorio Emanuele Il° con Garibaldi. I due grandi fattori del Risorgimento si strinsero la mano, e il sovrano per la prima volta fu acclamato " Re d' Italia ":

Un viaggio nel Sud d'Italia

IL nostro viaggio, é' iniziato dalla verde Lombardia, che non è soltanto la regione dai colori velati dalla nebbia, ma è un susseguirsi di panorami incantevoli e sensazioni suggestive, quasi al limite dell'irreale, con il suo verde fiume Mincio cantato dal poeta Virgilio, che scorre attraverso un paesaggio che non colpisce al primo impatto, fatto di pochissimi elementi, ma dal sottile incanto: acqua, canali, prati, lunghi chiassosi filari di pioppi che bucano il cielo, però non c'è il mare!
Noi volevamo il mare, come milioni di italiani per trascorrere una breve vacanza, lontani dal caldo afoso e soffocante della val Padana. Dall'aeroporto di Verona, che dista 60 km da Mantova, un aereo dell'Alitalia, in poco tempo, ci ha portati nella bellissima città siciliana di Catania. La grande montagna di Vulcano, che sovrasta la città, da qualche giorno aveva finito di eruttare e la " sciara di fuoco" si era fermata, ma la grande montagna era avvolta da nuvole basse miste a cenere. Per motivi di sicurezza, non ci è stato consentito di raggiungere la vetta e il nostro viaggio è proseguito per Milazzo: una cittadina ricca di storia di cui il castello è la prova più eclatante.
Mi sembra doveroso tracciare due righe su questa simpatica e storica cittadina sul mare. Milazzo, é un'antica terra, già decantata dagli Antichi come la Terra dove il Dio Sole pascolava gli armenti; si tratta di una città bellissima, celebrata come "Aurea Chersoneso", cioè la Penisola Aurea, perla del Tirreno, terra celebrata dall'epopea come patria del gigante Polifemo e sede della Spelonca eccelsa, dove Odissèos approda nel suo peregrinare. Milazzo, è una Penisola che si protende nel mare, situata nella Sicilia Nord-Orientale, porto di imbarco per le isole Eolie e meta di un turismo d'èlite che va alla ricerca della cultura, terra che va senz'altro visitata. Certamente è una bella donna, ma non sappiamo se sposata ad un buon marito!

Cenni storici.

La storia di Milazzo, ci racconta che nel "quaternario" non c'era, ma verso il 400.000 C. il promontorio emerse, come per incanto, dal mare, proprio come la Dea Afrodite, a seguito pare di movimenti tellurici, fino a raggiungere l'elevazione di 88 Mt dal livello delle acque. La Piana si formò intorno al 140.000 a.C. L'uomo compare a Milazzo 4.500 A C., è un uomo evoluto, che sa navigare ed abita al capo, all'estrema punta del promontorio: acquista ossidiana a Lipari e fabbrica utensili. Altri insediamenti umani si ebbero nell'area del Castello e della Piana, ma qui inondazioni tra il 3.500 ed il 2.500 spazzano tutto. A Vaccarella, invece, si sono ritrovati resti di una Civiltà del Bronzo, datata 1850 a.C. e così pure altri resti ancora sotto il Castello, dove le civiltà di allora seppellivano i cadaveri in pythos, cioè grandi vasi, su cui ponevano una protezione di muratura. Nell'età del ferro compaiono i Siculi, che bruciano i morti e pongono le loro ceneri in recipienti di terracotta. Essi riescono a commerciare perfino con la Grecia, da dove importano vasi che si trovano ancora nelle loro necropoli. Ma nel VI secolo le popolazioni greche di Messina, dopo Rometta e Monforte invadono Milazzo e la trasformano in una loro fortezza. Milazzo, dopo questo disastro non si solleva più fino a quando non giungono da noi gli Arabi. Nel periodo della dominazione Romana i Milazzesi, facendo parte della città stato di Messina, godono dei diritti politici di Cittadini Romani e quindi sono esenti dal pagamento della decima. Si ricorda, nelle acque di Milazzo, davanti all'attuale Raffineria, la battaglia navale di Caio Duilio quando l'ammiraglio sconfisse i Cartaginesi. E successivamente Marco Agrippa vinse in aspra battaglia la flotta di Sesto Pompeo. Nel periodo Arabo si rammenta di un'altra battaglia tra Arabi e Bizantini, dopodiché gli Arabi si stanziarono a Milazzo definitivamente ed edificarono il Castello, che comprendeva il Maschio col suo grande torrione ed otto torri. Nel periodo di dominazione Normanna il Castello venne modificato da Riccardo Lentini e tenuto in buone condizioni, come da un documento di Federico II di Svevia. Nel periodo aragonese, sotto Giacomo e Federico II d'Aragona Milazzo fu la sede dei due Sovrani a governarla. In questo periodo si racconta di un Parco meraviglioso, quello di Re Giacomo (speriamo che venga ricostruito per dar modo ai milazzesi di respirare un po' di aria buona e godere della frescura degli alberi!). Di palo in frasca nel 1456 il Castello venne fortificato con la Cinta di Mura Spagnola. Infine nel periodo Garibaldino si ebbe la battaglia di Milazzo tra Garibaldi ed i Borboni, comandati dal generale Bosco. Da qui i Borboni persero la Sicilia e Milazzo.
Scusati se ci siamo a lungo soffermati su Milazzo, ma la storia è come un paesaggio attraversato in macchina o sorvolato in aereo. E' possibile passare velocemente, correre in poche ore da un capo all'altro di un continente, indovinare sotto i nostri occhi lo stivale d'Italia, la punta della Florida. E' possibile anche fermarsi ad ogni passo, prendere dei sentieri che ci aprono si aprono al nostro destra e alla nostra sinistra, bighellonare nei campi, sulla spiaggia, nella città. C'é continuità dal quadrifoglio che attira il nostro sguardo in mezzo all'erba, dalla tavola della cucina in cui consumiamo i nostri pasti fino al pianeta e oltre. Possiamo adottare l'andatura che più ci piace, possiamo insediarci ad ogni piano dell'edificio dello spazio e del tempo. Possiamo vedere sfilare molto velocemente gli avvenimenti e gli uomini, i paesaggi, i secoli e gli oceani. Possiamo anche scendere ai dettagli più minuscoli, alle pieghe più segrete e nelle dissimulate delle valli e dei cuori. E' tutta una questione di scale. Certe volte mi sembra addirittura che questa nozione di soglia o di scala sia uno dei nodi nostalgici della metafisica.
Se siete un poco stanchi del nostro procedere con gli eventi della storia, volete che andiamo un po' più in fretta, che saltiamo a piè pari paesi e anni? Concludiamo dicendo che la città di Milazzo, ha contribuito moltissimo alla realizzazione del sogno Garibaldino, di quello che fu il " Risorgimento del nostro Bel Paese".
Nei giorni che seguirono il nostro soggiorno in questa bellissima località della Sicilia, abbiamo visitato alcuni monumenti e località bellissime e letto, delle lapidi commemorative:


Prima Targa
Commemorativa

"Valga per tutto la riconoscenza
Che i combattenti del luglio 1860
Devono
Al Generoso popolo di Milazzo
Giuseppe Garibaldi 1878
Il contegno della valorosa popolazione
Di Milazzo
Patriottico e civile
Per larga parte nell'esito
Di quella giornata fortunata
Contro un nemico forte
Per numero e per posizione
Menotti Garibaldi 1897"


Seconda targa commemorativa

" Per complimento del nobile Veto
Dell'eroica Milazzo
Il Generale egli stesso
Nelle sue memorie racconta:
L'ora critica in cui a Milazzo
Stettero in bilico le fortune
Critica, terribile ora
Perché Milazzo perduta
Voleva dire tutto a rifarsi
I nomi
Marsala- Calatafini e Palermo
Dati inutilmente
Alla Storia
On. Felice Cavallotti 1890
Comandante del 20 luglio 1860




ALLA SCOPERTA
DELLE ISOLE EOLIE

Dopo la visita ai monumenti della città di Milazzo, il nostro programma, comprendeva l'escursione alle isole Eolie. L'aliscafo si è fermato nel porto della bella cittadina di Lipari, per consentirci di visitarla, come pure i suoi musei. Le isole prendono nome dal dio Eolo, re dei venti. Secondo la mitologia greca, Eolo riparò su queste isole e diede loro nome, grazie alla sua fama di domatore dei venti. Viveva a Lipari, e riusciva a prevedere le condizioni del tempo osservando la forma delle nubi sbuffate da un vulcano attivo, probabilmente lo Stromboli. Grazie a questa abilità, determinante per gli isolani che erano in gran parte pescatori e necessitavano di conoscere gli eventi meteorologici che sarebbero avvenuti, Eolo si guadagnò grande popolarità nell'arcipelago, e secondo una teoria, fu da questi fatti che un semplice principe greco, abile nel prevedere il tempo dalle nubi, alimentò il mito del dio Eolo in grado invece di controllarle.
Il nome di isole Lipari viene invece dal re Liparo, successore di Eolo. Secondo Plinio, venivano queste isole chiamate, dai greci Efestiadi (Hephaestiades, ???????????) e perciò, dai romani, assieme a Aeoliae e Lipari, Volcaniae (Plin. III, 92.)
Quando il cielo è terso e c'è pochissima umidità nell'aria, dalla costa messinese si può vedere una nuvoletta su ciascuna delle isole, quasi un puntino vezzoso su quelle sette "i" dipinte sul mare da un bizzarro pittore. Perché è questo che sembrano le Eolie, un esercizio artistico di un modellatore esperto, che ha saputo divertirsi con il nero della lava e il bianco della pomice, con il giallo delle ginestre e il verde dei cespugli, per dare una forma a sette capolavori, diventati terra di conquista dei popoli mediterranei e fonte di ispirazione di artisti e sceneggiatori che ne hanno diffuso in tutto il mondo il fascino e la fama. Le isole Eolie sono un arcipelago di origine vulcanica a forma di ypsilon proprio di fronte a Milazzo, perle del Mar Tirreno, patrimonio dell'Unesco per i fenomeni vulcanici. Ormai meta di turisti innamorati di paesaggi estremi e romantici, tappe fisse d'agosto per vip del mondo politico e cinematografico, sono riuscite a mantenere la semplicità e genuinità di vita di quarant'anni fa, quando la luce elettrica era ancora garantita solo da un generatore e la sera era illuminata dal chiarore tremulo delle candele.
Ormai, da alcuni anni, è consuetudine che anche il nostro Presidente Napolitano e la gentile consorte, trascorrono pochi giorni di vacanza nell'isola di Stromboli
L'attività' dello Stromboli si e' intensificata nelle ultime 24 ore. Il vulcano ha dato luogo a esplosioni e ha emesso fumo e lapilli a altro materiale lavico. Il picco dell'attività' la scorsa notte. Rimangono sospese le escursioni turistiche al cratere del vulcano. Sono undici le scosse sismiche, associabili a eventi franosi di piccola entità, registrate, nelle ultime 24 ore, sullo Stromboli, nell'area della Sciara del Fuoco, dai tecnici della sezione dell'Istituto di geofisica e vulcanologia di Napoli (Osservatorio vesuviano) che continuano a monitorare il vulcano. Alcuni di questi segnali seguono gli explosion-quakes e sono quindi attribuibili, secondo gli esperti, al rotolamento lungo la Sciara del Fuoco di materiale emesso dalle esplosioni stesse. L'ampiezza del tremore e' compresa tra i valori medio - bassi e medio - alti, con un picco. E' veramente uno spettacolo osservare la " Sciara di Fuoco", che precipita nel mare, provocando una colonna di vapore acque. Di fronte al gigante fumante, che nelle sere limpide d'estate, vedovo dai giardini della villa di Palmi, sorge Strombolicchio con la sua spiaggetta nera.
Il nostro viaggio in un mare da scoprire, ha raggiunto oltre alla Grotta del Cavallo, anche l'isola di Vulcano, che non sappiamo se la fucina degli dei si trovasse qui, ma è sicuro che da tempo immemore sull'isola abitassero solo i forzati e gli schiavi, costretti ad estrarre lo zolfo, Lo scenario doveva essere quello del girone dantesco, tra le esalazioni sulfuree che toglievano il fiato. Oggi nelle sue acque e fanghi caldi, i turisti fanno i bagni curativi.
Dopo la vita di Stromboli, aliscafo ha proseguito verso la grotta del Cavallo, dove ha effettuato una breve sosta per permetterci di fotografare le bellezze naturalistiche dell'isola.
Nelle prime ore della sera, prima che tramontasse il sole sul quel mare Omerico. La comitiva è rientrata nel porto di Milazzo, felici di aver visitato un mondo fantastico, che la Madre natura, ha creato in milioni di anni.
La Storia ci racconta.
La presenza umana nell'arcipelago risulta sin dalla notte dei tempi. Le genti preistoriche vennero, infatti, sicuramente attratte dalla presenza di grandi quantità di ossidiana, sostanza vetrosa di origine vulcanica grazie alla quale le Eolie furono al centro di fiorenti rotte commerciali sin dai tempi di Roma antica. I primi insediamenti si ebbero già alcuni secoli prima del 4000 a.C., nell'età neolitica. L'ossidiana, che a quei tempi era un materiale ricercatissimo grazie al fatto di essere il più tagliente di cui l'uomo dell'epoca disponeva, generò traffici commerciali così intensi da conferire grande prosperità alle isole. Da Lipari era esportata in gran quantità verso la Sicilia, l'Italia meridionale, la Liguria, la Provenza e la Dalmazia. A Lipari nacque così uno degli insediamenti più popolosi del Mediterraneo, e a partire dal 3000 a.C. la ricchezza di Lipari si estese alle altre sei isole, che cominciarono ad essere popolate. Tra il XVI e il XIV secolo a.C. divennero importanti perché poste sulla rotta commerciale dei metalli, in particolare lo stagno che giungeva via mare dai lontani empori della Britannia e transitava per lo stretto di Messina verso oriente. Mentre in Sicilia si afferma la Cultura di Castelluccio, a Capo Graziano, nell'isola di Filicudi, e anche a Lipari, si diffonde la cosiddetta Cultura Eoliana caratterizzata dal commercio più che dall'agricoltura, con le sue capanne circolari con pareti di pietre a secco, quasi a strapiombo sul mare e una propria ceramica. Le isole furono colonizzate dai Greci, intorno al 580 a.C., che chiamarono le isole Eolie poiché ritenevano che fossero la dimora del dio dei venti, Eolo, un mito questo destinato ad affermarne la "grecità".
La leggenda vuole che il Dio Eolo, un mattino ventoso, prendesse alcuni pietre preziose e le sparse nel mare, nacquero così le isole Eolie.
Nel 260 furono teatro della battaglia di Lipari tra Roma e Cartagine. In epoca romana divennero centri di commercio dello zolfo, dell'allume e del sale.
Lo storico biblico Giuseppe Flavio menziona una popolazione forse in relazione con le Eolie: "Elisa diede il nome agli Eliseani ed essi sono ora gli Aeoliani". Elisa si riferisce al nipote di Iafet, figlio di Noè.
Nel 1544, quando la Spagna dichiarò guerra alla Francia, il re francese Francesco I chiese aiuto al sultano ottomano Solimano il Magnifico. Questo mandò una flotta comandata da Khayr al-Din Barbarossa che facesse rotta sulle isole Eolie e le attaccò uccidendo e deportando i suoi abitanti. Secondo il suo disegno le Eolie avrebbero dovuto essere l'avamposto dal quale attaccare Napoli.
Nel corso dei secoli l'arcipelago venne ripopolato di nuovo da comunità spagnole, siciliane e del resto d'Italia. In epoca borbonica l'isola di Vulcano veniva usata come colonia penale per l'estrazione coatta di allume e zolfo. Gli abitanti del luogo, nelle notti fredde e ventose, asseriscono di sentire ancora oggi, dei lamenti provenire dai visceri del Vulcano, ma altro non sono, che i lamenti che ricordano la sofferenza dei condannati della colonia penale.
LA COSTA VIOLA

La Costa Viola è tra i più spettacolari paesaggi marini che regali Reggio Calabria. Così chiamata per il colore meraviglioso delle sue acque cristalline si snoda da Capo Barbi alla rupe di Scilla, lungo il litorale tirrenico, toccando diversi comuni, da Palmi a nord fino a Bagnara Calabra a sud. Le spiagge ed i vari litorali sono a tratti rocciosi, a tratti ghiaiosi piccole insenature sabbiose. La cittadina di Palmi, è una località della Calabria sud-occidentale, in provincia di Reggio Calabria, è situata a 228 m di altitudine, su un terrazzo affacciato sul mar Tirreno. Questo paese, di origine medievale, ricco di bellezze naturali e abitato da una popolazione molto cordiale, fu devastato dai saraceni (musulmani di origine araba e berbera provenienti dall'Africa settentrionale) e più volte distrutto da terremoti. Nel 1952 Palmi offrì asilo ad una parte degli abitanti del vicino paese di Africo, tragicamente colpito da un'alluvione. Dopo di aver percorso un tratto dell'Autostrada Salerno Reggio Calabria, siamo usciti al casello di Palmi, ove eravamo attesi da Lucia.
Dopo l'attraversamento del centro cittadino, ci siamo diretti verso la Stazione delle Ferrovie dello Stato, situata sul litorale. A pochi passi della scalo ferroviario, sorge l'abitazione dei nostri parenti. E' una località immersa nel verde degli ulivi. Siamo stati accolti in modo caloroso da nostra Zia Maria, dal figlio Franco e dai numerosi nipoti.
A pranzo con gamberoni e pesce spada.


IL BRACIERE

La storia del vecchio braciere ci porta lontano nel tempo.
I nostri parenti di Palmi, nel salutarci e ringraziarci della visita che gli abbiamo fatto, ci hanno donato un vecchio braciere di rame che nostra zia Maria, con il quale nelle fredde giornate invernali seduta attorno al braciere acceso con il carbone di legna, che lei vendeva in un piccolo commercio. Prima di morire, aveva deciso di lascarci, per ricordo, il braciere che a sua volta era appartenuto alla nonna Teresa. Questo braciere verrà sistemato all'interno della nostra Cappella funeraria, con una luce perpetua. La storia del vecchio braciere, ci porta lontano nel tempo, Alcuni storici lo attribuiscono alla Magna Grecia, mentre altri ai Romani, ma la vera derivazione si perde nella notte ei tempi.


MY OLD CALABRIA

Per descrivere le bellezze della vecchia Calabria, ci vorrebbe la penna scorrevole di un grande scrittore, ma noi non siamo scrittori e quindi cerchiamo di attingere dai nostri ricordi recenti e lontani, la Calabria è fiera: e con ragione, perché dimostrano quale apporto di alta spiritualità in tutti i campi essa ha dato alla patria comune. Ma è anche fiera della sua bellezza paesistica, che pochi conoscono. Siamo in fondo allo stivale, nel più bel paese del mondo. Così scriveva Luigi Paolo Courier, che vi era giunto con l'esercito napoleonico del generale Regnier. " E' contrada ricchissima di meravigliosi spettacoli della natura" scriveva un altro francese, il Lenormant, nella sua celebre opera " La Magna Grecia" Ed invero quei pochi che si sono indotti a percorrere la costa tirrena sino a Reggio e a penetrare nell'interno, ne sono tornati entusiasti come della scoperta di un mondo nuovo pieno d'incanti.
Che cosa sia questa bellezza, non è facile dire. Certo dipende in gran parte dallo spiccato contrasto fra monti e marine, dall'alternarsi di vallate ubertose e cime granitiche arse dal sole, dalla lieta improvvisa apparizione di un paesaggio pieno di luce all'oscura ombra di foreste impenetrabili, dagli ampi orizzonti aperti sui mari alle numerose gole alpestri, sonore di acque correnti.
La nostra è una descrizione sintetica ma calda di Viva simpatia, che in passato, nella nostra verde età, abbiamo percorso in lungo e in largo.
La Calabria, lungo ed angusta lingua di terra, protesa con le sue montagne centrali, tra due mari, quasi a stender la mano alla Sicilia, appunto per questa sua peculiare conformazione, presenta, come poche regioni d'Italia, panorami di un'incomparabile bellezza e vastità. Nell'interno, a brevi passi delle coste e delle colline aspre montane, dove sorge il piccolo Borgo di Cosoleto, che ci diede i natali e che sa di sapore della Magna Grecia, si ergono ripidi monti con carattere alpestre, con dense e cupe selve, clima rigido d'inverno, freschissimo d'estate, lungo le coste invece, clima e flora completamente meridionali, Le valli di erosione che si portano dal crinale appenninico, per lo più brevi ed anguste, offrono al turista panorami di suggestiva bellezza, soprattutto negli sbocchi a mare visti dall'alto.
Qui termina il nostro fugace ricordo di lunghe passeggiate. Concluderlo in una sintesi non è facile. Come tutte le cose veramente forti e pure, la My Old Calabria, ha bisogno di spiriti profondi per essere compresa e di anime vergini per essere amata. Terra di meditazione si apre intera con le sue luci abbaglianti e le sue cupe ombre ai pellegrini silenziosi e pensosi della bellezza. Il suo fascino, lontano dai soliti allettamenti preparati in altri luoghi, è lento ma duraturo: è come quei profumi, che sembra debbano subito svanire, eppure resistono al tempo e penetrano di sé ogni cosa.

Ricordi della Seconda Guerra Mondiale
Nel 1943, ero ragazzo e non avevo compiuto neppure 16 anni, e i ricordi di quel tempo lontano in cui si verificò lo sbarco sulle Coste della Calabria, dagli Alleati, Inglesi e Americani sono ancora chiari nella mia memoria. In questo nostro racconto, abbiamo per protagonisti due piloti, di cui uno inglese e l'altro canadese, abbattuti in conflitto aereo da caccia tedeschi. Di cui uno al Nord e uno al Sud d'Italia.
Ricordo che sia di notte che di giorno, le truppe corazzate tedesche, si ritiravano dalla Sicilia e transitavano sulla provinciale che attraversa il piccolo borgo Aspro montano di Cosoleto che é situato nella fascia di colline pre-aspromontane che coronano la piana di Gioia Tauro, sul cui paesaggio si affaccia. La sua economia è prevalentemente agricola, basata sulla coltura dell'ulivo (varietà Sinopolese e Ottobratica, i cui boschi secolari di alte piante (spesso superano i 20 metri) ricoprono le pendici collinari e caratterizzano il paesaggio del territorio. Il nostro paese, affonda le sue radici in epoche lontane della Magna Grecia, quando sulle Coste Ioniche, sbarcarono i primi coloni provenienti, probabilmente dal Peloponneso, dopo la distruzione di Troia. La Piana di Gioia Tauro (talvolta detta Piana di Rosarno), localmente meglio nota come Piana di Gioia o semplicemente la Piana (a Chjàna in dialetto reggino), è un'area geografica della provincia di Reggio Calabria che confina ad ovest con il Mar Tirreno (golfo di Gioia Tauro), a nord con il Monte Poro, ad est con il Dossone della Melia ed a sud con il Monte Sant'Elia di Palmi. È per estensione, dopo la Piana di Sibari, la seconda delle tre pianure calabresi. Il fiume più importante è il Mésima.Il territorio è prevalentemente coltivato ad ulivi ed agrumi e molte delle attività svolte dalla popolazione sono connesse con l'agricoltura (specie l'estrazione dell'olio d'oliva, la trasformazione dei prodotti agrumari ed oleari). In via di sviluppo sono il commercio e l'artigianato. Spesso di notte, si fermavano sotto le ombrose piantagioni di ulivi, per non essere visti dai ricognitori inglesi. Che sorvolavano l'Aspromonte e le vie strategiche del litorale e montano. Dopo aver conquistato la Sicilia, la decisione se sbarcare sul continente portò a un nuovo confronto tra inglesi e americani: i secondi accettarono, nel quadro della conferenza di Quebec nel mese di agosto 1943, ma solo con la promessa che la priorità restasse l'"Operazione Overlord". In ogni caso, l'avanzata inesorabile verso Roma era scritta. Nel pomeriggio di un giorno limpido di primavera, un ricognitore inglese, che tutti i giorni sorvolava la regione dell'Aspromonte e attaccava le truppe tedesche in ritirata. Quel giorno, il piccolo ricognitore è stato attaccato da un caccia tedesco e abbattuto. Dalla piazza del paese, ricordo che abbiamo assistito al duello aereo e abbiamo seguito la caduta dell'aereo inglese in fiamme in un campo di ulivi sulla collina. A due km del paese. Come succede spesso in questi casi, la popolazione del borgo, per curiosità, ha raggiunto la vicina località. Il piccolo ricognitore abbattuto, nella caduta al suolo si era infondato nel terreno. Il pilota è stato estratto dal rottame seme carbonizzato. Dai documenti personali e di bordo si è saputo che era di nazionalità Canadese. Il suo cadavere é stato seppellito nel cimitero del paese e la mitragliatrice di cui era dotato il ricognitore, è stata consegnata ai carabinieri della locale stazione, unitamente ai suoi documenti personali. Ricordo che in quel periodo, tra il territorio del Comune di Delianova e quello di Cosoleto, fra gli uliveti e i castagneti, si era accampata una compagnia della Divisione Nembo, autotrasportati su camion Fiat 26, armati di mitragliatrici pesante e armi automatiche Beretta (Mab) e alcuni motociclisti.
 

La Nembo in Aspromonte
L'ultima battaglia
Di Carlo Baccellieri
Nei giorni che seguirono, sull'altopiano delle Gambarie, proprio dove fu ferito Giuseppe Garibaldi, nel 1862, un battaglione di truppe canadesi, si é scontrato con una compagnia di italiane della Divisione Nembo, che frenarono l'avanzata, verso Salerno.
Lo scrittore Carlo Baccellieri così descrive lo sbarco degli Alleato sul litorale di Reggio Calabria:
Arrivati a Reggio gli invasori trovarono altri soldati che, deposte le armi, si misero volontariamente al servizio degli invasori in qualità di servili facchini per aiutarli a scaricare il materiale bellico dai mezzi da sbarco!
Resasi impossibile la resistenza sul posto il III e XI battaglione paracadutisti del 185° Nembo si ritirarono verso nord mentre l’VIII, attardato tra il 4 ed il 7 di settembre da alcuni scontri intorno agli abitati di S. Lorenzo e Bagaladi mentre, in marcia di retroguardia, cercava di raggiungere il comando di Reggimento che era a Platì, giunse nella notte tra il 7 e l’8 settembre ai piani dello Zilastro (7) e si accampò presso una faggeta a quota 1050. Gli uomini, esausti per la lunga marcia, la fame e gli scontri sostenuti, si abbandonarono ad un sonno ristoratore e non si avvedono di essere capitati in mezzo quasi ai canadesi del reggimento Nuova Scozia. Ancor prima dell’alba il comandante di battaglione Gianfranco Conati Barbaro con il capitano Piccoli de Grande vanno in perlustrazione e s’imbattono in alcuni militari canadesi in avanguardia che li fanno prigionieri. Piccoli riesce a fuggire e da l’allarme ed il CAP Diaz, vice comandante di battaglione, a mezzo di un portaordini comunica al tenente Romano che l’VIII battaglione, o quel che rimane di esso (circa 100 uomini), è circondato: “Agisci perciò di conseguenza”. Il tenente sveglia gli uomini e con la pistola in pugno urla con quanto fiato ha in gola: Savoia mentre si lancia contro il nemico. I paracadutisti a lui vicini, una ventina, si svegliano, si alzano ed imbracciano le armi, i famosi mitra Beretta che non tradiscono mai. Ma la lotta è impari perché di fronte hanno un nemico molto più numeroso e bene armato. Poco da presso il capitano Piccoli combatte ferocemente seguito da un altro gruppo di parà: l’intento è quello di aprirsi un varco per liberare il comandante di battaglione impegnando i canadesi mentre il resto del battaglione cercherà di sganciarsi. La lotta prosegue fino all’esaurimento delle munizioni, segue uno scambio di bombe a mano, poi si va al corpo al corpo con i calci dei fucili, ma alla fine i nostri parà vengono sopraffatti.  Cinque (ma sull’ esatto numero vi è incertezza) sono i caduti tra le fila italiane: capitano Ludovico Piccoli de Grandi (medaglia d’argento); sergente maggiore  Luigi Pappacoda (medaglia di bronzo); parà  Vittorio Albanese, medaglia di bronzo; parà Bruno Parri (medaglia di bronzo); caporale Serafino Martellucci (medaglia d’argento)- Un’altra medaglia d’argento verrà conferita al parà Aldo Pellizzari. I Feriti sono circa una dozzina. I Canadesi registrano la morte di due sergenti ed il ferimento di due ufficiali.  Vengono catturati 57 paracadutisti mentre gli altri riescono a ritirarsi per raggiungere il resto del reggimento verso nord.

Il colonnello Borget, comandante il reggimento canadese, rimane ammirato dal comportamento dei parà italiani, che contrasta nettamente con quello degli altri contingenti italiani, esprime il suo apprezzamento e dispone che i feriti vengano soccorsi ed aiutati.
Un parà, preso da sconforto, getta a terra le sue decorazioni, ma il colonnello lo invita a riprenderle facendogli comprendere che non ha nulla di cui rimproverarsi.

Da fonte canadese il Report 144 citato così relaziona sull’accaduto: “ ... verso le ore 5,30 dell’8 settembre, mentre gli uomini del reggimento West. “New Scozia stavano riposando nel faggeto dell’altopiano Mastrogiovanni al di là della strada furono impegnati in una scaramuccia con i paracadutisti italiani che approssimativamente erano in numero di cento Cinquantasette di loro vennero fatti prigionieri e sei trovarono la morte, mentre gli uomini degli Edmontons che stavano lavorando lì vicino inseguirono i rimanenti che cercarono scampo nelle vicine zone montagnose. Un maresciallo ed un sergente del West Nuova Scozia rimasero uccisi e due ufficiali furono feriti. Gli Italiani combatterono ferocemente e questo fu il più notevole scontro considerato l’atteggiamento supino adottato dalle altre truppe italiane incontrate fino ad ora. Essi avevano bivaccato a 100 yards dai Canadesi e la loro presenza, nel buio, era passata inosservata.”.

Questa fu quindi l’ultima battaglia combattuta tra il regio Esercito Italiano e le truppe Alleate l’8 settembre 1943, 5 giorni dopo la firma dell’armistizio ed alcune ore prima della sua proclamazione. I resti del 185° reggimento Nembo continueranno a combattere, alcuni con gli Alleati altri (quasi tutti appartenenti al III battaglione) con i tedeschi secondo le scelte che ogni paracadutista, solo, di fronte alla propria coscienza, fece in quel drammatico autunno del ‘43 ma sempre per l’onore d’Italia. Toccò ai paracadutisti italiani dello “Squadrone F” l’ultimo lancio dietro le linee tedesche della Campagna d’Italia.

Qualche tempo dopo la battaglia dello Zilastro un impresario boschivo, Salvatore Accardo, chiese al parroco di Platì di benedire quei luoghi prima di procedere al taglio degli alberi. Nel 1951 il sindaco di Oppido Mamertina, rag. Giuseppe Muscari ne fece apporre una croce in ricordo nel luogo della battaglia. Successivamente un altro sindaco di Oppido, avv. Giuseppe Mittica, fece innalzare un grande crocefisso a ricordo dell’evento che prese il nome di Crocefisso dello Zilastro. Nel 1988 il generale Franco Monticone, comandante della Brigata Folgore, che era impegnato con esercitazioni in Aspromonte venne informato della battaglia e da quell’anno nella ricorrenza dell’8 settembre gruppi di paracadutisti e le sezioni A.N.P.d.I. di Reggio Calabria, Praia a Mare, Cosenza, Messina, Siracusa, Palermo e Catania costituenti la X zona organizzano ogni anno, in occasione dell'8 Settembre una marcia che, seguendo l'impervio percorso allora effettuato dall’Ottavo Battaglione Paracadutisti del 185° Reggimento della Divisione Nembo, commemora quei fatti per rendere omaggio ai caduti. Nel 1999 venne eretto un semplice monumento in pietra che ricorda che:

Qui sullo Zilastro dopo una guerra disastrosa l'8 settembre 1943, suscitando l'ammirazione ed il rispetto delle preponderanti forze Anglo-Canadesi, i 100 paracadutisti dell' VIII BTG. del 185° RGT della div. "NEMBO", combattendo per l'onore della patria si coprirono di Gloria.

A questo punto ognuno di noi si chiede se quel fatto d’arme fu un inutile spargimento di sangue nel quale alcune giovani vite trovarono una morte senza scopo. Io ritengo che, quel piccolo ma cruento evento che si compiva tra i faggi dell’Aspromonte, a 1000 metri d’altitudine, in un’alba di 62 anni fa, nonostante la guerra perduta e l’armistizio già firmato ed a poche ore dalla sua proclamazione, non fosse inutile Quando tutto crollava, quando a centinaia e migliaia i soldati del nostro paese tornavano a casa senza più combattere, senza contrastare il nemico che molti sentivano non essere più tale, quando ognuno pensava soltanto a se stesso, quando le popolazioni del paese invaso dallo straniero, sebbene rassereniate dalla fine dell’incubo dei bombardamenti, salutava con gioia e battimani gli eserciti invasori, quando la patria sembrava non esserci più e la confusione degli animi era al colmo, quando gli ordini erano contraddittori e carenti, quando la fame, gli stenti e le continue offese belliche avevano piegato il fisico, quando si era affranti per i compagni scomparsi e la sconfitta patita, quando tutto crollava, un pugno di giovani di 20 anni sulle montagne dell’Aspromonte aveva ancora la forza, nello spirito più ancora che nel fisico, in un soprassalto di orgoglio, di imbracciare il mitra Beretta per rivolgerlo contro il nemico di allora al solo scopo di difendere la bandiera, il none e l’onore d’ ITALIA.  No, non è stato vano quel sacrificio se a distanza di tanti anni noi lo ricordiamo con amore e con orgoglio perché la coscienza di un popolo si forma nel tempo attraverso il ricordo del suo passato negli aspetti più nobili in cui è possibile cogliere lo spirito e gli ideali che hanno animato i migliori dai quali occorre prendere esempio”.

In Calabria la manovra diversiva non ha raggiunto lo scopo, i tedeschi si sono ritirati avendo deciso di concentrare le forze nella zona di Salerno, gli inglesi sono così avanzati per 300 km verso nord senza trovare resistenza. Il 16 settembre elementi della V Armata USA e dell'VIII Armata Inglese si sono così ricongiunti presso Vallo della Lucania. A Taranto dopo lo sbarco gli inglesi della prima divisione aviotrasportata sono avanzati nell'interno ed hanno raggiunto l'Adriatico conquistando Brindisi l'11 settembre e Bari il 14 settembre. Il 16 settembre la 4a brigata paracadutisti occupa l'aeroporto di Gioia del Colle. I tedeschi arretrano ordinatamente opponendo agli inglesi l'azione delle loro retroguardie mediante imboscate e blocchi stradali. In uno di questi scontri a fuoco muore il 9 settembre presso Castellaneta il comandante della 1ma Divisione aerotrasportata il generale George Frederick Hopkinson. Verrà sostituito dal comandante della 1a Brigata Paracadutisti generale Ernest Down. Il giorno 21 gli alleati sono a Trani. Il 24 settembre sono liberata Andria e Barletta. Il 25 settembre gli inglesi attraversano l'Ofanto. Il 27 settembre i tedeschi abbandonano Foggia facendo prima saltare in aria alcune importanti infrastrutture, lo stesso giorno arrivano le forze speciali inglesi del Popsky Private Army subito seguite da alcune compagnie della Prima Divisione aviotrasportata. Il 29 settembre il generale Bernard L. Montgomery al comando dell'VIII armata entra a Foggia. Il primo ottobre elementi del Popski's Private Army completano la liberazione degli aeroporti della zona di Foggia raggiungendo il primo dei due obiettivi che si erano prefissi gli alleati. Sul fianco occidentale, il 23 settembre comincia l'offensiva del X Corpo d'Armata Inglese che supera il Passo di Molina e Cava dei Tirreni conquista Nocera il 28 settembre superando l'accanita resistenza della Divisione Goering ed entra nella piana di Sarno. Il primo ottobre gli Alleati entrano a Napoli e trovano la città liberata dai tedeschi cacciati dalla rivolta dei cittadini durante le famose 4 giornate di Napoli 27-30 settembre e raggiungono così il secondo obiettivo della campagna militare.

Nel mese di Novembre, con una squadra di amici, dalla Stazione di Palmi, alle ore 22, partiamo su di un treno con alcuni vagoni bestiame, probabilmente una vecchia tradotta militare, diretti a Napoli. In quel vagone eravamo in trentacinque persone costretti in uno spazio abitualmente riservato a sette persone. Parecchi sedevano sui porta bagagli. Tutti gli sportelli erano aperti, e lungo l’intero treno c’è gente che viaggia seduta sulle soglie degli sportelli, le gambe penzoloni nel vuoto. La locomotiva, era una di quelle locomotive che andava a carbone e sbuffa un fumo acre che ci soffocava, specialmente quando entrava nelle gallerie. Ognuno di noiportava nello zaino, una tanica contenente 20 litri d’olio di oliva. Appena giunti nella città di Napoli, che era semi distrutta, vendemmo la nostra mercanzia alla borsa nera. Trovammo alloggio nella casa di un’anziana signora, per tutto il periodo della nostra permanenza nella città Partenopea. Dopo qualche giorno, trovammo anche lavoro al porto nei magazzini degli americani. Il vitto nella mensa militare era ottimo e il lavoro non era pesante e poi, anche la retribuzione era accettabile Dopo qualche mese di permanenza nella città di Napoli, abbiamo buttato i vecchi vestiti e nei mercatini rionali ne abbiamo comperato dei nuovi, come pure le calzature e i regali da portare a casa. E’ stata una bella esperienza. Posso dire che siamo cresciuti, siamo diventati giovani e forti, capaci di affrontare ogni situazione. La nostra avventura, in una città caotica, come era Napoli in quel tempo, è stata direi positiva.

 Dopo lo sbarco di Salerno, gli alleati Liberarono la città di Roma e la guerra avanzava verso le città del Nord e l’Appennino Tosco emiliano. L’obiettivo era quello di occupare la Va padana, per raggiungerla bisognava attraversare il grande Fiume del Po. Ogni giorno gli aerei alleati bombardavano i paesi e le città, dove resistevano ancora i tedeschi. In una delle tante battaglie aeree, il bombardiere del pilota poeta, fu abbattuto ed è rimasto sepolto per 66 anni nella palude del ferrarese, come ci riferisce Luca Angelini

 In un suo bellissimo articolo, che racconta una storia “piovuta dal cielo e finita sottoterra” apparso sulle pagine della Gazzetta di Mantova, mercoledì 3 Agosto che riportiamo qui di seguito, a conclusione del nostro racconto di un altro aereo abbattuto dai tedeschi, sulle pendici dell’Aspromonte

“COPPARO (Ferrara) - Questa è una storia piovuta dal cielo, ma finita sottoterra. La storia di un aereo che dormiva sepolto sotto un campo di grano, nelle campagne di Copparo, pianura ferrarese a qualche tiro di schioppo dal Po. Una storia di guerra. A essere precisi, di quattro giorni prima che la guerra finisse. E di quattro ragazzi (tre inglesi e un australiano) di cui non era rimasto che il nome, sul memoriale che, a Malta, ricorda i 2.298 aviatori del Commonwealth morti o dispersi nei cieli del Mediterraneo. Da allora, e fino a ieri mattina, di questa storia era saltato fuori solo un pezzo. Il motore destro dell'aereo. A guerra finita, Giordano Melchiori l'aveva portato via con il trattore. Se questa storia, seppellita sotto cinque metri di terra, è tornata alla luce del sole, è anche per merito suo. Oggi ha 82 anni, allora era solo un ragazzetto troppo giovane per la divisa. Ma se la ricorda ancora, la notte del «Pippo», il bombardiere tirato giù dalla contraerea tedesca. «Ho guardato in alto e ho visto l'aereo venire giù. S'è incendiato. Dicevano che, nel campo, ci fossero due corpi bruciati. Solo più tardi siamo andati a prenderci il motore. Sa, per via dell'alluminio. Dopo la guerra, lo compravano anche per farci le macchinette per tirare la sfoglia in casa». Se l'era quasi dimenticato, Giordano, quell'aereo. Finché un'amica, anche lei di Copparo, non gli aveva detto «sai, Fabio, mio figlio, c'ha la passione di andare a ritrovare gli aerei caduti». Fabio Raimondi è il webmaster del blog «Archeologi dell'aria». Duecento cacciatori di «crash point», i punti dove si sono schiantati gli aerei di guerra. Ritrovano i relitti, consegnano i pezzi ai musei e i resti umani alle ambasciate, per farli avere ai parenti. «Siamo andati nel campo con un metal detector - racconta Fabio -. Appena abbiamo trovato dei pezzi di alluminio accartocciati, abbiamo capito che Giordano non si sbagliava». La macchina del recupero si è messa in moto. Prima i permessi per scavare, poi il reclutamento di altri volontari. Quelli dell'Air Crash Po di Cremona, e quelli del Museo della Seconda guerra mondiale del fiume Po di Felonica (Mantova), il cui direttore, Simone Guidorzi, ha chiamato a raccolta anche i toscani di Gotica Toscana (insieme ad altri due musei vogliono dar vita a un itinerario per turisti col pallino bellico, il North Apennines Po Valley park). Dal campo di frumento è saltato fuori un orologio. Con un nome inciso, Hunt. È bastato quello, al reggiano Michele Becchi, grafico pubblicitario di professione e scandagliatore d'archivi militari per passione, per dare un nome ai quattro ragazzi morti sul Douglas A-20 Boston decollato da Forlì alle 20.45 del 21 aprile 1945 per bombardare un punto di attraversamento a Taglio di Po. John Penboss Hunt, l'australiano, era il mitragliere; Alexander Thomas Bostock l'operatore radio; David Millard Perkins il navigatore e David Kennedy Raikes (21 anni, uno in più dei suoi tre compagni di sventura), il pilota. E qui è arrivata la sorpresa. Perché quando il sergente Raikes non volava con un bombardiere, lo faceva con le parole. Era un poeta, nel suo piccolo, se volete, un Saint-Exupéry d'Oltremanica. Stessa fine, quantomeno. E ha fatto in tempo a raccontarlo, come si senta un poeta dentro un uccello di metallo con un carico di morte nella pancia. The poems of David Raikes è la raccolta dei suoi versi, pubblicata postuma nel 1954. Forse ci voleva la sua penna, per raccontare quel che si prova a trovare, come ieri mattina, un anello di fidanzamento sepolto da 66 anni: sopra, le iniziali del sergente Perkins. Dentro, una dedica: «Chris, with love». Forse andrebbe scomodato Foscolo, e il «santo e lacrimato sangue per la patria versato». Magari, però, bastano le parole di Michele Becchi: «Da un pezzetto di metallo, ridiamo vita alle persone».

(Sognando California) foto CAI

Le Sequoie

 

SOGNANDO LA CALIFORNIA

Escursionismo

Oggi, sfogliando le pagine della Rivista del CAI – Luglio-Agosto 2011, mi sono soffermato sul bellissimo articolo sulla California e le sue altissime sequoie, che bucano il cielo. Leggendo l’articolo, sono ritornato con la memoria indietro nel tempo, quando oltre dieci anni fa, con gli amici del CAI di Mantova, siamo partiti per effettuare un lungo Trekking nella vecchia America, con i suoi deserti, il Gran Canyon e gli indiani, in sella ai loro destrieri e con la piuma fra i capelli. Dopo l’escursione nella grande città di Las Vegas, che sorge nel deserto del Colorado, famosa al mondo per altre virtù, nel corso degli anni ha sempre più affrancato la sua posizione nel panorama culturale americano. La più nuova iniziativa in città è lo Springs Preserve. Aperto nel 2007, sorge in un’area considerata il luogo di nascita di Las Vegas e racchiude musei, gallerie d’arte, spazio per concerti all’aperto. Vi sono inoltre percorsi che spiegano la storia e l’evoluzione di Las Vegas e progetti per renderla sempre più eco-compatibile, cosa fondamentale per una città che sorge appunto nel deserto. Dopo il soggiorno in questa città del divertimento, il nostro pesante e veloce pullman si è fermato ai bordi della Valle della Morte

La Valle della Morte (Death Valley National Park) è un Parco nazionale degli Stati Uniti siti nello Stato della California e in piccola parte nel Nevada.  , dove il regista Antonione ha girato il suo capolavoro, un film che ha fatto la sua storia. La Valle della Morte è un luogo speciale e pieno di contraddizioni. Assolutamente da non mancare se si è in viaggio in California. Dalla Death Valley, abbiamo raggiunto nella serata la cittadina di Sacramento, dove abbiamo pernottato e al mattino, dopo la prima colazione, la squadra degli escursionisti mantovani, è partita per raggiungere San Francisco.

L’accogliente città del Nord della California, melting-pot di cultura e di gente. E una località dai ritmi unici, la città sulla Baia e’ probabilmente la città più bella del Paese. La sua particolare forma a “pugno”, circondata dalle acque dell’oceano, racchiude incantevoli quartieri. Il colore rosso del Golden Gate Bridge da un tocco singolare alla zona nord della città, a ponente si estendono bellissime e invitanti spiagge (aperte anche ai naturisti) e a levante si può ammirare la magnifica vista delle colline della Baia. Famosissime sono le caratteristiche funicolari di San Francisco, ma altrettanta attenzione meritano gli antichi tram recuperati e restaurati che servono con efficienza i pendolari lungo Market Street sino a downtown San Francisco

 A nord, attraversando la graziosa Chinatown, s’incontra North Beach, un quartiere vivo dai tratti italiani che ospita molteplici caffè, bar e negozi colmi di prodotti tipici italiani. Da non trascurare è la notissima Lombard Street con le sue incredibili multiple curve.

Salendo per via Lombard Strit ai piedi della collina a sud della città, abbiamo notato che ai balconi delle villette bianche, sventolavano bandiere coi colori dell’arcobaleno sventolano su Castro, abbiamo chiesto alla nostra guida italiana, e precisamente di Napoli e generalizzata americana, ci ha detto che quello è il quartiere gay tra i più popolari dell’intero Paese, dove si trova anche il rinomato cinema Castro, in stile coloniale spagnolo con la facciata barocca, di fronte alla quale spesso suonatori d’organetto eseguono musiche d’altri tempi Non e’ difficile godersi un buon pasto a San Francisco, ma assolutamente da non perdere e’ il “mission burrito” da gustare nella sua località d’origine “Mission”, il quartiere Latino Americano/trendy dove le taquerias a gestione familiare servono squisiti pasti

Uno splendido panorama della città si può ammirare dal turistico Twin Peaks o da Bernard Heights (preferito dai residenti) dove la tentazione di trasferirsi in questa seducente località si impossessa di ogni visitatore. Al vertice di questo punto d’osservazione, da dove, come detto sopra, si ammira un paesaggio mozzafiato, dove è affollato dai “vocumprà” messicani che vendono magliette e souvenir di San Francisco.

Quel giorno, lassù, abbiamo trovato una fitta nebbia, che in poco tempo ha oscurato il paesaggio, come pure la Città di San Francisco, ci è apparsa sotto una coltre di nebbia, bassa e molto umida, tanto che ci sembrava di essere ancora a Mantova, patria della nebbia autunnale.

A San Francisco, la nebbia la troviamo anche in estate ed è un fatto molto normale, è una nebbia che viene direttamente dal mare è porta l’acqua, l’alimento prezioso per la sopravvivenza dei boschi delle alte sequoie, che bucano il cielo.

A pochi kilometri della grande città californiana subito dopo il rosso Golden Gate Bridge che attraversa le fredde acque dell’oceano Pacifico si raggiunge la bellissima cittadina di Sausolito, un centro marinaro dove i pescatori sono connazionali, arrivati in diverse epoche dall’Italia. Lì, abbiamo conosciuto alcuni di questi bravissimi pescatori, originari di Posillipo, Amalfi, Capri, di Tropea, Palmi dalla Sicilia e della vecchia e bellissima Genova. Nei Bar della cittadina, dove sorge il porticciolo, abbiamo conversato con alcuni di loro. Ed erano felici di parlare con noi. Dopo la sosta in questa cittadina di mare, il nostro pullman, si è diretto verso le sequoie

Le Sequoie Se siete a San Francisco, e volete farvi un’idea della natura in California senza dover guidare fino allo Yosemite Park o alla zona del Big Sur, potete andare, come abbiamo fatto noi, al vicino parco di Muir Woods (a soli 20 chilometri a nord del Golden Gate) o da Sausolito dovete potrete mettere alla prova la vostra abilità di fotografi nel riprendere una delle tante sequoie (qui si trova la varietà “piccola” chiamata redwoods) che lì sono protette In autunno e non solo, in quella località del Parco delle Sequoie, troverete la nebbia che sale dalla costa di San Francisco, ed è l’elemento principale della loro vegetazione. Il Parco, è un luogo fresco e bellissimo, dove abbiamo trovato piante antiche come il mondo e nuove virgulti. Le piante che cadono, per via dei temporali o per gli incendi, rimangono sul terreno fino alla loro decomposizione. Abbiamo fotografato un tronco grandissimo, che scavato, sotto passano anche l’autovettura, tanto per rendere l’idea quanto sono queste grandi meravigliose piante.

La baia di San Francisco, è solcata da 4 ponti principali (da sud a nord, il Dunbarton Bridge, il San Mateo Bridge, l'Oakland Bay Bridge e il San Rafael Bridge) oltre al Golden Gate Bridge che svetta sull'ingresso verso l'Oceano Pacifico. Sono presenti diverse isole: Angel Island è la più grande, parco naturale visitabile a piedi o in bicicletta (si raggiunge via traghetto). Incluse nella contea di San Francisco e quindi facente parte la città ci sono le isole di Alcatraz, Treasure Island, Yerba Buena Island e le isole Farallons a 43 km dalla costa (disabitate). Se si escludono le isole, l'intera contea di San Francisco, che corrisponde (unico caso in California) alla municipalità di San Francisco è pressappoco un quadrato di 11 km di lato. La penisola su cui si trova San Francisco è collinosa e addirittura montagnosa in alcuni tratti; la tormentata conformazione orografica è per lo più dovuta al passaggio della faglia di San Andreas a solo una ventina di chilometri a sud della città tagliando diagonalmente la penisola e infossandosi nell'oceano. Nel territorio della città si contano 43 colline; sono quasi tutte abitate e i quartieri che ne nascono prendono spesso il loro nome. Di seguito la lista delle colline e la loro altezza sul livello del mare:

L’ultima sera che siamo stati a San Francisco, siamo stati a cena in un lussuoso ristorante di Chinatown, una cena che ci è stata offerta dalla società dei pullman, che ci hanno trasportato in tutti i luoghi che abbiamo visitato negli Stati Uniti ancora conserviamo i famosi bastoncini cinesi. Abbiamo lasciato la bellissima città di San Francisco, e la comitiva ha raggiunto Il Sequoia National Park, fondato nel 1890 da Muir, ampliatosi con l’annessione nel 1940 del Kings Canyon e nel 1978 della valle del Mineral King, ha uno sviluppo da ovest ad est di trentaquattro miglia; la su geografia, come leggiamo nell’articolo del Cai, garantisce quindi una biodiversità davvero impressionante. E’ sufficiente paragonare il paesaggio della Joachin Valley, con le sue coltivazioni di frutta, a quello delle creste rocciose della Sierra Nevada. Il Sequoia comprende: a nord la foresta delle sequoie; ad ovest la San Juanchin valley; a sud il Middie Fork Kaweah River; ad est le vette del Great Western Divide che giungono fino ai 4418 m del Monte Wintrey-.

 

IL GRAN CANYON

 Questa enorme fenditura nel deserto dell'Arizona, negli Stati Uniti é certamente la più grande al mondo. In alcuni luoghi il Gran Canyon raggiunge una profondità di 1600 metri e nel punto di massima ampiezza misura 29 chilometri. Il fiume Colorado, il cui corso va dalle Montagne Rocciose al golfo di California, percorre questa fenditura per tutta la sua lunghezza.

Il Gran Canyon rappresenta uno dei più spettacolari fenomeni naturali e riveste un'importanza particolare per i geologi che studiano la storia del pianeta. Nel 1919 fu istituito il Parco Nazionale e nel 1979 il Gran Canyon fu dichiarato patrimonio mondiale. Le pareti del Gran Canyon ci permettono di ripercorrere la storia di milioni di anni. Le rocce alla base del Canyon hanno 2000 milioni di anni; a quel tempo costituivano il fondo di un antico oceano. Nel corso di centinaia di milioni di anni si depositarono in successione strati di arenaria, scisto e roccia calcarea di differenti colorazioni. Circa 60 milioni di anni fa, poco dopo l'era dei dinosauri, lungo il letto roccioso, scorrevano due fiumi che esercitando la loro azione erosiva sulle rocce, scavarono le acque impetuose dei due fiumi con la loro aumentata potenza, proseguirono in modo ancora più incisivo la loro opera e la fenditura si fece via via più profonda. Il Canyon é talmente profondo da comprendere diverse fasce climatiche. In altitudine la neve é presente per tutto l'inverno; la zona più fredda é detta North Rim e qui le precipitazioni nevose raggiungono in media i 3 metri di altezza. Sul fondo del Canyon invece il fiume attraversa un torrido paesaggio desertico. Il Canyon ha un aspetto brullo, ma in realtà le differenze di clima consentono la crescita di numerose specie arboree e la sopravvivenza di svariati tipi di animali. Si possono contare altre 1000 diverse piante da fiori e almeno 300 specie di uccelli. Presso la sommità della gola si incontrano abeti e pioppi; sul fondo, dove le temperature sono molto più alte, le piante più comuni sono le cactacee. Lungo le pareti del Canyon, dove il clima é più fresco, vivono volpi grigie; lucertole, moffette e scorpioni preferiscono invece la macchia desertica sul fondo.

Prima di percorrere un lungo tratto dello spettacolare Grand Canyion, nel Centro Visitatori, abbiamo assistito ad un lungo documentario, girato da bordo di un aereo. E’ stata una proiezione molto bella e spettacolare. Alcuni di noi escursionisti mantovani, ha voluto visitare il grande serpentone geologico da bordo di un elicottero e vi assicuro che è  stata una cosa unica e spettacolare, che ne è valsa la pena
 





La Pietra di Bis Mantova

BIS MANTOVA    

-Escursionismo-

Quando abbiamo chiuso dietro di noi il cancelletto del giardino, le stelle in cielo brillavano ancora, mentre la luna stava per tramontare, lasciando un alone rossastro, che precedeva il sorgere del sole. Nel Piazzale Mondadori di Mantova, due grossi pullman erano in attesa. Egli escursionisti del CAI di Mantova, che aveva organizzato l’escursione Da dietro l’angolo della stazione dei Pullman, nel parcheggio, un’auto per volta e un gruppetto di escursionisti mantovani, ancora semi addormentati alla chetichella, come si è solito dire, arrivavano nel luogo di partenza. I primi raggi del sole ci hanno accolti sull’autostrada Piacenza Bologna. Da quella località, gli Appennini sono un’indistinta Catena di cime azzurrognole, ma una di loro spiccava sulle altre in modo netto ma in una forma mosto strana, come se fosse un tronco di castagno tagliato alla base, una cima lobulare simile alle. bellissime montagne che abbiamo ammirato tanti anni fa, quando sempre con il Cai di Mantova, siamo stati. Negli Stati Uniti d’America Percorrendo il grande “ Far West”, abbiamo incontrato le “ Mesetas”, parete perpendicolare, fittamente frastagliate di arenaria rossa. In una di quelle località, il regista John Ford, ha girato il film “ Il lungo sentiero (titolo originale, Cheyenne Autumn, con John Wayne, un film del 1964.

Il massiccio della Pietra di Bis Mantova, è composto di arenaria risalente a oltre venti milioni di anni fa, la Pietra è un luogo unico e affascinante, soprattutto per gli sportivi appassionati di arrampicata libera e mista. Sormontata da un ampio pianoro ed è alta 1.047 metri, è posizionata lungo la dorsale del medio Appennino reggiano all'interno della provincia di Reggio Emilia: non per nulla è considerata la più interessante e completa palestra di roccia dell'intera Emilia Romagna, che gli escursionisti “Caini”mantovani conoscono molto bene, per averla scalato più volte.

 E’ un imponente Pietra. che la si ammiri dallo scosceso versante sudest o dal più dolce e rigoglioso lato ovest, la Pietra di Bis Mantova appare subito come un magico insieme di fessure, pianori e strapiombi che fanno la felicità di qualunque innamorato dell'arrampicata libera. Senza dimenticare le enormi frane di massi che scendono da questo massiccio dell'Appennino reggiano fino a lambire gli abitati dei borghi di Fontana Cornia e Casale, dando vita a due tra le più suggestive zone scalabili dell'enorme palestra di roccia formata dalla Pietra di Bis Mantova: sono i cosiddetti 'Orto del Mandorlo' e 'Sassaia’.

Abbiamo lasciato l’Autostrada è abbiamo raggiunto le bellissime colline reggiane, con i suoi verdi boschi di castagne e con i suoi lindi villaggi barbicati sulla cima. Seguendo la strada Provinciale che attraversa verdi sentieri con i suoi queruli ruscelli, che mi sembravano molto familiari, infatti, le colline ed i boschi di castagneti dell’entroterra di Cosoleto, del paese nativo, che dell’alto domina la grande piana di antichi uliveti dove scorre la fiumara di Petrace, delimitata dell’Appennino Calabrese e quella striscia di mare del Tirreno, dove sorge il grande porto di Gioia Tauro, che spesso da bambino mi domandavo che cosa fosse.

Il sole era alto nel cielo quando i due grossi torpedoni si sono fermati nel parcheggio accanto alla  chiesetta attaccata alla rupe della montagna della Pietra di Bis Mantova, piantata nel mezzo dei rilievi reggiani, la dove le colline cominciano a diventare vere e proprie montagne.

Questo strano masso roccioso, nei secoli ha stupito molti persone. Scrittori e poeti, come il grande Dante Alighieri, che paragonandolo a una vetta del Purgatorio, affermò a chiare lettere che arrivare fin lassù è possibile a condizione di avere almeno un paio di ali, come le aquile o i bianchi gabbiani.

 In quella bellissima  giornata d’autunno, con i caldi colori dei boschi, il nostro obbiettivo è stato  di raggiungere la cima della grande e misteriosa montagna. In effetti, nel vederla dal basso, la si direbbe, un’impresa da provetti alpinisti, ma non è stato così. Dal piazzale panoramico, dove attaccato alla Pietra, sorge l’Eremo Benedettino Il dislivello è minimo, si parte da quota 872 metri del parcheggio sottostante il Santuario, e si sale in 15-20 minuti a 1080 circa. Dalla sommità dopo aver attraversato un vasto prato verde siamo arrivati alle sporgenze rocciose dalle quali si apriva uno splendido panorama: ci sono diversi sentieri e vie per l’arrampicata, come pure la via ferrata. Adriana ed io, con una squadra di amici abbiamo scelto quel comodo sentiero, dapprima pianeggiante poi a spirale circonda la montagna fino alla vetta In poco tempo, senza fare molta fatica abbiamo raggiunta la sommità. Di lassù si ammira un paesaggio grandioso ed è vertiginoso sporgersi dalla rupe. In fondo, fra i boschi e la collina, c’è Il borgo di Castelnuovo nei Monti.

 In un depliant, abbiamo letto che, seguendo quel comodo sentiero con i segnavia bianco-rossi detto “Sentiero Spallanzani”, dedicato all’illustre naturalista reggiano. Non si può mancare la direzione giusta, basta puntare verso la Pietra che, vista dal fondo valle sembra un vascello incagliato in un dolce mare di onde verdi, campagne ben tenute con un fastoso corredo di siepi e boschetti. In meno di mezz’ora abbiamo raggiunto la vetta. Il primitivo impianto medievale ha subito varie trasformazioni e oggi appare un po’ artefatto. Di singolare interesse la raccolta di ex-voto della Canonica avente come soggetti fatti miracolosi avvenuti sulla Pietra.  Sulla cartina distribuita ad ognuno di noi da Carletto Borghi, che oltre a guida del Cai  era anche il nostro cine-reporter. Ogni gita che abbiamo effettuato con il Cai, è documentata e nelle lunghe sere d’inverno, le rivediamo ed è subito festa. Per i bravi arrampicatori dei vari sentieri attrezzati si consigliava l’Anello della Pietra che in un paio d’ore consente di apprezzare la montagna sotto diversi punti di vista e anche di toccarne la vetta. Transitando dinanzi al Rifugio della Pietra, un largo sentiero cinge dapprima la base della scarpata poi pian piano ne guadagna il fianco, dalla parte che volge verso Castelnovo ne’ Monti. Una breve rampa, in una fessura della parete, conduce infine alla sommità dove si stendono ampie radure e macchie di noccioli, aceri, roverelle. Pannelli didattici illustrano le singolarità della zona. Montana con le sue bellezze naturalistiche.

“Contornando l’orlo del ripiano si intercetta l’accesso storico alla rupe, lungo il quale si discenderà. La sagomatura, qualche pietra selciata e le larghe curve ne attestano l’origine medievale quando sulla rupe erano posti un caposaldo difensivo, fondato dai Bizantini, e il nucleo di una pieve con ampie dipendenze territoriali. Rispettando il segnavia 697 il percorso aggira dal basso la punta nord-orientale della Pietra in una zona brulla, disseminata di pietrame, frutto dello sgretolamento della parete arenacea, piuttosto instabile - si parla di movimenti in tempi geologici - perché sovrapposta a un potente letto di argille. Dopo aver avvicinato il sito della necropoli di Campo Pianelli (reperti, non ‘in situ’, della tarda età del Bronzo), il sentiero procede lungo il contorno orientale in un variato contesto di sfasciumi rocciosi e di dolci praterie. Giunti alla strada d’accesso all’Eremo, si riprende la via sterrata per Ginepreto, percorsa all’andata.

Una volta raggiunta la parte terminale della Pietra, in quel grande pianoro, si ammira, come abbiamo riferito sopra, un paesaggio grandioso, un paesaggio mozzafiato. Dopo un meritato riposo al vertice della Pietra  eravamo pronti per la discesa. Alcuni dei nostri amici, hanno preferito scendere dalla via ferrata, dove vi era sistemata nella parete della Pietra, una  lunga scala a pioli, naturalmente in ferro. Avevo espresso il desiderio di scendere anch’io, ma Adriana non ha voluto. Infatti, quando ero piccolo era terrificante salire anche su di una scala a pioli, ora, ma quel giorno non avevo affatto paura, ma come ha fatto Giuseppe Garibaldi quando a Teano, ha incontrato Il Re, lo stesso ho fatto io con Adriana: “Obbedisco”! Così, siamo ridiscesi sul comodo sentiero, che avvolge la montagna di Bis Mantova, raggiungendo il piazzale panoramico. Dal resto il costone della Pietra è davvero qualcosa di cui ci si può fidare e ti domandi come mai è finita così presto la discesa. La pietra è un enorme masso erratico di arenaria, rimasto lì nei millenni appoggiato su di un fondo marnoso e argilloso della meravigliosa collina. Sicuramente, ti viene la tentazione di fantasticare su di un passato molto remota, dove cavalieri e guerriglieri si rifugiavano nei meandri della montagna  e le donne e i bambini sognavano un mondo fatto di fate e di mostri. Anche il grande poeta Dante Alighieri, ha fantasticato dicendo: “ Noi salivam per entro il sasso rotto/ e d’ogni lato ne stringea l’eremo/ e piedi e man voleva il sol di sotto/ Poi che noi fummo in su l’orlo supremo/ dell’alta ripa, alla scoperta piaggia, “.

Noi che siamo abituati a percorrere i sentieri anche estremi, abbiamo constatato che quello della Pietra era un semplice sentiero con il quale se ne raggiunge facilmente la sommità che si presta bene per i picnic domenicali, ma si tratta anche di una montagna temibile. Gli alpinisti lo sanno. La singolarità di questa montagna è la solidità della sua roccia, le arenarie che compongono le vette maggiori, più alte, del crinale appenninico non sono così solide, geologicamente sono costituite a strati, come dei dolci "millefoglie" si sfaldano. Navigando su Internet, ci siamo documentati sulla Pietra e abbiamo letto alcuni articoli da persone che hanno fatto il nostro stesso percorso in anni  precedenti, uno di questi articoli così recita:

“Il Gigante è fatto così, di roccia che si sfalda. è forte perché è grande,la Pietra invece è forte perché solida .Se ricordo quel momento sento ancora il vuoto urlarmi dentro, risucchiarmi fuori, e giù. Ma potrei sbagliarmi, vado a memoria e non sono un geologo.  Il "Diamante". Figlio piccolo, coi sui fratellini, della pietra. Uno di quei sassolini che i Bambini Giganti si toglievano dalle scarpe, o che ne rimanevano sotto le suole. Il Diamante rappresenta una palestra d'arrampicata ideale per i climbers, esso vede attrezzati sui due lati maggiori diversi "monotiri", vie di arrampicata brevi assicurabili tramite un solo tiro di corda, anche dall'alto raggiungendo per via comoda la sommità del masso e passando la corda nell'anello fisso posto lì sopra. Alcuni sono semplici, adatti per chi inizia, altri invece sono davvero difficili, per esperti che vogliano lavorare sulla tecnica senza le problematiche ambientali date dalle vie più lunghe percorrenti le pareti maggiori della Pietra. La vista dalla cima, sempre bella, con un cielo screziato di temporali ormai smontanti.  A 12 mm con il 12-24 il campo è largo, tanto cielo e le vette del crinale schiacciate, sulla linea d'orizzonte si vede la piccola piramide del Cimone, sulla zona sinistra-centrale, e il Gigante sulla destra.  E' una montagna per tutti, per gitanti domenicali e per gli alpinisti. La difficoltà più grossa che questo ambiente per me è ora resistere al profumo di gnocco fritto che sale dal rifugio e dal ristorante sottostanti, infatti, ora che sto per chiudere questo post, e sono le tredici e trenta, lo sento ancora, e la fame monta. Quindi, vado a pranzo, salutando giganti e bambini giganti e gli insetti che si divertono sulle loro spalle  “.

Al termine dell’escursione sulla meraviglioso Pietra, anche noi mantovani, abbiamo fatto la stessa cosa dell’autore del brano, che è stato attratto dal profumo dello gnocco fritto. Noi  eravamo attesi per il pranzo in un noto ristorante nella vallata, all’ombra dei castagneti. Quello era un luogo  molto bello, accogliente e familiare. Era pronta una montagna di tagliatelle ai funghi, coniglio arrosto e costolette ai ferri, il tutto innaffiato da un vinello dei colli emiliani che faceva scaldare le orecchie. Al termine del luculliano pranzo, era pronta  un’enorme torta. Il nostro non è stato un semplice pranzetto, ma un pranzo delle grandi occasioni e quel locale si è  prestato alla bisogna. Noi  mantovani del CAI, siamo abituati a queste feste, perché siamo gente allegra ed amiamo la vita. Al temine  dell’improvvisata festa, dopo il caffè e il grappino, non poteva concludersi che con un caloroso saluto dal presidente Sandro Zanellini, alzando il  il calice per il brindisi finale.
I due pesanti pullman, erano pronti per fare ritorno a Mantova, ripercorrendo a ritroso  la strada Provinciale, che collega l’autostrada per Mantova.
Questo è il racconto di una meravigliosa giornata, trascorsa con gli uomini del CAI di Mantova, scoprendo un luogo fantastico, che persino il grande poeta ha percorso quel sentiero incavato nella roccia di Bis Mantova.

 




Verdon: La grotta dei colombi
 

Il drago verde
E'd'obbligo il paragone con il Grand Canyon, ma non gli rende del tutto giustizia. Perché se non può rivaleggiare con il capolavoro geologico del Colorado per le misure e varietà di stratificazione, il canyon più spettacolare e profondo delle Alpi vanta molti altri primati. Il colore del fiume che lo ha creato innanzitutto, un mix unico di giada, smeraldo e acquamarina che i cugini francesi hanno tradotto in un nome semplice ma eloquente: Verdon.
La prima volta che siamo stati in questa bellissima località della profumata Provenza, con il CAI di Mantova, ormai sono passati molti anni. Negli anni successivi, ci è stata riproposta questa lunga e bellissima escursione e ci siamo ritornati molto volentieri, perché conoscevamo e sapevamo che cos'era il Verdon. Una escursione così lunga, di nove ore circa, non l'avevamo mai effettuata sulle nostre vallate e montagne del Trentino- Alto Adige. Ricordo che abbiamo cenato in un buono ristorante francese dove non mancava per primo, il famoso " potasche", che noi traduciamo: passato di verdura. Con pernottamento nel vicino Rifugio del CAI Francese: Un grosso edificio, costituito da una sola camera, con centro una grossa stufa a legna. Per dormire non c'erano le brandine, come succede nei nostri rifugi, ma un grande tavolato, a due piani come quelli che abbiamo visto più volte nei film dei L'Agar tedeschi, dove venivano alloggiati i prigionieri ebrei e anche quelli italiani.
Questo tavolato disponeva di una coperta procapite. Naturalmente, non dormiva nessuno, perché era impossibile dormire. C'erano alcuni amici che russavano, mentre altri che dovevano spesso recarsi al bagno e allora si rideva e si faceva così passare la lunga notte. Anche queste sono avventure da ricordare, perché fanno parte della vita escursionistica.
Dopo di quest'inciso, che abbiamo definito coloristico, ritorniamo a parlare del " Verdon". E poi in quella sorprendente miscela di contraddizioni e di stimoli che, a due passi dalla Costa Azzurra e dal profumo di mare portato dal mistral, vento e anima della Provenza, ricrea un ambiente dolomitico orientato verso il basso. Sul fondo delle gole del Verdon, muraglie rovesciate di calcare alte 700 metri culminano in vette surreali e metafisiche attraversate da nuvole di spuma vaporizzata e da squarci verdi- azzurri.
Al Grand canyon delle Alpi si arriva in meno di due ore dalle spiagge dorate di Nizza, Cannes, St. Tropez, inoltrandosi in quell'entroterra ( ma il termine francese di errier-pays ne rende meglio il senso di reame nascosto)spopolato, roccioso, battuto dal vento ma pervaso anche da mille profumi e di incanti, aspro e pure capace di improvvise dolcezze, che si chiama Provenza. La strada risale un tavolato di calcare appena affiorante tra cespugli di macchia, vecchi ulivi e piccoli appezzamenti di bosco, e poco dopo giungiamo a Castellane, seguendo le indicazioni stradali per la Corniche e la Palud, eccoci al belvedere della rivelazione. La porta d'ingresso al Verdon non poteva che chiamarsi Point Sublime e mantiene le promesse. Il pesante pullman, si ferma sulla piazzola laterale e gli escursionisti scendiamo Da quella posizione si vede il fiume scomparire in una gola selvaggia, tuffandosi con un rombo di tuono nel primo dei 21 chilometri delle gole. Ai lati del cuoloir Samson, le pareti sono tagliate in verticale per centinaia di metri ( 800 nel punto più profondo) e si avvicinano fra loro fino a 6 metri nella buia fenditura dello Stige. " Sembra che proprio qui", come apprendiamo dalla nostra brava guida del CAI, Sandro Zanellini, che proprio qui scrisse il geografo Reclu, " Rolando abbia tagliato la montagna con la sua mitica spada". Il pesante pullman riprende la marcia, lungo la Corniche, ma per ritrovare la vista del fiume bisogna fermarsi, affacciarsi sul ciglio delle rocce, vincendo il senso di vuoto e la vertigine.
Leggiamo sulle carte geografiche, che il Verdon nasconde la propria identità sotto di quella di un anonimo fiume prealpino. La sua lunghezza è di 170 km, dalle sorgenti del Col d'Allos alla confluenza con il Durance. Ma sono quei 20 chilometri nei quali ha scavato il canyon più profondo d'Europa che lo rendono unico.
Nel grande piazzale de la Malin, dove sorge il Rifugio del CAI francese.
Il torpedone si accosta sulla destra e si ferma. Il nostro lungo viaggio è giunto al capolinea. Dal Piazzale de la Malin, si poteva godere una visione panoramica di grande bellezza paesaggistica, il grande serpentone del Drago Vede, scorreva laggiù infondo ad oltre due chilometri.
Nel canyon del Drago Verde sfumano i confini tra la realtà e l'immaginazione. Come sa bene chi percorre a piedi o in canoa le acque ormai placate delle Basse Gole, quando scopre il dedalo di grotte che fu la tana imprendibile del brigante Gaspard de Bosse, un feroce fuorilegge nella Francia di Napoleone. Il suo tesoro, assicurano, è ancora nascosto lassù: un'ultima emozione, se mai ce ne fosse bisogno, offerta dal Verdon e chi si è lasciato conquistare delle sue mille meraviglie, come è successo a noi del CAI di Mantova. Il nostro viaggio fra i visceri del Drago Verde, ha avuto la durata di 9 ore circa, terminando nelle Grotte dei Colombi.
Adriana ed io, come pure i nostri amici escursionisti, eravamo stanchi, ma felici di aver partecipato a quella lunga e meravigliosa escursione nelle visceri del Drago Vede.

