Scritti di Diego Cocolo


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Diego Cocolo

Oggi, su “Internet” si corre, si salta da un sito all’altro, si inseguono gli itinerari più svariati ed impensati, ci si perde e poi ci si ritrova; perciò Diego Cocolo ( 23-06-1927), scrive puntando sulla versatilità, passa da testi di cronaca personale a citazioni storiche, da ricostruzioni geografiche a riflessioni filosofiche. Il bisogno della letteratura, secondo le parole dell’autore “è agilità, mobilità , disinvoltura nel saltare da un’ argomento all’altro, nell’esigenza di affrontare le più svariate tematiche, siano esse storiche che filosofico- scientifiche.” Si sofferma a riflettere sulle note dello “Zibaldone” di Giacomo Leopardi , che definisce lo stile con parole quanto mai attuali: “La rapidità e la concisione dello stile deve presentare all’anima una folla di idee simultanee che fanno ondeggiare l’anima in una tale abbondanza di pensieri, o d’immagini e sensazioni spirituali, ch’ella o non è capace di abbracciarle tutte, e pienamente ciascuna, o non ha tempo di restare in ozio e priva di sensazioni…” Diego Cocolo, da autodidatta scrive per regalarci “emozioni” rievocando momenti di vita vissuta. Tra le sue opere ricordiamo: - L’isola felice che non c’è - I giganti fumanti - Oltre l’orizzonte - Il vento della sera - Giro lungo, nell’America dell’Ovest - Ma il dolore non ha una bandiera - Note di viaggio: città e sentieri del bel paese - Perché nulla vada disperso - Dolomiti e sentieri d’Italia - Il sale della vita-
Trovate opere e dipinti sul sito: http://www.tizianaweb.it/diegococolo.htm

Raccolta 3

Tutta l'Italia si ferma per dire addio ai suoi figli migliori.
Noi siamo rimasti nel nostro piccolo borgo padano di Campitello, non siamo andati a Roma, come hanno fatto migliaia di commilitoni e cittadini di ogni estrazione sociale per rendere omaggio ai nostri eroi caduti a Nassiriya. Noi abbiamo avuto paura delle nostre sensazioni. Certo , davanti alla tragedia di quelle bare tricolori, alla commemorazione di quella lunghissima fila muta in un grande braccio collettivo ai militari caduti in Iraq, Gli eroi si possono piangere anche nell'intimità delle nostre case, seguendo gli avvenimenti dalla grande finestra che la TV ha aperto sul mondo, non solo per tutti gli italiani, ma per tutti i cittadini del mondo, perché possono ricordare questo evento triste di dolore . In suffragio dei nostri colleghi caduti nel loro quartier generale di Nassiriya, per mano dei Kamikaze di Saddam Hussein. Il confronto fra il sentimento civile espresso dai cittadini italiani in questi giorni, composto ma sensibile, unito ma non rinunciatario rispetto alle diverse convinzioni, é molto stridente con la quotidianità della nostra politica perché non si possa sperare in una scossa salutare per tutti i comportamenti futuri, privati e pubblici, della nazione. Noi siamo rimasti qui a piangere e a ricordare i nostro eroi. Abbiamo osservato un minuto di silenzio di fronte piccolo monumento dedicato a caduti di tutte le guerre del nostro villaggio e ci siamo fermati reverenti davanti al tricolore a mezz'asta. Anche qui, come in tutti i paesi d'Italia, sulle finestre delle case che circondano la grande piazza, dove si erge il piccolo monumento ai caduti, sventolavano al vento tanti tricolori. Una preghiera, un nodo alla gola ed un minuto di raccoglimento in onore dei nostri colleghi deceduti. Tra qualche giorno, seppelliti i morti, asciugate le lacrime, illanguidito il ricordo, questo silenzio, questa sospensione della politica, vissuti ieri, saranno spazzati via come una parentesi, anch'essa da dimenticare. Eppure, la speranza che il sacrificio di quegli uomini possa servire a una riflessione sulle abitudini della nostra vita pubblica si può coltivare, senza troppe illusioni, ma anche senza troppo cinismo. Forse queste ore tristissime possono pure farci comprendere che la politica non ha sempre il diritto di entrare nella nostra vita con tanta prepotenza e con tanta pervasività. Che il suo onore non dipende dal poter occupare pervicacemente il primo posto nella scala dei pensieri dei cittadini e in quella dei palinsesti TV. Che la sua efficacia non é legata solo alla primizia di una dichiarazione, alla capacità riduttiva nel manifestarla, e, neanche, alla ossessività nel ripeterla all'infinito.
Il confronto fra il sentimento civile espresso dai cittadini italiani in questi giorni, composto ma sensibile, unito ma non rinunciatario rispetto alle diverse convinzioni, é troppo stridente con la quotidianità della nostra politica perché non si possa sperare in una scossa salutare per tutti i comportamenti futuri, privati e pubblici, della nazione.
Il giornalista Luigi La Spina, così scrive sulle pagine del quotidiano " "La Stampa di Torino": "Restituire il giusto posto alla politica non vuol dire disprezzarla o ignorarne il valore di guida per la scelta che condizionano il futuro di tutti noi. Se, come ha fatto in questi giorni, sapesse, però, rispettare un pò di più la sua dignità e quella dei cittadini, scegliendo il silenzio quando non ci sono parole o quando non bastano, sostituendo le troppe certezze con qualche dubbio, rinunciando a scommettere sulla propria onnipotenza , aiuterebbe gli italiani a capire perché Aristotele la ritenesse così importante e perché, perfino più di due millenni dopo, si possa dargli ragione".
Oltre a ricordare questi nostri fratelli, abbiamo ricordato che qualche settimana fa l'Italia appariva divisa su tutto e pronta ad acciuffarsi per il minimo pretesto. Forse l'esempio più clamoroso di questa instancabile guerra delle polemiche e degli insulti fu la conferenza stampa a Roma di Berlusconi, Putin e Prodi. Eravamo, con due leader nazionali, al vertice dell'Unione e abbiamo clamorosamente sciupato una straordinaria occasione politica. Potevamo dare all'Europa una nota italiana e ci siamo meritati i rimbrotti del presidente del Parlamento europeo.
Oggi, dopo la strage di Nassiriya, l'Italia é diversa. Il Paese fazioso é diventato unito, solidale, commosso e fiero della propria identità. Emozione e retorica? Forse, in parte. Ma non credo che i mazzi di fiori di fronte alle stazioni dei carabinieri, i minuti di silenzio, le esequie solenni e il tricolore a molte finestre siano semplicemente manifestazioni di emotività latina. Ciò che é accaduto sembra dimostrare che il gusto della rissa copre una realtà diversa. Come in altri momenti ( le grandi catastrofi naturali ad esempio), l'Italia nasconde sotto le sue faide una vecchia e profondamente radicata identità nazionale. Siamo nel bene e nel male, una grande famiglia, divisa da beghe e litigi, ma pronta a dimenticarli quando un evento luttuoso colpisce tutti i suoi membri. In questo senso si é espresso, nell'articolo di fondo del " Corriere della Sera" di oggi, il grande politico e storico Sergio Romano. Egli continua dicendo: " Non mi faccio illusioni. Fra qualche giorno torneremo a scambiarci invettive. Ma la tragica vicenda irachena ha dimostrato l'esistenza di una unità nazionale che gli accessi delle polemiche quotidiane non hanno scalfito.
Vi é un rischio, tuttavia, di cui occorre essere consapevoli. Se vogliamo davvero rendere onore ai morti e restare in Iraq nelle migliori condizioni possibili, dobbiamo evitare che la scontata retorica di queste giornate di lutto crei equivoci e malintesi di cui potremo fare presto le spese. E' stato sostenuto che quella italiana in Iraq é una " missione di pace". E' stato detto che i soldati italiani sono " diversi", disponibili al contatto umano, capaci di stabilire relazioni amichevoli con la popolazione. E' stato detto che resteranno in Iraq per proseguire un'opera umanitaria perché é questa la ragione della loro presenza.
Ma la realtà, piaccia o meno, é un'altra. Quando mandò le truppe in Iraq, il governo credeva che la guerra fosse finita e ritenne di poter annunciare agli italiani una " missione di pace". La situazione é cambiata. Dopo la fine delle operazioni di conquista del territorio é cominciata un'altra guerra, più difficile e insidiosa. Pretendere che l'Italia, alleata dell'America e della Gran Bretagna, venga percepita come un" armata della salvezza", impegnata in un'opera generosa a considerarsi immune da qualsiasi attacco, é illusorio. Esiste un nemico di cui conosciamo male l'entità e di cui faremmo bene a non sottovalutare l'intelligenza le motivazioni ideali ( che hanno tutti, anche i peggiori), un certo consenso popolare e i mezzi di difesa. Questo non deve impedire agli italiani di continuare a svolgere un'opera di pacificazione e di assistenza, come fanno nella stessa zona gli inglesi. Ma senza ingannarsi sui pericoli da fronteggiare.
La comunicazione e la solidarietà saranno tanto più apprezzate dalle forze in Iraq quanto più saranno fondate su una valutazione realistica della situazione. Il miglior modo per onorare i morti é quello di trarre una lezione dal loro sacrificio a profitto di coloro che dovranno prenderne posto.
Tutti i feriti che il presidente Ciampi ha visitato all'Ospedale Militare del Celio, hanno manifestato il desiderio di ritornare, perché così facendo, possono ricordare e onorare la memoria dei loco colleghi caduti nell'attentato di Nassiriya. Uno di loro ha espresso il desiderio al presidente, di voler portare con sé in Iraq un grande tricolore con tutti i nomi stampati a carattere cubitali dei colleghi deceduti per non dimenticarli mai.
- Tratto dal libro: "Cenni storici e il fascino del Bel Paese" -     

La posta in gioco è troppo grande
Sergio Romano, così scrive in un suo articolo sul "Corriere della Sera": -Se l'Iraq é incontrollabile e neppure la maggiore potenza del mondo riesce a garantire la sicurezza dei suoi abitanti, parlare di democrazia, costituzione, elezioni e ricostruzione economica diventa una divagazione retorica, priva di qualsiasi rilevanza pratica. Come sperare che una larga parte della popolazione collabori con le forze occupanti quando la collaborazione é punita con la morte? Come votare in un Paese in cui molti elettori, il giorno delle elezioni, rifiuteranno di andare alle urne? Come assistere le popolazioni se i votanti sono trattati come nemici e presi di mira senza pietà? Come investire denaro in opere pubbliche se nessuno può promettere alle aziende straniere che i cantieri non verranno attaccati, i tecnici uccisi e i trasporti dei materiali necessari non saranno assaliti lungo la strada? -
Un giornale americano raccontava nei giorni scorsi la storia di un imprenditore iracheno, specializzato nella costruzione di blocchi di cemento per la difesa delle postazioni americane, il quale contemplava desolato il suo magazzino pieno di materiali che i camionisti, per paura degli attacchi terroristici, rifiutavano di consegnare. Quella storia rischia di essere la prefigurazione di ciò che potrebbe accadere in Iraq, su più vasta scala, durante i grandi lavori per la ricostruzione delle infrastrutture distrutte.
In altre due circostanze ( Libano e Somalia) gli americani decisero di chiudere la partita e riportare i ragazzi a casa. Ronald Reagan ritirò i marines da Beirut quando un camion carico di dinamite, nell'ottobre del 1983, piombò sulla loro caserma e uccise 241 soldati. Bill Clinton ritirò il corpo di spedizione dalla Somalia quando gli uomini di Mohammed Aidid, nell'ottobre di dieci anni dopo, distrussero cinque elicotteri americani,, uccisero 18 ranger, ne ferirono 78 e s'impadronirono di numerosi prigionieri. Ma queste scelte, che molti allora giudicarono inopportune e freddolose, sono oggi impossibili. Per Regan e Clinton il Libano e la Somalia erano impegni " minori", presi nell'ambito di una iniziativa internazionale benedetta dalla comunità internazionale in cui non erano in gioco gli interessi degli Stati Uniti. Per Bush, invece, quella irachena é una guerra sacrosanta, tappa decisiva per due obiettivi che l'amministrazione americana considera necessaria al futuro degli Stati Uniti: la lotta contro il terrorismo e la democratizzazione del Medio Oriente. Se il presidente imitasse i suoi predecessori sconfesserebbe se stesso e si esporrebbe, nelle prossime elezioni presidenziali, alle devastanti critiche del candidato democratico.
L'opiniomista Sergio Romano, continua dicendo: " Esiste, in teoria, la soluzione di Henry Kissinger e Richard Nixon in Vietnam negli anni Settanta: lasciare il conflitto ai " locali" . Quando si accorsero che il prezzo della vittoria era troppo alto, il presidente e il suo principale collaboratore decisero di " vietnamizzare" il conflitto e di uscire il più dignitosamente possibile dalla porta di servizio. Saigon cadde nelle mani dei Vieticong, ma due anni dopo quando il ritiro delle truppe combattenti era ormai una " missione compiuta". E' questo probabilmente la soluzione a cui pensano molti esponenti della amministrazione Bush allorché premono impazientemente sul Consiglio provvisorio di governo perché si accordi su un calendario costituzionale e raddoppiano gli sforzi per creare un esercito e un'amministrazione iracheni a cui affidare il Paese. Ma in Vietnam esisteva un governo del sud che poté resistere per un paio d'anni e dette agli americani la possibilità di abbandonare il palcoscenico. In Iraq non esiste nulla, e il Paese, dopo il ritiro degli americani, precipiterebbe immediatamente nel caos. La vietnamizzazione finì male, ma poté essere presentata, per qualche tempo, come un'operazione riuscita. La "irachizzazione" apparirebbe subito per ciò che é una disfatta.
Resta l'evidente disagio degli altri Paesi che hanno truppe in Iraq, fra cui in particolare la Gran Bretagna, l'Italia, la Spagna, la Polonia. Non possono andarsene perché il loro gesto sarebbe poco decoroso e verrebbe interpretato dall'America come un tradimento. Ma cominciamo a chiedersi se il loro alleato abbia quella che viene chiamata nel gergo politico degli Stati Uniti una " exit - strategy", vale a dire qualche idea sul mondo in cui chiudere la partita. Pagano così, con la loro impotenza, il prezzo di una partecipazione " in ordine sparso" che ha drasticamente ridotto l'influenza e il potere contrattuale dell'Europa nella vicenda irachena".
- Tratto dal libro: "Cenni storici e il fascino del Bel Paese" -   

Il Cavaliere dal baio destriero
Mentre eravamo fermi all'ombra dei maestosi olivastri, sotto il sole cocente , in quella pianura bruciata dal sole, si sentivano soltanto il cri - cri ininterrotto delle cicale, il rauco ragliare degli asinelli bianchi che si rincorrevano nei pressi della piscina, (dove nell'antichità i Greci stemperavano i loro metalli), mentre dall'acqua stagnante, giungeva fino a noi il concerto delle rane in amore. Dalla boscaglia giungeva il grugnito dei cinghiali e il belare delle capre selvatiche. Oltre l'ombra dell'olivastro l'aria bolliva sulle stoppie dorate della campagna circostante. Ma ben presto, questa musicalità, quel concerto agreste di vecchia fattoria si era improvvisamente interrotto. Che cosa era successo? Guardando verso l'orizzonte, in mezzo a quella campagna arsa e bruciata dal sole di agosto, in mezzo ad una nuvola di polvere si vedeva la sagoma di un cavaliere solitario, che montava un bellissimo stallone baio e con il suo nitrire e il rumore del galoppo, aveva spaventato gli animali che si rincorrevano ed il coro cessò di botto. Il cavaliere solitario, che aveva lasciato dietro di se una lunga scia di polvere rossastra e giallognola, altro non era che l'amico Antonio Cabras, che avevamo conosciuto nell'autunno del 1999, e che dirigeva, come dirige tuttora la Cooperativa Colortzè dell'Golgo, che saputo che eravamo saliti fin lassù, ci veniva a salutare. Più in là in lontananza, lo sguardo coglieva il profilo di un vecchio Nuraghe e la chiesa bianca di San Pietro. Noi conoscevamo benissimo quel luogo aspro e selvaggio, ma ci dava l'impressione di identificarlo con quel paesaggio fantastico e metafisico descritto così sapientemente da Miguel Servantes nel romanzo cavalleresco di Don Chisciotte, e che la stessa trama l'abbiamo riscontrata nel bellissimo racconto, così sapientemente scritto dal poeta scrittore Patrizio Spinelli ( universalmente riconosciuto come uno dei più amati e significativi poeti del sito " On line"), con il titolo: " Il Cavaliere della Solitudine, di "Chisciottiana" memoria, che ha magistralmente descritto, e che noi abbiamo letto recentemente con molto piacere nel suo sito.
Le località descritte da Spinelli, hanno le stesse caratteristiche fisico - ambientali dell'altopiano di Golgo, specialmente quando descrive quel paesaggio lunare e metafisico, che ci dava l'impressione di ripercorrere quel paesaggio astratto e lunare dell'Andalusia, dove si suppone che Cervantes abbia ambientato il suo capolavoro della letteratura spagnola; nella figura del protagonista, che, infatuato della lettura dei romanzi cavallereschi, si propose assurdamente di rivivere le avventure in difesa dei deboli, é simboleggiato dell'ideale, generoso e folle nel suo sogno di instaurare un mondo tramontato o irrealizzabile, ma che nel suo girovagare in quelle lande bruciate dal sole, ha incontrato la bionda dagli occhi azzurri Dulcinea del Taboso, innamorandosi follemente e nel cui nome compie le sue imprese e muore.
" La stradina dapprima scendeva eppoi risaliva verso l'alto della collina retrostante fino a perdersi nell'infinito, dando l'illusione ottica nel suo saliscendi di salire fino al cielo. Più in là in lontananza lo sguardo coglieva il profilo di un turrito e possente castello dove secondo un'antica leggenda del posto si diceva vivesse I-dei Bellezza, una fata che aveva il potere di togliere le malie, di angelica bellezza". Soltanto che nell'altopiano di Golgo non si scorge il profilo di un turrito e possente castello, ma i resti di un conico e antichissimo Nuraghe. In tutta la Sardegna, non ho mai sentito parlare di fate e neppure di Idee Bellezza, e di antichi guerrieri e cavalieri erranti.
Camminando sui sentieri dell'altopiano, spesso s'incontrano solitari cavalieri della "Solitudine", che hanno qualche conto in sospeso con la Giustizia, ma di leggende di principesse e di leggiadre fate, non ho mai sentito parlare. Sicuramente nel passato ci sarà stato qualche cavaliere errante che in qualche recondito angolo della sua mente accarezzasse il desiderio di voler incontrare e conoscere la magica e stupenda fanciulla dei suoi sogni: una bellissima Dulcinea.
Il silenzioso cavaliere che cavalcava quel magnifico destriero baio, percorreva quel "sentiero che dapprima scendeva e poi saliva verso l'alto della collina" ramata, dove sorgevano gli antichi villaggi nuragici, fortezze e tombe dei giganti di quel periodo storico, dove si trovano i resti di insediamenti di età della dominazione della colonia Greca, dove gli antropologi rinvennero negli scavi monete dell'età imperiale e repubblicana, del periodo romano, con in basso sulla pianura la chiesa di San Pietro di Golgo, da dove si ammirano i profili di quel paesaggio bruciato dal sole, disadorno e solitario. Per il nostro Cavaliere sardo, quello era ed é il più bello del mondo. Quella era ed é la sua terra, la terra dei suoi padri e degli uomini dell'antichità. Quella del Golgo, é una terra antica, aspra e selvaggia, ma é di un fascino particolare dal quale traspare una grande bellezza paesaggistica. Nel mio immaginario collettivo, ammirando quel fantastico paesaggio e vedendo quel destriero al gran galoppo, mi portava ad identificare quel paesaggio incantato dell'altopiano di Golgo, con il racconto di Patrizio Spinelli. Ma, mi sono accorto, che qui mancava qualcosa. Che cosa? Mancava il maniero turrito e "l' I-dea Bellezza con il suo sublime e travolgente fascino, con gli occhi azzurri come il cielo, biondi i capelli, come le stoppie bruciate dal sole, mentre i suoi occhi profondi, ammalianti come il luccichio del mare di questa meravigliosa e stupenda Sardegna, che ci hanno portano in un'altra dimensione, in una dimensione da sogno, come l'abbraccio della fanciulla fatata e la luna piena che a poco a poco s'impossessò del cielo, rischiarando la notte. Si spandeva nelle vaste lande che circondavano il meraviglioso luogo il canto melodioso dei grilli. Ma da lontano si vedeva la possente sagoma del turrito castello e una luce illuminare le ampie vetrate della finestra della camera da letto della bella fanciulla". Leggendo questo racconto mi richiama alla mente Voltaire, l'autore del racconto filosofico Candido.
Ma anche qui sul Golgo, in questa antica terra di pastori, di nuraghi e di Cavalieri erranti, vi sono bellezze rare, ragazze bellissime dai capelli e occhi neri, come pure nella My Old Calabria, ma il nostro Cavaliere della brughiera dell'altopiano del Golgo, non sappiamo e mai lo sapremo, se abbia avuto la fortuna d'incontrare la sua bella Dulcinea. Noi crediamo, e ne siamo convinti, che nel suo girovagare, un bel giorno anche lui possa incontrare la sua " I-dea Bellezza".
Lasciamo il sogno e la nostra immaginazione e ritorniamo alla realtà della vita di tutti i giorni, con i suoi problemi di sempre e non solo di questa terra bruciata dal sole, dove é sepolta la storia di questo antico popolo di pastori e di Cavalieri erranti.
Terminiamo questo nostro excursus, tra fantasia e realtà, dove si può scoprire il rapporto tra uomo, storia, poesia e natura, con la vista mozzafiato che si gode dall'alto con la guglia di Punta Goloritzè, che ci fa sentire all'unisono con questo maestoso paesaggio dove la fantasia si confonde con la realtà tra passato e presente. Alla fine di questa nostra passeggiata immersi nella selvaggia natura, quando si lascia l'imponente guglia di Pedra Longa emergente dal mare, si ha la sensazione di rituffarsi nel solito mondo di tutti i giorni, con i suoi problemi vecchi come il mondo , ma si é consapevoli di aver vissuto una indimenticabile vacanza in un paesaggio che trasvola tra sogno , fantasia e realtà . Ci é rimasto impresso nei nostri occhi, oltre all'imponente Pedra Longa, il timido elevarsi della luna piena da dietro il massiccio scoglio trachitico dell'ingresso delle grotte del Bue Marino a Cala Gunone, creando una scenografia senza pari. Il chiarore di quella luna selenica, che diffondeva quella caratteristica luce intricante, ci dava la sensazione di essere ritornati indietro nel tempo, quando mano nella mano, stando seduti in quella malferma e vacillante barca che ci stava portando fuori della meravigliosa Grotta Azzurra di Capri, dirigendosi verso i caratteristici Faraglioni, illuminati da quella radiosa luna settembrina. E' pleonastico ribadire ancora una volta che la baia del Bue Marino e quella di Cala Gunone, avevano assunto quel colore cangiante e policromo che avevamo ammirato subito fuori della Grotta Azzurra e nella baia dei Faraglioni di Capri. E che dire delle impressioni, dalle sensazioni, e perché no dalle emozioni che abbiamo avute nell'ammirare questi luoghi da sogno. In entrambi i luoghi, c'era tanta bellezza, tanta dolcezza e tanta poesia che caratterizzava quel catartico momento, era l'inizio della vita in comune , si, perché, eravamo in viaggio di nozze e quindi in luna di miele.
Ma oggi, domani e sempre, é rimasto come all'ora, non é cambiato nulla, assolutamente nulla, é cambiato soltanto il trascorrere lento e inesorabile del tempo , "che fuggi tuttavia e che di domani non c'è certezza", ma rimane dentro di noi il ricordo della nostra felice giovinezza. Queste sono zone selvagge, dove i contrasti tra la pietra , l'acqua e il cielo offrono emozioni e sensazioni uniche e indimenticabili, ma sono anche luoghi del silenzio, della bellezza e della pace, dove trovano ispirazione i grandi compositori, i letterati, i poeti e i pittori che percepiscono tutto questo.
Parlando dell'intrigante e ruffiana luna, così faceva  scrivere il poeta Patrizio Spinelli:
La luna.
Brilla piena tra le stelle,
Accarezza la sua pelle.
Il tuo volto di Venere
Specchio di tenerezza.
Una brezza
Di vento
Increspa i tuoi capelli.
Un sentimento
Sfiora il cuore,
Quasi fiore
Che sboccia,
Come una goccia
Di pioggia
Che disseta le mie
Labbra, sono i tuoi baci.
Audaci vibrano
I sensi, uniti gustiamo
Gli intensi profumi
Del giardino
dell'Amore.
    