Las Vegas
Lontani ricordi della città di Las Vegas.
Siamo arrivati in questa mega città di notte nel buio totale del deserto, si intravedeva da lontano, soltanto una forte luce bianca, come se in cono di risplendesse la luna piena. Un depliant di viaggio ci spiegava che da quando è stato costruito il Luxor Hotel, dove eravamo attesi per il nostro soggiorno. L'hotel a forma di Piramide dalla cui punta parte un fascio di luce dritto in cielo. Las Vegas è visibile nelle limpide sere estive anche a più di 200 kilometri di distanza ( si dice che la sua luce permette di leggere un giornale a dieci miglia di lontananza) noi non abbiamo letto il giornale, ma abbiamo ammirato un angolo del deserto illuminato a giorno. Negli ultimi due anni, Las Vegas si è trasformata in un gigantesco parco di divertimento, Abbandonata l'immagine di una città in preda al vizio e al peccato, teatro di risse e sbronze, oggi La Vegas si presenta come l'avanguardia tecnologica di un campo, quello del family entertainment (industria dell'intrattenimento famigliare), che si é rivelato l'affare degli anni Novanta per i grandi businessman americani ( Dove ha pubblicato sul numero di settembre 1994 un ampio servizio sulla manifestazione di Las Vegas).
Il nostro tour in America, si è svolto nell'estate del 1992 è L'hotel Luxor da tutti i due i tour operetor, se l'esterno è estremamente spettacolare con la gigantesca sfinge che accoglie i visitatori e la struttura completamente in vetro nero, l'interno ha dell'incredibile. L'immenso atrio, studiato in collaborazione con il mago degli effetti speciali di Hollywood Dougla Trumbull, accoglie cammelli parlanti, contiene le acque di un finto Nilo navigabile in compagnia di guide in divisa coloniale su battelli di simil papiro, un finto museo archeologico con la tomba di Tutankhamon ricostruita da serissimi studiosi dell'antico Egitto e i più avanzati giochi elettronici studiati dal colosso dell'elettronica Sega: cioè quanto di più kitch e affascinante che Las Vegas possa offrire. Note meno entusiasmanti giungono invece dalle camere ( ce ne sono ben 2526), disposte lungo i quattro lati della piramide e quindi obblighue: gli arredi non vanno più in là di un buon Hotel, a non sono neanche tanto pacchiani come in realtà si desidererebbe avere in una città come Las Vegas. Dalla finestra della nostra camera nr 2010, si ammirava l'aeroporto e si vedevano gli aerei decollare. Sensazioni meno faraoniche ma camere un po' più lussuose le riserva l'Hotel Mirage, che sorge a fianco del glorioso Caesar's Palace. Edificato quasi in contemporanea al Luxor, il Mirage lo si riconosce dal gigantesco vulcano artificiale che dopo il tramonto erutta fuoco e fiamme ogni 15 minuti. La hall, sovrastata da una sorta di vera foresta tropicale coperta da una gigantesca cupola di vetro, stordisce l'ignaro cliente. Le stanze sono state ridecorate recentemente e hanno bagni di marmo, moquette quadretti color crema e letti con il solito copriletto sintetico. L'atmosfera è comunque più accogliente rispetto al Luxor, anche se ambienti con una certa classe bisogna andare a cercarli a centinaia di chilometri di distanza.
Quello che ci ha sorpreso moltissimo è stata la doccia fresca, che veniva vaporizzata dai lampioni. La sera, fuori degli alberghi, i turisti aspettavamo i tassisti, che ogni 5 minuti arrivavano e ignari di quella innovazione, siamo rimasti molto sorpresi, quando appena giunti sotto il lampione, al margine della strada e sentiti arrivare dall'alto l'ebbrezza fresca, vaporizzata. A volte ci intrattenevamo sotto quei lampioni, per il solo motivo della frescura ristoratrice. Il clima nella città di Las Vegas, è caldissimo e anche afoso, ecco perché era piacevole effettuare della sovente soste sotto i piacevoli lampioni.
 

Flash dì memoria

Death Valley.
Il mattino, prima che sorgesse il sole, il nostro grande pullman, condotto da "Concettina", figlia di italo americano ma nata in California, dopo di aver sistemato con cura i bagagli è partito alla volta della Valle della Morte (Death Valley), la grande valle di sale, piena di luce, circondata da colline colorate come coni di gelati, e adorata dagli appassionati di cinema per Zabriskie Point, la zona dove Michelangelo Antonioni girò l'omonimo film nel 1969, detta Death Valley. In questa felice località, Adriana ed io, ci siamo fatto fotografare seduti su di una roccia appuntita, che era solito sostare Antonioni. Da dove si ammirava un bellissimo panorama.
In pullman, a Sud del Parco, la strada segue la sponda del lago salato. La strada scende sotto il lavello del mare appena dopo Ashord Mill e non risale a Fornace Creek. Al punto più basso ( a Badwater - il bacino del male acque) la strada è a 86 metri sotto il livello del mare. A nord di Badwater, una breve strada in terra battuta al Divil's Golf Course ( il campo del Golf del diavolo), che percorre un terreno selvaggio colorato ricoperto di blocchi dentellati di sale. Poco oltre è Artists Drive ( il Camino degli artisti che ricopre una zona rocciosa. Iniziando dal Centro Visitatori Furnace Creek, una strada di 38 km attraversa la regione pittoresca del Furnace Creek Wash, per terminare al Dante, s View ( veduta di Dante) Da questa località si gode una vista panoramica del punto più basso all'Emisfero Occidentale. Fra gli altri punti d'interesse lungo tale strada, vi è Zebriskie Point, dalla quale si gode una magnifica vista. Una strada anulare assai interessane percorrere il Twenty Mule Tea Cabyon dei Venti Mili.)
In una delle nostre soste, abbiamo parlato con il ranger, Wayne Wesph il quale ci ha raccontato che in una caverna, in fondo ad una pozza d'acqua color verde cupo, vicino al masso di roccia che si eleva dalla polla d'acqua possiamo scorgere, lungo non più di tre centimetri, un pupfish, intento a cibarsi di alghe e piccoli insetti La grotta non era lontana, si trovava nei paraggi, e quindi siamo andati a vedere questo piccolo pesce preistorico. Guardando questi resti minuscoli di un'epoca lontanissima ho provato insieme soddisfazione e apprensione: Qui, nel mezzo di quest'inferno riarso che è la Death Valley, in un a<ambiente totalmente ostile ala vita, una specie animale non più grande di una piuma è riuscita a resistere per migliaia di anni, finché la sua sopravvivenza non è stata minacciata dagli insediamenti umani. Che l'uomo possa essere più pericoloso della Valle della Morte, fa davvero pensare.
Il Calore.
Il clima durante l'estate è molto severo ed alcune situazioni d'emergenza possono portare al pericolo di morte. Occorre portare con se una provvista d'acqua di scorta nelle vetture. Bisogna bere almeno quattro litri a giorno. Prima di iniziare l'escursione, bisogna richiedere il libretto " hot Werther Hints" al centro Visitatori. Vicino al centro, vi è una targa che cos' recita:
" La Death Valley appartiene a Lei ed alle generazioni future. Ne faccia saggio uso, cosicché tutti possono godere della sua bellezza, come ha fatto lei.


ALLA SCOPERTA DI LAMPEDUSA

Era un pomeriggio chiaro e luminoso, quando ci siamo imbarcati sulla nave traghetto, che dal porto di Agrigento, in poco tempo, abbiamo raggiunto l’Isola di Lampedusa.  Appena sbarcati, ci siamo fermati per ammirare il sole che stava tramontando sul mare. Per noi che giungevamo dalla pianura Padana, l’immagine dell’isola era come un angolo del paradiso terrestre. Il tramonto sul mare  è stata una visione da sogno, dove lo sguardo poteva spaziare all’infinito e i clori si fondevano creando una visione fantastica, tra il reale e l’irreale,

Qui a Lampedusa c’è una comunità di pescatori che compone in silenzio una sua cultura, fa la sua storia e propone un progresso, una nuova educazione. Conosce le sue pietre ed i suoi scogli che cadono a picco nel mare, le sue spiagge e spiaggette, i suoi piccoli promontori, le terre rosse, biancastre, nere che ricordano l’antico vulcano, ogni costa e anfratto, i pianori seminati di sassi bianchi perché bruciati dal sole, le piccole colline, ogni collina con il suo nome in un susseguirsi di calde immagini, nella maniera che su una tela mobile si fanno vedere gli aspetti delle persone più care ai nostri gusti. Si distende, si diffonde, si comprende nella sua terra la gente di Lampedusa, Ogni pietra sui sentieri e nei piccoli triangoli di terra coltivata è stata sistemata al suo posto, come ogni pietra di una collana sul petto di una bella dona dell’isola. solo perché si confà in un certo ordine predisposto, non reca danno, diventa più utile, più accasata, umanizzata. Come dappertutto cercano i bambini le viole, qui gli uomini adulti sentono il piacere dell’ordine, la funzione delle pietre, persino esse, le piccole a mille, varie nelle forme e nei colori, come disposte per essere accanto ad altre più grosse, anche giganti, alcune messi lì come chiocce che guardano i pulcini ed il mare, quel mare azzurro come il suo cielo. Alcune rocce sono scolpite dallo sciupio che fa il tempo come su una faccia contorta dalle rughe dai segni della vecchiaia o lasciati dalla salsedine, che corrode anche l’anima degli uomini di Lampedusa. Comincia il gioco dei ragazzi con i sassi nella prova dei disegni dalla misura delle distanze, nella ricerca delle figure nelle prove dei lanci a campanile, nel senso della lunghezza:

  IL Parco Naturale della Montagna Grande:
Con i suoi 836 metri, è per decine di chilometri, il punto più alto del Mediterraneo Centrale. Questa caratteristica l'ha resa strategicamente. importante: dalla sua cima si poteva controllare tutto il movimento che avveniva nel tratto di mare che collega l’Africa all’Europa. E' per questo motivo che Pantelleria fu probabilmente abitata fin dal mesolitico. Gli Arabi ne riconoscevano la possibilità per meglio innalzarsi verso Allah, così essa viene considerata Montagna Sacra e chiamata Sciaghibir: grandiosa, eccezionale, meravigliosa. Ricoperta da boschi e foreste di lecci e di pini, con specie botaniche singolari ed uniche, la Montagna Grande è il cuore della Riserva Naturale Orientata dell’Isola di Pantelleria. Inoltre questo parco naturale è l'unico in Europa dove nidificano due graziosi e coloratissimi uccelli: la Cinciarella Algerina e il Beccamoschino. Notevole il panorama sul Canale di Sicilia e al tramonto spettacolare la vista della costa africana.

  Contrade Contadine:

agglomerati di dammusi con annesso giardino d'agrumi protetto da particolari costruzioni circolari in pietra chiamati Jardini, le undici contrade disseminate su tutto il territorio, conservano ancora il nome originale arabo come Khamma, Rekhale, Gadir, Bukkuram, Bugeber.

Il Salto della Vecchia:

 Un panorama indimenticabile, uno strapiombo alto 300 metri sulla cui parete nidificano numerose varietà d'uccelli marini fra cui il bianco gabbiano con i piedi rossi, che  fa la spola in continuazione tra la falesia e il mare, per imboccare i suoi piccioni che  hanno voglia di spiccare il volo verso quel meraviglioso mare.

Nicà, sono le  sorgenti termali che sgorgano fra gli scogli della riva mischiandosi subito con l'acqua del mare. Hanno una modesta radioattività, come quelle di Gadir, Sateria e Scauri, quindi con indubbie virtù terapeutiche. Nelle vicinanze si trovano piccoli depositi di zolfo, incrostazione di silice idrata e di allume. La temperatura dell'acqua si aggira tra 85°C e 100°C.

 La Piana di Ghirlanda: considerata il giardino dell'isola, è una pianura fertilissima riparata dai venti e circondata da vulcani, in un boschetto di lecci una necropoli bizantina scavata nella roccia. L'architettura rurale dei muretti a secco che disegnano, a gradoni, i declivi dei vulcani.
La Macchia Mediterranea del Khagiar: un'antica colata lavica lunga 3 km, ricoperta da una rigogliosa vegetazione di mirto, corbezzolo, lentisco ed erica, che cresce fitta e bassa, forgiata dal vento; sono presenti numerose colonie di conigli selvatici e diversi esemplari della rara tartaruga greca.

 IL Lago Specchio di Venere:

È un bacino lacustre situato nella parte Nord dell’Isola ed occupa il fondo di una depressione di origine calderica. Il livello delle sue acque è mediamente di 2 metri sul livello del mare ed è alimentato sia dalle sorgenti termali che dalle piogge, infatti, nei periodi di scarsa piovosità la sua superficie si riduce lasciando a secco la fascia marginale poco profonda e ricca di fango nero-verdastro, dovuto a depositi di alghe termofile, dal caratteristico odore di zolfo che viene utilizzato, per uso terapeutico, sulla pelle. Il lago ha una profondità massima di 12 metri. Le sorgenti che alimentano il Lago sono quasi tutte concentrate sulla sponda Sud ed hanno una temperatura variabile tra i 40°C e i 50°C.

 Il nostro soggiorno in questa meravigliosa isola è durato una settimana. In questo periodo, oltre a  fare il bagno in qualche  cala dalla sabbia finissima, ci siamo crogiolati al sole. In un certo senso, queste piccole spiagge, hanno una rassomiglianza con quelle della Sardegna, come Cala Gunone, Cala Luna e l’Insenatura dell’Olivastra, che sarebbe la spiaggia di Santa Maria Navarrese e la punta di Golorizé, ti fa sentire all’unisono con quel maestoso paesaggio roccioso, che si corrisponde alle numerose viste panoramiche di Lampedusa. Una volta che sei lì, non puoi fare a meno di effettuare in barca un giro dell’intera isola.  Il fatto è che sei solo e nessuno ti viene a rompere le scatole. Quelli sono luoghi per giovani coppie di innamorati, che  vogliono rimanere da sole.

UN GIRO DELL’ISOLA IN BARCA

 Dopo qualche giorno di permanenza nell’isola, ti senti la necessità di effettuare un giro in barca, per renderti conto delle bellezze naturali,  come le grotte marine, qualche volta maestose come cattedrali, dove all'interno l'acqua riflette colori che vanno dal blu intenso al verde smeraldo. come per esempio, di quelli della Grotta Azzurra di Capri. Durante il giro dell’isola vi si incontrano numerose e meravigliose luoghi molto interessanti, come: Karuscia, Campobello, Kattibuali, la riparata cala Cinque Denti, il Laghetto delle Ondine, le sorgenti termali della Cala Gadir e poi, cala Tramontana, il Faraglione e cala Levante. Un cenno a parte per l'incredibile Arco dell’Elefante, che è il monumento naturale dell'isola. Si continua con cala Rotonda, la Ballata dei Turchi, dove è ubicata l'antichissima cava di ossidiana,Ne Medioevo, con questo minerale si costruivano lance e coltelli che servivano sia per la caccia che come utensili domestici. Nicà, dove le sorgenti termali arrivano quasi a 100 gradi e ancora, Scauri, l'antico approdo romano e la grotta termale di Sateria. Suvaki, Punta Fram, dove le colate laviche hanno plasmato fantastiche sculture naturali, molto belle da vedere e fotografare e nelle sere d’inverno rivedere con gli amici vicino al focolare. Mursia e cala del Bue Marino, sono due località molto caratteristiche, scavate nella roccia.

Proseguendo la navigazione si incontra La Ballata dei Turchi: si tratta di un grande e levigato lastrone di roccia lavica che degrada sul mare, circondato da imponenti scogliere a strapiombo, alte fino a 300 metri. Le recenti ricognizioni archeologiche hanno dimostrato che la zona fosse frequentata dall'uomo già 7000 anni fa per l'estrazione dell’ossidiana. Inoltre, per chi navigava per il mediterraneo, era (e rimane tuttora) un ottimo punto riparato dalle improvvise tempeste. Il toponimo, secondo Angelo D'Aietti, deriva da un atto d'arme verificatosi verso la seconda metà del 1700, quando tre galee piratesche tentarono, in una calma notte primaverile, di attraccare per occupare l'isola e per "far de' schiavi". L'attacco fu sventato dalla popolazione e i pirati catturati "restarono in schiavitù". Alla Ballata dei Turchi, la tradizione vuole che sia sbarcata, dopo un naufragio, l'icona della Madonna della Margana.
Dietro l'Isola.

 Nella parte sud dell’isola una pineta (pini d'Aleppo, pini marittimi e querce) che sfida la roccia a strapiombo fino al mare; un’esplosione di profumi aromatici. E' la continuazione del bosco della Montagna Grande.

Gadir:

Queste sorgenti termali sono conosciute ed apprezzate fin dall'antichità. Infatti, la località dove sorgono, Gadir, è un nome di origine semitica che significa "luogo protetto". Furono proprio i Fenicio-Punici che per primi cominciarono ad apprezzare le qualità terapeutiche di queste acque. Recenti studi inoltre hanno stabilito che il probabile stabilimento termale sia stato coperto da un crollo di origine vulcanica. Le piccole vasche esistenti scavate nella roccia, si dice che siano i resti dell'antico impianto. Le sorgenti seguono un percorso che dall'alto scende verso il mare e le acque vengono catturate in queste piccole vasche. Le acque delle sorgenti, particolarmente dolci ma ricche di sali minerali, servono per curare soprattutto artrosi e reumatismi in genere ed hanno una temperatura non costante che va dai 39°C fino a raggiungere i 50°C. Sulle pareti delle vasche nasce una particolare qualità di alga che viene usata con molta efficacia per curare sinusiti, raffreddori e piccoli problemi alle vie respiratorie.

La grotta di Sateria:

È conosciuta fin dall'antichità per la qualità delle sue acque termali. Recenti studi la fanno identificare con l’omerica grotta di Calipso, nell'isola di Ogigia. Al suo interno sgorgano sorgenti d'acqua calda ad una temperatura di circa 40°C che confluiscono in tre vasche. Il nome Sateria deriva dal greco "Soterìa" e significa grotta della salute.

Margana:
In località Margana sorge l'omonimo santuario, dov' è custodita l'immagine della Madonna della Margana, protettrice dell'isola di Pantelleria e dei suoi abitanti. Il dipinto risale all'857 e pare che sia arrivato a Pantelleria per mezzo dei monaci del cenobio del Patirion, con il quale i basiliani di Pantelleria erano in contatto, per nasconderlo dalle numerose scorrerie piratesche che all'epoca infestavano le coste calabresi, come Palmi e Bagnara..

 Da una ricerca sulle isole di Lampedusa, fatta in Internet, abbiamo appreso che l‘isole di Lampedusa è la più grande delle isole Pelagie  (le altre 2 sono Linosa e Lampione), dista 205 Km. dalla Sicilia e 115Km. dall'Africa. Il suo territorio è pianeggiante con una superficie che si estende su circa 20 Kmq e con massima altezza 133 m. presso Albero Sole. Essendo geologicamente terra africana presenta un paesaggio arido e selvaggio; appartenendo alla piattaforma continentale africana è costituita da terreno calcareo per cui le spiagge sono costituite da sabbia bianca e assieme all'acqua cristallina fanno si che possiate trascorrere a Lampedusa vacanze estive indimenticabili.   

Lampedusa con il suo aspetto arido e selvaggio ricorda a molti i paesaggi messicani e addirittura a qualcuno sembra di "essere sulla Luna". Nella zona di muro vecchio c’è un fondale roccioso con cernie, grotte sommerse e tane di saraghi e ombrine, mentre allo Scoglio Vela c’è un fondale di posidonia e sabbia bianca. Per avere una visione più completa dell’isola, se siete motorizzati, potete percorrere sia la strada panoramica che costeggia.

La parte Nord, alta a e piena di affascinanti insenature, sia qualche strada dell’entroterra in cui si possono incontrare pastori con greggi di pecore o capre al pascolo, dalla quale si producono eccellenti ricotte e formaggi. Incontrerete terreni coltivati da pochi contadini di Lampedusa e recintati da tipici muri in pietra lavorati a secco e vecchi ammusi, come quelli della zona detta Batola o la famosa caca Teresa. Girando per le campagne si possono trovare piante di capperi, rosmarino, asparagi selvatici, gelsi neri, fichi e fichi d’india. Il Corpo Forestale Di Lampedusa ha sotto la sua protezione alcune zone dell’isola, le zone: Alaimo, Grecale, Cala Francese, Albero Sole, Sangue dolce e Capo Ponente. Dal 1968 opera per la conservazione, la cura e il rimboschimento con piante di pino d’aleppo, acacie, carrube, ginepro fenicio, lentisco, olivastro, corbezzolo, acacie spinose, tameriggio e ginepro coccolone.

Inoltre in queste terre si possono trovare piante spontanee di macchia mediterranea, carciofi spinosi selvatici, timo, finocchi selvatici e capperi. Tutte le aree vengono recintate, da squadre di abili operai del corpo forestale, con muri di pietra locale lavorata a secco, come si usava anticamente. I terreni di Lampedusa sono di varia costituzione. Ha secondo delle zone possono essere costituiti da terra rossa, sabbiosa o argillosa. L’argilla essendo molto friabile viene facilmente erosa dal vento formando piccoli cumuli a mo di piccoli forni. 

GLI SBARCHI CONTINUANO TUTTE LE NOTTE.

Da alcuni anni ormai, l’isola di Lampedusa è sotto dominio, é invasa dagli sbarchi  dai nord africani, In questi ultimi tempi migliaia di Tunisini, Africani, Eritrei, Somali e grazie alla guerra civile in Tripolitania, non c’è notte che non sbarcano centinaia di immigrati che scappano dal’inferno della guerra, che ha distrutto città e paesi, causando danni  ingentissimi e migliaia di morti da parte delle truppe speciali del  Colonnello GHEDDAFI, che faceva sparare a zero sopra la folla che chiedeva uguaglianza, pane e lavoro.  In seguito a tutto ciò, l’Onu, è intervenuto bombardando gli impianti petroliferi e le piazzarti del Colonnello dittatore.

 Duemila immigrati nelle ultime 24 ore

 Venendo nuovamente a parlare del’isola di Lampedusa. Risulta che nelle ultime 24 ore  sono sbarcati 1.933 immigrati: è il numero più alto di arrivi da quando sono ripresi gli sbarchi. Impressionante anche il dato degli ultimi tre giorni: da venerdì sull'isola sono arrivati 3.721 clandestini. Intanto un nuovo barcone con circa 300 persone a bordo è stato individuato al largo di Lampedusa: verso il natante, che starebbe imbarcando acqua, si stanno dirigendo le motovedette della Capitaneria di porto.

Unhcr: si cercano due barconi partiti dalla Libia
Sono almeno due i barconi partiti dalla Libia dai quali in queste ore è stato lanciato l'sos attraverso telefoni satellitari e dei quali finora non è stata trovata traccia. Lo conferma Laura Boldrini, portavoce dell'Unhcr, l'Alto commissariato Onu per i rifugiati. A bordo ci sarebbero persone di nazionalità somala, eritrea e libica, comprese molte donne e molti bambini.

Nuovo sbarco a Lampedusa.

Nuovo sbarco di immigrati nordafricani sull'isola di Lampedusa. Un'imbarcazione con a bordo una quarantina di extracomunitari è approdata al porto, dopo essere stata soccorso dai mezzi della Guardia costiera e della Guardia di finanza. Allarme per gommone partito dalla Libia.Non si hanno più notizie di un gommone con 68 migranti a bordo, tra i quali numerose donne e bambini, che domenica sera aveva lanciato l'SOS perché si trovava in difficoltà nella sua traversata dalla Libia. La richiesta di aiuto, attraverso un telefono satellitare, era stata raccolta da Don Mosè Zerai, il presidente dell'agenzia Habeshia che si occupa di rifugiati e richiedenti asilo. Nell'ultimo contatto con l'imbarcazione, gli immigrati avevano raccontato di trovarsi a circa 60 miglia dalle coste libiche, con poco carburante e senza viveri.

 Il Presidente Giorgio Napolitano: "No reazioni sbrigative"Di fronte alle nuove ondate di immigrati, In Italia "ci sono ogni tanto delle posizioni, delle reazioni un po' sbrigative a livello di opinione pubblica" alle quali non bisogna indulgere. Piuttosto bisogna ricordare il nostro passato di paese numero uno in Europa per numero di emigranti e "governare" la nuova situazione che si è creata, anche se "non è semplice". ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, rispondendo a una domanda a margine della inaugurazione dello spazio espositivo "Industria Gallery" a New York.

 La  giornalista Fiorenza Sarzanini così scrive nel suo reportage:

“Il piano alternativo se non si fermano gli sbarchi. Individuati 13 siti per gli immigrati:

ROMA - Le aree per l'allestimento dei centri provvisori dove trasferire i migranti sono state individuate in tutta Italia. Sono tredici «siti» messi a disposizione dal ministero della Difesa e gestiti direttamente dal Viminale. Ma soltanto domani, al termine del Consiglio dei ministri, si saprà se davvero ospiteranno i tunisini portati via da Lampedusa. Perché il piano alternativo del governo prevede il respingimento di massa e dunque - se fino a domani non ci sarà un blocco degli sbarchi - la nave San Marco e quelle della flotta Grimaldi potrebbero fare direttamente rotta su Tunisi.

Sono numerosi i dettagli che si stanno mettendo a punto in queste ore, anche per superare le numerose difficoltà giuridiche soprattutto per quanto riguarda il diritto internazionale. E per evitare - questo è il rischio più temuto - che gli stranieri si rifiutino di lasciare l'isola. Il piano studiato con il prefetto Giuseppe Caruso, commissario straordinario per l'emergenza immigrazione, prevede che gli stranieri approdati sull'isola siciliana senza permesso vengano portati altrove. Tra le città individuate oltre a Taranto, ci sono Caltanissetta, Pisa e Potenza. Ma la linea che il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha già illustrato al presidente del Consiglio e agli altri esponenti di governo prevede un'azione di forza se le autorità di Tunisi decidessero di non dare seguito all'impegno preso venerdì scorso di intensificare i controlli sulle proprie coste per fermare le partenze.

«Procederemo con i rimpatri forzosi», ha affermato due giorni fa il titolare del Viminale. E poi ha predisposto questo piano alternativo partendo dal presupposto che imigranti si trovano ancora in una zona di frontiera dove sono sottoposti alle procedure di identificazione e dunque possono essere «respinti». Un avvertimento alla Tunisia, ma anche una sfida nei confronti dell'Unione Europea che non ha fornito alcuna risposta agli appelli dell'Italia. Un'iniziativa che - come avvenne per i respingimenti concordati con la Libia - rischia di provocare nuove e durissime polemiche a livello internazionale. Anche perché si tratterebbe di una decisione presa senza l'assenso del Paese d'origine.

Il primo ostacolo da affrontare riguarda la guida delle navi, perché si tratta di mezzi civili e dunque è difficile che si possa obbligarli non soltanto a entrare in acque internazionali, ma soprattutto a sconfinare in quelle tunisine. E poi bisogna stabilire a chi spetti il compito di effettuare le scorte.
Non meno complicato da risolvere è il problema dell'ordine pubblico che vedrà impegnati la polizia, i carabinieri e la Guardia di Finanza già chiamati a tenere sotto controllo la situazione di Lampedusa.
Il potenziamento dei contingenti è già stato predisposto in vista dello «sfollamento» e riguarderà anche i servizi di vigilanza nei Cie temporanei perché, a differenza dei profughi, gli extracomunitari irregolari non sono liberi di muoversi ma possono essere trattenuti fino a diciotto mesi. Una situazione pesante che già provoca la reazione allarmata dei sindacati di polizia.

È Nicola Tanzi, segretario del Sap, fa mettere in guardia sulla «necessità urgente di concordare una efficace strategia e mettere in campo una linea di comando chiara. E poi bisogna incrementare il numero di personale in servizio, oltre ai mezzi, perché con le forze a disposizione non siamo in grado di controllare nel miglior modo possibile gli immigrati e di impedire fughe, tenendo anche conto che la maggior parte di loro è costituita da uomini e giovani, pochissime donne».

Preoccupazione forte per le conseguenze che questa emergenza può avere viene espressa anche da Claudio Giardullo, segretario del Silp Cgil che parla di «piano alternativo irrealizzabile perché la condizione necessaria a rimpatriare un clandestino è l'accertamento della sua identità e dunque del Paese d'origine. Il rimpatrio forzoso rappresenta una torsione delle norme e degli indirizzi internazionali che rischia di far degenerare la situazione creando più problemi che soluzioni e che espone in maniera forte anche le forze dell'ordine chiamate a gestire la crisi».

Si, è vero, il nostro Paese non può gestire da solo questo grande caos che si è venuto a creare nell’isole di Lampedusa. L’Europa si vuole “lavare le mani” come fece Pilato nella condanna a morte di Gesù.Non è facile gestire migliaia e migliaia d’immigrati, che ogni notte sbarcano sull’isola senza  la collaborazione dell’Europa e degli altri stati che ne fanno parte.

L’uomo della strada come me, si chiede: Che cosa servono le alleanze fra gli stati? Servono per  collaborare nei casi di emergenza e di grande bisogno di uno di essi. Con questi continui sbarchi, l’isola di Lampedusa, con l’avvicinarsi della stagione turistica, viene a subire u da non indifferente, sia per i pescatori quanto per gli albergatori.

 LAMPEDUSA:
ISOLA DI SOGNI E DI CHIMERE
 Sei bellissima,

E silenziosa,

Sei uno scoglio brullo

E roccioso

In mezzo al mare.

Sei diventata

Caotica di giovani

Con il cuore in mano

Che chiedono ospitalità

Al popolo Italiano.

Che arrivano ogni notte

Da non molto lontano,

Sono libici,

Tunisini

E tripolitani

Che fuggono dalla guerra

Che sognano una vita migliore

In un paese di pace

Parlano della nostra vita,

Come eravamo e come siamo.

Nascono con noi,

E ci raccontano di noi;

Seguono eventi bellici

Di un paese distrutto

Camminano,

Dandoci la mano,

Fin da bambini.

Al fratello italiano

Tu sorridi,

E ti rivedi ragazzo

E gioisci,

 Avanzato negli anni

 E intenerisci…

Sono le sole cose

Che rimangono,

Laggiù nelle dune

Del deserto,

 Le fotografie e i vecchi ricordi,

 Quando la grande cantante

Lale Anderson

Cantava l’Inno a Tripoli:

“Tripoli, bel sol d’amor”

Allora eri una città

Bellissima

Oggi sei un mucchio di macerie

Con centinaia di morti

E migliaia d’immigrati

Aggrappati

An un vecchio peschereccio

In cerca di una nuova Patria.


Il giallo di Bugarach
Nel sud-ovest della Francia, vicino al Mediterraneo, c'è Bugarach Peak, proprio nel paese cataro. Questa montagna sacra dei Pirenei, vicino a Carcassonne e Perpignan, la catalisi è attualmente il fervore spirituale degli europei.
Alcuni considerano Bugarach come l'equivalente europeo del Monte Shasta (California). Diverse montagne sacre in tutto il mondo, hanno un potente vortice ed hanno sempre svolto un ruolo spirituale. Oggi, essi partecipano alla discesa spirituale della nuova coscienza dell'Era dell'Acquario Per l'Europa, Bugarach è al centro di una ruota di medicina enorme.
Oltre ad essere un paradiso spirituale, la regione è di una bellezza mozzafiato e purezza. Vaste zone con un'abbondanza di alberi da frutto, luoghi termali, ne fanno un luogo ideale per rilassarsi nella natura.
Peak Bugarach ispirò grandi scrittori come Jules Verne, per i suoi libri profetici e Victor Hugo, che ne conosceva il valore energetico. Anche Nostradamus, che viveva nella regione, predisse che sarebbe diventato un importante snodo della storia. Più recentemente, il mistico Omram Mikhael Aivanhov, aveva una residenza lì e lo visitò spesso. Spielberg, regista statunitense, dopo un soggiorno in Bugarach, ha scritto la sua sceneggiatura "Incontro del terzo tipo".http://bugarach.ifrance.com

Alcune leggende vogliono che l'interno della montagna fosse abitato da giganti e che Verne stesso fosse un membro del priorato di Sion, un'antica società segreta legata ai templari.
Volendo approfondire il discorso su queste cose ho trovato una testimonianza sconcertante segnalata sul sito del centro ufologico di Taranto: buongiorno, sono Osvaldo, seguo il vostro sito e sono appassionato di archeologia e "misteri" collegati, sono molto amico con Giorgio Baietti, scrittore e studioso della storia e della zona intorno a Rennes le Chateau, nel sud della Francia. Ci siamo chiesti molte volte e di recente ancora qualche giorno fa in viaggio in quella zona, cosa ci sia di strano e particolare sul monte Bugarach in Francia. Questa montagna considerata sacra già dai Catari, prima che venissero sterminati dalla Chiesa, e' sempre stata oggetto di studio da molti ricercatori, addirittura Hitler con i suoi Nazisti fece studi e scavi su questa montagna. Anche la NASA alcuni anni fa condusse studi e rilevazioni, nonché scavi e pare questa zona sia controllata dai militari e servizi segreti. In un video reperibile su you tube c'e' addirittura un filmato di un ricercatore della zona di nome Jac de Rignies che e' stato mandato in onda su una trasmissione francese che si occupava di studi su quella zona, e afferma che oltre ad aver registrato su nastro ( e si sente ) rumori provenienti da alcune gallerie sotterranee della montagna che ne e' piena, ci sia un disco o cupola metallica del quale ne da' anche le dimensioni a circa 30 metri di profondità. Ci stiamo chiedendo in molti: cosa nasconde quella montagna? Tra l'altro dà anche delle ''sensazioni" strano tipo vibrazioni o fruscii captabili dall'uomo normale ed e' capitato a molti frequentatori di quella zona. fiume per circa 32 chilometri vicino alla cittadina di Ozark", ha detto Keith Stephens dell'Arkansas Game and Fish Commissione alla Cnn.
Le prime carcasse sono state trovate giovedì e da allora non hanno smesso di aumentare fino a quota 100mila, i funzionari stanno conducendo dei test per capire quale sia la causa. "Se fosse colpa di un agente inquinante dell'acqua, avrebbe colpito ogni specie, non solo i pesci tamburo. Questa ipotesi è stata subito scartata", ha aggiunto Stephens
Allora il mondo finirà a Bugarach? La psicosi di massa per un paese francese:" Sarà l'unico luogo risparmiato dal'Apocalisse del 2012", come leggiamo sula Stampa di Torino, del 24 corrente mese. L'articolista incomincia dicendo: Di matti, si sa, è pieno il mondo. Ma una quantità fuori del comune si sta concentrando a Bugarach, un paesino che conosciamo da molto tempo, per esserci stati con gli amici del CAI di Mantova. In quel tempo non si parlava di Apocalissi, ma di sentieri e della meravigliosa natura di quei luoghi aspri e selvaggi della bellissima montagna che sovrasta quella stupenda montagna- Bugarach, è un paesino di 190 abitanti a 427 metri d'altezza e 800 chilometri da Parigi, fra Carcassonne e Perpignano, in un angolino sudorientale della Francia, terra di eresie catare e di foie gras, Il motivo è semplicemente folle, ma anche follemente semplice; la fine del mondo. Come tutti sanno perché se n'è parlato moltissimo, i Maya l'avrebbero prevista nel dicembre 2012, non si capisce bene se il 12 o il 21 Ma come invece sanno pochi, all'Apocalisse generale sopravvivrà soltanto Bugarach o meglio la montagna che lo sovrasta, il Pech versione occitana del "Pic" francese, 1231 di roccia distribuita in modo bizzarro per uno scherzo della geologia. Perché il mondo debba finire dappertutto tranne che la sopra è dato capire. Sta di fatto che cliccando sul sito " Googol", come abbiamo fatto noi, appaio moltissime risorse e il tam tam dell'approssimarsi della scadenza fiale, aumenta.
Le ipotesi variano; sul Pec un'anomala magnetismo ( la montagna sarebbe un enorme calamita e infatti, assicurano - gli aerei non possono sorvolarla, ma la Deiezione generale dell'aviazione civile, come leggiamo in un altro articolo, smentisce; altri dicono che dentro c'è una base di alieni, no, c'è l'Arca dell'Alleanza; no il sepolcro di Cristo. Oppure il tesoro dei famosi templari, che si è parlato in tantissimi libri) però nella vicina Rennes- le. Chateau, 800 abitanti e 100 mila visitatori) la sepoltura di Maria Maddalena, la terza dimensione, una città catara, un parcheggio di Ufo e via delirando.
L'articolista della Stampa, continua dicendo, l'unico modo per capirci qualcosa è di andarci a vedere da vicino. E qui si scopre subito che é vero, si: Bugarach sopravvivrà alla fine del mondo. Per arrivarci da Parigi bisogna prendere un aereo, poi un treno, poi un autobus ( a bordo tre persone compreso l'autista e 'altro passeggero scende prima) e poi una macchina con il taxista che attraversa borghi sonnolenti, dove l'ultimo evento eccitante è stata la Crociata contro gli albigesi, dice che Bugarach è proprio "perdu" Questo paese di montagna fa 194 abitanti E' la popolazione di Bugarach, ma il numero di visitatori sta aumentando in modo esponenziale man mani che si avvicina la data fatidica del 2012.
Perduto, ma é un borgo montano molto carino: sotto il Pech coperto dalla bruma ( si dice che abbia ispirato Spielberg per la montagna di " incontri ravvicinati del terzo tipo", e dai) c'è un paesino con la chiesetta, una torre medioevale diroccata, un po' di casette basse, tre bed&breakfast aperti solo d'estate e i cartelli stradali in occitan. In torno, un suggestivo nulla. Non c'è neppure un bar: già la fine del mondo è una seccatura, ma senza un drink diventa una tragedia. E poi piove, fa freddo e tira sempre il vento, quindi la passeggiata per Bugarach da un nuovo significato all'espressione del mondo, almeno l'attuale impazzimento per Bugarach dà un nuovo significato all'espressione " solo come un cane" un cane incontinente è in effetti l'unico indigeno che s'incontra. Nel periodo estivo si incontrano gli alpinisti, che hanno uno scopo: quello di scalare la montagna di cui si parla tanto. Con degli affacci mozzafiato. Questo Solo c'è di bello sulla cima della montagna e tanta fatica per arrivarci.
Per concludere, insomma, andare a Bugarach o morire? In America si vendono già i viaggi organizzati ( ma comprensivi di ritorno), è attesa per un reportage persino la tv giapponese e viene ricordata la profezia di tal Guillaume Bélibaste, un cataro arso vivo nel 1311 nella vicina villa Villerouge, che prima di finire in flambé, proclama " 700 anni questo lauro rifiorirà. Milletrecento più 700, i conti tornano. Nell'attesa, indovinate chi é il personaggio italiano su cui il sindaco di Bugarach chiede lumi al cronista di passaggio della Stampa. Si è proprio quello che immaginate. Quindi anche da Bugarach, cattive notizie. Quando il resto del mondo, sarà finito, ci sarà ancora un posto dove si parlerà di Silvio Berlusconi.
A Bugarach, dove si crede che il mondo finirà il 2012, come abbiamo detto sopra, ci siamo stati una sola volta , molti anni fa. , ma conosciamo molto bene altre località stupendamente belle, come La Provenza, che si trova a sud della Francia, a pochi km dal confine di stato con l'Italia , è una regione bellissima, dove fiorisce la lavanda ed è bagnata dal fiume Verdon , chiamato così per le sue acque verdi, dovute ad un'alga. In questa regione siamo stati diverse volte con gli amici del CAI di Mantova. Nel Rifugio " La Maline" vi abbiamo pernottato più volte e nel Ristorante di fronte abbiamo anche cenato. Oggi leggiamo un articolo sulla Stampa di Torino, dove la "'Psicosi di massa per un paese francese: Sarà l'unico luogo risparmiato dall'Apocalisse del 2012"?
E' d'obbligo il paragone con il Grand Canyon, ma non gli rende del tutto giustizia Perché se non gli può rivaleggiare con il capolavoro geologico del Colorado per misure e varietà di ratificazioni , il canyon più spettacolare e profondo delle Alpi vanta molti altri primati. Il colore del fiume che lo ha creato innanzitutto, un mix unico di giada,, smeraldo e acquamarina che i francesi chiamano tradotto in un nome semplice ma eloquente: Verdon E poi quella sorprendente miscela di contraddizioni e di stimoli che, a due passi della Costa Azzurra e del profumo del mare portato dal mistral, vento ed anima della Provenza, ricrea un ambiente dolomitico orientato verso il basso. Sul fondo delle g del Verdon, muraglie rovesciate di calcare alte 700 metri culminano in vette surreali e metafisiche attraversate da nuvole di spuma vaporizzata e di squarci verde-azzurri
Al Grand canyon delle A si arriva in meno di due ore dalle spiagge dorate di Nizza, Cannes, St-Tropéz ,inoltrandosi in quell'entroterra ( ma il termine francese di arriére- pais ne rende meglio il senso di reame nascosto). Almeno qui, nel Verdon, fra queste montagne fantastiche a forma di cono rovesciato, non si nasconde nulla loro visceri e neanche la terra e le rocce che le compongono, tremano dalle scosse dei terremoti. Qui, nessuno ha paura che fra un anno il mondo finirà. In questa meravigliosa località di mille profumi e di incanti, aspro eppure capace di improvvise dolcezze, che si chiama Provenza . Qui i turisti arrivano da tutto il mondo,per godere delle bellezze del paesaggio e dei deliziosi profumi, non perché colti dalla psicosi di massa per un paese francese, che come dicono è l'unico luogo che sarà risparmiato dall'Apocalisse del 2012.. come Bugarach.
Noi non siamo scienziati e neppure indovini, ma riteniamo che la fine del mondo o prima o poi ci sarà e quando avverrà sarà improvvisamente e nessuno di noi si accorgerà.
"Mille e ancora Mille. Mille e non più mille" L'antico ammonimento, fatto di una speranza o di una profezia, è rotolarono lungo il corso dei secoli, dall'inizio del cristianesimo, per giungere con tutti i suoi significati più reconditi e spesso contraddittori in piena età informatica alle soglie del secondo millennio Giovanni apostolo, scrivendo l'Apocalisse, uno dei testi più affascinanti e visionari della letteratura d'ogni tempo, annunciava ''imminenza del ritorno di Cristo e della Nuova Gerusalemme, mentre la Chiesa delle origini ammoniva i propri fedeli a non sposarsi e a non procreare perché il giorno del giudizio, il giorno dell' Armefedon, era ormai prossimo.
Era dunque scritto: ci sarebbe stata la fine di questo mondo che si sarebbe tramutata in una palingenesi che avrebbe segnato l'inizio di un nuovo mondo Ma quale mondo? Un nuovo mondo spirituale o u nuovo mondo materiale? Dagli sconvolgenti scritti di Rodolfo il Glabro nei cupi tempi del Medio Evo attorno all'anno Mille alle sconsolate ma consapevoli previsioni di Oswald Splengler, dai terribili anni della peste nera a Nostradamus, dai sogni utopici di Gioacchino da Fiore e di Tommaso Moro alle speranze rivoluzionarie di Karl Marx. Si ,da sempre, gli uomini hanno sentito irresistibile il bisogno di un anno Mille, di una data nella quale tutto venisse azzerato e fosse possibile riconoscere da capo, nella Nuova Gerusalemme o in una nuova società terre, nella città di Dio o nella città degli uomini. Ed è stato forse questo bisogno che ha fatto fiorire religioni, scrivere libri indimenticabili, dato all'uomo la forza di andare avanti, di cercare di raggiungere _ come è stato scritto - non un luogo, ma un nuovo modo di vedere le cose. Ed è proprio se entriamo in tale ottica, troveremo le ragioni di rovesciare l'antico ammonimento: non " Mille e non più Mille", ma " Mille e ancora mille.
Il Mondo non ha torto di lamentarsi, per come noi inquilini disordinati ci stiamo comportando in questi ultimi 50 anni. Si, in questi ultimi tempi, non abbiamo fatto altro che inquinare ogni cosa: il mare, i fiumi e l'aria che respiriamo. O prima o poi, un bel giorno, arriverà improvvisamente la Apocalisse e allora scomparirà completamente questo meraviglioso mondo.

Escursione a Pastrengo.
Il 15 settembre 2010, In un dolce pomeriggio settembrino, da Campitello (Mantova), abbiamo deciso con Adriana mia moglie, di fare un viaggio a Pastrengo. Il sole era alto nel cielo quando la nostra auto percorreva la strada statale lungo il Lago di Garda. Mentre ammiravo il placido lago e quel paesaggio incantato, mi sono detto fra me: che cosa c'è di più bello di questo cielo azzurro, dei prati del verde intenso e poi i colori dei fiori che come un inno alla vita, infondono dolcezza e allegria allo stesso tempo? A questo punto senti il bisogno di raggiungere le dolci colline con gli uliveti e i vigneti delimitati dei lunghi e bellissimi cipressi che bucano il cielo. Questo paesaggio pittura ti trasmette le bellezze della natura. Si procede sempre così in questo paradiso terrestre. Superiamo Riva del Garda e proseguiamo verso La punta di San Vigilio, che si specchia sulle sponde del Lago.
I contadini stavano vendemmiando e nell'aria si sentiva il profumo del mosto Siamo arrivati nel piccolo centro storico a bordo della nostra autovettura Peugeot 1400, nelle prime ore del pomeriggio, quando il sole incominciava a declinare verso Ovest. Un'intera giovinezza risorge al primo tocco della memoria d ogni contatto con i luoghi, con le antiche parole da cui si irradiano tremore e dolcezza - sulla soglia del tempo che sempre più si allunga alle mie spalle, Tornano emozioni, fantasie di una sommersa Atlantide; lontane stagioni avvolte da un velo notturno.
Ogni parola non detta, ogni gesto più segreto si compone in un quadro bellissimo dipinto da un grande pittore De Albertis - 1828-1897. Stiamo parlando della Carica di Pastrengo Questo piccolo paese è situato sulle colline moreniche che dividono il fiume Adige dal bacino del Garda, a centocinquanta metri sul mare, diciassette chilometri a nord-ovest da Verona, sempre al centro di una rete importantissima di strade fra il Mantovano e il Tirolo, fra le regioni del Bendo e le città dell'entroterra veneto. E' un paese in cui, fin dall'antichità, facevano tappa mercanti e soldati in viaggio dalle terre del Centro Europa a quelle del centro Italia. La sua posizione strategica, non sfuggita ai popoli della preistoria e già esaltata in epoca romana, assunse particolare importanza in età longobarda. Qui i longobardi, in un probabile preesistente agglomerato urbano, collocarono un loro presidio militare, tra Adige e Garda, all'incrocio delle strade per Verona, Mantova e Trento, con possibilità di usufruire di risorse d'acqua, abbondanti foraggi e prodotti agricoli. Per questi motivi, per molti secoli le pertinenze di Pastrengo hanno costituirono una ben nota tappa militare, con edificio apposito, situato in località Campara. Il territorio di questo che è uno fra i più piccoli comuni del veronese, gode anche di posizione climatica e panoramica incantevole, tale da avere sempre favorito in un tempo l'agricoltura e l'allevamento del bestiame, nonché l'edilizia residenziale.

STORIA DEL COMUNE
Il ritrovamento di reperti archeologici (frammenti d'anfora, coltelli dell'età del bronzo) è indicativo dell'esistenza in Pastrengo di un insediamento preistorico. Durante il IX e X secolo, Pastrengo e Piovezzano (quest'ultima era stata comunità autonoma fino alle innovazioni napoleoniche) facevano parte amministrativamente della cosiddetta Giudicaria Gardense. Poi, fino alla metà del XII secolo, del Comitato di Verona e in seguito del Comune veronese. Pastrengo era però di proprietà del monastero di San Zeno fin dal 966, l'esercizio della giurisdizione feudale sul paese da parte del monastero zenoniano, terminò nel 1797 (quando cadde la Repubblica Veneta). Il diritto e i privilegi feudali sul paese, propri dell'Abbazia di San Zeno, vennero gestiti dagli avi di Guglielmo da Pastrengo, letterato, giurista e fondatore della prima università di Verona. Le tre guerre risorgimentali dal 1848 al 1866, svoltesi in prevalenza nella zona compresa tra il fiume Mincio, il lago di Garda e il fiume Adige, videro il territorio di Pastrengo percorso e ripercorso dagli eserciti del Regno di Sardegna e dell'Impero d'Austria. In particolare, a Pastrengo si svolse il 30 aprile 1848 la celebre battaglia conosciuta come "La Carica del Carabinieri" a cavallo in difesa del Re Carlo Alberto di Savoia, la cui vita correva pericolo a seguito di un improvviso attacco di tre brigate austriache: i tre squadroni dei carabinieri che accompagnavano re Carlo Alberto di Savoia, comandati dal maggiore Alessandro Negri di Sanfront (1804-1884), impedirono, con una carica, che il sovrano fosse fatto prigioniero. Questa carica contribuì poi a risolvere felicemente le sorti dell'intera battaglia, fino a quel momento non favorevoli alle truppe sardo-piemontesi Il monumento di Pastrengo, opera dello scultore Romeo Rota, di Pastrengo, inaugurato il 17 maggio 1925 dal Duca di Bergamo, vuole ricordare con i Caduti del paese anche la gloriosa "Carica dei Carabinieri" di cui ogni anno si celebra solennemente l'anniversario. Per questo motivo, alcuni bassorilievi che abbelliscono la scultura - tra cui le effigi del Re Carlo Alberto e del Maggiore Negri di Sanfront - si riferiscono all'eroico episodio. Anche lo stemma del Comune ricorda in qualche modo il celebre avvenimento. Esso raffigura una collina a tre punte con un pastore munito di bastone in piedi sulla cima centrale più alta, al suo fianco due pecore con stella a sei punte, simbolo di nobiltà e splendore, e sulla sinistra due spade poste in decusse (queste ultime richiamanti proprio la battaglia del 1848). Un ultimo omaggio, come simbolo di celebrazione della Carica di Pastrengo, è stato ideato nell'anno del 150° anniversario dell'evento: si tratta di un francobollo con relativo timbro annullatore. Il francobollo raffigura un particolare del dipinto ad olio "Carica dei Carabinieri a Pastrengo", realizzato da Sebastiano De Albertis (1828-1897) e custodito nel Museo del Risorgimento di Roma.
La bellissima storia della Carica di Pastrengo, l'abbiamo appresa molti anni fa, quando frequentavo la Scuola Allievi Carabinieri di Bari. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale. 22 febbraio 1947. Da quella data ne è passata molta acqua sotto i ponti. Sotto le potenti ali dell'Arma Benemerita, andando in quiescenza a gennaio 1985, con il grado di Maresciallo Maggiore. In 42 anni di servizio, non ho avuto il piacere di andare a visitare il piccolo e meraviglioso paese di Pastrengo. Quest'autunno, ecco che quell'antico sogno si è avverato. Campitello (Mn), dove abito con la mia famiglia, dista pochi chilometri dal luogo della famosa Carica di Pastrengo. Un paesaggio verde e bellissimo, linde colline che degradano verso la vallata di vigneti. Tutto mi incide, tutto mi ressa al cuore. Quelli sono i luoghi della storia e della memoria dell'Arma.
Qui, ogni parola riacquista peso e fervore, vibra del sangue, in un rimpianto di libertà. Grazie anche a quella Carica contro un nemico da sempre, il 17 marzo, l'anniversario del 150, compleanno della nostra bella Italia anche, come in tutta l'Italia, anche nel borgo di Pastrengo, si festeggia la ricorrenza. Con l'emissione di un francobollo- raffigurante la " gloriosa Carica di Pastrengo". Concludiamo questo nostro viaggio, nelle meravigliose colline di fronte al Garda, Con questa storica carica, su queste bellissime colline, si è contribuito notevolmente all'Unità del nostro meraviglioso Paese_
Questa poesia, che rievoca e immortala la leggendaria Carica dei Carabinieri:


La Carica di Pastrengo
Il 5 giugno di ogni anno
E' la ricorrenza della festa dell'Arma
Benemerita.
Che fu fondata il 14 giugno 1814
Quest'anno ha compiuto 195 esimo anniversario.
Della sua gloriosa fondazione
Al servizio del nostro Paese.
Nella magnifica Piazza di Siena
Nel verde di Villa Borghese in Roma
Che vede circa 145 cavalli
Lo squadrone a cavallo dei Carabinieri
Anche quest'anno ci ha deliziati
Con le sue ripetute cariche ed evoluzioni
Con cavalli e cavalieri
Oggi è come ieri
Con la rappresentazione
Della leggendaria
Carica di Pastrengo.
E' una meravigliosa rievocazione
Storica che si ripete nel tempo
Questa storica carica
Si verificò il 30 maggio 1848
Durante la prima Guerra d'indipendenza
Quando il maggiore Alessandro Negri di Sanfront
Che galoppava in testa al suo reparto di cavalleggeri.
Sulle verdi e meravigliose colline di Pastrengo
Notò una strana situazione
E ordinò al suo plotone
Di carabinieri a cavallo.
Che erano di scorta al sovrano Carlo Alberto.
Era al principio della giornata
Tra vigneti e uliveti e paesaggi mozzafiato
Quando improvvisamente
Ordino la carica
Ad una dozzina di carabinieri di avanguardia
Che si batterono in un'unità nemica
Non si capisce esattamente quale rischio
Abbia corso. Il sovrano Carlo Alberto
Ma in ogni caso,
La reazione fu rapida
San Font il comandante
Con la sciabola sguainata
Nell'incitare gli uomini all'avanzata
Galoppava in testa alla sua valorosa brigata.
Dello squadrone dei carabinieri
Che scortavano il sovrano.
Ordinò al trombettiere la squillo di tromba.
Che accompagna la carica
(Nota come la carica di Pastrengo)
Eseguita dallo stesso Carlo Alberto
La famosa carica ruppe e spezzo il nemico
Da Le Bionde
Contemporaneamente si mosse
Il generale Broglia,
Che mandò in supporto
I Cacciatori delle Guardie del sovrano
Saliti dalla località dell'Osteria Nuova
Mentre il primo Reggimento di Fanteria
Aggredì il Monte San Martino
Ed entrò a Pastrengo dalla parte del cimitero.
Raggiunto il centro della Fanteria
Di Vittorio Emanuele
Scesa a sua volta da Monte Bolega,
Mentre sulla sinistra lanciò la brigata Piemonte.
E oltre le costiere si posizionò l'armata Austriaca.
A Piovezzano
La pugna fu cruenta fra gli entrambi
Reparti
E molti cavalieri e cavalli
Caddero sul campo
Mettendo in fuga il comandante austriaco
Gen Wocher, che sulla collina di Pastrengo
Aveva schierato 7.000 uomini
Tenne per quanto possibile il paese
Lanciando anche la cavalleria
La contro carica di alleggerimento
Ma ormai le posizioni erano
Compromesse
E l'obiettivo era tenere aperto il varco
Per il ripiegamento
Verso la città di Verona.
Cosa che avvenne verso le ore 18,30
Quando la divisione attraversò l'Adige
In disordine sui ponti di barche
A nord di Pastrengo.
E' sempre bello, scenografico
Ed emozionante il carosello dei Carabinieri
Con le loro antiche uniformi
Ed il famoso pennacchio
Rosso e blu.

 

Siviglia e il
Flamenco

Sesta parte

ESCURSIONE A SIVIGLIA
Ai lati degli antichi marciapiedi di Siviglia, ci sono 64 gigantografie in bianco e nero che raccontano i volti delle donne del flamenco. Volti dalle espressioni intense, drammatizzate dal trucco acceso, che non esalta la loro bellezza, quanto la loro espressività. A volte sembra di vedere le maschere del cinema muto, senza però il glamour che circonda Hollywood. Le bailaoras che il fotografo colombiano Ruven Afanador ha ritratto vestite da Gucci e da Galliano, da Prada e da Dolce & Gabbana, non sono belle, hanno corpi a volte molli e disfatti, posano sedute, con le ginocchia distanti, come una ragazza di Hollywood, per quanto trasgressiva, non farebbe mai, sembrano esaltare la loro decadenza e allo stesso tempo esprimono una grande forza e una grande sicurezza. Hanno quel fascino, quel certo non so che le fa accostare alla passione, al fuoco, alla bellezza. "Eso es arte", come ci suggerisce la guida locale Signora Dolores, puro sangue di Siviglia, alla quale racconto le mie impressioni. In questa carrellata che inizia nella "plaza de san Francisco", ci sono tutte le più grandi, dalla Farruca, al secolo Rosario Montoya Manzano (è la madre di Farruquito, una dei bailaores più apprezzati del momento.

Ci sono le bailaoras di Siviglia e di Jerez de la Frontera, l'altro grande centro andaluso del flamenco, di cui è originaria Lola Flores, l'indimenticata Faraona. Cantaoras come Speranza Fernández, che appena vista assomiglia a una Rossa de Palma flamenquizzata e drammatizzata, per ricavare maggior intensità dal volto irregolare. Il fotografo "è fuggito dalla perfezione per esprimere la loro forza interiore, le loro vite appassionate" ha spiegato la truccatrice, Anale Beato, durante la presentazione della mostra. "Si è inspirato a Goya, all'arte barocca, a Botero, a Frida Kahlo, ai muralisti messicani, al neorealismo italiano e ovviamente all'espressionismo tedesco" ha spiegato l'assessore alla cultura Savigliano Rosa Torres, sottolineando che "fino adesso la rappresentazione del flamenco si è fatta in un modo stereotipato, tradizionale, Ruven invece ha voluto vincolare quest'arte millenaria un'immagine contemporanea".
.
La mostra è terminata a Siviglia il 15 ottobre. Lo Jerez de la Frontera è confluito nell'archivio del Centro Andalusa. Qui si trovano le più belle fotografie della bella galleria fotografica dedicatale da El Pois.

Nei giorni che seguirono, nel grande salone degli spettacoli nell'Hotel di Torremolinos, era tutto pronto per la serata conclusiva del nostro soggiorno. Una serata dedicata tutta al Flamenco. C'era un po' di confusione nel grande salone dell'Hotel, ma con l'arrivo del corpo di ballo, subito dopo è tutto ritornato alla normalità. I camerieri avevano appena terminato di servire la " Sangria", e subito dopo, abbiamo incontrato le ballerine nel Bar del locale, erano giovani e belle, forse era un po' troppo sgargiante il trucco delle ragazze, ma nel complesso tutto era secondo il programma. Le luci della sala si sono attenuate e la musica era potente e molto ritmata, ma soprattutto coinvolgente: il semplice passo di danza, le sue complessità e la bravura delle ballerine, nella fluidità. Le ballerine di flamenco raffigurate, invece come corpi presi dalla passione che cercano di dominare la danza. Grazie alla magia del cinema e incontrollabile grazia dell'oro bravura. La serata è continuata nel ritmo della danza e nelle canzoni andaluse. Comunque, per noi italiani, che non siamo abituati a questo genere di musica e di danza, è stata una serata veramente degna di averla ricordata in queste nostre pagine. Nell'occasione abbiamo scritto una breve poesia sul " Flamenco". Che è stata pubblicata sulla "Pagina Azzurra i Poetare"

Un viaggio nel cuore
dell'Andalusia

Quinta parte

LA CITTA' di SIVIGLIA:
LA PATRIA DEL FLAMENGO
Non solo don Chisciotte e Sancio Panza, con la bellissima Dulcinea e i mostri dei mulini a vento fanno parte integrante del paesaggio, ma soprattutto il Flamenco. Durante la settima del nostro soggiorno turistico a Malaga e Torremolinos , abbiamo visitato diverse linde cittadine della Costa del Sol, attorniate da un paesaggio bellissimo e in alcuni casi paradisiaci e mozzafiato, tra cielo, mare e terra. Una terra antica, dove nel passato, ha visto transitare gli eserciti Romani, Arabi e Fenici. La Costa del Sol, in un certo senso rassomiglia alla meravigliosa terra di Sicilia, con i Pupi e il suo meraviglioso mare e i suoi profumati giardini di zagara. Ma la Costa del Sol, è un'altra cosa, con il famoso Flamenco, un ballo caratteristico di quei luoghi fantastici, dove i volti intensi delle signore del flamenco.
La prima volta che abbiamo assistito ad una serata del Flamenco, è stato molti anni fa nella Città di Barcellona. Qui si svolge la Biennale del Flamenco che scende per le strade e invade Siviglia. Lo fa nella meno sivigliana delle vie del centro, l'Avenida de la Constitución, l'unica via larga e retta, di aria moderna e cosmopolita, nonostante vi si affaccino la Cattedrale e l'Archivo de Indias. Da qualche tempo è stata chiusa al traffico e lasciata ai turisti e a un tram dall'enigmatica utilità.

Granada è la città senza tempo.

Oggi la sveglia è squillata di buonora. Mattinata stupenda ma fresca, è in programma la visita all'Alhambra, la rossa, la fortezza araba per eccellenza. Ci spostiamo con l'autovettura che Mauro ha noleggiato il secondo giorno che siamo arrivati a Torremolinos. Per muoverci con più libertà nel territorio della Costa Del Sol. Dopo un lungo viaggio, ecco giunti a Granada, che è la città senza tempo. E' circondata da uno splendido paesaggio, con lo sfondo della Sierra Nevada come la vediamo nella sua meravigliosa bellezza. Granada è una delle città più attraenti della Spagna. Si tratta di una ricca città dove si respira u'atmosfera internazionale dovuta all'alto numero di turisti attratti soprattutto dalle meraviglie dell'Alhambra, uno dei più celebri complessi architettonici e massimi capolavori dell'arte araba, che non abbiamo mai visto prima.

Parcheggiamo l'autovettura in un garage a pagamento nella parte alta della città vicina all'ingresso nord dell'Alhambra, con un passaggio da brivido tra la stretta porta araba che si supera prima del posteggio. Siamo i primi ad entrare e subito veniamo colpiti dall'impressionante bellezza dei giardini e dei fiori. In un certo senso, i giardini sono come quelli che abbiamo ammirato nell'escursione a Malaga. Sullo sfondo la Sierra Nevada che contrasta con il verde cupo della vegetazione. Procediamo con ordine e secondo il programma alla visita, passando da una meraviglia all'altra, in un susseguirsi di bellezze architettoniche che rievocano i fasti della dominazione araba. Seguendo l'itinerario indicato sembra di essere nel cuore di una favola, immersi in quella magica atmosfera orientale che ancora si sente fra queste antiche mura. Man mano che saliamo, notiamo un certo movimento di turisti ancora assonnati e nel giardino dei leoni incontriamo due coniugi italiani di Venezia, che si affiancano a noi per tutto il percorso. La nostra intenzione era di iniziare la visita di mattino presto ed è stata azzeccata ancora una volta. Conoscendo le abitudini dei turisti spagnoli e di quelli internazionali. Infatti, abbiamo incontrato moltissimi italiani e tedeschi, che come nostra figlia Tiziana, fotografavano ogni cosa. Ci fermiamo ed ammiriamo ogni particolare per arricchire le nostre conoscenze- storiche e architettoniche di questo Museo all'aperto. Terminata la visita scendiamo nella parte bassa della città accolti da un gran frastuono proveniente dall'altra parte del fiume. Si annuncia un'altra processione che va verso il quartiere periferico posto a circa 500 metri. Da dove avevamo posteggiato l'autovettura. In fretta e furia andiamo verso questo nuovo spettacolo che si snoda tra stradine e vicoli e carruggi, archi e archetti finemente scolpiti per giungere fino alla grande e bella piazza del Municipio. Attraversiamo le ultime propaggini della Sierra Nevada, superando il "Puerto del Sospiro del Moro". Pare che l'ultimo re moro (1492) in fuga spagnolo di Isabella si fosse girato sospirando malinconicamente per ammirare Granada e tutte le sue bellezze che lasciava definitivamente alle sue spalle, per non vederle mai più. .
Sicuramente, La Sierra Nevada, come la vediamo oggi nella sua meravigliosa bellezza, sicuramente noi non la vediamo più come è successo al re morto. Tiziana scatta l'ultima fotografia ricordo.
Non c'è dubbio, Granada è una delle città più belle ed attraenti della Spagna. Si tratta di una ricca città dove si respira u'atmosfera internazionale dovuta all'alto numero di turisti attratti soprattutto dalle meraviglie dell'Alhambra, uno dei più celebri complessi architettonici e massimi capolavori dell'arte araba, che abbiamo visitato nella nostra escursione in questa antica terra. Questa è terra di artisti, musicisti e cantanti, che ognuno di loro, ha lasciato un piccolo segno, come il nostro grande cantante Claudio Villa, con sua splendida canzone che non tramonta mai.:


GRANADA
Granada, tierra ensangrentada en tardes de toros;
Mujier que conserva el embrujo de los ojos moros,
De sueno rebelde y gitana, cubierta de flores
Y beso tu boca de grana jugosa manzana
Que me habla de amores
Granada, Manola cantada en coplas preciosas
No tengo ontra cosa que darte que un ramo de rosas
De rosas de suave fragancia
Que le dieran marco alla Virgen Morena
Granada, tu tierra est llena
De lindas mujeres, de sangre y del sol."

 

Un viaggio nel cuore
dell'Andalusia

Quarta parte

ANDALUSIA
L'Andalusia raggruppa tutti gli stereotipi spagnoli: toreri, spiagge, flamenco, villaggi bianchi, grotte, chiassose fiesta, processioni religiose, topas e sherry. Ogni elemento fa parte di un insieme più vasto, che si compone di arte e architettura, natura e un modo di vivere rilassato, quasi indolente.
Le provincie andaluse sono otto e si estendono lungo tutta la Spagna meridionale, dai deserti dell'Almeria al confine con il Portogallo. Uno dei fiumi spagnoli più lunghi, il Guadalquivir, taglia in due la regione, unita all'altopiano centrale da un passo, denominato il Desfiladero de Despenaperos. Le cime più alte della Spagna continentale sono quelle andaluse, appartenenti alla Sierra Nevada. La storia ci racconta che le continue invasini hanno lasciato un'impronta in Andalusia. I romani costruirono nella provincia meridionale, che chiamavano Baetica, città come Cordova, il capoluogo, e Italica, nei pressi di Siviglia. I mori occuparono l'Andalusia per secoli e vi lasciarono gli edifici più grandi e significativi - la Mezquita di Cordova e lo splendido palazzo di Alhambra.
In giro per l'Andalusia.
L'Andalusia e la Regione spagnola più variegata, con i suoi scenari desertici a Taverna, gli sport acquatici, sulla Costa del Sol, lo sci in Sierra Nevada e lo sherry di Jerez. Dalle tante riserve naturali, l'ampia Donana brulica di volatili, mentre Cazorla, e' un aspro massiccio di pietra calcarea, Granada e Cordova, per la loro eredità moresca, sono tappe obbligate; Ubeda e Baeza sono perle rinascimentali; e Ronda è solo una delle tante, superbe, bianche città. Le spiagge della costa mediterranea spagnola attirano migliaia di turisti durante tutto l'anno. La Costa del Sol è una delle regioni più famose grazie ai paesini pittoreschi e alle spiagge favolose.

Le Isole Canarie e le Baleari offrono ai visitatori tutte le possibilità che ci si possa immaginare: dalle spiagge di Maiorca e Formentera alla singolare bellezza vulcanica dell'arcipelago canario. La Carihuela: "Storica" spiaggia di Torremolinos, è stata la prima spiaggia turistica di tutta la regione. Da visitare.
Nerja e la Costa vicina: a est di Torremolinos, ai confini con la Costa Tropical, si trovano due destinazioni di sicuro interesse, la prima è Nerja, famosa per il celebre Balcone d'Europa, da cui si gode di uno splendido panorama, e per le Grotte, poco distanti dal centro cittadino. Come molte altre località della costa del Sol, la città è molto animata da giovani e famiglie durante tutto il periodo estivo. Poco distante si trovano Frigiliana, località molto"in", grazie alle sue case bianche, che la rendono uno dei centri più caratteristici di tutta la zona, e Torrox, famosa anche per la produzione di ottimo vino. Marbella e la costa vicina: ovest di Torremolinos invece si possono visitare Benalmadena, altro centro di divertimenti grazie al Casinò e al Parco Tivoli, Fuengirola, la splendida Marbella, sicuramente la località di spicco della Costa del Sol grazie alle sue ottime strutture su cui spicca sicuramente Puerto Banùs, il porto turistico in cui approdano alcune delle più belle imbarcazioni private del mondo. Nella città si trovano inoltre molti negozi dove effettuare lo shopping più esclusivo di vestiti e gioielli. Proseguendo si incontra Estepona, altra località turistica importante, e Manilva, con alcune delle spiagge più belle di tutta la costa.

LA CITTA' BIANCA di MIJAS
La sierra di Mijas è conosciuta come il polmone della "Costa del Sol", grazie ai suoi fitti boschi di pino, tra cui sorge il paese di Mijas,intonacato a calce e bianco Sa Mijas è possibile ammirare l'intera Costa del Sol e persino i rilievi costieri dell'Africa. Il nucleo urbano di questo lindo paese ci mostra la tipica struttura araba dalle strette viuzze e dalle pareti bianche intonacate a calce. Mijas è divenuta la fissa dimora di numerosi artisti e stranieri, come tanti pizzaioli italiani, attratti dal suo pittoricismo e della bellezza dello spazio naturale che lo circonda. Per raggiungere questo stupendo paese, abbiamo percorso una strada tortuosa, con tante curve, ma ne valeva la pena. Abbiamo trovato un intero paese costruito a nuovo, con moderne villette , strade e stradine nonché vicoli e carruggi lastricati in marmo. Non c'è nulla che ti riporta indietro nel tempo, soltanto la rupe che emerge per la sua grande bellezza e soprattutto per la sua spiritualità, E' la Belvedere del Compas ed eremo della Vergine della Roccia. Questo eremo scavato nella roccia e situato vicino alla Belvedere del Compas dove si venera l'immagine della Madonna, patrona di Mija. Secondo quanto racconta la leggenda, la statua della vergine rimasta nascosta per cinque secoli, fu scoperta nel 1586 da un muratore, padre di due pastorelli che furono guidati sul luogo da una colomba.


PREGHIERA
Oh vergine Maria,
Della Pena,
Siamo venuti da molto lontano.
Sulla possente ala
Del bianco gabbiano
E siamo sbarcati
Nell'antica terra
Dell'Andalusia
Terra di Canzoni,
Del flamenco,
Della musica
E della Poesia,
Per piegare il ginocchio
In questo Eremo,
Scavato nella roccia
Migliaia di anni fa,
Dove si venera la Vergine
E Padrona di Mjias
A Te rivolgiamo riverente
Una speciale preghiera,
E attendiamo un segno
Della tua benevolenza,
E della tua grazia.

Per raggiungere gli irti luoghi storici e panoramici della cittadina Andalusa, ci sono a disposizione una squadra di somarelli Tax, che con la modica spesa di 5 Euro, ti portano il giro per il paese di Mijas. Noi abbiamo preferito girare per il paese a piedi, perché ti puoi fermare e ammirare il paesaggio che è così bello e illuminato dal sole.
Abbiamo visitato la famosa muraglia della Belvedere e i sui verdi e fiorito giardini, mentre qui da noi nevicava e la nebbia faceva da padrona. Sì, altri luoghi , altro clima e altri paesaggi bellissimi. Dell'antica fortezza dove si trovava la cittadella sono visibili oggi solo alcuni resti del muro principale, i giardini sono stati concepiti in modo tale da avere una fioritura continua per tutto l'anno e il belvedere è uno dei più belli e spettacolari della costa.
Dopo i giardini della Belvedere , abbiamo visitato le Grotte dell'antica fucina, che sono vicine all'eremo di nostra Signora Ausiliatrice e rione di Sant'Anna. L'eremo è particolarmente noto come la Chiesa di Sant'Anna risalente al XVIII secolo. Nel rione si trova la bellissima piazza delle Sette Fontane. Qui, è riprodotto il tipico " paese bianco andaluso", rimasto praticamente intatto nel corso dei secoli. La casa del Museo etnografico contiene strumenti di antichi mestieri e tradizioni della cittadina bianca. All'interno del Museo, sono stati ricostruiti due mulino da olio, una tipica osteria, un fornaio e una casa tradizionale. Sulla parte più alta del paese Andaluso, sorge la Plaza De Toros. Una targa ci dice che fu costruito nel 1900 su richiesta degli abitanti di Mijas e venne inaugurato l'8 settembre dello stesso anno. Curiosa è la sua forma ovale. Quello che ha attirato molto la nostra osservazione, è stata la pulizia totale elle strade e dei carruggi. Non abbiamo visto neppure visto un pezzetto di carta, tanto che ci è venuto in mente la città di Napoli, con le sue montagne di immondizie e il fetore che infesta l'itera città. E' un vero paradosso: quella che è sempre stata la città più bella del mondo, per la sua posizione e per le sue bellezze paesaggistiche e artistiche ed è stata cantata dai poeti e dagli artisti, oggi è la città più puzzolente del mondo .

Un viaggio nel cuore
dell'Andalusia

Terza parte

MARBELLA.
Un bel pomeriggio di sole, abbiamo deciso di raggiungere la bella città di Marbella, che si trova sulla Costa del Sol a ovest di Torremolinos invece si possono visitare Benalmadena, altro centro di divertimenti grazie al Casinò e al Parco Tivoli, Fuengirola, la splendida Marbella, sicuramente é la località di spicco della Costa del Sol grazie alle sue ottime strutture su cui spicca sicuramente Puerto Banùs, il porto turistico in cui approdano alcune delle più belle imbarcazioni private del mondo. Nella città si trovano inoltre molti negozi dove effettuare lo shopping più esclusivo di vestiti e gioielli. Proseguendo si incontra Estepona, altra località turistica importante, e Manilva, con alcune delle spiagge più belle di tutta la costa. Dopo una breve sosta, abbiamo visitato la città di Marbella, con il suo centro storico e il famoso passeggio con una bellissima fontana e artistici statue in bronzo. Tiziana, che conosceva questa cittadina di mare, ha scattato molte fotografie e. subito dopo abbiamo deciso di raggiungere la città antica di Ronda, che dista 40 km circa. Per raggiungere questa cittadina, abbiamo percorso una strada provinciale che scala le "Sierra"(montagna) brulla e pietrose e villaggi bianchi illuminati da sole. Dopo un'ora circa di curve e contro curve, abbiamo raggiunto la cittadina di Ronda che sorge sul vertice della Serranìa de Ronda ( Colline di Ronda)
RONDA
La provincia malaguena, che dal capoluogo si apre verso occidente, seguendo le anse del fiume Guadalhorce, può essere considerata oggi come il massimo esponente del più genuino aroma andaluso . I lecci, i pini e " los pinsapos", abeti spagnoli delle colline che circondano la cittadina di Ronda, sono stati un tempo il nascondiglio preferito di numerose bande di briganti tradizione le cui origini non risalgono al famoso José Maria el Tampranillo o Pasos Largos, come la storia tramanda, ma addirittura allo splendido Califfato di Cordoba, con la sommossa provocata da Omar Ben Hafsun che stabilì il proprio centro di organizzazione nella località di Bobastro . Ronda, il capoluogo principale di queste colline, sorge a 750 metri di altitudine. E' una città millenaria, in cui si conservano ancora oggi importanti rovine storiche artistiche Uno squarcio nella montagna di 150 metri di longitudine, la divedono in due parti; la prima chiamata La Giudal e la seconda El Mercadillo, entrambe unite da un ponte in pietra del XVIII Secolo, La prima, ha conservato l'atmosfera tradizionale delle viuzze contorte e dai balconi in ferro battuto, dei palazzi e delle chiese antiche dal colore estinto, impronte indelebili dell'antico passato di questa località. El Marcadillo, invece, separato de La Giudad dalla famosa fenditura che salva il Puente Nuovo, è il centro commerciale ed amministrativo, anche se è possibile visitare edifici e chiese di notevole interesse storico. Il Ponte Nuovo fu costruito tra il 1735 e il 1797 e prende tale nome dal fatto che venne costruito per sostituirne uno precedente che era crollato nel precipizio. E' possibile ammirare tre aperture, quella del centro formata da due archi, uno sull'altro. Non possiamo dimenticare di visitare la Plaza de Toros de la Maestranza di Ronda, una reliquia dell'arte del toro costruita nel 1785 dell'architetto Martin de Aldehucla; le tribune sono realizzate in pietra, così come anche le due gallerie degli archi ribassati: il portone d'ingrasso è in stile neoclassico con particolari barocchi, Particolarmente interessanti anche la Puerta de Carlos V (XVI) Secolo, il minareto di San Sebastian, in stile mudejar, la chiesa dello Spirito Santo, costruita durante il regno dei Re cattolici, la chiesa di Santa Maria la Mayor eretta su un'antica moschea, o l'elegante facciata del palazzo del Marqués de Salvatierra, del XVIII Secolo. Prossimi al fiume, troviamo i bagni arabi di cui ancora oggi si conservano tre sale. A 10 km. Da Ronda si possono visitare i resti dell'Ancinipo . Ronda la Veja ( la vecchia) - che conserva un teatro romano. Dopo la visita all'antica e storica cittadina con il suo spettacolare punte, ci siamo portati verso la Piazza della Corrida, è abbiamo assistito alla parte finale, cioè all'uccisione del toro , e agli onori attribuiti al torero da parte del pubblico. Per dire la verità, a noi questa mattanza è piaciuta poco, ma il pubblico di Ronda è andando in visibilio, con un pubblico caloroso che sembrava da campionato di calcio,ma anche la corrida è per loro un avvenimento eccezionale, che richiama migliaia di tifosi. Questa è l'Andalusia che raggruppa gli stereotipi spagnoli, corride , toreri e Flamenco.


LA PLAZA DE TORO
Di RONDA
Tra luci e ombre
Tra specchi vuoti
E tripudio di colori
Labirinti bui
Muto tra la folla
Acclamante
Il ricordo dell'esuberante toro
La sabbia arrossata di sangue
Il cavallo che trascina fuori
Dall'arena il toro senza vita
Massa di muscoli morti
Una tromba che suona
La folla che applaude
Manuelito e i banderilleros
Mentre il solo stava per tramontare
Alle cinque della sera
Si percepisse un odore di morte
Nella grande Arena di Ronda
Gli spettatori fuori fanno festa
Come i tifosi di calcio
Lungo e vie del borgo antico
Di Roma
Ed è subito sera.


Un viaggio nel cuore
dell'Andalusia

Seconda parte

Necessità di evadere
In un momento di pausa nella nostra vita di routine di ogni giorno, che scorre ad un ritmo mai uguale, spesso si dice " ho bisogno di un viaggio", pur breve che sia. I nostri vicini di casa ( si fa per dire) le cugine francesi le chiamano " escapades".
Qui di seguito, vi voglio raccontare la nostra "escapade" a Malaga, la perla dell'Atlantico". L'idea di andare a Malaga nasce qualche mese fa: la voglia di staccare un po' la spina, la possibilità di evadere 8-10 giorni liberi, e il desiderio di un posto dove sia sempre primavera. Tutto questo è difficile in Europa trovare posti così miti, se non all'estremo sud, anche nella nostra bella Italia: ma quando si vuole " fuggire" si desidera qualcosa di diverso dal solito, ed ecco allora uno sguardo alla carta, dell'Atlantico; le Canarie, le Azzorre, il sogno di sempre, ed infine abbiamo scelto per Malaga. Il viaggio per Malaga si snoda attraverso Lisbona, scalo obbligato per raggiungere l'isola, essendo quest'ultima una dipendenza della Regione di Andalusia. Partenza da Milano Malpensa, volo per Malaga. Possiamo dire che il clima è accogliente, il termometro segnava 18-25 gradi e il cielo era sereno. Dopo una lunga giornata di trasferimento ci fa propendere per la sistemazione in hotel e la cena nel ristorante dello stesso: una breve passeggiata dopo cena, per ammirare le sue bellezze naturali e artistiche di Malaga. La cittadina di Malaga, è la seconda città andalusa, è ancora oggi un porto fiorente, attività già pirosfera in epoca fenicia ( quando si chiamava Malaga) e, in seguito, romana e saracena. La città si sviluppò molto nel XIX secolo, quando il dolce vino di Malaga divenne una delle bevande preferite in Europa finché nel 1876, la filossera devastò anche qui i vigneti della zona. Il mattino dell'Epifania, uno degli ultimi giorno di permanenza a Torremolinos, abbiamo riservato per la visita della bella città di Malaga. Qui la festa dell'Epifania viene festeggiata la notte che precede la festa, con carri molto colorati e fioriti. Quindi, il mattino di sabato abbiamo trovato la città di Malaga, completamente deserta. Per le strade abbiamo incontrato poche e sparute persone. Potremo dire che la città era riservata a noi turisti. La grande e bellissima Cattedrale era chiusa e abbiamo potuto ammirare le sue bellezze architettoniche nella parte esterna. Di fronte alla Chiesa, si trova una bella Piazzetta con lato un Bar stile 800, dove ci siamo fermati per sorbire un buon caffè. La storia ci racconta che la Cattedrale fu iniziata nel 1528 da Diego de Silo, La riconquista dell'attuale provincia di Malaga si realizza nel corso del XV Secolo, tra il 1485 e il 1487. E' in questi anni che prende lentamente avvio la modellazione della città per adattarla al nuovo stile di vita differente dal modello musulmano. Avvenuta la conquista di questi territori, la prima preoccupazione dei monarchi cristiani è la riparazione delle muraglie, preoccupazione che durerà nel corso del XVI Secolo a causa dell'insurrezione musulmana e al pericolo corsaro.

La Cattedrale di MALAGA

Dopo la visita esteriormente della Cattedrale, ci siamo avviati verso il Castello. In questa nostra escursione, abbiamo visto che il perimetro della muraglia è ancora lo stesso che venne costruito dagli arabi, ma è uno strano miscuglio di stili. Nel complesso è molto interessante nei suoi vari stili (arabo, romano) La facciata della Cattedrale di Malaga, fu consacrata nel 1588.)
La seconda torre, costruita a metà quando i lavori furono interrotti per mancanza di fondi, come spesso succede anche nel nostro Paese. Il mese scorso anche a Barcellona, il Santo Padre Paolo XVI, ha consacrato la "Sagrada Famiglia, progettata dall'architetto Gaudy) hanno dato alla Cattedrale il soprannome di La Manquita ( la manca.)
Il Castello dei Gibralfaro
E' il più importante complesso monumentale d'epoca musulmana che comprende La Alcazaba e il Castillo dei Gibralfaro. Dal 711, dopo l'invasione vandala e visigota, la città inizia la sua avventura musulmana: Nel 1031 si stabiliscono a Malaga gli Hammudies, in seguito cacciati dagli zieì del regno di Granada, al cui re Badis sarà il promotore del notevole sviluppo della città 1057 in poi. Nel lato nord del Parque ( Parco) sorgono i meravigliosi giardini della Puerta Oscura e dell'Alcazaba, uno dei pochi c testimoni dell'epoca musulmana ancora esistenti nella città di Malaga. L'edificazione dell'Alcazaba ebbe inizio nell'XI Secolo sui resti di antiche rovine romane ( 1057-1063. Si tratta di un recinto fortificato la cui struttura attuale è dovuta alla costruzione realizzata dal re taifa Badis el Zirì, verso la metà dell'XI secolo. La residenza privata della corte è dell'epoca bazar e risale al XIII - XVI secolo Nel XIV secolo i re arabi di Granada la modificarono e l'ampliarono- Presenta una doppia cinta muraria con numerose torri difensive e ingressi sinuosi per rendere più difficili l'accesso. Tra le belle porte costruite all'interno di questo bellissimo monumento. Spicca l'Arco di Cristo e l'Archi di Granada, attraverso i quali si accede alla zona residenziale dell'edificio, con tre palazzi paralleli che ricordano molto l'Alhambra di Granada.

Malaga: IL Museo delle belle arti

Un pomeriggio siamo andati a visitare il Museo delle Belle Arti, che esponeva opere di Ribera, Murillo, Zurbaran e Morales ed alcuni schizzi di Pablo Picasso giovanissimo. La casa Natale de Picasso dove per i primi anni abitò l'artista, è oggi sede della fondazione Picasso.

La grande Alcázaba e il Castello de Gibramlharo, monumento nazionale, è una delle più importanti eredità dell'arte musulmana. All'interno di questo monumento si trova il Museo Archeologico. Ai piedi dell'Alcazaba, sul lato occidentale, è possibile ammirare i resti di un antico teatro romano, costruito nel I Secolo all'età di Augusto e in uso fino al III Secolo. Gli architetti arabi lo usarono da cava per la ricostruzione dell'Alcazaba, motivo per il quale è giunto fino a noi in un avanzato stato deterioramento.
La nostra escursione a Malaga, il giorno dell'Epifania, si è conclusa con la visita del Castello, dove Tiziana, nostra figlia, ha scattato tantissime fotografie, per testimoniare la bellezza dei luoghi. Durante la visita del monumento, abbiamo incontrato molti visitatori, fra cui due simpatici coniugi spagnoli, che parlavano benissimo la nostra lingua, per essere stati, per motivi di lavoro a Venezia e a Marghera. Il marito della signora ha svolto la sua attività di Ingegnere negli stabilimenti di Marghera.
Nel parlare si vedeva che era ancora innamorato della città di Venezia e del nostro Paese. A Venezia, ha soggiornato per molti anni, con la sua signora e non faceva altro che parlare delle bellezze di questa stupenda città. A tutte quelle scene del passato che si animavano per lui sulla Piazza della Basilica di San Marco, non accordava un'importanza smisurata: Egli, continuando nel suo ricordo dei tempi felici, in una pausa del suo discorso, concludeva dicendo: Non credo affatto che il passato basti a comprendere il futuro, arrivo fino a pensare che la tanto diffusa convinzione che lo illumini e lo spieghi non significa gran che. Quello che è vero fino all'evidenza è che il passato costruisce il basamento su cui s'innalza il presente, che esso accumula le condizioni di ogni storia futura. La vita ha questo di caratteristico, che viene fuori spontaneamente. E' sempre l'inatteso ad avere le maggiori probabilità di sopravvenire. Ma anzitutto deve partire dell'esistente e ciò che si conosce. Sì, miei cari amici, la storia è la costruzione della vita.

Sulla sommità ella collina,abbiamo visitato i resti dell'antico Castello de Gibralfaro, che comunica con l'Alcazaba attraverso un camminamento sulle mura. Le origini di questo edificio si perdono nella notte dei tempi; già in epoca romana si trovava in questo luogo un faro, da cui precede il nome. Ricostruito varie volte dagli arabi, oggi rimangono pochi resti di quella che fu la costruzione originale. Dalla sommità di questa collina è possibile godere di un eccellente panorama sulla città.
Alla fine della nostra escursione nella città di Malaga, diciamo che ci siamo trovati in difficoltà nel centro storico ed in nostro aiuto sono intervenuti i Vigili urbani, facendoci da battistrada con la loro autovettura di servizio fino a fuori città. Li abbiamo ringraziati, per l'oro squisita gentilezza, è abbiamo raggiunto la cittadina di Torremolinos.

PARQUE NATURAL di MALAGA

Nel giorno che seguirono, uno dei pochi pomeriggi vuoti, ci siamo diretti nei dintorni nelle splendide alture a Nord e a Est di Malaga , dove si trova il Parque Natural de los Montes de Malaga. Tra cui si trovano aquile e qualche cinghiale, che vivono allo stato brado, tra l'interno profumo di lavanda e fra cu erbe selvatiche, Per chi ama camminare, ci sono molti percorsi escursionistici, con sentieri ben tracciati, Andando verso Nord, si trovano diverse aziende agricole del 1840. Sulla fertile valle Guardahorce, dietro il Villaggio di "El Chorro, si trova una delle meraviglie geografiche dell'Andalusia. La Garganta del Chorro è un'immensa voragine, profonda 180 metri e larga 10, che squarcia una montagna calcarea. A valle una centrale idroelettrica attenua l'atmosfera selvaggia del luogo. Dal villaggio, per avere una visione reale delle sbalorditive dimensioni della gola. Si prende il camino del Roy, un sentiero abbarbicato sulla roccia che porta a un ponte sul crepaccio. Questo crepaccio assomiglia a quello del Verdon, in Provenza, che viene indicato con il nome "La grotta dei colombi" solo che la Garganta del Chor, sul fiume Guadalhorre è più profondo. Nei dintorni, abbiamo visitato una tipica città bianca con le rovine di un castello moresco e una chiesa del XVIII secolo, è si trova a 12 km in fondo ala valle, Lungo la tortuosa MA 441, partendo da Allora si arriva al villaggio di Carratraca. Tra la fine dell'800 e i primi del 900, l'alta società europea venivano qua per le cure termali, grazie alle fonti sulfuree locali, Oggi la fama di Catraca e quasi del tutto scomparsa. L'acqua scorga ancora al ritmo di 700 litri al minuto e i bagni sono tuttora in funzione, ma scarsamente utilizzati.
La Carihuela: "Storica" spiaggia di Torremolinos, è stata la prima spiaggia turistica di tutta la regione. Da visitare. Nerja e la Costa vicina: a est di Torremolinos, ai confini con la Costa Tropical, si trovano due destinazioni di sicuro interesse, la prima è Nerja, famosa per il celebre Balcone d'Europa, da cui si gode di uno splendido panorama, e per le Grotte, poco distanti dal centro cittadino. Come molte altre località della Costa Del Sol, la città è molto animata da giovani e famiglie durante tutto il periodo estivo. Poco distante si trovano Frigiliana, località molto"in", grazie alle sue case bianche, che la rendono uno dei centri più caratteristici di tutta la zona, e Torrox, famosa anche per la produzione di ottimo.

Un viaggio nel cuore
Dell'Andalusia


LA MALPENSA
La settimana prima di Natale, il nostro Paese è stato stretto in una morsa di freddo e di neve. Le città e le campagne del Nord e del Sud sono state invase dalla neve e quindi impraticabili. La circolazione stradale è stata completamente annullata, creando disaggi in tutti i settori. Un freddo così pungente era da anni che non si faceva sentire in val Padana. Per fortuna che dopo le feste Natalizie, tutto si è normalizzato e così abbiamo potuto prepararci per partire per la nostra vacanza a Malaga.

Malaga (Spagna), è tra i centri principali della costa andalusa, e ne racchiude i tratti più caratteristici. La città si trova sulla Costa del Sole, meta tra le più suggestive al mondo, per le numerose spiagge, gli impianti turistici e il clima particolarmente accogliente. Nel centro della storica città di Malaga, si trovano il maggior numero di monumenti ed è il centro d'arrivo e di partenza escursionistica, per raggiungere la città di Cordova e di Granada. ( La città definita senza tempo).

La città è attraversata dal fiume Guadalmedina, che la divide in due parti: ad est la parte più antica con il porto e ad ovest la parte più piccola e moderna. Il Paseo de l'Alameda, un grande ed ombreggiato viale unisce la città nuova al centro antico e al porto. Sul suo proseguimento si apre il Parque, una bellissima e vasta area verde, con palme, specie tropicali, fontane e chioschi, Qui scopriamo che nella luce del mattino, con le botteghe ed i locali chiusi, con i soli autoctoni in giro per le strade, le metafisiche architetture senza tempo del centro sono, se possibile, ancora più belle e che quelle case che si sovrappongono l'una sull'altra, quelle ringhiere, scale e balconi colorati e lanciati verso il cielo siano fatte della stessa materia che qui forgia spiagge e rocce, alberi e mare, e tutto è aria e luce. Bei tramonti, spiagge da sogno, paesi di case bianche, cieli e mari blu: mai visti così tanti luoghi comuni, così tante frasi fatte, slogan da catalogo, promesse effimere diventare così stupefacentemente vere. Ma le nostre vacanze sono appena cominciate e altri tramonti e villaggi ci aspettano per essere ammirati, come le cittadine della Costa del Sol o dell'Andalusia con le sue case bianche barbicate sulla montagna scoscesa che degrada nella stupenda baia di una bellezza stupefacente. A sera, dopo il tramonto, senza malinconia e rimpianto: solo per scoprire che, anche senza la luce del sole, immersa nel chiarore di una notte di quasi plenilunio Malaga è pur sempre straordinariamente bella.

Malaga può vantare un patrimonio storico e archeologico di notevole varietà, dovuto all'avvicendarsi di varie dominazioni. Dell'epoca romana è rimasto il teatro romano che conserva ancora in parte la struttura originale, dell'epoca araba il castello de Gibralfaro (su resti fenici preesistenti) e l'Alcázar, una fortezza-palazzo che domina la città. Dell'epoca cristiana è invece la Cattedrale de l'Encarnaciòn: in calcare bianco, progettata in stile gotico e realizzato da più architetti, in epoche diverse presenta una sorprendente sovrapposizione di elementi, neogotici, tardo-gotici, neoclassici e barocchi. L'imponente edificio non venne ultimato e per la mancanza di una delle due torri campanarie della facciata è stata ribattezzata affettuosamente La Manquita (la monca).

Sul lato nord delle così chiamate Casas de Campus, costruite nella seconda metà del 1800, all'angolo sinistro, secondo piano, nacque Pablo Ruiz Picasso. Oggi questa è la sede della Fundaciòn Picasso, mentre il Museo Picasso (uno dei maggiori al mondo dedicati all'artista) e il Centro di Arte Contemporanea (CAC) sono il fiore all'occhiello dell'offerta museale della città, che ha sottoposto la propria candidatura come capitale europea della cultura nel 2016.
Nella zona del porto la vita notturna è intensa. In particolare sul lungomare (zona del Palo) moltissimi sono i ristoranti, i locali, le terrazze. Sulla spiaggia del Pedragalejo potrete trovare i pub più in vista della città e i ristoranti che propongono la tradizionale cucina dell'Andalusia.

L'Istituto Picasso, nato nel 1982, è considerato una delle scuole più importanti di Malaga, situata nel centro storico in una delle zone più affascinanti della città, Nelle sue vicinanze potrete ammirare la casa museo dove nacque Pablo Ruiz Picasso e solo dopo pochi metri troverete il Nuovo Museo Picasso Malaga, uno dei tre musei al mondo dove espongono le geniali opere del geniale artista. Proseguendo verso Ovest, lungo il litorale, che offre le bellezze dei famosi centri come Torremolinos e Marbella. A pochi kilometri della cittadina balneare di Malaga, sorge quella di Torremolinos.
E' il luogo di villeggiatura più grande della Spagna, questa città rappresenta un punto centrale della Costa del Sol, priva di attrazioni culturali o monumenti per distrarre i visitatori dal mix di sole implacabile, mare e sabbia, particolarmente apprezzata dai villeggianti o da quelle persone che amano il mare Vi sono bellissimi negozi, i bar e i caffè di Calle San Miguel, sono uno dei luoghi di ritrovo di questa città ricca di alloggi a prezzi estremamente convenienti. L'ex villaggio di pescatori, La Carihuela, ti consentirà di assaporare da vicino la cultura spagnola. Concediti una passeggiata tra le spiagge e i locali o noleggia un'autovettura o uno scooter se vuoi muoverti più velocemente, come del resto abbiamo fatto noi, che abbiamo noleggiato per 5 giorni un'autovettura che ci ha permesso di raggiungere tutti i centri, come Malaga, Cardava, Gran dada, Marbella, La Ronda, ( la città delle corride e del famoso ponte) e Mijas, la città bianca barbicata sulla montagna brulla.
Questa linda cittadina, come leggiamo in un depliant turistico, fu la località che guidò il primo boom turistico della Costa del Sol dopo il 1950. Dal punto di vista urbanistico, Torremolinos è un lungo susseguirsi di alti palazzi sul lungomare, studiati per accogliere il massimo numero di turisti con comodità vicino al mare. Molto bello il lungomare di 7 km, il Paseo Maritimo. In un certo modo, possiamo dire che, rassomiglia molto alla città di Rimini o di Cattolica, sia per i grandi alberghi che per le ampie e moderne spiagge attrezzatissime anche in questo periodo, che per noi è in pieno inverno con nevicate, gelate e molto freddo, mentre qui è eterna primavera con le aiuole fiorite. Non si fa il bagno, ma il clima è dolce ti consente di passeggiare lungo le grandi spiagge. La temperatura di giorno non è mai al di sotto i 18 gradi.
Riportiamo qui di seguito un brano della canzone di Fred Buongusto, dedicata alla bellissima città di Malaga:
 

Malaga di Fred Bongusto
"Malaga. Il mio amore è nato a
Malaga malaga malaga
Il mio cuore resta a
Malaga malaga malaga

Unitamente alla mia famiglia, la notte del 2 gennaio corrente mese, siamo partiti da Campitello (Mantova) diretti a Milano Malpensa, per trascorrere una breve vacanza nella Costa del Sol. L'aereo è partito in perfetto orario alle ore 7 e siamo sbarcati all'Aeroporto di Malaga, alle ore 10,30. Un moderno autopullman ci ha portati a Torremolinos, presso L'hotel Sol Don Pedro, Un grande Hotel modernissimo che si trova in un'elegante e tranquilla zona turistica di Torremolinos, sul lungomare (Paseo Maritimo) della spiaggia El Bajondillo. E' parte del complesso alberghiero Don Hotel, con Sol Don Pablo e Sol Don Marco. A 800 m dal centro della città, a 5 km. dalla Porto Marina a Benalmádena, a 7 km. dall'aeroporto e a 51 km. da Porto Banús a Marbella. Nelle prime ore del pomeriggio. Nei giorni successivi, abbiamo capito che le prime spiagge affollate non sono quelle caldissime del Mediterraneo, bensì quelle più temperate della Normandia, del Mar del Nord e del Baltico. L'isola di Madera, nell'oceano Atlantico, è una delle mete preferite dell'alta aristocrazia europea. In questa felice località viene spedita anche l'imperatrice Elisabetta (Sissi) per le sue cure. Ogni tanto accade che ognuno di noi sente il bisogno di staccare un po' con la quotidianità, con lo stress a cui siamo costantemente sottoposti per mille motivi. Abbiamo scelto di effettuare questa breve vacanza qui nella Costa del Sol, come si dice, per cambiare l'aria e vivere questa vacanza in armonia con questi luoghi temperati, nella speranza che ci facciano bene alla nostra precaria salute. Sono circa due anni che andiamo e veniamo dall'Ospedale di Mantova, e quindi, ne abbiamo sentito la necessità di evadere, per un breve periodo di riposo. Mauro, il compagno di Tiziana, che è un amante del Golf, ha trovato a Malaga i campi di golf molto attrezzati, con i campi verdi, dove ha potuto esprimere la sua capacità, appagando così la sua passione. Anche noi, siamo stati in questo paradiso terrestre che è il grande campo di Golf, di alcuni migliaia di ettari in una vasta zona pianeggiante di origine vulcanica, con spalle il prato in ottime condizioni. Da quella località, si ammira un paesaggio mozzafiato, è veramente un luogo bellissimo con tutti i conforti e Adriana ed io abbiamo seguito i giocatori di questa specialità a bordo delle mine macchine elettriche, che sembrano giocattoli, ma sono vere e proprie macchine, fatte a posta per questi luoghi bellissimi, fra cielo, terra e mare.
In questo parco, se non fosse per il transito degli aerei del vicino aeroporto di Malaga, si potrebbe definire un paradiso terrestre, dove vivono e volano in assoluta tranquillità, moltissime razze di uccelli, dalle cocorite, ai pappagallini verdi ecc.

 

I borghi marinari più belli d'Italia
Dopo le bellezze naturali che caratterizzano le Cinque Terre, ci sembra naturale citare alcuni Borghi marinari e medioevale della vecchia e bella Liguria a noi molto cari, perché ci riportano indietro nel tempo e ci fanno rivivere gli anni più belli della nostra vita.
Andora è formata da un complesso di una trentina di piccole ridenti borgate, raggruppate in cinque frazioni o parrocchie: S. Pietro, il capoluogo, S. Giovanni, Rollo, Conna e S. Bartolomeo, disseminate sopra un territorio ora pianeggiante ed ora montuoso, ricco di olivi, di vigneti, di foraggi, di legname, di ortaggi, di frutta e di pesca.

Nel 967 l'Imperatore Ottone I, perdonando alla propria figlia Adelasia la fuga con Aleramo, assegnava a costei il Marchesato del Monferrato, al quale incorporava il territorio di Andora, che successivamente passò al Marchese Teti del Vasco, quindi ai Clavesana. In seguito a guerre fra Genova guelfa e Albenga ghibellina, i Clavesana, nel 1252, cedettero alla Serenissima il feudo di Andora per otto mila lire genovesi. Così Andora seguì le sorti di Genova e quindi dei Savoia.

Oggi Andora è una cittadina moderna con le sue bellezze naturali di cielo, di mare, di territorio disseminato di ville e villini deliziosi, una vasta spiaggia di finissima arena, un clima perennemente primaverile e salubre, fanno di Andora una stazione climatica, con il suo moderno porto e la sua lunga passeggiata a mare, ombreggiata da una lunga fila di palme. Il suo difetto, se di difetto si vuole parlare, è di essere cresciuta troppo in fretta con i suoi nuovi palazzi, alberghi e la bella chiesa con la sua Piazza. Insomma non possiamo parlare più di un caratteristico borgo, come quello che abbiamo conosciuto noi, ma di una moderna cittadina.

Sulla sommità del borgo medioevale, a fianco ai ruderi del vecchio castello, sorge una meravigliosa chiesa romanica del XII secolo. Al principio del borgo sorge un edificio del 1200 ben restaurato, un tempo apparteneva a un priore benedettino e da questi ha preso nome. Nello stesso edificio oggi c'è un ristorante, un piano bar e una "brasserie" con qualche tavolo all'aperto durante la bella stagione.
L'ultima volta che siamo stati ad Andora con Adriana, siamo andati a pranzo con alcuni nostri vecchi amici andoresi. L'accoglienza è stata gentile e il servizio molto premuroso e accorto, l'atmosfera, raffinata e romantica, nonostante la severità delle volte in pietra e mattoni.
Da qualche tempo un giovane chef piemontese di nostra lontana conoscenza, Ferrero, delizia gli affezionati avventori con caviale Malossal, (servito con crostini caldi, burro, uovo tritato e scalogno), insalatina tiepida di crostacei con verdure al vapore, fantasia di pesci affumicati, sottile filetto aromatizzato all'olio di tartufo bianco, ravioli alla crema di tartufo, spaghetti ai crostacei, risotto del Priore al champenois con crema di tartufo bianco, tagliolini alle triglie e zafferano in pistilli, pesce fresco di giornata al forno e agli aromi, astice al burro fuso, filetto di Agnes - beef al rosso di Borgogna, lombata di agnello normanno con salsa di rosmarino.

Si tratta di una cucina piuttosto originale con abbinamenti talvolta arditi ma di grande soddisfazione.

Ricordo che quella volta è stato un pranzo fantastico, all'altezza della situazione. La carta dei vini proponeva ben 200 etichette, tra cui il rosso Ormeasco di Ramò, il Barbera Burdinoto del Ciabat e la Bianchetta genovese Bisson oltre a qualche francese. Possiamo dire che si tratta di un locale raro in Liguria e i proprietari, i fratelli Bestoso, sono stati giustamente premiati con una affluenza che rende quasi indispensabile la promozione, come potrebbe dire un vero esperto di culinaria.

In quella occasione abbiamo potuto capire che la clientela della "brasserie" è più informale. Tutti i clienti, però, sia nel ristorante sia nella "brasserie", sono accomunati dalla ricerca del buon cibo e del bell'ambiente immerso nella quiete e nel verde degli ulivi secolari, nonché fra i ruderi delle antiche costruzioni medioevali.

Con queste sensazioni l'escursionista percorre le colline e i dirupi strapiombanti di Capo Mele con in cima il Faro e Capo Mimosa su quel mare meraviglioso, sicuro di incontrare l'aspetto immutato come può accadere solo in un'opera d'arte, la quale, non appena il suo creatore se ne stacchi, domanda soltanto d'essere guardata e conservata nella memoria.

Qui le immagini sono contornate dal profumo delle ginestre, del rosmarino e delle altre piante aromatiche che crescono spontanee sui costoni e attorno alle povere case colorate e costantemente illuminate dal sole sui crinali. La fitta macchia di lecci, lentischi, pino marittimo e pinastro che attecchiscono molto bene in quei luoghi aridi sono ancora plasmate in un antico silenzio. Qui nel Borgo Marinaro di Andora, abbiamo trascorso, unitamente alla mia piccola famiglia, oltre cinque anni. Giunti dalla città di Alessandria, nell'autunno del 1957, in seguito al matrimonio con Adriana mia moglie. Due anni più tardi è nata la piccola Tiziana, che ha riempito di gioia la nostra minuscola famiglia. Il Comando della Stazione Carabinieri di Andora, è stato per me un'esperienza bellissima. In seguito alla promozione di V, Brigadiere, siamo stati trasferiti al II Battaglione CC. di Genova, quale istruttore. Il nostro Reparto meccanizzato era accasermato nel Forte di S. Giuliano, alla periferia della Città di Genova. Dall'alto del Forte si ammira un paesaggio mozzafiato, fra cielo, mare e monti.

Il Forte San Giuliano lambisce il mare a levante di Genova, in una zona che anticamente era dominata da scogliere e che oggigiorno ospita la promenade sul mare di Corso Italia.
Proprio la vista da Corso Italia del Forte San Giuliano non rende merito a questa struttura poiché nel 1937, lato mare, vennero edificate delle postazioni di contraerea che alterarono definitivamente il prospetto sud.

Il Forte San Giuliano venne costruito tra il 1819 e il 1836 e comprendeva due caserme, nella caserma a nord (l'attuale Via Gobetti) è presente l'ingresso principale del forte, originariamente con ponte levatoio.

Dal maggio 1995 è diventato sede del Comando Provinciale dei Carabinieri e nel 2001, in occasione del G8 di Genova, ha subito un'ulteriore ristrutturazione di ammodernamento, rendendo i locali del Forte più vivibili. La storia ci racconta che fino ai primi anni del '900 al posto del lungomare di corso Italia esistevano delle magnifiche scogliere. Strette creuze, delimitate dagli alti muraglioni di cinta delle ville signorili, iniziavano dall'odierna via Albaro e terminavano al mare. La zona tra Punta Vagno e San Giuliano era servita da una creuza. La costruzione di corso Italia ha irrimediabilmente rovinato quel romantico sito che era la Marinetta, zona antistante al Forte San Giuliano. In quella bellissima spiaggia, gestita dal Presidio Militare, vi portavamo la piccola Tiziana, per fare i bagni e prendere il sole. La spiaggetta era servito da Bar- Ristorante, gestito dall'Amministrazione Militare.
La primitiva opera fortificata nella zona di San Giuliano è stata la Batteria Sopranis, approntata nella tarda estate 1745 sulla scogliera a picco sul mare. Nel 1818 fu presentato un progetto per rinforzare le strutture della prospiciente villa Sopranis con lo scopo d'impedire attacchi e sbarchi nemici. L'idea, in un primo momento resa esecutiva, fu successivamente accantonata a favore del Forte, realizzato, con alterne vicende, fra il 1819 ed il 1832 (la realizzazione del Forte vero e proprio iniziò nel 1827 e terminò dopo il 1836).Questo era in parte circondato dal fossato e comprendeva due caserme. L'ingresso principale è situato nella caserma nord, oggi ben visibile da via Gobetti, la quale conserva, ancora funzionante, l'originario sistema di chiusura del ponte levatoio. Una galleria di scarpa ed un'altra di controscarpa, ancora conservate ed alle quali è legata una strana leggenda, circondavano quasi completamente il complesso. Nel corso degli anni l'opera ha subìto sostanziali modifiche e mutilazioni, delle quali quelle visibili da corso Italia sono le più eclatanti. Intorno al 1937 furono edificate, sul lato mare, numerose postazioni della contraerea. Ulteriormente guarnito, divenne inoltre triste luogo di tortura e condanne a morte: all'alba del 3 marzo 1944 vi furono fucilati sei partigiani, tra i quali Giacomo Buranello. Nell'immediato dopoguerra si demolirono le piazzole della contraerea, ricavando un ampio slargo. Successivamente venne assegnato alla Regione Carabinieri Liguria. La fortificazione, con l'inaugurazione del 13 maggio 1995, è divenuta sede del Comando Provinciale Carabinieri di Genova, per questo motivo non è visitabile.


I FORTI E LE MURA DÌ GENOVA

Genova é stata, da sempre, epicentro della vita politica e culturale del mediterraneo per la sua posizione strategica. Per difendere questa posizione Genova si é lungamente dotata di mura, torri e castelli.
Della cerchia più interna (e più antica) rimangono pochi tratti di mura, alcune porte e alcune torri medievali.

Delle "nuova mura" costruite tra il 1700 e il 1800, invece, rimangono notevolissime testimonianze cancellate dall'espansione della città solo nella parte a mare (in particolare con l'abbattimento del promontorio tra la città e Sampierdarena). In questo percorso, che lambisce e protegge la città, si trovano forti, mura, torri, polveriere ancora in buone condizioni e in un contesto naturale bellissimo e quasi incontaminato per una città così stretta tra il mare ed i monti come è Genova. Da una di queste rupe, nel grande Porto Commerciale, sorge il grande e caratteristico Faro, detto comunemente la " Lanterna di Genova".
Durante il periodo della nostra permanenza al Forte San Giuliano, in qualità di istruttore, con la mia famiglia, abbiamo effettuato moltissime passeggiate e abbiamo scoperto meravigliosi angoli suggestivi della costa. In quel tempo esisteva e forse esiste ancora oggi, un caratteristico tranvai, che da Piazza Verde, ci portava fino a Nervi.
La storia ci racconta che dal Borgo marinaro di Quarto, dove avvenne la spedizione dei Mille. E' un celebre episodio del periodo risorgimentale italiano, avvenuto nel 1860 allorquando un corpo di volontari, protetto dal Piemonte, al comando di Giuseppe Garibaldi, partendo dalla spiaggia di Quarto, in Liguria, sbarcò in Sicilia, presso Marsala, e conquistò il Regno delle Due Sicilie, Giuseppe Garibaldi l'eroe dei Due Mondi, Raccolto un corpo di spedizione composto da circa mille uomini (le Camicie rosse), Garibaldi raggiunse via mare la Sicilia partendo appunto da Quarto, presso Genova con due piroscafi: il Piemonte e il Lombardo. Approdò a Talamone per rifornirsi di armi. Successivamente Sbarcò nel porto di Marsala proclamandosi dittatore della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II, da lui appellato re d'Italia.Liberata la Sicilia dai Borbonici 29 agosto 1862 ebbe luogo la giornata dell'Aspromonte, quando l'esercito regio fermò il tentativo di Garibaldi e dei suoi volontari di completare una marcia dalla Sicilia verso Roma e scacciarne papa Pio IX.
Nel 1862 a seguito della questione romana, in cui sembrava che il governo italiano volesse tenere un livello di basso profilo, e dell'accordo con Napoleone III, Garibaldi tentò di arrivare a Roma con 3.000 volontari. Ma la risoluta reazione dei francesi costrinse Urbano Rattazzi ad intervenire e a mandare il generale Enrico Cialdini a fermare Garibaldi.
Lo scontro si svolse a pochi chilometri da Gambarie il 29 agosto 1862, nel corso del quale Garibaldi fu ferito e preso prigioniero, insieme ai suoi seguaci. Questo episodio è ricordato come la (giornata dell'Aspromonte), alcuni dei quali vennero fucilati. Garibaldi fu condotto all'ospedale militare del Varignano, presso La Spezia per esservi curato e, dopo la guarigione, gli venne concesso di tornare alla sua residenza di Caprera.
Nella località del comune di Sant'Eufemia d'Aspromonte, dove l'eroe fu ferito, si trova un mausoleo con un suo busto e delle lapidi che lo ricordano ed è indicato l'albero che secondo i ricordi è quello dove egli si appoggiò ferito. Al Museo del Vittoriano a Roma sono conservati i cimeli dell'episodio (lo stivale forato e la pallottola).
La località di Gambarie, dove fu ferito Giuseppe Garibaldi, dista pochi chilometri da Cosoleto, il piccolo Borgo Aspro montano che mi diede i natali. Nel periodo della mia giovinezza mi recai più volte a visitare quella località storica, e soprattutto, dove l'occhio si perde all'infinito in un paesaggio fantastico.


IL VOLTURNO, con la battaglia del Volturno del 1860: che fu l'ultima battaglia dei Mille . Infine, quella del Volturno è una battaglia che merita di essere ricordata nel 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia. La Battaglia del Volturno è il nome sotto di cui si raccolgono alcuni fatti d'armi tra i volontari garibaldini e le truppe borboniche, avvenuti tra il settembre e l'ottobre 1860 nei pressi del fiume Volturno, corso d'acqua dell'Italia meridionale che bagna Capua e sbocca in mare tra Napoli e Gaeta.
La battaglia principale si svolse il 1º ottobre 1860 a sud del fiume. Furono impegnati circa 24.000 garibaldini, costituenti l'esercito meridionale, contro circa 50.000 borbonici Al conflitto partecipò anche Carmine Crocco, allora sconosciuto disertore alleato di Garibaldi e divenuto poi noto insurrezionali sta del periodo post-Unitario. Essa è una delle più importanti del Risorgimento, tanto per il numero dei combattenti coinvolti che per i risultati ottenuti da Giuseppe Garibaldi, che arrestò la ripresa offensiva dell'esercito borbonico dopo la sua ricostruzione tra le mura di Capua. Ragioni politiche e incomprensioni non diedero per lungo tempo la dovuta importanza a questa battaglia, di carattere offensivo per le truppe borboniche. Ai borbonici, bene armati ed equipaggiati, con buoni ufficiali e soldati, venne meno l'abilità dei capi, a differenza dei garibaldini, mal preparati, ma comandati da militari capaci e di grande ascendente, a cominciare da Garibaldi, che mostrò un notevole intuito tattico. I borbonici persero giorni preziosi prima di attaccare, a tutto vantaggio dei volontari che ebbero tempo di rafforzarsi sul terreno. "Le cui ossa si sono forse mischiate con quelle di cui parla Roberto Saviano, Che sia stato qui o lì, di quell' incontro resta, bella e amara, Mi venne quasi buio per un istante; ma potei vedere Garibaldi e Vittorio. ... Garibaldi accompagnò il Re a Teano.dove avvenne la famosa e stretta di mano":
Per rimanere nella bella Campania del nostro tempo, nella battaglia della spazzatura, che ha infestato la città di Napoli e la rivolta dei cittadini che non vogliano le discariche, dove sono prigionieri dell'immondizia", abbiamo letto un bellissimo articolo, che riportiamo qui di seguito, che è di grande attualità ed è apparso sul Corriere della Sera, a firma dei giornalisti Stella Gian Antonio e Rizzo Sergio, con il seguente titolo.
"Le campagne sacre all'Italia tra discariche e disumanità"
"Le terre Intorno al Volturno, che videro la storica stretta di mano tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II, sono un girone infernale dove tutti sono prigionieri. Hanno sepolto perfino un camion con rimorchio, nelle discariche abusive sparse per queste campagne "sacre all' Italia". Un tir tutto intero. Motrice, cabina, cassone, traino, assali, pneumatici. Tutto. Magari insieme, chissà, col cadavere del camionista. Le cui ossa si sono forse mischiate con quelle di cui parla Roberto Saviano, che racconta come i cimiteri per liberarsi periodicamente delle salme più vecchie "che i becchini più giovani chiamano "gli arcimorti"" diano una mazzetta a questi becchini "per farli scavare, e poi buttano tutto sui camion. Terra, bare macerate e ossa. Trisavoli, bisnonni, avi di chissà quali città si ammonticchiavano nelle campagne casertane" al punto che "ormai la gente quando passava vicino si faceva il segno della croce, come fosse un cimitero". E se qui son capaci di seppellire un camion, che problema ci sarà mai a seppellire un pezzo di storia? Queste campagne intorno al Volturno, dove si andò a compiere la saldatura tra il Nord e il Sud dell' Italia, sono irriconoscibili rispetto a quelle che videro la celeberrima stretta di mano, un secolo e mezzo fa, tra Vittorio Emanuele II e Giuseppe Garibaldi.
Quando il condottiero si fece incontro al sovrano pronunciando le parole entrate nella leggenda, "Salute al re d' Italia!", non dovevano essere poi così diverse da quelle cantate nei secoli da tanti scrittori. Da Plinio il Vecchio ("da questo punto hanno inizio i colli pieni di viti e l' ubriachezza nobilitata da un succo famoso nel mondo intero e (.) comincia qui l' estrema lotta di Libero Padre con Cerere", cioè tra Bacco e la dea della fertilità) a Goethe ("Si aprì innanzi ai nostri occhi una bella pianura") fino a Charles Dickens, ammaliato da "una strada piana che si allunga in mezzo a viti tenuti a tralci che paiono festoni tirate da un albero all' altro".. Doveva essere stupenda, questa campagna poi stuprata da decenni di assalti cementisti, sciatteria amministrativa, smottamenti morali, prepotenze camorristiche. Stupenda. Oggi nel Volturno, che porta al mare tra le altre le acque reflue di Benevento (dove il depuratore è in programma dal 1977: campa cavallo.) o nei canali dei Regi Lagni costruiti dai Borboni a partire dal' 700 per drenare le acque nell' agro casertano, versano decine di comuni. E al mare marroncino arriva di tutto: il percolato delle discariche di immondizia, i rifiuti degli allevamenti bufalini, le carcasse dei bufali maschi neonati. Uccisi perché non produrranno latte e anzi per crescere ne consumano. Qualche esemplare destinato alla riproduzione si salva. Gli altri buttati nei canali.
O ammazzati e sepolti. A marzo l'Asl ha trovato nella campagna di Castel Volturno una fossa con 57 bufalotti. Seppelliti in una cava di sabbia in disuso. Sono state una peste, quelle cave. Scava scava ("nessuno dimentica le file infinite dei camion che depredavano il Volturno della sua sabbia", si legge in Gomorra) il cosidetto "cuneo salino", complice l' erosione costiera provocata dalla cementificazione selvaggia, come da tempo denuncia inascoltata Italia Nostra, è penetrato in profondità nel territorio. Anche per quattro o cinque chilometri. Compromettendo l' ecosistema una volta straordinario. "Presto", profetizza l' ex sindaco di Castel Volturno Mario Luise, "non si potrà più coltivare". Discariche abusive, montagne di eco balle e pattume dappertutto: fra le case, lungo le strade, nei campi. Nella Provincia di Caserta la raccolta differenziata non si sa manco cosa sia. Nel 2007 era al 7,1%, contro una media regionale, infima, del 13,5% e una media nazionale, già modesta, del 27,5%. Sette per cento: un settimo scarso rispetto al 51,4% del Veneto. Quel po' di agricoltura che resiste si regge sul lavoro nero degli immigrati. Li vedi alle 5 di mattina alle rotonde, assonnati e infreddoliti d' autunno, che aspettano i Califfi, così chiamano i caporali, sperando di svoltare una giornata. A tirar su un muro di mattoni, a scaricare ponteggi, a raccogliere cipolle. La paga è da fame: 15 o 20 euro per dieci, dodici ore di lavoro, cambia a seconda del colore della pelle. Più ce l' hai scura, più fatichi. Tutti i lavori pesanti spettano agli africani della Nigeria e del Ghana che a Castel Volturno sono le comunità più numerose. Quanti sono? Quelli regolari duemila. Ma i clandestini il triplo. Seimila o molti di più. Ammucchiati soprattutto in città fantasma come la "Destra Volturno". Una distesa di case abusive presidiata dai cani randagi. Qualche donna, come Amina, ha una tessera con scritto "Permesso di soggiorno elettronico". Per averla ha pagato seimila euro a un italiano che l' ha registrata come badante per consentirle di accedere all' ultima sanatoria. Seimila euro: quattro anni di stipendio, in Nigeria. Ma quella carta salva dai carabinieri, dal foglio di via, dal rischio di passare sei mesi in un Cie, i Centri di identificazione ed espulsione. Anche se poi nessuno degli africani clandestini che abitano sulla costa Domizia va mai via davvero. I soldi per le espulsioni non ci sono. I pochi che finiscono nei Cie, passati i sei mesi escono con un altro foglio di via e la giostra continua. All' infinito" La stessa cosa è successo nella Piana di Rosarno (R.C.), con la rivolta degli operai di colore, che erano costretti a dormire in baracche fatiscenti al freddo e senza acqua potabile. Anche questi immigrati venivano e vengono mal pagati e sono diretti dal caporalato locale. Gli agrumi: aranci, mandarini e limoni della Piana, vengono raccolti dagli operai di colore, perché non si trova la manodopera locale. Sì, tutto il mondo è paese, recita un vecchio proverbio. Qui nella bella Liguria, profumata di mille qualità di fiori, ogni tanto, le acque della costa, vengono avvelenate dagli scarichi delle navi, che arbitrariamente scaricano in mare nottetempo, il lavaggio delle cisterne. In passato è successo che qualche petroliera si è trovata in difficoltà, a causa di grosse mareggiate, affondando con tutto il carico e avvelenando le coste e i fondali. Ma qui, per fortuna, non centra la mafia o la camorra. Lasciamo questa storia triste, che purtroppo è una piaga dolorosa e che fa parte integrante del nostro Paese e ritorniamo a parlare dei nostri ricordi e dei luoghi caratteristici, che ci hanno impressionato.

Prima di scoprire le Cinque Terre, Portofino e San Fruttuoso, abbiamo scoperto un meraviglioso e pittoresco borgo marinaro, chiamato appunto Boccadasse. E' un antico e caratteristico borgo di pescatori. Boccadasse è oggi un quartiere come un altro nel mezzo della città di Genova, ma allo stesso tempo è un borgo antico, che ha mantenuto le sue caratteristiche di borgo pressoché intatto come l'avrebbe potuto vedere qualcuno un centinaio d'anni fa e prima ancora. L'origine del nome è incerta, una delle teorie più accreditate fa derivare il nomi del borgo dalla forma della piccola baia, Boccadasse è la contrazione di bocca d'asino ("böcca d'äse" in genovese).

Boccadasse è un quartiere amatissimo dai genovesi, proprio perché è rimasto quasi immutato nel tempo. A Boccadasse il tempo sembra essersi fermato: non ci sono stabilimenti balneari, non c'è traffico automobilistico, c'è solo una piazzetta, le barche, la spiaggetta e la vista eccezionale che si spinge nelle giornate limpide fin' oltre la silhouette del promontorio di Portofino.

L'antico borgo (dove abita - tra l'altro - anche Livia, l'eterna fidanzata del Commissario Montalbano, l'eroe dei gialli di Andrea Camilleri) è un luogo di è da tempo immemorabile è luogo dove i genovesi vanno a fare due passi ed a mangiare il gelato, come spesso abbiamo fatto noi. A boccadasse è ancora attiva una delle poche gelaterie che oltre 30 anni fa facevano il gelato durante tutto l'arco dell'anno!) La piccola baia e le piccole case dalle tinte pastello che la incorniciano, formano un luogo ideale per coppie innamorate alla ricerca del romantico.


BORGO MARINARO
Dal piazzale
Del forte San Giuliano
Tra una pausa e l'atra
Delle esercitazioni militari
Spesso mi fermavo a guardare
L'orizzonte colorato
E l'azzurro mare
Ma poco lontano dal forte
Sorge il borgo marinaro
Di Boccadasse
Con le sue case color pastello
E le barche ancorate nel pontile
Oggi è un quartiere come un altro
In mezzo della città di Genova
Ma è rimasto come un'isola felice
Mantenendo le sue caratteristiche
Del Borgo antico
Come era tanti anni fa.
L'origine del nome è incerto
Boccadasse
Che deriva da ( bocca d'asino
("böcca d'äse" in genovese).
Vi è rimasto intatto il Borgo
Le barche e la spiaggetta
Il tempo sembra essersi fermato
Anche i vecchi marinai
I lupi di mare con la pipa in bocca
Si fermano a guardare il loro mare
Non ci sono stabilimenti balneari
La vista è eccezionale
Che si spinge
Nelle giornate limpide
Fin oltre la silhouette del promontorio
Di Portofino.


PORTO VENERE
Tra un borgo marinaro e l'altro, abbiamo scoperto quello di Portofino, che é' una zona lodata nei secoli per la sua bellezza. Da Plinio il Vecchio a Goethe, fino a Charles Dickens ammaliato da "una strada piana che si allunga in mezzo a viti tenuti a tralci che paiono festoni tirate da un albero all' altro". Charles Dickens I comboniano hanno messo su "una parrocchia volante" per stare accanto agli immigrati.
La città della Spezia è posizionata al centro del Golfo dei Poeti che si apre a Levante con il suggestivo paese di Porto Venere e le sue isole e si chiude a ponente con il castello di Lerici. Una terra racchiusa tra le baie con la costa frastagliata e il monte Parodi il più alto tra la catena collinare che cinge il golfo.
Cantato da Byron e Shelley Petrarca e Montale, il Golfo dei Poeti è molto apprezzato nelle calde giornate estive tra scorse mare ad ammirare la splendida baia o fra gli stretti vicoli dei borghi medievali che lo compongono.
I. Nella parte più occidentale del golfo di La Spezia si trova il borgo di Porto Venere. Il paese è disteso su un promontorio frastagliato da alte scogliere e completato da tre piccole isole: Palmaria, Tino e Tinetto Prende il nome da un tempio eretto in onore di Venere Ericina, in epoca romana, costruito sul promontorio che chiude il paese in cui ora si può ammirare la Chiesa di San Pietro in stile gotico genovese (XIII sec ) Nella parte alta del paese spicca il Castello, una fortificazione realizzata nel XVII secolo, adibita a carcere per detenuti politici al tempo di Napoleone Bonaparte, da cui si gode un'ottima vista del tramonto sulla costa che conduce alle 5 Terre. Lungo questi sentieri panoramici di grande bellezza naturalistiche e di magnifici Borghi Marinari e sullo sciogliere di Porto Venere, i poeti inglesi Giorg Sander e Bayro, hanno scritto bellissime pagine nei loro libri, che sono stati letti in tutto il mondo e rendendo più questi popolare incantevoli luoghi.
Un po' di storia
Le origini di Portofino si perdono nella più remota antichità: c'è chi lo vuole di origine fenicia, chi di origine greca, chi solamente romana. Ma è probabile che la sua nascita risalga alla protostoria, poiché non è pensabile un luogo così riparato dai venti e dal mare senza alcun insediamento umano.
E se i fattori geografici favorirono il sorgere dei primi nuclei abitati, questi stessi fattori hanno contribuito a rendere Portofino un centro turistico conosciuto in tutto il mondo.

L'antico "Portus Delphini" ricordato da Plinio, ha origini molto remote, legate alla sua ubicazione che lo rendeva un sicuro approdo per le navi. La sua posizione e la natura incantevole attrassero non solo l'attenzione di Plinio, che le descrisse nell'itinerario ligure, ma anche quella dei cartografi e dei geografi dell'antichità quali Pomponio Mela e l'Anonimo Ravennate.

L'Itinerarium Maritimum, un portolano del III secolo D.C. , considerato il più antico documento di questo genere, fa menzione di "Portus Delphini".

Con la romanizzazione della Liguria, Portofino divenne colonia romana per poi passare sotto la giurisdizione degli imperatori del Sacro Romano Impero nell'Alto Medioevo. Nel secolo X divenne proprietà dell'abbazia di San Fruttuoso, sottraendosene poi nel 1175, quando i diritti sul borgo vennero acquistati dai consoli di Rapallo per 70 lire genovesi.

Dal cronista pisano Bernardo Marangone apprendiamo che nel 1072 i suoi concittadini, armate diverse galere, andarono all'assalto del borgo, rimediando una dura sconfitta.

Nel 1425 il paese fu in possesso di Tommaso Campofregoso. Il dominio di questa famiglia non si protrasse però a lungo: già nel 1430 i genovesi, alla guida di Francesco Spinola, si impossessarono di Portofino e vi rimasero per quindici anni; nel 1445, infatti, Giovanni Antonio Fieschi, in aperta ostilità con la Repubblica di Genova, occupò Portofino e vi esercitò il suo potere. Questa occupazione doveva avere carattere dimostrativo perché il Fieschi, in breve tempo e volontariamente, restituì il paese a Genova. Nel 1459 un altro Fregoso, Pietro, riprese il borgo alla Repubblica. Ma anche stavolta il dominio fu di breve durata. Nel 1513 gli Adorno e i Fieschi, appoggiati militarmente dal duca di Milano Francesco Sforza e da truppe svizzere, occuparono il borgo. La Repubblica riuscì tuttavia, con un'azione affidata a 4000 fanti, fra mercenari e genovesi, a rientrare in possesso del paese, sconfiggendo anche i valorosi uomini di Andrea Doria che l'ammiraglio aveva sbarcato dalle sue galere in aiuto di Filippino Fieschi, comandante della fortezza portofinese. Andrea Doria non dimenticò però la sconfitta, e nel 1527, tornò nelle acque del Tigullio dove dopo una lunga battaglia contro le milizie dogali, riuscì ad impadronirsi del paese. Nel 1554, affidandosi alla direzione del milanese Gian Maria Olgiato, la Repubblica di Genova fece rimodernare il sistema difensivo di Portofino, ed in particolare la fortezza di San Giorgio.

La storia successiva di Portofino si identifica con quella di Genova. Nel 1814 il piccolo borgo di pescatori fece da sfondo ad un duro scontro fra inglesi e truppe napoleoniche, scacciate, queste ultime, dal castello nel quale si erano asserragliate. Le uniche conquiste che il più famoso borgo del Tigullio dovette subire, furono quelle da parte del movimento turistico internazionale che con il costante favore accordato a Portofino gli hanno fatto guadagnare l'appellativo di "Perla del mondo".


VENTO DI MARE
Oggi è una giornata
Grigia. Fredda e senza sole
E come due innamorati
Senza amore
E'una giornata noiosa
Piovosa e sciroccale,
Soffia un forte vento
E gonfia pauroso il mare.
Le onde sono alte
E spinte dal vento maestrale
Che spazza via ogni cosa
Le imbarcazioni sono
Nel piccolo porticciolo ancorate
E i vecchi marinai
Stanno sulla riva a guardare,
Anche le ville sul litorale
Sono raggiunte dalle alte onde
Che s'infrangono sul costone
Dove i bianchi gabbiani
Stanno a guardare:
E' bello sognare sul mare
E vedere come l'onda che si colora
E subito dopo scompare
Prima che la si possa sognare,
Vedere e comprendere
Scendere sul litorale e camminare
Sulla sabbia bagnata
Che cosa romantica:
Il Faro, il tramonto,
Le barche dei pescatori colorate,
Per prendere il mare mosso
E farne tempesta e rabbia di stelle
Qui sulla magnifica
E pittoresca baia di Portofino
Dove anche le sfortunate principesse
Sognavano un mondo diverso
Illuminato da quello spicchio di luna.
Con la gobba che si dondola nel cielo ......
Il contrasto con località come Portofino
E San Remo,
E la baia dei Poeti e ...


Violentata dall'Orco e dai Media.
Il volto moderno di un paese sta dipinto su lo sfondo della sua storia, e questo paesaggio storico è disposto naturalmente in più piani, che sfumano e si confondono su l'orizzonte, tra cielo, terra e mare, tra preistoria e leggenda. Stiamo parlando dell'antica terra di Puglia e della bellissima regione del Salento. L'anno scorso siamo stati in vacanza nel Salento e precisamente a Torre Mozza, in quel bellissimo mare di Santa Maria di Leuca, in quel mare che anche Sarah e sua cugina volevano andare a fare il bagno, ma l'Orco di suo zio l'ha uccisa e violentata, occultando il corpo in un pozzo, fra gli antichi e contorti uliveti, piantati dagli antichi coloni della Magna Grecia. Gli inquirenti stanno ancora completando le ultime indagini del caso. La nostra è una deformazione professionale, che ci porta a dubitare , non solo dello zio reo confesso, ma anche della cugina amica del cuore di Sarah. Non so perché, ma ho un presentimento che in questo delitto ci sono dei lati oscuri che gli inquirenti stanno, giorno dopo giorno, dipanando la lunga matassa dei tanti indizi che vanno chiariti.
Sì, ne sono convinto anch'io, che al mosaico del delitto della giovane Sara Scazzi, mancano ancora molte tessere. Sembra che sul telefonino ci sono diverse impronte da definire da parte del Ris di Roma. In questi ultimi giorni sia sugli articoli apparsi dei vari giornali e soprattutto nei dibattiti televisivi di Porta a Porta, condotto da Bruno Vesta e sul programma di "Domenica In", condotto da Massimo Giletti, dove secondo il mio modesto punto di vista da uomo della strada, altro non sono che un vero e proprio dibattito o meglio dire; un processo mediatico alle intenzioni. In questi dibattiti o trasmissioni come dir si voglia, spesso vi partecipano degli studiosi, professionisti e luminari del "Crimine", che dibattono sulla sfumatura di un piccolo indizio, per approfondire e ricercare qualche elemento che possa chiarire ogni dubbio sulle modalità del delitto della povera Sarah.
Oggi, non solo nel nostro Paese, ma in tutto il mondo, succedono fatti di una tale gravità, che fanno raddrizzare i capelli, sotto lo sguardo della gente nella loro totale indifferenza. L'indifferenza la vedi nelle persone che non si degna di fermarsi e guardare cosa e' successo e neppure per dare un segno di conforto, come nel fatto successo a Roma nel piazzale della Metropolitana, dove una signora romena e stata aggredita e buttata a terra, battendo la testa sull'asfalto e che versa in gravi condizioni in ospedale.. Ecco cos'e' l'indifferenza. Ai miei tempi non succedevano certe cose, o meglio succedevano, ma non nella misura e gravità di oggi. In 41 anni di servizio nell'Arma, in qualità di Comandante di stazione distaccata, in molte provincie del Nord e in Liguria, non ho mai rilevato dei reati per esempio di " stupro", reato questo, perseguibile per querela di parte, mentre oggi si procede d'ufficio ed è previsto l'arresto del colpevole. In quei tempi, si diceva che i "panni sporchi" si lavavano in famiglia. Questo brutto reato, che fa drizzare i capelli, spesso si consumava fra le pareti domestiche ed era un disonore della famiglia se si sapesse in giro. Ecco, perché non si arrivava alla denuncia vera e propria alle Autorità competenti. Qualche volta si veniva a conoscenza, perché la gente ne parla, specie nei piccoli paesi di provincia, ma venivano a mancare gli elementi per procedere d'Ufficio, al massimo, per dovere d'Ufficio, si inviava all'Autorità giudiziaria una segnalazione e tutto finiva lì. Oggi, le strade della periferia sono infestate dalla prostituzione e dell'accattonaggio. Si vedono circolare gente di ogni nazionalità e colore, che commettono furti, rapine e stuprano le donne che circolano da sole specie nelle ore notturne o all'uscita delle discoteche . " Non c'è pace fra gli ulivi", come recitava un vecchio film neo realista degli anni Cinquanta .
Alcuni giorni fa, come al solito faccio tutte le mattine, mi fermo al Bar del paese, per incontrare gli amici e dare uno sguardo ai giornali, per vedere che cosa é successo durante la notte. Nell'occasione mi è capitato di leggere sulla Voce di Mantova un articolo dell'omicidio di Sarah Scazzi, barbaramente uccisa e violentata dall'orco dallo zio. L'articolista l'ha immedesimato al caso di Maria Goretti, che è stata due volte vittima. Due volte, perché oltre alla ferocia di uno zio mostro che l'ha uccisa e stuprata, c'è stata la continua morbosa attenzione dei mass media, durata 42 giorni.
Su Facebook, leggiamo che ogni tanto la Cronaca è un luogo di terribili nefandezze, in cui il mestiere di giornalista o cronista mostra il suo lato più negativo. E la cosa si scatena soprattutto quando soggetti dei grandi fatti di cronaca sono persone deboli, culturalmente e soprattutto incapaci di difendersi. Con la povera Sarah è successo anche questo. Ad altra persona sono stati pubblicati i diari di scuola, dalle frasi da adolescente ai disegnini? A chi è capitato vedere pubblicate le confessioni? Private fatte con le amiche? Frasi del tipo. "Ho litigato con mia madre, mi mancano mio fratello e mio padre"? E poi i differenti profili di Facebook, proposti raccontati, analizzati come terribili prove del reato, diventati subito terreno di congetture maligne. Gli adulti conosciuti in chat, la sua passione per Marilyn Manson, la sua cameretta ripresa in ogni angolo e mostrata nei collegamenti tv… Non ci è stato risparmiato niente. Sì, è proprio così, non le è stato risparmiato nulla.
Nel caso della povera Sarah, appunto, sui programmi televisivi si sta dibattendo su dei probabili segreti di Sarah, come per esempio sui probabili palpamenti dello zio Michele Misseri e sulle regalie che di tanto in tanto le faceva il mostro alla nipote. Si è dibattuto anche sulle indagini degli inquirenti, perché non sono stati posti sotto sequestro i locali dove si è verificato il delitto, come il garage? Noi in qualità di lettori non siamo in grado di dare alcuna indicazione, si tratta di indagini in corso e gli inquirenti sanno che cosa devono fare e non hanno bisogno dei nostri suggerimenti. Ognuno fa il proprio mestiere, il cronista deve svolgere quella di cronista e gli inquirenti quella di inquirenti.
Il cronista mantovano, è ritornato indietro nel tempo, è ha paragonato il caso di Sarah Scazzi, a quello di un'altra ragazza, quando nelle paludi dell'agro pontino, nel pieno della sua fanciullezza, è stata uccisa barbaramente da un coetaneo, un giovane spasimante del luogo, perché voleva abusare di lei: Quella ragazza, era Santa Maria Goretti, nata il 16 ottobre 1890 a Nettuno e il fatto si è verificato il 6 luglio 1902.)
Mi sono domandato, cosa hanno in comune questi due avvenimenti con la piccola "Marietta" (così veniva chiamata familiarmente Maria Goretti), che preferì farsi uccidere piuttosto che perdere la sua illibatezza? Sono storie diverse, soprattutto se consideriamo tutto il contesto in cui sono avvenuti i fatti... Ma la purezza del cuore può essere desiderata da chiunque, anche da chi ha una vita che per alcuni può sembrare "traviata".
Dai commenti apparse sulle pagine di FaceBook, abbiamo tratto queste considerazioni:
"Non solo i giornalisti devono chiedere scusa, ma anche ciascuno di noi telespettatori che abbia ascoltato con avida curiosità tutte queste squallide sciocchezze e che ancora adesso coltivi magari la morbosa attesa di altri scabrosi particolari non ancora chiariti. In tutta questa vicenda il lavoro degli inquirenti è invece un fatto positivo ed encomiabile. Si deve al loro ostinato, incrollabile impegno il fatto che oggi una famiglia può piangere, celebrare le esequie della propria bambina, curarne la tomba e, nel tempo, ritrovarla in un'altra dimensione dove l'amore è ancora possibile.

Nei tanti commenti dei lettori, su FaceBook, abbiamo scelto questo che ci è sembrato molto significativo ed equilibrato:

"L'altra sera casualmente finisco "sul terzo canale" e seguo la pantomima della conduttrice del programma "Chi l'ha visto della Rai, condotto dalla brava giornalista Sciarelli Non appena sentii l'intervista allo "zio" di Sarah Messeri Michele, il giorno del ritrovamento del famigerato cellulare, ed ho pensato che questo signore stava facendo "Tahiti" (tattica dissimulava dei terroristi arabi) e che ero fortemente convinto che lui fosse coinvolto. Lungi da me essere moralista) lo scopo di una trasmissione come chi l'ha visto? È quello di cercare (possibilmente e trovare) persone, quindi ci sta anche un epilogo che definirei tragico in diretta. La madre della povera Sarah ha utilizzato l'eco mediatica per fare luce, altrimenti il caso non sarebbe stato archiviato, ma le indagini sarebbero quindi proseguiti con molta difficoltà .
La giornalista Sciarelli ha chiesto (in modo tardivo e sornione) l'interruzione della trasmissione, quando la frittata era già fatta e la madre, non adusa ai tempi tecnici delle trasmissioni televisive, ne è rimasta vittima. In tutto ciò LA FAMIGLIA di Sarah non ha avanzato nessun rimpianto, ma allora smettiamola di fare commenti "in vece" di altri, di chi avrebbe il diritto di farlo, evitiamo falsi (o peggio veri) moralismi e preghiamo per Sarah ed anche per lo sciagurato mostro dello zio.

Secondo altri lettori

E' veramente indicibile che una madre debba scoprire in diretta televisiva la morte della propria figlia scomparsa da molti giorni: ma la conduttrice, ricevuta la notizia della confessione dell'assassino, non poteva chiudere la trasmissione (o almeno il collegamento) invitando la signora a recarsi a Taranto a telecamere spente? C'è proprio bisogno, nel nulla totale del panorama televisivo sia pubblico che privato, di questo altro "Grande fratello" che è la trasmissione "Chi l'ha visto?" che è capace di generare e alimentare la morbosa curiosità di alcuni telespettatori? Forse bisogna avere solo un puh di buon senso, se si sono perse le tracce della dignità delle persone già duramente provate dalla cattiveria degli uomini. Il calce all'articolo, riportiamo la poesia di Ida Guarracino , alla quale chiediamo scusa


Sarah
Fiore strappato nell'età
più bella,
in un giardino incolto e
arido.
Nemmeno la morte
l'ha difesa,
come appassisce una rosa,
così nei suoi occhi,
un crudele profumo
di un segnale evidente
di un malessere,
invisibile a chi non vuol vedere.
Ida Guarracino


GAZZUOLO:RICORDI STORICI
TRA PASSATO E PRESENTE.

 Oh! Sì, Gazzuolo, il piccolo Borgo Gonzaghesco, che ci ha ospitati per dieci anni, quale comandante della locale Stazione. Dopo vent’anni che siamo in pensione, per raggiunti i limiti d’età, ci siamo passati più volte, ma sempre di corsa e non abbiamo mai avuto il tempo per fermarci un momento. Noi viviamo in un mondo senza tempo e senza pace, siamo sempre indaffarati dalla mattina alla sera.   Oggi 4 agosto 2010, con la nostra principessa Tiziana, ci siamo ritornati, per firmare nella sede Comunale, la concessione per costruire la cappella cimiteriale di famiglia, perché nel cimitero di Campitello, non c’è area disponibile. Dal giorno del nostro collocamento in quiescenza, viviamo nel piccolo e simpatico paese di Campitello di Marcaria, un paese che da Gazzuolo dista soltanto 4 km, e ci divide il fiume Oglio. Qui a Campitello abbiamo fatto costruire la nostra casa d’abitazione, poiché a Gazzuolo non erano reperibili aree pronte ed adibite all’edilizia abitativa. Mentre a Campitello esisteva la possibilità di acquistare una casa nuova. Oggi succede la stessa cosa, per quanto riguarda l’area cimiteriale. A Campitello non ci sono aree libere, mentre a Gazzuolo esiste queste possibilità di costruire una cappella di famiglia. Quindi, abbiamo pensato appunto a Gazzuolo, al quale siamo molto affezionati. In quella occasione, l’Amministrazione Comunale di Gazzuolo, ci ha conferito una pergamena, quale riconoscimento del servizio prestato in quella sede, in data 25 - 06 - 1985.Gazzuolo non è una grande città, ma come abbiamo detto sopra, è un piccolo e tranquillo paese, come è stato definito dallo scrittore Giovanni Nuvoletti, un loro figlio prediletto, nel suo libro: “ Un Matrimonio Mantovano”. Il paesetto dove si svolse felicemente il nostro ultimo Comando di Stazione Carabinieri, prima di fare parte nella forza in congedo.  Gazzuolo: paese che in fondo non è una strada, tutta una lunga strada ordinata e abbellita di qualche palazzotto, di un nobile porticato e di tante dignitose casette. Si apre il nostro paese, in una terra di fiumi, si stagni e di acquitrini che le continue bonifiche redimevano. Fra gli alti pioppi si alzano i canti dell’antica pazienza, intrecciandosene qualche nuova delle prime rivolte. Lunghe file di scariolanti uscivano all’alba a scavare nelle umide terre circostanti per rientrare al tramonto grigi di fango senza più canzoni. In questi e simili luoghi s’era levato cupo il grido dei diseredati, “la boje”, che tradotta in lingua, vuol dire (bolle la pentola).

Ma i veri poveri non erano di lì, quanto immigrati di terre e paesi più povere. La gente del luogo non  conosceva la disperazione delle grandi miserie, gli impietosi rigori della fame. Nella generale parsimonia era diffuso un certo benessere, un civile costume che gli anni volgenti aprivano alla speranza.

La roba, la proprietà, il denaro erano oggetto di venerazione là dove aver del suo costituiva il primo titolo al rispetto. L’anima degli uomini era piena, solida, uniforme come il paesaggio, tutto conquistato alle acque, che il poeta cantava:

 

C'era una volta, ieri,
Vecchia canzone d'amore
Sulle alte cime dei pioppi
Del nostro placido fiume.
Acque serene ch'io corsi sognando
Nella dolcezza
Delle notti estive
Acque che vi allargate fra le rive
Con un occhio stupito, a quando, a quando
O! Nostalgiche acque di sorgiva,
Acque lombarde"
 

 
  NATURA DEL SUOLO

  Le poderose correnti acque, che nel volgere dei secoli dai monti discesero precipitosamente nella gran Valle Lombarda, un tempo vasto seno del mare Adriatico. Stoppani – Nel Bel Paese) trascinando seco abbondanti detriti di terre e sabbie, formarono le attuali alluvioni, modificate poi dal Diluvio, ultimo cataclisma acque- tellurico e fatto accertato dai recenti studi geologici.

In generale tutti i fiumi dell’alta Italia, al dire di Carlo Cattaneo, con tempo corrosero con i loro filoni il fondo, e lo infossarono sotto di quello degli stagni circostanti, mentre con le loro inondazioni colmarono di materiali i luoghi più bassi, da produrre quei rialzi di terra dette molte, o altopiani di leggeri si possono scorgere nel nostro territorio.

Noi non possiamo stabilire e determinare con certezza l’epoca in cui il fiume Oglio si restrinse nell’attuale letto: quello però che è certo si è che le nostre valli, costituendo un suo seno furono ridotte allo stato attuale della mano solerte ed infaticabile dell’uomo. Come si spiegherebbe diversamente la cosa se poniamo mente alla depressione di questi valli che un giorno e non molto lontano erano più basse del livello dell’Oglio stesso? Dunque fu l’opera dell’uomo ad incanalare il fiume con arginature, lottando per secoli contro l’azione devastatrice delle sue grosse piene. 

 

 La nostra è una lussureggiante campagna, immersa nel silenzio fervore delle opere; riposato paesaggio d’argine da cui per la gran distesa si possono scorgere lontani profili di monti, il Baldo e le prime cime delle Alpi discoste e nevose. Ancora oggi, i vecchi passeggiando per quelle rive e traendo dalla vista infallibili presagi del tempo, ripetevano e ripetano allora i nomi quasi misteriosi di vette che nessuno di loro aveva mai visto da presso. Essendo, i più modesti viaggi, robe da sior- Nei giorni limpidi, volgendo lo sguardo a mezzogiorno, l’Appennino si disegna domestico e quasi confuso nella linea dell’immensa pianura.