La quinta colonna
Qualcuno si domanda, ma che cosa é la quinta colonna? Prima di proseguire dobbiamo spiegare di che cosa si tratta: é un modo di attaccare il nemico alle spalle. Questo modo di combattere e contrastare l'avanzata del nemico é stato impiegato durante la guerra civile in Spagna nel 1936, sotto la dittatura fascista di Francisco Franco. Oggi, potremmo dire che, senza tema di essere smentiti, che questo metodo di guerriglia, mordi e fuggi, é stato adottato in Iraq dai Kamikaze iracheni, i fedelissimi di Saddam Hussein, oppure dai terroristi dell'Alcaeda ( nella seconda guerra mondiale, aviatore giapponese suicida che si lanciava con l'aereo carico di esplosivo sull'obiettivo nemico). A Nassiriya, nel Quartier Generale dei Carabinieri, come pure nella sede della Croce Rossa, é stato adottato un analogo attentato. Soltanto che in questi attentati i terroristi fedain, invece degli aerei carichi di esplosivo, adoperano automezzi che poi é la stessa cosa. Questi terroristi, adottano sempre la sorpresa. Quando non te l'aspetti, piombano a tutta velocità sul luogo da fare saltare, ottenendo l'effetto devastante desiderato, causando il caos, la distruzione e la morte.
Dalla fine della guerra dichiarata dal presidente Bush in Iraq a tutt'oggi, sono deceduto 400 marines. Non passa giorno che non sentiamo parlare di soldati americani uccisi di sorpresa. L'escalatio della guerriglia, l'intensificarsi degli attentati, é un andamento in crescendo di un fenomeno al quale i militari americano e i nostri Carabinieri, non si aspettavano di trovare in Iraq, ma la guerra é la guerra, e noi siamo considerati in quel Paese come invasori,
Non conosciamo il volto della resistenza irachena, ma conosciamo perfettamente la sua strategia. I terroristi e i fedayn sanno di non poter battere gli americani sul campo, ma sperano di raggiungere due obiettivi. In primo luogo vogliono fiaccare la loro volontà, indurre nelle truppe e nei loro comandanti un sentimento di rabbia, paura, frustrazione e impotenza. Se i soldati, come accadde in Vietnam, reagiranno duramente con operazioni di rappresaglia contro le popolazioni civili, tanto meglio. Per gli strateghi della resistenza irachena, le rappresaglie e le razzie sono il " concime" della guerra partigiana, il boomerang che si ritorce, generalmente, contro colui che se ne serve.
- Tratto dal libro: "Cenni storici e il fascino del Bel Paese" -   

Il brindisi di saluto
Senza mai dimenticare il passato, tralasciamo le commemorazioni e i festeggiamenti del 4 novembre, e ritorniamo alla Malga Ime, sulle pendici del Monte Baldo, dove l'aria era limpida, asciutta e fragrante: i prati attorno al rifugio erano verdissimi, le alte abetaie altissime e le loro cime appena mosse da una brezza deliziosa. In attesa del pranzo, ci eravamo seduti su di un grosso tronco di faccio a chiacchierare con alcuni amici e anche ad ammirare i fiori attorno al fabbricato che erano bellissimi. Il vino era ottimo. Tutti con il bicchiere in mano ( i giovani, che non avevano ancora l'età per bere il vino, brindavano con la lattina di Caca Cola) abbiamo brindato alla chiusura della stagione estiva 2002 - 2003 del gruppo alpinistico ed escursionistico della Sezione del CAI di Mantova, con in testa il nostro presidente Nello Zaniboni. In quella festosa occasione, abbiamo avuto il piacere di rivedere alcuni amici che non vedevamo da molto tempo. Anche in questa occasione, nella grande sala rustica della Malga Ime, abbiamo rivisto, fra i tanti vecchi amici e conoscenti, anche il giovane gazzolese Roberto Antonioni, del quale né abbiamo fatto cenno nelle prime pagine di questo nostro " zibaldone". Nell'occasione, ci ha presentato la sua simpatica signora, con la quale ci siamo complimentati per la loro bellissima bambina dai capelli biondi e dagli occhi azzurri.
Questa festa del CAI, é stata un'occasione felice, per rincontrare i vecchi amici e per rievocare piccoli episodi di vita " montanara", e soprattutto per confermare la nostra duratura amicizia. Si, perché, l'amicizia é una delle occasioni in cui più facilmente si percepisce l'esigenza umana di solidarietà, di vicinanza di altri esseri, simili a noi per pensieri e atteggiamenti, il bisogno d'affetto, di approvazione, da parte degli altri.
Parlando ancora dell'amicizia, degno di essere ricordato é l'elogio dell'amicizia fatta da un filosofo contemporaneo, Nicola Abbagnano. Abbagnano dopo di aver ricordato che " Kant privilegiava l'amicizia morale, intesa come la fiducia assoluta che due persone si mostrano confidandosi i pensieri e i sentimenti più segreti; perché in essa vedeva realizzata l'uscita dalla prigione delle proprie idee in cui ogni uomo vive solitamente chiuso, e la libertà di esprimerle senza il timore di indiscrezione o di danno", dice: " In tutti i suoi gradi e forme, l'amicizia é una condizione indispensabile dell'equilibrio e della felicità della vita individuale. Un'amicizia per cui l'altro é come noi stessi o più di noi stessi, é certamente difficile realizzarsi e si realizza ( quando accade) una volta sola nella vita. Ma l'amicizia é come comunicanza di intenti o di atteggiamenti, sia pure parziale, come confidenza, cura e sollecitudine reciproca, é ciò che rende sopportabile o sereni i difficili rapporti che pesano oggi sugli uomini e ne garantisce la continuità e la durata".
Questa fraterna amicizia, possiamo dirlo per esperienza personale, fra noi del CAI di Mantova, ci ha garantito la continuità e la durata nel tempo. Ogni giorno che passa é come il primo giorno che gli amici del CAI ci hanno accolti nelle loro fila, perché l'amicizia é l'amicizia, come la vita é la vita. Non ci sono altre aggettivi per poterla definire diversamente.
A chiusura di questo nostro capitolo alle pendici del Monte Baldo, riportiamo la piccola poesia scritta appunto da Nello Zaniboni, per dare più risalto a questa simpatica ricorrenza " caina". Egli, l'aveva scritta la sera precedente la partenza onde avere una ragione in più per spegnere il televisore.
LA FESTA DEL CAI
"Sem chi mucià, sem circa n'otantina/ Em fat an pò d'dadiga stamatina./Coi pè sota la taola sem content / perché a laorar ades a toca ai dent./ Ema lasà le cose d'la cità,/ ema lasà le stale d'la campagna/ perché ormai em tuti sa imparà/ ch'l'è na roba pran bela andà in montagna./ Anca sa piov, sa fioca, sa tempesta,/ anca se al sol al sa strina la testa,/ vegnar chi su l'è sempar na gran festa,/ perché in d'al coer qualcosa sempr as resta,/ Ch'at faghi di senter o 'na rampada,/ ch'a tat tachi coi dent a 'na gran ferada / et fè fadiga, magari ta ta squài/ ma intant at tat dismenghi tuti i guai./ Sopratut quand'andema in gir col CAI/ Perché alora l'alegria la manca mai./Le scursion ch'a fasem i é sempar bele/ sopratut s'impienerema le budele/ e se in taola gh'è anca dal vin bon/ a sgodema a bagnars anca al ventron./ E se po sem mes cot quand l'è sot sera/ ch'ema sol da sentaras in coriera./ A cantaras, intant longa la strada/ le robe ch'è suces in d'la giornada./ Gh'ema pu da pistar d'l'altar senter / a resta sol da analsar al bicer /per brindar tuti insiem al nostar CAI/ e par diragh che al lasarema mai! .
Per chi avesse difficoltà a leggere il dialetto, fornisco una traduzione in italiano che non sarà perfetta dal punto di vista della metrica, ma permette di cogliere il significato della poesia.
LA FESTA DEL CAI
Siam qui ammucchiati, siam circa un'ottantina
Abbiam fatto un po' fatica stamattina.
A tavola seduti siam contenti
Perché ora a lavorar saranno i denti.
Abbiamo lasciato le case di città,
abbiamo lasciato le stalle giù in campagna
poiché imparato, tutti, abbiamo già
che é cosa molto bella la montagna.
Pure se piove, nevica, tempesta,
anche se il sole ci cuoce la testa
venir quassù * sempre una gran festa.
perché nel cuor qualcosa sempre resta.
Che tu faccia un sentiero, una scalata,
che t'attacchi coi denti a una ferrata
ti fai fatica, magari ti spaventi,
ma i tuoi guai, intanto, non li senti,
Soprattutto se vai lassù col CAI
perché l'allegria con noi non manca mai.
Le escursioni col CAI son sempre belle.
soprattutto se riempiamo le budella
e se in tavola il vino é d'eccezione
ci diverte bagnarci anche il pancione.
E se poi sarem brilli verso sera
sol ci rimane da metterci in corriera
e commentar con gli amici tutt'intorno
le cose accadute in quel giorno.
Non abbian più sentier da calpestare
ci rimane il bicchiere da innalzare
per brindar tutti insieme al nostro CAI
e dir che non lo lasceremo mai.
(Nello Zaniboni)
- Tratto dal libro: "Cenni storici e il fascino del Bel Paese" -    

Le pagine ingiallite della storia.
"La storia è l'interpretazione dei fatti umani, riguardanti la vita politica, militare, civile, religiosa, economica e sociale realmente accaduti e ritenuti meritevoli di ricordo". Aprendo per la prima volta un libro di storia, ci soffermiamo a leggere gli avvenimenti di una guerra, di una grande battaglia come quella di Waterloo, di Caporetto, di Algeri oppure di un avvenimento medioevale, ma subito dopo aver letto quella pagina storica, chiudiamo il libro e pensiamo ad altro. Quella pagina di storia non ci interessa più di tanto, perché non è la nostra storia, non sono fatti che riguardano direttamente la nostra vita, la nostra famiglia, la nostra fanciullezza, il nostro presente e il passato prossimo. Di quel tempo lontano, di quel tempo a noi caro, ci rimane il profumo della giovinezza e dei ricordi. "Come il profumo della polpa di una pesca immatura: quello ci resta ancora conficcato nel nostro cervello", come per esempio, un innamorato che ricorda anche l'odore di latte e di tabacco della bocca offerta dalla sua innamorata, ricorda l'odore violento dei capelli che sapevano di tuberosa, e quello tenue morbido di tutta la carne. Del suo passato prossimo, quell'innamorato ricorda ogni cosa, ogni avvenimento della sua vita. Immaginiamo, per un momento questo innamorato, seduto in uno scompartimento di un treno che rotola con fragore sordo; nel buio della carrozza l'uomo sta' con gli occhi spalancati dinanzi ai ricordi di un tempo passato. Ricorda quella donna bella e avvenente. Aveva gli occhi neri larghi estatici assenti, le labbra rosse tumide in una bocca voluttuosa, le orecchie piccole, la fronte spaziosa, i lineamenti dolci, la statura alta, il corpo esile flessuoso, ma non ricorda più quella pagina della storia che aveva appena finito di leggere, perché quella storia non era la sua storia, non faceva parte di sé, della sua vita, dei suoi ricordi, dei suoi sentimenti, del suo passato. Mentre frullavano ancora nel suo cervello questi sentimenti, la voce di lei era dolce come il bilbire sommesso di una piccola fonte; e il suo respiro era puro; e il suo corpo leggero, mentre il treno rombava nella notte nera su cui smagliava lo splendore delle stelle.
Enzo Biagi, così scrive nella prima pagina del suo libro " Lunga è la notte: " So che il viaggio sta per concludersi, ma ho vissuto anche ore felici. Forse coincidono con i momenti senza storia, quelli dell'attesa." Anch'egli come migliaia o milioni di anziani come noi, vive il suo passato prossimo e il suo presente, anche se è distaccato ma non indifferente della storia.
Pasolini si accorse che erano sparite le lucciole; "sono anni che non vedo partire o arrivare le rondini. E' stato subito domani e tutto è passato molto in fretta", mentre le pagine ingiallite della storia, una volta che li hai lette rimangono nel dimenticatoio, in quel luogo immaginario della mente dove si accumula tutto ciò che è dimenticato, sorpassato, caduto in oblio, come nel buio della fredda e polverosa biblioteca. Per fortuna, dentro a ciascuno di noi ci sono rimasti i ricordi dei tempi lontani, quei ricordi che ci fanno rivivere il nostro presente. Ma ci rimane sempre un dubbio, quel dubbio che da sapore alla vita, mentre il sospetto l'avvelena. Guai a chi non ha fiducia del suo presente e del suo passato.
- Tratto dal libro: "I giganti fumanti" -  

Gli arcipelaghi che circondano la Sicilia.
La Sicilia è ricca di arcipelaghi, oltre alle Eolie, vi sono le Pelaghi, che si trovano all'estremità della più grande isola del nostro Paese, quasi a toccare le coste dell'Africa del Nord. Esse sono: Ustica, Linosa, Lampedusa, scagliata così lontano da toccare quasi le coste dell'Africa, Marettimo, Lévanzo e Favignana punteggiano il grande mare, il pelago degli antichi. Le preziose pietre che il dio Nettuno ha staccato dalla collana e gettato a ventaglio intorno alla Sicilia per adornarla con una corona. Ed ecco che Pelaghié ( dal greco, isole d'alto mare) raccontate da Alfio Garozzo (fotografie) e Giuseppe Lazzaro Danzuso (testi). Si sfogliano le pagine e si pensa a come le vide Ulisse. Ci si sofferma a osservare l'immagine, la breve didascalia serve da guida al viaggio ideale intrapreso. Le pagine di Danzuso, che stimola il mistero di realtà inventate o di elaborazioni del reale, in apparenza danno un poco di respiro all'ansia di partire, però, letta l'ultima riga, un nuovo capitolo di immagini e un'altra isola rinnovano il desiderio e acuiscono lo struggimento. Ustica: aspra di scogli che si tuffano nella spuma del mare, porta tracce millenarie dalla presenza dell'uomo. Ma soprattutto, ci ricorda una grande tragedia: l'abbattimento di un aereo di linea, che portava 80 passeggeri a Palermo. La storia di questa dolorosa vicenda è offuscata dagli intrighi impenetrabili della politica internazionale. E' come un muro di gomma, tanto che le verità e le bugie rimbalzano dal Mediterraneo all'Atlantico, senza svelare alcunché del vero disastro. Non conosceremo mai la verità e la vera storia del disastro aeronautico. Linosa: lava nera e brillante, è abbagliante di colori mediterranei che da lontano i pescatori scorgevano per l'approdo. Lampedusa: scheggia d'oca, si stende piatta e rassicurante nel mare di turchese e di blu zaffiro. Pantelleria: terrazze di viti basse, che ci ricordano le piccole terrazze di Bagnara, verde di ciuffi di capperi e bianca di calce dei dammusi, acque termali e saune naturali. Marettino: crosta dura di rocce all'esterno, penetrata da grotte di magica atmosfera, frammento che per primo, seicentomila anni fa, dichiarò la propria indipendenza staccandosi dalla Sicilia. Lévanzo: minuscolo altopiano nel mare, erede in un mucchietto di case, di preistorici abitatori che lasciarono sulle pareti delle grotte i racconti visuali della loro civiltà. Favignana e la mattanza sono legate da un vincolo che si perde nella notte dei tempi. Il tonno naviga dall'Atlantico fin qui per riprodursi in acque calde. Un viaggio inciso nella memoria genetica. Una pesca sanguinaria? No, una necessità di sopravvivenza che rispetta regole ferree e segue rituali sociali e religiosi.
Questi luoghi non li abbiamo mai visti, anzi li abbiamo più volte veduti uno ad uno, nei lunghi documentari e nelle riprese in diretta dalla RAI. Puccio Corona, il bravo cronista siciliano, non si è mai risparmiato nel commentare e spiegare gli avvenimenti, la loro formazione geologica e i processi che hanno determinato la loro formazione vulcanica, la struttura e la distribuzione delle terre coltivate e delle rocce sulla sua superficie nel corso delle varie epoche, sia della pesca del tonno, quanto della fauna e della flora di queste meravigliose isole "Pelaghié", (che dal greco, come abbiamo detto, significa appunto, isole d'alto mare).
- Tratto dal libro: "I giganti fumanti" -   

L'Aspromonte.
L'Aspromonte è una delle montagne più misconosciute e fraintese d'Europa, segnato fino a qualche anno fa da tragici fatti di cronaca e a torto giudicato impenetrabile. In un territorio ancora in parte selvaggio, descritto con meraviglia da viaggiatori come Edward Lear e Norman Douglas, si dipanano lunghe ed articolate gole fluviali, si stendono foreste ataviche, si ergono pittoreschi monumenti di roccia, si nascondono alte, fragose cascate. A tutto ciò si aggiungono le specie particolarissime di fauna e di flora: dall'aquila al gatto selvatico, dall'abete bianco fino ad alcune rarissime felci preistoriche e poi vi sono i villaggi e paesi barbicati sui pendii aspromontani. Il nostro meraviglioso Paese, oltre a Norman Douglas, è stato meta dei grandi scrittori e artisti del Settecento, come Ferdinando Gregorovius, uno dei più affascinanti storici di tutti i tempi. E tale fu la passione che lo animò per tutta la vita per questa nostra terra, tale fu l'amore che per essa nutrì sia nell'esalazione spirituale ed intellettuale di fronte alla "storia", sia nella tenera e devota sensibilità quasi filiale con la quale seppe cogliere e penetrare l'anima italiana, che volle essere definito, nel suo necrologio, " cittadino romano"! Leggendo le pagine dei suoi libri: " Sulle tracce dei Romani" e sulle " Tracce dei Greci", noi sentiamo rinascere nell'anima nostra l'entusiasmo di essere non solo " cittadini romani", ma, soprattutto: Italiani.
Ferdinando Gregorovius, come Norman Douglas. Elpis Melena ed Edward Lear, amarono moltissimo il nostro Paese e specialmente Capri e le isole Eolie, tanto che Douglas, venne a morire a Capri nel 1952, all'epoca il solo straniero ad essere stato nominato cittadino onorario dell'isola. Aveva passato gli anni della Seconda Guerra Mondiale a Londra, imprecando contro il cibo, la mentalità, il clima inglese. L'unico sollievo era di sedersi su un divano in compagnia di Nancy Cunard e di giocare ai Wagons Lits, immaginando di essere su un treno che attraversava la Francia diretto in Italia. Il suo ritorno a Capri, da lui tanto atteso, avvenne nel 1946, non senza difficoltà. Quando Norman, oramai vecchio - aveva settantott'anni - andò a chiedere il visto al consolato italiano a Londra, si sentì rispondere che i permessi venivano rilasciati a chi volesse fare un breve viaggio in Italia, non a chi avesse l'intenzione di viverci. " Ma io non ci vado a vivere". Rispose Douglas, " ci vado a morire".
- Tratto dal libro: "I giganti fumanti" -  