 

IL LAGO GERUNDO

 Negli anni 70, due nostri amici geologici, hanno fatto alcune ricerche nella località, dove un tempo molto lontano, sorgeva il famoso LAGO GERUNDO. La gente di Balforte di Gazzuolo ne parlava. Nel corso delle loro ricerche hanno rinvenuto alcuni focolai, dove, probabilmente sorgevano delle tende dei primi pastori che dalle montagne bergamasche erano scesi nella pianura Padana, con il loro gregge. In questi focolai, hanno rinvenuto frecce ed oggetti di ossidiana, che adoperavano per la caccia e come utensili di lavoro e in cucina al posto dei coltelli. Questo minerale generalmente si trova in quelle alte montagne, oppure nelle rocce vulcaniche. Oltre a questi strumenti, hanno rinvenuto tra la cenere dei focolai i resti del cibo con il quale le famiglie di questi uomini primitivi si nutrivano. Ossa di capra e spine di pesci, che probabilmente pescavano in quel lago. La storia di Gazzuolo, come scrive Don Domenico Bergamasci nel suo libro, Storia di “Gazolo” e il suo Marchesato - edito a Casalmaggiore – Tipografia- libreria Contini Carlo ci parla brevemente e tra l’altro, di questo famoso lago che in tempi lontani è sparito completamente. Quando eravamo di stanza nel paese di BAGNOLO CREMASCO, che dista pochi km da Lodi, quale comandante di quella Stazione CC: in provincia di Cremona, abbiamo sentito molto parlare di questo lago. Infatti, questo paese sorgeva su di una duna sabbiosa, prodotta appunto, da questo storico e antico lago fluviale. Da una ricerca che abbiamo effettuato su Internet, abbiamo trovato molti articoli che parlano di questo antico lago. L’articolo di GIUSEPPE PETRUZZO), abbiamo appreso tra l’altro, che a formare questo antico lago, sono state le acque: alluvionali. Tra i fiumi Adda, Serio e Oglio, un tempo c'era il mare. Non però il mare del Pliocene che faceva della pianura padana un grande golfo adriatico, bensì un mare o lago d'acqua dolce di epoca geologica molto più tarda, post glaciale: il Gerundo, o Gerundio, che per la prima volta appare citato in certe carte notarili dell'inizio del secolo XIII. Esisteva ancora in epoca storica, ricordato parallelamente e confusamente dalla cronaca e dalla leggenda. Veniva chiamato ora lago ora mare, ma la parola mare va presa con cautela: nel nostro caso è una parola del basso latino 'mara' che significa palude. Su di esso si è molto scritto e ancor più favoleggiato cercando di definirne confini, dimensioni e durata temporale. Oggi si è propensi a credere che si trattasse di un insieme di paludi, acquitrini, “lanche”, corsi d'acqua dolce, stagni che, progressivamente, avevano occupato l'esteso piano di divagazione dell'Adda durante l'anarchia della regolamentazione delle acque manifestatasi dalla tarda antichità e fino all'alto medioevo. Da questo specchio d'acqua poco profondo ma molto esteso (circa 35 Km da est a ovest e 50 Km da nord a sud) emergevano isole e isolette molto allungate parallele alla direzione della corrente. La più grande era l'isola Fulcheria su cui si sviluppò la città di Crema. Lodi era città costiera affacciata alla sponda ovest del lago, Orzinuovi era costiera sulla sponda opposta (o meglio, tale sarebbe stata se fosse esistita ai tempi del lago). A nord il lago raggiungeva a Vaprio, a sud Pizzighettone. Il lago doveva essere una distesa di acqua alimentata dagli straripamenti dei tre fiumi e dalle risorgive di provenienza sotterranea. La profondità variava dai dieci ai venti metri con punte sui venticinque. E aree meno profonde erano frequenti le formazioni paludose; a Genivolta venne trovata un'ara, conservata oggi al museo di Cremona, dedicata alla dea italica Mefite, sovrana delle paludi. L'uomo era insediato sulle sue sponde e sulle isole sia su terraferma che su palafitte (la pretesa città di Acquaria nei pressi di Soncino) e navigava sul lago con piroghe monoxile, scavate da un unico tronco di quercia, di cui si sono rinvenuti alcuni esemplari. Si nota, inoltre, in molte località, la presenza di torri con infissi grossi anelli di ferro cui si ancoravano presumibilmente queste piroghe, le navi del lago Gerundo. Proprio la presenza di imbarcazioni ritrovate anche piuttosto lontano dall'attuale riva dell'Adda farebbe pensare che le popolazioni che abitavano l'area fossero in comunicazione con un più vasto bacino a valle e che proprio da tale situazione abbia avuto origine l'equivoco di nomenclatura che riguarda il lago o il mare Gerundo. E' altrettanto probabile che all'epoca delle invasioni barbariche, a causa di frequenti intense piogge e dell'abbandono delle opere di bonifica che erano state incominciate dai romani, l'estensione del lago Gerundo sia andata aumentando progressivamente spingendosi anche molto lontano verso sud.

 Lo scrittore Lorenzo Rossi, così scrive: “Che cosa si nascondeva veramente nelle acque di questo lago lombardo oggi scomparso?

Benché al giorno d'oggi non ne esista più alcuna traccia, se non nella storia dei sedimenti geologici e nelle antiche toponimie, il territorio lombardo attualmente compreso tra la parte meridionale di Bergamo e il nord di Cremona e Mantova era in passato il bacino di una vastissima area acquitrinosa formata dalle esondazioni dei fiumi Adda, Oglio, Serio, Lambro e Silero, conosciuta con il nome di lago (o mare) Gerundo. Le testimonianze storiche più antiche circa la sua esistenza sembrano risalire all'epoca romana, tramite alcuni accenni contenuti nelle opere di Plinio il Vecchio, ma le informazioni più significative sono datate al 1110 d.C. e provengono dal monaco Sabbio.

Particolarmente interessanti da un punto di vista cripto zoologico risultano essere le numerose testimonianze e aneddoti inerenti a misteriose creature che ne infestavano le acque, alle quali la tradizione popolare diede il nome di "draghi".

Generalmente descritti come grandi animali serpentiformi dall'alito pestifero, erano sicuramente considerati ben più di una leggenda dalle popolazioni che abitavano le coste del Gerundio, basti considerare che gli abitanti di Valenzano erigessero delle mura alte tre metri e lunghe quindici chilometri per proteggersi dalle sortite del mostro lacustre che si credeva vivesse in quella zona e che la contrada principale del paese, a ricordo della vicenda, era chiamata "via della biscia".

La credenza nella reale esistenza di simili creature è testimoniata anche da alcuni interessanti reperti ossei che fanno ancora mostra di sé in diverse chiese, un tempo stanziate lungo le propaggini dell'antico lago Gerundo, considerati per lungo tempo dalle popolazioni locali i resti appartenuti ai temibili draghi acquatici.

Dal soffitto dell'abside della chiesa di Almeno S. Salvatore pende una gigantesca costola animale della lunghezza di 260 cm, che secondo la tradizione sarebbe appartenuta a una creatura catturata nei pressi del fiume Brembo. A soli tre chilometri di distanza in linea d'aria, un altro reperto simile, della lunghezza di 180 centimetri, è conservato all'interno del Santuario Natività della Beata Vergine di Sombreno. Si narra che provenisse da un drago del Gerundo, ucciso da un giovane eroe. La costola attirò l'attenzione del naturalista Enrico Caffi, al quale è dedicato il Museo di Storia naturale di Bergamo, che la identificò come appartenente ad un mammut. 

Gli abitanti di Lodi e quelli di Bagnolo Cremasco erano talmente spaventati e abituati allo stesso tempo della presenza di un grande "serpente" acquatico al punto da affibbiargli persino il nome proprio di "Taranto" o "Tarantasio", anticipando così di molti secoli la popolazione scozzese di Inverness, che verso gli anni Trenta ribattezzò "Nessie" la più famosa delle creature lacustri leggendarie: il mostro di Loch Ness. Ancora oggi, ogni tanto ne parlano le cronache giornalistiche, di avvistamenti del famoso drago di cui si è parlato tanto in passato.

Si narra che agli inizi del 1300, a seguito delle opere di bonifica avviate nel XII secolo, a Lodi, presso l'Adda, fu rinvenuto lo scheletro di Tarantasio, successivamente custodito nella sua interezza all'interno della chiesa di S. Cristoforo. Col tempo però se ne persero le tracce, ma verso il 1800 il medico di Lodi Gemello Villa riuscì a riportarne alla luce e ad esaminarne una presunta costola. I suoi studi non lasciano intendere informazioni di particolare interesse, se non nel passaggio in cui si afferma che "la costola ha la pellucidità delle ossa fresche", lasciando così intuire che possa non trattarsi di reperto fossile.


 

LO STEMMA DEI VISCONTI

L'elemento più caratteristico dell'iconografia araldica dei Visconti, antichi signori di Milano, è senza dubbio il sinuoso "serpentone" ritratto nell'atto di ingoiare uno sventurato essere umano, ma le leggende circa la sua reale origine sono talmente diversificate e numerose che risalire a una sicura genesi storica è impresa praticamente impossibile.

Lo stemma dei Visconti a Milano raffigura un serpente che divora un giovane uomo. Secondo alcuni il serpente sarebbe proprio il mostro del lago Gerundo ucciso da Umberto Visconti nel 1200.

Nel suo De Magnali bus Mediolani Bonvesin de la Riva riporta quanto segue: "Viene offerto dal comune di Milano a uno della nobilissima stirpe dei Visconti che ne sembri il più degno un vessillo con una biscia dipinta in azzurro che inghiotte un saraceno rosso: e questo vessillo si porta innanzi ad ogni altro: e il nostro esercito non si accampa mai se prima non vede sventolare da un'antenna l'insegna della biscia. Questo privilegio si dice concesso a quella famiglia in considerazione delle vittoriose imprese compiute in Oriente contro i saracini da un Ottone Visconti valorosissimo uomo".

Il cronista Galvano Fiamma, riferendosi sempre allo stesso episodio, lo ha tramandato ai posteri con maggiore dovizia di particolari, spiegando che durante l'assedio di Gerusalemme Ottone sconfisse in un duello il terribile nobile saraceno Voluce il quale, per sottolineare la sua presunta invincibilità, era solito combattere sotto il simbolo di un serpente che ingoiava un uomo.

Un'altra versione vuole che, dopo la morte di San Dionigi, un drago giungesse nei dintorni di Milano trovando dimora in una grotta situata oltre le mura della città. Dopo diversi infruttuosi tentativi di uccisione da parte di disparati cavalieri, giunse a Milano Umberto Visconti che affrontò e sconfisse il mostro prima che quest'ultimo potesse ingoiare del tutto un fanciullo che aveva già cominciato a ghermire tra le sue fauci.

I più romantici saranno di certo disposti a collegare tra loro la leggenda di Umberto e quella dei draghi dell'antico Gerundo, ma a ben vedere pare proprio che lo stemma del serpente fosse simbolo della città di Milano molto prima dell'arrivo dei Visconti, tanto che, secondo alcuni, la sua origine risale all'epoca di Desiderio, ultimo re dei Longobardi, che successivamente tramandò lo stemma ai Visconti, suoi successori.

Possibili spiegazioni

Pur ammettendo che le leggende inerenti agli antichi mostri dello scomparso lago Gerundo potessero avere un fondo di realtà, ipotesi sulla quale ritorneremo in seguito, esistono molti buoni motivi per escludere categoricamente che le gigantesche costole conservate come reliquie possano realmente essere appartenute a questi ultimi. Anticamente i pellegrini erano infatti soliti portare in dono ai santuari i più esotici e singolari reperti. Non è affatto da escludere l'ipotesi che le ossa attualmente custodite nel bergamasco e nel cremonese potessero essere appartenute ad animali quali elefanti o cetacei, successivamente donate alle chiese in qualche modo legate alle leggende sui draghi. A tal proposito è interessante notare come la chiesa di S. Salvatore sia consacrata a S. Giorgio, il più famoso uccisore di draghi della tradizione cattolica.

  Ulteriori indicazioni della presenza umana vengono dai toponimi come Gerola, Girola, Gera d'Adda, derivati dalla radice gera, ossia ghiaia, che compare nel nome stesso del lago Gerundo. L'acqua si stendeva, infatti, su un fondo ghiaioso di origine glaciale e oggi, in alcune zone, dopo un primo strato argilloso spesso un paio di metri, dovuto ai sedimenti del mitico lago, si trova un banco di ghiaia, profondo circa otto metri in cui si riconosce il sedimento dovuto alle acque di scioglimento dei ghiacciai, infine, un nuovo fondo argilloso, lasciato dal mare vero che occupava la pianura padana prima dell'era glaciale. Quanti secoli esistette il mitico lago? Non si sa quando si formò, ma si può ragionevolmente ipotizzare l'epoca in cui cominciò a scomparire: l'epoca intorno al Mille e nei primi secoli successivi. Il drenaggio del lago fu in massima parte opera dell'uomo: le bonifiche dei benedettini, cluniacensi e cistercensi, poi i canali costruiti dal comune di Lodi o da famiglie feudali come i Borromeo o i Pallavicino il cui nome è ancora legato a rogge o navigli.
Le campagne tra Lodi e Crema. Si diceva venisse dalle viscere della terra di Soncino dove era. Del lago Gerundo sono rimasti ricordi e leggende dove storia e fantasia sono difficili da separare. Anche il Gerundo ebbe il suo drago, come il suo fratello scozzese di Loch Ness: il drago Tarànto, un grosso biscione con la testa così grande da sembrare un drago che terrorizzo stato sepolto Ezzelino da Romano, feroce tiranno di parte ghibellina. Ezzelino rimase a lungo nella fantasia della gente. Era un gigante e sulla torre di Soncino si conservarono a lungo, dice la leggenda, due ferri murati che indicavano la sua statura sia a piedi che a cavallo. Della sua sepoltura si è persa traccia , ma in compenso ha lavorato la fantasia. Si tramanda perfino l'epigrafe latina che sarebbe stata incisa sulla sua tomba:

Terre Suncini / Tumulus canis est Ecelinis quem lacerant manes / tartareique canes che tradotta liberamente suona: Qui in terra di Soncino / giace il cane Ezzelino. Le sue spoglie mortali / son date in pasto ai cerberi infernali.

   Una ricostruzione del Lago Gerundo (da M. Mosca).

Un'ipotesi ancora più plausibile può essere presa in considerazione se, affidandoci alle cronache sino a noi pervenute, le misteriose costole non sarebbero state portate da pellegrini e viaggiatori, ma effettivamente rinvenute in territori prossimi alle chiese e santuari che le espongono...

Nel 1995 il Corriere della Sera riportò questa notizia: "Cremona - Un'enorme vertebra di un animale preistorico è stata ritrovata nei fondali del fiume Adda nei pressi di Pizzighettone (Cremona). Il reperto ha un'altezza di 75 centimetri, una base di 39 e la sede circolare ha un diametro di 16 cm. Ritrovamenti di questo tipo non sono nuovi in una zona che millenni fa ospitava le paludi del lago Gerundo. A scoprire il reperto è stato Walter Valcaregni, un muratore di 47 anni che in passato ha già donato fossili al museo civico di Pizzighettone. Un paleontologo incaricato dal museo dovrà stabilire a quale animale la vertebra appartenesse e a quale epoca risalga".

In effetti ritrovamenti di ossa appartenenti a mammut e a rinoceronti dell'era glaciale non sono infrequenti in quelle zone. Simili reperti vengono scavati a monte dalle correnti e poi trascinati sino a valle, spiegando così i misteriosi ritrovamenti tutt'ora esposti in alcune chiese.

Per quanto ne sappiamo però, tutte le costole che rientrano all'interno di una documentazione storica più o meno attendibile, sono posteriori alla bonifica delle zone ed al prosciugamento del Gerundo: questi reperti avrebbero così contribuito ad alimentare la leggenda di Tarantasio e dei suoi simili, ma non è altrettanto certo che siano anche state la causa della loro origine, per risalire alla quale si rende forse necessario affrontare una particolare caratteristica dei draghi milanesi: il loro alito pestilenziale...Nel Medioevo non era infrequente attribuire morti improvvise o inspiegabili alla minacciosa presenza di misteriosi rettili e il caso del basilisco è un esempio lampante di ciò. Molto spesso questa mitologica creatura, che secondo la tradizione nasce da un uovo di gallo covato da un rospo, prendeva dimora in pozzi le cui acque avrebbero avvelenato tutti coloro i quali vi avessero attinto. Secondo la leggenda, nel IV secolo San Siro liberò la città di Genova da un basilisco che si era insidiato in un pozzo, mentre a Vienna sarebbe esistita una lapide le cui iscrizioni indicavano che nell'anno 1202 un pozzo infestato da un basilisco fu sotterrato dopo che numerose persone erano morte per essersi lì abbeverate. Nel suo volume Dall'unicorno al mostro di Loch Ness il cripto zoologo "ante litteram" Willy Ley spiega che in passato la presenza di falde acquifere sature di idrogeno solforato a causa del loro odore di uova marce hanno potuto contribuire alla leggenda delle esalazioni pestifere del basilisco. Se ora consideriamo che in passato gli acquitrini del Gerundo rendessero l'area malsana provocando numerose vittime per malaria, gli abitanti del tempo avrebbero potuto attribuirne la causa a grandi serpenti pestiferi, cioè a basilischi a misura di lago. Considerando però che i meccanismi che stanno dietro alla nascita di ogni leggenda sono sempre più complessi e vari di quanto una spiegazione univoca e semplicistica possa talvolta fare pensare, è giunto il momento di affrontare come precedentemente accennato, una possibile spiegazione zoologica che possa avere contribuito, se pure in piccolissima parte attraverso sporadici e fugaci avvistamenti, alle tradizioni popolari sui mostri del lago. Stando al cripto zoologo Maurizio Mosca che ha affrontato il problema sulle pagine del suo libro Mostri lacustri edito da Mursia, i possibili candidati possono essere due: storioni presenti nel fiume Po, che in passato raggiungevano dimensioni molto più ragguardevoli di quelle alle quali siamo abituati ai nostri giorni e che, benché innocui per l’uomo, possiedano caratteristiche anatomiche talmente peculiari e diverse da quelle degli altri pesci europei da conferire loro un aspetto minaccioso e vagamente “rettili forse” si tratta di coccodrilli importati che secondo alcune leggende si erano adattati a vivere nel fiume Serio, come testimonierebbe l’affascinante reperto custodito nella chiesa di Ponte Nossa. Un coccodrillo impagliato lungo tre metri, di cui parla un documento conservato presso la curia di Bergamo, risalente nell’anno 1594, Ma, mentre sappiamo che questi rettili vivevano in alcuni fiumi della Sicilia sino al 1600 dopo che furono importati dagli arabi, individui di una popolazione presumibilmente esigua difficilmente sarebbero potuto sopravvivere a lungo nel Nord Italia. Nel soffitto del Santuario della Madonna delle Grazie di Curtatone, dove anche qui si trova un coccodrillo impagliato, che moltissimi anni fa, è stato catturato nel sottostante lago, prodotto da una insenatura dal fiume Mincio che scorre verso la Città di Mantova, dove forma i sul bellissimo tre laghi, che sono navigabili e dove germogliano i bellissimi fiori di loto, ( Che fra l’altro appare imbalsamato è appeso al soffitto della Chiesa) Che fra leggenda e realtà, forse scappato dallo zoo esotico del giardino privato dei Gonzaga, si racconta come é andato, uno dei due fratelli boscaioli che riposava sulle rive del fiume, L’altro chiedendo l’interiezione divina si armò di coltello e riuscì a uccidere il predatore. L’altro miracolo “ illustre” è quello di San Bernardo da Siena, che nel 1420 posò i mantello sull’acqua del Mincio vicino alla Chiesa e venne traghettato senza che si bagnasse verso Mantova per opera della Madonna. A questa miracolosità si devono aggiungere i numerosissimi ex voto dei fedeli che si ritengono miracolati.  Quest’anno, anche noi abbiamo dipinto un quadro e lo abbiamo appeso in quella parete, per grazia ricevuta di nostra figlia Tiziana. Ogni volta che transitiamo o che ci troviamo nel Santuario di Curtatone, entriamo in quel tempio e pieghiamo il ginocchio per devozione alla Madonna del Carmine. Dispensatrice di grazie.

Il 15 Agosto, di ogni anno, si festeggia questa ricorrenza e richiama migliaia di fedeli. In questa occasione, da molti anni, partecipano i famosi madonnari, ( i cosiddetti pittori di strada) che con i gessetti, sulla grande Piazza, ognuno disegna la sua Madonna. Questa simpatica manifestazione richiama migliaia di fedeli. Quest’anno, la storica manifestazione è stata interrotta da un nubifragio, che si è abbattuto su quel borgo antico, allagando la piazza dei “madonnari”e le strade del piccolo paese rivierasco, interrompendo così la bellissima festa del “ Ferragosto”. Questa storica ricorrenza insomma, è una festa  popolare molto sentita, specialmente nel mantovano, che richiama migliaia di fedeli. E’ d’usanza, che in questa giornata si mangiano nelle osterie i primi cotechini della stagione.

In quegli anni 80, anche noi da Gazzuolo, siamo stati chiamati a svolgere servizio d’Ordine Pubblico.

GAZZUOLO.

Quando nell'autunno del 1975, raggiungemmo da Bagnolo Cremasco il Borgo di Gazzuolo, per prendere possesso del Comando di ella Stazione Carabinieri e del nostro piccolo territorio, che comprendeva il Comune di Gazzuolo, la frazione di Noce Grossa, quella di Pomara, la frazione di Belforte e quello del Comune di Commessaggio.
In questi nuovi territori regnava un certo benessere fra la popolazione. I lunghi tempi della carestia erano passati da molti anni. All'ora come oggi, i contadini con i loro poderi in proprietà ed in affitto, coltivavano e coltivano i campi e allevavano e continuano ad allevare ancora oggi il bestiame. Si vedeva che avevano raggiunto un ceto benessere economico - sociale, ma il lavoro dei campi era ed è tutt'oggi duro e faticoso.
Nel nostro territorio, l'ordine pubblico era di normale amministrazione per tutto il periodo della nostra permanenza. Non sono mai successi degli omicidi e neppure delle rapine. Il nostro servizio si svolgeva generalmente sulla vigilanza degli abitati e sulla circolazione stradale.
Gli abitanti della frazione di Belforte, una piccola minoranza svolgeva l'attività contadina, mentre il resto degli abitanti, da sempre hanno svolto diverse attività: dal raccoglitore di ferro vecchio, stracci usati e piccoli altri commerci. Il loro lavoro lo svolgevano nell'interland della provincia e fuori di essa. Si racconta che nel periodo della Seconda Guerra Mondiale, si che portassero i gatti macellati nel veronese e li spacciavano per conigli.

Il Pallone aerostatico.
Negli atti del nostro ufficio, abbiamo rilevato un fatto di una certa gravita, un fatto davvero piratesco per merito di alcuni abitanti della frazione di Belforte. Il fatto si è verificato subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Sul cielo di Belforte, stava volando un pallone aerostatico, il quale per un guasto tecnico è precipitato nella località di San Pietro, frazione di Belforte. Sul pallone viaggiavano lo scienziato Jacques Piccard, grande esploratore degli abissi ... idronauta, inventore del pallone stratosferico e del batiscafo e il suo assistente ... Lo scienziato ed il suo segretario, furono spogliati e derubati di ogni cosa, persino i denti d'oro gli furono asportati, nonché il pallone che era di pura seta. I belfortesi, con la seta del pallone, la trasformarono in camice. Il Corriere della Sera pubblicò in prima pagina a colori l'atto barbarico. Naturalmente i responsabili sono stati denunciati all'Autorità giudiziaria.
In quello stesso periodo, sempre nella giurisdizione di Gazzuolo, si è verificato l'uccisione di un guardia, mentre in bicicletta percorreva l'argine sull'Oglio, nei pressi di Bocca Chiavica. L'omicidio è rimasto ad opera d'ignoti. Qualche mese prima che assumessimo il comando della Stazione CC, di Gazzuolo, si è verificato un omicidio a causa di un malato di mente, che lavorava nella stalla con il suo datore di lavoro. Per futili motivi, con il forcone del fieno, lo infilzo decedendo subito dopo.
Nei dieci anni della nostra permanenza a Gazzuolo, non si sono verificati reati di tali gravità.
Di fronte a via Roma, nei giardini comunali, in questi ultimi tempi, è stato costruito un piccolo e grazioso centro ristoro, con un chiosco che funziona anche da Bar. Con Tiziana, mia figlia, ci siamo seduti all'ombra dei grandi e ombrosi cedri del Libano, dove la simpatica cameriera chi ha servito l'ottimo caffè espresso. Di fronte a noi, vi è via Roma, dove fa bella vista di se il meraviglioso porticato gonzaghesco, che da una nota artistica del tempo dei Signori Gonzaga.

La storia ci racconta che Gazzuolo e Belforte sotto il dominio dei Signori Gonzaga di Mantova - Francesco - Gianfrancesco primo marchese - Privilegio delle due comunità di Gazzuolo-Belforte - Il Conte Brasco Panicelli investito della Corte di Belforte - Il Conte Remesini Luzzara investito da quella di Gazzuolo - Ludovico -Carlo - Gianfrancesco Lodovico - Pirro Rodomonte - Carlo Federico - Gazuolo elevato al grado di Marchesato - Usurpazione di Vespasiano Gonzaga Duca di Sabbioneta - Cessione del Marchesato al Duca di Mantova ( dal 1403 al 1569.)
Mentire fervevano le lotte tra Quelfi e Ghibellini, i nostri paesi, stanchi della tirannia di Gabrino Fondalo, spontaneamente nel 1403 si danno a Francesco Gonzaga, signore di Mantova, che aveva stretto una tregua per undici anni con Galeazzo Visconti, nemico acerrimo dei guelfi cremonesi. E però le guerre insorte tra Milanesi e Veneziani posero in grande vicende i territori di Cremona, Brescia e Mantova, da non potere per allora Gazzuolo risorgere dalle sue rovine.
Succeduto a Francesco il figlio dodicenne Gianfrancesco sotto le tutele dello zio materno Carlo Malatesta, che lo conquistò a viva forza, e nel 18 giugno 1415 anche Viadana ed altri paesi, che si erano ribellati ai signori Cavalcabò, già investiti di quel castello fino ai tempi di Federico Barbarossa.
Insorta una lite fra i guelfi Cavalcabò, sostenuti dai Cremonesi ed il nostro Gianfrancesco, nelle valli di Casalbellotto detta la sparata rimangono quelli sconfitti ed il loro territorio perduto irreparabilmente Forse fu in odio ai Cavalcabò che Gianfranco nel 1415 dominava il castello di Belforte ed altri ancora, che al dire dello storico Cavitelli erano covi d'indipendenti guelfi. Infatti, i Signor Cavalcabò fino al 1398 nei nostri paesi possedevano estese tenute comperate da Luigi Benzoni, come a rogito Gauzzi di Cremona Prode in armi e buon principe in pace, il nostro Gianfrancesco si fui distinti onori dai signori dominanti d'allora e da Papa Giovanni XXIII il grado di generale supremo del suo esercito. Allora correva l'anno 1412.
Da Paolo Malatesta, Gianfrancesco ebbe quattro figli: Lodovico primogenito, Gianlucido, Alessandro e Carlo.
Mentre sembrava che la fortuna gli sorridesse, ecco che la morte venne a troncagli a mezzo a via dei grandiosi disegni, poiché nei giorni 23 Settembre 1444 morì all'età di 49 anni, lasciando così diviso o Stato fra i suoi quattro figli: a Lodovico primogenito il Marchesato di Mantova ed altre terre: a Carlo secondogenito Gazzuolo, Isola Dovarese, Rivarolo Fuori, Bozzolo, S. Martino, Sabbioneta, Viadana, Luzzara, Suzzara, Gonzaga e Reggiolo: ad Alessandro terzo lenito, vedovo della Principessa d'Urbino e poi Frate, Redondesco, Canneto, Mariana, Castelgolfredo, Medole Castiglione delle Stiviere ed Ostiano: Finalmente Gianluigi, acciaccato e gobbo, Cavriana, Volta Ceresara, Rodigo, Piubega, Castellaro, S. Martino di Gusnavo ed altre Corti E a Cecilia, che contro il volere del padre si era fatta religiosa. Assai giovanissima nel Monastero di S. Paola, assegnò una gran dote.
Possiamo proprio dire, con tutta verità, che al nostro Gazzuolo da lui ricevette tanto lustro e splendore, da essere paragonato ad una piccola metropoli di un piccolo Stato,come lo erano altri borghi a quell'epoca, in cui la nostra Italia era divisa in mille regnicoli, fiorenti per commerci., arti lettere e scienze.
Appassionato cultore delle belle lettere, alla sua corte chiamò distinti letterati, quali il Bondello, il Muzzarelli, l'Ariosto, Castiglioni ed altri, dei quali taluni furono precettori dei suoi figli.
Come Principe, quantunque non avesse una zecca in Gazzuolo, ma pure facendo battere moneta a Rodigo dietro autorizzazione imperiale, come ne assicura il P. Irineo Affò, appunto per mostrare la sua giustificazione anche su quuel castello a lui ceduto dal Duca di Mantova per commutazione con Viadana, come si disse. Le sue monete portavano la leggenda: " Joahnes Franciscus de Gonzaga Marchio - Comes Roting.

Non si sa con precisione la data sotto la quale è nato il paese di Gazzuolo, quello che sappiamo è che sorto sopra un'ansa sabbiosa, prodotta nel tempo delle acque dell'Oglio, che scorrevano libere nella valle senza argini. Sulle ridenti sponde del fiume Oglio, in un'area quanto mai salubre e come scriveva Alessandro Manzoni, nei Promessi Sposi, parlando della Lombardia: " sotto un cielo così bello quando e bello, cosi splendido, così in pace, siede Gazzuolo, capo luogo di Comune, un giorno sede di Marchesato e lieto soggiorno d'un ramo cadetto dei Signori Gonzaga di Mantova: che lo ampliarono, abbellirono e fortificarono munendolo di ragguardevole rocca, circondata di larga fossa, da riuscire inespugnabile Castello, Il suo territorio, ebbe in gran parte si estendeva sulla destra dell'Oglio, ha per confine a se a settentrione il detto Oglio; a oriente e a mezzogiorno i Comuni di Viadana e di Commessaggio, e ad occidente quelli di Bozzolo e di S. Martino dall'Argine


LA STORIA:
GAZZUOLO E BELFORTE.


I primi abitanti.
Non è possibile precisare con certezza l'epoca in cui vennero a stanziarsi i primi abitanti, né chi sono stati. La civiltà conviene cercarla prima dall'alto, e noi possiamo dire che i primi popoli d'Italia dovrebbero essere stati tutti abitatori delle montagne Orobiche, che successivamente costretti dalla necessità per la vita nomade e pastorizia, discesero al piano ed alla Valle, nelle fertili praterie della Lombardia. Non poteva essere diversamente, essendo che le nostre praterie un giorno formando vaste paludi di acque limacciose e stagnanti, o letto dell'Oglio, con lo scemarsi di quelle e con il deviarsi divennero un processo di tempi ubertosi e saporiti pascoli. Possiamo dire senza tema di errare smentiti che i nostri primi padri furono gli Etruschi, popoli di paludi e di stagni, occupanti nel mestiere di vasai e tessitori di giunchi e di nasse.
Infatti, se vogliamo prestare fede all'antica Cronaca Mss. della città di Vegra, molti secoli prima della venuta di G.C. deve essere stato edificato Belforte, al termine dell'argine innalzato da Telamoni greco, fondatore di Terziglio.
Il Tartaria e Figlio vorrebbe che Bel forte, fosse sorto dalle rovine dell'antica Vegra, distrutta da Attila, mentre ne pare provato ad esuberanza la località nelle Aree di S. Andrea nei pressi di Calvatone.
E' certo per questo che gli Etruschi costruirono argini colossali per prosciugare il paese palustre e delle grandi acque correnti, e da quell'epoca si è ripetuto il prosciugamento dei nostri valli, antico seno d'Oglio, che da questo Castello arrivava fino a Belforte: Finalmente, perché anche nel 1180 e chiamata con questo nome di Belforte.
Via Cava doveva essere piuttosto la Chiesa madre di Gazzuolo, convenendo con questa ai suoi doveri del culto degli abitanti sparsi nei quartieri degli Orti e della Costa, mentre per gli Aldi o Aldini di Berforte doveva trattarsi di una Cappella od Oratorio nel fortilizio, dedicato all'Apostolo San Bartolomeo.
Nel corso dei secoli, sono successi molte vicende dolorose fra i due piccoli Stati di Gazzuolo e di Belforte, fino al periodo della peste di Milano-1629-1632, si verificò una nuova epidemia di peste nel ducato di Milano La causa di questa peste fu la guerra di successione al trono di Mantova Infatti, il ducato di Venezia aveva assoldato per vincere la guerra, e quindi allargare il dominio al regno di Mantova, un famoso esercito di mercenari, i Lanzichenecchi, soldati che godevano di una pessima fama, visto che dove passavano portavano distruzione e, spesso volentieri, gravi malattie. Visto che i Lanzichenecchi provenivano dall'Austria, per arrivare a Mantova dovettero passare per Milano e ne approfittarono per depredarla; purtroppo vi lasciarono anche la peste. Quest'ultima viene descritta da Alessandro Manzoni nei suoi Promessi Sposi. " I PROMESSI SPOSI", senza ombra di dubbio, è il romanzo più famoso della letteratura italiana

I Comuni - Gazzuolo e Belforte- per superare quest'ultima crisi economico- sanitaria, cessarono di essere belligeranti e fondarono un solo Comune. Prima di quest'evento storico, si combattevano anche per questioni di confini. L'esercito di Belforte, erano un esercito di ventura, come quello di Gazzuolo,arruolato nel territorio spagnolo e probabilmente nell'Andalusia. Persone che si differenziavano da quelle di Gazzuolo, per il colore olivastro della pelle. .
Belforte, in località " La Motta", nei tempi remoti, aveva costruito il suo Castello a mo di fortezza. In seguito a guerre intestine, non si sa in quale epoca venne completamente distrutto. Le colonne in marmo e in porfido, con pregiati capitelli, furono trasportati a Gazzuolo, dove i Signori Gonzaga, vi costruirono le stelle per i loro cavalli. Ancora oggi, quel porticato fa bella mostra di se in Via Roma. Quel bellissimo porticato, è quello che è rimasto a testimonianza del passaggio dei Sig. Gonzaga.
Anche il Castello del piccolo Stato di Gazzuolo, non si sa quando e per mano di chi, venne completamente distrutto e non è rimasto neppure un capitello, anzi, è rimasto un blocco di pietra arenaria, che costituiva un elemento della vasca, dove venivano allevati i pesci. Questo maniero fortificato, con larghi e profondi fossati, sorgeva nell'area proprio dove oggi scorre il placito fiume Oglio. Si crede che, con i mattoni del maniero vennero costruiti i palazzetti e il Palazzo D'Arco, dove oggi vi è la sede Comunale. Tiziana, per documentare i famosi portici di Gazzuolo, li ha fotografati, immortalando così nella foto anche il sottoscritto. Con quella fotografia, abbiamo illustrato quest'articolo.
In ricordo dei Signori Gonzaga di Gazzuolo. Oggi rimane soltanto la bellissima Chiesa in stile Romanico di San Pietro, con accorpato il Convento. In questi ultimi anni, l'Amministrazione Comunale di Gazzuolo, ha provveduto ai restauri, ma non P stata aperta al culto.
Gli studenti delle Scuole Medie di Gazzuolo e Belforte, hanno fatto una ricerca su questo complesso religioso. All'interno della Chiesa di S: Pietro,si trovano ancora alcune tombe dei Gonzaga.

I ragazzi così scrivono nelle loro ricerche: La Chiesa di S. Pietro è molto probabilmente, una delle cappelle fondate per volere di Ansa regina longobarda (VII secolo) lungo il corso del fiume Oglio. Il primo documento che accenna all'edificio è una permuta del 966 avvenuta tra il Vescovo di Cremona e il Conte Wilfredo, dove si parla di cappella di S. Pietro in Via Cava. Un'altra permuta del 1034, invece, non si parla più di cappella, ma di chiesa. E quindi probabilmente che la costruzione, in questo periodo, abbia subito, delle trasformazioni . Altri documenti del XII secolo confermano la proprietà di Via Cava ai benedettini che svolsero un ruolo importante sul territorio sia dal punto di vista religioso che sociale, bonificando le campagne paludose. Tra il 1478 e 1479 Gianfrancesco Gonzaga divenne signore di queste terre ed insieme alla moglie del Balzo diede vita a Gazzuolo ad una corte raffinata che vidi la presenza di molti intellettuali ed artisti come Ludovico Ariosto, Bernardo Tasso, Matteo Bandello, Baldassarre Castiglioni e Pier Jacopo- Alari Bonacolsi detto l'Antico- Contemporaneamente al fiorire di questa situazione la Chiesa di S. Pietro assunse un ruolo sempre più importante divenendo pantheon gonzaghesco pur mantenendo sempre la sua funzione originaria di parrocchiale, tanto è vero che in documenti quattrocenteschi, relativamente a Belforte si parla di due chiese parrocchiali, una dedicata a S: Bartolomeo e una a S. Pietro.
Nel 1506 Pirro Gonzaga, figlio di Gianfrancesco affidò il complesso religioso ai frati Girolomi e in questo periodo chiesa e convento vennero modificati, forse ricostruiti.

Dal 1704 al 1773, S: Pietro venne affidato ai Gesuiti di Mantova che ne fecero un luogo di villeggiatura da maggio ad agosto. Alla soppressione dei Gesuiti, la chiesa e il convento passarono ,prima al Fisco di Mantova, successivamente a Domenico Petrozzani, quindi nel 1840 a Giuseppe Raimondi che nel 1869 lasciò l'intero complesso alla comunità di Belforte. La chiesa venne riaperta al culto nel 1893 e poi definitivamente chiusa attorno al primo decennio del ventesimo secolo avviandosi un arrestabile declino con crollo parziale del tetto già nel 1924.
Durante la Seconda Guerra Mondiale venne utilizzata come granaio e magazzino; negli anni Sessanta parzialmente restaurata, con il rifacimento del tetto che però è crollato nuovamente il primo aprile del 2000, per essere riparato a spese del Comune di Gazzuolo, cui d'edificio ora appartiene. Spoglio e devastato dall'incuria senza più tracce di arredi sebbene quanto ancora rimane, porti i segni sul piano architettonico di rifacimenti settecenteschi. Si possono intravedere i resti della volta a botte, elemento tipico dell'architettura gesuita, mentre non restano tracce degli altari che devono essere nel XVIII secolo in numero di tre laterali più l'altere maggiore, mentre nel secolo precedente i documenti parlano anche della presenza di cappelle laterali. Tra i vari quadri che ornavano la chiesa la " Sacra Famiglia" di Teodoro Ghisi, donato a Monsignore Parazzi, parroco di S. Maria in Castello a Viadana, ( dove ora si trova, come ricompensa per aver sovrinteso ai lavori di restauro della parrocchiale di Belforte fra il 1879 e il 1880) e quello di S. Girolamo ora nella parrocchiale di Belforte. Rimangono, oltre ad un affresco cinquecentesco sotto l'arco trionfale, una loggetta rinascimentale appena dopo l'ingresso, che fungeva da cantoria e alcune lapidi sepolcrali di notevole interesse tra cui:

1) Tomba di Antonia Del Balzo, Nell'epigrafe vi è scolpito, a mezzo rilievo, lo stemma dei Del Balzo e, più sotto, un altro piccolo stemma marchionale della parentela, mentre alla base due aquile relative allo stemma dei Gonzaga. Sulla destra vi è rappresentata la stella dei Te Magi da cui Antonia discenderebbe.

Le tombe furono violate dai soldati della repubblica cisalpina ( a cavallo tra XVIII e XIX secolo) alla ricerca di un fantomatico tesoro. Nel 1890, il direttore dell'archivio di Sato di Mantova, fece alzare la lapide rinvenendo resti mortali di diversi personaggi, così da far ritenere che la tomba sia stata sepolcro ad altre persone della famiglia Gonzaga.

Negli anni 80, quando ancora ero in servizio alla Stazione CC: di Gazzuolo,nei giorni di riposo, essendo un appassionato della pittura, ho piazzato il cavalletto nei pressi della Chiesa di San Pietro ed ho dipinto alcuni mini quadri, riproducendo l'antica chiesa romanica di S. Pietro. Alcuni di questi quadretti ad olio, li inseriamo in questo contesto- storico- culturale, per illustrare queste pagine.
Da qualche anno, il complesso chiesa - convento, di cui sopra, è stato completamente restaurato e trasformato: La Chiesa di San Pietro, è stata restaurata ad opera del Come di Gazzuolo e adibita a sala congressi, mentre l'ex Convento ad un moderno Ristorante. Nell'area circostante, sono state costruite due bellissime piscine che fanno parte del centro benessere.
Quindi, da quando abbiamo lasciato il Paese di Gazzuolo per quello di Campitello, qualche cosa di nuovo è stato fatto.


Viaggio dì nozze a Capri
CAPRI è un luogo fatto apposta per gli innamorati e gli uomini stanchi della vita: Lo scrittore inglese, Norma Douglas che ha scritto il libro My Hold Calabria, venne a morire a Capri nel 1952, all'epoca il solo straniero ad essere stato nominato cittadino onorario dell'isola. Aveva passato gli anni della Seconda Guerra Mondiale a Londra, imprecando contro il cibo, la dissolutezza di vita e di costume specialmente delle giovanissime, la loro mentalità e soprattutto del clima inglese. L'unico sollievo era di sedersi su un divano in compagnia di Nancy Cunardi e di giocare ai Wagons Lits, immaginando di essere su di un treno che attraversava la Francia diretta in Italia. Il suo ritorno a Capri, da lui tanto atteso, avvenne nel 1946, non senza difficoltà. Quando Norman, oramai vecchio - aveva settantotto anni - andò a chiedere il visto al consolato italiano a Londra, si sentì rispondere che i permessi erano rilasciati a chi volesse fare un breve viaggio in Italia, non a chi avesse l'intenzione di viverci. " Ma io non ci vado a vivere". Rispose Duglan, " ci vado a morire".
Non saprei indicarne un altro luogo così bello in cui coloro i quali ebbero a soffrire dispiaceri, potessero finire più tranquillamente i loro giorni. Capri dove la natura fa mostra di tutte le sue bellezze, di tutta la sua magica varietà di fiori e dei famosi "limoni" e lo splendore delle sue tinte dell'azzurro mare. Basta fermarsi in uno dei tanti affacci, da dove si gode la stupenda vista da una parte del golfo di Napoli e del Vesuvio, dall'altra delle ripide pendici del monte Solaro e della sua triplice vetta. Di giorno e speciale modo la sera, ci trovavamo nella Piazzetta: Piazza Umberto che è la famosa Piazzetta di Capri, aperta sul panorama di Monte Solaro dalla terrazza con le bianche colonne della Funicolare e se tu affacci sul mare puoi ammirare i caratteristici "Faraglioni", il monumento più fotografato dai turisti. Nel calore della giornata queste rupi splendono di una tinta incomparabile, al lume di luna si perdono in una luce magica. Sono sogni, è vero, ma chi può rimanere qualche istante sulla Marina piccola di Capri senza lasciare sciolta la propria fantasia? La solitudine e l'aspetto deserto della spiaggia sono magici, in specie nel silenzio della notte, al chiarore ella luna, quando non si ode altro che il frangersi delle onde che incessantemente si succedono le une alle altre, quando gli scogli cupi si perdono nell'ombra, e le fiaccole delle barche dei pescherecci ora brillano sulla superficie del mare, ora scompaiono. Questa notte pochi sono i pescatori che tengono ivi le loro barche: Adriana ed io li abbiamo visti seduti sulla sabbia bianca, intenti a raccogliere le reti, silenziosi, immersi in profondi pensieri come gente che sa mirabili cose belle delle profondità marine e delle sirene che vi abitano. Uno dei tanti scogli porta il nome di scoglio delle Sirene L'immaginazione bel popolo sa sempre dare ai luoghi le dominazioni che più vi si adattano; certo sarebbe impossibile trovare in Capri. Qui si possono passare lunghe ore a godere la brezza marina ed a contemplare gli effetti di luci sul mare: tutto è tranquillo e tutto risplende; scintillano le onde, e scoccano i baci fra i novelli sposi che sono venuti, come noi, in questo paradiso terrestre, per trascorrere qualche giorno della loro luna di miele. Tutto è tranquillo, tutto risplende; scintillano le onde, e gli scogli nel colore della giornata; non si ode altro che il canto monotono dolce delle cicale. Ecco che cosa vi abbiamo trovato qui a Capri. Luce, aria, profumi, tutto vive sotto il regno dell'armonia, e l'animo si inebria di solitudine.
Tra la Marina piccola ed i Faraglioni, si apre una delle più vaste grotte dell'isola, la grotta dell'Arsenale. L'acqua non vi penetra, perché trovasi dentro terra. Vi si scorgono vestigia di costruzioni romane. Anche a Capo Tragara, sorgono fra i famosi lo scoglio detto il Moncone. Anche qui si scorgono più avanti le vecchie mura della regia dell'Imperatore romano, Tiberio.
Le brevi vacanze della Luna di miele a Capri stavano per terminare. Abbiamo vissuto nell'isola incantata di Capri ed abbiamo goduto, in tutta la sua pianezza, la solitudine magica di quella marina. Così potessi riprodurre le sensazioni ivi provati! Ma in poche pagine è impossibile descrivere con parole la bellezza e la tranquillità di quella romita solitudine. Lo scrittore Giampaolo Richter, contemplandola dalla terra ferma, ha paragonato Capri a una sfinge: la bella isola. La visita dell'isola ha esercitato su di noi un vero fascino per la sua conformazione monumentale, per la sua solitudine, e per i cupi ricordi di quell'imperatore romano che signore del mondo intero considerava quello scoglio come sua unica e vera proprietà.
La domenica mattina, con un tempo stupendo, andammo con il veliero a Sorrento, e di lì ci dirigemmo vero la Città stupenda di Napoli, che sorge ai piedi del grande e caratteristico Vesuvio Il mare era meno tranquillo del cielo; le linee del paesaggio si perdevano all'orizzonte in una luce vaga ed indecisa. Quando siamo entrati nel porto di Napoli, il sole illuminava ancora le cime del Vesuvio, creando un'atmosfera di bellezza e di pace. Alla Stazione Principale di Napoli, fu qui che salutammo gli amici veneziani che stavano effettuando il loro viaggio di nozze in Vespa. Amichevolmente li avevamo definiti in veneziano" i veci" i vecchi. Ci siamo salutati, mentre il treno - Napoli Reggio Calabria era pronto per partire.

Alla scoperta di Aquileia
- Brani di vita-
Sfogliando le pagine ingiallite della vecchia Agenda di viaggio, sono emerse brani di vita vissuta che sembravano essersi sopite nel tempo, ma il fluire, lo scorrere del tempo che passa così velocemente, esse rivivono ancora dentro di noi, come se si fossero verificati ieri.
Quando abbiamo chiuso dietro di noi il cancelletto del giardino della nostra abitazione di Campitello (Mantova), erano le ore antilucane. Quando il pesante pullman lasciava la bella piazza Garibaldi, le lancette dell'orologio parrocchiale segnavano le ore 5. La nostra destinazione era il Friuli e precisamente la storica e archeologica città di Aquileia. Abbiamo attraversato un paesaggio magnifico in fiore e da lontano abbiamo ammirato la Laguna e la città bellissima di Venezia. Superato Porto Marghera, l'autostrada per Trieste era scorrevole e in poco tempo siamo giunti nella terra dei friulani e la nostra meta era prossima. Una sosta nella città di Cervignano del Friuli, dove il nostro pesante automezzo si è fermato nel centro storico. La nostra è stata una sosta tecnica, come si dice. Nel Bar Centrale, che è sito nell'angolo della magnifica Piazza, abbiamo fatto colazione. Prima di ripartire, abbiamo fatto un piccolo giretto per la città, tanto per sgranchirci le gambe e per visitare qualche monumento. Come al solito, sto sempre a guardare il paesaggio che scorre come un film e ho visto che a fianco alla Strada Statale, corre un semplice itinerario per gli amanti della bicicletta che si snoda in Friuli per circa 50 chilometri, attraverso un territorio quasi completamente pianeggiante,con piccole colline, dove germogliano ricchi vigneti e ci permette di scoprire uno dei centri più importanti dell'Impero Romano, godendo di paesaggi e panorami incantevoli. Questo interessantissimo itinerario alterna tratti su piste ciclabili vere e proprie ad altri su strade comuni ma agevolmente percorribili su due ruote. Il percorso parte dalla stazione ferroviaria di Cervignano del Friuli, passa per la storica Aquileia, quindi raggiunge Grado e, dopo essersi affacciato sulla laguna e sulle foci dell'Isonzo, termina a Monfalcone. La strada più breve da Cervignano ad Aquileia è la statale, piuttosto trafficata e non molto larga, e quindi da percorrere con una certa attenzione. In alternativa, si può allungare il percorso per la più tranquilla strada per Villa Vicentina, dove si affaccia la splendida Villa Ciardi-Baciocchi. Abbiamo appreso, che questa meravigliosa testimonianza storica e artistica, in passato appartenne a Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone Bonaparte, che commissionò all'architetto Charles Sambucy il restauro della sua residenza estiva, ma anche lo splendido parco punteggiato di reperti lapidei romani, secondo la moda del tempo. Giunti nell'abitato di Villa Vicentina, si prende la strada a destra, si passa sotto la ferrovia e si raggiunge la storica Città di Aquileia. Percorriamo la parte del parco delle rovine del porto fluviale romano, che qui fiorì tra il I e il IV secolo d. C. Nell'epoca di massimo splendore romano. Aquileia era una delle città più importanti della penisola. Dell'età felice della città permangono numerose testimonianze in vaste aree di scavo e nella superba collezione del Museo Archeologico Nazionale, ritenuto uno dei più importanti dell'Italia settentrionale. Devastata da Attila, Aquileia non si riprese mai più, ed è oggi un piccolo borgo agricolo che sorge intorno alla basilica paleocristiana e al suo campanile. Qui, una scala a chiocciola di 127 scalini porta alla torre campanaria, da cui si gode di uno splendido panorama sul borgo, sulle Alpi e sul Golfo di Trieste. Prima di visitare la basilica paleocristiana di Aquileia, la squadra dei Campitellesi, ci siamo diretto verso quello che rimane del sito archeologico del Porto fluviale e egli importanti edifici demoliti e rasi al suo da Attila ed i suoi guerrieri. Anche la chiesa, come il resto della città romana, è stata rasa al suolo, ma molto più tardi, é stata completamente ricostruita dopo il passaggio distruttivo di Attila, mentre il meraviglioso mosaico della navata è ancora quello originale della vecchia chiesa, che non ha subito alcun danno, perché è stato coperto dai calcinacci della chiesa stessa. All'interno ci siamo a lungo soffermati ad ammirare quel gioiello museale unico al mondo, che da secoli dura nel tempo e nella storia. In quel luogo abbiamo scattato molte fotografie del grande tappeto, costituito da milioni di tessere di vari colori, che rappresentano scene religiose e naturalistiche dell'epoca romana. La nostra guida che ci accompagnava nel sito archeologico e ci spiegava le bellezze storiche di quel museo archeologico all'aperto, ci disse: " Dopo le bellezze di questi capitelli, colonne e mosaici, dell'epoca e romanica e Bizantina e la mistica della religiosità di Aquileia, naturalmente dopo la mistica viene la mastica ed io devo lasciarvi, perché sono atteso per il pranzo", vi saluto e vi auguro un buon proseguimento e un buon viaggio di ritorno nella vostra bellissima Mantova. Anche noi escursionisti mantovani, dopo un lungo viaggio dalla Valle padana al Friuli, sentivamo la necessità di una sosta per rifocillarci. Nella periferia del piccolo borgo di Aquileia, in un noto ristorante, eravamo attesi anche noi per il pranzo. Il locale non era eccessivamente elegante e neppure era una bettola, ma un modesto locale pulito ed ordinato, gestito da bravissime persone a carattere famigliare. Lo chef aveva superato se stesso con il risotto ai frutti di mare e le lasagne alla parmigiana. Per secondo ci è stato servito un piatto ricco di frittura appena pescata. Il vino era quello locale: un Cabernet DOC, che coltivano nelle loro vigne di fronte al mare. Dulcis in fundus, per addolcire il palato dei commensali, una torta eccezionale, accompagnata da un vinello locale bianco dolce, che piaceva molto anche alle gentili signore. Insomma, non è stato un semplice pranzo turistico, ma lo definirei un vero convivio fra amici, perché l'amicizia è l'amicizia. L'amicizia è un'avventura che appassiona e che stupisce sempre più mano a mano che il tempo passa e la si vive concretamente fra degli amici con cui confidarsi ed è altrettanto bello sentirsi un vero amico. È la consapevolezza che qualcosa più che essere importante per noi, sia invece importante per l'amico, la necessità di sapere che tra di noi tutto andrà bene, la voglia di proteggerlo dai pericoli della vita, seppure comunque non potremo evitare che alla fine si verifichino, ma l'amicizia è una cosa molto importante da coltivare. Dopo il pranzo, abbiamo lasciato il borgo antico di Aquileia, ed il pullman, condotto dal bravissimo amico Vittorio, si è diretto verso la meravigliosa città di Trieste. Prima di lasciare la storica città di Aquileia, vogliamo riportare alcuni cenni storici; La storia ci racconta che fu fondata dai Romani come colonia militare nel 181 a.C. in un luogo che era all'incrocio di popoli e traffici commerciali. Fu dapprima baluardo contro l'invasione di popoli barbari e punto di partenza per spedizioni e conquiste militari. Collegata da una buona rete viaria, col tempo divenne sempre più importante per il suo commercio e per lo sviluppo di un artigianato assai raffinato. Raggiunse il suo apice sotto l'impero di Cesare Augusto: con una popolazione stabile di oltre 200.000 abitanti, divenne una delle maggiori e più ricche città di tutto l'impero. Fu residenza di parecchi imperatori, con un palazzo assai frequentato, fino a Costantino il Grande e oltre. Quando vi giunse il messaggio cristiano (la tradizione parla di una venuta di S. Marco evangelista che portò a Roma S. Ermacora per farlo consacrare da S. Pietro come primo vescovo di Aquileia), esso ebbe rapido sviluppo sotterraneo, tanto da esplodere prontamente appena venne concesso il culto pubblico con l'Editto di Milano del 313 DC Basti pensare che sarebbero stati erette prontamente tre grandi aule, lussuosissime, poste tra loro a ferro di cavallo: due principali, tra loro parallele, unite da una trasversale. Ciascuna poteva contenere comodamente da due a tre mila persone: cosa impensabile per un semplice "inizio" di evangelizzazione e per le ingenti risorse necessarie per realizzarle. Queste poi, ben presto risultarono insufficienti per contenere tutti i fedeli, e dovettero essere demolite per far posto ad altre aule più ampie. Infatti crediamo che, qualche decina di anni più tardi (verso il 345), parta dalle fondazioni dell'Aula Nord, fu eretta una molto più ampia (lunga ben 70 metri e larga 31: 5 metri più lunga di quella che vediamo), la più vasta in assoluto per Aquileia: quella che nel 452 d.C. fu distrutta da Attila e mai più risorse. A proposito di Attila, pochi giorni fa, nella trasmissione su Rai Uno di SUPER QUANRK di Piero Angela , abbiamo assistito al grande capolavoro che ci ha coinvolti nell'evento distruttore del passaggio di Attila in Italia e della completa distruzione di quella meravigliosa città lagunare di Aquileia. In seguito a quel lungo assedio, dove la città romana venne completamente rasa al suolo, senza più risorgere. Nella nostra escursione, abbiamo potuto soltanto ammirare e fotografare quello che è rimasto: capitelli abbattuti, colonne spezzate e marmi sparsi qua e là. Quello che abbiamo ammirato nella sua integrale e meravigliosa bellezza, è stato il mosaico romano, che è conservato per i posteri nella navata della chiesa, che è stato risparmiato fortunosamente dai calcinacci dell'edificio religioso. Sì, è proprio vero , come dice la storia: " non c'sarà domani senza ieri".
Ritorniamo alla storia di Aquileia e diremo che anche l'Aula Sud, ampliata sotto il vescovo Cromazio rimase semidistrutta dall'invasione degli Unni. A questo punto c'è da notare una caratteristica tipica e unica di Aquileia: tutte le varie basiliche erano strettamente a forma rettangolare e senza abside. Quando i figli degli scampati e degli esuli ritornarono ad Aquileia e pensarono ad una ricostruzione, volsero l'attenzione alle strutture residue dell'Aula Sud, che ancora fu ampliata in lunghezza e larghezza: saranno le fondazioni di quest'ultima a fare da supporto, dopo un lungo periodo di completo abbandono (dai Longobardi all'800), alla costruzione di una vera e propria basilica, come noi l'intendiamo, e che sommariamente costituisce il perimetro di quella attuale.
Da Aquileia, il nostro viaggio continua, per mezzo della statale, fino al ponte translagunare che porta a Grado, la città dove si rifugiarono il vescovo e gli abitanti di Aquileia, in fuga dalla furia devastatrice degli Unni di Attila. Oggi Grado è una stazione balneare, rinomata in tutto l'Adriatico per le bellissime spiagge dorate, per le marine e le terme. Proseguendo verso est, si costeggia la laguna e si imbocca la strada per Monfalcone, vivace località marittima dal passato glorioso. Leggiamo che la cittadina è stata infatti decorata al Valore Militare sia per il sacrificio offerto durante la Prima Guerra Mondiale, sia per il contributo alla Guerra di Liberazione. Sul centro, dall'alto di una collinetta carsica, domina la Rocca di origini medievali. Questa ottima postazione panoramica, sede di un interessante Museo Paleontologico, può essere la meta finale dell'itinerario. In alternativa ci si può dirigere verso il Parco Tematico della Grande Guerra: un vero museo a cielo aperto che conserva i rifugi e le trincee italiane e austroungariche, contrapposte a pochi metri le une dalle altre. Sulle pareti delle grotte e presso le postazioni militari si leggono tuttora i messaggi e le invocazioni incise dai combattenti di entrambi gli schieramenti. Dalla stazione ferroviaria di Monfalcone, infine, è possibile tornare al punto di partenza. Ma il nostro viaggio è proseguito verso la città meravigliosa di Trieste.
A Trieste siamo stati più volte, ma la prima volta fu quel fatidico giorno che il Tricolore fece ritorno con in resta i valorosi Bersaglieri. In quel tempo, prestavo servizio nella città di Alessandria, in qualità di Carabiniere motociclista. Che in testa al corteo fra due ali di folla dei triestini che ci hanno accolti in un tripudio di bandiere. Quella è stata una manifestazione senza pari, in omaggio al ritorno della città alla madre Patria. Era un martedì di cinquant'anni fa, e precisamente il 26 ottobre 1954. Ricordo che, nonostante la pioggia e la bora, sin dall'alba i triestini erano nelle strade ad accoglierci, non solo noi carabinieri che con i plotoni motociclisti eravamo i primi che aprivamo la strada invasa dalla folla festante. Ai nostri soldati che arrivavamo a Duino: la gente piangeva, cantava, rideva e cercava di portarsi a casa un ricordo di quella straordinaria giornata, strappando ai militari mostrine, bottoni della giubba, piume dai berretti. E quando attraccarono al molo l'incrociatore Duca degli Abruzzi e i tre caccia di scorta anche i marinai vennero gioiosamente "aggrediti". Fu una festa liberatoria. La gente usciva da un incubo in tripudio di tricolori. Non c'è città d'Italia, più di Trieste, che solo a pronunciarne il nome, Le parole Trieste, Italia, Patria, si fondono in un unico indiscutibile assioma! .... Questa è la grande verità che commuove ed esalta tutti: è ritornata la Madre. Quando ritorna la madre la casa è piena di luce, tutto sembra più bello, ...
Una storia di dolore e gloria che ha segnato il nostro Risorgimento sino ai Caduti nella prima guerra mondiale, centomila dei quali riposano a Redipuglia. Ma poi, alla guerra vinta, seguì quella perduta. Con le tremende ingiustizie patite dai triestini dopo il 30 aprile 1945 in un'alternanza di violenze e barlumi di speranze: nove anni che hanno conosciuto l'orrore delle foibe, l'esodo di trecentomila istriani, fiumani, dalmati, scacciati dalle loro terre, tragicamente conclusi nell'eccidio dei sei "ragazzi del '53" uccisi dalle forze di occupazione Alleate, mentre manifestavano chiedendo di veder esposto il Tricolore in Municipio. Morti per rivendicare nella bandiera il simbolo di un'identità nazionale e un radicato sentimento di amor di Patria.
Lo scrittore Bruno Ralza, nel suo libro così scrive: Il triestino, che dopo una lunga assenza arriva nella sua città, giunga dal mare, dalla strada costiera o dall'altopiano, rimane sempre incantato dal meraviglioso e immutato panorama che gli si presenta davanti all'oggi. E' una vista che lo affascina e lo avvince in qualsiasi stagione. Trieste, come una madre che sempre attende e spera che i suoi figli ritornino,gli si fa incontro in un ampio abbraccio affettuoso e commovente.-Noi oggi, siamo appunto, come quel triestino descritto da Bruno Ralza.
Il nostro torpedone, proveniente da Grado, con la sua meravigliosa costa lagunare, si è fermato nei pressi del Castello di Miramare, per visitare il suo bellissimo museo, con il suo parco ricco di piante e di alberi d'ogni parte del mondo. Di questo gioiello si è scritto e parlato molto. Volendo dargli un'appropriata definizione sceglierei quella del Carducci. " Nido d'amore costruito invano", un verso che racchiude tutta la triste e appassionata storia degli infelici principi Carlotta e Massimiliano. La principesca dimora, situata su di un roccioso promontorio, da turista il più accogliente benvenuto della città ed è un luogo di piacevoli sorprese per tutti coloro che arrivano in questo estremo lembo della penisola. Centinaia di migliaia di visitatori ammirano ogni anno stupefatti, come del resto lo siamo stati anche noi, il candido castello sul mare che lo lambisce.
Dopo la visita al Castello Miramare, abbiamo raggiunto il centro della città di Trieste con il suo centro storico. La città si apre ad anfiteatro sul mare e racchiude notevoli monumenti ed imponenti palazzi, i più importanti dei quali si affacciano sulla bellissima Piazza dell'Unità d'Italia. Salendo sulle pendici dell'altopiano Carsico troviamo la città " Vecchia" con l'antico Anfiteatro Romano e la famosa chiesa di S. Giusto, massimo monumento e simbolo della città.
Abbiamo lasciato nel tardo pomeriggio la bella città di Trieste, facendo ritorno nel nostro piccolo borgo di Campitello, di sapore medievale, immerso nella brumosa e grande Valle padana, con i suoi lunghi filari dei chiassosi pioppi. "C'era una volta…ieri", vecchia canzone d'amore sempre viva, sentita su le cime dei pioppi alte su le verdi golene del nostro fiume.

Solferino e San Martino
nell'idea di Croce Rossa.


Ieri sulle ridenti colline moreniche dove germogliano i verdi uliveti e svettano gli alti cipressi, da dove si ammira il ridente Lago di Garda, proprio lì su quella piccola vetta sorge la cittadina di Solferino e quella di San Martino, dove si è svolto il 150° della Battaglia ed era presente anche il Ministro della Difesa Ignazio La Russa ieri mattina alle celebrazioni ufficiali dell'anniversario della Battaglia di Solferino e San Martino, nonché le Autorità civili e religiose di Mantova. La giornata di ieri clou degli eventi con la commemorazione dei caduti alla presenza di ambasciatori e capi di Stato di tutta l'Europa. Alla cerimonia ha presenziato anche la banda dell'esercito italiano e quella della Legione Straniera, mentre nel corso della giornata si è alzata in volo l'esibizione di una pattuglia acrobatica dell'Aeronautica Militare. Alle ore 10 la Santa Messa, celebrata dal Vescovo di Mantova Monsignore Roberto Busti, in suffragio dei caduti nella cappella Ossario. Sono proseguite le celebrazioni con discorsi commemorativi, il primo il Sindaco di Solferino e deposizione corone con successivo trasferimento al parco monumentale di San Martino della Battaglia. Qui in questi luoghi di guerra, dove germoglia l'ulivo della pace e della fratellanza, un seme di speranza da ancora oggi i suoi frutti: è nata qui la Croce Rossa. Il filo conduttore dei valori di fratellanza tra i popoli, amicizia e solidarietà nati dopo la cruenta battaglia di Solferino e San Martino, una delle più sanguinose per l'epoca. Il sindaco Germano Bignotti, oltre a rimarcare lo straordinario sforzo logistico e organizzativo di Solferino, un paese di 2500 abitanti che in questi giorni arriverà a ospitare 10 mila persone, ha ricordato anche la fiaccolata della Croce Rossa." E' un appuntamento ormai tradizionale quello del 27 ghigno che però quest'anno assumerà una connotazione del tutto particolare. Pure il ministro Sandro Bondi ha manifestato interesse a parteciparvi" Del comitato per le celebrazioni del 150° fanno parte la Regione Lombardia, la Provincia di Mantova e di Brescia, i Comuni di Solferino e quello di San Martino.
Noi non è la prima volta che saliamo su queste verdi colline dove svettano nel cielo i lunghi cipressi, alberi caratteristici del Lago di Garda. In passato, in un giorno feriale, siamo saliti fin quassù, per visitare i luoghi della famosa battaglia e nell'occasione, abbiamo inoltre visitato l'ossario che conserva i resti dei caduti nella famosa battaglia del 24 giugno 1859 che decise le sorti della guerra in favore dei Franco-Piemontesi. Sulla cima del colle, attorniata da alti cipressi, sorge la torre, di origini scaligera, detta la " Spia d'Itala" per la posizione dominante, racchiude un museo della battaglia di Solferino con interessanti cimeli e documenti.
Un nuovo museo della battaglia è stato inaugurato il 24 giugno 1931 in un apposito padiglione sorto per ospitare in degna sede la cospicua raccolta messa insieme dal commendatore Gaudenzio Carlotti di Cavriana, e da lui ceduta alla Società di Solferino e di S. Martino.
La torre di S. Martino della Battaglia, dedicata a Vittorio Emanuele II, è un cospicuo monumento a ricordo della famosa battaglia vinta dai Piemontesi, contemporaneamente alla vittoria francese di Solferino, il 24 giugno 1859. In un'altra visita, abbiamo appreso che fu costruita dal Pezzalli, inaugurata nel 1893, ha le pareti decorate da pitture storiche del Bressanin, del De Stefani, del Vizzotto - Alberti e dai fratelli Pontremoli. Ricordo che dalla terrazza merlata, a m.74 d'altezza, si abbraccia tutt'intorno ad un panorama stupendo, in cui occhieggiano i luoghi famosi ove i patrioti santificarono col sangue quell'ideale di unità italiana che solo alla nostra generazione spettava di vedere meno incompletamente realizzato.

Sulla Voce di Mantova, del 22 giugno, è apparso un bellissimo articolo sulla battaglia di Solferino San Martino, nella ricorrenza dei 150° anniversari a firma del giornalista Gastone Savio e prima che questo articolo diventasse effimero, lo facciamo rivivere in queste nostre pagine rievocative della sanguinosa battaglia, infatti, oggi, come abbiamo ripetuto più volte, il 24 giugno 2009, a Solferino e a San Martino, si commemora tale ricorrenza, alla presenza delle più importanti autorità civili e militari, nonché di molti giovani della Croce Rossa internazionale. La storia ci racconta che il 24 giugno 1859, le truppe francesi e piemontesi sconfissero gli austriaci a Solferino e San Martino, a sud del Lago di Garda. La battaglia fu un bagno di sangue, ma aprì le porte all'unità d'Italia.
"Il sole del 25 [giugno 1859] illuminò uno degli spettacoli più spaventevoli che si possano presentare all'immaginazione", annotò poco tempo dopo la battaglia Henri Dunant. Lo scenario descritto dall'imprenditore ginevrino aveva toni apocalittici. "Il campo di battaglia è in ogni parte coperto di cadaveri d'uomini e cavalli; le strade, i fossati, gli avvallamenti, le macchie, i prati sono cosparsi di corpi morti, e gli accessi di Solferino ne sono letteralmente coperti. I campi sono devastati, i frumenti e il grano turco sono calpestati, le siepi rovesciate, i frutteti saccheggiati, di tratto in tratto si incontrano pozze di sangue".
Dunant fu profondamente sconvolto da quanto vide. Per elaborare il trauma, qualche tempo dopo la battaglia scrisse un libro destinato a diventare famoso e a fornire l'impulso per la nascita della Croce Rossa. Il libro, Un ricordo di Solferino, è una testimonianza degli orrori bellici che a un secolo e mezzo di distanza non ha perso nulla della sua drammaticità.
Una grande battaglia
La presenza di Henri Dunant sul campo di battaglia di Solferino fu frutto del caso. L'impressione che i combattimenti fecero su di lui non fu però casuale: la battaglia di Solferino e San Martino è ricordata come uno dei più grandi scontri armati dell'Ottocento. Secondo le stime più prudenti, sotto le bandiere della Francia, dell'Impero austro-ungarico e del Piemonte, erano schierati almeno 230'000 soldati. La battaglia, che avvenne su un fronte lungo una quindicina di chilometri, durò oltre dodici ore. La mattina del 24 giugno gli eserciti si trovarono all'improvviso l'uno a ridosso all'altro sulle alture a sud del lago di Garda. Entrambe le parti non si aspettavano di trovarsi di fronte il grosso delle truppe nemiche. I combattimenti si svilupparono in modo caotico e gli scontri furono spesso all'arma bianca. Al termine della battaglia, rimasero sul campo migliaia di cadaveri. "Le relazioni ufficiali dell'epoca parlavano di poco meno di 5000 morti", ricorda il sociologo Costantino Cipolla, curatore di un'opera in quattro volumi su Solferino. "Nel 1870 per motivi di igiene si riesumarono però i cadaveri seppelliti nel campo di battaglia. Furono ritrovati ben 9500 teschi. Senza contare i morti sepolti nei cimiteri e quelli deceduti più tardi, a causa delle ferite". I soldati che persero la vita nella battaglia di Solferino sarebbero stati oltre 20'000, il 10% circa dei combattenti.
"Una vittoria della rivoluzione"
Solferino fu l'ultimo episodio della seconda guerra d'indipendenza italiana. La vittoria delle truppe francesi e piemontesi, alleate contro l'Impero austriaco, aprì le porte all'indipendenza e all'unità d'Italia. "Senza Solferino, la spedizione di Garibaldi in Sicilia e quindi l'unificazione del paese sarebbero stati impensabili", osserva Costantino Cipolla. "La battaglia fu il'crinale dei crinali' dell'Unità d'Italia. Da allora non si tornò più indietro".Ma la battaglia ebbe anche conseguenze di portata più ampia, rileva il professore di sociologia all'università di Bologna. "Solferino segnò la definitiva vittoria del concetto di sovranità popolare contro i principi di legittimità monarchica. Non per niente la letteratura reazionaria dell'epoca parlò di una 'vittoria della rivoluzione'".Curiosamente, Solferino fu anche una delle ultime battaglie in cui erano presenti - in qualità di comandanti supremi delle truppe - i sovrani di tutte le potenze in guerra: Napoleone III per la Francia, Francesco Giuseppe I per l'Austria e Vittorio Emanuele II per il Piemonte. "La loro presenza fu una sorta di gioco della storia", nota Cipolla. In ogni caso, precisa, "Vittorio Emanuele II si trovava a 4-5 chilometri dalla battaglia e fumava il sigaro. Anche Francesco Giuseppe era lontano dagli scontri. Solo Napoleone III era alla portata dei tiri di cannone, tanto che alcuni dei suoi aiutanti furono feriti".
Grazie alla penna di Henri Dunant, Solferino segnò una svolta anche da un altro punto di vista: "Da allora, la guerra non fu più letta solo come momento di gloria, di vittoria. Con Dunant la guerra cominciò a essere osservata dal punto di vista delle vittime" Così scriveva. Andrea Tognina, di quella grande battaglia, che non trova nella storia altri precedenti così sanguinosi.
IL CAMPO DELLE TENDE BIANCHE DELLA CROCE ROSSA
Dove, 150 anni fa, si dispiegava il campo di battaglia ora sono tende bianche su cui campeggia il simbolo della Croce Rossa. Saranno, per la settimana che ha al centro la data del 24 giugno, la casa comune per centinaia di giovani provenienti da 187 Nazioni, tante sono quelle che nel mondo hanno firmato la Convenzione di Ginevra. A Solferino troveranno il tempo per onorare i Caduti, ma, soprattutto, prenderanno contatto con le terre su cui, un secolo e mezzo fa, uno spettatore inerme della battaglia del 1859, il ginevrino Hanty Dunant, mosso da spontanea pietà per quelle migliaia di giovani travolti dell'immane tragedia della guerra, maturò l'idea del soccorso universale che, nel 1863, si tradusse in un atto concreto con la fondazione della Croce Rossa, Centocinquant'anni dopo, l'anniversario della battaglia di Solferino e San Martino appare così lontano da non essere più offerto ai giovani studenti nei loro libri di storia. Risorgimento, Unità d'Italia, Unione europea sono tappe successive di un percorso invaso da tanti altri importanti avvenimenti, la cui forza si impose alla memoria comune attenuando o facendo scomparire il ricordo della battaglia, a detta, la più cruenta del 19° secolo, che per anni ebbe il primato nelle pagine dei libri di storia. Sono grandi ricorrenze largamente scadute nella memoria dei posteri fino ad appartenere più ai cerimoniali che alla spontaneità del popolo, ma del ricordo dell'Idea di Croce Rossa mai c'è stata flessione. Potendo parlare, 150 dopo, non della sua sopravvivenza, ma di validità viva, vitale, traendo conclusioni eterne ed universali per la forza che continua ad emanare a favore dell'umanità. Il 24 giugno si celebrerà ancora l'evento militare, Solferino e San Martino susciteranno, certamente, commozione per l'alto numero di giovani vite, allora, sacrificate alla guerra. I nomi di questi due località solleciteranno, è pensabile, l'emozione delle citazioni: il Risorgimento, il Re Galantuomo ( Vittorio Emanuele II), Napoleone III, Niel, Mac Mahon, Manfredo Fanti, Auger, La Spia d'Itala; lo scontro di San Cassiano ( Cavriana), di Ca' Morino (Medole), le avanzate e le ritirate, un'intera giornata di combattimenti, attacchi inumani all'arma bianca; la sete, la fame, le urla strazianti dei feriti, il rantolo dei moribondi; le perplessità dei patenti per un armistizio ( Villafranca) e pur anche la delusione per quella conclusione mutilata che non poteva corrispondere alle aspettative di quei patrioti. L'idea di Croce Rossa porterà ai piedi della Rocca e davanti agli Ossari di Solferino e San Martino i giovani volontari che il 24 giugno saranno ospiti del Grande Campo della Croce Rossa. Figli di generazioni dal sentimenti diverso di quelle che vennero a morire nelle forre dell'anfiteatro morenico, educati ai valori universali, hanno sostituito all'idea di patria quella della globalità. Si inchineranno, certamente, davanti a tanti morti, per di più loro coetanei, ma dichiareranno, nella preghiera ecumenica, la loro ribellione all'orrore della guerra, avendo maturato la convinzione come si disonori l'umanità quando si voglia far apparire, come ineluttabile, la necessità di affidare al fragore delle armi l'affermazione della giustizia.
Saranno, poi, questi stessi giovani volontari che, appartenendo a Paesi diversi, ma fraternamente uniti dalla medesima aspirazione di pace, la fiaccola della vita nella mano, la sera del 27 giugno, data che 50 anni fa, vide l'inaugurazione del Memoriale dell'Idea di Croce Rossa sito in fondo al Viale dei Cipressi sul Monte della Rocca, cammineranno fianco a fianco e percorreranno gli stessi sentieri che avevano attraversato i campi di battaglia del 1859. E, fra i tanti slogan, grideranno quello proprio del soccorso: " Siamo i primi ad arrivare e gli ultimi a partire ", avendo imparato ad affrontare le calamità con le " armi" della vita, onorando l'umanità con la solidarietà.

Racconto escursionistico:
un viaggio attraverso la Puglia


Siamo in tempo di vacanze, fra non molti giorni incominciamo il nostro viaggio nella vecchia e meravigliosa terra di Puglia. Le valigie sono quasi pronte ma ancora mancano tante cose da portare. Oltre ai vestiti e gli oggetti da mettere nella valigia, prima di tutto, ci sarebbe da mettere qualche buon libro da leggere sotto gli ombrosi, contorti e secolari ulivi e la vecchia agenda di viaggio, la cinepresa e la macchina fotografica con parecchi rollini e persino anche il Computer portatile, perché no! Come recita un vecchio proverbio, quando si va per la prima volta in una località nuova, bisognerebbe documentare ogni cosa con la macchina fotografica, mente sull'agenda di viaggio, perché oltre che fissare le immagini sulla pellicola, bisogna raccontare un luogo, che significa andare al di là della figura, fino al punto in cui si sprigiona l'energia di un abbaglio, dove monta un'onda, dove l'eterno e il transeunte si ritrovano e si confondono.
Il racconto di un luogo è sospensione del tempo, riverbero della memoria o fantasticheria, figurazione che combina reale e immaginario, sguardo e ricordo. Allora un luogo si fa ritmo, movimento, pulsazione, parola, silenzio, respiro comunque linguaggio-. Il racconto di un luogo è sempre una mediazione tra quello che si incontra e quello che si vorrebbe incontrare, tra una condizione di realtà e una di attesa, tra una risposta che viene dalle immagini e quella che si vorrebbe scoprire oltre le immagini, dentro di esse. Ecco, allora: andare oltre le immagini, dentro di esse; scavare, indagare, disarticolare, scomporre per cercare quelle risposte che sono oltre, che sono dentro, e poi articolare, ricomporre, ricoprire lo scavo, perché si è trovato il senso di quel luogo, di quella terra: che è il solito senso che si ripresenta sotto forme diverse, con sembianze cangianti. Un senso semplice. Semplicemente essenziale. L'essenzialità dell'ambivalenza: armonia e disarmonia, il contrario e l'uguale, il niente e il tutto, il buio e la luce, il vero e il falso, la vanità e la sapienza. Qualcuno scriveva: " La vita e la morte".
C'è sempre una differenza lo scarto di un ricordo, la nostalgia per una distanza, una condizione di separazione, la sfumatura per il tempo che passa, l'offuscamento dell'orizzonte tra la realtà di un luogo e la nostra idea di quel luogo, tra la sua sostanza concreta e la nostra memoria fluttuante, tra il nostro desiderio di consegnarlo ad una figurazione immutabile e il suo trasformarsi continuo, la sua mutazione incessante. Nelle nostre ricerche e letture di libri e articoli sul racconto di un luogo, abbiamo compreso che altro non sono che il riverbero della nostra memoria del nostro passato prossimo e delle continue osservazioni, tra l'arte, la storiografia e la paesaggistica di un luogo e di una regione come la terra di Puglia. In principio di questo contesto letterario, c'è un articolo in cui parliamo dei nostri ricordi del nostro passato prossimo, quando abbiamo chiuso dietro di noi il "cancelletto della mera fanciullezza, e siamo entrati in un giardino meraviglioso, dove ha avuto inizio la nostra carriera militare nell'Arma Benemerita. Sì, ha avuto inizio da questa terra antica, dove germogliano gli antichi ulivi come quelli del paese natio. Ricordo che un treno a vapore, sbuffante di fumo nero che impestava 'aria che si respirava, mi portò nella Città moderna e bellissima di Bari, nelle Casermette " Porcelli", dove gli istruttori e i superiori mi insegnarono come amare la Patria e servire le Leggi dello Stato.
Oggi, siamo ritornati e stiamo cercando di esplorare e soprattutto di conoscere ogni sua sfumatura. Il bravissimo scritto pugliese, Vittorio Bodini, che oltre ad essere scrittore è un filosofo, egli così descrive un luogo che si presenta a noi come una creatura: sempre, anche se impercettibilmente. Si presenta con quella fisionomia che per noi costituisce la sua identità; pretende di essere quello che in realtà è: configurazione di uno spazio. Non un paesaggio interiore, elaborazione del sentimento, proiezione dell'emozione. Ma pietra, bosco, caverna, grattacielo, vicolo, autostrada. Nient'altro.
Ancora: un luogo dice che c'era prima che noi ci fossimo e che ci sarà anche quando noi non ci saremo più. Cambierà. Diventerà un altro luogo rispetto a quello che è. Allora tra un uomo e un luogo comincia la sfida: tra le parole e un tramonto, tra il colore e un intrico di rovi, tra la screpolatura di un muro e lo sguardo di una fotografia. Noi non ci rassegniamo che possa essere soltanto quello che è; vogliamo pretendiamo - che sia fatto a nostra immagine e somiglianza.
Sì, Egli ha proprio ragione, è proprio così, un luogo si presenta al nostro sguardo con tutto il suo tempo, con le sue stratificazioni e gli intrecci di relazioni, con la sua appartenenza plurale, il suo essere di tutti. Quel luogo, quel paesaggio, ci guarda passare. Impassibile. Siamo comunque forestieri e sconosciuti di quel luogo. Siamo come chiunque altro che sia passato da lì, per caso, o che vi abbia abitato una vita, in un passato prossimo o remoto. Siamo come chiunque altro che vi passerà, che lo abiterà, in un futuro immediato o lontano. Noi invece vorremmo che fosse nostro soltanto. Lo vorremmo per appartenenza esclusiva, essenziale. Vorremmo che solo a noi fossero concessi i suoi colori, il suo orizzonte, le sue bellezze naturali, i suoi paesaggi mozzafiato, la sua polvere, la luce, il buio. Che solo per noi fosse possibile afferrare l'irripetibilità di quell'istante. Ma quell'istante lo possiamo soltanto fissare sulla pellicola o sul vecchio taccuino di viaggio, ma sarebbe meglio se lo fissassimo sulla tela o su di un foglio bianco con i colori vivaci dell'Acquarello, come abbiamo fatto in passato con il " Tempio dei Trulli", di Alberobello, il Castello del Monte e i Sassi di Matera.
Vorremmo poter essere soltanto noi a ricordare, a dialogare con le ombre, ad ascoltare i silenzi, a interrogare le pietre, ad insinuarci nelle sue storie per prenderne il senso, il lievito, la sostanza. Vorremmo essere solo noi ad avere nostalgia. Di un luogo siamo gelosi come lo siamo di chi amiamo. Così tentiamo di farci dare in dono l'anima. Oppure di rubargliela. Ma chiediamo in dono, o rubiamo, quella condizione che non sappiamo bene cosa sia, che, come dice James Hillman né L'anima dei luoghi, sfugge a ogni definizione: " le sue definizioni, come i tentativi di trovarla, non hanno mai avuto successo".
A volte l'anima di un luogo è costretta a darsi alla fuga, o a morire. L'anima scappa " dal chiasso, dalla sfacciataggine, dalla violenza, dalla mancanza di misura, dall'enormità, dalla purezza, dal minimalismo". L'anima muore quando non ci sono più parole per raccontare il desiderio ansioso di cercarla o la sapiente pazienza di aspettarla. " Qui s'era fatto il mio volto", scrive Vittorio Bodini.
Allora chi scrive di un luogo, come stiamo cercando di fare noi oggi in questa bellissima e antica terra di Puglia, che in un certo senso ci appartiene si confronta con questo sentimento dell'appartenenza, anche se il gesto della scrittura si compie in una situazione di lontananza. Forse anche di più, quando è nella lontananza. Perché la lontananza attiva un processo di distacco dallo spazio fisico per un'espansione dello spazio memoriale.
La memoria essenzializza: individua quelle immagini che hanno una più consistente stratificazione di senso, circoscrive i tempi - a volte istanti - che rappresentano i nodi dell'esistere, definisce nel pensiero quelle figure del reale e dell'immaginario che hanno fatto l'essere com'è alla sua età e che ne condizioneranno il passaggio verso età ulteriori. Colui che scrive una terra, spesso deve scavare, anche se può accadere che si ritrovi a dover scavare in un'ellisse d'aria, come diceva Vittorio Pagano. Talvolta deve anche disseppellire. Perché spesso il suo volto rassomiglia a quello dei morti: a quello degli antenati che gli hanno lasciato in eredità nient'altro che una fiaba da raccontare, da ripetere all'infinito a qualcuno che può essere anche solo il proprio sé davanti allo specchio del presente, a qualcosa che può essere la propria nostalgia o la propria coscienza. Quando è così il tempo della terra ha tutta la pesantezza della Storia oppure la leggerezza di una parola di poesia. Quando è così, colui che scrive una terra avverte l'attrazione provocata dalla seduzione dell'origine e il turbamento per la scoperta di quel lievito antropologico che il passaggio e il mutamento dell'età a volte hanno rimosso oppure hanno occultato.
Ancora Vittorio Pagano: " ai grassi fichidindia, ai magri fichi/ La campagna dà un cuore per concime/ Ed è il mio cuore".

Ricercare quel cuore, ritrovarlo, in qualche caso forse ricomporlo, restituirgli forma e pulsazione: forse chi scrive una terra ha questa cosciente o incosciente ambizione: riappropriarsi di quello che ha dato ad essa per poi consegnarglielo di nuovo, dopo aver riconosciuto che non c'è stata cancellazione, dopo essersi accertato di vivere ancora in quella terra, come un altro elemento qualsiasi, una pianta qualsiasi, forse anche una pietra. Chi scrive una terra deve riconoscersi: riconoscere il sé che si è conformato nel passaggio delle stagioni, identificarsi in un paese originario che ha, ad un tempo, la fascinazione di un dove e di un altrove, che genera, quasi simultaneamente, un movimento di fuga e uno di ritorno che molto spesso costituiscono il motivo o il movente del racconto. Per scrivere di una terra come la Puglia, occorre muovere costantemente lo sguardo dal proprio esistere fisico, storico, emozionale, a quello del luogo reale o immaginato, alla sua storia, alle sue leggende, alle sue espressioni visibili e a quelle che appartengono alla lontananza, all'anteriorità, alla sua physis e alla sua poesia, alle sue figure e alle ombre che da queste si staccano, si slargano, si spandono. Bisogna tener conto dei vivi e dei morti- Noi questa terra con la sua storia e le sue bellezze naturalistiche, un tempo molto lontano l'abbiamo conosciuta, ma oggi, dopo una lunga vita, un'eternità, siamo ritornati nella vecchia terra dei sassi, che gli uomini raccolgono disseminati nei campi, e i sassi ripuliamo, li diresti tuberi che si moltiplicano smossi dall'aratro. Essi sono le rughe, le crepe, i bitorzoli, i porri, le chiazze di una faccia che è stata sbattuta dalla sofferenza, che non è risparmiata nella fatica e nella privazione, che non ha avuto il tempo di truccarsi. Poi c'è l'altra pietra sotterra, a un palmo della superficie. I rabdomanti cercano inutilmente la vena profonda, dove il cavatore urta nel calcare sotto le radici della gramigna. Una pietra che intorno a Lecce diventa tenera e pastosa, color di crema, come abbia assorbito il poco d'acqua non ancora bevuto dal sole Pietra da incidere come una lastra di cera, da intagliare e traforare quasi per gioco. Il ferro la intaglia e sfrangia senza colpi di martello. Artefici rustici la lavorano a guisa d'argilla per forgiare vasi da fiori e statue di Madonna. Pochi anni a rivestirla della patina bruna dei secoli.
Oggi siamo ritornati nell'antica terra di questo meraviglioso paese, dove il suo volto moderno sta dipinto sullo sfondo della sua storia e su questo paesaggio storico, disposto naturalmente in più piani, che sfumano e si confondono sull'orizzonte, tra cielo e terra, tra poesia e leggenda.
Il Quadro della storia di Puglia
Il quadro della storia di Puglia ha nel primo piano i colori solidi ai paesi di conquista, colori di temporale e d'incendio. Innanzi ai moti d'insurrezione e d'indipendenza annunziatori del Risorgimento, che mandarono una primavera di martiri alle forche dell'Ammiraglio Nelson e del Cardinale Ruffo, la vita politica ed economica di questa regione non fu che una vicenda d'incursioni, invasioni e devastazioni. Non c'è altra regione che abbia tanto alternarsi di trapassi, dai primi Longobardi agli ultimi Borbone, tra la raccolta degli eserciti crociati, qui convenuti da ogni parte della Cristianità per salpare verso il Sepolcro di Cristo, e la disfida in campo chiuso che Italiani e Francesi combatterono sugli spalti di Barletta. Ma gli invasori non venivano soltanto d'oltre monte e d'oltre mare, poiché i Veneziani non si rassegnarono mai di lasciare la presa, come di un posto avanzato della madre paria verso il loro dominio orientale, e vi accampò pretese anche Lodovico il Moro. Incuneata in mezzo del Mediterraneo, tra Oriente e Occidente, aperta a Nord dalle vaste pianure della Capitanata, e non difesa lungo il suo doppio mare da un'adeguata corazza di scogliere, questa penisola, che ha maggior sviluppo costiero tra le regioni marittime d'Italia. Noi oggi, siamo sbarcati dalla lussureggiante e piatta Valle padana, in questo paradiso terrestre tra cielo e mare. Le cittadine si spargono largamente, ma basta salire sulla scarpata della ferrovia per abbracciare dall'alto con lo sguardo tutta la distesa. Case basse e bianche entro il folto dell'oliveto o in riva all'Adriatico danno il presentimento del paesaggio orientarle, come quei villaggi e antiche città del Marocco o della Tunisia, che più volte abbiamo visitato.
Dai villaggi e dalle città in tal modo aderenti al suolo, emergono le cattedrali Il contrasto le fa più grandi. Sembrano favolose anche ormeggiate in quella marea di fumi che sale la sera dai casolari accesi. Danno il senso dell'eternità immanente tra le cose caduche. Ritengono del baluardo e del tempio, mostrano un aspetto sacro e guerriero. Si direbbe che l'arte lombarda allontanandosi dalle origini territoriali siano quaggiù riempita di nuovo vigore e giovinezza. Ammirando queste opere d'arte, ci vengono in mente delle reminiscenze arabe e mussulmane. In queste cattedrali di Bari, di Corato, di Ruvo, d'Altamura, essa ha mostrato quanto potessero le virtù dei suoi maestri e di questi rosoni hanno un loro carattere nativo che le distingue dalle altre regioni.
All'appassionato,come noi, al cercatore d'arte antica e nuova le cattedrali pugliesi offrono la maggiore attrattiva, insieme con qualche palazzo patrizio, con alcune chiese del Salento, con i castelli svevi e angioini, con le colonne terminali della via Appia, con l'anfiteatro di Lecce, con le anfore preziose e i cammei venuti alla luce negli scavi di Tarantino. Le arti sorelle, scultura e pittura, non hanno avuto eguale fiorilmente. Fideliter excubat; è il motto della città di Gallipoli, e può essere impresso come insegna su tutta la regione. Esso ci porta alla memoria il dolce rito nuziale che si compie in uno dei villaggi garganici. Genuflessa all'altare, la sposa dispiega un lembo della veste sotto le ginocchia allo sposo. Tacita promessa di fedeltà e devozione, pegno amoroso di obbedienza.
Il SALENTO
E' una terra di miraggi, ventosa, è fantastica, e piena di dolcezze. Resta nel mio ricordo più come un viaggio immaginario che come un viaggio vero. Il Salento, noto anche come penisola salentina e conosciuto come il Tacco d'Italia, è una sub regione dell'Itala che si estende sulla parte meridionale della Puglia tra il mare Ionio ad ovest e il mare Adriatico ad est. Gli abitanti o dell'area che comprende l'intera provincia di Lecce, quasi tutta quella di Brindisi e parte di quella di Taranto, si distinguono per caratteristiche glottologiche e culturali rispetto al resto della regione. Da un punto di vista storico il Salento ha fatto parte per molti secoli dell'antica circoscrizione denominata Terra d'Otranto.
La Puglia. Una volta erano le Puglie, e il nome era giustificato proprio dalla diversità di paesaggi, di dialetti, di tradizioni, di gastronomie, di ambienti antropizzati. Un coacervo di misture di monumenti, di marine, di colline, di vegetazione, di pietanze.

Chi scende in Puglia dall'Adriatica incontra subito il Gargano. La luce del sole che illumina il promontorio continua ad esercitare il suo richiamo insieme al verde della festa e alla limpidezza del mare. Da Rodi, Peschi, Vieste, Mattinata, gli arroccati paesi-presepe, alle mirabolanti grotte dai mille riflessi, agli archi e ai richiami della remotissima roccia, alle lunghe distese di sabbia, alle baie di tenera bellezza che s'accendono all'improvviso per il rifugio del pescatore o la gioia del bagnante.
La strada che s'allunga morbida per le pendici offre vertiginosi scenari mozzafiato. E sotto, oltre i pini odorosi, nel silenzio rotto solo dalle cicale, si svolgono i "riti profani" delle vacanze, con alberghi, villaggi e camping. Più in là al centro dell'Adriatico, le isole Tremiti sono schegge incontaminate di roccia, memorie e colori staccatesi dal promontorio. E all'interno, sulle brulle dorsali, Monte Sant'Angelo, col santuario, le case bianche e le stradine, è la faccia aspra e rispettosa del Gargano "sacro", centro di un turismo religioso che accomuna anche San Giovanni Rotondo, il paese di padre Pio, che ci vide più volte in rispettoso pellegrinaggio. Infine la grande e misteriosa Foresta Umbra, dal fascino sorprendentemente nordico, insieme ai laghi di Lesina e Varano, completa lo straordinario scenario.

Dal Gargano al Salento, passando per la bianca, superba ed elegante Ostuni e per i suoi insediamenti turistici, eccoci all'altro polo del turismo in Puglia. Otranto, la più orientale delle città d'Italia, è l'avamposto di una costa punteggiata di torri di avvistamento contro le incursioni dei Saraceni, tra il Conio e l'Adriatico. Ora lunghe distese di pineta introducono dolcemente alle dune sabbiose tra fiori e cespugli, ora l'alta costa di bianco tufo s'affaccia sullo strapiombo di un mare trasparente e di mille calette dalla luce rarefatta.
L'antichissima Gallipoli, Castro con la grotta Zinzulusa, Porto Cesareo, Leuca, ho sì, Leuca, sono le punte di diamante di questo lembo di Puglia dalle tinte tenui e dai profumi marini. Anche qui il turismo internazionale, dal Mediterraneo ai villaggi sui laghi Limini, alle mille linde casette sembra assorbito da una natura che avvolge tutto senza violenza. Qui, sulle coste di Leuca,abbiamo trascorso gli ultimi due giorni del nostro soggiorno,due giorni meravigliosi a contatto con la stupenda natura, navigando su di un veliero bianco e soffermandoci, grotta dopo grotta.

Ma la Puglia contiene anche tesori d'arte e di cultura pari al grande ruolo di crocevia di popoli che ha svolto nella storia. Dalla Magna Grecia ai Romani, dai Longobardi ai Bizantini, dai Normanni agli Svevi, agli Angioini agli Aragonesi, finanche ai Borbone: qui il rocambolesco scorrere dei secoli ha lasciato tracce che non potranno mai essere cancellate. Figlia della sua luce e della sua pietra è la Puglia delle Cattedrali. Svettano al cielo e ora s'affacciano sul mare ora s'innalzano al centro di vecchi paesini. Monumenti viventi dell'arte romanica pugliese: arte semplice e grandiosa.
C'è poi la Puglia dei castelli, anzitutto del sublime Cartel del Monte. Poi vennero le masserie e le torri, "cattedrali verdi" ora in gran parte abbandonate al centro delle campagne o soggiogate dalle città. Molto spesso sorsero su grotte in cui per secoli si mimetizzò la vita sotterranea del popolo delle caverne. E' il fascino itinerario della civiltà rupestre pugliese. Si può dire che il territorio pugliese sia un parco archeologico ininterrotto. Dolmen e menhir, città scomparse dissepolte, villaggi medievali abbandonati, necropoli d'ogni epoca che hanno restituito stupefacenti corredi funerari. Dalla pulizia delle forme delle cattedrali al bizzarro groviglio di pietra che emerge dalle facciate di case e chiese nel Salento. E' il barocco, una scultura che sembra un disordine ma che è uno splendido ordine sovrano. Capitelli, balconi, stemmi. La magia dei fiabeschi paesaggi spontanei creati dall'acqua e dal calcare nelle grotte di Castellana, le più grandi d'Europa. Stalattiti e stalagmiti salgono e scendono goccia su goccia, granello su granello. Pochi passi più in là bianchi e protesi verso il cielo illuminano il paesaggio di un'altra meraviglia. I trulli, ho sì, i trulli, che ci fecero innamorare per la loro originalità e bellezza, essi sono la testimonianza irripetibile ed ingenua di una saggezza contadina che ancora stupisce.
Alberobello, Loco rotondo, Costernino e Martina Franca sono le città dei trulli, avamposti della dolcissima Valle d'Itria. Il mare e le coste. La Puglia ha un esteso sviluppo costiero; le sue coste, infatti, si allungano per circa ottocento chilometri. La natura delle coste pugliesi è varia; ampi tratti bassi e sabbiosi s'alternano con tratti rocciosi più o meno scoscesi sul mare Il Salento Il Salento e' una delle cinque regioni che formano la Puglia insieme al Gargano, al Sub Appennino danno, al Tavoliere di Foggia, alle Murge. Noto anche come penisola salentina e popolarmente conosciuto come Tacco d'Italia, è situato all'estremità meridionale della Puglia e inserito tra due splendidi mari: lo Ionio (a Ovest) e l'Adriatico (a Est) con più di 250 Km di costa, a volte bassa e sabbiosa, a volte alta e frastagliata.
La ricchezza del patrimonio storico culturale è esaltata da ciò che le popolazioni messapiche, romane, bizantine e aragonesi ed i periodi rinascimentali, barocco e neoclassico hanno lasciato in eredità a questa fortunata terra. Nel Salento sorgono oltre 100 splendidi paesi, molti dei quali basano la propria economia sull'agricoltura ed offrono al visitatore di passaggio quelle sensazioni di calma tranquillità e armonia, tipiche dei luoghi in cui il tempo si è fermato. Il Salento, terra di conquista, terra che conquista, sintesi di religioni, di pelli, di dialetti e di diversità, metafora di una felice adesione della storia e della natura alle esigenze e ai desideri del viaggiatore, che si tratti del pellegrino in cerca di spazi sacri e vitali, o del viaggiatore avido di sorprese e di novità, o del turista che ama le spiagge affollate, i tramonti dorati sul mare. Un cantiere di inestimabili tesori artistici e di sconfinate bellezze naturali accessibile tutto l'anno. Una libertà di vivere il territorio che rappresenta il vero punto di forza del Salento Architettura. Tale è la ricchezza delle testimonianze e delle tradizioni che non è facile definire l'immagine, il simbolo più rappresentativo con il quale il Salento si identifica e attraverso il quale viene rappresentato. Visibili e immediati o nascosti, molteplici sono i segni che hanno modificato il paesaggio in maniera unica e originale: grotte, cripte, castelli e torri costiere, masserie e cinte fortificate. A volte sono organismi immersi nel frastuono della vita, spesso sono sospesi nel silenzio delle campagne o si lasciano cullare dolcemente dalla risacca del mare I luoghi del sacro. Tra le tessere più preziose che compongono il territorio salentino, un posto di primo piano spetta ai luoghi della sacralità, dovuto riconoscimento alla profonda devozione di un popolo che da millenni ha custodito sostanzialmente integri valori universali, come il culto dei morti, la sopravvivenza dell'anima, il mistero dell'aldilà la fede in un Dio onnipotente.


La dimensione sacra insieme con la memoria delle proprie radici e con la dimensione laica del Salento, completa a perfezione l'immagine di un territorio e di un popolo in sintesi di armonia Nella dimensione del sacro, cripte eremitico bizantine e chiese rappresentano i termini di una medesima realtà, l'anima autentica e custode dell'arcano che domina nell'universo Artigianato. La terra, il sole, l'abilità degli artigiani. Le ceramiche di Puglia, fra le più belle d'Italia, hanno una storia molto antica. Risale ai tempi dei Messapi e dei Dauni, e quindi all'VIII secolo a.C. Ma è solo nel 1600, con l'apoteosi del Barocco che questi manufatti cominciano ad acquisire una vera dignità artistica. E' una storia semplice fatta di elementi poveri. Ma grazie alle mani degli artigiani questo impasto di terra e acqua plasmato, asciugato, cotto nel forno e infine decorato, diventa un capolavoro. Tradizioni e folklore. Tra le tante attrazioni che suscitano l'interesse del turista sagre, feste sacre dove è possibile ritrovare passato e presente, fede e riti pagani, con la possibilità di scoprire e apprezzare le antiche tradizioni che caratterizzano questa terra. La riscoperta della "piazza" come luogo dove incontrarsi e trascorrere momenti indimenticabili, ammirando magari uno spettacolo di danza classica o un concerto di musica di tradizione.

La taranta. La pizzica, ritmo e ballo ancestrale del Salento, il suo nome deriverebbe dal morso della taranta, capace di indemoniare le persone. Della pizzica, fino a poco più di dieci anni fa, nel Salento si sentiva solo qualche eco. Si diceva fosse la musica della povertà, dell'arretratezza. Poi, grazie al lavoro di ricerca di alcuni musicisti e appassionati, questa terra si è riappropriata con orgoglio della sua musica. Da tutto questo fermento è nata l'idea di creare una manifestazione di musica popolare tra tradizione e contaminazione per far conoscere, magari con l'aiuto di musicisti di fama, il Salento e i suoi ritmi ad un pubblico più vasto. Ecco dunque la notte della Taranta
della zona, per arricchire le nostre conoscenze sulle bellezze del territorio.
Concludiamo questo nostro excursus storico e paesaggistico dell'antica terra di Puglia, con una nota storica, è da rilevare che intorno al 1880, come del resto in gran parte delle città italiane, Ugento subì un grosso sventramento nel cuore del suo piccolo centro urbano, furono abbattute numerose casupole per far posto all'attuale piazza Vittorio Emanuele II e all'apertura di alcune strade che oggi costituiscono il tessuto del Centro Storico. Tutto ciò conferma che un giorno il piccolo centro è stato florido e potente. Oggi, invece, non ci rimane altro che crogiolarci sulla storia e gli allori che un tempo remoto la piccola cittadina riuscì a conquistare. Il visitatore mi vorrà scusare se, pur nella consapevolezza che la secolare storia di Ugento meriterebbe una trattazione ben più ampia di quella consentita nell'economia di queste frettolose e fugaci notizie, per lo spazio a mia disposizione sono stato costretto a limitarmi a questi brevi cenni. Per scrivere questo nostro lungo articolo, abbiamo attinto a testi tratti dal Comune di Ugento, e da vecchie riviste dell'epoca.


Il Tacco dello stivale
Fra i due mari
C'è un posto vicino al mare
Di villaggi bianchi
Dal sapore orientale
Tra fiori bianchi e blu dei curati giardini
Dove si vede il mare brillare
Sotto i pallidi raggi della luna nella sera
Che muore.
Ovunque percepisci il sapore di mare
Il profumo di erbe aromatiche,
Rosmarino, finocchietto e peperoncino
Di eucalipto che risveglino i sensi
E i ricordi della gioventù.
E' un posto dove è tutta poesia, musica
Spensieratezza e allegria
Il Salento è una terra di miraggi
Ventosa e fantastica località,
Ma piena di dolcezze
E' conosciuta come il " Tacco d'Italia".
La splendida marina di Ugento
Tra Gallipoli e Santa Maria di Leuca
Con le sue spiagge lucenti
Un litorale splendido e sabbioso
Nel mare Ionico Salentino
Un luogo ricco di tradizioni
Con le storiche sagre e le
Feste paesane
Con i bambini che giocano sulla battigia
A costruire i loro castelli di sabbia dorata.
Che hanno la durata
Di una sola giornata
Con i pescatori dalla pelle bruciata
Dalla salsedine e dal sole
Che fanno ritorno all'alba semi addormentati.
Ma felici e con le reti gonfie di pesci
Questa é una terra sacra a Cerere
A Pallade e a Dionisio
Splendida di cattedrali maestose
Di castelli possenti
E dei caratteristici Trulli
(Che significano cupola)
E che deriva dal greca antico
Dei palazzi, monumenti e cattedrali
Del Barocco di leccese
Eccezionale
Abbiamo ammirato la bianca Gallipoli
Di visione orientale
La molle Taranto adagiata
Fra i due mari
Fra insenature e villaggi strapiombanti
Che sono come perle incastonate
In un anello di mare, rifulgi di bellezza
Ti cinge, trepidando"
E ti bacia il vento che geloso ti rapisce
E ti porta via con se.
Nei vari siti archeologici puoi ammirare
Colonne e capitelli spezzati,
E la loro bellezza quasi dimenticata
Dall'ellenica fonte
Il riverbero di civiltà di storia e d'arte
Si spande per le vie del mondo
Verso i mari e gli oceani
In altre sponde approda.


Addio fiume e addio mare, io mi fermo qui, al confine tra la terra e il mare. Il tuo ricordo sarà sempre con me.
Adriana ed io, siamo qui, davanti a te, dolce mare che ti disperda nell'immenso Mediterraneo, tra paesi vicini e lontani. Fra poco la nostra breve vacanza sarà terminata e fino al prossimo anno non ci vedremo più. Al solo pensarlo, le mie labbra tremano e le palpebre dei miei stanchi occhi sono lucidi di pianto: Sono giunto fino ai confini del nostro meraviglioso Paese, per ammirare le bellezze di questo angolo felice del "Tacco d'Italia", dove le tue onde si fondono nell'infinito orizzonte, tra cielo e mare. Sì, è vero, il mio viaggio non è finito qui. So che dovrò ancora scoprire altri angoli meravigliosi del nostro Stivale, con i suoi borghi barbicati sui pendii dei monti e sulle coste di questo mare della vita.
Mi mancherà il tuo mormorio incessante delle piccole onde che sfumano lungo il litorale della sabbia dorata, ma anche il ruggito delle maree che il vento fa piegare le cime dei secolari ulivi. Mi mancherà il fresco fruscio del vento che accarezza il mio viso e mi ha fatto dimenticare la grande calura della val Padana infuocata dal sole. Di tutto ciò è rimasto soltanto un sogno. Addio fiume della vita, addio mare della ritrovata serenità, io mi fermo qui, al confine tra questa bianca e dorata spiaggia e il mare.
Terminiamo questo nostro libro con i versi di un grande poeta un figlio prediletto di questa antica terra: Aldino De Vittorio.


Come perla incastonata
In un anello di mare, rifulgi di bellezza
Ti cinge, trepidando
E ti bacia il vento, geloso ti rapisce e porta con se.
Granelli di carparo, tua bellezza
Dall'ellenica fonte
Il riverbero di civiltà di storia e d'arte si spande.
Verso i mari e gli oceani in altre sponde approda.


Girgenti.
Girgenti è l'antica Agrigento. Questo nome ci ricordano alcuni versi della bella canzone del grande cantante Domenico Mudugno, che un nostro caro amico canterino del CAI, quel giorno cantava su quell'impervio sentiero che ci portava appunto a " Girgenti".
I primi versi recitano così: Siamo tre somari e tre briganti sulla strada di Girgenti…" Infatti, noi eravamo di più di tre, ma non eravamo né somari né briganti, ma soltanto persone che ci eravamo avventurati in quella bellissima località, aspra e selvaggia, alla scoperta del passato, perché ci aiutasse a comprendere il nostro presente. Fin dalle prime ore del mattino, ci siamo accorti che la giornata era magnifica: superata Monreale, percorremmo una strada montuosa e deserta per la quale non trovammo anima viva, anzi sulle pendici della montagna, trovammo un pastorello che guardava il suo piccolo gregge ed il suo magnifico cane nero che non faceva altro che correre per tenere insieme il gregge. Ma qualcosa abbiamo visto le aquile di Giove che ci guardavano dall'alto tranquille e silenziose, oppure disegnavano nell'aria ampie spire coi loro voli. Così la nostra lunga e rutilante fila degli escursionisti camminammo parecchie ore sino a che alla nostra vista non si distese la meravigliosa pianura di Partinico e di Sala, che si trova vicino al golfo di S. Vito. Sulla nostra destra si trova Borghetto, l'antica Hykara, patria di Laide, la più bella donna dell'Ellade, che i Greci condotti da Nicia portarono bambina ad Atene.
Dall'alto della brulla montagna si vedevano le linee del golfo di S. Vito che sono belle e insieme grandioso, come quelle che abbiamo ammirato a Cefalù; la pianura, poi, è tra le più feraci della Sicilia, così lussuriosa nella vegetazione da far pensare ai tropici. Un gruppetto di amici, ci fermammo a Sala, minuscolo villaggio, e quindi, risaliti, un passo dopo passo, traversate regioni fertili, vigneti bassi, senza il sostegno dei pali che ingloba i tralci della vite, come succede nella my Calabria e nel resto del nostro Paese. Gli oliveti erano bassi come quelli che germogliano in Toscana. Nel pomeriggio giungemmo ad Alcamo, città montanara. Il paesaggio acquistava in grandiosità a misura che avanzavamo, assumendo quasi carattere greco con l'armonia delle sue montagne colorate da tinte calde, or rosse, or veramente cupe. Il carattere di quella località - grazie ai giganteschi pini, i malinconici cipressi, le palme annose, gli aloe dagli snelli fusti fioriti - è reso più greve dall'autunno. Qui tutto è monocromo, scuro soprapposto allo scuro e, con meraviglia, si vede quando passa la natura con una sola tinta fondamentale.
Stanchi di una così lunga camminata di nove ore, con la non lieta prospettiva di doverne percorrere dieci all'indomani, undici il terzo giorno e nuovamente dieci il quarto giorno, prima di giungere a questa benedetta Girgenti, arrivammo in Alcamo che il sole era già tramontato.
Alcamo è una città linda e piacevole, di circa 20 mila abitanti, con un vetusto castello saraceno. Altro non posso dire, se non che in una molto modesta locanda fummo attaccati tutta la notte dalle zanzare, tanto che mi sembrava di essere sulle paludi della Laguna di Venezia o di Ferrara.
Il giorno successivo raggiungemmo Segesta, con il suo rinomato tempio. Ripartimmo mentre nel cielo lucevano ancora le stelle. Orione vera stella sicula, della quale Missina ha fatto un mito, sfolgorava su tutta l' altra Nella lunga escursioni che facemmo in Sardegna alcuni anni fa, ho appreso che il popolo sardo l'ha nominata stella dei Re Magi, avevo ammirato questo astro; ma fu solo in Sicilia che lo potei contemplare in tutta la sua magnificenza; i suoi raggi sprizzavano come fuoco d'artificio. Intanto s'alzava la brezza mattutina, il cielo si imbiancava ad oriente, si diradavano le tenebre e si dissipavano le nebbie notturne; le sagome dei monti accennavano a dileguarsi e compariva il mare di purpureo si tingeva la campagna e Orione spariva. La stessa visione si è presentata davanti ai miei occhi, quando alcuni anni dopo, di notte, scalammo la montagna di fuoco dello Stromboli e tra Orione che sprizzava da ogni parte la vecchia Vulcano dello Stromboli, con i suoi fuochi d'artificio e la " sciara di fuoco" ha fatto il resto. Questi sono momenti e luoghi da non dimenticare, perché fanno parte della nostra storia escursionistica.

Siracusa: un flash di memoria.
La nostra lunga escursione nell'antica terra di Sicilia stava volgendo a termine. Quella lunga e rutilante squadra degli escursionisti del CAI di Mantova era compatta e procedeva con tanta allegria, ammirando quel meraviglioso paesaggio siracusano, che per la prima volta, mi apparve, mentre il sole volgeva al tramonto, illuminando il mare Ionico e la ricurva costiera fino ai monti d'Obla, di quelle tinte calde che sono quasi un segreto e un prodigio del cielo siciliano. Avendo davanti agli occhi un paesaggio così meraviglioso, valeva la pena di fermarsi e fotografare, oltre che ammirare nella sua meravigliosa bellezza di quell'angolo di paradiso terrestre.
Nessuna parola varrebbe ad esprimere le sensazioni che quella vista mi produsse io dirò soltanto che l'emozione che ne ebbi fu di molto superiore a quella che avevo provata ammirare la cima dell'Etna, dal balcone panoramico di Taormina alcuni anni prima, quando con Adriana mia moglie eravamo in luna di miele in quella località da sogno, da dove si scorgono tutta quanta l'isola, i tre mari che la recingono, e più lontano, le coste del continente italiano. Così scriveva Ferdinando Gregorius, uno dei più grandi scrittori dell'Ottocento: "La storia parla all'anima più che gli spettacoli della natura e l'uomo non vive che di memorie. Il sentiero quasi pianeggiante, ci ha portati a Lentini, patria del sofista Gorgia, seguendo la via di Catania e passando dinanzi alla deserta penisola di Magnisi - l'unica Tapso - e per il porto Trogilo.
Tra queste località s'innalza, per sessantacinque metri circa sul livello del mare, un vasto e bellissimo altopiano, dalla forma triangolare, e con il vertice segnato dalla vetta del monte Eurialo. Su questo altopiano sorgeva un tempo molto lontano l'antica Siracusa che si prolungava fino all'isola di Ortigia, congiungendo questa alla terra ferma per mezzo di una diga foranea.
Oggi dal sommo dell'altopiano si vede l'isola con la città di Siracusa moderna, ai lati di essa i due stupendi porti e dietro il capo Plemmirio: paesaggio classicamente severo, certamente paragonabile soltanto alla campagna romana. Verso terra si aggruppano neri ed imponenti i monti d'Ibla ed ai loro piedi lo splendido mare Ionio, solcato una volta da vittoriose moltitudini di galee, s'inargenta di spume. Da tutti questi luoghi deserti e sassosi, dalle pianure ove germogliano magri oliveti, dai ruderi di cui sbucano a fronte gli uccelli di rapina, dovunque si volga lo sguardo, sorgono in folla le memorie di tempi trascorsi, di generazioni distrutte, di una civiltà che originò tanti grandi avvenimenti storici. Dalla parte opposta appare il capo Plemmirio, anch'esso un luogo arido e pietroso e l'isola di Ortigia che formano i due bracci di quel porto che i Siracusani avevano sbarrato a Nicia con navi e con catene, in fondo l'Anapo scorre fra i suoi papiri; vediamo qualche casetta, costruita di pietre e poche mattoni, dove vive il pescatore biancheggia su quella solitudine e niente più della meravigliosa corona di giardini e di ville che anticamente facevano superba la contrada.
La lunga e rutilante squadra dei " Caini" mantovani, prosegue la strada deserta verso l'isola, osservando i numerosi sepolcri scavati nelle rocce ed i bizzarri accidenti di cave abbandonate. Appena abbiamo raggiunto il piccolo porto, abbiamo incominciato a vedere alcuni giardini di aranceti e parecchie vigne, le quali forniscono il rinomato vino di Siracusa che una volta ed ancora oggi, procura molta ebbrezza. Si tratta di quello squisito vino che procurò ebbrezza a Gelone, a Yerone ed a Pindaro, come ci racconta la storia antica di Siracusa. Dinanzi all'isola s'innalza un'antica e bellissima colonna, forse l'unico avanzo di quella città ricca di industrie e popolata di un milione di abitanti. Per concludere questo nostro excursus cercherò di dare un'idea approssimativa dell'antica città della Magna Grecia, come ci appare nel XXI secolo, dagli avanzi rimasti a testimonianza. Essa dovrebbe essere composta di cinque città; Cicerone non ne annoverò che quattro, poiché, sicuramente, non tenne conto di quella parte superiore di Epipola, la quale non constava che di castella e di fortificazioni. Le cinque città erano pertanto: Ortigia ( isola), Achraina, Neapolis, Tycha ed Epipola. Le ricerche di Fazello, di Cluveio e di Mirabella e quelle più recenti di Ferdinando Gregorius, permettono di assegnare a ciascuna città la propria località di un tempo e di precisare a quali edifici debbono riferirsi le rovine che ancora oggi esistono.

Scilla
Dopo la cittadina di Palmi, che dalla grande finestra panoramica della Villa comunale, da dove si ammira la Costa Viola, le coste della Sicilia, con la montagna più alta da dove continua a fumare il grande vulcano dell'Etna. Da questa meravigliosa finestra aperta sul Mediterraneo, ho scoperto per la prima volta i miei giganti fumanti, che poi altro non sono che lo Stromboli e le isole Eolie. La seconda località che ho visitato nella mia infanzia, è stata la cittadina rivierasca di Scilla, che è un fiore pregevole sbocciato tra mari e monti nella Sua originale e selvaggia bellezza è una delle cittadine più conosciute dell'intera Calabria. Qui, molti anni fa, è nata mia zia Cristina. Un giorno di primavera, mi ha portato a Scilla, per farmi conoscere il luogo dove era nata e dove c'erano i suoi ricordi di ragazza. Il mattino presto, a bordo della corriera di linea - Cosoleto- Reggio Calabria, siamo giunti nella bella cittadina marinara e mitologica di Scilla.
Essa, sorge su un massiccio roccioso di fronte allo Stretto di Messina e si protende sul mare limpidissimo con straordinari fondali intorno ai quali in ogni epoca pullularono molte leggende di cui la più famosa e conosciuta è quella del mostro marino immortalato da Omero nell'Odissea. .
Nella mitologia Greca Scilla e Cariddi erano due mostri dalla forma canina che situati sulle due sponde dello stretto di Messina (Scilla su quella Calabra e Cariddi su quella Sicula) costituivano il maggior pericolo per i marcanti e le navi che attraversavano lo stretto.

Scilla che in Greco significa colei che dilania (Cariddi invece colei che risucchia), era figlia di Zeus e di Hera, trasformata in mostro si pose sulla costa calabra cibandosi dei marinai naufraghi in quelle anguste acque, con le sue 6 teste e 12 zampe rappresentava uno dei mostri più effimeri della mitologia Greca. Le fonti letterarie, infatti, spesso citano l'incontro dei marinai e dei mercanti Ellenici con queste tempeste che regolarmente si abbattevano presso questa zona di mare, trasformando nel corso dei millenni il fondale in un vero e proprio cimitero archeologico.
Scilla con il suo splendido mare, con la sua splendida spiaggia di Marina Grande, e con la Chiana Lea, mitico borgo antico Residenza dei pescatori, è oggi un paese molto accogliente dotato anche di un piccolo porto turistico. La sua economia che prima era basata quasi esclusivamente sulla pesca.
La Rocca di Scilla.
Ora si è lentamente trasformata in una florida attività Turistica. Rimane comunque molto praticata, nel periodo che va da Aprile a Giugno la tradizionale pesca del Pesce Spada esercitata oramai da millenni, lungo il tratto di costa Calabra, con i suoi caratteristici battelli, con centro l'albero maestro sormontato da un appostamento, dove la vedetta scruta il mare alla ricerca dei branchi di pescispada in arrivo ed allerta i compagni, per le manovre di pesca.

Il turista che giunge per la prima volta in questo paradiso terrestre, oltre ad assistere alla pesca del pescespada, basta un colpo d'occhio emozionante ai palazzi nobiliari di preziosa architettura alle chiese di vario stile architettonico al Castello Maniero ricco di storia, al borgo di Chianalea caratteristico per la posizione delle abitazioni che sembrano fontane monumentali e le sue scalinate che nell'insieme compongono incantevoli e romantici angoli. Quelli sono angoli pittorici da scoprire, da fotografare e da amare. Sono i luoghi, oltre che della mitologia, cantati da Omero, sono le prime città fondate della Magna Grecia.

Chi avrà il privilegio di trovarsi a Scilla a circa 10 Km è Melia, luogo circa circondato da boschi di castagni, stupendi panorami si possono ammirare dalla strada che collega Scilla con l'Aspromonte, sul posto da visitare la sorgente di Paolo Re la cui acqua è ricca di proprietà e le Grotte di Tremusa sulle cui pareti si possono ammirare molte conchiglie e stalattiti. Oltre lo Stretto do Messina, di fronte a Scilla, si trova la leggendaria Cariddi ( in greco ????????) nella mitologia greca è un mostro marino.
In principio, Cariddi era una donna, figlia di Poseidone e Gea, dedita alle rapine e famosa per la sua voracità. Un giorno rubò ad Eracle i buoi di Gerione e ne mangiò alcuni. Allora Zeus la fulminò facendola cadere in mare, dove la mutò in un mostro che formava un vortice marino, capace di inghiottire le navi di passaggio. La leggenda la situa presso uno dei due lati dello stretto di Messina, di fronte all'antro del mostro Scilla.
Le navi che imboccavano lo stretto erano costrette a passare vicino ad uno dei due mostri. In quel tratto di mare i vortici sono causati dall'incontro delle correnti marine, ma non sono di entità rilevanti. Secondo il mito, gli Argonauti riuscirono a scampare al pericolo, rappresentato dai due mostri, perché guidati da Teti madre di Achille, una delle Nereidi. Cariddi è menzionata anche nel canto XII dell'Odissea di Omero, in cui si narra che Ulisse preferì affrontare Scilla, per paura di perdere la nave passando vicino al gorgo. Secondo alcuni studiosi, la collocazione del mito di Scilla e Cariddi presso lo stretto di Messina sarebbe dovuta ad un'errata interpretazione: l'origine della storia potrebbe in realtà avere avuto luogo presso Capo Scilla, nel nord ovest della Grecia.
Oggi Cariddi è collocabile sulla punta messinese della Sicilia, a Capo Peloro. Cariddi è anche il nome del più famoso traghetto delle Ferrovie dello Stato, tristemente affondato il 14 marzo 2006 nelle acque antistanti al porto di Messina nello stretto
Oggi Cariddi è collocabile sulla punta messinese della Sicilia, a Capo Peloro. Cariddi è anche il nome del più famoso traghetto delle Ferrovie dello Stato, tristemente affondato il 14 marzo 2006 nelle acque antistanti al porto di Messina nello stretto


Villa S. Giovanni.
Quando il nostro pesante torpedone è entrato sul molto di Villa San Giovanni, il sole stava per tramontare sullo Stretto di Messina, creando un paesaggio metafisico e lunare, un paesaggio da favola. Dopo qualche ora del nostro arrivo, il traghetto è partito per Messina. La maggior parte degli escursionisti è rimasta sul ponte del traghetto, per ammirare fino in fondo lo spettacolo del tramonto sullo Stretto. Non ci sono parole per descrivere la bellezza di quel momento catartico , mentre le luci si andavano ad affievolire, rimanendo ancora sulla superficie del mare quel luccichio sulle onde che andavano ad infrangersi contro la prua della nave traghetto "Garibaldi". La città di Messina, che era di fronte a noi, era splendida, illuminata dagli ultimi bagliori del sole che stava per tramontare. Dopo quaranta minuti di viaggio, la nave traghetto è entrata nel porto, posizionandosi per lo sbarco degli automezzi e dei passeggeri sull'ampio piazzale portuale La maggior parte dell'allegra brigata, prima di partire , per la breve escursione alla città di Messina, ha voluto sorbire una tazza del buon caffè siciliano, nel Bar della Stazione Marittima. Visitare la città di Messina, al tramonto del sole, è un vero spettacolo. Uno spettacolo senza precedenti, che si può ammirare solo sullo Stretto di Messina.


L'arte in Sicilia.
Molte cause contribuiscono a far sorgere in Sicilia un'eccellente architettura ecclesiastica ed a dare un'impronta tutta speciale, e soprattutto di quel secolo in cui il cristianesimo venne in lotta con l'islamismo, in contatto del quale sì a lungo si era vissuto, specie quando la dominazione dei Normanni si trovò di fronte alla religione di Maometto. Trionfante, allora, risorse in Sicilia la fede di Cristo e riacquistò il terreno perduto. Ovunque siamo stati, nel nostro tour siciliano, abbiamo ammirato chiese stupende, capolavori in cui l'aspirazione orientale sopravviveva, monumenti della vittoria della religione cristiana su quella di Maometto, sorsero ovunque.
La storia dell'arte ci riferisce che qualcosa di simile era già avvenuto quando gli Elleni avevano sconfitto nella battaglia d'Imera i Cartaginesi, che avevano invasa tutta quanta l'isola: essi, nell'ebbrezza della vittoria, avevano disseminato il suolo conquistato delle loro magnifiche costruzioni. Gli Dei della Grecia, Giove, Apollo, Cerere e Venere, avevano atterrato il Moloch africano, e il contrasto della civiltà e della religione greca con la barbarie africana si era pronunciato meravigliosamente, avendo Gelone di Siracusa, fra le altre condizioni di pace, imposto ai Cartaginesi di cessare del tutto, qualsiasi sacrificio umano. Nell'escursione che abbiamo effettuato l'autunno scorso nelle rovine di Cartagine, nel viale che porta alle famose terme di Antonio, abbiamo visto, i piccoli loculi allineati, dove venivano sacrificati i loro bambini e poi sepolti in quelle urne di pietra.
Seguendo quel periodo storico, abbiamo appreso che dopo oltre quindici secoli, nel secondo grande periodo architettonico siculo, un fatto quasi identico si ripeté, fatto degno di osservazione, unico, che prova ad un tempo come la civiltà umana si svolga secondo le leggi esterne immutabili nella sostanza, vari nella forma. Nella stessa guisa che i Greci nel primo periodo innalzarono i famosi templi di Segesta, di Selinunte, di Agrigento e di Siracusa, i Normanni, una volta liberata l'isola dai novelli Cartaginesi, innalzarono le splendide cattedrali di Monreale, di Palermo, di Cefalù e di Messina. In questo nostro lungo e bellissimo tour attraverso le più belle città della Sicilia, abbiamo ammirato con grande interesse questi eccellenti monumenti dell'arte sacra.
Il grande scrittore e storico tedesco, Ferdinando Gregorius, accanito viaggiatore e grande estimatore del nostro Paese, ci dice che nel primo periodo la civiltà si era rivolta verso il mezzodì, nel secondo invece si estese nel settentrione, mentre le contrade di mezzodì e di levante decadevano.
A lato del tempio greco a colonne sorse la cattedrale cristiana; a lato del tempio marmoreo, maestoso, severo di Giunone ad Agrigento, sorse il duomo scintillante d'ori dedicato alla Vergine Maria di Monreale: ambedue segnarono un'epoca di florido rinnovamento nella storia dello spirito umano; ambedue avevano un carattere originale diverso e diverso è quindi l'impressione che oggi suscitano. Sì, è proprio così, chi può esprimere la commozione che si prova nel contemplare, in mezzo alla solitudine della campagna siciliana, uno dei templi maestosi di Agrigento? Si direbbe impossibile poter trovare cosa più perfetta, più bella, più armoniosa nelle forme. Ma anche entrando in una cappella normanna, nella sua semioscurità, fra le sue navate, sotto i suoi archi, fra quelle pareti splendenti di mosaici, non si può fare ameno, dimentichi dell'antichità, come è successo a noi, appena siamo entrati in una delle tante chiese rupestri della Cappadocia, affrescate da valenti pittori Bizantini. La chiesa romana di fronte a Bisanzio, che sosteneva essere la Sicilia sua proprietà, dovette dare alla conquista dei Normanni quasi un diritto sacro, un'alta consacrazione.
Ritornando a Morreale, ad ogni passo si vede il contrasto del sublime e dell'umile; la quale cosa è caratteristica dell'architettura gotica molto più ricca di quella dei Greci, specialmente sull'espressione delle idee che le diedero vita, perché maggiormente è rivolta a riprodurre sotto i suoi vari aspetti la meravigliosa natura, quella natura che circonda e avvolge l'intera terra di Sicilia.

La Lucania:
I Sassi di Matera.


S. Agostino così scriveva:
“Il mondo è come un libro, chi non viaggia legge soltanto la prima pagina”.
Noi non ci siamo fermati alla prima pagina di questo meraviglioso libro, ma abbiamo fatto come i viaggiatori dell’Ottocento.  Noi amiamo moltissimo viaggiare, per conoscere le bellezze che la Madre natura, ci regala in ogni parte del mondo. Però prima di andare a visitare le località fantastiche negli altri paesi, come quelli del continente americano e del Mediterraneo, con il Gran Canyon, il Brice Canyon, la Turchia, con la Cappadocia, la Grecia, con le sue antiche città e la sua storia millenaria e le altre meravigliose località di quell’antico continente che si chiama Mediterraneo, abbiamo iniziato a esplorare e conoscere le regioni del nostro Bel Paese. Oggi, in questo nostro reportage, ci soffermiamo sull’antica terra della Lucania, che altro non è che la continuazione della nostra amata é bella Calabria, con le sue verdi montagne e le sue solare spiagge e meravigliosi paesaggi, da dove l’occhio del turista spazia sull’infinito orizzonte.
Una diecina di anni fa, con gli amici del CAI di Mantova, abbiamo intrapreso il lungo viaggio, sui sentieri del “ Cammino Italia”, attraversando una buona parte della bella Lucania.-Incominciamo a dire che la Lucania, è una terra antica e fu istituita da Augusto nella sua terza regione italica, era assai naturalmente limitata secondo la costituzione geologica e la configurazione geografica: a occidente dal mare Tirreno, tra la foce del Sele e quella del Lao; a oriente del mare Ionio, tra la foce del Bradano e quella del Grati; a nord- ovest dai corsi del Sele e dell’Ofanto, che la separavano dalla Campania e dall’Irpina; a nord -est dal corso del Bradano, che la divideva dalla Puglia: a mezzogiorno dai corsi inferiori del Lao e del Grati, che la dividono dai Bruzi, o attuale Calabria. Tale denominazione, come ci spiega la storia, è durata per circa cinque secoli, svanì con la caduta dell’?Impero e nel secolo undecimo sorse, mutilato della parte occidentale, il nome bizantino di Basilicata ( dal governatore regio o basilico), fino a che più tardi è riemerso quel nome antico di Lucania, che si trova per la prima volta autentico in uno dei più vetusti monumenti romani, la tomba del suo conquistatore romano, il console Scipione Barbato: Cornelius Lucius Scipio Barbatus Gnoivod padre pagnatus fortis vir sapiensque… subigit omne  Looucanam.  Sull’etimologia di quel nome molto hanno discusso i filologi moderni: derivandolo alcuni, ma a torto, dal nome latino dei boschi sacri, locus, altri infine dalla radice indoeuropea Luc o Ric, propriamente la luce del mattino e del sole levante. Quindi Lucania sarebbe stata la terra lucana, orientale, verso cui emigravano con le primavere sacre le stirpi osco- isabelle provenienti dall’occidente, dalla Campania, e recenti con loro, oltre i buoi e gli aratri, anche molti nomi, che si trovano tuttora ripetuti nelle due limitrofe regioni: Atella campana- Atella lucana, Atina- Atena, Amalfi- Melfi, Ravello – Lavello, Serino, Volturno – Volture, ecc.
A loto volta i romani conquistatori riportarono nel Lazio molti nomi lucani; per esempio conobbero nella Lucania, e adottarono come loro alimento in conserva, la salsiccia affumicata, che chiamarono Luganiga; nome che ancora sussiste nella luganega del Veneto e nella provincia di Mantova. La storia ci racconta che anche nella Lucania, e propriamente nella battaglia di Eracle, Roma, anzi, come dice Plinio, l’Italia vide per la prima volta gli elefanti, negli esemplari indiani portati da Pirro, e li chiamò “ buoi lucani”: Elephantos Italia primum vidit Pyrrhi regi set bovis lucae appellavit, in Lucania visos.

Dopo l’introduzione storico- geografico di questa antica terra della Lucania, con i suoi paesaggi metafisici e lunare, nonché artistici tramandateci nel tempo. Sfogliando le pagine ingiallite della nostra agenda di viaggio, troviamo gli appunti, che con mano tremante, abbiamo, molto tempo fa, tracciato su queste pagine che ci parlano di questa stupenda Regione, con i suoi paesaggi mozzafiato, Guardando dal colle di Potenza verso mezzogiorno, la vista, di là della verde valle del Basento, ascende per clivi erbosi, e passando pei piani dei Cardi, si aderge fino alla cima della Serranella, che porta a 1477 metri i pascoli profumati, verso cui d’estate salgono gli armenti delle vacche candide e le fulve cavalle. Questa cima più alta dei dintorni di Potenza costituiscono le prime acque del Basento. Poco più a sud sorge, con spalle più ampie e con cime più alte, la massa montuosa del Vulturino, da cui fianchi sgorga l’Agri. E ancora più a sud, fin quasi al limite della My Old Calabria, s’eleva un più vasto, più alto aggregato montana, quello del Sirino, che culmina a 2007 metri e delle cui visceri erompono le acque del Sinni e del Noce. Ammirando questo gruppo montagnoso bellissimo, mi sembra di percorrere uno di quei sentieri dolomitici, da dove spuntano superbe le cime bellissime che bucano il cielo, ma qui non siamo sulle Dolomiti con i suoi giganti innevati ma questi tre più alti gruppi montuosi, da cui scaturiscono i maggiori fiumi della regione della Lucania, hanno una stessa struttura geologica e un medesimo aspetto morfologico. Li costituisce una poderosa impalcatura di calcari triasici a noduli di selce e halobie, sormontata da fitte stratificazioni di scisti silicei, curvate e corrugate in pieghe tettoniche d’una mirabile precisione. Dovunque, sotto l’ombra dei maestosi faggi secolari o sugli alti pascoli verdi o nei profondi burroni rimuggenti per le stupende cascate, si vedono sempre gli stessi grandi e solidi banchi calcarei, resi anche più solidi e più duri dei noduli di selce, e coperti della durissima corazza di rocce silicee, smaltate di varii colori, per l’alternanza della buna pietra focaia col calcedonio cereo e con il diaspro verde e sanguigno.
Tali rocce silicee triassiche non solo rappresentano, dopo le rocce cristalline calabresi, i terreni più antichi dell’Italia meridionale, ma costituiscono una specialità della Lucania. Incominciano presso Lagonegro, si dirigono verso nord, formando i tre gruppi del Sirino, del Volturino e di Pignola – Abriola, mandano qualche propaggine laterale, o oriente verso il Raparo e a occidente verso Paluda, e terminano in uno sperone, che sostiene le case di San Fele, in cospetto dell’estinto vulcano del Volture.
 Ai lati di questa aspra spina dorsale, di questa durissima e potente colonna vertebrale, si addossano le grandi masse di dolomiti e di calcari del Hauptdonga, del Giura e della Creta: come i monti di Muro Lucano, del Marmo e di Serralonga; del Coccovello, con le splendide balze e terrazze digradanti nel Tirreno, a Maratea e Arcquafredda, simili a quelle di Amalfi e di Capri: del Raparo e della bellissima Alpe di Latronico, con le sue vene di alabastro orientale: fino al grandioso Pollino.
Solitario, tra l’Ofant e la fiumara di Atella, si erge l’estinto vulcano pleistocenico del Vulture, con i suoi laghi craterici a specchio delle faggete. Nel nostro lungo viaggio, abbiamo ammirato altri laghetti di origine glaciale, accompagnati da magnifiche morene, che si trovano nel gruppo del Sirino, presso Lagonegro. Anzi a uno di essi, come ci spiega la storia, deve il suo nome Lagonegro, Lacus Neruli, il lago di Nerulum: del paese, cioè, espugnato dai romani, e citato da Tito Livio. E nelle valli maggiori, di Venosa, di Atella, dell’Agri, del Noce e del Mereure, si stendono depositi di laghi quaternari, con giacimenti di ligniti e con avanzi di grandi pachidermi, ora estinti. Passando dalla storia geologica alla preistoria umana, si trova un’uguale complessità di manifestazioni.
Nelle grotte di Matera e altrove, abbiamo appreso che si sono scoperte armi di pietra polita e suppellettili e mura ciclopiche delle genti neolitiche ed eneolitiche: le quali furono poi gradatamente respinte, verso il sud, delle genti che usavano le armi di ferro e portarono il rito funebre dell’incinerazione nelle terre del Mediterraneo, ove vigeva, insieme con le armi di pietra, il rito dell’inumazione.
Tra queste tracce delle genti, le più significative sono quelle della civiltà greca: delle colonne dei templi di Metaponto alle monete, le monete coniate tra il sesto e il terzo secolo prima di Cristo, che ci parlano un linguaggio di vita e di bellezza. La bellezza dell’incisione e la finezza del conio di questa simbolica spiga di Metaponto richiamano alla mente i bei campi seminati, le messi mature, ondeggianti sotto il soffio del vento, quasi col ritmo delle onde del mare.
Ma quegli artisti finissimi non si contentarono di imprimere sulle loro monete il simbolo del principale prodotto della loro terra, e segnarono anche le forme della vita animale e vegetale pullulante lungo la loro aprica spiaggia.
Di altro genere, forse meno fine, ma certo più forte, soni i sentimenti, che in noi destano le tracce della civiltà romana nella Lucania. Traccia sicuramente materiali di romanità si trovano d’dappertutto, per esempio, negli sparsi ruderi dell’antico Grumentum in val di Agri, in quelli dei dintorni di Venosa e nei superbi avanzi marmorei, quali il famoso sarcofago di Melfi e l’altro di Atella, conservato nel Museo Nazionale di Napoli. Ma il vero e maggiore suggello di romanità la Lucania l’ha nell’essere la terra Natale del Poeta, che innalzò a sé medesimo monumento più perenne del bronzo e più alto delle piramidi.
Perché Orazio, pur essendo conscio che la sua fama avrebbe superato i secoli, non dimenticò mai i luoghi, in qui nacque e di cui ci ha tramandato le sue prime visioni infantili nel suo canto immortale. Così ora nei suoi versi vediamo rivive il nido aereo dell’alta Aderenza e i boschi di Banzi e i pingui campi di Forenza: sentiamo soffiare gli aridi venti su gli arsi piani della Puglia siticulosa, mentre sui limitrofi monti lucani si prepara l’algida neve invernale, in cui pernotterà il cacciatore alla posta del cinghiale destinato alle mense romane: e vediamo con variare delle stagioni le mandrie dei bovini e le greggi degli ovini murare i pascoli lungo i grandi tratturi, che da millenni segnano l’alterno peregrinare del bestiame nelle nostre contrade.
Alcuni giorni fa, in una ricerca su Internet, ho trovato un sito che parla appunto dei Sassi di Matera. Che fanno parte del Patrimonio dell’Umanità.

 I SASSI DI MATERA

Navigando in Internet, siamo entrati in un sito di “ Matera”, dove abbiamo appreso che, Il Sasso "Caveoso"' ed il Sasso "Barisano", insieme al rione "Civita", formano un complesso nucleo urbano, oggi così denominato:

  I Sassi di Matera sono stati iscritti nella lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO nel 1993. Sono stati il primo sito iscritto dell'Italia meridionale. L'iscrizione è stata motivata dal fatto che essi rappresentano un ecosistema urbano straordinario, capace di perpetuare dal più lontano passato preistorico i modi di abitare delle caverne fino alla modernità. I Sassi di Matera costituiscono un esempio eccezionale di accurata utilizzazione nel tempo delle risorse della natura: acqua, suolo, energia. Nel rapporto della commissione che ha verificato la rispondenza del luogo ai criteri di valutazione dell'UNESCO, la candidatura di Matera risponde ai seguenti criteri:

« Criterio” I Sassi ed il Parco delle chiese rupestri di Matera costituiscono un’eccezionale testimonianza di una civiltà scomparsa. I primi abitanti della regione vissero in abitazioni sotterranee e celebrarono il culto in chiese rupestri, che furono concepite in modo da costituire un esempio per le generazioni future per il modo di utilizzare le qualità dell'ambiente naturale per l'uso delle risorse del sole, della roccia e dell'acqua.

 Secondo Criterio : I Sassi ed il Parco delle chiese rupestri di Matera sono un esempio rilevante di un insieme architettonico e paesaggistico testimone di momenti significativi della storia dell'umanità. Questi si svolgono dalle primitive abitazioni sotterranee scavate nelle facciate di pietra delle gravine fino a sofisticate strutture urbane costruite con i materiali di scavo, e da paesaggi naturali ben conservati con importanti caratteristiche biologiche e geologiche fino a realizzare paesaggi urbani dalle complesse strutture.

Criterio v: I Sassi ed il Parco delle chiese rupestri di Matera sono un rilevante esempio di insediamento umano tradizionale e di uso del territorio rappresentativo di una cultura che ha, dalle sue origini, mantenuto un armonioso rapporto con il suo ambiente naturale, ed è ora sottoposta a rischi potenziali. L'equilibrio tra intervento umano e l'ecosistema mostra una continuità per oltre nove millenni, durante i quali parti dell'insediamento tagliato nella roccia furono gradualmente adattate in rapporto ai bisogni crescenti degli abitanti. 

Descrizione

La città della pietra, centro storico di Matera scavato a ridosso del burrone, è abitata in realtà almeno dal Neolitico: alcuni tra i reperti trovati risalgono a 10.000 anni fa, e molte delle case che scendono in profondità nel calcare dolce e spesso (calcarenite) della gravina, sono state vissute senza interruzione dall'età del bronzo (a parte lo sfollamento forzato negli anni cinquanta). La prima definizione di Sasso come rione pietroso abitato risale ad un documento del 1204.

Il Sasso Caveoso con vista di Santa Maria de Idris

I Sassi sono davvero un paesaggio culturale, per citare la definizione con cui sono stati accolti nel Patrimonio mondiale dell'Unesco. Il Sasso Barisano, girato a nord-ovest sull'orlo della rupe, se si prende come riferimento la Civita, fulcro della città vecchia, è il più ricco di portali scolpiti e fregi che ne nascondono il cuore sotterraneo. Il Sasso Caveoso, che guarda invece a sud, è disposto come un anfiteatro romano, con le case-grotte che scendono a gradoni, e prende forse il nome dalle cave e dai teatri classici. Al centro la Civita, sperone roccioso che separa i due Sassi, sulla cui sommità si trova la Cattedrale. Ed infine di fronte, sul versante opposto della Gravina di Matera, l'altopiano della Murgia che funge da quinta naturale a tale scenario, con le numerose chiese rupestri sparse lungo i pendii delle gravine protette dall'istituzione del Parco archeologico storico-naturale delle Chiese rupestri del Materano, detto anche Parco della Murgia Materana. Un paesaggio in parte invisibile e vertiginoso, perché va in apnea in dedali di gallerie dentro la pietra giallo paglierino del dorso della collina, per secoli difesa naturale e ventre protettivo di una città che sembra uscita dal mistero di una fiaba orientale. "Grotte naturali, architetture ipogee, cisterne, enormi recinti trincerati, masserie, chiese e palazzi, si succedono e coesistono, scavati e costruiti nel tufo delle gravine" Così scrive Pietro Laureano nel suo libro Giardini di pietra.

Facciate rinascimentali e barocche si aprono su cisterne dell'VIII, trasformate in abitazioni. Chiese bizantine nascondono pozzi dedicati al culto di Mitra. Alcuni ipogei sono stati scavati a più riprese fino agli anni cinquanta, altri murati e dimenticati, nascosti nei fianchi della collina. Il Palombaro lungo, l'immenso serbatoio d'acqua sotto piazza Vittorio Veneto, ha delle sezioni costruite tremila anni fa, mentre le più recenti sono del 1700. I Sassi, la città popolare, insieme alla Civita aristocratica e medievale eretta su un'antica acropoli, sono in effetti un palinsesto pieno di sorprese, anche se sembrano immobili e compatti, chiusi nella pietra nuda a tratti appena corretta da una mano di calce”.

Nella città di Matera, ci siamo fermati un paio di giorni. Il nostro lungo viaggio si è concluso appunto in questa bellissima città che abbiamo definito medioevale.   Avevo letto nella guida che è una città pittoresca, che merita di essere visitata, che c'è un museo di arte antica e delle curiose abitazioni trogloditiche, si è veramente proprio così. Ho preso alloggi in un modesto alberghetto di periferia, che altro non era che una modesta locanda, perché in quei tempi non esistevano alberghi di lusso. Dopo pranzo, abbiamo fatto un giro per la città e la periferia. Era una strada, che da un solo lato era fiancheggiata da vecchie case, e dall'altro costeggiava un precipizio. Da questo punto molto panoramico, si poteva ammirare un paesaggio bellissimo. In quel precipizio è Matera. La forma di quel burrone era strana; come quella di due mezzi imbuti affiancati, separati da un piccolo sperone e riuniti in basso in un apice comune, dove si vedeva, di lassù, una chiesa bianca, Santa Maria de Idris, che pareva ficcata nella terra. Questi coni rovesciati, questi imbuti, si chiamano Sassi. Hanno la forma con cui, a scuola, immaginavamo l'inferno di Dante, in quello stretto spazio tra le facciate e il declivio passano le strade, e sono insieme pavimenti per chi esce dalle abitazioni di sopra e tetti per quelle di sotto. Sopra la mia testa vidi finalmente apparire, la città di, Matera. Vedendo questa bella città, mi sono emozionato moltissimo, per la sua bellezza. Era un angolo pittoresco e nello stesso tempo molto impressionante.  Il giorno dopo, un giovane con il suo asino, mi ha dato una mano a trasportare nella valle sottostante la mia cassetta dei colori e alcune tele. Ad un certo punto sono salito in groppa al quadrupede, perché incominciavo a stancarmi. Dopo qualche ora siamo giunti in fondo alla valle da dove si vedeva la città di Matera e i famosi Sassi. Ho sistemato il cavalletto ed ho iniziato a dipingere quel paesaggio struggente e meraviglioso.  Ritornai il giorno successivo, perché volevo dipingere alcuni acquarelli e tracciare sull’album alcuni schizzi. Vi confesso che mi ero veramente innamorato di quel luogo così bello e nello stesso tempo pittorico. Ho dipinto una serie di acquarelli e un quadro ad olio.

    Precedentemente al mio viaggio in Lucania, avevo letto il famoso libro di Carlo Levi – Cristo si è fermato ad Eboli. La descrizione di quelle pagine evocano uno spalancare d’occhi su quel paesaggio straordinario.