Se restano solo due mani.
Due mani. Serrate in una stretta definitiva:, dì amore, di amicizia. Chissà. Due mani soltanto, il resto è finito nella poltiglia ( polvere e sangue) che già fu il World Ytade Center, simbolo smisurato del America way of life. Le hanno trovato ieri, i volontari che disseppelliscano i morti della strage americana. Due mani, un segno non più segreto di due vite che prima di spegnersi ha voluto affrontare, insieme, il mistero della morte. Un cammino sconosciuto di cui nulla sappiamo, un buio tunnel non si sa quanto lungo, in fondo al quale chi crede troverà la luce. ( Forse). Così scriveva sulla Stampa del 19 corrente, IOR Man.
La notizia delle due mani, due mani soltanto, disperatamente intrecciate - un uomo, una donna - , l'ha data lunedì sera a " Porta a Porta" Bruno Vespa, traendola da uno dei tanti dispacci che il " maggiordomo" incessantemente gli reca durante la trasmissione. Servirà, il ritrovamento di questo "reperto", alla identificazione del DNA per così dare nome, cognome, indirizzo a due dei troppi " dispersi" nella sciagura del Martedì Nero. Due mani sigillate da una stretta ultima, consegnata all'eternità, a quella icona gigante che la pietà del melting port chiamato America ha costruito dall'Atlantico al Pacifico, a modo d'arcobaleno. Un arcobaleno inedito, a stelle e strisce. Due mani color della carne mortificata, come se ne vedono nelle chiese degli " ispani": ex voto per grazia ricevuta da due persone, un uomo e una donna, che stringendosi nella disgrazia veloce han sigillato il senso della loro vita: l'appartenenza reciproca.
Com'è vicina l'America che sognammo da ragazzi, com'è vicina New York dove lavorammo da giovani stimolati dalla corrente statica che dà la scossa con la stretta di mano, elettrizzante. Come è lontana la felice Arcadia della Nuova Cultura ora che tutto è pianto e rovina. Il cuore fugge in un tramonto di alfabeti, libri e parole non più lieti; gonfio è l'Hudson di troppo dolore. Addio brkers addormentati al piano 77, bar senza gente. Addio gridi di gabbiani, sirene nella notte. Due mani. Vengono in mente i versi di Garcia Lorca: " Ti ho guardato negli occhi/ quand'ero bambino e buono. / Le tue mani m'hanno sfiorato / e mi hai dato un bacio".
LA PAURA GLOBALE.
Siamo nel tempo della " Globalizzazione". Una parola nuova, che ai tempi della mia fanciullezza non esisteva neppure o se esisteva, come effettivamente esiste, non era una parola comune, perché la strategia economica delle grandi aziende volta a offrire e acquistare i propri prodotti era una cosa rara. Oggi, tutti parlano di globalizzazione economica e industrale, ma il vecchio giornalista Enzo Biagi, per scrivere il suo articolo, ha coniato una parola nuova : " La paura globale". Egli incomincia dicendo: " Il messaggio viene da Frankin Delano Roosevelti, un leggendario presidente degli stati Uniti negli anni difficili: " L'unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura".
Eppure queste ore, e non solo negli Usa, sono segnate dal sospetto, dall'ansia, dall'inquietudine.
Si è visto che contro il terrorismo non c'è difesa: colpisce Gandhi, il predicatore della non violenza, e uccide due fratelli Kennedy. Da noi fa deragliare i treni, e per sempre l'orologio della stazione di Bologna segna un'ora di morte: 10,35. Abbiamo, guarda caso, due torri anche noi, di mattoni e bislenghe, e sono anche loro un simbolo, e un poeta delle mie parti - continua Biagi , citando il poeta Tonino Guerra, che ha espresso lo sgomento per la vita che se ne va: " A me la morte / mi fa morire di paura/ perché morendo si lasciano troppe/ cose che poi non si vedranno mai più: gli amici, quelli della famiglia,/ i fiori / dei viali che hanno quell'odore/ e tutta la gente che ho incontrato/ anche una volta sola".
Quello che è accaduto a New York è una prova che esiste anche la globalizzazione e la mondializzazione della follia e della vendetta: Piazza del Duomo, Piazza Tienanmen, Piccadilly Circus, Rockefeller Center o Place de la Concorde, lì può darsi appuntamento lo sgomento di queste ore insicure: non esistono isole felici.
Ma questi fatti che non hanno una sola patria e che ci riguardano non debbono essere un alibi per non affrontare anche le nostre storie, per fugare le ombre o allontanare decisioni che possono rendere più limpida la nostra politica: ci sono, ad esempio, conflitti di interesse che aspettano da sempre di essere sistemati, e che non dipendono minimamente dalle iniziative dei talebani.
Il falso in bilancio non ha niente a che vedere con l'impegno che ha preso Bush davanti a suo popolo: " Voglio In Laden morto o vivo".
E Washington si sta preparando alla guerra, e c'è qualcuno che, per solidarietà nella tragedia, proclama: " Io sono americano", rifacendosi a John Kennedy che nella capitale tedesca assediata disse :" Io sono berlinese".
Capisco e perfino condivido lo slancio sentimentale, ma io sono e resto un italiano, la mia bandiera, quella che l'onorevole Bossi, che fa parte del governo, userebbe come carta igienica ( Berlusconi, o il patriota e alleato Fini, gli spieghino che non sta bene) non è a stelle e a strisce, ma bianco - rosso - verde.
E a proposito: una conferma che nel dramma c'è sempre una nota comica: il rito delle ampolle con l'acqua del Po celebrato dal leader della Lega l'altro giorno, in nome degli antenati Celti, dei quali si hanno veghe nozioni.
Credevamo che le crociate contro gli infedeli appartenessero ormai ai manuali scolastici: ma c'è sempre un " impero del male".
" Disonoriamo la guerra" proclamò una volta Guy de Maupassant. Noi la stiamo evocando o minacciando con forse troppa disinvoltura, o con indifferenza. Nel nome di una alleanza che va rispettata, almeno questa volta: le abbiamo spesso cambiate " in corso d'opera".
Contro un nemico di cui non conosciamo quasi nulla, guidato da un uomo definito " il terrorista più ricercato del mondo", ma di cui sappiamo solo che è un ricchissimo, ha 54 fratelli, finanzia e ispira i kamikaze e che ha attaccato il simbolo del potere degli " States", il Pentagono, e che può colpire ovunque come ha già dimostrato.
Una volta si diceva tristemente: " Morire per Danzica" Morire per l'Afganistan è una prospettiva anche più desolante".
- Tratto dal libro: "Ma il dolore non ha una bandiera" -   

La spiaggia di San Giuliano
Per rimanere sul litorale tra Boccadasse e San Giuliano, ci viene in mente un piccolo e curioso episodio, degno di essere ricordato.
Lo stabilimento balneare di San Giuliano, gestito dal Presidio militare di Genova, sorge sul litorale subito dopo la Foce e di fronte al Forte San Giuliano, dove scorre il nastro stradale di Corso Italia. Allo stabilimento balneare, potevano accedere gli Ufficiali e i sottufficiali dell'Esercito, della Finanza e della Pubblica sicurezza, in servizio e in pensione. Essendo sottufficiale dell'Arma, come prescritto da una apposita circolare, in tempo utile, presentai domanda di essere ammesso ad usufruire di tale beneficio nel mese di luglio .
La mia domanda fu presa in considerazione e mi fu assegnato il primo turno, cioè dal primo al 15 luglio , di quel turno faceva parte anche un colonnello dell'Aeronautica Militare, di stanza presso l'aeroporto militare di Villafranca, che pressappoco il suo cognome si avvicinava al mio. Il suo cognome era Coccolo, mentre il mio è Cocolo. Quindi, questi due cognomi facilmente si possono confondersi, come è successo, come volevasi dimostrare, in un certo senso si trattava di un caso di semplice omonimia.
Nello stabilimento vi erano istallati un bar e la mensa, gestita dal personale militare del Presidio. A noi, fu assegnato il tavolo nr 4, che dividemmo con altri due coniugi più anziani, ed era ubicato in prima fila, proprio di fronte al mare. All'ora del pranzo, ci fu la presentazione: il signore con il pizzetto e i capelli brizzolati era in piedi che ci attendeva. Al nostro arrivo, si presentò, dicendo: " Sono il generale in riserva Luigi Zappa, e questa è la mia signora". Molto lieto signor generale, sono il brigadiere Diego Cocolo , effettivo al II Btg del Forte San Giuliano e, questa è la mia minuscola famiglia. Dopo i convenevoli, discutemmo del più e del meno , come di solito si fa quando si inizia una conversazione con persone che non si conoscono. Nel corso del pranzo, mi accorsi che il personale di servizio si comportava in maniera insolita, come se io fossi stato una persona di alto rango nella gerarchia militare. Con i modi dovuti, ne chiesi spiegazione al signor generale Zappa di tutto questo stato di cose. Egli mi disse: "Egregio brigadiere, questa mattina, si attendeva il colonnello Coccolo, comandante dell'aeroporto militare di Villafranca, lei non ci faccia caso e continua a far finta di nulla, perché per noi è un grande piacere averla al nostro tavolo. Fra di noi non c'è nessuna differenza fra un brigadiere dell'Arma e un colonnello. Siamo sempre dei militari". Ma questo non è il mio posto Sig. generale. " Non importa, un giorno lo racconterà alla sua graziosa bambina, che è una bambolina di una bellezza senza pari. Ah! mio caro brigadiere, quanto avremmo pagato in gioventù, per avere una bambina come Tiziana, ma il destino non ha voluto regalarci una gioia così grande".
Rimanemmo al nostro tavolo, come ci suggerì il sig. Generale, "come se nulla fosse successo", fino alla fine del nostro turno balneare alla spiaggia del Presidio di San Giuliano. Raramente succedono di questi casi nella vita, ma succedono qualche volta, specialmente quando vi sono delle omonimie.
Le cose rimasero così com'erano nate il primo giorno. Nessuno si accorse di nulla. Il personale continuò a credere che io fossi il colonnello Coccolo, come pure gli altri ospiti.
Fra di noi e il generale Zappa, rimase un ottimo ricordo. Lo incontrai più volte nel centro storico di Genova, e ogni volta, non faceva altro, che chiedermi della mia piccola principessa.
Addio, signor generale! Mi ricorderò sempre di Lei, della sua gentile signora Luisa e della sua squisita sensibilità.
- Tratto dal libro: "Il vento della sera" -    

Il 55° corso è terminato.
L'anno accademico era così giunto a termine, erano così finite le ansie, le preoccupazioni, i timori e stavano affiorando nel profondo nell'anima di noi allievi i vecchi sogni, mentre si allontanavano dalla nostra mente i brutti pensieri di una inaccettabile sconfitta. Erano anche finite le preoccupazioni di ottenere quel breve permesso, quel permesso quindicinale, per abbracciare i nostri cari, che erano lontani da noi. Fra non molto, la mia piccola "principessa", non doveva più disperarsi per la mia improvvisa partenza. Lo so, che per i bambini e non solo per essi, la lontananza di un genitore porta sempre una certa tristezza, ma la vita è fatta di gioie e soprattutto di sacrifici.
Fra non molto i 600 allievi della scuola, si sarebbero allontanati per raggiungere le belle contrade d'Italia, ma ci rimaneva quel nodo di commozione che ci serrava la gola e che non era manifestazione di debolezza, ma segno di virile attaccamento e devozione al Comandante, alla Scuola, all'Arma.
E' una cosa risaputa, che nel periodo degli esami, tutti gli allievi, come del resto lo sono tutti gli studenti di ogni ordine e grado, erano agitati, preoccupati, timorosi e pieni di ansie. Si era tutti indaffarati e presi di quel mare di appunti, che negli ultimi tempi, avevamo spasmodicamente e con mano tremante tracciato sulle pagine bianche dei block - notes. Ricordo con nostalgia gli ultimo giorni degli esami, quando all'ombra dei caratteristici porticati del cortile numero due, detto dei frati di Santa Maria Novella, ripassavamo quegli appunti e le materie sulle quali dovevamo essere interrogati dalle varie commissioni esaminatrici, mentre il personale permanente della Scuola, era indaffarato nel preparare i materiali da trasportare al campo d'Arma.
Quell'anno, il campo estivo si è svolto sulle alte colline di Porretta Terme e precisamente a Gaggio Montano, in un centro climatico dell'Appennino Tosco Emiliano, a quota 700 metri, ai piedi del monte Belvedere, in provincia di Bologna.
Credetemi, sono stati venti giorni meravigliosi, all'aria aperta, in un clima delizioso e salutare, che senza dubbio, ha giovato moltissimo alla nostra salute, dopo un corso di studi di quella portata.
Anche le cose belle finiscono presto, così è stato per la nostra breve vacanza montana. Quando siamo ritornati a Firenze, la città era quasi deserta, si vedevano soltanto turisti stranieri che s'aggiravano per le strade e per i musei cittadini, mentre i fiorentini erano partiti per le spiagge o per i monti.
La città era avvolta in una cappa d'afa soffocante, non si sapeva dove trovare un angolo fresco dove l'aria fosse più respirabile. Si trattava di attendere ancora qualche giorno, fino all'esposizione dei quadri e all'assegnazione al nuovo reparto.
Ecco alcuni colleghi correre verso la bacheca, è stato come uno sciame d'api, tutti ci siamo radunati in quel pacifico luogo ad esaminare gli elenchi. Ognuno cercava il proprio nome, ove c'era la nuova destinazione e il punteggio riportato durante gli esami finali. Soltanto quattro dei nostri colleghi risultavano rinviati alla seconda sessione autunnale, peccato, perché qualcuno c'era rimasto molto male e non s'aspettava quel risultato, ma la vita è fatta anche di queste piccole delusioni.
IL VENTO DELLA SERA
Al colmo della sera,
A volte pare,
Che si risveglia
Come per incanto
Il vento.
E' l'ora del silenzio!
Un suono soave,
Grave all'apparenza,
Penetra nelle case
Addormentate,
Tra le brande allineate,
Negli animi fedeli.
Un pensiero mesto
Alle cose care,
Un ultimo ricordo
Del giorno che precede,
E poi soli,
Nelle quattro mura,
Si rimane a pensar,
Le persone care....
Ora che scende la notte
E nelle strade
Si affievoliscono i rumori,
..... Un allievo sogna!.
- Tratto dal libro: "Il vento della sera" -   

Mezzocorona: "Burrone Tullio Giovanelli".
Si è appena concluso il programma sciistico ed escursionistico nelle più belle vallate del Trentino e della Val d'Aosta e, siamo nuovamente sui sentieri del Trentino. Oggi, in questa meravigliosa giornata di primavera, il piccolo pullman ci sta portando al Burrone - Tullio Giovanelli di Mezzacorona, dove in compagnia con gli amici della sezione del CAI di Casale Monferrato, percorreremo la via attrezzata che si svolge nella pittoresca ed alta gola sovrastante la borgata di Mezzocorona ( m.238), sopra la quale si scorgono i resti del Castello Medioevale di San Gottardo.
Questa via ferrata, che è una classica dell'escursionismo dei vari gruppi alpinistici del nord Italia, è stata tenacemente voluta, finanziata e realizzata dall'allora alpinista medico condotto Dr. Tullio Giovanelli nel lontano 1906.
Abbiamo da poco superato l'alta pianura veneto - padana, che accoglie le acque dell'Adige all'uscita della Val Lagarina, non appare come una distesa piatta e uniforme, poiché le Prealpi hanno posto qui due sentinelle, dolci nelle loro forme e disseminate di boschi, prati, vigneti con le loro caratteristiche geometrie e borghi che sanno d'antico, con i loro campanili che svettano nel cielo e i numerosi castelli e fortezze, costruiti dall'Austria nel 1800 a difesa della grande valle che porta nel Sud Tirolo. I monti che fiancheggiano la vallata sono i Monti Lessini, immediata propaggine del Pasubio, e i Monti Berici, più isolati e più modesti nell'altitudine. Man mano che il l'automezzo avanza verso Nord Est, anche la vallata si allarga, per poi restringersi subito dopo Bolzano, per diventare una montagna orrida e stretta , ma non meno bella e pittoresca delle propaggini dei monti della valle Rutiliana
Subito dopo Trento, allo svincolo autostradale di San Michele all'Adige, il torpedone lascia l'autostrada e raggiunge l'abitato di Mezzocorona, dove abbiamo incontrato gli amici di Casale Monferrato.
Raggiunto il sentiero 505, prima su rotabile e viottolo poi zig - zigando e in mezz'ora circa si arriva all'imbocco del burrone dove una serie di scale metalliche ( un tempo erano di legno) e tratti in sentiero portano sull'altopiano, da dove si inizia a salire, in mezzo al bosco, per circa 10 minuti fino ad un bivio con indicazione per la variante della cascata (consigliabile quest'itinerario per la spettacolarità dell'ambiente). Dopo pochi minuti, si arriva in uno stretto colatoio dove scarica una cascata piuttosto alta. Con una ripida scala metallica a pioli di circa 20 metri si supera un salto di roccia giungendo sul sentiero che sale fino all'imbocco vero e proprio del " Burrone". Chi non si sentisse di fare questa salita su scala, può, al primo bivio, proseguire direttamente all'ingresso del burrone. A questo punto inizia il vero spettacolo. Il sentiero, parzialmente attrezzato con funi metalliche e scalette, risale questo stretto canyon largo in certi punti non più di 5 metri con pareti verticali di oltre 100 metri. Spettacolare sono le cascate che si incontrano. Dopo circa due ore si esce in un bosco sull'altopiano presso la " Baita dei Manzi" ( una vecchia baita ristrutturata ed adatta a zona picnic, luogo ideale per lo spuntino. In questa occasione, noi non abbiamo scalato il " Burrone Giovannelli", lo abbiamo fatto alcuni anni fa, mentre questa volta, con una piccola squadra, abbiamo raggiunto la località " Monte di Mezzocorona" m. 886, con la funivia, che in pochi minuti ci ha portato sull'altopiano. E' un luogo veramente ameno, piacevole alla vista, che dà serenità allo spirito: un luogo adatto per una settimana di riposo e di riflessione, immerso in un paesaggio stupendo, senza rumori acustici, ne macchine e tanto meno inquinamento. E' un luogo ove possono giocare liberamente i bambini, un luogo dove possono correre e gioire delle bellezze della natura.
Appena giungi, dopo solo quattro minuti, dal borgo medioevale di Mezzocorona, da dove parte ogni 10 muniti una cabinovia sospesa nel vuoto, l'altopiano di Monte di Mezzocorona ( 886) metri di quota, ti sembra di essere giunto in un altro mondo. Dal piccolo balcone a fianco della cabinovia, quasi sospeso nel vuoto, si osserva un paesaggio mozzafiato che domina tutta la valle Rutiliana. E' veramente una finestra panoramica che spazia a 360 gradi, che domina un paesaggio superbo. Ti da la sensazione di essere su di un aereo che sta' sorvolando la grande vallata, invece sei sospeso nel vuoto, trattenuto dalla balaustra metallica del piccolo terrazzo.
Abbiamo percorso un sentiero pianeggiante, un sentiero forestale, immerso fra boschi di abetaie e faggete di grande bellezza. In poco più di un'ora abbiamo raggiunto la "Baita dei Manzi", dove abbiamo atteso gli escursionisti . Nel frattempo, abbiamo raccolto della legna secca nel bosco e abbiamo acceso il caminetto della baita, che ha fatto molto piacere agli escursionisti giunti madidi di sudore. Per noi è stata una passeggiata molto distensiva, un modo per trascorrere una giornata diversa nelle alture di Mezzocorona, da dove si gode un paesaggio meraviglioso, da dove l'occhio spazia in un paesaggio di grande bellezza paesaggistica.
Per un giorno abbiamo abbandonato la scrivania e il computer, per scoprire un altro angolo delle nostre meravigliose montagne. Non so se il computer, anche dell'ultima generazione, sia capace di offrirci la bellezza e il profumo che ci offre questo piccolo fiore di bosco o il piccolo rigonfiamento che si è formato sul fusto del pruni selvatico e che custodisce gelosamente il germoglio ancora chiuso, ma che presto questa meravigliosa gemma sboccerà un nuovo fiore, per regalarci un nuovo frutto e si rivelerà alla vita, come nel cuore dell'innamorato sboccerà un nuovo affetto. Anche se in questa località ci siamo stati più volte e ci siamo anche cimentati con il "Burrone Giovannelli", non vuol dire che uno per forza deve scalare le montagne, basta una semplice camminata, immersi nella natura che giorno dopo giorno, ci offre le sue meraviglie, quelle meraviglie che un freddo computer non ci può offrire. Si, è vero, questa infernale macchina, che ci ha fatto tanto impazzire per imparare tutti i suoi segreti alla nostra età, ma dobbiamo dire che ci ha anche aperto una grande finestra nel mondo dell'informatica con i programmi dell'Internet.   