“La descrizione di Carlo Levi in Cristo si è fermato a Eboli evoca un paesaggio straordinario. Alla sorella, che fa da voce narrante, i Sassi appaiono come due mezzi imbuti separati da uno sperone di roccia, la Civita, e la chiesa bianca di Santa Maria de Idris, che pareva ficcata nella terra. I due mezzi imbuti sono i Sassi, e per Levi hanno la forma con cui, a scuola, immaginavamo l'Inferno di Dante. Levi, spedito al confino in Lucania dal regime fascista, visita i Sassi quando sono all'apice di un collasso demografico che era iniziato quattro secoli prima. Gli abitanti erano aumentati in maniera esponenziale e la pastorizia era in declino: sulle case nella roccia erano stati sopraelevati più piani, erano spariti gli orti e i giardini pensili, e le cisterne erano state riadattate a monolocali in cui in Grotte sul versante opposto della Gravina

Ma quelli che allo scrittore in esilio erano sembrati i gironi dell'Alighieri, in realtà facevano parte di un sistema complesso ed efficiente. La pianta dell'antica Matera vista dall'alto, si presenta come un omega greca. Piazza del Sedile, nella Civita, appare in equilibrio tra il Caveoso e il Barisano. Si scende nei Sassi per delle arcate, che sembrano dei passaggi occulti. Le calate erano affiancate da canali d'irrigazione che rifornivano cisterne a goccia, in alcune case ci sono fino a sette cisterne. Orti e giardini pensili si affacciavano dai tetti. I tetti a volte servivano da cimiteri: i vivi sottoterra, i defunti in superficie. Così, dice il cronista Verricelli nella sua Cronica de la città di Matera 1595-1596, «in Matera lì morti stanno sopra li vivi». All'imbrunire gli abitanti accendevano i loro lumi al di fuori delle loro abitazioni, così allo spettatore che guardava dall'alto, i Sassi si illuminavano come un cielo stellato; quindi a Matera, concludeva il cronista cinquecentesco, come i morti sono sopra i vivi, il cielo e le stelle si possono vedere al di sotto dei piedi degli uomini. Tale immagine ha talmente impressionato i visitatori del passato che un'interpretazione suggestiva, sebbene poco attendibile, dell'origine del nome Matera lo faccia risalire al greco meteora, cioè cielo stellato.

I vicinati, costituiti da un insieme di abitazioni che affacciano su uno stesso spiazzo, spesso con il pozzo al centro, erano il modello della vita sociale, della solidarietà e della collaborazione dei Sassi. Il pozzo comune dove si lavavano i panni, il forno dove si impastava il pane facevano del vicinato la cellula fondamentale dell'organizzazione comunitaria. Nelle case, la luce arriva dall'alto come in una casbah nordafricana, e la temperatura è costante a 15 gradi, con la massa termica del tufo marino che funziona da climatizzatore. Se i raggi del sole d'estate, perpendicolari e roventi, rimangono fuori, d'inverno, obliqui, scivolano sul fondo delle grotte. Questo degradare e sovrapporsi di case e casette, è solo apparentemente caotico, perché poi risulta costruito con molti accorgimenti. Ma la discesa nei Sassi è una sorpresa continua. Tra viottoli e gradini si arriva in formidabili complessi monastici scavati nella roccia, Cenobi benedettini e laure bizantine, in cui le celle di monaci si stringono intorno a una chiesa sotterranea.

Intorno all'anno 1000, Matera si riempì di monaci basiliani, che portarono le esperienze religiose e artistiche dei confratelli delle chiese rupestri dell'Anatolia e della Siria. La pietra dei Sassi si apre in conventi straordinari come la Madonna della Virtù, San Nicola dei Greci, Santa Lucia alle Malve. Difficile distinguere le influenze: si trovano iconostasi ortodosse in chiese a pianta latina. Gli affreschi sono meno rigidi di quelli degli anacoreti dell'Asia minore, le madonne meno regine e più popolane, cosa che deve essere piaciuta a Pier Paolo Pasolini, quando girò Il Vangelo secondo Matteo. A fare raffronti, la struttura dei Sassi ricorda la splendida Mistrà in Laconia, la città ad alveare, che sopravvisse dieci anni in libertà dopo la caduta di Bisanzio. È una struttura dovuta al sistema della raccolta delle acque tipica dei centri bizantini - sostiene Laureano - che ritroviamo in altri insediamenti rupestri in Puglia e Basilicata, da Massafra a Gravina in Puglia. È allo studio dell'Unesco un progetto per far entrare anche questi luoghi nella lista dei Patrimoni dell'umanità: un parco di paesaggi culturali di cui i Sassi di Matera saranno l'epicentro.

Mel Gibson, ha girato il suo film sulla passione di Cristo,un film molto contestato ma bellissimo,e ricordo questa cittadina bianca, mentre percorreva le rampe e i passaggi che s'inoltrano labirintici nei Sassi di Matera.  Egli andava alla ricerca degli angoli giusti per installare i set delle riprese per il suo film La Passione di Cristo, perse - parole sue - la testa. Per un australiano, cresciuto come attore e regista al sole di Hollywood, le ombre delle case che dopo l'ingresso diventano grotte, quei blocchi di pietra, le parti della città antiche di 2000 anni, erano estranee alla modernità e quindi perfette per ambientare il film sugli ultimi giorni di Gesù. Il nome dei Sassi è giunto fino in Giappone (da cui provengono un discreto numero di turisti a Matera). Il popolo nipponico ha realizzato un anime ambientato nella zona dei "Sassi" chiamato Il Fantasma di Matera. Giorni fa, nel ricordo di quel meraviglioso viaggio attraverso il nostro Bel Paese, abbiamo composto una bella poesia che ci è stata ispirata , appunto dai Sassi di Matera.  

Brani di vita
Abbiamo incominciato questo nostro itinerario nel tempo, tra passato e presente, parlando della bellissima terra antica dei liguri: La Liguria è una lunga e sottile striscia di costa, ai piedi di montagne coperte di vigneti. Qui, ovunque si vedono case color pastello che si crogiolano al sole del mediterraneo, mentre i loro giardini, fiorenti nel dolce clima, risplendono di piante colorate. In contrasto con la località come Portofino, San Remo e la splendida città di Bordighera, che è rinomatissima per il suo clima invernale e soprattutto per le sue meravigliose palme altissime e sempre verdi. Poi c'è la laboriosa città di Genova, per secoli uno snodo marittimo di immenso potere, è la sola grande città.
Il clima della Liguria è uno dei più felici. I monti proteggono la regione dai freddi venti settentrionali; l'influsso benefico del mare e le piogge abbondanti nell'autunno favoriscono una lussureggiante vegetazione di tipo mediterraneo. La maggior dolcezza di temperatura si ha a San Remo, Bordighera, Ospedaletti e in molte altre località delle due provincie di Imperia e di Savona. Nel mese di giugno del 1946, siamo sbarcati nel paradiso terrestre di Bordighera, dopo un lunghissimo e rocambolesco viaggio attraverso un'Italia che non esisteva praticamente più. La lunghissima Seconda Guerra Mondiale aveva lasciato soltanto una grande miseria oltre che una desolante distruzione di interi villaggi e grandi città. Le comunicazioni praticamente non esistevano più, con i grandi ponti ferroviari e stradali distrutti dalle bombe. Il nostro era un Paese in ginocchio. Nel primo capitolo, con il quale abbiamo iniziato questo nostro libro " Il Fiume della Vita", abbiamo raccontato della nostra avventura. Siamo giunti a Bordighera, sperando di trovare un po' di serenità, ma abbiamo trovato soltanto la bellezza dei luoghi ed un clima eccezionale e una grande miseri. Non vi era nessuna fonte di lavoro, esisteva solo il mercato nero. La Liguria è grande produttore d'olio d'oliva e con questo eccezionale prodotto, avveniva lo scambio nel vicino Piemonte, con la farina e con il riso. Dopo poco tempo, abbiamo fatto ritorno al piccolo paese nato, nel borgo aspro montano di Cosoleto, che è ubicato nel cuore dell'Old Calabria, da dove eravamo partiti con la gioia nel cuore in cerca di fortuna. Anche qui, grande miseria come nel resto del Paese. Un concorso nell'Arma, ci ha aperto la strada per incominciare una lunghissima carriera militare. Nel mese di febbraio dell'anno successivo, abbiamo raggiunto la Scuola Allievi Carabinieri di Bari, che era sita in una delle Casermette, della cittadella militare, che distava pochi chilometri della bella città di Bari.

La Città di Bari

BARI, è una bellissima città moderna con i suoi giardini, le sue bellissime Piazze e le sue strade ampie che convergono tutte sulla splendida passeggiata del Lungomare. E' una città antica e nello stesso tempo moderna e solare, che conserva la sua storia millenaria e che sorge di fronte dell'Adriatico.: una città ancora intatta, risparmiata dalla distruzione della disastrosa guerra, come pure le cittadine e i villaggi del suo entroterra. Le Casermette "Porcelli" dove era ubicato il nostro Battaglione, con due compagnie allievi carabinieri, distava pochi chilometri dall'Ospedale Militare, dove c'era la fermata del trenino, che proseguiva verso la cittadina di Carbonara: un grosso centro agricolo, dove spesso andavamo in libera uscita. Per raggiungere la nostra " Casermetta Porcelli", bisognava percorrere un paio di chilometri e attraversare la cittadella militare. In senso contrario, dovevamo percorrere la stessa strada quando eravamo intenzionati di raggiungere la città di Bari.
Il volto moderno di un paese sta dipinto su lo sfondo della sua storia, e questo paesaggio storico è disposto naturalmente in più piani, che sfumano e si confondono su l'orizzonte, tra cielo e terra, tra preistoria e leggenda.
Il quadro della storia di Puglia ha nel primo piano i colori soliti ai paesi di conquista, colori di temporale e d'incendio.

La Puglia, grazie alle sue fertili pianure è una zona più ricca, dove si produce la maggior parte dell'olio d'oliva e del vino italiano. Le sue città - Lecce, Bari, e Taranto - sono attivi centri commerciali. Rimasta a lungo sotto l'influenza greca, la regione godette di un periodo di grande splendore durante la dominazione normanna e durante il regno di Federico II che, tornato dalla Germania come imperatore nel 1220 si stabilì qui fino alla sua morte. Abbiamo più volte visitato sia la moderna città di Bari, che quella parte antica della città vecchia, dove tutto parla della Grecia, dove sorge la Chiesa di S. Nicola. La storia ci racconta che per opera di alcuni marinai baresi che avevano trafugato le ossa di S. Nicola vescovo di Mira, per la munificenza del duce Ruggero che fece dono del palazzo del Catapano, e per la devozione del popolo, fu iniziata nel 1087, sopra l'antico edificio dei governatori bizantini, la basilica, una delle quattro chiese palatine della Puglia. Lasciamo la storia di Bari e ritorniamo a parlare del nostro corso presso la Scuola Allievi di Bari, che ha avuto la durata di sei mesi. Al termine del quale siamo stati destinati alla Legione CC, di Alessandria e da qui nel piccolo paese di Ormea, provincia di Cuneo, che sorgeva fra le alte montagne. La nostra vita, per motivi di servizio, negli anni ha subito molti trasferimenti, alcuni per motivi di studio ed altri per motivi di servizio. Nella ridente cittadina di Mondovì, abbiamo frequentato quale uditore, le lezioni presso le scuole superiori.

Dopo alcuni anni, siamo stati trasferiti da Mondovì nella città di Alessandria e da qui, per motivi di salute, nella meravigliosa costa ligure e precisamente ad Andora: piccolo borgo marinaro di grande bellezza paesaggistico. Una località salubre che si addiceva per la nostra salute. Da sottufficiale, siamo stati trasferiti nella bellissima città di Genova. Insomma, come si dice, abbiamo fatto la gavetta, raggiungendo il grado di Maresciallo Maggiore, Comandante di Stazione.
Quello che notai nella mia esperienza da carabiniere nei vari Comandi di Stazione e che mi resta ancora oggi impresso nella memoria, e che mi è servito da guida, fu la figura del maresciallo- austero ma indulgente, severo ma tollerante, che le penne di illustri scrittori, come l'amico e grande scrittore Mario Soldati, che conobbi ad Alessandria, perché amico del maresciallo Luigi Faroppa, comandante l'ufficio Amministrazione, dove ero addetto, quale scrivano. Egli ha scritto I Nuovi racconti del Maresciallo, dal quale ha anche girato un bellissimo film. Ultimamente ho letto sulle Fiamme d'Argento, un bellissimo articolo dello scrittore e giornalista Riccardo Berti, che ci parla della figura del maresciallo. Tanto per citare un esempio tra i molti, hanno saputo egregiamente tratteggiare nei loro romanzi, come il grande scrittore Andrea Camilleri, che nel suo libro parla di un piccolo paese di montagna chiamato Belcolle, che sembra un paese da cartolina, una barca arenata su di una montagna verde, e sullo sfondo il mare di Cefalù. Ma da vicino e ben altra cosa: d'inverno è gelido e nevoso, e per tutto l'anno è abitato da persone taciturne e diffidenti, " gente di montagna". Sono cinque anni che il maresciallo Antonio Brancato, " un uomo preciso al quale piaceva che tutto stava in posto in dove doviva stare". Di questi paesi dove c'è un comando di Stazione, in tutto il territorio nazionale, dalle Alpi alla Sicilia e le isole comprese, vi sono Cinquemila comandi di stazione retti da un maresciallo o da un brigadiere. Esse sono come un rader sempre acceso, un occhio vigile notte e giorno, che captano e trasmettono ogni variazione che si verifica su tutto il territorio nazionale.

Nel suo articolo, ci ricorda Riccardo Berti, che in questi ultimi anni, sul piccolo schermo facesse indossare gli alamari a grandi attori come Turi Ferro, Gigi Proietti e Nino Frassica. Gli stessi alamari portati anche da Totò e dal grande De Sica in molte pellicole che sono diventate le pietre miliari della storia del cinema italiano. Queste pellicole hanno fatto il giro del mondo, facendo conoscere il valore del maresciallo e soprattutto il prestigio dell'Arma dei carabinieri.
La figura del maresciallo, mirabilmente riflessa anche nelle tavole di Beltrame per La Domenica del Corriere e del grande pittore Delle Piane, che nel 1955, ha dipinto la pattuglia dei Carabinieri a cavallo, il grande pittore impressionista Giovanni Fattori, che illustrava e dipingeva soltanto cose militari e Carabinieri a cavallo e scene delle battaglie del Risorgimento, era un pittore dei paesaggi dell'anima. Un quadro memorabile che immortala la famosa Carica di Pastrengo, l'ha dipinto Sebastiano De Albertis nel 1880.
L'icona dei Carabinieri che, fin dalla loro nascita, hanno ancorato il resto dell'Istituzione ai comandi di stazione che con il passar del tempo, sono divenuti i terminali non solo dell'Arma ma anche dello Stato là dove, - accade anche questo - lo Stato non c'é. Non esiste, come succede oggi nel territorio partenopeo e attorno a Napoli e in alcune provincie della Sicilia.
Ribadiamo che il maresciallo dei carabinieri, ieri come oggi, non è soltanto il tutore dell'ordine, l'investigatore, il militare: esso è, al contempo, l'amico, il confessore, il padre di famiglia, il fratello maggiore e a volte, come è capitato a noi, anche l'ostetrico in una stazione di montagna, in una località isolata e lontana dai centri ospedalieri, con le sue strutture sanitarie. La signora Maria viveva in una baita di montagna con la sua piccola famigli e una magra mucca, un vitello e un vecchio mulo, e per caso o per fortuna, eravamo in servizio perlustrativo su quel sentiero innevato e lontano dal primo centro abitato. Il marito della signora che aveva le doglie, ci ha chiamati, abbiamo visto la situazione e ci siamo dati da fare, come si usa in questi casi e con il nostro modesto aiuto è nato un bel bambino.
A lui non si ricorre soltanto per denunciare un reato, a lui si confidano i piccolo - grandi segreti, a lui si chiedono consigli e aiuti, per un lavoro o per un sussidio. Perché del maresciallo ci si può anche oggi fidare. Nonostante l'evento delle tecnologie più avanzate, nonostante l'affannarsi della vita moderna la figura del maresciallo resta nell'immaginario collettivo quello che, appunto, ci hanno tramandato nei decenni la letteratura, il cinema, la televisione: e non è vero che il maresciallo dei carabinieri abbia perso in retorica per guadagnare in efficienza. Egli è rimasto in mutato e questo ve lo conferma uno che di servizio effettivo nell'Arma ne ha svolti 41 anni. Sì, è vero, egli è rimasto immutato nella sua alta uniforme che lo contro distingue dalle altre forze di polizia benché oggi abbia abbandonato la storica bicicletta " Bianchi", il moschetto 91/38 e le ghette e sappia usare alla perfezione i nuovi strumenti che la tecnologia ha messo a disposizione dell'Arma.
Così continua Berti, nel suo articolo: " Sono gli occhi e le orecchie di una istituzione complessa ma una tra le più efficienti del Paese: sono i sensori di una "macchina" di cui gli italiani si fidano ciecamente e che amano più di ogni altra cosa. Le stazioni dei carabinieri sono in ultima analisi, il punto di riferimento di quell'esercito del Bene che si contrappone all'esercito del Male: sono gli estremi baluardi della sicurezza, gli impareggiabili modelli di prossimità" - saccheggio l'immagine degli interventi che il comandante generale dei Carabinieri ha tenuto all'inaugurazione dell'Anno Accademico della Scuola Allievi Ufficiali - ai bisogni dei cittadini e, quindi, di vere e proprie rassicurazioni. Sociali".
La fiction televisiva, ci hanno proposto personaggi come i marescialli Rocca e Cecchini e la trasposizione romanzata della vita della Stazione è entrata nelle nostre case facendoci amare ancora di più queste figure, con i loro pregi e i loro difetti, alle prese con i problemi di tutti i giorni nei confronti dei figli, della moglie, dei colleghi ma pronti ad abbandonare anche i momenti più belli della vita famigliare per correre in caverna e mettersi alla guida dei propri uomini per catturare l'omicida, il truffatore o per salvare la vita a chi la vuole gettare al vento. Sì, è proprio così, che si svolge la vita di ogni giorno del maresciallo comandante della stazione. Oh, sì! Quante volte mi è successo tutto questo, ma il dovere è il dovere e bisogna andare, con il bello e cattivo tempo, di notte e di giorno, perché la tua presenza è richiesta per risolvere una questione importante o meno, perché qualcuno ha bisogno di noi. In quel tempo non esistevano i famosi reparti di eccellenza- come il Ris, i Nas, i Ros - a combattere la nuova criminalità. Esisteva soltanto l'intelligenza del maresciallo a capire e a risolvere a volte empiricamente, la vera origine del delitto e di arrestare il vero colpevole. Oltre all'intuito, in quei casi, serviva la grande esperienza investigativa e la grande rete informativa nel territorio, iniziando dal medico condotto, dal farmacista, dal veterinario, dal sindaco, dal parroco e finendo all'oste, e qualche volta anche nei bassi fondi della piccola criminalità locale. Il maresciallo, spesso era invitato nelle feste private, nelle ricorrenze e nei pranzi sociali di paese dove vi trovava anche i personaggi pubblici sopra indicati. In queste occasioni, tra un bicchiere e l'altro, si veniva spesso a conoscenza di fatti nuovi,importanti in relazione a qualche piccolo furto che era rimasto ad opera d'ignoti e di fatti privati e piccoli drammi familiari. Ma anche per il maresciallo, ogni 4 o 5 anni, si verificavano dei piccoli drammi soprattutto familiari. C'era qualche trasferimento in vista. Per noi che avevamo scelto questo lavoro eravamo preparati ad ogni evenienza, ma per la famiglia era un piccolo dramma, specialmente per i figli, per i loro amichetti e per la nuova scuola. In ogni trasloco bisognava impacchettare tutto, dalle stoviglie ai mobili, che quando giungevano alla destinazione erano da sostituire, perché rotti o danneggiati, ma anche questa faceva parte del gioco.
"Ma nelle finzioni televisive che poi altro non sono che la riproposizione delle attività giornaliere dei carabinieri all'interno di un contenitore virtuale quale è il piccolo schermo - la figura del maresciallo comandante di stazione finisce per essere coinvolta in ogni operazione di servizio perché "nessun processo decisionale, nessun programma di razionalizzazione, nessun sistema di e- governement cito ancora le parole del generale Gianfranco Siazzu- può prescindere dalla valorizzazione delle risorse umane, Insomma, oggi come ieri, la centralità dell'uomo è per l'Arma la chiave di lettura dell'intera attività istituzionale. E chi meglio del maresciallo, può rappresentare questa centralità in una fase storica dove la macchina, purtroppo sempre più spesso, finisce per sostituire l'uomo. Ai miei tempi, purtroppo, non c'erano macchine e computer che potessero sostituire l'uomo e l'uomo, come un piccolo Maigret, con la vecchia pipa fra le mani, doveva risolvere ogni situazione, dall'incidente stradale al furto di polli. Il maresciallo era da solo e al massimo poteva contare di due carabinieri, come il personaggio di Andrea Camilleri, nel piccolo paese di montagna di Belcolle. Cinque anni non facili, ma durante i quali il maresciallo Brancato è riuscito a guadagnarsi la confidenza e la stima dei belcollesi. Succedeva sempre così, ogni volta che si cambiava comando di stazione. Bisognava ricominciare sempre d'accapo, crearsi quella rete informativa e dei nuovi confidenti. Da quando siamo in quiescenza, siamo rimasti legati al cordone ombelicale dell'Arma e alle Istituzioni ma ahimè sono trascorsi 20 anni, nel corso della quale ci siamo dedicati all'arte, alla letteratura e all'escursionismo, percorrendo in lungo ed in largo quasi tutti i sentieri dolomitici ed ammirando le cime più belle e più alte del mondo, seguendo il Fiume della Vita, che ci ha portati alla serenità del cuore.

Diversi anni fa, con Adriana mia moglie, ci siamo ritornati nella bella Puglia e abbiamo visitato alcune località fra cui la città di Bari, il caratteristico paese e la bella cittadina di Taranto, con il suo ponte girevole, la caratteristica cittadina dei Trulli . Tutto un grosso villaggio, ch' è monumento nazionale, è stato costruito di capanne a cupolino - i trulli - ed ha un bellissimo nome , Alberobello, in una terra che canta a distesa i più leggiadri sonori festanti nome di villaggi ( Altamura, Gioia del Colle. Acquaviva delle Fonti.) ed è un lindo villaggio in una plaga dove un tempo la povertà dell'acqua e le necessità della vita promiscua colorivano eccessivamente per l'innanzi il riposo degli uomini e delle bestie. Ma gli uomini ancora oggi, raccolgono i sassi disseminati sui campi, e i sassi ripulano , li diresti tuberi che si moltiplicano smossi dall'aratro. Essi sono le rughe, le crepe, i bitorzoli, i porri, le schianze di una faccia che è stata sbattuta dalla sofferenza, che non si è risparmiata nella fatica e nelle privazioni, che non ha avuto il tempo di truccarsi.
Poi c'è l'altra pietra sotterra, a un palmo della superficie. I rabdomanti cercano ancora inutilmente la vena profonda, dove il cavatore urta nel calcare sotto le radici della gramigna. Una pietra che intorno a Lecce diventa tenera e pastosa, color di crema, come abbia sorbito il poco d'acqua non ancora bevuto dal sole. Quella è una pietra speciale, è una pietra da incidere come una lastra di cera da incidere o da intagliare e trasformare dall'artista quasi per gioco. Il ferro la intaglia e sfrangia senza colpi di martello. Artefici rustici la lavorano a guisa d'argilla per forgiarne vasi da fiori e statue di Madonna. Un vecchio artigiano con il quale abbiamo parlato, ci ha detto: " Pochi anni bastano a rivestirla della patina bruna dei secoli. La pietra di Santa Croce a Lecce, barocco senza esempio e senza imitatori, visione fastosa e favolosa di colonne e cariatidi, masse trine, fregi e cornici, di rose volute e balaustri, eccesso di una fantasia fatta di ebbra e frenetica dalla facilità stessa dell'opera. Le costruzioni moderne della città di Bari e delle altre città maggiori, le abitazioni pugliesi han dato all'architettura della regione un'impronta singolare. Transitando nei villaggi, abbiamo visto che le case antiche tutte ad un piano. Non hanno tetti a chiglia di embrici o di ardesia ma volte di tuffo a cupola, che si spianano al sole in ampie terrazze. Le cittadine si spargono largamente, ma basta salire sulla scarpata della ferrovia per abbracciarne dall'alto con lo sguardo tutta la distesa. Così basse e bianche entro il folto degli oliveti o in riva all'Adriatico danno il presentimento immanente tra le cose caduche.

Ritornando a parlare e camminando lungo le vie curve ed gli ampi gradini di questa cittadina monumentale, d'Alberobello, dove s'aggruppano nella campagna tra gli orti e il grano o tra i bassi vigneti punteggiati di ulivi e di mandorli. Il sole violentemente riflesso dalla candida calce di quei muri, rende chiare e diafane le ombre.

Al cercatore d'arte antica e nuova le cattedrali pugliesi offrono la maggiore attrattiva, insieme con qualche palazzo patrizio, con alcune chiese del Salento, con i castelli svevi e angioini, con le colonne terminali della via Appia, con l'anfiteatro di Lecce, con le anfore preziose e i cammei venuti in luce negli scavi del Tarantino. Le arti sorelle, sculture e pittura, non hanno avuto eguale fiori mento: il Colosso di Barletta è una statua mediocre e gli affreschi delle chiese restano quasi sempre modesti. Due grandi artisti, come de Nittis, di Barletta, che ebbe a Parigi gran fama e fortuna: Gioacchino Toma, galatinese, che visse e morì oscuro per divenire poi ricercatissimo.

Per terminare, diremo che la poesia latina ebbe qui la sua culla, Virgilio vi morì, e vi nacque, sui margini, Orazio: ma la grande letteratura italiana non si ha da cercarla in questi luoghi dove la tradizione fu rotta da molti secoli di assoluta depressione spirituale e sociale. Meglio la musica - vena di melodia in cui affluiscono le sparse sorgenti di un popolo naturalmente canoro e malinconico.

Su questo scenario pugliese del tempo si stacca il volto della Puglia odierna. E' un volto vegetale di varia, sparsa e spesso faticosa vegetazione, poiché l'industria e il commercio solo di recente si sono affermati in questa regione tradizionalmente agricola e artigiana a Bari specialmente, con il suo gran porto di attrezzatura moderna e la Fiera del Levante, a Taranto con il grande e moderno arsenale e il porto militare. E' una bellissima città solare, dove l'occhio spazia in un infinito orizzonte tra cielo e mare. Parlando di quel mare azzurro, abbiamo frequentato molte spiagge e ammirato molte e bellissime insenature, borghi marinari barbicati sui pendii e paesi sperduti nell'entro terra del Tavoliere delle puglie. Lì, si ammira un paesaggio fantastico, esso domina in sublime regalità l'orizzonte immenso, con i suoi rossi tramonti. Il viaggiatore, incontrerà un paesaggio da favola, che sembra uscito dalla penna di un bravo scrittore.

Nella Riviera delle Palme
tra passato e presente.

Escursionismo

Un salto nel tempo, una carrellata tra oggi, ieri, domani. In questo nostro tempo che trasvola tra passato e presente. Quanto per cambiare, abbiamo seguito le astruse volute del Grande Fiume della vita, che ci ha fatto percorrere nella nostra giovinezza, un lungo itinerario, attraverso villaggi e città del nostro meraviglioso Paese, facendoci scoprire le brutture della guerra, con le sue profonde ferite e le grandi distruzioni, ma anche ci ha fatto scoprire città e i paesaggi più belli del mondo.
Il grande scrittore Joseph Conrad, nel suo libro " La linea d'ombra", così faceva a scrivere: Uno chiude dietro di se il piccolo cancello della mera fanciullezza ed entra in un giardino incantato. Là perfino le ombre splendono di promesse. Ogni svolta del sentiero ha una sua seduzione. E non perché sia una terra ignota. Si sa bene che tutta l'umanità ha percorso quella strada. Ma si è attratti dall'incanto dell'esperienza universale da cui ci si attende di trovare una sensazione singolare o personale: un po' di sé stessi". Noi, abbiamo voluto vivere questa sensazione singolare o personale come la vogliamo chiamare, per trovare un po' di noi stessi. Eravamo ancora ragazzi, ma ci sentivamo ormai grandi e volevamo scoprire in anticipo il mondo. Sì. Uno va avanti. E il tempo pure va avanti, finché ci si scorge di fronte una linea d'ombra che ci avverte di dover lasciare alle spalle anche la ragione della prima gioventù.
Noi che viviamo nella brumosa val Padana, non siamo più abituati alle bellezze delle verdi colline e dei borghi antichi barbicati sui pendii della vecchia e sempre bella Liguria della nostra giovinezza. Sì, è così, la Liguria, è stata la prima regione che abbiamo incontrato nel nostro lungo cammino, partendo dall'Old Calabria, terra generosa che ci diedi i natali. Era un mattino luminoso di giugno del 1946, quando con un piccolo fagotto contenente qualche cambio di biancheria e nel tascapane qualche cosa da magiare, Giovanni ed io, siamo partiti all'avventura su di un treno a vapore, un residuato bellico della Seconda Guerra Mondiale dallo scalo ferroviario di Reggio Calabria, diretti al nord. Quel vecchio treno non partiva mai e dopo un giorno intero e una nottata, il mattino siamo sbarcati nella città semidistrutta di Napoli. Falò tra le rovine della stazione. Gruppi di persone attorno ai falò. Scendiamo dai vagoni bestiame e giriamo qua e là, ci confondiamo ai gruppi di persone senza meta. Dovunque vediamo una nazione in dissolvimento. Rare, purtroppo anche fra i cittadini di Napoli. Nota dominante fra questa massa omogenea di persone senza meta. Ormai non credo più a nulla. In quella confusione ho compreso che ciascuno vuole raggiungere la propria meta, la propria casa, il proprio letto, la propria famiglia. Dal sud al nord. Dal nord al sud. Nessuno che vada al sud perché al sud c'è la libertà e tutto si stava normalizzando. Dopo qualche giorno di sosta nella città di Napoli completamente distrutta, abbiamo fatto un giro per il porto che era presidiato dagli americani. Un soldato di colore ci offre degli scarponcini militari e altri capi di biancheria, come magliette e giubbini. Compriamo qualcosa e il mattino successivo, alle prime luci del giorno, un vecchio treno è in partenza dalla Stazione principale. Alla Stazione di Roma Termine, troviamo le stesse rovine delle altre città che abbiamo attraversato, gli stessi falò e gli stessi posti di rifocillamento, costituiti da alcune persone che facevano cuocere in una pentola fagioli con un po' di pasta. Abbiamo fatto la fila per ottenere un piatto di minestra calda, pagando con le Am lire, moneta corrente in tutto il Paese. Durante il lungo percorso, abbiamo visto molti ponti ferroviari distrutti, dove il treno si fermava e decidiamo di continuare a piedi, e scendiamo. Uno stretto sentiero pietroso che costeggia le rotaie. E' mezzogiorno passato. Il sole scotta, l'aria del mese di giugno è calda, pesante. Nella Stazione di Genova Principe, la tradotta si ferma. Tutti a terra alla ricerca di un piatto caldo da mangiare. Davanti alla stazione troviamo la stessa situazione delle altre città. Dopo qualche giorno, due e tre vagoni che compongono il treno per Ventimiglia è in partenza. Stanchi, affamati, arriviamo nei pressi della cittadina rivierasca di Rapallo, una galleria breve, poi una più lunga. Prima di imboccare una terza galleria, il treno si ferma nell'aperta campagna, proprio sulla scarpata tra il mare e la costa, dove abbia visto sulle rocce, molte persone che con grosse pentole facevano bollire l'acqua del mare per ricavare il sole da cucina che scarseggiava in tutto il Paese. Dobbiamo scendere e continuare a piedi. Attraversiamo il lungo ponte della ferrovia interrotto in tre parti. Quindi sale e scendi, tra i rottami ferrosi del ponte distrutto dai bombardamenti aerei. Dall'altra parte del ponte diroccato, c'è un altro treno che è diretto a Ventimiglia. Come abbiamo detto, eravamo stanchi e affamati. Alle prime case del paese ci indicano un'osteria dove, dicono, troveremo da mangiare. E' una stanzetta piccola, non sufficientemente pulita, il letto basso, costituito da una rete, pareti nude e screpolate. In fondo una finestra che da mare. Non ci sono né tovaglie e neppure tovaglioli e piatti. Qualche bicchiere, qualche panino con formaggio, un po' di vino e qualche frutta. Mangiamo un panino al formaggio di capra, beviamo un bicchiere di vino e andiamo a dormire sulla rete. Il mattino successivo, ci fermiamo in un bar trattoria dove ci viene offerto un buon cappuccino. Verso l'imbrunire, quando il sole stava per tramontare dietro le montagne, oltre il quale si trova il territorio francese. Fintamente, dopo una settimana di viaggio, siamo giunti nella stazione ferroviaria di Bordighera, che è una signorile cittadina, definita la città delle "Palme". Nella città vecchia, sopra il litorale dove sorge il borgo di pescatori di Capo S. Ampeglio, la città nuova o Marina, sul pendio di ponente e Arziglia, ad oriente del capoluogo di cui dista un chilometro. La città è adagiata a poggi ricoperti di ricchi uliveti, disseminati di giardini, di eleganti ville, di palme che prosperano un po' d'dappertutto, è stazione d'invernale preferita specialmente dagli stranieri e primi fra tutti dagli inglesi, per il clima mite e costante, per gli incantevoli panorami e le solatie passeggiate.
Borghighera, d'origine preromana, venne fondata sul Capo di S. Ampeglio da pochi villici convenuti dal vicino contado. Subì ripetute invasioni dai Saraceni, fu distrutta e poi riedificata sotto la breve dominazione della vicina Ventimiglia; nel 1499 passò a Carlo VIII; verso la fine del 1504 ai Genovesi, quindi ai Savoia per ritornare, nel secolo XVII, a Genova, da cui otteneva, nel 1686 d'essere staccata da Ventimiglia e di costituirsi a comunità indipendente. E tale rimase sino all'occupazione francese nel 1793. Dodici anni dopo da Napoleone veniva annessa al dipartimento delle Alpi Marittime con Nizza a capoluogo e, caduto Napoleone, fu aggregata agli Stati Sardi con i quali nel 1860 cessò di far parte del Regno d'Italia. A Bordighera vecchia, dove da prima della guerra viveva una delle mie sorelle dove coltivavano i garofani, ma in quel periodo critico post bellico, non erano richiesti i fiori, ma gli ortaggi per la sopravvivenza.
Ci siamo adattati a qualsiasi lavoro, da quello dei campi a quello della ricostruzione, con scarsi profitti. Il ricavato era appena sufficiente per sopravvivere. Facevamo lunghe passeggiate lungo gli interessanti sentieri che si sviluppano sulla catena di verdi colline che contornano i villaggi e le cittadine prospicienti il mare, transitando tra fasce coltivate ad ulivo sorrette da pregevoli muretti a secco, nella profumata macchia mediterranea, tra siepi lussureggianti di salvia, roseti e rosmarino, pinete formate da pini Marittimi e d'Aleppo, lecci, querceti e vigneti, probabilmente era quello l'ambiente climatico dell'antica Liguria.
Questa è la regione di dolci colline, dove germogliano le rose e le mimose, nonché il vecchio ulivo dell'amicizia e anche di montagne affacciate sul mare. Questa è una regione di confine, anzi di confini: fra l'Italia e la Francia, Alpi Appennino, Mediterraneo e Pianura Padana, dove noi oggi viviamo da oltre 50 anni, e dobbiamo affermativamente dire che la Lombardia non è soltanto la regione dai colori velati dalla nebbia, ma è un susseguirsi di panorami incantevoli e sensazioni soggettive, quasi al limite dell'irreale. Da quando viviamo in questa ricca regione di pianura solcata dai grandi fiumi, come il vecchio Po, l'Oglio e il Mincio, facciamo parte del CAI di Mantova. Con questo sodalizio, ogni anno, in primavera, organizzano delle meravigliose escursioni sui sentieri della costa ligure e sul vicino Piemonte. Scopriamo insieme qualche angolo verde e bellissimo come il Gran Paradiso, il più bel parco d'Europa, animato da stambecchi e camosci, il bellissimo borgo antico di Cogne e le affascinanti Langhe, terre di tartufi, di vino e di castelli, l'armoniosa Ossola, simile ad una foglia.

RIOMAGGIORE E MANAROLA

La prima escursione che abbiamo effettuato molti anni fa con Adriana mia moglie e gli amici del CAI, sono state le Cinque Terre. Il due grossi pullman, con oltre 100 escursionisti mantovani si sono fermati al principio della cittadina marinara di Portovenere, che si adagia di fronte alla Palmaria, sull'estrema punta del continente e sopra un'erta scogliera, le cui origini risalgono a tempi remotissimi.
Le sue case alte, ristrette e insieme congiunto, ai piedi del quale continuamente s'infrangono le onde spumeggianti; la fantastica torre che ne orna la porta d'entrata, dove si sono fermati i nostri due grossi torpedoni, la graziosa piazzetta al lido e l'antico castello su in alto, e intorno a cui l'ulivo e il fico stendono i loro fruttiferi rami, le mura cadenti di vetusti edifici, stranamente connessi agli scogli e alle rocce; e finalmente gli avanzi del gotico tempio di S. Pietro sull'ultima rupe che signoreggia due mari, presentano allo sguardo un panorama insolito di grande bellezza e molto pittoresco. Non dobbiamo quindi meravigliarci se un tempo trovò qui culto e omaggio la dea dell'amore, figlia delle onde. Venere, infatti, vi fu all'epoca del paganesimo, adorata.
La storia ci racconta che nel secolo XII sulle rovine dell'antico tempio di Venere si erigeva una chiesa dedicata a S: Pietro. Posa essa su alta rupe di marmo portoro e di là si gode una vista magnifica, e l'occhio, vagando sul mare, dalla Palmaria e dai lidi liguri trasvola fino alla Gorgogna, alla Capraia, alla Corsica lontane.
Oltrepassata la batteria di S Francesco, e lasciata indietro la punta della Castagna, tutta ricoperta d'ulivi, si giunge a un basso promontorio su cui siede la fortezza di S: Maria, costruita dai Genovesi nel 1569, rovinata dagli Inglesi nel 1800 e poi riparata dai Francesi.
Da S: Maria si scopre, in tutta la sua pompa maestosa, la città di La Spezia, circondata dalle rive del suo incantevole golfo, Ed eccoci al piccolo e quanto vago e profondo senso del Virgnano.
Avevamo accennato che i due grossi torpedoni si erano fermati vicino alla Porta di Portovenere, proprio dove esiste un sentiero che sale irto fino al vecchio Castello. Guardando dalle prime propaggini si vedevano salire, uno dietro l'altro, in fila indiana, gli escursionisti del CAI, già sfiancati dalle prime propaggini. Il sentiero si fa più pianeggiante man mano che si raggiunge l'apice dell'irta collina. Lassù, ci aspettava una vista eccezionale e una pineta pianeggiante il cui sentiero procede molto allegro verso Vernazza. Eseguendo quel sentiero incontriamo un altro sentiero che scende a gradoni verso la valle dove sorge appunto, fra meravigliosi vigneti terrazzati il borgo marinaro di Vernazza.
Le unga fila degli escursionisti si è fermata al centro del vecchio e caratteristico borgo e ha dato l'assalto all'unica focacce ria: la tipica e unica focaccia genovese. Oltre alla focaccia tipica, abbiamo scoperto anche il delizioso vino locale Scic tra, che si accompagna benissimo con la focaccia e le acciughe fritte. E' stata una bella scampagnata, seduti alla bella meglio sui gradoni delle stradelle o meglio definirle con il loro nome: i carruggi di quel fantastico paese.
Vernaza è un antichissimo borgo marinaro di origine romano, è posto sulla pendice di uno scoglio dirupato, sporgente sul mare. Difeso, per la sua posizione, dai venti del nord, presenta un clima sano, temperato e costante. Per quanto il territorio ( circa mille ettari di superficie) si svolga tutto in piena regione montuosa, la vegetazione e varia e abbondante. Vi si producano agrumi e castagne, ma soprattutto olio e vino; da Vernazza appunto si vuole da taluno che tragga il nome il vino Vernaccia. Caratteristica, come nelle altre località delle Cinque Terre, la coltivazione della vite a causa del terreno sassoso, erto e a strapiombo, quasi a perpendicolo, sul meraviglioso mare. La popolazione è dedita alla coltivazione dei propri terreni o all'industria marinara o al lavoro d'officina nell'Arsenale di La Spezia. Gli abitanti di Vernazza, hanno apportato delle innovazioni ai loro vigneti: li hanno dotati di una moderna seggiovia che costeggia le fasce dei vigneti, per portare in paese i prodotti della terra e viceversa. E' un servizio molto importante, che gli consente di salire e scende senza fare alcuna fatica, specie nel periodo della vendemmia.
Abbiamo lasciato il piccolo porticciolo di Vernazza, quando il sole stava per tramontare e stando sulla tolda del battello, abbiamo incontrato, procedendo verso La Spezia, per fare ritorno a Portovenere, Riomaggiore e Manarola. Guardando quei caratteristici borghi, ti sembra di ammirare un paese incastrato a forza tra le altissime ed aspre rocce che gli consentono tra le ombre degli alti monti incombenti, ma la rude e tenace opera della popolazione abbiamo compreso che ha vinto la natura matrigna e convertendo le bigie ed irte rocce in opulenti vigneti che formano la celebrata ricchezza del luogo. Popolazione attivissima che vive sul mare e dà largo contributo al vicino arsenale di La Spezia.
A Manarola, non esiste nessuna strada carrozzabile. Manarola è unita al capoluogo, da cui dista un chilometro circa, per mezzo di una spaziosa galleria e da una strada prospiciente il mare, con panorami incantevoli. Questo borgo marinaro, sorge sopra uno scoglio a picco sul mare; ha strette viuzze e ripide gradinate, serpeggianti fra le case dai tetti di ardesia e uno scalo tagliato nella viva roccia, ottimo rifugio alle barche. Si ritiene che i primi abitanti del luogo, che si presume venissero dalla Grecia nel 790. Quindi, anche qui a Manarola come nella My Old Calabria, gli antichi greci erano già di casa .

Il grande poeta Eugenio Montale, un figlio prediletto della vecchia e bella Liguria, così faceva a scrivere questa bellissima poesia di Portovenere.


Là fuoriesce il Tritone
Dai flutti che lambiscono
Le soglie d'un cristiano
Tempio, ed ogni ora prossima
È antica. Ogni dubbiezza
Si conduce per mano
Come una fanciulla amica.
Là non è chi si guardi
O stia di sé in ascolto.
Quivi sei alle origini
E decidere è stolto:
ripartirai più tardi
per assumere un volto….


Il lungo viaggio di Eluana.
Giorni fa, ho avuto modo di leggere una bellissima favola sulla Voce di Mantova, firmata Carla S, che parlava di Eluana. Dopo di averla letta, l'ho ritagliata, perché il giorno successivo il giornale sarebbe stato effimero, fuggevole, passeggero, come la speranza e la gloria e per non farle fare la stessa fine di tutte le cose passeggere l'ho conservata. Oggi, che è calato definitivamente il sipario ed è ritornato il silenzio assoluto sul caso Eluana, perché di un caso si tratta, l'ho ripreso e ho cercato di farlo rivivere in questo nostro intervento. L'articolo della signora Carla S. incomincia con queste parole: "Eluana si è staccata di questa terra e se ne è andata in silenzio,quasi in punta di piedi. Ha guardato dietro le sue spalle se nessuno la seguisse, ormai era troppa stanza di presenze pronte per accudirla e non lasciarla libera di fare quello che voleva". Si, é vero, e proprio così. Eluana era stanca di persone silenziose che entravano ed uscivano da quella stanza che è stata la sua prigione. Troppo, troppi anni di sopportazione ed ora…via… basta silenzi, basta camici bianchi, basta luci soffuse, basta finestre chiuse, basta buio, basta mani sul suo corpo, finalmente era ritornata in possesso della sua dignità. Non si è fermata su questa terra piena di imposizioni, di dinieghi, è vola verso l'universo che l'ha accolta e ha dato la possibilità di scelta. Era ora.; un desiderio di muoversi, di camminare, di correre, di ridere, di decidere dei suoi obiettivi. In questo suo nuovo mondo non ha trovato orologi, qui il tempo era tutto in suo favore, passava dalla luce più intensa del sole, a Plutone, voleva conoscere di persona i nuovi pianeti scoperti ultimamente. Ha fatto salti di gioia da una stella all'altra, da una ha fatto cadere polvere di stelle sui suoi capelli che si sono illuminati, finalmente uno sciampo fatto a modo suo ed ha agitato le sue bellissime chiome che hanno dato luce ai tanti punti scuri. Ha abbandonato di proposito le " NEBULOSE", non aveva bisogno di nebbie, di spostamenti poco chiari, è andata per un po' sulla luna, ma non ha trovato pochi accoglienti. Ha fatto le corse sulla scia della cometa fino a stancarsi, avanti e indietro, scivolava e si alzava, cadeva e rideva, in salita e in discesa come su un campo da sci, solo che erano i suoi piedi a muoversi, il suo bellissimo volto pieno di luce, le sue braccia che quando cadeva si portavano in avanti per sostenerla e le sue mani che si aggrappavano alle stelle che ben felici le davano di continuare nel suo meraviglioso viaggio. Ha dormito per diciassette anni ed ora doveva stare sveglia per altrettanti e godere del tempo perduto. E' salita con un balzo sull'arcobaleno, si è vestita dai suoi colori e come una modella dello spazio ha avuto finalmente la gioia di sentirsi libera, felice e bella, bella, bella, come da tanto tempo non lo era più. Buon viaggio, Eluana, divertiti, hai il diritto di vivere la tua nuova vita fra le tue meravigliose montagne".

Le Montagne Carsiche.
Come di solito si dice, Eluana è ritornata ieri sulle sue bellissime montagne della Carnia in silenzio e in punta di piedi, su quelle montagne silenziose che la videro bambina giocare con le caprette e i suoi coetanei nei campi innevati e in primavera fra i verdi prati. Dove l'occhio spazia e si perde in un infinito orizzonte. Era appassionata raccoglitrice di stelle alpine e più volte si è spinta sulle rocce a strapiombo per raccoglierle, ma adesso che è ritornata si è trasformata in una stella alpina e aspetta di essere raccolta da una ragazza sognatrice del suo paese. Noi facciamo parte del CAI di Mantova e nelle zone Carsiche ci siamo stati parecchie volte e vi posso confermare che è il paesaggio più bello che abbia mai visto e gli abitanti sono molto cordiali e soprattutto molto ospitali. Nelle zone povere e montagnose, innevate per molti mesi dell'anno, la vegetazione è molto più scarsa. La roccia appare più o meno ovunque fratturata. Siamo in presenza di un campo solcato. Qui i corsi d'acqua superficiali sono molto brevi. L'acqua piovana scompare rapidamente nelle fessure delle montagne carsiche. Dove il sole accarezza le pittoresche cittadine dell'adriatico. I suoi raggi sono innamorati delle bellezze del Carso,dove, appunto, germogliano le stelle alpine e più a valle viene coltivato l'antico ulivo dell'amicizia e della pace, vigneti, pesche e ciliegi. Sotto le radici degli alberi si trova il più bel pezzetto di mondo sotterraneo del nostro pianeta. In Slovenia ci sono più di seimila grotte ed abissi carsici, dieci di questi capolavori in calcare, opera delle acque intermittenti carsiche, sono aperti per visibile turistiche.
Quando c'è abbastanza manto nevoso si sviluppano dei pozzi a neve E' la grande abbondanza di questi inghiottitoi, spesso ostruiti dalla neve, che rende affascinanti e insieme difficile le esplorazioni in alta montagna. L'azione del gelo diventa molto evidente a una maggiore altitudine. Le rocce calcaree sono leggermente porose e si spaccano in piccole scaglie che otturano le fessure (si parla di geli frazione o anche di crioclastismo). In queste regioni troviamo più raramente abissi spettacolari; la loro altitudine, d'altra parte è spesso disincentivante per uno speleologo. Ma, se noi oggi siamo ritornati nel piccolo borgo montano di Paluzza (Udine), non vogliamo solo parlare di escursionismo ma soprattutto dell'ultimo viaggio di Eluana. Quindi diremo "Bentornata Eluana, nella terra del tuo papà, dei tuoi nonni... " Le prime parole della cerimonia funebre sono come un richiamo, il segno che allora è proprio vero, sta davvero accadendo. Armando Englaro comincia a piangere, a singhiozzare. Guarda davanti a sé la bara di questa nipote così sfortunata, si morde le labbra per frenare le lacrime. La chiesetta del piccolo cimitero si riempie delle voci che intonano il Kyrie eleison, e lui assume un'espressione spaesata, si allunga per vedere da dove arriva quel coro. Un cronista del Corriere della Sera, così scrive: Lo zio di Eluana ha gli stessi occhi azzurri di Beppino, lo stesso profilo aguzzo. Ma è più alto e massiccio, è un uomo sanguigno, che mostra le proprie emozioni essendo incapace di nasconderle. Si vogliono bene gli Englaro, ma. Dopo tanto chiasso, tra politica, magistratura, religione e laici e semplici cittadini del nostro Bel Paese, finalmente possiamo dire che è sceso il silenzio assoluto su queste montagne carsiche dove è stata sepolta Eluana. Abbiamo ancora negli occhi le grandi masse di cittadini che sfilavano in corteo per le strade e le Piazze delle grandi città. A Porta a Porta, come pure negli altri siti televisivi non si è fatto altro che dibattere se era giusto togliere il sondino o no. Dovunque, in ogni paese, in ogni casa non si è fatto altro che discutere su ogni cosa, insomma si è fatta molta confusione. Abbiamo costatato che c'erano poche persone presenti nella piccola chiesetta di quel cimitero di montagna e questa nostra impressione è stata avvallata dai filmati televisivi e dalla cronica giornalistica. Sì, Eluana ora può riposare in pace fra quelle sue montagne dove sorge il piccolo cimitero, racchiuso fra le alte cime di queste montagne brulle e rocciose ma bianche di neve, anche il piccolo viale del cimitero, la chiesetta e le tombe erano imbiancate di soffice neve. Abbiamo notato una piccola folla di parenti e amici di Paluzza. Una piccola folla composta che era salita fin lassù per dare l'ultimo saluto a Eluana.
Abbiamo letto sul Corriere della Sera di oggi, che l'ammirazione e la riconoscenza che Armando prova per il fratello maggiore si mischia con il dolore per il suo destino. "Mi ha sempre aiutato", racconta alla fine di questo lungo pomeriggio. "Tre fratelli emigrarono in Lussemburgo, lui in Svizzera". Io ho scelto di rimanere a casa. Tante volte mi ha invitato a raggiungerlo. Io non me la sono mai sentita di lasciare Paluzza. E allora lui mi ha aiutato ad aprire la nostra ditta di moquette, ha creato la società. Beppino ha fatto tutto, io sono solo un artigiano". Ogni tanto anche i fratelli minori, e con i suoi 62 anni Armando è l'ultimogenito, riescono a farsi ascoltare. Il funerale l'ha voluto lui. È riuscito a convincere Beppino, che invece è del 1941, troppo amareggiato con la Chiesa per riuscire a vedere la necessità di quest'ultimo saluto alla sua Eluana. "Ne abbiamo parlato, e alla fine si è fidato. Mi ha lasciato fare su tutto. Penso di aver fatto la scelta giusta, anche per lui. Sono convinto che se avesse cremato Eluana, alla fine se ne sarebbe pentito. Credo di avergli evitato il rimpianto". Il funerale ha finito per somigliare a chi l'ha così fortemente voluto. A lui, Armando. I due vigili urbani in divisa che controllano i fedeli e intanto hanno i lucciconi agli occhi mentre ascoltano la bella omelia di don Tarcisio Puntel. Egli ha concluso dicendo: Fra queste rocce carsiche, nascerà una nuova stella alpina, che si chiama Eluana.
I paesani che dicono "mandi" a noi forestieri, e assistono attenti e partecipi alla funzione. La sobrietà dei gesti, le poche parole, nessun applauso all'uscita del feretro. Un funerale fatto di silenzi e dignità, a immagine di questa Italia diversa che si chiama Carnia. "È la mia piccola patria" dice Armando, e si capisce che lo pensa davvero, che l'adesione a questa identità così forte è sincera, sentita. "Eluana doveva essere sepolta qui, e doveva avere il suo funerale. Era un tributo che dovevamo a Paluzza, ai nostri compaesani. E poi riposerà qui, tra queste valli. Le guardi, non sono belle? A mia nipote avrebbe fatto piacere, ne sono sicuro". Nello scandire queste ultime parole Armando Englaro si emoziona. Anche lui ha sofferto molto, viveva Eluana come una figlia, ma ha sempre cercato di non farlo vedere a Beppino. Armando è cattolico, è stato pellegrino a Santiago di Compostela e tante volte a Lourdes. Beppino lo ha ripetuto spesso, "non ho il conforto della fede". Tra fratelli magari si discute, ma nel dolore ci si tiene, si sta insieme, si annullano divergenze e differenze. "Sono preoccupato per lui. Adesso è molto provato, ma sono sicuro che ce la farà. Mio fratello è molto forte".
Armando è un uomo che usa parole semplici per farsi capire. Il suo mondo è tutto qui. Paluzza, tremila anime, la piazza rettangolare con municipio, scuola e banca. Il bar Picin per giocare a carte con gli amici, l'azienda di moquette all'inizio del paese, la villetta sulla statale, una manciata di chilometri tra l'osteria. Le Trote e le montagne, la neve che arriva a settembre e chissà quando se ne va. "Eluana - dice lui - aveva dentro di sé lo spirito di questa terra. Era una carnica vera, una ragazza ostinata e libera". Per un'ora soltanto, l'ultima del suo passaggio su questa terra, zio Armando le ha fatto da padre. Si è commosso anche al saluto finale di don Tarcisio, pronunciato in dialetto. Le ha fatto ciao con la mano, come se stesse per partire. "Adesso puoi davvero riposare in pace" ha detto sulla tomba. Aveva ragione il più piccolo dei cinque fratelli Englaro. I funerali servono anche a questo, a ricordare chi era la persona che stiamo perdendo, da dove veniva, quali erano le sue radici. Mandi Eluana.
Tempo fa, quando i quotidiani e la televisione incominciavano a parlare del caso di Eluana,"Il Gabbiano" ha scritto un semplice e bella poesia, al quale chiediamo umilmente scusa per esserci impossessati e con la quale termina questo nostro escursious del caso di Eluana. Essa così recita:


Il Silenzio di Eluana
Con rispetto e in punta di piedi
Tento di avvicinarmi a questa tragedia della vita.
Oh, sì, la vita!
La vita è fragile e leggera
Come la piuma di una capinera
Portata dal vento che tutto trascina
E come una nuvola rosa
Che si disperde nell'infinito orizzonte
Sorvolando mari e monti
Ma per rompere questa fragilità
Bastano poche ore alla Cassazione
Per sospendere l'alimentazione
Che da molti anni fornisce attraverso un sondino.
La linfa vitale al giovane corpo.
Quella vita concepita non aveva mai sognato.
Tutto ad un tratto giunge la condanna a morte.
Ma l'appello disperato
È stato lanciato
"Salvate la vita di Eluana!"
Nel giorno del verdetto,
che consente al padre d'interrompere la vita vegetativa.
E dare degna sepoltura
Alla sua amata bambina.
Nell'ora del tramonto dipinto di rosa.
Con grande rispetto, abbiamo ricordato
Una giovane vita che se ne va
Fragile e leggera
Come la piuma di una capinera
Di valle in valle portata
Dal vento che tutto trascina.
( Il Gabbiano)

 

Caronte Il Traghettatore
Tra realtà e fantasia
Racconto

Quel mattino, camminavo nel corridoio ed ero quasi nervoso e pensavo che fra pochi minuti mi sarebbero venuti a prendermi per portarmi nella sala operatoria, infatti, verso le ore 11,30, si è presentata nella stanza numero.19/20 del Reparto di Chirurgia Toracica , dove ero ricoverato da un paio di giorni una simpatica infermiera, mentre io aspettato il Traghettatore Caronte con gli occhi di brace, di dantesca memoria per trasportarmi con la sua barella nella sala operatoria, dove ero atteso dallo Staff dei chirurghi, per essere sottoposto all'operazione del "Talcaggio", nella pleura di destra. Per dire la verità sono rimasto alquanto deluso, perché aspettavo il traghettatore Caronte. La traghettatrice: era una simpatica infermiera, con gli occhi azzurri e il foulard sui capelli legato dietro la nuca. La signora Caterina, che svolgeva il suo servizio di volontariato in quel moderno e funzionale nosocomio del Carlo Poma di Mantova, mi ha fatto togliere il pigiama e gli indumenti intimi e mi ha fornito un camice di colore verde di carta, mi coprì con una coperta e ci siamo avviati verso agli ascensori ed in poco tempo, siamo giunti al piano terra, percorrendo alcuni corridoi e si è fermata davanti alla sala operatoria. Confesso che ero alquanto scioccato, ma nello stesso tempo sereno e consapevole di quello che a momenti dovevo essere sottoposto: ad un intervento chirurgico. Salutai e ringraziai la "traghettatrice", che mi ha consegnato alla dottoressa addetta all'anestesia. In quel luogo poco illuminato, ricordo che questa signora, specialmente nel sentirla parlare era molto simpatica, come del resto erano i dottori. Del reparto di Chirurgia Toracica e tutto lo staff. La dottoressa mi ha tranquillizzato, circa lo svolgimento operatorio. Rimanendo con essa in attesa davanti alla grande porta d'ingresso alla Sala Operatoria, nel mio subcosciente mi sembrava di leggere le parole che sono scritte a grosse lettere davanti alla ciclopica porta dell'entrata dell'Inferno dantesco,( disegno di Gustavo Doré) dove vi era scritto:


"Per me si va nella città dolente,
Per me si va nell'eterno dolore,
Per me si va tra la perduta gente.


Dopo la breve attesa in compagnia della dottoressa, mi sono venute in mente i seguenti versi ":Ma poiché la sua mano alla mia pose/ con lieto volto, anch'io mi confortai,/ mi mise dentro alla segrete cose".:In quel momento la barella si mosse e siamo entrati nella stanza fredda e poco illuminata, dove mi hanno traslocato sul tavolo operatorio. Subito dopo l'iniezione dell'anestesia totale, mi sono addormentato ed ho iniziato la navigazione nel mondo dei sogni. L'operazione ha avuto termine dopo un'ora circa. Al termine mi ha svegliato il chirurgo che ha eseguito il " Talcaggio", dicendomi: Diego! Svegliati perché noi abbiamo finito e tra poco ti riporteranno nella tua camera. Lo ringraziai, anzi ringraziai tutto lo staff e una mano poderosa ha spinto il lettino verso la grande porta d'uscita. All'uscita non trovai più la traghettatrice dagli occhi marrone, ma una giovane e graziosa allieva infermiera con il camice bianco che sembrava un angelo, ci mancavano solo le ali, gli altri attributi erano al loro posto. Mi hanno colpito i suoi occhi azzurri che mi guardavano con grande tenerezza, mentre le sue labbra esprimevano parole di gioia e di soddisfazione, oltre che di incoraggiamento. Ella mi ha detto: Diego, allegro, perché è tutto finito e fra pochi giorni ritornerai a casa, dove scriverai i tuoi racconti e le tue poesie.

All'uscita dell'ascensore, c'era Adriana mia moglie, che mi stava aspettando. Una lieve carezza ha sfiorato il mio volto. Sì, Adriana, sono ritornato dall'inferno dantesco, da quel girone dove camminano le anime che da molto tempo attendono il vecchio Caronte con gli occhi di brace che li traghetterà verso quel paradiso che ognuno di noi ha sempre sognato. Così scriveva il poeta:
La vita e la gioia di vivere è grande e meravigliosa/, ma è fragile e leggera/ come la piuma di una capinera ferita/, di valle in valle portata/ dal vento che tutto trascina. Se è vero come è vero, che la vita è un dono meraviglioso, il più grande che potessero farci, di cos'altro stiamo parlando, se non di una parte di quel dono? Una parte che coincide con il tutto, se ci pensiamo bene, perché senza le piccole foglie che ne ornano i rami non ci sarebbe neppure l'albero.
Per questa volta siamo riusciti a rivedere le stelle in questo cielo azzurro e meraviglioso, dove risplende il sole e dove germoglia il seme della vita e dell'amore.
L'intervento è riuscito benissimo e di questo, dobbiamo ringraziare i bravissimi chirurghi ed il loro staff, che sono stati molto bravi sia professionalmente che umanamente. Se siamo giunti fin qui, dobbiamo doverosamente dire grazie anche è soprattutto al dr dell'Ospedale di Bozzolo dott. Rino Frizzelli e al suo Staff, che aveva accertato eco graficamente del secondo versamento pleurico, disponendo del nostro immediato ricovero ed il giorno successivo il dott. Scarduelli, che ci ha praticato l' amniocentesi. cioè l'asportazione del versamento pleurico. Durante la nostra breve permanenza in quel nosocomio, che tra l'altro, ci siamo trovati a nostro agio. Nei giorni che seguirono il dr. Frizzelli, suggeriva ai suoi colleghi del reparto di Chirurgia Toracica, per la vidiotoracoscopia ( VATS) e prendendo accordi diretti per il successivo ricovero presso il C. Poma, come, in effetti, si è verificato, secondo le sue previsioni dove hanno eseguito, come abbiamo visto sopra il " Talcaggio".

Il sogno artificiale.
Durante il sogno artificiale prodotto dall'anestesia generale, abbiamo sognato il territorio dove sorgono le meravigliose Piramidi d'Egitto, che si trovano nella regione occidentale di quel paese, perché quella era la regione del tramonto in cui l'anima trovava riposo, ma anche il sotto del dio, cioè la terra sacra delle necropoli, posta sotto la protezione divina e infine " Vicino all'alto", poiché Ciba era il luogo che permetteva allo spirito dei faraoni di accedere agli spazi celesti. Per il momento ringraziamo gli dei, ma vogliamo continuare a vivere sulla nostra vecchia terra, che tutti amiamo moltissimo, perché la vita è la vita e vale la pena di essere vissuta.

L'Egitto. Il mito eterno.
Chissà che questo nostro sogno onirico, fatto soltanto sotto l'influsso dell'anestetico, un giorno non molto lontano, si possa realizzare. Quella è una terra di antiche vestigia, perché racchiude in sé la magia di una natura spettacolare e i misteri di culture e tradizioni che si perdono nelle origini della storia e della memoria. E' una terra che merita di essere scoperta e visitata. I sogni non sono altro che la realtà concepita in un momento particolare dal nostro sistema cerebrale che in particolare momenti, affiorano dal profondo del nostro io, che raramente si avverranno, ma a volte si realizzano davvero, in modo che la vita continua a fare il suo corso in questo mondo, che ci avvolge l'universo come un cerchio.
Il lento veleggiare al ritmo naturale del vento fa scorrere di fronte agli occhi siluette di contadini che compiono gesti antichi, di bimbi allegri che corrono a perdifiato. Mentre splendidi tramonti fanno da cornice ad isolotti di papiro dove volano e nidificano egrette e martin pescatori; s'interrompe di tanto in tanto un incontro per incontrarne un altro quando si è in vista di templi e necropoli millenarie ed un altro ancora quando si scoprono improvvisamente luoghi incantati dove si trascorre la notte, sotto le stelle, in una rada tranquilla, fuori del tempo e della storia faraonica.
Il Nilo dei Faraoni è una cosa indescrivibile ed un paesaggio di una grandiosa bellezza paesaggistica, con i riflessi d'oro sull'acqua. Era un'ideale scenografia per lungo tempo e anche e soprattutto l'idillio di Giulio Cesare e la sua bellissima Cleopatra, che trovarono la loro ideale scenografia navigando a bordo della loro barca di papiro, dove assaporavano le delizie e le bellezze dell'amore.
Questo nostro sogno onirico è sicuramente scaturito, dalle continue letture che ogni giorno facciamo, per conoscere paesi diversi dal nostro. Da molto tempo, sognavamo di fare un viaggio in quel paese meraviglioso dei Faraoni, per ammirare le famose Piramidi e gli altri monumenti faraonici. Forse questa è la volta buona per organizzare un'escursione nel vecchio e bellissimo Egitto.
Quel sogno onirico, nel periodo della nostra convalescenza lo abbiamo realizzato. Abbiamo trascorso un periodo di riposo sulle calde spiagge delle coste del Mar Rosso, dove abbiamo fatto non solo i bagni di sole ma anche quelli di mare. Prima di visitare le antiche Piramidi, siamo saliti sul deserto del Sinai, dove abbiamo ammirato grandi distese di sabbia rossa, montagne arrotondate dal venti e lontani orizzonti, dove l'occhio si perde nella sua enorme vastità, da dove non si vede la fine. È un mondo tutto particolare, dove solo i beduini del deserto sanno trovare il loro habitat sotto il sole cocente, Ogni escursionista, che i beduini, sotto il sole indossano il grande foulard di Arafat. Lo abbiamo indossato anche noi. Abbiamo navigato sul Verde e meraviglioso Nilo e ci siamo fermati ad ammirare le millenarie Piramidi, scoprendo i segreti dell'Antico Egitto. Ci siamo fermati inoltre ad ammirare la Grande Sfinge che volge il suo sguardo verso il sole che sorge, custode silenziosa dei segreti dell'Antico Egitto. Dietro di lei, le grandiose Piramidi di Ciza, tombe maestose costruite per assicurare il passaggio dei faraoni alla vita ultraterrena. Bisogna ritornarci, per completare il nostro viaggio in quel paese senza orizzonte, dove le sue meravigliose bellezze ti fanno vivere un mondo diverso con la storia del passato, un mondo bellissimo e meraviglioso di quel paradiso terrestre che si chiama Egitto.

Ma che cosa è il sogno?
IL sogno, scriveva Massimo Rinaldi , è un immancabile accompagnatore delle nostre notti. . Alcuni ricordano i propri sogni ogni mattina e con facilità; altri, invece, solo raramente trattengono le immagini di un qualche sogno oltre il risveglio, magari solo quando esso è a forte contenuto emotivo. C'è anche chi afferma di non ricordare mai i sogni al risveglio. Tutti, tuttavia, sogniamo ogni notte più volte. Gli studi degli psicologi e dei neuropsichiatri hanno dimostrato che non è possibile non sognare e che, anzi, la fase del sonno con sogni (chiamata R.E.M., ossia Rapid Eye Mouvement, a causa del fenomeno dei movimenti oculari che si verificano concomitantemente) si ripete ogni notte più volte, con un ciclo di circa quindici - venti minuti ogni novanta. Ma ci domandiamo che cos'è il sogno? Abbiamo appreso da continue letture e ricerche che sono state fatte numerose affermazioni in merito: per alcuni ricercatori di orientamento neuro-fisiologico esso è il guardiano del sonno, poiché difenderebbe il sonno dagli stimoli sensoriali; per altri, invece, è una specie di esercizio cerebrale a vuoto, utile alla fisiologia neurale. L'aspetto più incongruo, per essi, è nella sua significatività: il sogno non risulta indifferente al sognatore, ed emozioni e impressioni dense di significato si affollano frequentemente in esso. I neurologi non si occupano molto di questo aspetto, che risulta il meno comprensibile alla scienza. Dobbiamo ammettere tuttavia, fenomeno logicamente, che il sogno ha un valore ed un significato psicologico, che si interseca e si correla con quello fisiologico. Da questo punto di vista, esiste una letteratura scientifica alquanto ricca - almeno, per chi accetta di considerare scientifica la psicologia di orientamento analitico.
Da studi e ricerche effettuate, è risultato che sull'interpretazione dei sogni Sigmund Freud ha edificato il metodo di indagine psicoanalitico. Esattamente cento anni fa, nel 1899, egli dava alle stampe il libro omonimo, che costituisce il vero e proprio manifesto del metodo psicoanalitico. Dobbiamo salutare in esso la svolta nell'approccio allo studio e al trattamento dei disturbi nervosi e la nascita della psicologia clinica. Da queste indagini, abbiamo compreso che l'interpretazione freudiana del sogno si basa essenzialmente sul metodo delle libere associazioni, e poggia sulla concezione del sogno come manifestazione del desiderio, la cui espressione viene però mascherata dall'azione della censura onirica. Inoltre, per Freud il desiderio è essenzialmente di natura sessuale, per cui il sogno esprime sempre un desiderio sessuale, attuale o pregresso. La tecnica interpretativa freudiana risulta così riduttiva, poiché esclude ogni altro significato e finisce col riportare tutti i contenuti onirici a manifestazioni sessuali. Questo è il limite proprio della psicologia freudiana, incentrata sulla teoria sessuale della libido.
Da questo indirizzo risolutivo per un'interpretazione dei sogni più aperta e più profonda, e quindi più efficace per raggiungere la psicologia del paziente, lo ha dato Carl Gustav Jung, con la sua concezione di psicologia del profondo non riduttiva alla sola sfera sessuale. Il metodo, tecnicamente, è in parte simile a quello freudiano, poiché anch'esso utilizza le libere associazioni. Se ne differenzia, invece, in quanto l'interpretazione si basa anzitutto sull'analisi del contesto, che comporta l'esame della struttura drammatica del sogno, la "storia" che viene raccontata; e inoltre poiché nella ricerca del significato delle immagini e dei simboli alle libere associazioni viene affiancata l'amplificazione, che consiste nell'individuazione di similitudini e analogie tratte dalla vita spirituale dell'umanità intera, ossia dai miti e dalle leggende dei vari popoli, dalle fiabe, dalla letteratura. La ricerca del significato dei sogni, in questo modo, viene riportata alla dimensione globale dell'esistenza del sognatore, ai significati che egli vive interiormente e le esperienze che ha attraversato Quindi, il nostro sogno fatto sotto l'azione dell'anestetico, ci ha portati lontani in un mondo da noi precedentemente sognato ad occhi aperti, mentre la totalità della psiche e venuta così riconosciuta nell'articolazione dei valori e dei significati, e nella varietà dei sentimenti e delle emozioni attraversate durante la durata dell'effetto dell'anestetico. Sicuramente, come abbiamo sopra accennato, è scaturito dalle letture storiche e turistiche che abbiamo fatto prima di essere sottoposti all'intervento chirurgico del " Talcaggio".

Alle porte del Sahara
Itinerario escursionistico in Tunisia

Dopo la visita di quello che rimane dell'antica Cartagine e delle Terme di Antonio, che sono state soprattutto molto interessante, soprattutto per i ricchi siti e per la loro storia millenaria, la seconda escursione ci ha portati alle porte del Sahara, dove fa bella mostra di se il magnifico Colosseo Romano di El Jeam, il villaggio primitivo di Mantmata, luogo in cui si è girato il film Guerre Stellari di Zaafrane e mèharèe all'ora del tramonto. Abbiamo trascorso la notte sotto le tende beduine sotto quel cielo stellato del deserto. Il giorno successivo abbiamo attraversato il Chott El Jerd, immenso deserto di sale per raggiungere lo scenario naturale del film "Il Paziente Inglese" e di Fort Sagane nell'Atlas Sahariane dove abbiamo scoperto le oasi arroccate di Chébika e di Tamezza con i loro cayon, cascate e vecchi Douar. Dopo il pranzo, abbiamo effettuato una sosta nella Medina di Kairouan.