Stendhal: l'Italia delle meraviglie
Non solo il grande storico tedesco Gregorovius e lo scrittore inglese Douglas e Elpis Melena, ma anche il grande scrittore francese Stendhal, duecento anni fa giungeva per la prima volta nel nostro Paese: qui trovò i colori della bellezza.
Anche se, per assurdo, non sapessimo niente della sua vita, basterebbe scorrere l'elenco delle sue opere per capire fino a punto il nostro Paese sia stato davvero, alla lettera, " il sogno di Stendhal". Dalla Certosa di Parma a Vania Vonini, I Cenci, La Badessa di Castro, Vittoria Accoramboni, dalla Storia della pittura in Italia alla Vita di Rossini, da Roma, Napoli e Firenze alle Passeggiate romane, nomi, argomenti, suggestioni sono li a provare la profondità dell'influsso che l'Italia - l'Italia della natura come quella dell'arte, l'Italia dei primi decenni dell'Ottocento come quella di un passato fatto di rivivere dal desiderio - ha esercitato sugli ideali, sulla sensibilità, oserei dire sul destino del grande scrittore ( che sono poi, naturalmente, anche quelli dei suoi principali personaggi maschili).
Lo storico Giovanni Ramponi, in un suo articolo sul Corriere - Eventi, che illustra una mostra a Genova che ripercorre amori e passioni, divertimenti di un viaggio straordinario del grande scrittore, così scrive: "Chi conosce, forse solo per " sentito dire" cinematografico o televisivo, La Chaetreuse, Le Rouge et Le Noir sa che il significato dell'esistenza si gioca interamente, per Standhal, su due valori essenziali, la bellezza e l'energia: la bellezza come promessa di felicità, l'energia come mezzo ( non meno fallace che indispensabile: Stendhal è, non dimentichiamolo, un autore sostanzialmente tragico) per conquistare la felicità strappandola alla morte quotidiana della mediocrità e del quieto vivere. E di entrambi questi valori il futuro romanziere trovò o credette di trovare un serbatoio inesauribile nel nostro Paese sin dal momento in cui, esattamente due secoli fa, varcò giovanissimo, anzi ancora adolescente le Alpi al seguito delle truppe di Napoleone." La stessa cosa è successo allo storico Gregorovius e a Douglas, che ebbero la sensazione di scoprire un mondo antichissimo e immobile. Percorrere in lungo e in largo questo nostro meraviglioso Paese, cogliendo ogni aspetto, rivivendone lo spirito in ogni luogo, anche nel più sperduto paesetto, nella più angusta e quasi dimenticata valle o pianura, gustandone sin dal profondo la duplice bellezza, quella della natura e quello dello splendore delle creazioni del genio e della storia.
Tutto verrà da questa identificazione istantanea. Non meno bruciante di un "coupe de foudre" amoroso o di quel fenomeno che gli psicologi chiamano " inpriting". La bellezza avrà per sempre, ai suoi occhi, i tratti, i colori, i suoni delle donne di Milano o di Firenze, della pittura di Guido Reni, della musica di Cimarosa e di Rossini: e l'energia si modellerà su quella - capace di sottrarre al ridicolo anche i più violenti eccessi dell' "amor - passion" - di un Rinascimento vagheggiato e fatale . E' un meraviglioso paradosso della provvidenza estetica che da questa intuizione primaria, se non addirittura ingenua, d'un ragazzo di diciassette anni siano noti due fra i romanzi più maturi, più complessi, più sottilmente " moderni" che siano mai stati scritti.
Gran viaggiatore e sublime bugiardo vedeva l'Italia con l'anima innamorata. Così lo ha definito in un suo articolo lo storico Matteo Collura.
"Stendhal e l'Italia ecco un binomio che apre prospettive immense dal punto di vista della letteratura, della storia, del costume, del viaggiare, delle arti figurative e musicali. Stendhal e l'Italia: non è possibile pensare a questo artista dalla prolifica e gioiosa attività scrittoria trascurando l'Italia e la felicità che questo paese seppe donargli. Assieme alla voglia di narrare, annotare, scrivere sempre e comunque, come per soddisfare un bisogno fisico. Da quel 10 giugno di duecento anni fa - quando diciassettenne ufficiale al seguito delle truppe di Napoleone Primo, quale Console entrò in Milano che, a suo dire, aspettava i Francesi per godersi un po' di più la vita - furono quarant'anni di frenetico andare e venire, un turbine di viaggi che ai compilatori di cronologie provoca il mal di mare ( anche perché, l'autore del Il Rosso e il nero usava anche mescolare le carte, inventare)
Considerato che ai suoi tempi ci si muoveva in carrozza o in nave, gli ultimi quarant'anni di vita di Henri Beyle ( questo è il suo vero nome) hanno dello straordinario: da Parigi, e da altre capitali europee, a Milano, poi ancora a Parigi e di nuovo a Milano, poi ancora a Parigi e di nuovo a Milano, per poi andare continuamente, a Roma, a Napoli, Capri, Reggio Calabria e Firenze, Venezia, Bologna, Parma, Varese ; e a Torino, Verona, Genova, Livorno, Siena, Ravenna. Da Civitavecchia, dove dal 1831 avrebbe dovuto abitare per assolvere ai suoi compiti di console, si mosse di continuo, tanto da essere definito " console introvabile" o " invisibile". Dal resto, la cittadina laziale era per lui "ennuyeuse come la peste". Un ripiego, insomma, quella località, per sua fortuna non lontana da Roma, dopo che le autorità austriache gli avevano impedito di andare, in qualità di console, a Trieste. Neanche la sede di Palermo, gli fu possibile ottenere e questo fu causa di delusione, perché in tutti i modi tentò di andare in Sicilia, senza riuscirvi ( anche se egli, stendhelianamente, non si arrese - come racconta Leonardo Sciascia in un suo prezioso libretto e " scrisse di esserci stato, addirittura arricchendo le sue bugiarde note di viaggio di un itinerario evidenziato graficamente.
COSA CERCAVA STENDHAL IN ITALIA?
Che cosa cercava e che cosa riuscì a trovarvi? La risposta è semplice: tutto, essendo per lui, il nostro Paese, la vita stessa, l'amore, la radice del mistero dell'esistere tra il profano e il sacro. La stessa cosa trovarono tutti i viaggiatori dell'Ottocento e non solo loro, qualcuno di loro venne persino a morire ed altri vollero essere definiti, nel loro necrologio, " cittadini italiani" Ed è stato possibile, questo, perché se l'Italia è obiettivamente bella, per Stendhal ( come per tanti altri spiriti irrequieti del periodo romantico) essa era anche mito, immagine della fantasia e del desiderio. Ma si può dire di più e meglio: per Beyle la penisola - giardino affiorante nel Mediterraneo fu una sorta di canovaccio sul quale egli mise a punto il suo pressante bisogno di scrivere, di narrare, di costruire romanzi. Al punto di farsene strumento di propaganda che noi, cittadini di un'era in cui il primato dell'economia rifulge, definiremmo impagabile.
E' talmente legato all'Italia il nome dello scrittore francese, autore, tra l'altro, di Roma, Napoli e Firenze, che ne è prezioso ritratto nel sorgere del XIX secolo, che dodici anni fa un gruppo di studiosi fiorentini individuò, o credette di individuare, una sindrome definita " di Stendhal": un mancamento, una forte perturbazione, uno scompenso psichico causato dalla troppa concentrazione, in uno stesso luogo, di arte e di storia. Quel che accadde a Beyle il 22 gennaio 1817, allorquando si trovò ad ammirare i monumenti funebri in Santa Croce, a Santa Maria Novella, a Firenze.
Interessato a tutto quanto avveniva nel nostro Paese, senza mai perdere di vista il suo passato, specie querelo rinascimentale. Stendhal raccolse pile di manoscritti e documenti dai quali germogliarono le Cronache italiane: e altri scritti italiani sarebbero fioriti dalle sue mani se la morte non lo avesse colto ( con un attacco apoplettico, come lui puntualmente aveva previsto, a Parigi, la mattina del 23 marzo 1842. E non lo diciamo tirando a indovinare, ma perché dopo la morte di Stendhal, nella sua biblioteca di Civitavecchia furono trovati quattordici manoscritti in dialetto napoletano e romanesco.
Certamente ne sarebbero scaturite altre cronache, altre storie. Come quella che avrebbe avuto per protagonista un Michelangelo Buonarroti cinquantasettenne, ammaliato da un bellissimo ragazzo romano, Tommaso dei Cavalieri. Quindi, non solo i grandi filosofi Greci e quelli Romani, ma anche i grandi artisti Risorgimentali, erano ammaliati dal sesso maschile, ed erano sopraffatti dalla deviazione degli istinti, delle tendenze, degli impulsi, della perversione del gusto: della perversione morale.
- Tratto dal libro: "I giganti fumanti" -  

Letterati e filosofi tendono a rimpiangere il passato.
"A parte il fatto che chi crede di non illudersi spesso si illude di non illudersi, a questo disincanto viene spesso dietro il sospetto, il volto malato dal dubbio. L'uomo moderno - come scrive Edoardo Boncinelli - si dice - ha scoperto il dubbio e vive nel dubbio. Benissimo. Ben venga il dubbio, ma non il sospetto: il dubbio dà sapore alla vita, il sospetto l'avvelena. Sono sicuro che chi si industria a scorgere la menzogna e il dolo in ogni azione umana non è più difeso degli altri contro l'imbroglio, individuale e collettivo, e vive una vita di gran lunga più spiacevole. Il cultore di scienze umane si definisce spesso un demistificatore, cioè un smascheratore. Ma una cosa è smascherare l'essenza della natura e le sue leggi, un'altra è smascherare il lato oscuro dell'Uomo. Il prezzo pagato è eccezionalmente alto. Il lato oscuro dell'uomo è presente in ogni uomo e non solo in alcuni "cattivi e cattivissimi", magari resi tali da un sistema sociale, invariabilmente l'attuale, particolarmente perverso.
"Se i cultori delle discipline scientifiche possono essere criticati e anche ridicolizzati perché credono in un mondo di benessere materiale che probabilmente non esisterà mai, gli studiosi di scienze umane si presentano spesso come nostalgici di un Età dell'Oro che certamente non è mai esistita. Gli organi di senso in tutti gli animali sono situati sul davanti del loro corpo, non di dietro. Procedere guardando indietro non è particolarmente utile e può nuocere gravemente alla salute". Che cosa vuol dire tutto questo? Vuol dire che l'uomo deve guardare al suo passato prossimo, più che alla storia che va guardata quel tanto che basta, ma soprattutto deve guardare avanti, al presente, anche se con un pizzico di dubbio che non guasta, perché dà sapore alla vita.
Non tutte le persone amano parlare del loro passato prossimo, come cerchiamo di fare noi in questo contesto letterario. La scrittrice Dacia Maraini, parlando di Alberto Moravia nella ristampa del suo libro "Moravia, un passato senza nostalgie", così scrive: " Questo libro nasce dalla estrema ritrosia di Alberto Moravia nel parlare del suo passato. " E' una minestra riscaldata", soleva dire, " non mi interessa". E in effetti non si soffermava mai, durante le tante conversazioni con gli amici, che pure amava e coltivava, a raccontare di quando era bambino o a rammentare qualcosa di suo padre o di sua madre.
Non ho mai conosciuto un uomo più proteso verso il futuro di Alberto: spalancava gli occhi per guardare meglio, per scorgere ai limiti dell'orizzonte la novità che avanzava come la punta di un albero che poi, piano piano, si sarebbe trasformato in una nave con tutte le vele spiegate - ammesso che il futuro si possa immaginare come una barca a vela in una stagione di astronauti e motori sempre più sofisticati e aerodinamici - ma ciascuno ha le sue iconografie mentali. Continua la Maraini, dicendo: " Io che amo ascoltare le persone care parlare del passato, venivo continuamente frustrata dai " non so," "non ricordo", " che noia!" Appena accennavo a sua madre, a suo padre, alle sue sorelle, ai suoi compagni di scuola, alle sue villeggiature Laziali, all'ospedale dove aveva trascorso molti anni della sua adolescenza per curarsi dalla tubercolosi ossea. Da principio avevo pensato che proprio i ricordi della desolazione ospedaliera gli impedissero di tornare indietro con la mente alla sua infanzia e alla sua adolescenza, ma poi ho dovuto constatare che non era così, o per lo meno non proprio solo così. Il suo rifiuto del passato era anche un modo di conservarsi mentalmente giovane, senza legami con date fisse che lo trattenessero agli inizi del secolo. Voleva essere libero di inventarsi e perciò era insofferente di ogni laccio della memoria, voleva sgusciare dalle strette maglie del tempo per trovarsi gomito a gomito con chi era nato dopo. Gli piaceva guardarsi dal di fuori con curiosità e candore, pronto a escogitare nuove invenzioni, nuovi rovelli. Il corpo glielo permetteva, sempre agile e giovane, pronto a correre, viaggiare, camminare, ballare. " Mi danno vent'anni di meno", diceva con civetteria, e in effetti perfino i medici dicevano che aveva un fisico da cinquantenne in una anagrafe di settantenne". Noi ci rispecchiamo in tutto questo, e a volte, non ci vergogniamo di dichiarare i nostri settant'anni. Ci sentiamo giovani, viaggiamo e camminiamo moltissimo sui sentieri del nostro meraviglioso Paese. Ma quello che ci lega moltissimo a questo periodo transitorio della terza età, è appunto il nostro passato prossimo.
" Ricordo che un ragazzino, molti anni fa mi disse": " Dio viene con il vento". Si, viene con il vento. Quando finisce la stagione delle speranze si apre lo spazio per le memorie. Fino a quando esiste la memoria, esiste la creatività ed i ricordi. La memoria ha un enorme potere di plasmare corpi, architettare geometrie affettive, impastare gesti con apprensione e tenerezze.
Se andiamo cercando nel nostro passato, possiamo dire che c'è sempre in ognuno di noi una zia che si chiamava o che si chiama Cristina. Anch'io, ho avuto una zia con questo nome e per me è stata più che una mamma. Ricordo che era una donna alta e magra, una donna rossa di capelli e bella d'aspetto. Indossava sempre abiti tradizionali del suo paese, si, perché non era originaria di Cosoleto, il paese aspromontano che mi ha visto nascere e crescere felicemente. Era una zia acquisita, che aveva sposato in seconde nozze lo zio Domenico, il fratello di mio padre. La zia Cristina era una bagnarota, nata in quella bella cittadina rivierasca della Costa Viola, che si chiama Bagnara. L'origine di questa cittadina si perde nella notte dei tempi. Infatti, la storia ci racconta che Bagnara, è stata una delle prime cittadine fondate dai greci, che faceva e fa parte della Magna Grecia. Non solo la cittadina, ma anche i suoi abitanti, che hanno mantenuto le caratteristiche degli antichi greci, che li differenziano dal popolo calabrese e che le distinguono dagli altri per i loro costumi, la laboriosità e soprattutto per quanto riguarda l'attività della pesca. In tutta la Costa Viola o meglio dire in tutta la Calabria, non ci sono pescatori ineguagliabili. Soltanto loro conoscono le tecniche e i segreti per pescare il pesce spada. Per chi non lo sapesse, la pesca del pesce spada, per quella popolazione dai rituali antichi, è veramente un rito, un rito che si trasmette di età in età, di generazione in generazione. La stessa cosa potremmo dire per i pescatori delle isole Pelaghi. Favignana e la mattanza sono legati ad un vincolo che si perde nei meandri del tempo. E' una pesca sanguinosa? No, una necessità di sopravvivenza, che rispetta regole ferree e segue rituali sociali e religiosi. Questi bravi pescatori della costa del Tirreno, come del resto fanno gli altri pescatori del Sud del nostro Paese, di notte pescano e di giorno accudiscono alla casa , si prendono cura dei bambini e riparano le reti da pesca e le loro barche danneggiate dalla furia del mare, mentre le loro donne, con grosse ceste sulla testa, trasportano il pescato nell'entroterra aspromontana, per commercializzarlo o scambiarlo con altri generi alimentari, per fare poi rientro alle loro abitazioni alla fine della giornata o magari il giorno successivo. Le bagnarote hanno nel sangue il senso innato del commercio fin dalla nascita, che fa parte della loro natura.
Oltre ad essere bravi pescatori, erano e forse lo sono ancora oggi, bravissimi costruttori di natanti e veri maestri d'ascia . In seguito ai racconti della zia Cristina, posi affetto a Bagnara e ai suoi abitanti, voglio usare a quella striscia di costa rocciosa, dove germoglia in piccoli fazzoletti di terra portata a riva con le barche e poi sul capo in grasse ceste di vimini, per riempire le fasce dove germoglia il vitigno dello zibibbo, le cui uve sono impiegate nella produzione del moscato, famoso anche nell'isola di Pantelleria: vino da dessert, il trattamento di quei navigatori riconoscenti, che appendevano una tabella votiva alla loro barca e sotto vi scrivevano: Votum fecit: gratiam recepit.
- Tratto dal libro: "I giganti fumanti" -   

Il secolo telematico
Abbiamo detto che il nostro secolo è stato definito il "secolo corto", il secolo consumistico, tecnologico e telematico. Sono oltre tre anni che adoperiamo il computer, questo strumento freddo e senz'anima, ma ancora non siamo riusciti a sapere tutto quello che c'è da sapere. Non è stato facile entrare nei suoi meandri tecnologici, nei suoi tracciati tortuosi e spesso ci siamo persi in un dedalo di viuzze, che si chiamano "file". Quando ti sembra di conoscere tutto, c'è sempre qualcosa di nuovo da imparare. Abbiamo incominciato con il programma della scrittura e quello dell'inserimento delle fotografie, che ci ha dato molte soddisfazioni. Adesso è venuto fuori l'Internet, forse esisteva già prima che noi incominciassimo questo cammino telematico. In tutto il mondo c'è chi legge le ultime notizie nazionali e internazionali, compresi gli ultimi avvenimenti della guerra nel Kosovo e grazie ai suoi esaurienti servizi di cronaca e di informazione. Ma, più volte, ci siamo domandati che cos'è questo fenomeno informatico chiamato Internet , o più semplicemente " la Rete"?
Che cos'è?
Immaginate una stanza piena di ragni, ciascuno dei quali tesse la sua tela. Le tele sono talmente connesse tra loro che formano un labirinto tale da confondere l'orientamento: come il labirinto di Malta e di Creta, un rione con strade e veicoli che s'intrecciano fra loro in modo da far perdere facilmente l'orientamento a chi li percorre, un labirinto in cui i veicoli e i ragni possono spostarsi liberamente. Ora avete un'idea semplificata di che cos'è Internet: un insieme di molti tipi diversi di computer e di reti telematiche sparsi in tutto il mondo e collegati fra loro. Proprio come un telefono permette di parlare con una persona che sta dall'altra parte della terra e che possiede anch'essa un telefono. Internet permette di starsene seduti davanti al proprio computer e scambiare informazioni con altri computer e utenti di computer in qualsiasi parte del mondo.
L'Internet è stata soprannominata "l'autostrada dell'informazione". Proprio come una strada da permettere di viaggiare da una parte all'altra di un paese, così Internet permette alle informazioni di circolare attraverso molte reti di computer collegate tra loro. Mano mano che i messaggi viaggiano, ciascuna rete raggiunta contiene informazioni utili per collegarsi alla rete adiacente. La destinazione finale potrebbe essere in un'altra città o in un'altra nazione.
Con l'esperienza quotidiana, abbiamo compreso che ogni rete può " dialogare" con la rete vicina mediante un insieme di regole comuni create dai progettisti di Internet. Voi vi domandate, come ci siamo domandati noi, quante sono, in tutto il mondo, le reti intercorresse? Stando ad alcune stime, sarebbero tantissime, più di 30.000. Secondo sondaggi recenti, queste reti collegano più di 10.000.000 di computer e circa 30.000.000 di utenti in tutto il mondo. Si calcola che il numero dei computer collegati raddoppiano ogni anno.
Che cosa si può trovare su Internet? Un patrimonio di informazioni in rapido aumento, su argomenti che vanno dalla medicina alla scienza e alla tecnologia. C'è molto materiale in campo artistico come pure informazioni utili agli studenti per le loro ricerche, nonché notizie su tempo libero. Internet permette di accedere ad almanacchi, dizionari, enciclopedie e carte geografiche.
Ci sono, però, alcuni aspetti preoccupanti da non trascurare. Tutto quello che si trova su Internet si può considerare moralmente sano? Quali servizi di risorse offre Internet? Quali preoccupazioni è il caso di prendere? Noi non siamo in grado di rispondere a queste domande, ci vorrebbe un vero esperto per fornirci queste delucidazioni. Noi conosciamo un servizio molto diffuso che è quello della posta elettronica ( la cosiddetta " E - mail"). In effetti la posta elettronica rappresenta una grossa parte di tutto il traffico di informazioni che viaggia su Internet, ed è l'unico servizio che molti utenti usano. Noi non usiamo questo servizio, perché non abbiamo nulla da fare viaggiare telematica mente. La velocità della posta elettronica e la facilità con cui si può inviare un messaggio anche a molti destinatari in tutto il mondo ne fanno una forma di comunicazione diffusa, anzi, direi diffusissima. Come del resto è diventato oggi il telefonino.
Abbiamo letto da qualche parte che sono in estinzione lettere e francobolli, in attesa che l'e -mail su Internet diventi realtà in qualsiasi parte del mondo, il cellulare è la cosa più comoda. Con il telefonino si parla ( a caro prezzo), e con il telefonino si scrive (risparmiando). Un messaggio inviato tramite etere dalla Sardegna a Mantova costa 300 lire contro le oltre mille lire al minuto di una telefonata: i testi possono avere al massimo 80/170 caratteri a seconda dei modelli. Una sorta di telegramma portatile, a ben vedere. Pochi secondi e la destinataria sente un trillo che l'avvisa della comunicazione.
Adriana mia moglie, è titolare di un telefonino dell'ultima generazione, ma sia lei che io, ignoravamo che si potessero inviare e ricevere anche messaggi, come si fa con l'e -mail su Internet. Qualche tempo fa si è accorta che sul display era apparso la voce "messaggio in arrivo". Non ci ha ci ha dato peso , perché ha creduto si trattasse di una di quelle innumerevoli risorse del cellulare.
- Tratto dal libro: "L'isola felice che non c'è" -

Si invecchia bene o male?
Ci viene spontanea fare una riflessione sul nostro tempo: " Si invecchia bene o male: perdendo forza o al contrario acquistandola". Al centro della riflessione, come sempre, alcuni protagonisti, famosi o segreti, della letteratura francese: da Montaigne all'inafferrabile Jean Cayrol, da Stendal a Taine (protagonista, quest'ultimo, di una vera e propria resurrezione critica, tanto appassionata quanto priva di inutili indulgenze); - come scrive Giovanni Ramboni, in un suo articolo, sulla letteratura di Giovanni Macchia, apparso sul Corriere - ma, come sempre, non soltanto tornano, accanto alle loro presenze altrettanto familiari all'immaginazione critica di Macchia come quelle di Pirandello e di Eduardo; e fanno la lori comparsa le care ombre di maestri e amici (Pietro Paolo Trompeo, Clauco Natoli, Elena Croce, Cesare Angelini...), tutti colti, si direbbe, come su una soglia, nel momento e quasi nell'atto di congedarsi o svanire.
"Se si pensa che si tratta di scritti d'epoca e natura assai varia, nati in modo del tutto autonomo l'uno dall'altro, non può non emozionare l'evidenza di quest'unica deriva, di quest'aura o luce, davvero, di "tramonto" che li avvolge e accomuna; e non resta, ancora una volta, che alzare le mani con ammirato stupore davanti a questo prodigioso inventore di architetture apès coup, a questo ispirato, infallibile scrittore di nuovissimi libri già scritti, pezzo per pezzo, da lui medesimo. E non resta, è chiaro, che dargli incondizionatamente ragiona quando, alla fine della breve premessa, avanza l'ipotesi d'aver scritto così, " quasi senza volerlo" un suo De Senectute. Intendiamoci: non c'è nessuna " tesi", nel libro, sugli effetti o le prospettive della vecchiaia: per vecchiaia si può invecchiare bene o male, perdendo forza o acquistandola, trovando verità prima ignorate o smarrendo quelle di cui si era o ci si credeva in possesso: si può persino, sembra di capire, invecchiare (tramontare) da vecchi o invecchiare (tramontare) prima, molto prima, addirittura da giovani...." Ciò che importa è misurarsi con questa " cosa", tenerne conto, sapere che si tratta, oltre e prima che di una realtà anagrafica, di una possibilità dello spirito, in quanto possibilità, come tutto ciò che la natura ci appresta.
Prima di essere collocati in congedo, per raggiunti limiti d'età, militavamo, come abbiamo detto sopra, nell'Arma dei Carabinieri. Per motivi di servizio e per garantire alla giustizia le prove di qualsiasi reato, in un certo senso svolgevamo quell'attività che svolgono i filologi. Passavamo al setaccio ogni situazione, ogni indizio, ogni traccia, passavamo al setaccio gli ambienti della malavita, esaminando attentamente ogni piccola traccia per avere indizi sicuri e senza lasciarci avvolgere nel gelido sudario dell'equivocità. Giosuè Carducci, grande poeta - anche se per molti aspetti discutibile e discusso - e senza dubbio grandissimo filosofo, ammoniva con acuta intelligenza i suoi discepoli a non "lasciarsi avvolgere nel gelido sudario della filosofia".
Lo storico Quintino D'Ovidio così scriveva: "chi sia addetto ai lavori difficilmente riesce a cogliere in tutto il suo valore le genialità di questo monito. Il fatto è che il filologo è quello scienziato che si occupa della ricostruzione e della corretta interpretazione dei documenti letterari e storici di una particolare cultura e di un particolare periodo storico - letterario, che è appunto, il complesso delle attività scientifiche che va sotto il nome di "filologia".
Egli deve "interpretare" i testi, si che lo storico della letteratura, dell'arte, della filologia o della scienza e lo storico propriamente detto non possono non essere, prima di tutto, dei filologi e, viceversa, il filologo non può essere prima di tutto che uno "storico" come richiede la corretta lettura ed interpretazione dei testi, dei manoscritti, dei documenti più banali, almeno apparentemente, come un decreto, un'iscrizione, una lettera, un breve trattato o una sentenza.
La stessa cosa, sotto il punto di vista dell'informazione, sono i giornalisti, i cronisti e gli inviati speciali. Questi scrittori, questi inviati speciali, giorno dopo giorno, all'insegna della caratterizzazione di un'identità profondamente originale, ci fanno rivivere, minuto per minuto, lo svolgimento degli avvenimenti, come quelli di questa strana guerra kosovara.
Il segreto di questi editorialisti, politologi, scrittori e giornalisti in prima linea, di questi studiosi, di queste semplici persone che passano molto tempo fra documenti storici, di questi "veri filologi", che sono, ovviamente, veri scrittori sta tutto in un fatto apparentemente semplicissimo: nell'accorgersi che in torno a loro, fra quelle cartelle, faldoni, comunicazioni telefoniche, fax e confessioni, pulsa la vita come già avveniva per gli uomini dell'antichità, per esempio, intorno a loro, come intorno ad Omero, pulsavano le onde del mare; sopra di loro come sopra i kosovari in fuga, si stende il cielo, terso e rannuvolato, "bello quando è bello" di manzoniana memoria, come sopra di loro, come sopra di noi stessi brillava e brilla il sole.
- Tratto dall'omonimo libro: "L'isola felice che non c'è" -  

Ma il cervello richiede una continua manutenzione?
Certo, la manutenzione del cervello è sotto la responsabilità di ognuno di noi. Si sa, per esempio, che il fumo lo danneggia, riducendone l'ossigeno. Che l'alcol è tossico per le sue cellule, ma assunto in modica quantità da beneficio sia al cervello quanto all'intero organismo. Che l'abuso di psicofarmaci è devastante. Che la pressione deve essere tenuta sotto controllo, perché può causare l'ictus e - si sospetta - persino la demenza senile, l'Alzheimer. Ma il cervello va anche tenuto a dieta. Sessant'anni fa all'Università cornell si scoprì che se si riducevano del 30 per cento le calorie dell'alimentazione dei ratti, si allungava la loro vita media e li si manteneva giovani più a lungo. E Barbara Hansen di Baltimora ha dimostrato che la dieta fa vivere meglio anche le scimmie, strette parenti dell'uomo. Dieta non vuol dire malnutrizione, ma alimentazione equilibrata con poche calorie, ma con tutti i nutrienti necessari: proteine, grassi, vitamine e minerali. Noi, cioè io e Adriana mia moglie, questo tipo di dieta la pratichiamo da circa 25 anni. In tutto questo tempo, abbiamo potuto constatare che il nostro stato di salute è migliorato moltissimo, sia fisicamente che mentalmente.
A gennaio sulla rivista Annals of Neurology, Mark Mattson, docente di neurologia dell'Università of Kentuchy, ha scoperto che la riunione del 30 per cento delle calorie della dieta protegge le cellule cerebrali anche dai danni delle sostanze neurotoniche, e ipotizza addirittura che potrebbe difenderle da malattie come Alzheimer, Humtingto e Parkinson, i tre maggiori nemici del cervello dell'anziano. Ma non basta. L'altro grande alleato della mente è l'esercizio fisico, che fa aumentare la concentrazione di Bdnf, o " fattore neutrofico derivato dal cervello", un agente naturale antinvecchiamento. Ma abbiamo compreso, che per conservare un cervello giovane non c'è nulla di meglio che tenerlo occupato. Tutti i giorni, quando non ci occupiamo del nostro piccolo orto, dedichiamo molto tempo alla lettura di libri , quotidiani e riviste qualificate nel campo della medicina, ma anche agli hobby , alle passeggiate pomeridiane, a fumare la pipa e incontrare gli amici al Bar, per la consueta partita a carte o, come la chiamiamo noi, per la pausa caffè senza zucchero.
In un recente articolo comparso su Jama, Terie Wetle del National istituts on aging di Bethesda, come riferisce Ada Bisanzio, ha raccontato di aver sottoposto per nove mesi un gruppo di anziani a compiti che li impegnavano: dovevano superare ostacoli, accettare rischi, mettersi alla prova in attività giornaliere, mentre un altro gruppo di anziani non faceva nulla e un terzo gruppo veniva invece intrattenuto in attività più creative: uscire in compagnia, lavorare manualmente, vedere film, giocare e danzare. Gli unici che in quei nove mesi non sono invecchiati e sono anche relativamente ringiovaniti sono quelli del primo gruppo. " L'uso intellettuale del cervello è il miglior conservante" dice Edoardo Boncinelli, responsabile dell'unità di biologia molecolare dello sviluppo cellulare del Crm e autore di "Il cervello, la mente e l'anima"- edito da (Mondadori). " Anche fra i malati di Alzheimer si è visto quelli che hanno in più alto livello di cultura invecchiano meglio. Il perché non lo sa nessuno. Ma si sa che l'uso del cervello fa bene anche al corpo. Tanto è vero che cardinali, filosofi , scienziati , scrittori e pittori sono quelli che vivono più a lungo".
Nella nostra esperienza, abbiamo compreso che le cose più importanti dell'uomo sono due: cervello - cuore . Abbiamo visto che il cervello non ha età, ma che è la cosa principale che coordina le facoltà dell'uomo che, mediante la riflessione, permette la elaborazione di concetti e quindi il ragionamento, mentre il cuore spesso indica i sentimenti nascosti nell'animo di una persona e tra gli stati d'animo e gli affetti, può indicare: la pietà, la bontà verso il prossimo. Ma oggi, nel nuovo clima politico sociale in cui ci siamo venuti a trovare, stiamo assistendo, giorno dopo giorno, che ci sono uomini con poco cervello e niente cuore. Mi riferisco alla guerra nel Kosovo, alle deportazioni, agli stupri, alle fosse comuni, alla distruzione di interi villaggi e città da parte della pulizia etnica di Milosevic.
- Tratto dall'omonimo libro: "L'isola felice che non c'è" -    

Addio Novecento
Dopo avere illustrato il nostro concetto, il nostro pensiero sull'isola felice che non c'è, con il quale abbiamo incominciato questo nuovo libro, veniamo a parlare in questo capitolo del nostro Novecento, che sta per lasciarci.
"...Fugit interea, fugit irreparabile tempus", dice Virgilio, nel terzo libro delle Georgiche. Era il periodo aureo di Augusto, e da allora sono passati un bel po' di secoli. Ma puntualmente, a ogni scadenza cronologica importante, il lamento si ripete. Accompagnato - è l'altra faccia della medaglia - dall'euforia per aver doppiato la boa, per essere entrati in un'epoca nuova. Facile immaginare, dunque, cosa capiterà nei prossimi mesi. Il capodanno del 1999 è passato da poche settimane, forse in maniera più silenziosa del solito, ma già si fanno i preparativi per l'inizio del nuovo millennio, così scrive in un suo articolo, Roberto Mantovani, sulla Rivista del Club Alpino Italiano di Marzo - Aprile. Il Millennio che - si dice - dovrebbe iniziare con l'entrata nel 2000. Chissà poi perché, visto che i secoli, di solito, cominciano con l'anno 1 e finiscono con il 100 e quindi, a rigore, l'incipit del nuovo millennio dovrebbe datare alle ore 0.01 del I^ gennaio 200I. Ma tant'è per le stupidaggini non c'è rimedio. E' vero che " semel in anno licet insanire", una volta l'anno è lecito fa re i pazzi ( dicevano così già nel medioevo), ma fino ad ieri la licenza valeva per i giorni di Carnevale, non per il capodanno. Tant'è. E così, tutti ad aspettare l'alba fatidica del 2000, alla faccia del buon senso. C'è già chi, da mesi si è prenotato un posto per 31 dicembre, magari su quello sperduto parallelo del Pacifico che sancisce il cambiamento di data, in modo di poter entrare e uscire nel nuovo secolo a piacimento alla faccia dei calendari e orologi.
Possiamo benissimo affermare di aver raggiunto la soglia del Fine Secolo. Una parola abusata e da rimuovere per riscoprire la necessaria profondità della storia.
" Se c'è un vocabolo da evitare in questo congedo di fine millennio io penso che sia proprio la parola Novecento. No, non intendo dire che abbiamo dimenticare in fretta questo secolo né intendo avvallare i pregiudizio drastico sul Novecento come il secolo degli orrori", così scriveva Marcello Veneziani, in un suo breve articolo, sul Corriere, del 2 febbraio scorso.
Il Novecento non è stato solo gulag e Lager, guerre mondiali e totalitarismo, bomba atomica e disastri ambientali: è stato anche prolungamento della vita e benessere senza precedenti, conquiste e libertà e scoperte scientifiche, espansione della tecnica e delle comunicazioni.
Veneziani prosegue dicendo: " Nel nostro secolo si sono amplificate le risorse umane e dunque il male e il bene hanno avuto la possibilità di crescere a dismisura. La parola Novecento va rimossa non per odio verso questo secolo che muore ma verso la sua principale malattia: la secolarizzazione. Che intendo dire? Questo secolo ha coltivato il sogno prometeico di un'epoca autocrate, totalmente nuova rispetto al passato, radicalmente diversa dalla storia precedente. E' stato un secolo egocentrico, presuntuoso nella sua convivenza di essere inedito, inaudito, e dunque un secolo sterminato, come ho intitolato un mio libro sul Novecento. Per la prima volta nella storia, l'uomo del "900 non si è sentito abitante di un luogo ma di un tempo: la nostra patria è stata il Novecento. Ma anche il nostro orizzonte di senso è stato declinato all'interno di questa superstizione, di questo faticismo del secolo: il dio del '900 è stato il "nostro tempo", la nostra grazia è stato il sentirci contemporanei, il nostro destino è stato quello di legarci solo all'oggi. L'appartenenza ad ogni comunità
Non c'è nulla fuori, sopra e oltre il secolo. Così il Novecento è divenuto una specie di acquario: al di fuori dello spirito del Tempo non ci è concesso vivere, non abbiamo più polmoni per questo, abbiamo solo le branchie per respirare nel secolo. Non ci sono limiti al nostro sguardo, ma non possiamo varcare l'ampolla di vetro del '900. Il secolo che ha coltivato la libertà come misuratezza è anche il secolo che più ha imbottigliato nel suo orizzonte i popoli e gli individui. E perciò più si è prestato a sogni totalitari. Da questa tirannide " novecentrica" dobbiamo liberarci. Perciò dico: basta col '900 recuperiamo la dimensione del prima e del dopo, e dell'altro rispetto al Novecento.
Ci sono più cose in cielo e in terra di quelle che hanno domato in questo secolo. Addio Novecento, hai fatto il tuo tempo".
Adesso dobbiamo guardare avanti, con un altro spirito, guardare al futuro con fiducia, alla ricerca di altri orizzonti, di altre mete, ma senza dimenticare il Novecento che è stato il nostro Tempo. Come ha scritto Sant'Agostino, nelle sue Confessioni, con un brano delle quali, abbiamo aperto questo nostro itinerario culturale ed escursionistico: " Risulta però che futuro e passato non esistono. I tre tempi sono piuttosto il presente del passato, il presente del presente, il presente del futuro".
Il Terzo Millennio, come abbiamo detto è proprio alle porte e noi siamo pronti a riceverlo? Io penso di si, anche perché se l'antico ammonimento " Mille e non più mille", frutto di una esperienza o di una profezia, è rotolato lungo il corso dei secoli, dall'inizio del cristianesimo, per giungere con tutti i suoi significati più recenti e spesso contraddittori in piena età informatica alla soglia della fine del secondo millennio. Giovanni apostolo, scrivendo l'Apocalisse, uno dei testi più affascinanti e visionari della letteratura di ogni tempo, annunciava l'imminenza del ritorno di Cristo e della Nuova Gerusalemme, mentre la Chiesa delle origini ammoniva i propri fedeli a non sposarsi e a non procreare perché il giorno del giudizio, il giorno dell'Armigedon, era ormai prossimo. Era dunque scritto: ci sarebbe stata la fine di questo mondo che si sarebbe tramutata in una palingenesi, ( la parola palingenesi , la troviamo in alcune teorie filosofiche e religiose, la rinascita del mondo dopo la sua distruzione, o meglio dire dell'uomo dopo la morte) che avrebbe segnato l'inizio di un nuovo mondo. Ma quale mondo? Un nuovo mondo spirituale o un nuovo mondo materiale? Ma tutto questo è soltanto un pensiero, un'espressione filosofica, un'indagine della ragione rivolta alla conoscenza dei problemi fondamentali della vita per la loro soluzione.
La lettura del libro di Serena Foglia " Mille e ancora mille", ci ha accompagnato in un incredibile e sorprendente ricognizione di che cosa è oggi il millennarismo.
Sin da sempre gli uomini hanno sentito irresistibile il bisogno di un anno Mille, di una data nella quale tutto venisse azzerato e forse possibile ricominciare da capo, nella Nuova Gerusalemme o in una nuova società terrena, nella città di Dio o nella città degli uomini. Ed è stato questo bisogno che ha fatto fiorire religioni, scrivere libri indimenticabili, dato all'uomo la forza di andare sempre avanti, di non fermarsi mai, di cercare di raggiungere - come è stato scritto - non un luogo, ma un nuovo modo di vedere le cose, sotto una nuova prospettiva. Ed è proprio se entriamo in tale ottica, potremmo trovare, forse, " l'isola felice che non c'è" o forse che non riusciamo mai a trovare. Ma leggendo le pagine affascinanti del libro di Serena Foglia, troveremo le ragioni per rovesciare l'antico ammonimento: non " Mille e non più mille", ma " Mille e ancora mille".
E' dunque questo confronto, questo continuo ricercare dell'isola felice che non c'è, percepito inconsapevolmente, che, sottolineando l'incolmabile disparità tra la durata dell'esistenza e lo scorrere infinito del tempo, che aveva suscitato il mio stato d'animo. Da una parte vedevo e vedo tuttora esaltarsi quell'alone avveniristico e fantascientifico che ci è stato conferito negli ultimi tempi e che l'odierna accelerazione ha accentuato: lontani ricordi salgariani si mescolano alla visione delle più recenti e super tecnologiche avventure terrene e spaziali di " quest'isola felice che non c'è".
Alla continua ricerca degli uomini, delle grande umane trascendentali. Che va oltre ciò che è normale e che trascende la comprensione umana. Luciano De Crescenzo, nella premessa del suo libro: " Filosofia della felicità", così scrive: " La felicità, apparentemente niente, in realtà moltissimo: tutti e due si identificano col presente, e il presente, non a caso, fa rima con " apparentemente" e con " niente".
Per aiutarci ad essere felici, fermare quei brevi attimi non toccati dalla tristezza, anche ai giorni nostri, De Crescenzo si affida ad un gran filosofo del passato, l'oratore, uomo politico più dotto dell'antica Roma: Lucio Seneca. Terrone per chi ha lottato con il latino ai tempi del liceo, Seneca ci viene riproposto nella veste di amico fraterno, maestro di vita del buon Lucilio, destinatario di tante lettere del primo. Ma e qui che sta la classe di De Crescenzo. Questo epistolario viene modernizzato, interpretato dall'autore de " Il tempo e la felicità" di quella felicità che non esiste, come " L'isola felice che non c'è".
Con l'inizio del 1999, inizia la terza fase preparatoria al Grande giubileo del 2000, che volge a termine.
Il 1999, terzo e penultimo anno di questo fine Millennio, avrà la funzione di dilatare gli orizzonti del credente secondo la prospettiva stessa di Cristo: la prospettiva del " Padre che è nei cieli" dal quale è stato mandato ed al quale è ritornato. Con queste parole Giovanni Paolo II, nel nr. 40 della lettera apostolica in preparazione del Giubileo dell'anno 2000, precisa il tema della catechesi per l'ultimo anno di preparazione al Giubileo. Quest'anno, sarà l'anno della nuova Francigena, l'anno della grandissima massa di fedeli, che giungerà a Roma da ogni parte del mondo, per il grande evento della fine del secondo Millennio, che coincide con il Giubileo dell'anno 2000.
Dopo l'anno 1997 dedicato alla conoscenza della " vera identità di Cristo" unico Salvatore di tutti ieri, oggi e sempre; dopo l'anno 1998, " dedicato in modo particolare alla Spirito Santo ed alla sua presenza "santificatrice" nella Chiesa e nell'umanità. Segue l'invito a dedicare il 1999 per conoscere e contemplare chi è il nostro Padre "che è nei cieli". Una conoscenza e contemplazione che deve partire dal dato biblico, accompagnata da una sostanziosa catechesi, per approdare ad uno stile di vita cristiana che si distingue da ogni altra vita religiosa - ebraica, musulmana o di altre religioni o sette - per il rapporto finale con Dio, il Padre che è nei cieli, secondo l'esempio stesso di Gesù.
La conoscenza, ( come leggiamo in un opuscolo missionario, a cura dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Barletta, del mese di gennaio 1999), del nostro Dio deve partire proprio dalla sua paternità, che lo qualifica sia all'interno del mistero trinitario, sia all'esterno del mistero dell'uomo e della storia. Occorre partire dall'esempio di Gesù il quale, ogni volta che parla di Dio, ne parla sempre con l'appellativo di " Padre": il Padre mio e il Padre vostro, ma è sempre il " Padre".
Già nell'Antico Testamento Dio, che si era presentato a Mosè come Javhè, per bocca dei profeti si era calato nelle immagini più espressive dell'amore parentale e concreto: si era chiamato sposo di Israele; si era paragonato alla madre che non dimentica mai il suo bambino; si era presentato nel padre che prende il suo piccolo tra le braccia, lo solleva in alto, se lo stringe sulla guancia e poi si curva per dargli da mangiare".
- Tratto dall'omonimo libro: "L'isola felice che non c'è" -  