LA CITTA' SANTA DÌ KAIROUAN
Kairouan, costruito da Abu Kibrahin ( IX sec), è uno dei 14 bacini - serbatoi di acqua potabile alimentati dell'acquedotto di Chericheta e dalle precipitazioni. L'acqua captata a 36 km ad ovest arrivava prima in un bacino di decantazione di 37,40 e successivamente in un grande bacino poligonale, al centro del quale sorgeva un padiglione, luogo di riposo degli emiti.
Spesso si cade nell'equivoco di ritenere che un luogo esotico debba necessariamente essere lontano da casa nostra e non ci rendiamo conto di quanto vicini possano essere certi siti culturalmente e storicamente affascinanti. Kairouan, a soli 160 km a Sud di Tunisi, è uno di questi.
Kairouan, é la quarta città santa dell'Islam dopo La Mecca, Medina e Gerusalemme. Secondo la tradizione, sette pellegrinaggi a Kairouan possono sostituire il pellegrinaggio alla Mecca, obbligatorio almeno una volta nella vita, per ogni musulmano.
Quando si arriva in città, in mezzo ai colori sabbiosi dell'orizzonte, ci accoglie un immenso monumento raffigurante un grande tappeto nel quale, le variopinte tessere di marmo ci ricordano che Kairouan è la patria del tappeto tessuto a mano. Donne di tutte le età sono accovacciate dinanzi ai loro telai e tessono i loro tappeti ripetendo a memoria schemi che si tramandano da madre in figlia. Se ne producono tre tipi: - Alloucha: tappeto di lana annodato dalla prevalenza dei colori marrone, nero e bianco; - Zerbia: tappeto annodato dai colori molto vivi; - Mergoum: tappeto tessuto al telaio con decorazioni geometriche. Se ne trovano anche in seta ma sono decisamente più costosi. Immense mura risalenti al 1052, racchiudono la città e richiamano alla nostra mente teorie medievali senza castelli merlati, ponti levatoi e cavalieri in armatura richiamano alla nostra mente storie di harem e sultani, di astronomi e matematici il suo nucleo è più antico e risale all'anno 671.
Dal 700 al Mille Kairouan è stata la splendida capitale araba della Tunisia. Prima ancora di entrare in città si vedono due cisterne monumentali risalenti all'anno 800: mentre Carlo Magno si faceva incoronare imperatore, gli aghlabiti costruivano questi enormi bacini per la raccolta e la decantazione dell'acqua. A sottolineare l'importanza religiosa della città vi è la Grande Moschea dedicata al generale Okba, fondatore della città: il visitatore si sperde nell'immenso cortile e più ancora ammirando la sala del culto occupata da ben 414 colonne. E' impressionante il "mihrab", la nicchia che segna la direzione della Mecca: é piastrellata di maioliche con trasparenze metalliche di cui non esiste più la tecnica. Ancora più importante, dal punto di vista religioso, la Moschea del Barbiere, dedicata a Abu Djamal el Balauy che accompagnò il Profeta fino alla morte, quando strappò alcuni peli della barba di Maometto e li portò con sé in Tunisia.
La moschea è piena di stucchi, intarsi e maioliche e vale proprio la pena di visitarla. Ma non sono solo queste le perle di Kairouan: di fronte alla Grande Moschea vi è un Museo Islamico in cui sono esposti esemplari dell'oreficeria araba medievale, ceramiche, pagine del Corano ed una vasta collezione di monete. Vi sono, ancora, Moschee minori tra le quali segnalo la moschea delle sciabole. I souk non sono dissimili da quelli già descritti nella mia opinione su Sousse E' un peccato andare in Tunisia e non visitare Kairouan Soprattutto se si dovesse avere la fortuna di essere accompagnati da una guida come la nostra: parlava correntemente cinque lingue ed aveva una cultura ammirevole. Con la sua voce calma e serena ci ha preso per mano guidandoci tra i riti della circoncisione, ai quali assistemmo casualmente, ed i corridoi del museo, insegnandoci a leggere negli sguardi degli anziani e nelle rughe delle donne che tessevano, la storia millenaria del suo Paese.
La Medina di Kairouan si presenta come un dedalo di stradine che corrono lungo case dai brillanti colori bianchi, ocra e blu. I colori bianchi delle case fanno riflettere il sole, mentre il colore blu delle porte e delle finestre fanno allontanare le mosche e le zanzare.
La storia di questi luoghi ci racconta che la Città Santa di Kairouan è una delle tante città sante dell'Slam, che vanta origini leggendarie. Si vuole che quando Uqbah Ibn Nafi, generale del califfo Omayyade Muawiyah, giungesse in questo luogo nell'anno 50 dell'Egira ( 672 d C.)
Vi trovò un calice d'oro perduto anni prima alla Mecca. Qualche tempo dopo le zampe del suo cavallo fecero zampillare una fonte le cui acque sembravano ".Provenire dal pozzo sacro di Zemzem, nel santuario della Caaba. Di fronte a tali presagi straordinari, Uqbah piantò la sua lancia nel terreno e, dopo aver ordinato a serpenti e scorpioni di abbandonare il luogo, proclamò la fondazione di al- Quyrawan, l" Accampamento.

Il DESERTO DEL SAHARA
Al termine della visita della città santa di Kairouan,, abbiamo lasciato quella magnifica località storica e paesaggistica e ci siamo avviati verso le porte del deserto del Sahara. Quelle sono terre lontane dal nostro vivere quotidiano, dove la vita procede a piccoli passi, ma sono soprattutto luoghi ricchi di fascino dove il sole infiamma il cielo con le sue spettacolari albe e i suoi stupendi tramonti, colorando la selvaggia natura che ti circonda, mentre la notte scende lentamente presentandoti un cielo traboccante di stelle, che invita la selenica luna a contemplarsi e a specchiarsi in quel mare di sabbia rossastra bruciata dal sole; dove il silenzio non è silenzio, dove ti perdi e poi ti trovi, dove ogni uomo trova il proprio spazio per meditare, per pregare e per riflettere in quel paesaggio astratto, lunare e metafisico, dove traspare il sentimento della realtà di un modo diverso senza contrasti e prepotenze. E' un luogo da eremiti, dove regna la solitudine e il muggito del vento della sera, che viene dai grandi spazi interstellari, dalle marine senza risucchi dalla luna fredda e luminosa. Viene di là dei tempi, dalle epoche anteriori ai mondi, da dove i mondi non esistono.
Ogni tratto del deserto del Sahara ha un nome proprio, a sottolineare che si tratta di vere e proprie "isole" con caratteristiche proprie, anche se dai limiti imprecisati, all'interno della desolazione sahariana. Giunti in questi luoghi di un mondo diverso, un mondo da noi poco conosciuto e che non rispecchia minimamente nessuna delle regioni del nostro meraviglioso Paese. Ecco perché, è un mondo diverso, un mondo bellissimo che non avevamo mai visto prima nella nostra esistenza. Proseguendo a bordo del fuoristrada, incontriamo una località dove vi sono imponenti massicci tunisini che hanno i loro contrafforti meridionali. Quel massiccio montuoso il cui isolamento consente la sopravvivenza di specie animali altrove estinte. Queste montagne presentano un marcato carattere subdesertico, con paesaggi dominati da guglie scoscese e spoglie, separate tra loro da profonde valli e aspre gole, un tempo sicuramente percorse da fiumi e valli verdi. Verso est le montagne cedono il posto alle pianure rocciose, sostituite poco a poco da terreni sabbiosi, dune e vallate bruciate dal sole: è il grande altopiano Tunisino del Sahara.
Il vento è il grande modellatore dei paesaggi del Sahara, come la neve e i ghiacciai sulle nostre stupente montagne e le Dolomiti. A causa del suo peso, la sabbia trascinata dalle raffiche non si solleva molto da terra - meno di due metri - e compie un incessante lavoro erosivo nelle zone più basse delle rocce e delle montagne. Le parti più friabili si consumano e svaniscono, lasciando quelle più resistenti in rilievo e formando le cosiddette rocce " di setola". Il potere abrasivo del vento e della sabbia accentua i solchi preesistenti, producendo profonde scanalature, separate da creste affilate note con il nome di yardangs. Le pietre sgretolate tendono a lucidarsi e a consumarsi, prima su di una superficie e poi, perso l'equilibrio, su l'altra, In questo modo presentano alternativamente all'azione del vento una superficie nuova.

LA VITA NEL DESERTO
Quelle località che abbiamo avuto il piacere di visitare, sono dominate da forme di vita sahariana, adatte a condizioni climatiche estremamente aride. Inoltre, il massiccio delle montagne risulta essere anche un'isola di vegetazione tipica del Sahara Tunisina, che ha potuto conservarsi dall'Olocene. Tra la vegetazione arborea, limitata agli uadi e ad alcune zone del massiccio, risaltano due acacie ( Acacia albina e Acacia ehrenbergiana) un giuggiolo ( Zizyphus spina- cristi) la specie Balanitnes aegyptaca, dal frutto commestibile e con semi oleosi, e l'arbusto Salva Dora persico, che da, oltre a frutti commestibili, rametti che masticati sono un eccellente detergente per i denti. La vegetazione erbacea si riduce a folti cespugli di graminacee perenni e ad alcune piante come Aerva javanica, Percolarla tormentosa. Schouwia thebaica e Chorzophora brocchiana, fondamentalmente per la fauna erbivora in quanto commestibile.

IL VENTO DEL DESERTO
Il Vento. Quando il vento aumenta d'intensità, il paesaggio circostante è avvolto da una polvere fine che danza vorticosamente, la sabbia rossa si insinua dappertutto: occhi, capelli, abiti, auto, cibo. Ti attornia completamente e mentre parli la senti scricchiolare persino sotto i denti. Ma la cosa strana è che dopo i primi cinque minuti di disagio diventa più naturale che questo mondo.
Durante la nostra escursione in quel paesaggio lunare, astratto e metafisico, in quel paesaggio irreale fatto di sabbia, di luci e colori, nonché di piccole dune che ora ci sono e più tardi sono del tutto scomparse, abbiamo incontrato dei piccoli villaggio che si trova ai margini di un palmeto, è un paese povero, le sue vie non sono asfaltate, oppure battute, sono di sabbia, le sue poche case sono modeste e anch'esse costruite con la sabbia ed erbe secche impastati insieme, formando un adobe, che alcuni anni fa abbiamo incontrato nel cuore dell'Arizona, lungo i sentieri che portano nella Monument Vally negli Stati Uniti d'America, villaggi interi costruiti con la stessa tecnica. Abbiamo visto che la vita qui è semplice e tranquilla. Non è un paese turistico, ma è un piccolo agglomerato di piccole case dove abitano le persone e le loro capre. Con il nostro ritmo frenetico ritrovarsi in quest'oasi tranquilla nell'aria solo il rumore del vento che scuote i palmeti e il belare delle caprette e il ruminare dei cammelli, ti da una sensazione di pace interiore, tanto che ti dà l'impressione di vivere in un'altra dimensione, in un altro mondo. Il nostro autista posteggia il fuoristrada nel cortile della casa di un suo amico, che tutte le volte riesce a portare dei turisti italiani si appoggia da loro. Nel piccolo cortile vi sono alcuni bambini che giocano con dei giocattoli costruiti da loro stessi, come del resto succedeva nel borgo antico di Cosoleto, che mi ha dato i natali. Vedendoli giocare con tanta serenità, con quei giocattoli rudimentali, con la mente ritorno indietro nel tempo e mi rivedo con i miei amici d'infanzia nel piccolo borgo aspro montano. Quel gruppetto di bambini scalzi, ci corrono incontro, ci chiedono dei giocattoli europei, dei quaderni e delle penne o delle matite. Non abbiamo portato con noi dei giocattoli, perché non sapevamo di incontrare quei simpatici bambini, che si divertono con niente. In quella sabbia rossa e infuocata dal sole. Ci regaliamo alcune magliette, poche biro e un'agenda di viaggi ancora vergine, li facciamo contenti e subito scappano via. Un anziano signore con la barba bianca, parlando dei ragazzi, ci dice: - Ah, quei ragazzi! - spiega mentre entriamo nella loro modesta casa, costruita di sabbia e di paglia.-Saltano le lezioni per accompagnare i turisti che vengono dalla città di Hammamet e invece bisogna che ci vadano, a scuola, se vogliano migliorare una nazione moderna. Dalla città, due giorni alla settimana sale un maestro, ma le lezioni sono poche, se consideriamo che quasi sempre vengono marinate.
Prima di entrare, aspettiamo qualche minuto nella penombra dell'andito, costruito con dei rami di dattero, per abituare gli occhi all'oscurità. I miei occhi malati fanno fatica ad abituarsi, quindi entro per ultimo. Appena entrati in quella stanza quasi buia, con le pareti coperti da magnifici tappeti che la padrona di casa tesse con il suo rudimentale telaio. Quella visione, mi rammenta un'altra località degli S: U, d'America nella Mesa Verde, del Nuovo Messico, che anche lì, una signora indiana stava tessendo, al centro della stanza su di un rudimentale telaio un magnifico tappeto, con disegni ripetitivi delle antiche tribù.
Abbiamo compreso che lassù, nell'altopiano del Sahara, l'ospitalità è sacra. Nel piccolo paese costruito di sabbia e rami di palmizi, veniamo ospitati nella casa del patriarca, un uomo anziano con uno sguardo pieno di dignità avvolto in un pastrano blu che si siede in disparte osservando tutto in silenzio, coccolando il più piccolo della grande famiglia mentre i bambini si siedono rispettosamente vicino all'anziano signore, formando un quadro di famiglia d'amore e devozione. La signora che stava al telaio, ad un cenno del capo famiglia, si alza e va nell'altra stanza a preparare, come spesso si usa da quelle parti, una tazza di te. Alla parete della rustica camera- soggiorno - laboratorio, vi erano appese delle vecchie fotografie dell'ultimo conflitto mondiale del 1945. Vi erano alcune foto che ritraevano lo sbarco degli Angloamericani ed altre con il ripiegamento degli Italiani e dei Tedeschi. Egli ci ha spiegato che era molto amico e confidente degli italiani. Dopo il te, con i dolcetti tunisini, abbiamo salutato il padrone di casa ed il resto della famiglia che, con tanta cortesia, ci avevano dato ospitalità nella loro modesta casa nel cuore del deserto del Sahara tunisino. Appena usciti incominciava a soffiare il vento, mentre la sabbia formava dei mulinelli insidiosi. Con la sciarpa di seta bianca che Adriana aveva nello zainetto, ci siamo fasciato il viso e protetto gli occhi. Non ci sono occhiali che tengono lontano quella polvere finissima, che penetra dappertutto. Saliamo sul fuoristrada e subito dopo partiamo verso la tappa successiva. Il tempo si è visto subito che era cambiato, e dopo il vento è arrivata anche la pioggia: una pioggia fredda, che cadeva con una certa densità. Il fuoristrada faceva fatica ad avanzare, perché la pista era sparita parzialmente, si procedeva ad occhio, perché l'autista conosceva perfettamente i luoghi. Verso sera, siamo arrivati in un altro piccolo villaggio di nomadi, costituito da tende beduine fatte di pelle di capra. In questo accampamento siamo stati accolti con amicizia ed il pastore più anziano, per la cena, ha scozzato un capretto e lo ha preparato per farlo arrostire. Lassù non c'era legna, ma il fuoco era alimentato con lo sterco secco dei cammelli. E' stata un'ottima cena attorno al fuoco Nei tre giorni della nostra escursione nel Sahara, abbiamo visto soltanto un meraviglioso tramonto, mentre gli altri due giorni è sempre piovuto.
Questo è il racconto di un viaggio nel deserto del Sahara in trasformazione. Di là della "facciata" moderna trapelano ancora - scendendo lungo i sentieri, le strade e le piste del deserto. Le strutture antiche dei Romani. Nelle tende dei Beduini nei villaggi e nelle città imperiali c'é ancora un mondo fertile di nuove sensazioni. Per descrivere quel paesaggio così bello, ci vorrebbe la prosa semplice e chiara di un bravo narratore e non un modesto principiante come noi, per fare riflettere un'osservazione diretta della realtà e di quella meravigliosa e selvaggia natura e di comporla in un quadro efficace, come un bel quadro dipinto da un bravo pittore estemporaneo del nostro tempo.

Escursione a Tunisi e a Cartagine
Verso le ore 7,30 del 24 sett. Il torpedone ha lasciato il piazzale dell'Hotel Hammamet - Serail e si è diretto verso il centro della città di Hammament, dove nella Piazza antistante al Palazzo del " Casinò", sono saliti altri turisti, completando così i posti a sedere del torpedone. Fuori della città balneare di Hammamet, si è immerso sull'Autostrada che ci ha portati nella città di Tunisi.
Prima che il pullman lasciasse la città. Di Hammamet, incontriamo un agglomerato di case basse e bianche, dove il sole riflette la sua calda luce. Il paesaggio si fa meno arido e la dorsale appenninica più vicina Guardando attraverso il finestrino, ci siamo accorti che più si procedeva verso Nord e più la campagna era diversa. Si notava che aveva subito una vera metamorfosi. Non era più quella campagna arida e desertica che avevamo attraversato per giungere ad Hammamet da Monastir. Le basse colline erano illuminate dai primi raggi del sole e la verde campagna, con i caratteristici vigneti e uliveti. Vi erano vasti appezzamenti di terreni coltivati a frutteto. Le montagne incominciavano ad assumere una certa altezza, senza superare i mille metri di quota. Erano montagne brulle e senza alberi, mentre la campagna era coltivata ad ortaggi. Verso le ore 9 circa, abbiamo lasciato l'Autostrada e siamo entrati nella città di Tunisi.
La prima cosa che abbiamo visitato è stata appunto la Medina: Un lungo budello o carruggio, come si dice a Genova, che inglobava una miriade di piccoli negozietti, dove si trova di tutto e di più, il tutto a poco costo. Questa è il Suk di Tunisi. E' un luogo caratterizzato da colori e di negozi che ostinatamente ti invitano a comperare la loro merce regolarmente falsificata. Lasciamo la Medina e facciamo ritorno al luogo di partenza. Ci troviamo nel luogo più alto della città, dove si trova il luogo più alto di Tunisi. Su queste bellissima collina sorge il centro politico e religioso della città mediterranea. Sulla bellissima piazza dietro il caratteristico monumento sorge il Municipio, scattiamo una serie di fotografie ricordo della stupenda Piazza, allo sfondo la grande Moschea e gli edifici del Governo.

Il Museo archeologico del Bardo

Per visitare il più importante museo di Tunisi, occorre invece uscire dal centro storico della- città, ma ne vale davvero la pena. Attraversiamo la città e il pullman si è andato a fermare all'interno di un meraviglioso giardino antistante al Museo archeologico del Bardo. Dove nelle sue vaste stanza, sono raccolte moltissime opere che illustrano il passaggio dei Romani, dei Greci e dei Bizantini. In moltissime pareti delle stanze dell'edificio, trovano collocazione importanti e famosi mosaici romani, che in passato adornavano le bellissime ville dei Romani. Sono sicuro che neppure nei Musei dia Roma, vi sono tanti mosaici e statue Romane. In una delle tante sale, abbiamo ammirato con interesse è anche fotografato, il famoso ritratto del grande e famoso poeta romano Ovidio, che affiancato dalle sue due bellissime muse, stava scrivendo forse la tragedia di Medea. Abbiamo ammirato a lungo, le numerose opere lasciateci dagli artisti Bizantini, che però non raggiungono la bellezza e la perfezione dei mosaici degli artisti Romani. Queste stupende opere sembrano dei raffinati tappeti orientali, che adornavano le sale da pranzo e i salotti delle bellissime ville romane.

Questa è stata la prima escursione organizzata dal personale dell'Hotel nella città di Tunisi, che è la capitale della Tunisia che conta 900.000 abitanti, che arrivano a 1 milione e seicentomila se si considera anche l'area metropolitana. In Tunisia siamo stati alcuni anni fa e precisamente a Madia Beach, un'altra località molto rinomata per la sua lunghissima spiaggia di sabbia bianca ed un mare bellissimo, senza parlare del suo limpido cielo e dell'aria fresca che spira da Nord, è senza dubbio, come la cittadina balneare di Hammamet, che ci ospita quest'anno, sono entrambi meravigliose e celebrate località balneari, dove ognuno di noi può trascorrere la propria vacanza, senza di essere minimamente disturbato.

Il Museo è situato nel sobborgo di cui prende il nome, il Museo del Bardo è ospitato in uno splendido palazzo del XII secolo e raccoglie i più bei reperti rinvenuti nei siti archeologici dell'intera Tunisia. L'esposizione è divisa in sezioni storiche (epoche cartaginesi, romana, cristiana e arabo-islamica), ma il pezzo forte del museo rimane é la collezione di stupendi mosaici romani che decoravano le ville romane costruite nella Provincia d'Africa fra il II e il IV secolo d.C. per completare la visita non manca che il Parco Archeologico di Cartagine, non aspettatevi comunque di vedere grandi cose perché la maestosa città fenicia venne rasa al suolo subito dopo la conquista romana e di quella edificata dai vincitori non rimangono che pochi resti, tra cui quelli meglio conservati riguardano le Terme fatte edificare da Antonino Pio in prospicenza del mare. Più interessante si rivela la visita del caratteristico paesino di Sidi Bou Said a circa 17 Km. da Tunisi. E' un paese che ricorda molto da vicino le atmosfere dei paesi delle isole greche, come quelle di Rodi e di Creta, che negli anni scorsi abbiamo avuto modo di visitare, incominciando dall'architettura delle case ai toni pastello bianchi e azzurri, ai fiori e alle piante di buchenvil, che si fanno largo tra una casa e l'altra dentro minuscoli giardini ed è un vero piacere passeggiare tra le sue stradine e fermarsi a chiacchierare con gli abitanti del luogo e a bere un tè in dei bar che sulla piazzetta principale si affacciano a picco sul mare sopra la minuscola spiaggia del paese. Sostando con Adriana mia moglie ed altri amici su quegli affacci mozzafiato, da dove si ammira un paesaggio bellissimo che si perde all'orizzonte, spesso ci ha fatto pensare alla meravigliosa costa Amalfitana, con i suoi piccoli giardini, dove germogliano i profumati limoni, la zagara e le piante officinali.
Al termine della visita nel Museo del Prado, il nostro torpedone, ha attraversato la grande città, dirigendosi verso il porto. Anche in questa località abbiamo visto che molti cantieri sono attivi, per completare un'imponente opera stradale di collegamento. Le spiagge, verso il Lido, sono molto belle e ben tenute e il paesaggio si perde verso l'orizzonte, fra cielo e mare.
Sicuramente non sono le spiagge abbandonate come quelle della periferia di Hammamet Serial, dove eravamo alloggiati per il nostro soggiorno tunisino.

CENNI STORICI

La città di Tunisié' situata nel Golfo di Tunisi ed è separata dal mare dal "Lac de Tunis".Tunisi si compone di tre parti con caratteristiche proprie: la vecchia città denominata Medina, al suo interno c'è uno dei siti più interessanti: la Grande Moschea di Zitouna ricostruita nel nono secolo sulla struttura originale del settimo. Gli architetti dell'epoca, come in passato è successo in tutte le grandi città del Mediterraneo e specialmente a Roma, per costruire la Basilica di S. Pietro, riciclarono i marmi che ricoprivano le mura del Colosseo. La stessa cosa è successo per la Mosche di Zitouna, riciclarono, per questa costruzione, 200 colonne della distrutta Cartagine per farne l'atrio della preghiera dei fedeli. Visitando la casbah e il suk, si incontrano luoghi intrisi degli odori e dell'atmosfera nordafricana. La città "Europea", con il suo volto di città moderna (solcata da lunghi viali su cui si affacciano grandi alberghi, i negozi e caffè), e di città araba, un labirinto di vicoli chiuso in un perimetro delineato dalle antiche mura (oggi scomparse) ed infine le aree povere e periferiche, chiamate Gourbivilles situate tutt'attorno alla città, che sconsigliamo per una visita turistica.

LE ROVINE DÌ CARTAGINE.

Come abbiamo detto sopra,oggi siamo giunti fin qui, sulle coste del Mediterraneo, in questa terra antica che si chiama appunto Tunisia, per visitare alcuni angoli della storia antica, che dalle elementari abbiamo studiato sui banchi di scuola, come per esempio, l'antica Cartagine. Sidi Bou Said, città fondata dai Fenici dai resti molto impressionanti. Abbiamo ammirato i resti del santuario di Tophet, i porti punici che furono all'origine della potenza cartaginese e le importanti Terme di Antonio che sono considerate le più vaste e le più sontuose dell'antichità. Ammirando questi scavi, ti dava la sensazione di ammirare i favolosi scavi di Pompei, con le se statue, le sue colonne, i suoi tesori e le mura ciclopiche che la circondano Abbiamo inoltre, nel tempo libero, girovagato attraverso le stradine del villaggio di Andalou di Sid Bous, un misto tra semplicità e raffinatezza che dalla sommità della sua splendida collina domina il golfo di Tunisi. Questi siti oggi fanno parte del patrimonio mondiale dell'UNESCO, quindi appartengono a tutta l'umanità.
Ma prima di addentrarci nel cuore del Paese, abbiamo voluto visitare i siti dove la loro storia ci raccontano quel lontano passato.

Al posto dell'antica Cartagine, che fu una delle più potenti città del suo tempo, si estende oggi una regione molto affascinante e ricca. Situata lungo un mare dalle tinte turchesi, che talvolta prende le sfumature di una laguna, una successione di graziosi villaggi - L'Arsa, Sidi Bou Said, Cartagine - costituiscono la periferia elegante della Capitale (Tunisi), volta ai divertimenti e alla cultura.
Vicina a Tunisi, è ricca di un prestigioso passato, rivolta verso il mare e i suoi piaceri, la regione delle Coste di Cartagine è la capitale per eccellenza d'una certa arte di vivere Tunisina. Le case circondate da cipressi e buganvillee, s'allineano in una bianchezza smagliante. In estate i venditori di gelsomini spandono le loro essenze, in ogni angolo delle vie
I Caffè mori sono accoglienti e si aprono su terrazze soleggiate, come il famoso Cafè de Natici, a Sidi Bou Said, o il Cafè Saf-Saf a La Marsa, celebre per il suo pozzo e il cammello che pesca l'acqua con l'aiuto di una "noria" (una ruota idraulica). Numerosi ristoranti offrono una cucina solare e ricca di sapori del mare, affondando le proprie radici in un patrimonio culinario antico. Gallerie, mostre, laboratori d'artigianato d'arte, centri culturali hanno eletto domicilio questa regione che vive al ritmo di numerosi spettacoli e festiva): festival estivo di Cartagine, l'ottobre musicale, il festival del cinema, concerti di musica arabo-andalusa
Il nome di Cartagine è ricco di memoria. Fondata dalla principessa fenicia - Elyssa, soprannominata Didone - l'antica città fu la potente nemica dei Greci, poi di Roma, di cui le "Guerre puniche" ne hanno segnato la storia. Il suo sito, in parte ricoperto dalla città moderna, resta impregnato del ricordo della sua gloria passata. Cartagine,come ci racconta la storia, era anche una civiltà raffinata, commerciale, aperta alle altre culture del bacino mediterraneo. II sito ne ha conservato le vestigia: il "Tophet", santuario coperto di steli; i quartieri d'abitazioni; le case ben disegnate e confortevoli e i Porti punici, simbolo della potenza marittima della città, che fu devastata durante la conquista romana da un gigantesco incendio alcune tracce sono ancora visibili sul posto.
Il Museo Nazionale di Cartagine espone molti steli incisi, tombe, piccoli locali allineati lungo l'alberato viale che porta al Castello per bambini, statue, amuleti ed altri ricordi di questa Cartagine prima di Roma. Conquistata e poi ricostruita, Cartagine conobbe una seconda vita. Città romana esemplare, i suoi monumenti si avvicinano, per le loro dimensioni e la loro magnificenza, a quelli della metropoli Romana: le Terme d'Antonino, che sorgono nel centro del Parco, che costituiscono il sottosuolo monumentale ed alcune colonne spezzate e sistemate all'interno del sito archeologico ed altre di un'altezza vertiginosa che bucano il cielo: il teatro, che si anima ogni estate durante il festival... Le vestigia di ville, le statue ed i mosaici presentati al Museo evocano una vita di fasto e di piaceri, mentre i resti di Damous El Karita, enorme cattedrale, richiamano l'adesione precoce dell'Africa romana al cristianesimo
La sontuosa bellezza del paesaggio e la tranquilla armonia delle costruzioni bianche e blu si coniugano per fare di Sidi Bou Said uno dei più seducenti villaggi del Mediterraneo. Scivolando dalla cima della collina, arroccate ad un picco di terra rosseggiante, ordinate saggiamente lungo stradine in pavé, le case nascondono degli interni raffinati dietro moucharabieh blu, griglie a volute e lussureggianti cespugli d'ibisco e di buganvillee. La moschea del santo Sidi Bou Said innalza il suo fine minareto bianco dietro il Cafè des Nattes, il più famoso Caffè moro di Tunisia. Dall'alto del paese, un faro veglia sul vecchio cimitero. Il paesaggio marino che si stende davanti alla collina è intriso di poesia : il sottile chiaroscuro del mare, il profilo brumoso delle alture del Cap Bon, che in lontananza chiudono il golfo... mentre in basso si fremono le vele bianche nel piccolo porticciolo. Non bisogna saltare la visita del palazzo orientalista del Barone d'Erlanger, una vera sinfonia di decoro tradizionale arabo- Andaluso, e il suo museo di musica maghrebina. La regione delle Coste di Cartagine conta alcuni dei più bei palazzi della Tunisia. Colonne antiche, patii andalusi, piante esotiche, opere d'arte... La raffinata cornice, sia in stile puramente tunisino o più contemporaneo, si combina alla qualità del servizio e delle prestazioni culinarie per soddisfare le esigenze di un soggiorno di prestigio. Le sue belle spiagge circondate da dune e colline sono l'ideale per vacanze rilassanti e con la famiglia. La scelta dell'alloggio va dal semplice hotel-resort ad alberghi più lussuosi. In estate, ci si dedica ai bagni e agli sport nautici. In ogni stagione, altre attività sono possibili come l'equitazione o il golf. Si può esercitare il proprio swing al Golf di Cartagine (18 buche), un percorso stimolante e molto affascinante all'ombra di mandarini ed eucalipti centenari. Non bisogna dimenticare i numerosi luoghi di divertimento come night-club, bowling... Alcuni alberghi tra i più sontuosi offrono anche uno scrigno seducente per le cure balneoterapiche o di talassoterapia - queste utilizzano esclusivamente l'acqua di mare. Docce, bagni, massaggi e trattamenti:serenità e benessere sono un appuntamento... L'accoglienza sorridente, trattamenti personalizzati, l'abilità e la professionalità del personale hanno reso famosi la reputazione di alcuni centri di cura. Noi, ci siamo accontentati dei semplici bagni di sole, perche le acque del mare erano alquanto fredde. Le nostre giornate le abbiamo trascorso ai bordi della grande e bella piscina, circondata dal favoloso parco.

Racconto Escursionistico in Tunisia
E tempo di vacanze
Sì, è veramente così, è proprio tempo di vacanze. Qualcuno si potrebbe domandare e sicuramente se lo domanderà senza altro, come mai questi continui viaggi? Avrà vinto un terno all'otto? Tranquilli, non c'è nulla di tutto questo, magari avremmo vinto un terno all'otto. Ogn'uno di noi è padrone di fare quello che più ci aggrada, sempre nei limiti consentiti della possibilità, si capisce. Noi diremo che chi ha tempo e di tempo noi pensionati ne abbiamo molto, non aspetta tempo, perché, come recita un verso del Decamerone:Quindi facciamo festa perché di domani non c'è certezza". Il noto psichiatra e sociologo Paolo Crepet così scrive in un suo articolo dedicato alle vacanze "Credo che esistano vacanze terapeutiche. Esse rappresentano l'esatto contrario di ciò che si fa abitualmente a casa, in città. Una prima regola è quella di fare il meno possibile: imparare a oziare è lo sport più bello e salutare che esista, in quanto elimina tutte le tossine accumulate nei lunghi mesi lavorativi. Oziare ovviamente non vuol dire star fermi sotto l'ombrellone o impigrirsi, ma cercare e trovare qualcosa che ci avvicini ai ritmi di vita ormai perduti, quando i nostri padri o magari i nostri nonni, erano soliti fare, nelle giornate vuote e per far trascorrere bene il tempo, si perdevano fra le meravigliose colline con il caratteristico e storico famoso calesse, trainato da un baio cavallo. Il bello era il tempo per fare quelle passeggiate, che non era loro, ma seguiva il ritmo dell'animale. Si chiacchierava nel silenzio rotto dagli zoccoli, si ammirava il paesaggio e si sentiva il cinguettio degli uccelli e il fervore della natura. Oggi non sarebbe certamente possibile per via del traffico stradale, con tante automobili, camion e motociclette, che ti portano via persino il respiro.
Un esempio. Noi quest'anno, come abbiamo detto sopra, siamo stati in un bellissimo villaggio, sorto in una ridente località marina di Nocera Terinese, in provincia di Catanzaro. Anche qui abbiamo oziato, ma il nostro è stato un ozio costruttivo, abbiamo passeggiato sulla battigia, letto i giornali e oziato sotto l'ombrellone ai bordi della bellissima piscina dove abbiamo tracciato sulla vecchia agenda di viaggio, appunti, con i quali abbiamo composto diverse ed interessanti poesie che quei luoghi bellissimi con la loro antica storia della Magna Grecia, ci hanno ispirato e arricchito dentro.
Si , è proprio così, come abbiamo detto sopra, siamo appena ritornati dal soggiorno marino nella My Old Calabria, nel meraviglioso " Village" Temesa, che sorge nel comune di Nocera Terinese, e già ci stiamo preparando per partire nuovamente per le spiagge delle coste ventilate di Hammamet dal 22 Settembre al 6 ottobre 2008. Nel Sud della Tunisia, siamo già stati due anni fa, nel centro turistico di Madia Beach, una bellissima località ed una lunghissima spiaggia di sabbia chiara, finissima e dorata, tanto che potevi camminare senza scarpette e senza accusare la minima sofferenza ed eventuale infezione ai piedi, come spesso succede in altre spiagge turistiche.
Il nostro volo ha avuto inizio dall'aeroporto di Bergamo al Serio e diretto a quello di Monastir,(Tunisia).L'aereo, un Erbais di recente costruzione della Compagnia francese Nuvoler, stava rullando sulla pista. Mancava poco alla partenza. Il sole incominciava a sorgere da dietro le bellissime montagne bergamasche, mentre la luna e le poche stelle in cielo stavano per tramontare. Dall'oblò dell'aereo filtravano i primi raggi del sole e ciò ci facevano pensare ad una bellissima giornata. Il decollo è stato dolce e perfetto, sotto di noi scorreva un paesaggio bellissimo, attorniato dalle superbe cime delle Alpi Orobiche, più volte scalate con i nostri amici del CAI di Mantova. L'aereo si era posizionato ad un'altezza di 12 mila metri e viaggiava a 800 km/h Durante il volo, una leggera perturbazione aveva fatto oscillare l'aeromobile , ma senza alcuna conseguenza per i viaggiatori. Allo sbarco, dopo un breve controllo doganale, un pullman dell'Hotel, in poco meno di un'ora, abbiamo raggiunto la cittadina balneare di Hammamet e quindi l'Hotel "Hammamet Serail", che sorge nella periferia della cittadina e a 300 metri dalla spiaggia, circondato da un ombroso e bellissimo parco.
Fuori dalla città di Monastir,il torpedone ha imboccato una moderna autostrada che attraversa una grande pianura di un paesaggio piatto, arido e brullo e a tratti macchiato dal verde degli ulivi, senza mai incontrare un villaggio o case sparse. La Tunisia è il paese più a nord del continente africano. La sua posizione geografica le conferisce un'incredibile varietà di paesaggi: si va dalle alture di Kirimia, innevate nel per invernale, alle distese infuocate del deserto del Sahara, passando per le dolci discese di frutteti e vigneti di Cap Bon e per gli uliveti del Sagel. Gli oltre 1300 chilometri di coste lasciano immaginare la varietà di spiagge che la Tunisia può offrire. Tale varietà topografica influisce inevitabilmente anche sul clima che è di tipo mediterraneo al nord, caldo secco a sud e temperato sulla costa, dove l'autunno è dolce di giorno e freddo di notte: Un clima ottimo per fare i bagni di sole e raramente quelli di mare, perché l'acqua è fredda.

Dopo un'ora circa di viaggio, siamo giunti a destinazione nella cittadina balneare di Hammamet.in questo grosso, informe e chiassoso agglomerato di hotels, villette e villoni costruiti troppo in fretta e in modo disordinato in collina o in riva al mare. Il nostro pullman, dopo di aver attraversato la grande città si è andato a fermare davanti a quello che è stato il nostro Hotel " Hammamet Serail", che sorge alla periferia di questa decantata e celebrata località balneare, dove eravamo attesi per il pranzo. Subito dopo l'assegnazione delle camere ed il pranzo di mezzogiorno, abbiamo incontrato nel salone delle riunioni l'incaricato del Tour Peretur " Il Turchese", che ci ha illustrato il territorio, le condizioni sanitarie di quel paese e le varie escursioni che il turista poteva scegliere per conoscere i siti archeologici della Tunisia. L'Hotel Hammamet Serial, è un edificio costruito alcuni anni fa ed ancora è in perfette condizioni. Si entra nel parcheggio antistante l'Hotel a quattro stelle e come in tutti gli altri alberghi del luogo, si accede nel grande salone in stile orientale con una grande cupola centrale, dove si trova la Reception, assomiglia ad una di quelle dame della corte del re Sole, tutta cipria parrucca e profumi per nascondere cattivo odore, ma quando esci nel giardino dove si trova la grande piscina incorniciata da un giardino rigoglioso acceso dai colori di incredibili Bougainville, verdi ulivi e piante fiorite d'ogni genere. Appena entriamo in questo salone quasi rotondo: specchi e marmi a gogò. Tutto intorno è lustro e pulitissimo. L'arredamento è lussuoso, ma non bello. Tutt'attorno vi sono una serie di salottini con divani e poltroncine, stile barocco e rivestite in un tessuto che vorrebbe sembrare broccato con tappeti orientali, Non mancano le solite statuette e quadri dipinti da pittori tunisini. Immerso in questi pensieri in tutto quel luccichio di specchi, con la coda dell'occhio mi par di veder qualcosa che vola, un miniufo che non dovrebbe esserci. Ma sì, è proprio lei: una mosca! Mi vien da sorridere al pensiero che, in mezzo a tutte quelle cose finte, rimesso insieme senza gusto e senza misura, l'unica cosa vera, genuina e sincera è proprio lei. Provo una certa simpatia per quell'insetto che si è introdotto senza chiedere il permesso a nessuno, che rivela impietosamente e senza riguardi la presenza della spazzatura che giace, rimpiattata da qualche parte, nella forse, vana attesa che qualcuno la porti via. Fuori dell'Hotel Serail, vi è un grande campo abbandonato con rifiuti qua e là e resti di quello che fu il cantiere edile dai tempi in cui fu costruito l'albergo Hammamet Serial, mentre nei rovi di cinta brucano le capre. Insomma, il nostro è un Hotel di periferia, sebbene abbia quattro stelle. Il ristorante, come le camere e gli altri locali di uso comune erano sufficientemente puliti, solo la biancheria emanava un cattivo odore, dovuto forse ai detersivi che venivano adoperati. Il Ristorante:a servi service, sembrava quello di una mensa aziendale. Ogni giorno trovavi le stesse vivande, ma non mancava mai lo spezzatino con le patate o magari in umido, mentre il vassoio con le triglie al forno, un ottimo pesce, erano in mangiabili, perché non era sufficientemente pulito e squamato e quindi, in mangiabili. La pasta asciutta era insipida ed il sugo lasciava molto a desiderare, come il resto delle vivande. Per quindici giorni, perché tanti sono stati i giorno della nostra permanenza all'Hotel Serial, non abbiamo mai trovato nessuna variazione, vi erano sempre le stesse pietanza e al mattino sul tavolo vi erano i soliti dolcetti semi dolci, che a furia di stare lì sul tavolo erano diventati in mangiabili. Erano secchi ed insipidi.
Questa è Hammamet: dietro l'angolo delle strade degli hotel a cinque stelle, ritrovi le stesse cose che vedi nei vicoli di Beni Khalled o di Soliman: spazzatura per terra e liquami ai bordi delle strade. Va bene che la stagione balneare è finita, ma la spazzatura è rimasta agli angoli delle strade, non è stata portata via, ti sembra, specie nella periferia una città morta ed abbandonata Adesso vogliamo spendere due parole in merito alla spiaggia dell'Hotel. Serail. La spiaggia dista cinquecento metri circa dall'Hotel. Per il trasporto dei bagnanti, doveva esserci una navetta e infatti vi era la navetta. Essa era costituita da un vecchio rimorchio trainato da un claudicante ronzino che tanto rassomigliava a quello di Don Chisciotte della Mancia, descritto sapientemente da Servantes. La strada per arrivare al mare era in parte asfaltata ed in parte sterrata. La spiaggia era abbandonata da molto tempo e trovavi di tutto nella sabbia, dalle bottiglie di plastica, alle cicche di sigarette ed altri oggetti inquinanti. In principio, prima di accadere nella spiaggia, dietro una vecchia baracca costruita di paglia e stinta dal tempo, vi erano dei sacchi neri pieni di spazzatura e sterco di cavallo e delle capre che brucavano i rari ciuffi d'erba nel prato incolto. Appena resosi conto della situazione e della condizione della spiaggia , mia moglie ed io non siamo più ritornati. Il resto della vacanza l'abbiamo trascorsa nel parco meraviglioso della piscina e nelle escursioni dei siti archeologici della Tunisia.
Le lunghe serate autunnali li trascorrevamo nel grande salone dove vi era ubicato il servizio Bar e dove i ragazzi dell'animazione dell'albergo ci intrattenevano con il loro simpatico programma serale. Lo Staff degli animatori era composto da Paolo, un simpatico genovese, Federico, marchigiano puro sangue, Alessia, simpaticissima e bella ragazza padovana, Vi erano altri due animatori tunisini, anch'essi molto bravi, il bravissimo Chau, marocchino. Insomma era una simpatica e allegra brigata, che ci ha tenuto compagnia, ai quali diremo grazie ragazzi della vostra simpatia e bravura.


LA SPIAGGIA
La spiaggia dell'Hotel Serail,
Che tristezza e che desolazione
Ammirare quest'angolo di mare
Di questo golfo naturale
Vecchie baracche
Di paglia ingiallite dal tempo
Con vetusti ombrelloni
Che sfidano le intemperie e il vento
Spiaggia abbandonata
Dove nessun rastrello l'ha mai sistemata
C'era di tutto fra quella sabbia
Fine e impalpabile
Bottiglie di plastica e cicche di sigarette
Mentre al principio dell'entrata
Sacchi neri di immondizie ammucchiati.
Un vecchio ronzino
Trainava un rudimentale vagoncino
Per portare in spiaggia i turisti dell'Hotel.
Quella era la navetta decantata
Dell'agenzia incaricata
Sul prato e la strada sterrata
Era un'area abbandonata
Dove pascolavano le capre
E il vecchio ronzino claudicante
Era veramente una desolazione
Ammirare quel mare meraviglioso
E camminare sullo sterco del cammello
Delle capre e del baio ronzino
Che rassomigliava molto a quello
Descritti di Cervantes
Che cavalcava il cavaliere errante
Che si chiamava Don Chisciotte.
Della Mancia
Ci siamo limitati solo o fotografare
E documentare
Quel luogo ameno e naturale
Di quello che chiamano il paradiso terreste.
Di una località di Hammamet
Dove i grandi alberghi nascono come funghi.
Fra le piantagioni degli ulivi
Il cielo azzurro ed il mare turchese
Ma alla fine di ogni mese
I turisti ritornato delusi.
Che tristezza!
Non c'è pace fra gli ulivi
Come recitava il titolo di un vecchio Film.
Neo realista del cinema italiano.

Nocera Terinese (CZ)
La Calabria si stacca dall'imponente barriera montana del Pollino, che la separa nettamente dalla Lucania, e si prolunga fra lo Ionio e il Tirreno sino a Capo Spartivento, occupando una superficie di 15075 Kmq. La sua larghezza massima, fra Capo Bonifati e la Punta dell'Alice, è di 111 Km; la minima tra i golfi di S. Eufemia e di Squillace, di 35. Dal gruppo del pollino, che ha il suo punto culminante sul Dolcedorme si parte la lunga catena dell'Appannino addossata al Tirreno, e giunge, attraverso il selvoso altipiano della Sila e le Serre di S. Bruno e di Vibo Valentia, sino al gruppo di Aspromonte, dove il Monte Alto si erge a m. 1958 di fronte alla Sicilia.
Recenti studi di paletnologia hanno dimostrato che l'uomo preistorico fu diffuso in Calabria sin dall'età della Pietra; e forse le tribù primitive furono maggiormente condensate nella provincia di Catanzaro e propriamente nell'estimo terziario fra i golfi di Squillace e di S. Eufemia, ed anche nella parte Sud- Occidentale del circondario di Reggio. Qui, infatti, in zone relativamente ristrette, si sono trovate tracce di officine litiche, Quali fossero i primi abitanti non si può affermare con sicurezza: Liguri, Siculi, Enotri, Osci, Margeti, Brezi. Di certo si sa che, a un dato momento, solo i Brezi, chiamati da Festo e da Aulo Gellio bilingue, perché parlavano il greco e l'osco, dettero il nome alla regione che fu perciò detta Brezia; nome del resto, che per alcuni secoli prima del dominio romano, non denotò neppure tutta la regione, giacché le colonie greche diedero alla Brezia litoranea il nome di Magna Grecia.
La Calabria si può vantare di essere appartenuta nell'antichità alla Grecia magna - alla patria di Caronda, Saleuco, Prassitele e Agatocle, dove anche Pitagora diffuse le sue dottrine; però qui non hanno combattuto, come in Corsica, per secoli dei popoli nemici per averne il possesso, non hanno bagnato il suo suolo con il loro sangue, per fecondarla per la nascita di un Napoleone. Qui non si innalzano arditamente verso il cielo aguzzi monti di granito, non vi sono boschi impenetrabili che ombreggiano orridi abissi, nessun timido muflone va girovagando per la scoscesa montagna. Già Virgilio cantava l'alto Taburnus e l'infinita macchia della Sila". Plinio, Discoride e Strambone non dimenticarono di menzionare le sue "boscaglie ricche di resina", anche se Ateniesi e Siciliani le avevano diradate già nell'antichità e i Napoletani hanno fatto il resto abusando di queste coste come magazzino per il legno delle loro navi.
La conformazione delle montagne, il verde vivace della campagna, l'aria fragrante che soffia per queste contrade, tutto mi sorride e mi richiama alla memoria la terra natia, con le sue colline verdi, i suoi uliveti e i boschi cedui di castagneti, che circondano il piccolo borgo aspro montano di Cosoleto, quasi si trattasse di attirare un classico gaudente di una gioventù spensierata.
Dopo questa breve presentazione della bella Calabria, veniamo a parlare di questa felice località marina che ci ha ospitati per un sereno soggiorno estivo.
Arrivando a Nocera Terinese paese, che è barbicata sullo scosceso pendio, si è subito l'impatto con l'incantevole paesaggio, sullo sfondo i promontori del Monte Mancuso, in primo piano le case incastrate una con l'altra, addossate alla collina, dove vegeta l'antichissimo ulivo, su tutto emergono i colori e la sontuosità della cupola della chiesa di San Giovanni Battista. Camminando in questi vicoletti del centro storico, ci da l'impressione di visitare i borghi marinari della colorata e antica Liguria, che dopo la Calabria, è stata la nostra seconda patria, con i suoi carruggi e le sue torri che come sentinelle dominano dall'alto della collina il mare. In cima della collina testimone del trascorrere del tempo e dell'incuria degli uomini i ruderi del convento dei cappuccini, fanno bella mostra di se.

"Nocera Terinese, terra edificata su le vette di deliziosa collina in provincia di Catanzaro, che sorge lungo il litorale calabrese detto così dalle parole greche: NEO & KAIPOS, che tradotte nella nostra lingua significa abitazione, paese assai buono della Calabria Citeriore, discosta due miglia circa dal mare ed un miglio dall'antichissima e celebrata Terina dalle cui rovine risorse, come "Aquila fenice che è risorta dalle proprie ceneri", mentre il resto del paese sorge nell'entroterra, tra la stupenda marina e la verde collina della dorsale appenninica della Calabria. Con queste parole padre G. Fiore iniziava la descrizione di Nocera Terinese nella sua opera " La Calabria illustrata" da un manoscritto del XVII secolo.

Da pochi anni a questa parte, la cittadina balneare tende ad espandersi sul litorale, infatti, si notano molte ville, villette e alberghi di nuova costruzione e ciò ci fa comprendere che il suo sviluppo, in un prossimo futuro, si svolgerà proprio qui lungo il litorale di fronte al suo meraviglioso e azzurro mare. Da non molti anni sono iniziati i lavori toponomastici e infrastrutturali della nuova città balneare. Come abbiamo detto Nocera ha origini antichissime. Paolo Orsi in un breve sopralluogo nell'inverno 1913-14 rinvenne tracce preistoriche in una località chiamata "grotti celle" in prossimità del " Piano di Terina", tali tracce lasciano pensare alla presenza dell'uomo ancor prima della colonizzazione da parte dei greci.

Il " Piano di Terina" ( detto dai noceresi anche " Piano di Terina") è una località posta a pochi chilometri da Nocera contraddistinta da un ampio pianoro che si affaccia sul mare, bagnata su due fianchi dai fiumi " Grande" e" Savuto". E' proprio in questa località che sorgeva Terina, colonia dell'antica Crotone. Forse del suo sito imprendibile, e grazie al suo porto ( chiamato " Nave di Arata") che favoriva gli scambi commerciali, Terina vide il suo massimo splendore intorno al V-IV secolo a.c., almeno a giudicare dalla fattura ed alla quantità di monete emesse. Terina è ricordata inoltre, in molti testi antichi (Plinio, Solino, Strambone), secondo Licofrone, Terina fu fondata dai greci reduci dalla distruzione di Troia, sempre Licofrone nella " Cassandra" ricorda che a Terina era celebrato il mito della sirena Licea, le cui spoglie vennero sepolte proprio sulla spiaggia di Terina. Licea era una delle Sirene, figlia di Acheloo, le mitiche tentatrici di Ulisse e dei suoi compagni, secondo la leggenda, sconfortante dal fatto di non essere riuscite a sedurre Ulisse, esse si precipitarono in mare, dove annegarono nei pressi di Punta Campanella nella Penisola Sorrentina dove abitavano. Il corpo di Partenope fu portato dalle onde sulla spiaggia ove, poi, sorse Napoli, quello di Leocosia, nei pressi di Punta Leucosia, quello di Molpe nei pressi di Capo Palinuro, quello di Licea infine sulla spiaggia di Terina.

Terina fu poi dominio dei Bruzi e dei Romani, venne distrutta da Annibale, i quali la conquistò dopo un lungo assedio: Presso i più vecchi a Nocera esiste una storia secondo la quale Terina fu distrutta dai Saraceni (saracini), (infatti, sul vertice della collina, sulla destra del paese di Nocera, fra gli ulivi e i pini marittimi, sorge una torre diroccata, detta, appunto, dei saraceni). Dopo un lungo infruttuoso assedio, conclusosi in modo tragico per la città per il tradimento di una giovinetta che avrebbe rivelato agli assedianti il sito dell'acquedotto che adduceva l'acqua in città. L'esatta localizzazione geografica del sito dell'antica Terina in realtà non è mai stata trovata con prove certe, le recenti indagini esperite dalla Sopraintendenza, e i rinvenimenti effettuati nella piana di Santa Eufemia tendono a localizzare Terina proprio a S, Eufemia Lamezia e ad identificare sul pianoro la localizzazione di Temesa, altro importante centro della Magna Grecia contemporaneo e posto più a sud di Terina.
Temesa era un centro importante dove si estraeva il rame, era dotata anch'essa di propria monetazione. Anche l'esistenza di Temesa è documentata dalle fonti antiche, ricordata da Omero nell'Odissea", Strambone riferisce che a Temesa si trova il tempio di Polite, circondato da un bosco di ulivi selvatici. Polite era un compagno di Ulisse, il quale fu ucciso dagli abitanti di Temesa, dopo aver violentato una vergine, per volontà di un oracolo, obbligò gli abitanti di quelle regioni a pagargli, un tributo consistente nel sacrificio annuale di una vergine. Si racconta che dopo la presa di Temesa da parte dei locresi, il pugile Eutimo, venuto in lotta con Polite, lo vinse e liberò la città dal tributo.

Anche di Temesa non si hanno notizie certe né sulla localizzazi9ne, né sulla sua estinzione. Scomparsa Terina ( o Temesa) gli abitanti trovarono rifugio più all'interno su una collina ( oggi denominato " Timpone della Motta") che per conformazione ricordava i luoghi del "Piano di Terina", anch'esso circondato da due fiumi ( il "Grande" e il " Rivale"), aveva un unico punto di accesso attraverso un ponte levatoio e inoltre era ben nascosta dal mare, offrendo così sicurezza dalle incursioni saracene.

Il nuovo centro abitato che si venne a creare prese il nome di " Nuceria" o "Nucria" che vuol dire nuova abitazione. La storia di questo piccolo centro, posto a 150 metri sul livello del mare, immerso fra la collina degli ulivi, gli orti e i vigneti, ci racconta inoltre, che intorno allo XII-XIII secolo furono costruiti il muro di cinta e due torri di guardia ( di cui un'ancora esistente ed é chiamata "Terrazzo"), in seguito il ponte levatoio fu costruito dal cavalcavia che oggi è detto " punta", mentre la popolazione ormai accresciuta estese l'abitato lungo le pendici della collina vicina, fondando quelle che oggi sono i rioni " Piazza", "Rupe", "S. Caterina" e " Valle". Ogni rione ha costruito la sua Chiesa. Nel 1500 per far fronte alle incursioni dei Turchi furono costruite numerose torri costiere di avvistamento ( chiamate "torrazzi") Nella fascia costiera sorsero la torre Coracena a Carica e quella di San Janni ( San Giovanni) a Campora S. Giovanni nel comune di Amantea, mentre a Nocera sorsero le torri di S. Giuseppe alla bocca della Savuto ( ormai scomparsa), quella di Saporito alla Casale e quella nel Piano di Terina e quella di Gullieri (oggi scomparsa), nel comune di Falena sorse la torre della Rupe detta di Lupo.
Dal balcone panoramico della nostra camera dell'Hotel Soglia, abbiamo ammirato, sulla dorsale della collina, fra gli uliveti e i pini marittimi, alcune di queste torri d'avvistamento.

E qui termina il fugace viaggio nella storia e nella memoria di questa terra antica e meravigliosa. Concluderlo in una sintesi non è facile. Come tutte le cose veramente forti e pure, la Calabria ha bisogno di spiriti profondi per essere compresa e di anime vergini per essere amata. Terra di meditazione si apre intera con le sue luci abbaglianti e le sue cupe ombre agli escursionisti e ai viaggiatori silenziosi e pensosi della bellezza. Il suo fascino, lontano dai soliti allettamenti preparati in altri luoghi, è lento ma duraturo; e come quei profumi, che sembra debbano subito svanire, eppure resistono al tempo e penetrano di sé ogni cosa.

Falena Lido (CZ)
Soglia Village Temesa


Il mattino del 14 luglio 2008, il meraviglioso Lago di Mantova, era illuminato dal sole, mentre una canoa solcava il placito lago, seguita da uno storno di colombi. Vicino alla riva, da dove si vedeva un angolo del vecchio Castello- Fortezza dei Signori Gonzaga, due bianchi cigni con i loro pulcini navigavano e cercavano di pescare le rane e i pesciolini del lago. Una nutrita squadra di vacanzieri mantovani eravamo in attesa che giungesse il torpedone, mentre il sole incominciava a farsi sentire. La brumosa e bellissima Valle Padana, con i suoi lunghi filari di pioppi seguivano i lunghi fossati, mentre la campagna era assolata e le macchine agricole stavano trebbiano gli ultimi appezzamenti di terreno.
Dopo l'attesa tecnica all'aeroporto di Bologna, finalmente con un volo diretto Bologna - Lamezia, in poco meno di un'ora, siamo sbarcati all'aeroporto calabrese di Lamezia Terme, che sorge al centro di una vallata di verdi ulivi, proprio di fronte al mare azzurro. Dopo 15 chilometri circa, siamo giunti a FALENA Lido, che appartiene al comune di Nocera Terinese, che sorge sulle sponde di quell'incantevole e meraviglioso mare della My Old Calabria. In questa località è ubicato l'Hotel Soglia: un villaggio di nuova costruzione, sito in una posizione molto fortunata, in uno degli angoli più suggestivi della Calabria, a pochi chilometri della bella cittadina di Lamezia Terme, che si adagia in una conca pianeggiante tra la collina sempre verde degli uliveti ed il suo stupendo mare. A poca distanza sorge inoltre il porto turistico di Amantea. Quando il pesante pullman si è fermato davanti all'imponente Villaggio Soglia, mi è venuta da fare una considerazione sul nome dato a questo meraviglioso luogo di soggiorno turistico: Analizzando la parola Soglia, che vuol dire la lunga pietra un po' rilevata che sta per piano sul fondo della porta di casa, tra i due stipiti, è un nome molto significativo, che ci sta a significare di essere giunti a casa propria e dove trovarsi a proprio agio. Appena varcato questa soglia, si è aperto davanti a me una vista scenografica bellissima, con al centro degli edifici, dove fanno bella nostra di se una piscina avveniristica, attorniata da alti e stupende piante di palme ed in fondo la striscia azzurra del mare della bella Calabria. Più che una visione surreale e metafisica o di una quinta teatrale, mi ha dato l'impressione di aver varcato la soglia del Paradiso terrestre, tanto era bella e incantevole quella visione.
L'accoglienza dei dirigenti e dai ragazzi che compongono lo Staff dell'Animazione del complesso alberghiero, è stata eccellente. Si sono molto prodigati per darci una mano con i bagagli, mentre gli addetti alla reception, sono stati molto gentili e solleciti nell'assegnazione delle camere, e nel fornirci tutte quelle informazioni necessari per il nostro soggiorno. Nei giorni che seguirono, il gruppo dell'Animazione soft diurna in piscina e in spiaggia, si sono prodigati moltissimo nell'eseguire dei corsi collettivi di aerobica, acquagym, giochi e spettacoli serali che hanno allietato il nostro soggiorno. A questi giovani rivolgiamo un particolare ringraziamento a questi ragazzi e naturalmente anche alle simpatiche e belle ragazze, dette le (spintarelle), per il loro impegno e professionalità nel compiere il loro quotidiano lavoro sotto la guida del simpatico e bravo regista Mazza Ugo. Dopo di aver parlato brevemente dei ragazzi dello Staff, veniamo a parlare del Ristorante. Il Chef, ci ha presentato numerose proposte della cucina internazionale, ma soprattutto di quella mediterranea e anche locale, ( la famosa cucina tipica calabrese alquanta piccante, dove ha fatto da padrone l'eterno peperoncino) adatte a soddisfare le nostre esigenze, sono state servite nel grande e moderno ristorante che si affaccia sulla bellissima piscina che abbiamo definita scenografica. In poche parole, possiamo benissimo dire, che abbiamo trovato un ambiente, oltre che elegante, molto curato in ogni particolare e ciò non è poco. Il servizio è stato a buffet, sia per la colazione, il pranzo e la cena, con acqua e vino a tavola, mentre i ragazzi dello Staff, hanno contribuito moltissimo nel servizio ai rispettivi tavoli, sempre sotto il controllo vigile del direttore signor Corrado Aniello, un simpatico giovane napoletano verace, con il quale, tra noi, dal primo giorno è nata una reciproca simpatia e ammirazione.
Negli alberghi come sulle navi, i pasti costituiscono una cerimonia rituale strettamente codificata. E' uno spettacolo affascinante, e spesso desolante, vedere quelle coppie e quelle famiglie ingerire in silenzio, con gesti forzati, su tovaglie impeccabili, un cibo universale, da cui é accuratamente bandito tutto ciò che può rammentare una ragione o una stagione o meglio dire un breve periodo di vacanza. La mia, certamente, è stata una deformazione professionale, nell'osservare tutto questo, non volendo, tutte quelle piccole cose stabilite dal vivere facile nella nostra società contemporanea e a volte, senza volerlo quelle piccole cose che saltano subito all'occhio dell'attento osservatore, ma nel complesso devo dire che la maggior parte dei commensali si è comportata alquanto bene. Il direttore della sala da pranzo era sempre attivo e chiedeva a tutti gli ospiti se ci fossero delle discrepanze o se tutto procedeva secondo l'ordinamento del Villaggio turistico "La Soglia", insomma, si rendeva simpatico con tutti e tutti noi serbiamo un buon ricordo, ma soprattutto, il gusto e i sapori della buona cucina italiana e regionale calabrese. La nostra è stata al Villaggio Soglia, una vacanza a misura famigliare e soprattutto a misura dei nostri desideri. Il nostro soggiorno nel Villaggio " Soglia", è stato organizzato sapientemente dal Cral delle Poste di Mantova, inviando al seguito dell'allegra compagnia dei mantovani, il simpatico amico Ignazio Finocchiaro, che ha svolto la sua attività nel miglior dei modi ed al quale rivolgiamo il nostro ringraziamento.

IL MARE AZZURRO.
Le acque limpide del mare azzurro come il suo cielo, l'ampia spiaggia che si perde all'orizzonte, hanno facilitato lo sviluppo di Nocera Marina, favorendo l'insediamento di diversi villaggi turistici ( Mare blu, Riviera del Sole, Nuova Temesa, Villaggio del golfo) e campeggi ( Torre Casale, La Macchia, Tamerici).Oltre ai villaggi turistici, abbiamo ammirato il bellissimo lungomare e l'ampio anfiteatro, dove si svolgono manifestazioni culturali e artistiche, come "La tarantola": una ballata tipica calabrese, che racconta una storia antica come la sua terra, che si praticava nel lontano medioevo, quando i malati si curavano con le erbe dell'orto o magari anche con la musica. La storia ci racconta, che una fanciulla, era in coma profondo e per svegliarla i musicisti continuavano a suonare questa ballata fino al suo risveglio. Senza andare tanto lontano, anche oggi, nel XXI secolo, spesse volte, si adopera questo metodo per fare risvegliare del coma profondo una persona, che giace da molto tempo in un letto d'ospedale. La Domenica sera, nell'anfiteatro viene celebrata la Santa Messa, che richiamo una gran folla di fedeli, in quella "Cattedrale a cielo aperto", come l'ha definita, al termine della funzione religiosa, il celebrante della locale parrocchia.

L'ANFITEATRO.
L'Anfiteatro é di recente costruzione, di cui ne abbiamo parlato sopra, che si affaccia su quel meraviglioso mare, specialmente la domenica sera è completamente affollato da una folla anonima di fedeli di ogni nazionalità, composta da giovani ed anziani. L'ultima domenica sera che abbiamo assistito alla Santa Messa, era completamente affollato, che da una stima approssimativa, si è potuto stabilire che superavano le 3000 fedeli. Oltre che una semplice messa domenicale, potremmo definirlo un raduno spirituale, un incontro gioioso tra gente del Sud e del Nord, un avvicinamento di questi due grandi popoli, ma soprattutto, un avvicinamento con il Creatore.
Non c'è bisogno di andare all'estero, per scoprire il mare e le bellezze naturali, perché è tutto alla portata di mano ad un'ora di aereo e si trova nel nostro Bel Paese. Buono e cattivo, e ricco o povero, ed elevato e meschino, e tutti i nomi dei valori umani: devono diventare ormai i segni del rumore metallico del patto della vita che deve superare sempre se stessa! La vita stessa vuole costruirsi in altezza con colonne e gradini come questo anfiteatro che domina la grande e spaziosa spiaggia di Nocera Terinese, dove l'occhio si perde all'orizzonte nell'azzurro mare; Vuole guardare su vaste lontananze e oltre, su felice bellezze: per quanto ha bisogno di altezza, per guardare nell'infinito orizzonte della vita.
E siccome ha bisogno di altezza, ha bisogno di gradini e del contrasto dei gradini e di chi sale! La vita vuole salire e superarsi salendo. Nel Vangelo, il celebrante ci ha parlato dell'erba chiamata zizzania. Essa è un'erba cattiva che va distrutta, eliminata, perché non solo inquini la società, ma purtroppo ancora non è del tutto estirpata quest'erba cattiva.
Nel nostro breve soggiorno in quest'angolo di pace e di serenità, abbiamo compreso che l'ambiente fisico di Nocera è sicuramente caratterizzato da lembi di natura che favoriscono le pratiche escursionistiche e naturalistiche da visitare l'area del Monte Mancuso caratterizzata da boschi di faggio e pino, i boschi cedui della fascia di loc. Casella, Fronte Aguglieri, Manca di De Luca, Piano Carito, i boschi cedui nella fascia loc. S. Cataldo, Savuchelli, Staglio, anche le località bellissime delle coste, le città limitrofe, come quelle di Tropea e Pizzo Calabro, nonché le cittadine che sorgono sulla Costa "Viola", come Palmi, Bagnara e Reggio Calabria e soprattutto le meravigliose isole Eolie, che in un nostro libro li abbiamo definite: " I miei giganti fumanti"..
Un flash di un ricordo lontano nel tempo.
La prima volta che siamo transitati da Nocera Terinense, con il treno proveniente da Reggio Calabria e diretti a Napoli, nel lontano 1944. Eravamo in quindici persone costretti in uno spazio abitualmente riservato a otto. Parecchi sedevano sui porta bagagli. Tutti gli sportelli erano aperti, e lungo l'intero treno c'era gente che viaggiava seduta sulla soglia degli sportelli, le gambe penzoloni nel vuoto, o accovacciati sui predellini, tenendosi con un braccio alle maniglie. I tetti dei vagoni, i respingenti, i soffitti, il tender la macchina erano coperti i viaggiatori stracciati e scamiciati.
Erano in gran parte, soldati che, travestiti alla meglio con panni borghesi, tornavano alle loro case, mentre Giovanni, Domenico ed io, ci eravamo avventurati in un'Italia sconosciuta e soprattutto devastata dalla guerra in cerca di avventura, per trovare un mondo diverso dal piccolo borgo aspro montano di Cosoleto, portandoci dietro quella vecchia valigia di cartone legata con lo spago, piena di sogni, che in parte nel tempo si sono realizzati e in parte sono rimasti chiusi in quella vecchia valigia. Si ! Solo i giovani hanno di questi momenti. Non parlo dei giovanissimi. No, I giovanissimi, per essere esatti, non hanno momenti. E' privilegio della prima gioventù di vivere in anticipo sui propri giorni, in tutta una bella continuità di speranze che non conosce pause né introspezioni. Come scriveva Joseph Conrad: " Uno chiude dietro di sé il piccolo cancello della mera fanciullezza ed entra in un giardino incantato. Là persino le ombre splendono di promesse. Ogni svolta del sentiero ha una seduzione. E non perché sia una terra ignota. Si sa bene che tutta l'umanità ha percorso quella strada. Ma si è attratti dall'incanto dell'esperienza universale da cui ci si attende di trovare una sensazione singolare o personale: un po' di sé stessi.
A Nocera vi è stata una fermata fuori programma, una sosta molto lunga, aspettando il locomotore dalla vicina stazione di Vibo Valentia, perché quello che era partito da Reggio Calabria, si era bruciato. Verso sera, quando il sole stava per tramontare sulla grande spiaggia arida e abbandonata, dove si vedevano carcasse di automezzi militari tedeschi abbandonati e mezzi anfibi da sbarco Angloamericani. A Napoli, abbiamo trovato una desolazione, una città distrutta dai bombardamenti aerei, e una popolazione che non sapeva come sbarcare il lunario. Sì, proprio così, c'era tanta desolazione e miseria. In città non si vedevano altro che mezzi americani in circolazione, militari di colore che cercavano di vendere o comperare qualcosa che era esposta sulle bancarelle. Dappertutto si vendevano sigarette americane e indumenti militari. Abbiamo incontrato molti scugnizzi e belle ragazze che circuivano, specialmente i militari americani di colore, e che una volta ubriachi, venivano spogliati e derubati di tutto. Non c'era da scandalizzarsi, ma quella era la fonte della loro sopravvivenza. Nel dopoguerra, molti film neorealisti, hanno raccontato la storia degli scugnizzi e della vita di ogni giorno della città di Napoli.
In quel tempo lontano, Nocera Marina, non esisteva neppure. Nei campi dove scorreva e scorre tutt'oggi la ferrovia, vi erano dei piccoli appezzamenti di terreno adibiti ad orti, mentre al di là della Strada Statale, dove sorge il grande e moderno complesso alberghiero " La Soglia", vi era soltanto il grande litorale arido e bruciato dal sole. Ai suoi margini, oggi è sorta una bella cittadina, con una passeggiata lungo la spiaggia, con nuovi insediamenti, Alberghi, Bar e Ristoranti e il moderno anfiteatro, di cui abbiamo parlato sopra.

IL BRINDISI
La sera precedente la nostra partenza, nel Ristorante " La Soglia", dopo la cena, si è fatto festa, una festa sobria, una festa dell'arrivederci al prossimo anno. Lo chef, ha preparato una magnifica torta ed il direttore ha portato anche lo sciampagna, che abbiamo brindato all'amicizia, che significa comunanza nel pensare e nel volere di due grandi popoli, come la Lombardia e la Calabria che ci ha ospitati. E questa comunione di pensiero non è una cosa solamente intellettuale, ma è comunione dei sentimenti e del volere e quindi anche dell'agire.
Dunque, abbiamo fatto festa ed è anche giusto che sia stato così. Siamo stati in allegria Abbiamo alzato il calice e abbiamo brindato alla conclusione del nostro soggiorno marino in quella località benedetta da Dio che si chiama " La Soglia", perché come recita un bellissimo verso poetico del Boccaccio: "Chi vuol essere lieto sia perché di domani non c'è certezza".
Concludiamo questo nostro lungo articolo sulla meravigliosa Calabria e sulla bella Nocera, con questa significativa poesia, scritta per noi dell'amica poetessa Vera Manfredini, che ringraziamo moltissimo e dulcis in fundo, non poteva mancare la fotografia ricordo di gruppo con i ragazzi dello Staff, scattata dal registra Mazza Ugo.


Nocera Terinese
O Nocera!
Percorrere fino alla fine,
Il tuo litorale,
Arido come l'oggi dei miei pensieri.
Non fermeranno i miei piedi.
Stanchi il vento della sera.
E neppure questa notte
Senza luna né domani.
I miei occhi si tuffano
Ancora nell'azzurro.
Del tuo mare.


Sirmione:
Appunti di viaggio


La luna piena disegna in alto i margini netti ed oscuri che chiudono la testata della Valle Padana, come i bordi ammaccati di un enorme calderone. Solo lo specchio d'acqua del lago, adagiato nella grande conca delimitata dalle colline moreniche e dalle alte montagne della sponda bresciana risplende nel chiarore lunare di una luce diafana. Sopra le nostre teste grava una massa biancastra prodotta dalla nebbia fuori stagione, che ostacola parzialmente la guida dell'automezzo del nostro amico Giovanni che è alla guida del pulmino dell'Ente Valle di Campitello. Ma con il sorgere del sole quel anomalo oscuramento nebbioso, piano piano si è dissolto e tutto è ritornato alla normalità. Davanti a noi si è presentato lo spettacolo più bello del mondo. Pochi scenari hanno la grandiosità immacolata e l'austera imponenza che racchiude e vigila il Garda. Pochi, anche, hanno per cornice una sì mutevole aureola di colori, un respiro più ampio, un'armonia così perfetta, come è quella che intorno al lago si rinnova ad ogni ora del giorno. La natura ci dischiude qui uno di quei panorami italici dove la bellezza è così solenne, che diventa regalità.
Le catene che degradano verso mezzodì, come sospinte ancora dalla potente pressione dei massicci del Nord, accolgono il lago di Garda, serrandolo nella sua parte settentrionale fra i monti rocciosi di imponente bellezza; ed il lago, uscendo come immane fiume azzurro fra le rupi eccelse, si avanza, si allarga e si distende nello spazio luminoso, assumendo vastità inusitate e, a volte, quando il vento di borea lo flagella, anche impeti e collere marine: fluctibus et fremitu adsurgens, Benace, marino. Grandioso e regale è il Garda anche per le sue proporzioni. Più vasto di tutti i laghi italiani, si sviluppa in lunghezza per una cinquantina di chilometri, ne raggiunge nella larghezza massima quasi 18 e inabissa il suo fondo a m. 350, appunto là dove le catene montuose elevatisi dal suo specchio toccano invece il cielo a oltre 2200.Si, è proprio così, dolce e bello è l'avviarsi al Garda. Se tu vi giungi dalla pianura, come abbiamo fatto noi, tutte le mattine, per dieci giorni, partendo dal borgo Antico e di sapore medioevale di Campitello, che era ancora addormentato e sulla bella Piazza Garibaldi, oltre a noi che aspettavamo il pulmino dell'Ente Valle, per essere trasportati nella piccola penisola di Sirmione, non vi era anima viva.

Dopo neppure un'ora di viaggio, Sirmione e il Garda t'appare nella sua maestosa vastità racchiusa da una severa compostezza di linee e subito ti si svela nel suo duplice aspetto che sposa lo specchio vastissimo, fra sponde blande, al fiordo titanico, fra rupi spettacolose. Ma più è bello il giungervi della parte delle montagne tridentine scendendo valli or umili e fonde, or alte e assolate, tra selve e burroni, torrenti fragorosi e queruli ruscelli, e reliquie di castelli circonfusi da leggende. A mano a mano che avanzi, l'abete e la quercia cedono all'olivo: roseti allietano i muriccioli di cinta, come i gerani le finestrelle dei casolari: finché, ad Arco, compare il tipico cipresso benacense e l'agave e l'oleandro s'impongono nel paesaggio, assieme al cedro ed al limone; ed entri nel regno del dolce meridione ma contenuto in una cerchia di orride pareti rocciose, vero paesaggio dantesco. E la scena si continua intorno a Riva e giù per lungo tratto fino alla rivelazione della " Riva". Facciamo dunque un viaggio ideale partendoci dal sommo del bacino. Lasciamo il porto pittoresco, dove le vele dei barconi fra giuochi di riflessi colorati sullo sfondo della piazzetta porticato, e scendiamo, costeggiando la rupe immane della Rocchetta, incisa da due strade ardite e pittoresche: quella del Tonale, e la recentissima Gardesana occidentale. Fantastici pinnacoli s'alzano sul nostro capo e immense pareti, nude e scabre rupi che per molteplici segni ci parlano ancora della grande guerra. A Limone la muraglia rocciosa si arresta per far luogo ad un'oasi verdeggiante; poi riprende l'alta costiera, che solleva i suoi paesini al cielo, tenendoli sopra il precipizio, sorridenti di ignara infantilità. Tutte le mattine, prima del sorgere del sole il nostro itinerario è sempre lo stesso, partendo appunto da Campitello, che è ubicato sulle sponde del fiume Oglio, nel cuore della lussureggiante e bellissima Valle Padana, che il poeta cantava: "Dove c'era una volta, ieri, una vecchia canzone d'amore sempre viva, sentita su le cime degli alti pioppi su le verdi golene del nostro fiume.".