L'isola felice che non c'è
Non so dire quando mi è balenata l'idea in testa dell'isola felice che non c'è, per intitolare questo nuovo libro. Forse sono state il ricordo delle letture della mia fanciullezza di Peter Pan, di quel protagonista di vari racconti di J.M. Barrie: di quel fanciullo che vive in un mondo fantastico ed avventuroso. Forse è stato al momento di un brusco risveglio, forse durante una di quelle soste della giornata che sembrano così vuote da togliere senso alla vita, forse perché durante questi ultimi tempi stiamo assistendo passivamente allo stillicidio, al ripetersi incessante e fastidioso dello sbarco notturno sulle nostre coste del tormentato Adriatico, di migliaia e migliaia di immigrati del terzo Mondo, di quel mondo tormentato dalla fame, dalle malattie e dalla miseria, della pulizia etnica nonché delle guerre intestine che si ripetono incessantemente nel tempo, in questo nostro Tempo tecnologico e consumistico o in una conversazione con amici occasionali, oppure dopo una partita a carte nel solito bar del villaggio padano dove noi oggi viviamo, oppure una sera brumosa di questo uggioso inverno, oppure in un pomeriggio assolato, mentre ero seduto sulla neve di fronte alle cime maestose del Latemar, nel rifugio alpino di Gardoné del passo Feudè in Val di Fiemme e il sole si apprestava a tramontare , quando le ombre si allungano e diffondendo una invadente melanconia, o invece mentre ero seduto davanti al caminetto dell'Hotel Alpen di Pejo, mentre stavo leggendo il libro Novecento di Indro Montanelli, che ha fatto emergere dal profondo del mio animo ricordi, reminiscenze, nostalgie, giorni tristi e bui del nostro passato prossimo o ancora ascoltando un telegiornale della sera che diffondeva notizie agghiaccianti sulla micron criminalità, sulle rapine e sullo stupro delle giovane donne o sul dramma dei kosovari, degli albanesi o dei curdi o in uno di quegli attimi in cui tornano come un baleno domande che non hanno risposte e ciononostante giacciono in qualche angolo della nostra psiche.
La cosa di cui mi ero accorto, che si palesava con insolita e inspiegabile prepotenza, aveva a che vedere con lo scorrere del tempo, di questo nostro Tempo telematico, tecnologico dei computer, dell'Internet , il tempo dei sognatori dei paradisi esotici e dei paradisi artificiali, ma anche e soprattutto, quell'esercito notturno che ogni notte affronta il mare grosso, impetuoso, violento, aggressivo per raggiungere la terra promessa, per raggiungere quell'isola felice che non c'è, per trovare quel benessere che i loro paesi d'origine non sono in grado di offrirgli, ma loro questo non lo sanno. Ma assieme a questi bambini innocenti e infreddoliti, sbarcano anche i delinquenti più incalliti, i trafficanti di droga e di morte, portando con loro giovani ragazze illibate, prive di colpe e che la loro colpa è quella di essere carine, per poi finire sui marciapiedi delle nostre città, schiavizzandole per poi farle prostituire, mentre questa massa umana in continuo movimento ha soltanto bisogno di un po di pace, di un lavoro onesto, di tranquillità, di serenità, lontani dalla guerra e dagli eccidi. Ma tutto questo loro non lo sanno.
Joseph Conrad, incomincia così il suo libro, "La linea d'ombra":
"Solo i giovani hanno di questi momenti. Non parlo dei giovanissimi. No. I giovanissimi, per essere esatti, non hanno momenti. E' privilegio della prima gioventù di vivere in anticipo sui propri giorni, in tutta una bella continuità di speranze che non conosce pause né introspezioni.
Uno chiude dietro di sé il piccolo cancello della mera fanciullezza ed entra in un giardino incantato. Là perfino le ombre splendono di promesse. Ogni volta del sentiero ha una sua seduzione. E non perché sia una terra ignota. Sa bene che tutta l'umanità ha percorso quella strada. Ma si è attratti dall'incanto dell'esperienza universale da cui ci si attende di trovare una sensazione singolare o personale: un po di se stessi.
Si va avanti, allegri e frementi, riconoscendo le orme di chi ci ha preceduto, accogliendo il bene e il male insieme - le rose e le spine, come si dice - la variopinta sorte comune che offre tante possibilità a chi la merita o, forse, a chi ha fortuna. Sì, uno va avanti. E il tempo pure va avanti, finché ci si scopre di fronte una linea d'ombra che ci avverte di dover lasciare alle spalle anche la ragione della prima gioventù.
Questo è il periodo della vita che può portare i momenti ai quali ho accennato. Quali momenti? Momenti di tedio, di stanchezza, di scontento. Momenti d'irriflessione" I momenti dei sogni, dei sogni fugaci di felicità.
Nel nostro passato prossimo, come hanno fatto i nostri avi prima di noi, i nostri padri, i nostri fratelli, abbiamo "chiuso dietro di noi il piccolo cancello della mera fanciullezza", per entrare in quel giardino incantato della vita alla ricerca dell'isola felice, di quell'isola che esiste soltanto nei nostri sogni, nei nostri pensieri, nei nostri proponimenti, nei nostri progetti per una vita migliore. Ma siamo stati attratti dall'incanto dell'esperienza universale da cui ci attendevamo di trovare una sensazione singolare o personale: " un po di noi stessi". Abbiamo trovato - le rose e le spine - le gioie e i dolori, le soddisfazioni, l'appagamento dei nostri desideri e la gioia di vivere in un mondo diverso.
Noi abbiamo percorso il nostro meraviglioso Paese in lungo e in largo, cogliendo ogni aspetto, rivivendone lo spirito in ogni luogo, anche nel più sperduto paesello isolato fra le nostre meravigliose montagne, nella più angusta e quasi dimenticata valle brumosa della grande pianura Padana, guastandone fin dal più profondo la duplice bellezza, quella della natura e quella dello splendore delle creazioni del genio e della storia. Anche se non abbiamo trovato "l'isola felice che non c'è", abbiamo trovato noi stessi e la gioia di vivere.
Oggi è come allora, come nei momenti bui della nostra storia, quando i nostri padri sono stati costretti ad emigrare oltre l'Oceano, per trovare quella serenità che il nostro Paese gli aveva negato. Nel nuovo clima politico e sociale in cui si è venuto a trovare il "Bel Paese" la situazione si è capovolta . Da paese di emigranti è diventato terra di immigranti, terra di conquista da parte degli extra comunitari. Questo fenomeno, che per la sua importanza è diventato oggetto di particolare considerazione, osservazione e studio da parte delle autorità politiche.
Le ragioni per cui queste popolazioni, che si sono riversate disordinatamente sulle coste del nostro Paese, sono dovute in maggior parte ai Mass media e alla TV, che con i fastosi programmi televisivi hanno propinato un sacco di frottole e nello stesso tempo un mondo fantastico, prospettandogli un mondo diverso e forse anche "l'isola felice che non c'è."
Mi sono più volte chiesto, ma che cos'è la felicità? esiste la felicità? che tutti andiamo cercando nell'isola felice dei nostri sogni? Si, perché noi italiani siamo un po' tutti sognatori, pragmatici e positivi, come pure recita una canzone di Peppino di Capri: .... ...Sono un sognatore....
La felicità, parola tanto rara che è difficile tradurla. Ma il prof. Alberoni, ci ha dato una mano. " La parola felicità indica uno stato straordinario di gioia, una pianezza eccezionale di vita. Una condizione di grazia che non può durare per sempre, ma che è per sua natura labile. La parola felicità è molto italiana, e trae in inganno. In inglese esiste happiness, che però vuol dire gioia, contentezza. Uno, perciò non può affermare che è contento della sua vita, che ne è soddisfatto, che non vorrebbe cambiarla con un'altra. I francesi hanno bonheur, che noi traduciamo con benessere. E il benessere, a maggior ragione, può essere un modo di essere abituale, uno stato permanente. Quando gli illuministi dicevano che è compito dello Stato aumentare la felicità dei cittadini, si riferivano al bonheur, al benessere. Noi italiani l'abbiamo tradotto con "felicità", ma abbiamo sbagliato.
Il nostro nella vita è un lungo viaggio alla ricerca e alla scoperta di un sogno e soprattutto di noi stessi, "finché ci si scorge di fronte una linea d'ombra che ci avverte di dover lasciare alle spalle anche la ragione della prima gioventù " Ma la grande metafora della vita è un viaggio indimenticabile, un viaggio dove il reale e l'onirico, la realtà e la fantasia si fondono in ogni momento e dove l'una è il falso riflesso dell'altra. Un viaggio avvolte assurdo e nello stesso tempo logico, avventuroso e ricco di colpi di scena, vero e immaginario, perché la felicità non è altro che un sogno fugace, di breve durata, effimero, fuggevole, transitorio e passeggero.
E' anche vero che uno stato continuo e ininterrotto di felicità annullerebbe il tempo. E, infatti la teologia lo colloca dopo la morte, oltre il tempo, come beatitudine. Essa è comunque una esperienza di cui non si può dire nulla, per cui alcuni mistici l'hanno paragonata addirittura al vuoto, al niente, come il nirvana buddista.
- Tratto dall'omonimo libro: "L'isola felice che non c'è" -    

Zone d'ombra
Dentro in ognuno di noi esiste un'enorme zona d'ombra - ha scritto Javier Marias - in cui solo la letteratura, la poesia e le arti in genere possono penetrare; di certo, come disse il suo maestro Juan Benet, non per illuminarla o rischiararla, ma per percepire l'immensità e la complessità: é come accendere una debole fiammella che per lo meno ci consenta di vedere che quella zona é lì di non dimenticarlo". Oh, si, quanto sono appropriati queste note di canti, cantati nel nulla, note di luna guardate e perdute; note di appunti!
Claudio Magris, rileggendo e spiegando i classici, in un suo articolo ha così scritto: " La vita é insieme a questa fonda oscurità e questa luce fioca ma tenace. Le filosofie, le religioni, le articolate visioni del mondo devono responsabilmente scegliere tra queste due verità, pur facendo i conti con entrambe; devono dire se prevale la luce o la tenebra, se l'esistenza é illuminata da un significato o se é un precipitare nell'abisso. La letteratura non ha doveri di coerenza ideologica, non ha messaggi da proporre ne sistemi filosofici e morali da enunciare; può e deve rappresentare la contraddittoria esperienza del tutto e del nulla della vita, del suo valore e della sua assurdità. Per questo lo scrittore più grande é spesso quello che non sembra avere una filosofia forse nemmeno una personalità precisa; come Shakespeare, é un nessuno che parla per tutti, dando voce alla disperazione come alla felicità.
Hoffmann, il geniale e febbrile scrittore romantico tedesco che brucia la sua vita e crea la sua opera in un brevissimo arco di anni, é il poeta di quell'enorme zona d'ombra e insieme di quella fiamma che permette di accorgersi del buio.
Nato a Kònigsberg, nella Prussia orientale, nel 1776, e morto di labe dorsale nel 1822, contemporaneo di eventi che trasformano violentemente il mondo come la Rivoluzione francese e le guerre napoleoniche e della straordinaria fioritura letteraria, filosofica, musicale della Germania classica e romantica, Hoffmann consuma vertiginosamente la sua esistenza tra il lavoro di magistrato prussiano in varie città tedesche e polacche, gli amori tumultuosi, la passione per la musica e il teatro che lo induce a farsi critico, capocomico e autore di opere musicali, lo studio disordinato ma profondo delle nuove " scienze dell'anima" che si addentravano nell'inconscio, l'uso e l'abuso di alcol e vari eccitanti, la malattia che lo divora con dolori insopportabili e la stesura di una vasta, proliferante opera narrativa composta con inesausta creatività in pochi anni. Lo scrittore lascia numerosi romanzi e novelle, uno dei grandi corpi narrativi dell'Ottocento già proteso verso le inquietudini più torbide e sconvolgenti dell'età contemporanea. Non ha caso Hoffmann sarà tanto amato da Baudelaire, influenzerà Gogole Destoevkij, sarà letto interpretato da Freud come una chiave di volta per capire la dinamica dell'inconscio e il fenomeno del " perturbante".
Lasciamo gli scrittori classici e veniamo a quelli del nostro tempo, con il grande scrittore americano James A. Mischener, uno scrittore del Novecento in evoluzione, per raccontare la guerra nel Pacifico, ha incominciato il suo libro: " Il Mondo è la mia casa", raccontando una pagina della sua vita con la fuga della natia Pennsylvania per la terra promessa, la Florida, da allora James Mischener non ha mai smesso di viaggiare; per mare, nelle acque dell'oceano Pacifico, lungo le rotte dei corsari e degli eroi alla Melville, nelle isole della Polinesia o nelle lande sperdute della Scozia e della Polonia, alla ricerca di luoghi inesplorati e selvaggi, annotando ossessivamente su di un vecchio taccuino le proprie impressioni sui luoghi e le persone che ha conosciuto.
Noi, sicuramente non siamo il grande scrittore James A. Michener, ma un figlio della bellissima Old Calabria, che fu costretto a lasciare il paese natio per esplorare e conoscere più a fondo il nostro meraviglioso Paese. Come ha scritto Joseph Conrad: "Si va avanti, allegri e frementi, riconoscendo le orme di chi ci ha preceduto, accogliendo il bene e il male insieme - le rose e le spine, come si dice - la variopinta sorte comune che offre tante possibilità a chi la merita o, forse, a chi ha fortuna. Si, uno va avanti. E il tempo pure va avanti, finché si accorge di fronte una linea d'ombra che ci avverte di dover lasciare alle spalle anche la ragione della prima gioventù". Quell'enorme zona d'ombra in cui solo la letteratura, la poesia , le arti e la filosofia in genere possono penetrare, non per illuminarla o rischiararla, ma per percepirne l'immensità e la complessità: é come accendere una debole fiammella che perlomeno ci consente di vedere che quella zona d'ombra è lì e di non dimenticarlo". Io, come migliaia di miei coetanei ho percorso quella strada, e posso dire, che mi ha portato fortuna, e sotto le grandi ali dell'aquila- "Benemerita", che a ragione gli é stato attribuito questo l'appellativo , ho fatto una bellissima e lunga carriera che ha coronato il sogno di quel fanciullo, proveniente da quello sperduto villaggio di Cosoleto, che sorge alle pendici dell'Aspromonte.
Quello che mi ha maggiormente stimolato a seguire quel sentiero che tutti avevano percorso prima di me. Come era già accaduto tante volte nella vita. Nei versi del divino Dante, trovai una traccia, sia mentale sia emotiva, come pure nei Vangeli, ma soprattutto nel XXVI Canto dell'Inferno, dove il poeta incontra Ulisse. Quello che maggiormente mi avevano colpito erano i versi di quello splendido canto:
" Considerate la vostra semenza:
Fatti non foste a viver come bruti,
Ma per seguir virtute e conoscenza".
Come erano appropriate quelle parole! Tali e tanti era gli argomenti di cui volevo scrivere che si poteva meritatamente definire fertile anche la mia mente. L'Arma Benemerita, mi ha dato la possibilità di esplorare gli angoli più belli del nostro Paese, e non solo di esso. Abbiamo esplorato alcuni Paesi della Vecchia Europa, spingendoci fino all'oceano Atlantico, visitando anche le coste del Pacifico con la Città di San Francisco, il deserto del Colorado, il Grand Canyon, la Monyment Vally, la città sfolgorante di luci di Las Vegas. Quella sfida così sentita, quella determinazione a "presentare il mio conto fedele" sono riuscito a definire lo scopo dei miei scritti in modo così radicato da farlo diventare lo scopo permanente della mia vita. Oggi, che vivo la vita dell'anziano pensionato , non faccio altro che rievocare gli anni più belli, gli anni della fanciullezza. Aveva ragione lo scrittore Enzo Biagi, quando scriveva: " Noi della Terza età, camminiamo su di un tappeto di foglie morte, dove é sepolta la storia del nostro Paese, i nostri ricordi, le nostre emozioni, le nostre passioni e i nostri amori".
- Tratto dal libro: "Cenni storici e il fascino del Bel Paese" -  

Siamo vecchi irrecuperabili o no?
In uno degli incontri trimestrali con il simpatico Dott. Pilade Zucchi, gli ho fatto appunto questa domanda: Con l'insorgere del "diabete" e dagli acciacchi del nostro tempo, siamo vecchi irrecuperabili o no? Nel rispondere alla mia domanda, egli così si é espresso : " Non é affatto così. Bisogna osservare certe regole alimentari, fare del moto e stare sereni e tranquilli. Per quanto riguarda il " diabete", é sufficiente una volta alla settimana un piccolo esame del sangue per stabilire il livello glicemico. Per quanto riguarda lo stress ossidativo delle nostre cellule e dire se si stanno deteriorando o no, basta un altro esame del sangue".
Si, é vero, ognuno di noi, al di là dell'età anagrafica, ha la sua età biologica che é strettamente legata al livello di stress ossidativo delle cellule. Ed é proprio questo orologio biologico a indicarci se i processi di invecchiamento dell'organismo vanno di pari passo con la nostra data di nascita, o se invece é il caso di adottare delle contromisure. Oggi abbiamo la possibilità di fare un vero e proprio test anti - invecchiamento .
" Questo esame, che permette di fare passi da gigante nella prevenzione, é in grado di rivelare con precisione l'età delle nostre cellule. Con il prelievo di un centimetro cubo di sangue venoso é possibile sapere se il nostro sistema cellulare é messo in pericolo dall'attacco dei radicali liberi, oppure se le difese naturali sono sufficienti". Così spiega Emilio Mortilla, chimico farmaceutico e coordinatore scientifico del congresso internazionale sull'invecchiamento precoce che si é tenuto a Salsomaggiore Terme. "Grazie a uno strumento chiamato cromotografo é possibile, infatti, misurare la concentrazione del perossido di idrogeno, una sostanza che viene prodotta in grande quantità quando l'organismo non é più in grado di neutralizzare i radicali liberi attraverso l'enzima glutatione ossidasi".
Le prime cellule danneggiate da questo tipo di stress sono quelle del cervello, in quanto ricche di grassi e quindi facilmente ossidabili.
" Ecco perché la prevenzione e fondamentale per ritardare problemi degenerativi come la demenza senile e l'Alzheimer, che oggi colpiscono il 7% dei 65 enne - spiega ancora Mortilla.
Come mettere in salvo la memoria?
A noi della Terza età, interessa moltissimo di mantenere salda e lucida la nostra memoria, che é la cosa di vitale importanza. Una ricerca effettuata all'università di Modena ha dimostrato che uno dei maggiori fattori di stress della memoria é l'overdose" di informazioni che ogni giorno arrivano al nostro cervello attraverso i media, in particolare la televisione e internet. Un vero e proprio 'bombardamento' che può causare gravi problemi di memoria col passare degli anni.
E' necessario pertanto modificare il nostro stile di vita mnemonico: bisogna abituarsi a selezionare le informazioni memorizzando soltanto quelle indispensabili.

Lo stress: nemico della memoria.
Diversi anni fa, parlando con il mio amico Dott. Roberto Raimondi, sullo stress della memoria, egli così si é espresso: " Ai primi sintomi di stress, come ad esempio disturbi di memoria ( che spesso rappresentano un campanello d'allarme), si deve correre subito ai ripari. Come? La prima cosa é modificare le proprie abitudini di vita, cercando più occasioni possibili per rilassarsi e ritornare a una condizione di equilibrio.
Eliminare tassativamente: alcol, fumo, pillole anticoncezionali e disordini alimentari che possono causare un invecchiamento precoce delle cellule. Sotto accusa anche additivi chimici e pesticidi.
Un buon bicchiere al giorno di vino rosso, invece, può aiutarci a combattere i radicali liberi, perché ricco di fenoli antiossidanti. Quindi, é necessario ritornare indietro nel tempo, quando l'alimentazione era sana e genuina e si conduceva un tenore di vita meno disordinato. Allora non si sapeva neppure che cosa fosse lo stress, il diabete, l'infarto , la demenza senile e l'Alzheimer, perché non c'era tempo per pensare a tutte queste malattie, che affliggono l'uomo da sempre.
Prima di ritornando a parlare del vino, dobbiamo dire che questa bevanda e vecchia come il mondo. Nella mitologia greca apprendiamo che Dionisio, figlio di Zeus e di Semèle, dio del vino; insegnò agli uomini la coltivazione della vite. Amò Arianna abbandonata da Teseo a Nasso. Il suo mito fu contaminato da elementi mistici e filosofici stranieri. Nella religione dei misteri gli si attribuiva l'arte della divinazione e delle guarigioni. Le sue feste erano celebrate con riti orgiastici. A questo punto ci domandiamo, ma chi introdusse il primo tralcio di vite nell'Italia del Sud? Plinio il vecchio, ci dice che il primo tralcio di vite o talea fu introdotta dai Greci in Sicilia quando fondarono la Magma Grecia, moltissimi secoli fa, e precisamente ottomila anni fa, seimila anni prima della venuta di Cristo sulla terra, e nei secoli successivi i Romani, incominciarono a coltivare questa pianta a Pompei e negli altri paesi che man mano andavano conquistando. Quindi, possiamo benissimo affermare che l'uomo ha da sempre fatto uso di questa bevanda - alimento, che bevuta in modesta quantità é medicamentosa. Infatti, i nostri bravi dottori alimentaristi, ne consigliano un buon bicchiere di vino rosso al giorno, che come dice il proverbio, toglie il medico di torno, ma soprattutto pulisce e dilata le arterie.
L'Amicizia.
Oggi il mondo é cambiato, eppure l'uomo é cambiato. La scienza ha fatto passi da gigante e l'età media si é pure allungata, ma l'uomo é rimasto isolato e senza amicizia. Oh si, l'amicizia, mi dimenticavo di questa parola bellissima, che vuol dire tante cose e che oggi sembra poco di moda, perché non si conosce il suo vero significato intrinseco, interiore, intimo, che vuol dire benevolenza, fratellanza, affezione familiare, intimità e simpatia. Il segreto di un'esistenza felice sarebbe proprio questo: sapere identificare al momento giusto le persone e i sentimenti profondi per istituire la vera amicizia. Si direbbe un traguardo elementare, se non fosse che a quella che possiamo definire " la voce della coscienza", che dovrebbe guidarci senza sbagliare la rotta, si oppongono giorno dopo giorno centinaia di altri richiami.
E il passar del tempo anziché placarsi spalanca nuovi e inquietanti interrogativi.
Come uscire allora da questo vicolo cieco? Simile and un treno in corsa che attraversa fasci di binari, la voce dei desideri apre e chiude gli scambi, si entusiasma e si deprime, incapace di scegliere il binario giusto. Ma chi sarà il vero macchinista del treno? Noi naturalmente, si, siamo noi stessi, con le nostre gioie e anche con le nostre debolezze.
Noi della Terza età, non abbiamo ancora finito il nostro lungo viaggio su quel treno della vita. Di là della facciata moderna trapelano ancora - scendendo lungo i sentieri dei nostri ricordi, del nostro passato prossimo, le strutture antiche dei nostri sentimenti, l'affetto, la passione, il moto dell'animo e del cuore. Dentro di noi non é tutto finito, c'è ancora un mondo fertile di sensazioni, di speranze e anche, lasciatemelo dire, d'illusioni. Per descrivere tutto questo ci vorrebbe la prosa semplice, chiara di un vero scrittore o di un vero poeta che riflette una osservazione diretta della realtà della vita di ogni giorno e la compone in una lirica, in una poesia, che fa risaltare i nostri sentimenti, il nostro affetto e la delicatezza dell'animo, dell'amore, della felicità e del cuore.
Si, abbiamo veramente bisogno di conoscere persone nuove, con le quali intrattenerci, discutere, scambiarci delle informazioni, camminare insieme sui meravigliosi sentieri delle meravigliose vallate del Trentino - Alto Adige, da dove si possono ammirare le cime superbe e bellissime dell'Appennino e delle Dolomiti. Per non cadere nella depressione, oltre all'escursionismo, bisognerebbe coltivare i mestieri e le arti creative e intellettuali: come dipingere, scrivere e leggere un buon libro.
Il giornalista - scrittore - Romano Battaglia, che era caduto in una grande depressione, parlando della montagna, nel suo libro " Il fiume ella vita". così scrive: " Ogni tanto mi fermavo ad ammirare la pianura e più giù il mare immenso; lontane, velate, scorgevo anche le isole: Tutto quel mondo silenzioso e disabitato aveva l'apparenza di un sogno. A tratti una voce pareva ripetermi le parole di Khalil Gibran:
"Forse hai sentito parlare della montagna
Benedetta. Qualora tu ne raggiungessi
Mai la cima, proverai un solo desiderio:
Scendere e ritrovarti con chi abita a valle.
Ecco perché si chiama la montagna benedetta.
Avevo intrapreso quel viaggio che desideravo da tempo al fine di cercare una spiegazione all'inquietudine, all'angoscia della mia esistenza.
Forse non ho mai saputo che cosa sia la felicità; tante volte ho perduto il treno della serenità per cercare altri lidi lontani, e perdermi nel nulla".
Perché non facciamo la stessa cosa anche noi? Bisognerebbe soltanto provarci, soltanto allora la vita ci sembrerebbe più bella. " La poesia offre pensieri durevoli all'incertezza del vivere. Le opere pittoriche sono punti fermi di un arcipelago più inventato che vissuto, qualcosa che é sempre capace di far ricavare, da frammenti di creatività, situazioni precise e piene di particolari, rabdomanti del sogno sanno trasformarsi in strateghi della poesia per unire le loro vicende in un'unica storia".
- Tratto dal libro: "Cenni storici e il fascino del Bel Paese" -   