Una campagna immersa nel silenzio fervore delle opere; riposato paesaggio d'argine da cui per la gran distesa si possono scorgere lontani profili di monti, il Baldo e le prime cime delle Alpi discoste e nevose. Lasciamo la Val Padana e ci immergiamo fra le lussureggianti colline moreniche, che furono terra di battaglie la morena del Garda: San Martino, Solforino, Volta Mantovana e le colline di Pastrengo, che sorge nell'anfiteatro del Garda alla destra dell'Adige, che nel corso della prima guerra d'Indipendenza, il 30 aprile del 1848 il secondo corpo d'armata piemontese ( generale Gerbaix de Sonnaz) in avanzata verso l'Adige attaccò gli Austriaci ( generale Wocher), disposti a difesa a Pastrengo. All'azione partecipò il re Carlo Alberto, il quale seguì i carabinieri a cavallo del maggiore Sanfront nella carica che trascinò il resto delle truppe piemontesi, travolgendo in breve le forze austriache.
Oggi, 5 giugno, l'Arma benemerita, festeggia il suo anniversario di fondazione ed in questa ricorrenza, ogni anno esegue la famosa carica di Pastrengo.
Peschiera del Garda ci ricordano che in questa plaga più volte furono decisi i destini d'Italia. Ovunque, in questi luoghi della battaglia, incontriamo una stele, una lapide o un castello merlato e diroccato.

Sirmione del Garda
Da Desenzano a Peschiera, è tutto un susseguirsi di ubertosi e floride campagne, dal mezzo delle quali si protende nel lago la penisoletta di Sirmione, ove ancora aleggia l'amorosa strofe di Catullo e l'ode carducciana, dove tuttora vigila il turrito castello degli Scaligeri, e le Terme, famose fino all'antichità e che oggi, hanno raggiunto il più alto livello tecnologico avanzato di modernità. Tutte le mattine, alle ore 7, lasciamo nell'ampio parcheggio di fronte al castello, il nostro pulmino e ci rechiamo alla famose e storiche Terme, per effettuare le nostre cure termali.
Dalla sommità della penisola, vastissimo s'apre l'alto golfo, al cui estremo le acque danno origine al Mincio, che questo e limpido passa sotto i ponti di Peschiera: luogo che da secoli è fortezza, il dantesco " bello e forte arnese, da fronteggiar bresciani e bergamaschi". Di qui il Garda, l'arco stupendo dei colli vitiferi, su cui siedono Bardolino e Lazise; è in questa regione che la sponda veronese si veste delle sue note più smaglianti, trionfanti poi nella punta di San Vigilio e nel suo parco meraviglioso.
Ma noi, in questi giorni di maggio, ci siamo fermati nel cuore dell'anfiteatro morenico del Garda, dove si protende verso il centro del lago un'esile striscia di terra che termina in una penisoletta sulla quale sorge Sirmione, pittoresco paese celebrato come stazione climatica e balneare: infatti, vi sgorga, a circa 300 metri dalla costa, una sorgente subacquea termale (65 gradi) solfora -cloruro - sodica, detta Botola, le cui acque furono captate nel 1889 ad uso del locale stabilimento di cura modernamente attrezzato, dove migliaia di pazienti come noi, ogni giorno giungono in questo luogo e trovavo giovamento. Ogni giorno transitiamo di fronte al castello scaligero di Sirmione, turrito ed imponente, che mette una nota scenica nella penisoletta romantica, che è una delle località più famose della sponda bresciana del lago. Non possiamo fare a meno di alzare gli occhi al cielo, per ammirare le sue bellezze architettoniche, mentre le feritoie turrite, ci raccontano la loro storia medioevale, mentre nell'invaso a torno al castello, nuotano bianchi cigni e allegri germani reali, portando a spasso i loro simpatici pulcini, che sono un richiamo che formano una scenografia da quinta teatrale, che tanto piace ai vecchi ed ai bambini.

Grotte di Catullo.
Questa mattina 5 giugno, domo il nostro ciclo curativo, verso le ore 8 circa, dallo stabilimento termale, abbiamo raggiunto le famose grotte di Catullo, che distano poche centinaia di metri, per ammirare questi ruderi di costruzione romana in laterizio che ci sono tramandati dalla tradizione come i resti della dimora natale di Catullo, l'elegiaco poeta del lago; mentre la scienza pur confermandone l'essenza romana discute se siano i resti di una villa o di terme dell'epoca costantiniana. Sorgono sulla estrema punta settentrionale della penisola, in folto uliveto; da questa posizione dominante si ha un'eccezionale veduta di tutto il bacino del lago. Sulla costa meridionale del lago di Garda, all'estremità della penisola di Sirmione, in una splendida posizione panoramica si trovano i resti della villa romana nota da secoli con il nome di "Grotte di Catullo", l'esempio più grandioso di edificio privato di carattere signorile di tutta l'Italia settentrionale. Nel Rinascimento il nome di "grotte" o "caverne" fu usato per strutture internate e crollate, ricoperte di vegetazione, entro le quali si penetrava come in cavità naturali. La tradizione risalente al XV e XVI secolo ha identificato questo complesso come la villa di famiglia di Catullo, il poeta latino morto nel 54 a.C. In base alla testimonianza dei versi di Catullo è certo che egli avesse a Sirmione una residenza, ma che fosse proprio in questa zona è soltanto possibile. Sirmione apparteneva all'agro veronese ed è nota nel mondo antico anche per essere stata una stazione di sosta lungo l'importante via che univa Brescia a Verona. La prima rappresentazione dettagliata dei resti della villa è un rilievo dell'inizio dell'Ottocento. Ampi scavi furono poi effettuati dal veronese Girolamo Orti Manara che ne pubblicò i risultati in un'opera ancora oggi fondamentale.
La Soprintendenza ha iniziato nel 1939-40 gli scavi e i restauri e nel 1948 ha acquisito tutta l'area, permettendo la tutela del complesso immerso nel suo ambiente naturale. Indagini recenti hanno consentito di accertare l'esistenza di un precedente edificio al di sotto dei vani del settore meridionale e di confermare che la costruzione attualmente in luce è stata realizzata con un progetto unitario che ne ha definito l'orientamento e la distribuzione degli spazi interni, secondo un preciso criterio di assialità e di simmetria. La villa, che ha pianta di forma rettangolare (m. 167 x 105), con due avancorpi sui lati brevi, copre un'area complessiva di oltre due ettari. Per superare l'inclinazione del banco roccioso su cui furono appoggiate le fondazioni dell'edificio, furono creati grandi vani di costruzione, mentre in alcune zone si resero necessarie opere imponenti di taglio della roccia. I resti attualmente conservati si trovano così su livelli diversi: del settore settentrionale ad esempio sono rimaste solo le grandiose costruzioni, mentre nulla è conservato dei vani residenziali, crollati già nell'antichità.

Da Genova verso Marina di Andora
Racconto Escursionistico.

La Liguria è una lunga e sottile striscia di costa, ai piedi di montagne coperte di vigneti. Qui vedono case color pastello che si crogiolano al dolce sole del Mediterraneo, mentre i loro giardini, fiorenti nel dolce clima, risplendono di piante colorate. In contrasto con località come quelle che abbiamo lasciato oggi pomeriggio sulla Costa di Levante: Portofino, Nervi,Quarto, (da dove salparono i garibaldini, diretti in Sicilia) Quinto, Camogli, Boccadasse, Corso Italia e la spiaggia di San Giuliano. Dopo la Foce, la sopraelevata ci ha portati nel Piazzale Caricamento e quindi nel centro storica della grande Genova, con il suo Porto internazionale e i suoi caratteristici "carruggi". Prima del tramonto del sole, abbiamo lasciato la bellissima città di Genova e ci siamo diretto verso la nostra bellissima e amata Andora, che possiamo definirla la nostra seconda Patria. Seguiamo la zona del litorale che abbraccia quella striscia di terra che corre lungo il mare, ora assai ristretta, ora alquanto più ampia, ma non mai troppo. Si ha una flora multiforme che abbraccia cinque diversi tipi di associazioni di piante: flora marina; flora delle spiagge arenose e ghiaiose; flora delle paludi; delle rupi marittime ed in fine la flora delle macchie del litorale. La prima è quasi esclusivamente formata dalle alghe; tra cui notiamo le verdissime Cloroficee che si vedono affiorare alla superficie delle acque in cerca di luce,più in basso poi, abbarbicate agli scogli, ch'esse rivestono a guisa di soffici tappeti ricciuti, le alghe rosse e le brune (Rodoficee e Feoficee) e le verdi lattughe marine. Vivono pure nel mare ligure alcune specie di Fanerogame, come la Zostera nana e la Posidonea.
Sulle spiagge poi, arenose e ghiaiose, quest'ultime assai più frequenti, abbiamo quella tipica flora amante dei luoghi aridi e salini, dalle foglie tozze, carnose, tondeggianti, ricoperte di cutina, impermeabile, o da denso intreccio di peli lanosi, o foglie ora aghiformi ora spiniformi, dolide, coriacee sempre. Sono esse le Euforbie, la candissimo Diotis, l'Eringium maritimus, ecc. ecc. Se ne contano novanta specie.
Il sole era tramontato da un pezzo, quando la nostra autovettura si è fermata davanti all'albergo Galleano, dove eravamo attesi per la cena ed il pernottamento. Dopo cena, abbiamo effettuato una breve passeggiata nel vecchio centro storico di Andora Marina, dove siamo stati circa sei anni e dove è nata nostra figlia Tiziana. Ahimè, i nostri vecchi amici dei tempi ormai lontani erano ormai deceduti, ma nel Bar Torrengo, che è vicino all'Albergo Galleano, dove avevamo preso alloggio, abbiamo incontrato diverse persone che, quando siamo stati trasferiti a Genova, molti anni fa, erano ancor ragazzi e che conoscevamo molto bene le loro famiglie. Appena alzati, siamo usciti sul balcone da dove si ammira un paesaggio mozzafiato ed abbiamo ammirato quel bellissimo paesaggio del Golfo di Andora. Come abbiamo avuto modo di parlare di Andora, diremo che è formata da un complesso di una trentina di piccole ridenti borgate, raggruppate in cinque frazioni o parrocchie: S. Pietro, il capoluogo, S. Giovanni, Rollo, con il suo alto campanile che domina la verde collina, Conna e S. Bartolomeo, disseminate sopra un territorio ora pianeggiante ed ora montuoso, ricco di olivi, di vigneti e di giardini. Oggi in quella valle verdeggiante coltivata ad ortaggi e pescheti non esiste più, perché tutto è cambiato. Oggi è tutto cementificato ed al posto dell'entroterra verdeggiante e coltivato a carciofi ed altri ortaggi, sorge una grande e moderna città. E' proprio vero, il tempo passa e i luoghi e le persone si trasformano, tanto che facevamo fatica a ricordare quel piccolo, caro e vecchio borgo marinaro. Sono rimasti a ricordare le passate, piccole cose che ormai appartengono alla storia, come la torre Saracena che sorge a pochi passi dal mare, i ruderi del vecchio Castello dei Clavesana e la bellissima Chiesa Romana del XII secolo. Dopo un lungo giro panoramico, siamo ritornati ad Andora ed imboccando la vecchia Via Aurelia, abbiamo raggiunto l'antico borgo marinaro di Cervo, l'antico Castrum Cervi, situato in pittoresca posizione sul declivio d'un ponticello prospiciente il mare, non si hanno notizie prima del 1172, anno in cui, per la prima volta, i suoi abitanti sono nominati in uno strumento notarile. Il Castello del Cervo si governava con proprio consolato formando una comunità indipendente sino al 1223. Fu poi antichissimo feudo alle dipendenze dei Marchesi di Clavesana, quindi dei Carretto, dei Doria, dei Serra, S. Bartolomeo del Cervo e Villa Faraldi. Appartiene alla provincia d'Imperia e alla diocesi d'Albenga.
Belle le sue chiese, ricche di preziosi marmi, di oggetti artistici, di dipinti pregevoli. La popolazione è dedita alla navigazione, alla pesca, all'agricoltura. Negli anni Cinquanta, quando eravamo di stanza ad Andora, nel periodo estivo, con l'amico pittore Isaia Colombo, che con la moglie Ines, nel periodo estivo, venivano a soggiornare ad Andora Marina, con la mia Vespa 150 Special, andavamo spesso a Cervo, per ritrarre gli angoli più belli, come i carruggi, le piazzette e la Chiesa barocca. Mentre mi accingo a rievocare quel tempo lontano con il mio personal Computer, alzando gli occhi sulla parete di fronte, non posso fare a meno di ammirare due bellissimi quadri, che riproducono la caratteristica Piazza della Chiesa e nell'altro quadro un Vicolo Tipico ed in fine, un acquarello panoramico con la bellissima vista di quel mare azzurrissimo.
Il giorno di San Giuseppe, la festa del Papà, prima di fare ritorno nella verde e brumosa Val Padana, siamo voluti salire sul colle di Capo Mele, per vedere da vicino i corridori della Milano San Remo, che salivano da Laigueglia in un'interminabile fila coloratissima di ( girini). Anche questa volta, abbiamo provato la stessa emozione che molti anni fa provavamo, quando salivamo fin lassù, per seguire dall'alto la prima corsa ciclistica dell'anno. E' bello, stare appollaiato sopra uno spuntone di roccia, per vedere i girini arrancare su quella salita che appunto, da Laigueglia, porta al vertice di Capo Mele. Sono sensazioni uniche al mondo, che gli appassionati del ciclismo posso provare. Quello è il punto giusto, per vederli arrancare su per la salita. In quel tratto si capisce quale è il ciclista che ha più probabilità di vincere la classica Milano San Remo. Per dire la verità, eravamo intenzionati di proseguire il nostro viaggio verso Sanremo e Bordighera, luoghi a noi molto familiari e che ci hanno visti fin dalla prima giovinezza, in un periodo molto critico della fine della Seconda Guerra mondiale. La sera nel Bar Torrengo, dopo di aver visto le previsioni del tempo dei giorni successivi, il nostro amico Luigi e vecchio pescatore, ci ha consigliati di non perdere tempo e di ripartire il mattino presto per Mantova, perché il tempo sarebbe sicuramente peggiorato in tutta la fascia costiera della Liguria. L'amico Luigi, ci ha suggerito bene, infatti, fin dal mattino presto il libeccio aveva incominciato a soffiare ed il mare, paurosamente incominciava a gonfiarsi ed a incresparsi. Due giorni dopo, leggendo sulle pagine del "Corriere della Sera", abbiamo appreso che era successa una tragedia nella notte fra venerdì e sabato a Sestri Levante, (Genova) nella riviera ligure di levante per una delle mareggiate delle più violente degli ultimi 50 anni. Il titolare della discoteca "Schooner" della cittadina ligure, Tino Barbera, di 70 anni, è stato ucciso da un'ondata alta quattro-cinque metri che si è abbattuta, dopo aver superato la diga foranea a protezione del porto, sul locale, che era chiuso.
Abbiamo appreso inoltre, che Barbera era un personaggio noto dei locali notturni: gestiva due discoteche a Cervinia e due a Sestri, era stato tra i fondatori del Billionaire prima che lo acquistasse Briatore. Preoccupato delle conseguenze della mareggiata, l'uomo aveva raggiunto la sua discoteca per mettere al sicuro le attrezzature. Mentre si trovava all'interno della pista da ballo, un'ondata gigantesca ha sommerso il locale. L'acqua ha distrutto vetrate e divelto alcuni pali. Una trave di legno ha colpito alla testa Barbera uccidendolo sul colpo. Il cadavere dell'uomo è stato trovato da un nipote della vittima pochi minuti prima della mezzanotte. Sul posto sono accorsi i sanitari del 118, ma non hanno potuto fare altro che constatarne il decesso. Le indagini sulla dinamica dell'evento sono state affidate ai carabinieri e ai vigili del fuoco, accorsi per mettere in sicurezza lo stabile. La mareggiata, preannunciata dai bollettini meteorologici che segnalavano venti da libeccio fino a cento chilometri orari al largo, ha spazzato la diga provocando gravi danni alle attrezzature da pesca e alle barche.
Per le feste di Pasqua, dovevamo partire con una comitiva mantovana, per Atene, via mare, ma per mancanza di posti, non siamo partiti. Se fossimo partiti sicuramente ci sarebbe successo come è successo ai passeggeri della nave traghetto " Il Coraggio", il traghetto di Grandi Navi Veloci, che sono in mare dal almeno 24 ore, partito da Palermo che sarebbe dovuto arrivare a Livorno venerdì sera. La mareggiata, alimentata dal forte vento di libeccio, ha costretto la nave a scegliere una rotta costiera più sicura tra la Sardegna e la Corsica, dove ha poi trovato riparo per non correre ulteriori rischi. Disagi in porto ci sono stati per tutta la notte anche sulle navi, alcune delle quali hanno dovuto richiedere l'assistenza dei rimorchiatori. Da venerdì tutta l'attività marittima è stata di fatto sospesa. Le raffiche di libeccio hanno raggiunto anche i 130 chilometri orari e il Comune ha deciso di chiudere al traffico il Lungomare invaso dai detriti scaraventati sulla sede stradale dal mare agitato. Quindi, abbiamo avuto ovunque un esodo sotto la pioggia - Intanto é continuato l'esodo per le vacanze pasquali con tempo inclemente in molte parti d'Italia. Un allevamento di trote è stato spazzato via a Trevi del Lazio dal fiume Aniene che a causa del maltempo ha tracimato in più punti. A causa del forte vento e della pioggia sono stati interrotti i collegamenti di aliscafi per le isole del Golfo di Napoli.
Non solo via mare, ma c'è stato anche l'allarme valanghe, tanto che la Prefettura di Modena, in relazione alle generali condizioni atmosferiche ha lanciato un allarme "marcato" di valanghe sull'Appennino. "Si raccomanda particolarmente a sciatori ed escursionisti- declina il comunicato- di prestare la massima prudenza ed attenzione evitando percorsi fuori pista".
Pasquetta al gelo: tre morti e un disperso
Imbiancate le Cinque Terre e le colline venete. A Roma emergenza per gli alberi caduti. In 3mila bloccati alle isole Eolie.
Apprendiamo dalla stampa e dal telegiornale di Radio Uno, che anche qui in Lombardia, ovunque venti forti, mareggiate e nevicate anche a quote collinari. Il Dipartimento della Protezione civile ha prolungato l'allerta meteo da lunedì sera per ulteriori 24 ore su Basilicata, Calabria, Sicilia e Puglia. Problemi, avvisa il Dipartimento, potrebbero derivare soprattutto dalle forti raffiche di vento che si abbattessero sulle coste della Calabria e della Sicilia. Va posta attenzione alle strade e alle ferrovie lungo il litorale. Cautela consigliata anche sull'A3 per la neve. Da martedì sera la situazione sarà in miglioramento. Le difficili condizioni meteorologiche sono considerate direttamente responsabili anche della morte di tre persone.
Il traffico da rientro - Sono cinque milioni gli italiani che, secondo l'Osservatorio di Milano, rientrano tra questa sera e domattina dopo la vacanza pasquale o la classica gita fuori porta del lunedì dell'Angelo. Intanto pioggia e neve hanno frenato in molte regioni i gitanti di Pasquetta. Che pure non sono mancati. Il peggioramento delle condizioni meteo potrebbe indurre molti ad un rientro anticipato: le prime segnalazioni sul traffico del pomeriggio parlano di una circolazione non particolarmente problematica anche se con il procedere delle ore i principali nodi autostradali - il tratto della A14 fra Cattolica e Bologna, il tratto appenninico della A1 tra Firenze e Bologna, l'A4 tra Bergamo e Milano e la rete attorno a Genova - hanno fatto registrare incolonnamenti via via crescenti.
Il Veneto imbiancato - Sulla montagna veneta sono caduti, nelle ultime 24 ore, 32 centimetri di neve fresca. La precipitazione nevosa, a fasi intermittenti, è avvenuta intorno ai 1.400 metri di quota nelle Dolomiti, ma si è verificata anche ai 600 metri di altitudine in alcuni casi particolari come sul Monte Grappa e nella conca dell'Alpago nel Bellunese. Le ultime nevicate e le condizioni meteo in genere stanno facendo alzare il livello di pericolo valanghe da moderato (grado 2) a marcato (grado 3) su una scala di cinque valori. Per effetto delle precipitazioni nevose, Veneto strade ricorda che tutte le arterie sono percorribili ma che al di sopra dei 1.000 metri di quota c'è l'obbligo dell'uso delle catene.
Gelo in Calabria: Pioggia, freddo e neve anche in Calabria. Su gran parte della regione, ha continuato a piovere abbondantemente. Nelle zone della costa c'è stato freddo intenso e mare agitato. A Campotenese, nella zona del Pollino, e sulla Sila, a Camigliatello, ha nevicato per alcune ore. Nonostante il maltempo, tutte le strade e l'autostrada Salerno-Reggio Calabria sono rimaste transitabili senza alcun problema.
A Roma alberi radicati e un violento nubifragio ha costretto i vigili del fuoco a Roma a decine di interventi per allagamenti di scantinati e sradicamenti di centinaia di alberi. I pompieri sono intervenuti soprattutto per la caduta di alberi e rami, nonché di cartelloni pubblicitari finiti sulla sede stradale che hanno causato disagi e pericolo per gli automobilisti. Le isole Eolie sono isolate. Ma in questi giorni di maltempo ci sono state anche eccezioni: i primi turisti sbarcati alle Eolie per il ponte festivo hanno, infatti, goduto di una Pasqua soleggiata e mite tanto che molti hanno fatto il primo bagno, ma la Pasquetta non è stata altrettanto generosa e il maltempo ha impedito abbronzatura ed escursioni. Le condizioni del tempo sono, infatti, peggiorate e pioggia e vento hanno imperversato sulle isole.

COLLEGAMENTI MARITTIMI
Nei vari servizi del Corriere della Sera leggiamo che il maltempo e il mare agitato hanno causato gravi disagi nei collegamenti tra la Sicilia e le isole minori. Lampedusa e Pantelleria sono isolate, così come le isole Egadi. Sono state sospese anche le corse per le altre isole, Alicudi, Filicudi, Stromboli, Vulcano e Panarea. Bloccati nei porti gli aliscafi della Siremar, Ustica Lines e Ngi e disagi soprattutto per i tanti turisti che avevano scelto le sette isole per il ponte pasquale e che non hanno potuto fare rientro nella terraferma. Sono almeno 3 mila quelli nella attesa di ripartire, e tra loro molte comitive di tedeschi. Per il mare in tempesta nella rada di Lipari si sono riparati anche alcuni mercantili e navi cisterna. A Ginostra alla vigilia di Pasqua una decina di turisti avevano dovuto raggiungere il borgo con un gommone da Stromboli e altri avevano preferito un elicottero privato, perché i mezzi di linea, infatti, non avevano potuto fare scalo.
Qui da noi nella Val Padana, non ci sono stati disagi di rilievo. Domenica giorno di Pasqua, è apparso un pallido sole alquanto freddo, mentre il giorno successivo il sole si è fatto vedere per così dire a scacchi, ma nel complesso non bisogna lamentarci, sicuramente non avevamo allo sfondo quel paesaggio meraviglioso di Nervi e neppure la passeggiata lungo il mare di Alassio o di Andora. Vogliamo ricordare quei luoghi come li abbiamo visti nei pochi giorni del nostro soggiorno, dimenticando come ce li hanno fatti vedere nei servizi giornalistici e in TV in questi giorni con le mareggiate alte tre o cinque metri d'altezza, che hanno spazzato tutto il litorale delle più belle località della nostra bellissima Liguria e del resto del nostro meraviglioso Paese.


Passeggiata al chiarore della luna
Lungo la spiaggia di Nervi
C'è un posto vicino al mare tra fiori
Bianchi e blu, dove si vede il mare brillare
Sotto i pallidi raggi della luna nella sera
Che muore
Adori di erbe aromatiche
Di eucalipto,risvegliano i sensi e i ricordi di tempi lontani
E' un posto dove tutto e poesia, musica
Spensieratezza e allegria
C'è un posto che fra le rocce di Pinamare
Fiorisce la violacciocca
fra gli anfratti della roccia.
Sembra di essere ritornato ragazzo a giocare
Fra le cose perdute nel tempo
E' un posto di fronte al mare tra i fiori gialli e amaranto
Nell'aria fresca della sera,ritrovi il dolce incanto
Di una felicità che credevi perduta.


Il golfo di Nervi
(Escursione)

E' Primavera? Non ancora, mentre cerchiamo di scrivere questo nostro itinerario escursionistico di Nervi, un quartiere sito a pochi chilometri dalla grande Genova, che è stato definito la punta più bella del Mediterraneo, ma per noi è soltanto un angolo di Paradiso, situato fra l'azzurro del cielo, il verde degli ulivi, con le sue colline scendenti verso le rive turchese del suo meraviglioso mare, dove regna la pace, l'allegria, la bellezza e la gioia di vivere.
Ma dopo una lunga attesa, finalmente possiamo dire che la sospirata primavera sembra essere alle porte. Il cielo grigio e la pioggia di questi giorni stanno lasciando spazio a un timido sole primaverile, un sole più chiaro. Tutte quelle cose che i poeti e i pittori conoscono bene. Anche per chi non ha la fortuna di vivere d'arte, di poesia, di musica e d'amore" c'è nel periodico risveglio, dell'Universo un significato profondo, che solo i grandi pensatori e i filosofi sono in grado di spiegare. Le stagioni dell'anno sono una metafora, assomigliano in un certo senso a quella della vita. La primavera, in particolare, è il tempo delle scoperte, del mondo che nasce o risorge, E' spontaneo, come recita l'articolo in primo Piano della Rivista del mese di marzo del " II Carabiniere", che fa l'augurio a tutti noi lettori di rifiorire con i giorni che verranno dell'attesa e sognata primavera. Sì, è vero, con l'arrivo della primavera possiamo sempre rinnovare noi stessi, cambiare e migliorare, trovando quella serenità interiore in ognuno di noi che andiamo sempre cercando.

La prossima settimana ci saranno due festività: la Festa del Papà il 19 Marzo e la domenica delle Palme. Con Adriana mia moglie, approfittando di queste due festività abbiamo quindi deciso di trascorrere nel migliore dei modi questa breve vacanza nella nostra bella, colorata e profumata Liguria. Per la festa del Papà ci fermeremo in quel triangolo incantato di Nervi, meta domenicale dei genovesi, nella gita fuori porta. In passato, moltissimi anni fa, quando, per ragione del nostro servizio nell'Arma Benemerita, abitavamo a Genova - Quezzi e prestavamo servizio al Forte San Giuliano, dove aveva sede il II Btg CC: e noi svolgevamo, oltre al normale servizio di Ordine Pubblico al campo sportivo di Marassi ed essendo sottufficiale ci era stato affidato il Comando di una squadra fucilieri motorizzata, quindi il nostro compito era quello di istruire, giorno dopo giorno, i nostri giovani carabinieri ausiliari. Quando libero dal servizio, con Adriana portavamo a fare una passeggiata la nostra piccola principessa Tiziana, che allora aveva otto anni d'età e frequentava la Seconda elementare. Generalmente, la nostra meta era quel angolo meraviglioso di Nervi, dove regnava tanta pace e serenità, dove i bambini potevano ancora giocare immersi nel verde dei parchi e sulla spiaggette sottostante, senza di essere disturbati da nessuno.
Oggi, 16 marzo 2008, giorno della festa delle Palme, dopo 40 anni, ci siamo ritornati, ma senza la piccola principessa, che ormai è sposata e ha molti impegni scolastici, essendo insegnate, presso le scuole elementari di Viadana. Forse ricorda appena la lunga, meravigliosa e panoramica passeggiata "Anita Garibaldi di Nervi", ma noi, le abbiamo inviato una serie di fotografie, scattate con il cellulare e che attraverso la visione di queste bellissime fotografie sicuramente si rammenterà dei luoghi della sua fanciullezza, dove serenamente giocava e correva con gli altri bambini suoi amichetti, compagni di scuola. Oh sì! La vita passa come il vento e l'ebbrezza della sera di questo meraviglioso mare turchese, che ti lascia soltanto per segno una piccola carezza che ti sfiora leggermente il viso, ma lasciando un labile ricordo che difficilmente si può dimenticare ed è come quei profumi, che sembra debbono svanire, eppure resistono al tempo e penetrano di sé ogni cosa.

La località dove sorge la cittadina di Nervi, è una delegazione residenziale all'estrema periferia orientale di Genova. Fa parte del Municipio IX Levante. A livello di unità urbanistiche sono comprese nel territorio dell'ex circoscrizione Nervi-Quinto- Sant'Ilario le unità di Nervi e Quinto. Altre due località meravigliose che sorgono sul litorale.
Come unità urbanistica Nervi, ha una popolazione di 11.114 abitanti (al 31 dicembre 2006.) Dispone di un piccolo porto turistico, di una lunga scogliera sulla quale è stata costruita la lunga passeggiata intitolata ad Anita Garibaldi. Leggendo la sua storia, abbiamo appreso che a Nervi, sono stati girati anche alcuni film. Nel film Palombella rossa di Nanni Moretti si vede il protagonista in giovane età che lungo la passeggiata a mare di Nervi porta la sacca con l'occorrente. Per giocare a pallanuoto nella piscina collocata nel piccolo porto. Le alture a ridosso del mare garantiscono a Nervi un clima particolarmente gradevole. Nelle giornate invernali è possibile che la temperatura a Nervi sia superiore anche di 10 gradi rispetto alla temperatura presente nel resto di Genova. Tuttavia dai dati raccolti in molti anni è emerso che, dopo Ospedaletti, e ancor prima di Nervi il clima più mite del genovesato e dell'intera Liguria è quello di Pegli

ORIGINI DELLA LOCALITA'
La storia ci racconta le origine della località, secondo diversi autori, si deve ad una colonia di celti che vi si stabilirono. L'ipotesi è avvalorata dal motto "NEAR AV INN" presente sullo stemma nerviese, che significherebbe "Luogo vicino al mare" e la cui storpiatura ha poi dato luogo all'attuale nome. Un'altra ipotesi si basa sulla scritta in arvis (nei campi) che compare su una pietra miliare romana. Secondo questa teoria il nome della cittadina deriva dalla storpiatura della frase.
Il nome Nervi potrebbe derivare anche dall'imperatore romano Marco Cocceio Nerva, che fosse dedicato in suo onore da un drappello di soldati a lui fedele che trovarono rifugio nel borgo. La chiesa di San Siro (chiesa Plebana): è la prima chiesa parrocchiale di Nervi, che dell'epoca medioevale conserva il titolo di "Plebana" e la facciata di dimensioni minori rispetto alle attuali, riscoperta in recenti restauri e lasciata in evidenza con le pietre a conci di grossa dimensione. All'interno opere scultoree del periodo neoclassico di vari artisti genovesi, legati all'Accademia Linguistica di Belle Arti, tra le quali gli scultori Pasquale- Bocciardo e Bernardo Mantero.
La torre Gropallo, che sorge lungo lo scoglio panoramico della passeggiata, la storia ci racconta che fu realizzata nella seconda metà del Cinquecento dopo la pesante incursione del corsaro turco Dragut (Thorgut, Turgut), prende il nome attuale dal fatto di essere stata collegata al parco Gropallo nell'Ottocento. Si trova lungo la passeggiata a mare Anita Garibaldi. Il castello di Nervi: Costruito a protezione dell'approdo, attuale porticciolo alla foce del torrente Nervi, dove inizia la passeggiata a mare Anita Garibaldi.
Le ville di Nervi
A Nervi sorgono diverse e bellissime ville, degne di essere visitate, come Villa Gnecco, che si trova sul torrente Nervi, poco sopra il tratto attraversato dal ponte storico di Nervi. Costruita nel XVIII secolo, ha la caratteristica struttura a angoli rinforzati a corpi angolari avanzati, alla maniera delle fortificazioni, che racchiudono la loggia a tre arcate al centro.
Villa Gropallo: con il parco fu donata al Comune di Genova.
Villa Luxoro: che sorge all'estremità di Levante del Sestiere, realizzata all'inizio del Novecento, sede oggi di un museo che ospita le ricche collezioni di quadri e antiquariato dei proprietari, con le successive aggiunte. In lei sono alcune note tele di Alessandro Magnasco. Il parco si affaccia sulla scogliera a picco sul mare da dove l'occhio spazia e si perde nella profondità dell'orizzonte, tra cielo e mare.
La passeggiata Anita Garibaldi e i Parchi di Nervi
Inseriti nel contesto urbano della delegazione si trovano i tre parchi conosciuti comunemente come Parchi di Nervi, nei cui due teatri allestiti all'aperto si è spesso tenuto un importante festival estivo del balletto e la manifestazione estiva Cinema nel Roseto.
Lungo la passeggiata Anita Garibaldi si trova la torre Gropallo (dal nome del marchese Gaetano Gropallo che l'acquistò a metà del XIX secolo) nota anche come "torre del fieno", per via del fieno bagnato che era bruciato sulla parte superiore della torre per produrre fumo e segnalare pericoli. La costruzione della torre è risalente alla metà del cinquecento, ma negli anni è stata modificata e restaurata più volte. Nel 1936 la torre fu acquistata dal comune di Genova, e successivamente ospitò la sede della Lega navale italiana e la sezione di Nervi dell'Associazione Nazionale Alpini (presente ancora oggi). La passeggiata fu costruita in due tempi dal marchese Gropallo, la prima parte nel 1862, per collegare il porticciolo con la torre Gropallo, la seconda nel 1872 per collegare Via Serra Gropallo (la strada che attraversa i parchi) con la zona di Capolungo, ma sembra che lungo il percorso della passeggiata esistesse fin dalla prima metà del XIX secolo un piccolo sentiero, usato principalmente dai pescatori e contadini del luogo. La passeggiata prevede diversi accessi (di cui alcuni chiusi per motivi di sicurezza) alla scogliera sottostante, che durante i mesi estivi è intensamente frequentata da bagnanti e da qualche pescatore.

Trasporti pubblici.
Nervi è interessata da due autolinee interne, la circolare 517 e la linea 516 per la frazione di Sant'Ilario. Il quartiere è inoltre collegato al centro di Genova tramite le linee 15 e 17, la linea serale 607 e la notturna N2, che fanno capolinea nella delegazione. Tutte le autolinee urbane sono gestite dall'AMT.
Un altro importante collegamento è rappresentato dalla ferrovia; la stazione di Genova Nervi è servita da tutti i Regionali, Diretti ed Interregionali, con un servizio verso il centro di tipo suburbano. Storicamente erano presenti sul territorio nerviese anche le due fermate ferroviarie di Sant'Ilario (nota perché citata in "Bocca di Rosa" di Fabrizio de André) e di Cattaneo (nelle adiacenze del porticciolo). I parchi di Nervi comprendono la grande distesa di verde costituita dalle Ville Gropallo, Serra e Grimaldi che per complessivi circa 92.000 mq. Si estende tra la passeggiata a mare Anita Garibaldi e l'antica strada romana senza soluzioni di continuità. Si tratta di un complesso storico-ambientale di ispirazione romantica dal valore inestimabile che ospita piante esotiche e tropicali oltre alla tipica flora mediterranea. Pittoresche, viali che si aprono ad ogni curva su nuove prospettive con il mare azzurro sullo sfondo. A Nervi agavi, palme di ogni tipo, cedri e araucarie convivono con l'albero del pepe sotto la splendida chioma di antichi e maestosi pini marittimi insieme a ulivi ed oleandri. E' un vero giardino botanico, molto ammirato specialmente dai turisti inglesi e tedeschi. Grandi prati degradano dolcemente verso il mare contornati da romantici viali, mentre tra il verde appare, inaspettato, l'azzurro intenso del mare. Le Ville Gropallo e Serra furono acquistate dal Comune di Genova nel 1927 per la somma complessiva di lire 6.200.000 e furono aperte al pubblico poco dopo diventando, con la passeggiata a mare, la principale attrattiva turistica di Nervi. Da una rivista specializzata, apprendiamo che la costruzione della Villa Gropallo risale alla seconda metà del Settecento e prende nome dal suo primo proprietario, Marchese Gaetano Gropallo. Si tratta di un bel edificio con sale in diversi stili con l'aggiunta di un insolito bovindo in stile moresco all'interno e ricco di pensiline realizzate in ferro battuto all'esterno. A lungo residenza di campagna della famiglia Gropallo ancora a metà dell'Ottocento la Villa era circondata da un esteso giardino all'inglese che, prima della costruzione della ferrovia, arrivava sino al mare. Acquistata dal Comune di Genova nel 1927 fu inizialmente adibita a sede dell'Azienda di Soggiorno e del Circolo dei Forestieri mentre attualmente ospita la Biblioteca Comunale "V. Brocchi" e la locale Stazione dei Carabinieri. L'edificio ha ospitato nel tempo molti personaggi famosi nel campo dell'arte e della letteratura tra cui Gabriele D'Annunzioed Eleonora Duse e la scrittrice francese Gorge Sande.
Il Parco fu ristrutturato radicalmente dal Marchese Gropallo agli inizi dell'ottocento, quando ulivi, viti ad agrumi furono sostituiti da palme, cedri del Libano e altre piante esotiche. Attrazioni del Parco ancora adesso sono il vasto prato luminoso antistante la Villa fiancheggiato dal viale delle sclerofille che suggerisce, con gli antichi lecci (Quercus ilex), l'ambiente di un bosco ombroso. Poco lontano si può vedere il viale delle palme che, rare ed esotiche nell'Ottocento, costituivano il vanto della famiglia Gropallo ed erano molto invidiate dagli ospiti. Tra gli esemplari arborei più interessanti sono da segnalare: eucalipti dalle foglie pendule e dalla corteccia sfogliata (Eucaliptus globulus; una maestosa fitolacca (Phytolacca dionica); tra le palme, l'imponente e curiosa jubea (Jubaea spectabilis) e l'araucaria (Araucaria bidwilli) i cui frutti possono arrivare sino a cinque chilogrammi; le cicas (Cycas revoluta), dall'aspetto di palme ma prossime alle conifere, veri e propri fossili viventi.

Villa Serra, in Via Capoluogo 1, risale al secolo XVII e appartenne prima ai Marchesi Saluzzo poi ai Morando, ai Serra e quindi all'armatore Carlo Barabino che la cedette nel 1926 al Comune di Genova. Nel corso dei secoli la costruzione fu ingrandita a più riprese e i terreni circostanti, coltivati sino ad allora a ulivi e agrumi, in uno dei più bei parchi dell'epoca. La villa, che nel 1928 ha accolto la Galleria d'Arte Moderna ha ospitato nel tempo numerosi ospiti illustri tra i quali la regina Amelia, figlia di Ferdinando IV Re delle Due Sicilie, Federico Guglielmo Imperatore di Prussia, la regina Maria Cristina di Spagna e molti altri personaggi illustri tra cui lo storico francese Jules Michelet (A. Capellini 1931). La Galleria d'arte Moderna è stata restaurata e riaperta al pubblico nel novembre 2004. A fianco della Villa si trova la bella cappella gentilizia, mentre sul fronte sud si estende un vasto prato all'interno di un giardino all'inglese che offre anche suggestivi e romantici corsi d'acqua che scorrono sotto ombrosi cipressi (Cupressus sempervirens). Pino domestici (Pinus pinea); lecci (Quercus ilex), allori (Laurus nobilis) e carrubi (Ceratonia siliqua) Altre piante interessanti sono una Thuja occidentalis dal caratteristico portamento a candelabro, le molte palme diverse e insolite e una quercia da sughero (Quercus suber) oltre ai più comuni olivi (Oliva europea), cedri (Cedrus sp.), noccioli (Corylus avellana), maggiociondoli (Laburnum anagyroides), roveri (Quercus petrae), ippocastani (Aesculus hippocastanum), camelie (Camelia japonica) ecc. Il parco ( 23.415 mq) è popolato da numerosi scoiattoli ed unisce Villa Gropallo a Villa Grimadi attraverso ponticelli che scavalcano le strette e dritte viuzze che portano dall'Aurelia al mare.

Villa Grimaldi
Non si conosce la data della sua prima costruzione che alcuni autori (tra cui Gajone) fanno risalire al cinquecento. Certamente esisteva nel 1773 (come visibile dalle carte di M. Vinzoni, cartografo della Repubblica di Genova) ed è noto che la Via Capolungo anticamente si chiamava via Grimaldi. I dati catastali storici ne attestano il passaggio di proprietà alla famiglia Croce. L'ultima ristrutturazione risale alla fine degli anni '50 a cura dell'Arch. Luigi Carlo Daneri. Attualmente ospita il Museo che accoglie le "Raccolte Frugone". Accanto alla Villa si trova una cappella (oggi chiusa) della seconda metà del settecento. Il Parco e la Villa Grimaldi sono stati acquisiti dal comune di Genova nel 1979 dagli armatori Fassio Lomellini.
Complessivamente il Parco occupa una superficie di ca. 28.000 mq. ed è costituito da un bel parco all'inglese dolcemente digradante verso il mare. Si tratta di un luogo molto piacevole da percorrere, anche se purtroppo è tagliato in due parti dalla ferrovia che collega Genova a levante, ferrovia che comunque corre incassata nel terreno e non disturba eccessivamente il panorama. Tra le piante più interessanti, nei pressi della Villa, si può vedere una falsa canfora (Camphora glandulifera) censita tra gli alberi monumentali. La parte sud si affaccia sulla bellissima passeggiata a mare con meravigliosi scorci sulla scogliera e sul promontorio di Portofino. Qui si possono ammirare bellissimi esemplari di piante succulente La parte est del parco accoglie un famosissimo Roseto, al momento in via di recupero ma che, in primavera, ha sempre suscitato nei visitatori un generale entusiasmo e ha ospitato per anni l'importante Concorso Internazionale della Rosa Rifiorente (Premio Genova).

Villa Luxoro
La Villa Luxoro si trova nella parte a levante di capoluogo sulla Via Aurelia e fu costruita dal 1901 al 1903 dai fratelli Luxoro su un terreno agricolo coltivato ad agrumeti ed ulivi. La costruzione e l'incantevole parco circostante fu successivamente donata al Comune di Genova in memoria di Giannettino Luxoro caduto durante la Prima Guerra Mondiale. Dal 1951 ospita il Museo "Luxoro" esempio di abitazione tipica della borghesia genovese all'inizio del novecento. Nel museo sono esposti mobili, orologi antichi con numerose pendole, dipinti e oggetti da collezione. In particolare si possono vedere pregiati presepi del 1600 e 1700.
La Villa è circondata da un magnifico parco (8.500 mq.) che conserva un aspetto naturale con grandi pini e bellissimi scorci a picco sul mare. Sono presenti le tipiche essenze mediterranee: lecci (Quercus ilex), pini domestici (Pinus pinea), pini di Aleppo (Pinus halepensis), cipressi /Cupressus sempervirens) oltre a numerosi arbusti della macchia come lentischio (pistacia lentiscus), corbezzolo (Arbutus unendo), carrubo (Ceratonia siliqua). Numerose piante esotiche, eucalipto (Eucaliptus globulus), agave (Agave americana), cicas (Cycas revoluta) e diverse specie di palme, che aggiungono alle bellezze mediterranee un tocco di esotismo, che ciò non guasta mai.

A Nervi, siamo rimasti un paio di giorni, per ammirare con calma le sue bellezze naturali, i suoi Musei, le sue chiese, i suoi Palazzi e le meravigliose Ville del Parco. Il mattino del 18 marzo, il sole era alto nel cielo, quando a bordo della nostra Pegeout 1007, abbiamo a malincuore lasciato la bella cittadina di Nervi, diretti a Quarto, Quinto e Corso Italia, dove sorge l'antico Forte San Giuliano, dove ha sede il Comando Provinciale dell'Arma. Era doverosa una breve sosta, per immortalare sulla pellicola della macchina fotografica le mura del forte, che ci videro nel fulgore della nostra gioventù, su quegli spalti a addestrare i nuovi carabinieri ausiliari. Proseguendo pochi centinaia di metri dal forte, ci siamo nuovamente fermati per ammirare le bellezze paesaggistiche della Foce, allo sfondo i palazzi e le magnifiche ville della vecchia Genova. La sopraelevata in un battibaleno ci ha portati in Piazza Caricamento, una delle piazze più belle di Genova, dove sorge il grande porto commerciale e i carruggi della vecchia e bella Genova. Nel pomeriggio, dopo di esserci rifocillati in un tipico ristorantino, sito in Via Pré nel centro storico, abbiamo visitato l'Acquario, costruito dal grande architetto Renzo Piano, noto in tutto il mondo per le sue architetture innovative, dove abbiamo ammirato pesci rarissimi, provenienti da tutti i mari del mondo.
Prima di lasciare la città di Genova, per Andora, siamo saliti fino alla Basilica di Carignano, che sorge sopra la collina, ma dopo questa visita non potevamo tralasciare la Chiesa della Concezione dei Cappuccini, meta di devoto pellegrinaggio alla tomba del Padre Santo. al secolo, Giovanni Francesco Coese da Caporosso - " poverello di Cristo ( dice la lapide) - più beato nel dare che nel ricevere- pei dolori e pei bisogni di tutti - aveva pane, consiglio, conforto". Chiesa semplice e nuda, sia all'esterno come all'interno, d'una semplicità veramente francescana; con i suoi lindi altari di legno lucido; con le volte e le pareti, senza ornamenti, odoranti di bianca calce. A fianco della chiesa è un tempietto, adibito a presepio, ove trovasi sepolto il poeta genovese Martin Piaggio, morto il 22 aprile 1843. Lo ricorda una lapide di marmo nero venato di giallo, su cui si legge l'epigrafe da lui stesso dettata:
Questa è l'epigrafe in dialetto genovese:
"Sotto questa poca terra
E quattro asse con gran stento
Pe-a famiglia e per l'l'onò,
Ma chi è morto assae contento
Confidando ne-o Segnò.
Preghe paxe a-o peccatò
".

Ricordando gli anni Ottanta
( Racconto)

Gli anni Ottanta nel nostro Paese, sono stati anni da dimenticare, anni veramente difficili Giorno dopo giorno, tutte le forze dell'ordine erano sul piede di guerra, di quella guerra silenziosa, dove non si sapeva dove si nascondeva il vero nemico da battere: Di quella guerra senza quartiere che non risparmiava nessuno, incominciando dai politici, perché quella era una guerra soprattutto politica, dell'estrema sinistra. Quindi, eravamo tutti sul mirino, dai politici ai giornalisti, ai militari, agli insegnanti e persino ai semplici cittadini. In quel tempo, noi eravamo di stanza a Gazzuolo, un borgo antico a pochi chilometri da Mantova, quale comandate di quella stazione Carabinieri in quel periodo buio del nostro Paese. Come il lambruscone nostrano nelle botti in cantina, anche il lungo inverno stava puntualmente fermentando. Nell' aria fredda e nebbiosa passavano i lieti annunci delle festività che tornavano a scuotere il letargo padano. Si preparavano per Mantova e il suo contado , la sospirata follia degli " ultimi giorni di Carnevale, e la piccola capitale, ansiosa di esplodere, ne viveva la gaia vigilia. Il paese di Gazzuolo, dove eravamo comandante di quella Stazione CC: da alcuni anni, era ed è ancora oggi un piccolo paese che in fondo non era che una strada, tutto una lunga strada ordinata e abbellita di qualche palazzotto, di un nobile porticato e di tante dignitose casette.
In quei tempi bui della politica e soprattutto della nostra storia, il nostro era un paese vario, difficile, non si sapeva da dove incominciare e dove si andava a finire. Era tutto un susseguirsi di situazioni scabrose, che impegnava i nervi, l'estro e perché no, anche l'astuzia sino all'esasperazione. Il nostro è un Paese che dal punto di vista etnico, geografico, psicologico e soprattutto politico, è diversissimo dagli altri, frastagliato e pieno di imponderabilità, che non si può prevedere, valutare in tutti i suoi più vari aspetti.
Certamente è stata una guerra, una guerra di nervi, di attese, con aspetti tragici e ripetitivi, perfino anche nel dolore e nella disperazione nel complesso della sua tragicità, causando lutti, paure e disordini di ogni genere. Abbiamo visto impegnati gli uomini migliori, non solo quelli dell'Arma, ma di tutte le forze di polizia, accomunati in un solo sentimento, in quel sentimento di abnegazione verso le istituzioni del nostro Paese Sicuramente, sono stati tempi difficili, tempi duri da superare, per riportare nuovamente nei nostri villaggi e nelle grandi città, quella pace, quella tranquillità e quella sicurezza agognata dalla nostra gente, che da tempo tendeva ad una giustizia migliore, nella quale l'uomo, ogni uomo e tutti gli uomini, possono nuovamente sentire la loro dignità di sempre.
Dalle montagne altissime, nevose, ghiacciate dei confini alpini alle piazze iridescenti, della Sicilia,dal Carso gelido, sibilante di vento e di tempesta alle isole del Mediterraneo bianche e assolate; dai boschi verdi dell'Appennino ai laghi fiabeschi dell'interno; dalle grandi città ai piccoli borghi come il nostro, era un continuo e assillante pensiero, un cruccio, uno stimolo, un incitamento a continuare quella lotta, quella battaglia, a debellare e così sconfiggere, sgominare il tremendo e brutale terrorismo.
Quel movimento di contestatori, quella setta terroristica, ha infangato i valori democratici del nostro Paese, trascinato in responsabilità più grandi di loro, in quella impresa senza ritorno, coinvolgendo nei suoi ingranaggi, centinaia e centinaia di giovani, che ha pescato fra noi, nelle nostre case borghesi, artigiane, impiegati e proletari, studenti e operai, ricchi e poveri, trasformandoli in crudeli e semplici delinquenti comuni, assetati di vendetta e di tragiche azioni criminose. Il bene comune, oggi più che mai, anche in ordine allo auspicato rinnovamento giuridico - politico - sociale dei popoli, si può promuovere e consolidare soltanto garantendo l'autentica maturità politico - sociale.
E' terra magica la nostra, divertita dalle sue astruserie, bislacca, mutevole fatta apposta, per quel gioco millenario del rimpiattino che è poi un po' il compendio della sua storia e della sua morale. Ebbene, su questo terreno vario, circospetto, suscettibile, come scriveva - Ugo Franzolin, nella storia dei Carabinieri - il carabiniere si muove con pacata certezza, sapendo bene di cavalcare un capricciosissimo destriero, sulla direzione da prendere. Non concede scarti silenziosi, vede le umane debolezze perché è nato dal popolo e conosce del popolo italiano le angustie dolorose, le prove ingrate, le attese estenuanti ma la coscienza che il bene comune é un patrimonio inscindibile e che in questo bene tutto è racchiuso, non solo la radiosa, secolare primavera delle nostre ottimistiche speranze, ma anche la notte quieta del nostro dolore, le ore buie delle nostre quotidiane disillusioni.
Il suo giorno è lungo, come è lunga la sua storia; il suo giorno anzi, non finisce mai, perché per l'Arma il giorno e la notte si confondono per la tutela di questo bene morale e spirituale, di questo bene di tutti che va al di là di ogni limite di tempo e può pretendere la vita stessa dei nostri figli migliori. Quei tempi, quei lontani tempi della contestazione globale, tecnica usata dagli extraparlamentari di sinistra per aprirsi la via del potere, possiamo affermativamente dire che sono finiti nel dimenticatoio del popolo italiano.( Essi hanno tanto cavalcato la tigre che alla fine caddero e furono mangiati). Il grande giornalista e scrittore Indro Montanelli e Mario Cervi, così hanno scritto degli anni di piombo.
"Oggi, molto più che la Resistenza, o il tempo della guerra fredda, sono stati il tempo in cui si è formata la classe dirigente che ci governa: intorno a queste storie, ma direi addirittura intorno ai cadaveri - a destra come a sinistra - si centrifugano i destini e le biografie. Per dire: chi era al fianco di questi ragazzi, a destra, è diventato deputato. Chi ha iniziato la lotta armata uccidendo questi ragazzi è poi finito ad uccidere Moro. E non dico metaforicamente: nel caso di Alvaro Lojacono, imputato per il delitto Mantakas, è stato il vero e proprio battesimo di una carriera che lo ha portato a Via Fani. Il pm di quel processo, è il futuro ministro Mancuso… e potrei continuare così per ore, chi legge queste ottocento pagine avrà molte sorprese!
Note storiche:Tutto cominciò con un diffuso disagio nel Paese: l'Italia era stata ricostruita, c'erano stati gli anni del boom, si conosceva - per la prima volta dopo l'Unità - un benessere per così dire di massa: l'utilitaria, le vacanze, la casa di proprietà, la possibilità di spendere per divertirsi. Ma tutto questo, a un certo momento, sembrò non bastare più: gli uomini di governo come il solito non si accorsero di niente, gli industriali seguirono una politica miope e di corto respiro, le opposizioni di sinistra e di destra fecero il loro mestiere soffiando sul fuoco. Nulla di male: tutto questo rientrava nel gioco della democrazia, era in bilancio, poteva essere risolto. Ma all'improvviso tutto cambiò, tutto non fu più come prima. Le occupazioni universitarie abbandonarono ben presto la forma non violenta, alla logica fu sostituito il delirio delle citazioni dal libretto di Mao, quando non la chiave inglese, gli scioperi divennero violenti e selvaggi, nelle assemblee di fabbrica e universitarie si imposero la prepotenza e l'intimidazione... E poi, in una tragica e sanguinosa catena, gli attentati, le stragi, il terrorismo, i morti ammazzati, la menzogna spacciata per verità. Sembra passato un secolo da quel tragico periodo, invece è soltanto ieri. In questo libro Indro Montanelli e Mario Cervi rievocano quelli che chiamiamo gli anni di piombo, gli anni più bui della nostra storia recente: anni dove imperavano la violenza a tutti i livelli, la malafede, le opinioni non curanti dei fatti, la velleità di una certa borghesia che cercava di cavalcare la tigre della contestazione, il conformismo, il mito di una rivoluzione impossibile che si credeva dietro l'angolo. Erano in pochi, allora, a dire le cose come stavano, ad avere il coraggio di schierarsi con la verità. Montanelli e Cervi sono stati tra questi, "il Giornale" in quegli anni fu uno dei pochissimi mezzi di informazione che si sbatté sempre per la libertà, la Libertà con l'elle maiuscola. In queste pagine rivivono quegli anni di violenza; rivivono i protagonisti di quegli avvenimenti; ci sono presentati i fatti, la viltà dei molti, il coraggio di pochi. Una rievocazione appassionante, scritta con slancio e con orgoglio, che si conclude con l'elezione di Sandro Pertini, nel luglio del 1978, alla presidenza della Repubblica. Un libro prezioso, documentatissimo, graffiante; un libro che solo Indro Montanelli e Mario Cervi potevano scrivere. Volta Mantovana. Questo borgo medioevale, che s'asside sulle ultime colline meridionali dell'anfiteatro morenico, fu nei giorni 26 e 27 luglio 1848 oggetto di lunghi e sanguinosi assalti che i Piemontesi del II Corpo D'Armata al comando del De Sannaz mossero contro gli Austriaci, per proteggere il concentramento a Goito del rimanente esercito
Nei pressi dell'alto corso del Mincio, gli eventi geologici e la vicinanza al Lago di Garda hanno disegnato una regione collinare di tipo morenico, ovvero formata dall'accumulo dei detriti trascinati a valle dall'azione dei ghiacciai, e proprio il profilo vivace delle colline caratterizza l'itinerario che attraversa questa ondulata regione, da Peschiera del Garda a Desenzano, passando per luoghi di grande interesse storico. Tra questi spicca Solferino, sede di un cruento episodio bellico nel corso del Risorgimento italiano, ricordato ancora oggi da molte vie nelle città italiane. Solferino, peraltro, fu l'occasione in cui, ammirato e colpito dallo spirito di altruismo mostrato dalle genti locali, Jean Henry Dunant trasse l'idea della Croce Rossa, organismo volontario e permanente di soccorso, e vi dedicò la vita. L'intero itinerario è immerso nel verde spontaneo delle colline o nei campi coltivati della campagna gardesana.
Usciti dalla stazione di Peschiera si procede verso una rotonda in cui svoltare a sinistra entrando in un'ampia strada cittadina che costeggia il Lago di Garda. Dopo 1.3 km si seguono le indicazioni per Mantova - Pozzolengo che conducono rapidamente verso la provincia di Mantova e le colline: al km 3.5 si entra in Ponti sul Mincio, paese da attraversare in direzione di Monzambano. Sempre su gradevoli saliscendi si arriva a Monzambano (km 7.2), altro paese da attraversare lungo la direttrice principale: in uscita dal paese si segue la direzione Volta Mantovana- Quindi, per arrivare a questo bellissimo borgo medioevale, con le sue stradine strette e gli affacci panoramiche ci sono diverse strade da percorrere. Noi , per esempio, per raggiungere questo stupendo e panoramico borgo barbicato sulla stupenda collina, da Campitello abbiamo percorso una parte della bassa pianura Padana fino alle colline moreniche, dove appunto,sorge sul vertice questo bellissimo e storico paese. Da Volta Mantovana, siamo transitati più volte per raggiungere la bella città di Peschiera sul Garda, ma non sapevamo che al vertice della collina morenica, in un luogo che con lo sguardo si abbracciava un paesaggio da sogno. In cima a quel colle sorge un moderno e funzionale Ospedale, che è sito in mezzo al verde. Lassù, si respira una pace solinga e un'aria pulita, adatta proprio per un luogo di cura come quello , Appena entrati in quel nosocomio, ci ha fatto un'ottima impressione: era tutto nuovo, luccicante, funzionale ed il personale molto accogliente. Siamo giunti i quel lindo ospedale, perché indicatoci dal nostro oculista, per essere sottoposti ad un prelievo alla palpebra sinistra,per analizzarlo in laboratorio, che ha avuto la durata di pochi minuti. Al termine della breve operazione, la simpatica e gentile infermiera, ci ha offerto anche un ottimo caffè, per tirarci su il morale, anche se il morale era alle stelle., ma non è stato il caffè in se stesso, ma l'atto con il quale ci è stato offerto.
Quindici giorni più tardi, il Direttore di quel Ospedale, ci ha convocati nel suo ufficio, per informarci dell'esito degli esami. Appena entrati in ufficio,per prima, come vuole la buona creanza, presentai mia moglie e poi mi sono presentato io: Sono il maresciallo Diego Cocolo. Il Direttore si è alzato dalla sua scrivania e ci è venuto in contro, presentandosi a sua volta. Ci ha spiegato dell'esito degli esami, rassicurandoci che non si trattava di cose gravi, ma soltanto di un'infiammazione ghiandolare, che con una piccola cura tutto sarebbe rientrato nella normalità. Rimanendo nel campo militare, il Direttore, ci ha detto che anche suo padre era un maresciallo dell'Esercito Italiano e quindi anche lui faceva parte della grande famiglia. Dopo la pausa caffè, ci ha raccontato un episodio che gli è capitato nel corso degli anni di piombo. Proseguendo nel suo discorso,ha rievocato una pagina di quei momenti tristi e bui del nostro Pese, egli ci ha riferito che una sera, mentre percorreva la SS, Sabbionetaba e diretto a Volta Mantovana, di essere capitato in un posto di blocco dei Carabinieri., proprio tra Commessaggio e Gazzuolo. Il militare di servizio gli ha intimato l'alt ed egli si è subito fermato nel luogo indicatogli dal militare. Stesso Il cielo era coperto e stava incominciando a nevicare quando vide che il comandate del posto di blocco si stava avvicinando, di essere sceso dalla sua autovettura ed essendosi alquanto spaventato, è uscito con le braccia alzato, come se fosse stato un prigioniero di guerra. Appena giunto il sottufficiale,le chiese di abbassare le braccia e di fornirci i documenti personali e quelli dell'autovettura. Il maresciallo, dopo di averlo tranquillizzato, perché era alquanto provato, lo ha salutato militarmente, dicendogli: un medico non deve avere mai paura, vada tranquillo Signor. Dottore, è stato solo un normale controllo.
Quando il dottore ha terminato la sua rievocazione storica, gli ho detto: Si, è vero, quel maresciallo ero proprio io . Quelli erano tempi tristi, molto tristi, le paure e le preoccupazioni erano all'ordine del giorno, ma quelle paure sono state gli anticorpi che ci hanno permesso di continuare a vivere giorno dopo giorno.
Nel corso della nostra lunga carriera militare, ci siamo più volte trovati in casi del genere, ma abbiamo sempre mantenuto un comportamento di freddezza e di calma. Solo così si riesce a vincere la paura. Non sappiamo che cosa sia il panico, perché in certe situazioni non cera tempo per pensare al panico o alla paura, bisognava soltanto agire con determinazione se si voleva portare a casa la pelle. Come abbiamo detto sopra, una specie di paura può venire dopo, quando tutto è terminato e pensi a quello che sarebbe potuto succedere, ma ormai è tutto passato e dopo la tempesta ritorna sempre il sereno.

La prima neve.
C'era una volta ieri, una vecchia canzone d'amore sempre viva, sentita su le cime dei pioppi alte su le golene del nostro fiume. La provincia di Mantova, dove viviamo da molti anni, con il suo vasto territorio pianeggiante, solcata da fiumi, laghi e canali, non è stata interessata nell'ultima o per meglio dire nella prima nevicata dell'anno, Sono molti anni ormai che non nevica L'ultima volta che é nevicato seriamente e abbondantemente, fu nell'inverno del 1985, che procurò molti danni a capannoni agricoli e abitazioni, nonché alla circolazione stradale. Quest'anno quasi tutta l'Italia è stata stretta in una morsa di neve e di ghiaccio. Da alcuni ormai non nevica più in questa provincia e nel constatare tutto questo sembra che sia un angolo felice della grande Valle Padana. Mentre in tutte le Regioni del Paese, nevicava qui da noi si sono verificate soltanto delle brinate notturne, che con il sorgere del sole tutto ritornava alla normalità, Soltanto i fossi, le golene e gli argini del fiume Oglio e le spiagge del Po, erano imbiancate dalla brina notturna che con il sorgere del sole si dissipava e ritornava il paesaggio bucolico dei vecchi tempi.
Da quando abbiamo lasciato il servizio attivo nell'Arma e siamo transitati in quiescenza, abbiamo messo da parte i vecchi codici e i regolamenti e siamo ritornati al vecchio amore della pittura, approntando gli attrezzi del "pittore della domenica": cavalletto, tele, pennelli e casetta con i colori e siamo ritornati nei vecchi e caratteristici borghi della " Bassa" padana, per dipingere gli angoli più belli. Uno dei nostri itinerari preferiti erano le sponde del vecchio fiume Oglio, con le sue bellissime e pittoresche insenature, i cascinali, i fossati con i lunghi filari dei pioppi e gli scorci panoramici. Insomma, gli angoli più belli del fiume della vita, come pure il vecchio ponte di barche dell'Oglio, sono stati oggetto della nostra pittura Alcuni anni fa, in una mostra estemporanea sull'argine dell'Oglio, abbiamo dipinto un bellissimo quadro, riproducente il ponte di barche, tanto che la giuria giudicatrice delle opere, l'ha ritenuto meritevole, sia per la sua prospettiva quanto per l'impronta cromatica, assegnando immeritatamente il primo premio. Adesso che stanno per arrivare le bellissime giornate di sole, mentre nel resto del Paese continua a nevicare copiosamente, qui nella " Bassa" padana, è meraviglioso farsi una bella, distensiva e lunga passeggiata in bicicletta o a piedi lungo i sentieri e le strade bianche che seguono l'argine del vecchio fiume. Man mano che ti addentri nella valle scopri vasti orizzonti lontanissimi, questi cieli che ti avvolgono completamente senza le quinte delle montagne spruzzate di neve. Naturalmente oggi è tutto brullo, ma iniziando dal mese di aprile e maggio, c'è tanto verde che scoppia e aggredisce persino i sentieri e gli argini del placito fiume. Oltre alla pianura senza orizzonte, anche le golene sono coltivate a pioppeti e si può cogliere in questo profondo orizzonte una grande visione dell'insieme e che persino ti ispira dei versi pastorali, ma noi non siamo poeti ma semplici osservatori delle manifestazioni della Madre natura. Qui è tutta poesia e bellezza, dove si può scoprire una realtà contadina che molte persone non conoscono ancora. E' una natura che colpisce, una natura che da queste parti ha un aspetto del tutto diverso dai sentieri dolomitici e collinari. Dopo Sant'Alberto, seguendo l'argine del fiume Oglio, si incontra il Ponte di barche di Torre d'Oglio, oggi molto contestato fra i comuni limitrofi e l'amministrazione provinciale. Proseguendo la passeggiata oltre il ponte di barche, si ammira un paesaggio naturalistico senza pari e proseguendo oltre, ci si può fermare dove quest'ultimo si sposa con il grande e vecchio fiume Po, da dove l'orizzonte si allarga e si confonde con il paesaggio piatto dell'altra sponda reggiana, con lunghi filari di pioppi. Quel angolo della foce dell'Oglio, è un angolo particolare dove si respira un'atmosfera diversa, dove regna il silenzio e la pace. Di tanto in tanto, questo silenzio è interrotto dal cinguettio degli uccelli acquatici che si rincorrono nelle piccole anse del fiume. Guardando da vicino questo luogo, ci sembra di ammirare una piccola oasi d'acqua stagnante dove si incrociano diversi canali e si rincorrono le anatre selvatiche. Più avanti, gli aironi grigi, continuano imperterriti e indisturbati a pescare i pesciolini e le rane. Pensando al passato, possiamo interpretare l'anima degli uomini che era piena, solida, uniforme come il paesaggio che si ammira nella sua vastità e nella sua meravigliosa bellezza, tutto conquistato alle acque, che il poeta cantava:

" Acque serene ch'io corsi sognando/
Nella dolcezza delle notti estive/
Acque che vi allargate fra le rive/
Come un occhio stupito, a quando, a quando./.
Oh! Nostalgiche acque di sorgiva, /
Acque lombarde che transitate
Silenziosamente sotto il vecchio e
Glorioso Ponte di Barche del fiume Oglio.

Dalla cronaca del Corriere della Sera e di alcuni quotidiani locali, apprendiamo che la grande città di Milano, questa mattina si è svegliata con la neve in molte zone del centro e del nord Italia, ma per il momento la circolazione stradale non risente di particolari problemi, anche perché il traffico è ridotto a causa del periodo festivo. La massima intensità delle precipitazioni è tuttavia prevista in molte regioni come il (Piemonte, la Lombardia, la Liguria, l'Emilia Romagna e il Veneto) nel pomeriggio e nella serata di giovedì. Secondo le indicazioni dei meteorologi anche in pianura si potrebbe arrivare ad almeno 20 centimetri di neve.
Il tunnel del monte Bianco è stato chiuso ai mezzi pesanti dalle 8,30 fino a venerdì "per una differenza di pressione atmosferica fra Francia e Italia". Lo ha annunciato il Centro nazionale di informazione stradale francese (Cnir). Si tratta di una misura precauzionale dal momento che forti differenze di temperature fra i due Paesi rischiano di provocare una cattiva ventilazione del tunnel. I mezzi pesanti diretti in Italia potranno utilizzare il tunnel del Frejus. Per informazioni sul traffico in tempo reale è possibile chiamare il Centro multimediale di Autostrade per l`Italia al numero 840.04.21.21.
A Milano i primi fiocchi sono cominciati a scendere verso le 8. A partire dalle 12 fino alle prime ore di venerdì è previsto un peggioramento in particolare a Milano e in tutta la parte occidentale della regione (Varesotto, Oltrepò Pavese, Milanese): fino a 15 centimetri di neve sulle Prealpi e cinque centimetri in pianura. Venerdì dovrebbe nevicare solo sopra i 500 metri di altitudine. Nel Bergamasco una Land Rover è precipitata lungo un pendio fermandosi sull'orlo di un burrone. Alla guida c'era un 25enne che non ha riportato ferite serie. I soccorsi non sono stati facili a causa della neve, tanto che l'equipaggio dell'ambulanza (senza catene è stato portato sul posto dalla jeep della Polizia provinciale.
Apprendiamo inoltre che nevica anche lungo tutta l'autostrada A6 Torino-Savona. Autostrade per l'Italia segnala precipitazioni nevose sulla A7 Genova-Milano da Bolzaneto a Serravalle e sulla A26 tra Masone e Alessandria. La Polizia stradale raccomanda massima prudenza per la possibile presenza di ghiaccio. Secondo le previsioni meteo la situazione dovrebbe peggiorare nelle prossime ore.
Anche nel Veneto nevica da questa mattina su tutto il Veneto. Nelle città è già scattato il piano anti-neve messo in atto dalla Protezione civile. A Venezia e terraferma è stato attivato il piano comunale per l'emergenza neve scattato alle 10. I disagi maggiori si registrano comunque nelle zone alpine dove è consigliato il transito muniti di catene.
Anche nell'Emilia leggere nevicate dalla mattina su alcune aree, ma senza problemi alla viabilità. Interessate in particolare l'Autosole tra Reggio Emilia e Piacenza e il tratto appenninico tosco-emiliano tra Rioveggio e Calenzano, l'A15 Parma-La Spezia nella zona di Berceto e la superstrada E45, l'unica dove è al momento in vigore l'obbligo di catene a bordo dei veicoli. Nevischio anche nel centro di Bologna.
In Toscana, precipitazioni nevose hanno interessato il tratto toscano dell'A1 fino ad Arezzo e lungo la superstrada Firenze-Pisa-Livorno tra Lastra a Signa e Montelupo Fiorentino ma nessun problema è stato segnalato per il traffico. Qualche fiocco di neve, subito però sostituito dalla pioggia, è caduto anche su Firenze e sulle colline intorno alla città. Alcune strade ghiacciate e un po' di neve sono segnalati in Garfagnana (Lucca). Una leggera spruzzata di neve ha imbiancato Siena e anche alcune località della provincia ma tutte le strade principali sono percorribili senza problemi. Qualche rallentamento sulla tangenziale di Siena e sulla Siena-Grosseto. È nevicato leggermente anche sul monte Amiata.
Come abbiamo detto sopra, è nevicato abbondantemente dappertutto, dal sud al nord, è stata risparmiata, a quanto pare la Bassa Padana, comprendente l'intero territorio Mantovano. Non è una novità, perché anche gli anni scorsi la neve l'abbiamo vista poco, ma, per dire la verità, a noi la neve anche se non viene ci fa un favore. Certo, che un Natale senza la neve, perde le sue caratteristiche. I bambini aspettavano la neve, per divertirsi e tirarsi le palle di neve e costruire il babbo natale nel cortile della loro casa o magari sulla bellissima Piazza di Campitello, ma anche senza la neve, abbiamo festeggiato il Santo Natele in allegria, riuniti in seno alle nostre famiglie, nel tepore della casa a scartare i regali che si trovavano sotto l'albero. Perché Natale è Natale, e senza regali che Natale sarebbe? Il 3 gennaio, da quando è iniziato a nevicare in tutto il Paese, migliaia di sciatori o amanti della neve, hanno raggiunto le Dolomiti, la Val d'Aosta e gli altri centri sciistici. Anche noi, con i nostri amici del CAI di Mantova, abbiamo trascorso qualche giorno su quelle stupende località che tutto il mondo ci invidia. Credetemi, è veramente bello camminare su quelle valli innevate e illuminate da un tiepido sole. Non c'è goduria più bella che si possa provare nel silenzio dei luoghi, dove si sente soltanto il mugolare del vento della sera, in quelle valli senza orizzonti, dove la vita è degna di essere vissuta, ma appena rientrati da quelle località montane bellissime, rischiarate da quel vivido e caldo sole invernale, qui in Val Padana, vi abbiamo trovato il Limbo dantesco, con l'eterno muro di gomma dell'eterna nebbia. In questi ultimi giorni, mentre in tutto il territorio del nostro bellissimo Paese splende il sole, qui da noi, è stagnante una noiosa e pericolosa nebbia, che oltre a limitare e impedire la circolazione stradale si sono verificati una lunga serie d'incidenti stradali con morti e feriti, ma anche a causa delle basse temperature ha maggiormente influito a svilupparsi dell'incipiente influenza stagionale, che costringe migliaia di persone a letto. Il pronto soccorso e le corsie dell'Ospedale Civile di Mantova, sono saturi di persone affette, appunto, dell'indemica\ malattia, che infesta buona parte del nostro Paese. Abbiamo preso in prestito dal "Gabbiano", la sua bellissima poesia," Paesaggio innevato" al quale rivolgiamo i nostri infiniti ringraziamenti.


Paesaggio innevato
Il camoscio sul costone.
Il sibilo della valanga nel canalone
Interrompono il silenzio solenne
Della grande montagna indifferente,
Ma passo dopo passo
Siamo giunti in questo mondo astratto
In questo paesaggio metafisico e lunare
Dove tutto assume un'altra dimensione di grandiosità.
E di bellezza.
Anche i colori e la luce si confondono
E subito si fondono
Con i colori chiari e rosati dell'acquarello.
La candida neve non è bianca ma aurata
Dal sole che muore all'orizzonte,
Al confine siderale dei monti.
La neve scricchiola sotto i nostri stanchi passi.
Ma chiara è la tua parola Signore
Fra i cieli le montagne e i sassi
Che guida i nostri passi su questo paesaggio incantato.
Di questo paesaggio da noi tanto amato.
Chiara è la sorgente di quest'acqua viva
Che sgorga dalla piccola fessura incastonata.
Nella roccia che mi ristora.
Chiara è la luce amica del sole nuovo
Che mi riscalda,
Chiara era anche la notte tramontata,
Mentre la pallida luna illuminava
Il nostro cammino verso la luce e la libertà.
Verso la bellezza della vita e del creato.
Non andrò lontano da Te,
E canterò la vita che ogni giorno mi dai
Seguirò la strada che Tu fai
Ed amerò le creature che incontrerò
Sul mio lento cammino della vita.

    

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