La gita sul motoveliero
Negli ultimo giorni abbiamo riscoperto le gite sul mare con il motoveliero. Non era la prima volta che salivamo su quel tipo d'imbarcazione, ma in passato ci siamo stati diverse volte. Quest'anno, a causa della temperatura troppo esagerata, senti la necessità di evadere dal solito ombrellone e allora si cerca un luogo più aerato, dove puoi respirare a pieni polmoni un po' d'ossigeno puro. Per leggere il tuo libro preferito c'è sempre tempo. Davanti al nostro bagno, puntualmente ogni ora, parte il motoveliero Moby Dik, per la sua consueta gita turistica.
Ho suggerito ad Adriana mia moglie, una gita su quel veliero che stava per iniziare la sua escursione lungo la costa marchigiana. Detto e fatto, in ben che si dica eravamo a bordo del veliero. In poco tempo l'imbarcazione aveva raggiunto il numero stabilito degli escursionisti e poi subito dopo é salpato verso il mare aperto per poi deviare verso Gabicce Mare e la costa marchigiana. Sono bastati pochi minuti di navigazione, per sentire sul volto i balsamici effluvi della brezza marina. Adriana guardava spesso il mare, che era lì, grande, meraviglioso. Tante volte da ragazzo, osservando il mare, mi sono interrogato sul suo destino, sul suo mistero. Una volta cercai di scrivere una poesia.
Il mare spesso parla con parole lontane,
Dice cose che nessuno sa.
Soltanto quelli che conoscono l'amore
Possono apprendere
La lezione delle onde, che hanno
Il movimento del cuore.
Il veliero scivolava dolcemente su quel mare che era una tavola, mentre un leggero venticello spirava da ovest e produceva una serie di piccole onde. La radio di bordo diffondeva musica e canzoni bellissime, che per un momento ti facevano dimenticare l'assolata spiaggia. Insomma, viaggiare per mare é una cosa meravigliosa, una sensazione particolare e molto piacevole. A fianco a noi c'era una coppia di simpatici e estroversi romani, con quella loro caratteristica parlata inconfondibile, che ci faceva ricordare Aldo Fabrizi ed Alberto Sordi.
Navigando anche per breve tempo, si assapora il piacere della vacanza, che é diventato un rito che si ripete ogni anno. Oh, si, la vacanza! Non é raro leggere all'ingresso di qualche convento la scritta " O beata solitudo o sola beatitudo". L'espressione é attribuita a San Bernardo, che riconosceva all'essere eremiti la perfezione ascetica e la conquista della pace interiore. La solitudine, secondo il giornalista Angelo Sferruzza, infatti, consente forme diverse e superiori di comunicazione. Già il filosofo greco Plotino, rinvigorendo il platonismo, affermava che il saggio trova dentro di sé tutte le cose e così la coscienza si sviluppa, vive e trova il proprio piacere. Ma Plotinio visse dal 203 al 270 (d.. C) ! Non é facile ricordare ai milioni di automobilisti in fila verso il mare o verso i monti queste semplici verità, perché per molti di loro la solitudine é già la condizione del quotidiano, é la sofferenza di vivere nelle grandi città, fra sconosciuti, compreso quello della porta accanto, nel posto di lavoro. Allora via, a tuffarci nei rumori delle spiagge, delle discoteche, delle pizzerie strapiene e altro ancora. Chiudere casa e sperare di dimenticare almeno per quindici giorni i grigiori dell'inverno, la paura della cassa integrazione, le rate da pagare, la suocera e via dicendo. Cose note a tutti, ma che non fanno cronaca, non "vanno" in Tv; non si é mai visto un telegiornale che dà notizia del canotto bucato di Giorgino o Francesca o Piero nella spiaggia di Gatteo Mare, ma quel yach di qualcuno a Portofino o Capri si, quello si. Eppure il dolore di Giorgino e Francesca o Piero é più vero di quello vacuo pavoneggiarsi del proprietario della barca importante. Quel qualcuno dirà non a torto, che il mondo va così e che quindi ognuno cerchi di trarre il meglio da ciò che ha". Noi non abbiamo nessun tipo di barca, ma ci accontentiamo di effettuare delle piccole escursioni sul mare a bordo del motoveliero, che si chiama Mob Dik, che tutti i giorni fa la spola tra Cattolica e la costa marchigiana.
"Ma.... C'è sempre un "ma" in questo mondo complicato in cui viviamo. Prima di tutto non é facile scordarsi di tutto, o meglio, liberarsi dalle incrostazioni dei nostri problemi che come ruggine veneziana, che in compenso ha colori splendidi, che si possono ritrovare nei quadri del Tintoretto e Tiziano, come fa notare in uno straordinario libro sulla città lagunare lo scrittore croato e italiano Pedrag Matvejevic, corrode lentamente e penetra in profondità.
Non ci si scrolla facilmente dagli avvenimenti recenti, delle guerre, degli attentati, dalla subdola e micidiale Sars o la devastante guerra in Iraq (anche che l'OMS, come pure le corrispondenze dei giornalisti da quel martoriato Paese, afferma che é tutto sotto controllo), della fame nel mondo, dei drammi di coloro che cercano di raggiungere le nostre coste alla ricerca di un mondo migliore, (come fecero i nostri padri nei primi del 900, quando gli albanesi eravamo noi) dalle insidie di tutti i giorni: la lista non finirebbe mai. Accertato che non si può partire mondi dai fatti del passato più recente, nella valigia, per gli snob sacca, bisogna infilare qualcosa di positivo. Va bene anche se un po' scontato un libro, ma quale? I classici? Una barba. I romanzi? Tutti uguali. Noi abbiamo portato due libri: il primo di Umberto Eco "Baudolino", perché ci racconta e ricorda la storia bella città di Alessandria, che ci ha ospitati per diversi anni, e poi, lì, ho conosciuto Adriana mia moglie. Il secondo libro, é un libro che racconta le " Storie del Po", del grande fiume che scorre alle porte del borgo medioevale di Campitello, dove noi viviamo ed operiamo. Angelo Sferruzza, ci consiglia di non metterci nulla nella valigia. " Solo l'impegno di far funzionare il cervello. Di stimolarlo con ciò ci troveremo di diverso, nel luogo dove andiamo, di guardare in faccia la gente, ascoltare i loro discorsi. Fortunati coloro che tornano al paese d'origine: doppiamente fortunati se ritroveranno il sapore della gioventù. Cosa di cui fortemente si deve dubitare: la massificazione ha raggiunto anche la cima delle montagne.
" Ma un consiglio, uno solo, si può dare. Ciascuno faccia quel che vuole. Si prenda una vacanza dagli " obblighi" che la società d'oggi impone nelle maniere più diverse e astute. Metta nella valigia o sacca un mucchietto di speranze, anche poche. Le coltivi e se ha la fortuna di stare in un posto dove, assente l'inquinamento luminoso, si possono vedere le stelle, le affidi ad una di esse, magari alla propria, perché come affermano gli astro fisici, persone serissime, mentre ciascuno di noi nasceva partiva la luce da una di esse". Noi siamo come le tartarughe, ritorniamo sempre verso il mare che ci ha creato. Si, perché noi, come affermano gli antropologici, veniamo dal nulla, e sicuramente veniamo dal mare. Tante volte da ragazzo, osservando l'immensità del cielo stellato, alla ricerca della mia stella, una stella molto brillante che subito dopo il tramonto del sole e le prime ombre della notte, l'ho osservata spesso in perpendicolare sul grande mare della vita. Ecco perché, tutti gli anni di questi tempi, vengo ad incontrare il mare, "perché il mare spesso parla con parole lontane, dice cose che nessuno sa. Soltanto quelli che conoscono la sua bellezza e la sua immensità possono apprendere la lezione delle onde, che hanno il movimento del cuore".
- Tratto dal libro: "Cenni storici e il fascino del Bel Paese" -  

Mucillagine: il mostro dell'Adriatico
Siamo in vena di rievocazioni dei " Bei tempi.." una frase ripetuta spesso, molte volte mentre torniamo con la mente al nostro passato prossimo, riviviamo alcuni periodi delle nostre spensierate vacanze marine nella bellissima Cattolica: la Regina dell'Adriatico . Così succede che molti decidono di tornare indietro, almeno con il ricordo, cercando disperatamente i vecchi amici vacanzieri persino su Internet, dove ci sono molti siti che promettono di riunire amici vicini e lontani. Tutto questo potrebbe succedere per cercare compagni di studio, ma è difficile trovare persone della nostra età. Spesso però, quando non te la spetti, passeggiando sul lungomare, seduti su di una di quelle panchine di incontrare dei vecchi conoscenti che vengono a trascorrere un breve periodo di riposo su queste meravigliose spiagge. In quelle occasioni, si rievocano persino il tempo delle mucillagine. A questo proposito, é doveroso menzionare le ricerche storiche del giornalista Pierangelo Sapegno, che ha scritto un bell'articolo sulla Stampa, martedì 8 luglio c.a. rievocando l'emergenza mucillagine sulla Riviera Romagnola.
Quell'anno noi eravamo a Cattolica ( come del resto succede da oltre 22 anni) e non faceva molto caldo come quest'anno. Si vedeva che il mondo stava cambiando, ma " c'era chi si innamorava come sempre, guardando il mare. Qualcuno é rimasto come allora, qualcuno no. Vasco Rossi, che calca ancora oggi gli stadi con i suoi concerti, cantava Liberi liberi. Era il 1989, e arrivarono le mucillagini, quell'anno, e tramortirono le vacanze. Facevano ancora le gare dei play boy in Romagna. Ma i giornali tedeschi e quelli inglesi dicevano che c'era " la peste del mare". Sembrava la fine di Rimini, Riccione e Cattolica e Gabicce Mare. Hanno costruito tante piscine negli alberghi, perché credevano che il mare morisse. Tanto tempo dopo, l'Adriatico c'è ancora, si, c'è ancora, é davanti ai nostri occhi. Questa sera, mentre siamo seduti sulla solita panchina, stiamo ammirando il meraviglioso tramonto, un tramonto così bello si può ammirare soltanto sulla Laguna di Venezia.
I tedeschi e gli inglesi, non hanno mai cessato di venire a Cattolica. Nel nostro albergo And Sea, li vediamo tutti gli anni e ormai siamo diventati anche amici. E i playboy non mollano.
La storia delle mucillagini incominciò piano piano, come se fossimo convinti che non fosse niente, solo un'influenza. A giugno, in fondo, il mare era placido. Aveva macchie grigie che il vento muoveva, ma respirava ancora. Il sindaco di Cattolica, come pure quello di Riccione incontravano gli albergatori: " Ecco che cosa chiediamo a Roma". I giornali parlavano d'altro. Era cominciato il processo a Gigliola Guerinoni, a Savona. La chiamavano " la mantide". In tribunale sfilavano uomini improbabili abbagliati dal sesso. Alla Tv, Teheran sembrava come una burrasca. Milioni di facce che s'agitavano, piangevano, urlavano. Era morto l'imam Khomeini. Forse finiva la rivoluzione. Nella scatola nera facevano vedere immagini che rapivano gli occhi, una folla immensa che copriva le strade di Teheran. Era il 6 giugno. Alla fine del mese, quando io ed Adriana mia moglie, siamo giunti a Cattolica, il mare non era più bello come prima. Tutte le mattine, aiutavamo i bagnini a pulire il bagnasciuga della nostra spiaggia. In quei giorni si votava alle europee. La DC. Prese il 33 per cento, il PC. Il 27,6. I giornali tedeschi scrissero per i primi: in Italia il mare ha la peste. Allora, lo scoprirono tutti. A guardarlo dalla riva, pareva un nemico invisibile, nascosto sotto una tela marroncina e una orribile bava. Le onde lunghe lasciavano pesci morti sulla spiaggia. Quando si faceva per uscire, il pedalò scivolava su una lanugine attraversata dal sole. Dietro, restava una schiuma iridescente . Era una carezza lasciva, untuosa, che prima sfiorava e poi avvolgeva, come la mano di un mostruoso seduttore. Faceva un gran caldo Rifa vinceva il Festival - bar, Cantava Ti pretendo.
Il bagno lo facevamo oltre i moli che delimitano la spiaggia, ma quando uscivi dal mare, eri costretto a camminare su quella melma lattiginosa e scivolosa che ti dava un certo disturbo persino allo stomaco.
I turisti scappavano. Era una tragedia. Piangevano anche i play boy. Facevano assemblee, incontri, dibattiti, insultavano i giornalisti: " E' tutta colpa vostra". S'inventarono di tutto per combattere il mostro che divorava il mare. Fra Cattolica e Ravenna gettarono oltre duemila metri di "salsicciotti galleggianti", come li chiamavano i bagnini. Costavano 300 milioni al chilometro. Li posavano i tecnici della Marina. Quelli della protezione civile cercavano una macchina " mangia - mucillagini" Le prime prove naufragarono tutte miseramente. A Ravenna una pompa espiratrice si spense dopo 5 minuti: i filtri erano già intasati. A Rimini la macchina tratteneva solo le alghe: la mucillagine é liquida e scappa tutta. Non importa. Le idee venivano fuori come quelle alghe che soffocavano l'Adriatico, spuntavano dappertutto, incredibili. Niente fermava la fantasia dei romagnoli. Qualcuno studiò di centrifugare la massa gelatinosa. A Fano, il professor Corrado Piccinetti, direttore del laboratorio di biologia marina, radunò i giornalisti e mostrò il suo metodo: arare le acque per aumentare l'ossigeno del mare. Cinquanta pescherecci si misero al lavoro: solcarono il mare per sei chilometri. Tornavano a riva, e dopo un'ora ripartivano. Risultato? " Non tanto bene" A Rimini inventarono il " muro d'aria": passarono dei tubi pneumatici sotto il pelo dell'acqua, e le bolle d'aria dovevano diventare una cerniera della quale non passava più nulla: neanche la mucillagine. A Bellaria e Cesenatico studiavano come costruire sul mare degli atolli smontabili. Un avvocato di Francoforte, Jou Lau, creò addirittura un pesce. Diceva che lo stava allevando e divorava le alghe. Si chiamava il "tilapia niloticus". Gli portarono cinque chili di mucillagini, tanto in Riviera ne trovavano che pioveva, senza problemi. Lui disse che i suoi pesci se l'erano mangiate tutte e stavano benissimo: Però, alla fine non funzionava niente e i pesci chissà che fine hanno fatto. Le mucillagini restavano e appestavano gli occhi, le vacanze, i bagni, tutto. L'unico metodo che resisteva era il più antico. Alla sera prelevavano più alghe che potevano e le caricavano sui camion. Così, si riempivano le discariche della costa: centinaia di tonnellate al giorno, montagne: Una Tv locale lanciò l'allarme: " le alghe copriranno anche la terra".
La fantasia non bastava. E le mucillagini non se ne andavano. Eutrofizzazione si chiamava quel fenomeno. Mentre a Roma De Mita rinunciava all'incarico e Andreotti presentava il suo sesto governo. Rimini tuonava contro lo Stato e gli chiedere aiuto. Aveva fatto i conti: persi il 30 , 40 dei turisti e duemila miliardi di lire solo nei primi giorni. Il resto dell'estate era un gran buco nero. La Camera approvò un decreto: stanziati 55 miliardi per gli interventi immediati e 1300 di spesa aggiuntiva. Era il 13 luglio. Aspettando i soldi, si continuava a litigare: una buona abitudine, così non si sbaglia mai. Era colpa di tutti, quella crisi. Era colpa del Po che scaricava nel mare i rifiuti di tutte le industrie della Padania. Era colpa delle metropoli che non avevano ancora i depuratori. Sono passati tanti anni e chissà se Milano se l'è fatto il suo. Era colpa dei detersivi, quelli che dicono di lavava più bianco del bianco:: "così noi stiamo nella merda più merda", ringhiavano a Rimini. Furono vietati quella pubblicità. Poi era colpa dei giornalisti: " Esagerate. Dovete stare zitti". Continuavano a parlare, e le alghe non sparivano. Era colpa della natura: l'eutrofizzazione é un fenomeno che ritorna ogni tanto, dicevano alcuni biologi, c'era già stato nel secolo scorso. Richard Wollenweider, dell'università McMaster di Hamilton, Canadà, invece diceva che era colpa dell'effetto serra. " Non é un problema vostro: Riguardava il mondo".
A Riccione avevano già un progetto: ventimila metri quadri di piscine sul lungomare. Ad agosto, a Villa Liberno dei lavoratori africani furono aggrediti nel sonno da persone incappucciate e armate. Morì un giovane di colore. Però, tutti avevano smesso di parlare delle mucillagini. Se uno andava a Rimini, c'erano ancora. Ma non interessavano più Sparirono nel silenzio. Il mare tornò come prima, senza bisogno di macchine, senza niente. E tutti dimenticarono. Il Po continua a versare rifiuti, i detersivi lavano sempre più bianco del bianco e l'Adriatico nessuno se lo cura. Quell'anno, cadeva il muro di Berlino. Si ribellò la Romania. L'estate dopo, la gente si innamorava di nuovo guardando il mare. Eros Ramazzotti cantava " Se bastasse una bella canzone...."
Noi che frequentiamo da circa 22 anni quelle spiagge, abbiamo visto tante altre volte le mucillagini sulla spiaggia, ma non ci abbiamo mai dato tanta importanza, perché abbiamo sempre capito che si trattava di un fatto naturale, prodotto appunto dalla natura. E' il troppo caldo che fa fiorire le alghe, il mare in tempesta le trita e quando arrivano sulla costa sono putrefatti, producendo appunto quella massa lattiginosa e puzzolente. Nella nostra lunga esperienza d'Ufficiali di P.G. Abbiamo associato a quel fenomeno delle mucillagini, i cadaveri che stanno molto tempi in acqua, essi subiscono un processo di putrefazione chiamato di "saponificazione", che sono peggio delle mucillagini decomposte.
Ricordo che un giorno, nella mia solita passeggiata lungo la spiaggia, camminando sulla battigia fra la melma delle mucillagini decomposte, e le piccole onde del mare, raccolsi un bocciolo di rosa, portato a riva dall'onda del mare. Era così fresco e bello, che arricchiva quella spiaggia desolata e melmosa. Continuai a camminare con il bocciolo fra le mani, e fu un momento bellissimo, che arricchiva ancor di più quel mattino con i mucchi di mucillagini in decomposizione sulla riva del mare.
Strada facendo, pensavo a quel bocciolo di rosa, con allo stelo legato un fiocco bianco, forse era un messaggio d'amore per una ignota innamorata? Chi lo sa ! Alla fine della mia passeggiata, che mi ha portato fino dove termina al molo, dove sorge il faro. Li le onde del mare , specialmente quando transitano le navi di diporto, assumono una certa forza ed é stato li dove l'ho lanciato fra le onde impetuose quel bocciolo di rosa, affinché raggiungesse la sua destinazione.
Anche oggi, guardando il mare, ci rammentiamo di quel lontano episodio. Esso però, come tutte le cose della vita, é rimasto soltanto un semplice ricordo. Lo scrittore Romano Battaglia, parlando del mare della vita, così scriveva: " Tutto é in noi con il suo mistero, come l'acqua. Ti sei mai chiesto che cosa é l'acqua, perché é trasparente e viva, e come mai scorre? E' un dono, come il sole e la luna, la notte e il giorno. E' il fluire dell'invisibile che sempre palpita attorno a noi, per farci coraggio".
Sono stato la tua luce. Ora la mia vita cambia, ma non finisce. Il mio piccolo movimento fra la riva e la sabbia si confonde con il grande mare e il mio canto si unisce al canto del creato.
" Dio é sceso dalla montagna con le mie acque, senza dimenticare un granello si sabbia né l'universo infinito. Il Suo palpito é nascosto in te ed Egli ti guarda in silenzio aspettando la tua certezza. Quando ne sarai convinto, le tempeste della vita e quelle della natura, come le mucillagini, non ti spaventeranno più: Egli sarà l'albero maestro della tua barca con le vele alzate verso il domani.
" Io sono quell'onda anomala e straripante d'amore che corre, corre verso l'eternità.
" Addio piccola onda che hai portato a riva quel piccolo fiore profumato, addio amico della mia infanzia, della mia fanciullezza, della mia maturità. E' l'ora del tramonto, anche il sole calerà oltre l'orizzonte e si confonde tra cielo e mare e tutto a poco a poco svanirà, come un sogno. "Addio, la piccola onda del grande mare ti dice addio".
"Una rosa dal mare"
"E' la rosa della nostra coscienza,
arrivata come le mucillagini dopo
lunghe battaglie con le onde ,
con le tempeste dal mare,
per raccontare del suo significato.
Con allo stelo legato,
Un fiocco bianco di bucato,
Galleggiando in un mare malato.
Una rosa dal mare é tutto quello
che noi siamo capaci di dare:
Il nostro coraggio, la nostra forza,
la nostra speranza, il nostro amore,
Con la speranza nel cuore "
- Tratto dal libro: "Cenni storici e il fascino del Bel Paese" -   

Alla scoperta di paesaggi fantastici.
Viaggiare sul mare, come stiamo facendo noi oggi, si scoprono paesaggi stupendi e fantastici. La prua del veliero taglia in due parti l'onda lunga del mare, mentre la poppa lascia dietro di sé una lunga striscia bianca e spumosa. I gabbiani volteggiano sopra di noi e qualche turista alza la mano con sopra del cibo, mentre il gabbiano plana dolcemente afferrandolo: ha una grazia indescrivibile, una tecnica tutta sua, senza che nessuna briciola vada perduta. Quella era un'operazione da equilibrista, ma gli uccelli, quando vogliono sanno essere dei veri giocolieri . Noi siamo seduti nella panchina di sinistra, e di fronte a noi vediamo sfilare il paesaggio panoramico della città, la lunga spiaggia con gli ombrelloni colorati. La città albergo di Cattolica, inizia dall'ex colonia della Marina Militare, fatta costruire nel 1936 dal regime fascista. Questa ex colonia si chiama "Le Navi", perché gli edifici disposti su quella zona, hanno la forma di tante navi alla fonda. Proprio lì, sorge il grande complesso dell'Acquario di Cattolica: un pianeta in evoluzione . Geopolis, una discesa fino a 3200 metri di profondità, un viaggio emozionante alla scoperta del pianeta. E' un film in 3 Dimensioni: " Oceano invisibile". Lo spettacolo della vita nelle profondità marine, l'emozione di un film unico al mondo. Dopo di aver assistito a questa spettacolare proiezione, si raggiunge il padiglione dell'Acquapolis, dagli abissi alla barriera corallina, luogo grandioso. Affascinante passeggiata sui fondali marini, per conoscere gli abitanti, vederli da vicino, toccarli. Per completare l'escursione dell'acquario, vi é il mondo degli squali. Forti, eleganti, misteriosi. Un'enorme vasca, il brivido di trovarsi a tu per tu con il sovrano degli abissi, che poi non é così feroce ed assassino come ce l'ha fatto vedere il cinema.
Una leggera brezza marina, fa gonfiare la grande vela colorata che ci sta portando verso Gabicce Mare. In questa occasione ho imparato dallo scorrere dell'acqua a fianco alla fiancata della barca che il tempo non ritorna, e con esso il passato. Tutto é sempre nuovo ai nostri occhi, anche se questo meraviglioso paesaggio ci é molto familiare; un paesaggio che ammiriamo da oltre 20 anni, ma é sempre lo stesso, non é cambiato nulla. Abbiamo detto che noi nasciamo dal nulla, non sappiamo da dove veniamo e perché esistiamo. Andiamo avanti come le onde del mare lungo la costa che qualcuno ha tracciato per noi.
Adesso sono qui, guidato dalla forza invisibile che governa il mondo, e domani sarò in un altro posto, lontano da questa dimensione divina.
I bagnanti, al di là del bagnasciuga, continuano a salutare con la mano. Facciamo altrettanto e il loro sorriso si fa sempre più luminoso. Di fronte noi, vi avevano preso posto due coniugi molto simpatici con un bambino di due anni circa. Il volto di quel bambino mi scavava dentro e rappresenta tutto ciò che ho avuto e il tempo che non ho sprecato in cose di poco conto. Non ho costruito gran ché, ma mi sono reso utile alla società da semplice tutore dell'ordine. Ho raggiunto tutto quello che mi sono prefisso: una famiglia, una posizione sociale, una lunga carriera nell'Arma Benemerita. Già Seneca nell'antichità aveva compreso la vera essenza dell'uomo e il suo mondo. Allora tutto era diverso, ma esisteva lo stesso il mare della vita lungo il quale poter navigare e camminare lungo le sue spiagge.
" La vita non é breve, diceva Seneca," la rendiamo noi breve, con la nostra incapacità di vedere lontano.
Faccio una pausa, distolgo la mia attenzione dal paesaggio verde e meraviglioso della costa, e resto ancora ad ammirare quel dolce volto che mi sorride e non distoglie gli occhi della mia "pipa", forse crede che quello é il mio succhiotto , come quello che ha lui in bocca . Saluto con la mano, gli faccio l'occhiolino e gli strappo un sorriso, mentre Adriana continua a fare i complimenti alla madre di quella dolce creatura, mentre lentamente nel riverbero dei riflessi del mare, vedo specchiarsi la collina di Gabicce Monte, che scende a picco sul mare. Il veliero fa una larga virata di novanta gradi, quasi di fronte ad un villaggio che non é altro che un grumo di case basse, un piccolo imbarcadero e un moderno albergo al vertice della collina. Si fa ritorno verso il luogo di partenza. Occorre una pausa di silenzio: il silenzio del mare, il gracchiare quasi sottovoce del gabbiano che continua a seguirci, il silenzio di chi legge.
Meditiamo sugli occhi del bambino, sulla sua purezza, e ascoltiamo il nostro silenzio, con queste parole di Ernest Psichari:
"Il silenzio é un lembo di cielo che
Scende verso il mare, verso l'uomo. Viene dai
Grandi spazi interstellari, dalle
Marine senza risucchi della luce fredda....
..... Viene di là dai tempi, dalle
Epoche anteriori ai mondi, dai
Luoghi dove i mondi più non esistono.....
...Il silenzio comincia col far
Chiudere le labbra e poi penetra
Fino al profondo dell'anima, nelle
Regioni inaccessibili, dove Dio riposa in noi
".
- Tratto dal libro: "Cenni storici e il fascino del Bel Paese" -   

L'acqua su Marte c'è
Nei telegiornali di ieri e sulle prime pagine dei quotidiani di oggi, abbiamo appreso che il piccolo robot Spirit ha incominciato ad inviare nuovi segnali dal suolo di Marte. La NASA: " Non capiamo che é successo", ma la cosa più importante è che la sonda europea rileva grandi formazioni di ghiaccio al Polo. Quindi due buone notizie da Marte: la sonda europea Mars Express ha raccolto la prima prova certa dell'esistenza del ghiaccio d'acqua nella calotta del Polo Sud e Sprint é tornato a far sentire la sua voce, inviando qualche dato dal Gusev Crater. Il robot - geologo della NASA non é ancora fuori pericolo, la prognosi é sempre riservata, ma al centro di controllo di Pasadena é rinata almeno la speranza di recuperare la missione che nelle ultime ore sembravano volgere al peggio.
Dunque, nel Polo Sud marziano il ghiaccio d'acqua c'é veramente. Lo si era già dedotto in passato attraverso lo studio delle immagini e un paio d'anni fa con i dati trasmessi dalla sonda americana Odissey: ma erano tutte misure indirette. Ora due strumenti imbarcati su Mars Express dell'Esa e realizzati in buona parte dagli scienziati italiani dell'istituto di fisica dello spazio interplanetario di Frascati, hanno effettuato una spettrografia all'infrarosso fornendo la prova a lungo inseguita.
Per l'esplorazione del Pianeta Rosso é un passo importante per tre motivi. Prima di tutto perché consente di precisare un dato fondamentale del suo identikit; il secondo luogo perché rafforza la ricerca di forme di vita ( legate all'acqua) e, infine, perché la presenza di ghiaccio d'acqua facilita la prospettiva dello sbarco umano e del futuro insediamento, garantendo alla sopravvivenza e alle attività in superficie.
Come leggiamo sul " Corriere della Sera", in un articolo di Giovanni Caprara, sembra che Mars Express ruota attorno a Marte dal giorno di Natale e, dopo essersi sistemato su un'orbita a 400 chilometri d'altezza sorvolando in continuazione i poli e l'intera superficie, ha iniziato da una decina di giorni le osservazioni. I suoi obiettivi sono la realizzazione di una mappa mineralogica del suolo, lo studio dell'atmosfera e, soprattutto, l'individuazione dell'acqua in superficie e nel sottosuolo. A tale fine sono entrati in azione gli spettro metri " Pfs" e "Omega", misurando il vapore acqueo nell'aria ( già noto) e il ghiaccio d'acqua nella calotta al Polo Nord. Successivamente entrerà in azione il rader Marsis, anch'esso italiano ( nato all'Università La Sapienza di Roma), capace di scoprire sacche di ghiaccio distribuite nelle profondità.
Abbiamo appreso inoltre che a Pasadena, intanto, da dove si controlla Spirit, si comincia a respirare un'aria diversa dopo che ieri i " dialoghi" con il robot sono ripresi. Due scambi di dati nella mattinata di ieri e durati dieci e venti minuti, hanno permesso di raccogliere informazioni preziose sulle condizioni di salute dell'esploratore che per 48 ore aveva inviato pochi segnali in gran parte indecifrabili. Si temeva un guasto agli apparati ( che sarebbe stato irreparabile) ma ora sembra si tratti di un problema al software e ciò è invece meno preoccupante perché consente interventi riparatori. " Il veicolo spaziale ci ha spedito una serie di risposte in seguito ad un nostro comando - ha precisato con cautela Pete Theisenger, direttore della spedizione -. Ora manderemo altri e ciò che stiamo ascoltando ci permetterà di diagnosticare la causa del disturbo e soprattutto di capire come intervenire per riportarlo alla normalità.
" Ma - ha aggiunto Forouz Naderi, responsabile del programma marziano al Jet Propulsion Laboratory della NASA di Pasadena - é ancora come aver a che fare con un paziente che manifesta sintomi diversi é poco disposto a collaborare". Spirit riesce comunque a farsi sentire e ora spetta ai cervelli di Pasadena trovare la terapia adeguata. E' forse potrebbe essere necessaria addirittura qualche settimana.
Ritornando alla scelta del pianeta Marte da esplorare, la scienziata Margherita Hack, ha dichiarato: " Marte é l'unico pianeta del sistema solare dove le temperature non sono così estreme come sugli altri corpi del sistema solare: d'estate all'Equatore la temperatura di giorno può raggiungere i 20 gradi centigradi e scendere di notte a - 80. L'atmosfera prevalentemente di anidride carbonica da luogo ad un effetto serra che mantiene le temperature entro limiti sopportabili anche da esseri umani, e certamente da batteri che sappiamo essere in grado di sopportare condizioni ancora più estreme. Per confronto Mercurio, completamente privo di atmosfera, ha temperature di 400 gradi nella parte illuminata dal Sole, ma di - 100 nella parte in ombra. Analogamente sulla Luna la temperatura oscilla da + 100 a - 100 . Su Venere, avvolta da una fitta atmosfera che produce un fortissimo effetto serra, la temperatura al suolo e di 500 gradi centigradi, tale da fondere il piombo. Ecco perché il grande interesse che suscita Marte, e che ha alimentato tante fantasie.
RESPIRI LONTANI.
E' una vita che ci poniamo la solita domanda, ma non abbiamo ancora trovato la risposta che ci aspettavamo: c'è vita su Marte? Una ricerca italiana riaccende le nostre domande e soprattutto le nostre speranze. Ipotizzando la presenza di microrganismi con caratteristiche simili a quelle degli esseri viventi. Il giornalista Luigi Bignami, in un suo articolo scientifico, apparso sulla rivista " Io donna", ci spiega i meccanismi della vita
"E' improbabile che lo Spirit della NASA, che sta inviando da Marte dati e immagini sensazionali, riveli qualcosa di nuovo sulla vita del pianeta rosso. Avrebbe dovuto farlo la sonda europea Beagle 2, ma non sarà così. La vicenda, però, non é chiusa. E gli scienziati tentano altre strade. Di recente una ricerca condotta da Giorgio Bianciardi, docente di Esobiologia all'università degli Studi di Siena, é giunta alla conclusione che nelle sabbie marziane potrebbero esserci microrganismi in grado di respirare come ogni essere vivente. Come é possibile? Per capirlo é necessario tornare indietro di 27 anni, quando le prime due sonde Viking della NASA scesero su Marte per trovare segni di vita. Due esperimenti su tre diedero risultati negativi. Uno lasciò un dubbio. " Tutti i microrganismi terrestri che metabolozzano sostanze organiche liberano anidride carbonica" spiega Gil Levin, ideatore di quell'esperimento. " Pensai che se avessimo obbligato eventuali microrganismi presenti nei suoli marziani ad assumere carbonio radioattivo, lo avrebbero emesso nella fase di respirazione". Mike Carr, geologo della Nasa, ricorda il momento in cui arrivarono i risultati dell'esperimento: " Mi dissi che c'era vita su Marte: i grafici erano identici a quello prodotti quando si facevano le prove a terra". Si cercò allora di giustificare questo strabiliante risultato escludendo la presenza di organismi viventi. Ma nessuna tesi risultò davvero soddisfacente.
Poco tempo fa entra in gioco Joseph Miller, neuro biologo all'università di San Diego, in California, luminare nello studio dei " cicli circadiani", le risposte biochimiche con cui gli esseri viventi reagiscono al succedersi di notte e giorno. Miller riprende gli studi di Levin in questa nuova ottica perché, 27 anni fa, i cicli circadiani erano sconosciuti. " Notai che l'emissione di anidride carbonica dal suolo marziano aumentava di giorno e calava di notte" spiega Miller. L'anidride carbonica veniva emessa con cicli della durata di 24,66 ore, coincidenti con il giorno marziano. " E solo esseri viventi danno questi risultati". E ora la scoperta di Bianciardi: " Da anni conduco ricerche sulla patologia umana e ho visto come ciò che sembra ritmico nel corpo umano non ha in realtà frequenze perfette. Per esempio, l'oscillazione della frequenza cardiaca in un neonato varia con il passare del tempo". Questa scoperta ha portato Bianciardi a indagare le oscillazioni dei livelli di anidride carbonica rilasciati dal suolo marziano: se fossero state prodotte dalle variazioni di temperatura all'interno dei Viking, sarebbero state regolari; se fossero state prodotti da organismi viventi sarebbero state più caotiche.
Conclusione? " I valori ottenuti analizzando, in un intero giorno marziano, l'andamento dei livelli di anidride carbonica e della temperatura, sono diversi" rivela Bianciardi a lo donna. " Significa che l'anidride carbonica rilasciata non é i risultato della reazione chimica dovuta alle variazioni della temperatura nei Viking". Si tratta dunque di oscillazioni che assomigliano molto al caotico pulsare del cuore di un bambino. Ma in natura ci sono ritmi simili non prodotti da esseri viventi? " Si" risponde Bianciardi. " Per esempio la rotazione della Terra intorno al proprio asse o l'andamento delle inondazioni del Nilo. Ma in questo caso abbiamo una perfetta sovrapposizione con un ciclo temporale prodotto da un sistema biologico" All'interno del Viking, dunque, l'anidride carbonica emessa aveva, secondo Bianciardi, un'impronta precisa, quella della vita. Ma il segreto é ancora lassù.
Si, é vero, il pianeta Marte, come quello della Luna, hanno alimentato la fantasia di molti scrittori e poeti. Si sono consumati fiumi d'inchiostro, si sono scritti molti libri e sono state narrate molte storie che persino sembravano vere, ci hanno rappresentato come creature vere e viventi quasi simili a noi gli abitanti di questi mondi lontani, anzi, che dico, lontanissimi. Ci hanno fatto credere che i marziani, con i famosi dischi volanti, giungevano nottetempo sulla Terra, tanto che la fantasia popolare era convintissima che si trattasse di pura realtà, ma invece erano tante e semplici fantasie scaturite da abili scrittori di fantascienza.
Tratto dal libro: "Cenni storici e il fascino del Bel Paese"  

Il paesaggio rosso di Marte.
Sì, é proprio così. Percorrendo in lungo e in largo i sentieri delle Dolomiti Ampezzane, dove abbiamo trascorso la " settimana bianca", con i nostri amici da sempre, ai quali siamo molto affezionati, ci siamo moltissimo emozionati per la spiritualità delle nevi eterne e soprattutto per le sue meravigliose montagne bianche di neve che circondano quella felice località turistica, e soprattutto per i suoi queruli ruscelli che scorrono lentamente nelle valli silenziose. Ma oggi, siamo altrettanto emozionati, nell'osservare le prime fotografie inviate dal piccolo satellite " Spirit" dal suolo di Marte. Finalmente possiamo dire, che la moderna tecnologia é riuscita a fare raggiungere sia pure da un piccolo robot il suolo rosso di Marte. Senza dubbio, é stato un grande successo della scienza tecnologica, si sta realizzato quel sogno lontano che l'uomo ha sempre pensato di raggiungere. Per il momento é stato raggiunto dal piccolo robot Spirit, il quale fino al momento, ci ha mandato delle bellissime fotografie, ma nel prossimo futuro é possibile, come dicono gli esperti, che una navicella con degli astronauti atterrerà sul suolo di Marte.
Per il momento ci dobbiamo accontentare della prima fotografia ad alta risoluzione che Spirit ci ha inviato questa notte da Marte. Nel vederla prima alla televisione di RAI Uno e poi sulle pagine del quotidiano del "Corriere della Sera", siamo rimasti tutti molto emozionati perché mai avevamo visto il suolo del nostro vicino pianeta con tanta precisione e nitidezza. Steve Squyres, lo scienziato che dirige la missione del robot - geologo della Nasa gesticola soddisfatto più del solito nel descrivere l'immagine tanto attesa. Così finalmente il suo gruppo, può avventurarsi nello studio del Gusev Crater dove Spirit é atterrato domenica mattina. Il luogo dello sbarco é stato ribattezzato " Columbia memorial station" per ricordare le vittime dello shuttle disintegrandosi nel febbraio scorso.
Pensando al colore delle nostre montagne dolomitiche e le vallate di Borca di Cadore, dove abbiamo trascorso la nostra tradizionale settimana bianca, ove la natura non ha dimenticato di metterci le grandi boscaglie di abetaie, i queruli ruscelli che più avanti diventano il grande fiume della vita, le grandi cime dolomitiche bianche di neve, gli orizzonti velati e miliardi di creature che vivono in simbiosi con la madre natura, mentre sul suolo rosso di Marte, regna una grande solitudine. In una delle tante fotografie, stiamo ammirando l'orizzonte marziano, dove il panorama si staglia di fronte alle telecamere della sonda Spirit, si nota una grande pianura desertica di un paesaggio senza vita. Per un momento ci é sembrato di ammirare un paesaggio del grande deserto del Sahara, dove nella tragicità di questo deserto infuocato si ripete il miracolo della natura con piccoli segni di vita. Fra quelle formazioni di sabbie e dune e distese sabbiose nel sottosuolo acquifera , permettono la formazione in superficie di oasi ove la vita continua il suo corso normale, mentre sulla superficie di Marte, e forse anche nel sottosuolo, non esiste nulla che possa dare segni di vita vegetali o animali. Ad un certo punto, ci domandiamo dove sono andati a finire i famosi marziani, quelle persone strane, stravaganti, oppure con doti e capacità che la fanno risultare fuori del comune di cui tanto si é parlato? Si é trattato soltanto di una letteratura fantascientifica, oppure si voleva far credere l'esistenza di esseri extra terrestri? E i famosi dischi volanti che periodicamente giungevano sulla terra, che rapivano le persone e poi li sbarcavano in altre località? Si trattava di sogni onirici , irreali come l'atmosfera di certi sogni che sono frutto della nostra immaginazione e nel sentimento che nella realtà; illusioni, fantasticherie? Gli scienziati, che studiano gli universi erano e sono tuttora convinti che oltre alla Terra, potrebbero esistere nella nostra galassia altri pianeti, appunto come Marte, dove vi possono essere segni di vita preistorica. Sono talmente convinti di tutto questo che continuano ad inviare sonde e satelliti, come il piccolo Spirit, alla ricerca di elementi che possano generare la vita, come l'acqua e l'ossigeno, elementi indispensabili per la sopravvivenza degli esseri umani che prima o poi, forse fra una trentina di anni potrebbero sbarcare sul suolo rosso di Marte.
Dopo il primo fotogramma colorato a bassa risoluzione trasmesso dal satellite, le sabbie marziane ci appaiono nella loro affascinante desolazione rossastra. " Osserviamo la superficie con un dettaglio quattro volte più elevato di quanto non avesse fatto il robottino Sojourner nel luglio del 1997 - precisa Squiyres - E' per noi scienziati significa poter raccogliere più informazioni e decifrare meglio gli enigmi dell'ambiente marziano".
La prima immagine ad alta risoluzione é, in realtà, la composizione di 12 fotogrammi digitali che per essere trasmessi hanno richiesto venti minuti alla velocità della luce, dato l'elevato numero di bit che contengono. L'immagine potrebbe essere ingrandita come un schermo cinematografico senza perdere alcuna definizione e rappresenta un ottavo dell'intero panorama circolare che ora la camera sta raccogliendo: Lo straordinario "occhio" di Spirit battezzato " Pancam" ( da Panoramici Camera) é un vero gioiello della tecnologia elettro - ottica. Sistemato alla sommità dell'asta che si alza dal corpo del robot a un metro della vista da parte delle polveri, é formato da due obiettivi distanti 30 centimetri ed é dotato da 14 filtri colorati differenti con i quali é possibile effettuare addirittura l'analisi spettrale delle pietre e dell'atmosfera.
L'inviato del " Corriere della Sera" Giovanni Caprara, nel suo articolo, così scrive: " Lo studio delle fotografie da parte degli scienziati di Pasadena: " Guardando l'immagine troviamo già i primi aspetti interessanti e nuovi - nota Squyres -. Le pietre sono grigie e in genere conficcate nel suolo: molte sono spigolose, tagliate seccamente, altre levigate e arrotondate dalle tempeste di polvere o forse dall'acqua presente nelle epoche remote, la prova della cui esistenza é il grande obiettivo della nostra missione".
Casualmente l'operazione di raccolta degli airbags effettuata dopo lo sbarco per evitare che ostacolino l'uscita del robot ha graffiato seriamente il terreno. " Così abbiamo raccolto un risultato insperato - prosegue Squyres - E' infatti visibile uno strato molto compatto di qualche centimetro, una specie di crosta superficiale, sotto la quale appare un terreno diverso, più scuro. Andremo ad analizzarlo nei prossimi giorni come sarà uno dei primi obiettivi della ricognizione di Spirit la depressione circolare Sleepy Hollow distante 12 metri e larga nove metri. La fotografia ha però messo in evidenza l'esistenza di altre depressioni analoghe forse generate da impatti esteroidali, forse dal vento". Ma guardando più lontano, gli scienziati hanno notato che l'orizzonte non é del tutto piatto. " Tra le increspature - soggiunge Squyres - si nota una sorta di colline distante circa 25 chilometri alte 400 metri. Il piccolo robot Spirit, non si sa per quale motivo, per il momento ha cessato di comunicare i dati nelle studi di Pasadena.
- Tratto dal libro: "Cenni storici e il fascino del Bel Paese" -      

Il castello di Racconigi
Dopo questa nostra lunga cavalcata - storica e architettonica - fra la città di Torino, Rivoli e Venaria Reale, ritorniamo a Mondovì e quindi nella "provincia granda" di Cuneo.
Da Cuneo, nell'autunno nel 1950, con alcuni amici, ci siamo portati nel centro agricolo di Racconigi, dove sorge il grandioso parco e castello reale sabaudo fondato nel 1004 e modificato nel 1681 e nel 1834. E' a Racconigi che nacque nel 1904 Umberto II, l'ultimo re d'Italia, e fu lui a voler trasferire qui, dalla Villa Reale di Monza, il letto di morte di suo nonno, Umberto I. Quando nacque Umberto I, il castello era da tempo la residenza estiva prediletta dalla casa Reale. A Racconigi é nato pure Maurizio d'Ascia, figlio di Mafalda di Savoia, secondogenita di Vittorio Emanuele III, morta nel lager nazista di Buchenwald a 42 anni. A Racconigi, nel settembre del 1938, si sarebbe tenuto un incontro segreto tra Maria José, il maresciallo Badoglio e un non ben identificato avvocato milanese per rovesciare il fascismo e salvare la dinastia mettendo sul trono il piccolo principe di Napoli, Vittorio Emanuele. Non se ne fece nulla, dopo che l'accordo tra Mussolini e Hitler sembrò scongiurare la guerra. Maria José era stata a Racconigi la prima volta nel 1923: era la terza volta che la principessa incontrava il suo promesso sposo, il futuro " re di maggio" Umberto II.
Le origine del maniero, come ci spiega la storia, risalgono probabilmente al XII secolo, e furono i marchesi di Saluzzo a farlo costruire come roccaforte. Nel Seicento arrivò nelle mani dei Savoia, che lo acquistarono degli Acaja e lo affidarono a Guerino Guerini perché lo ristrutturasse. E aveva il compito di togliergli quella scarna semplicità funzionale da roccaforte per trasformarlo in una piacevole casa di campagna. Le cose andarono per le lunghe, e nell'ottocento anche Pelagio Pelagi mise mano ali interni: Questa miscellanea di stili che va dal Settecento al Neoclassico é attorniata da un formidabile parco di 170 ettari dove, bel 1842, venne festeggiato il fidanzamento tra Vittorio Emanuele II e la principessa Maria Adelaide d'Austria. Il castello é proprietà dello Stato italiano dal 1980, ed é aperto al pubblico dal 1990.
Prima di parlare dei castelli della Valle d'Aosta, che era da tempo la residenza estiva prediletta dalla Casa Reale, cerchiamo di scoprire i segreti dell'Abbazia Melanesia che domina, sulla vetta del selvaggio Monte Pirchiriano, all'imboccatura della Val di Susa, dove siamo giunti con gli amici del CAI di Mantova, in una giornata piovosa dell'autunno del 1995.
Oggi, ricordando quella bella esperienza in quel luogo del silenzio e della preghiera, ci vogliamo soffermare brevemente sulle antiche mura della Sacra di San Michele, che é quasi un miracolo vederlo assurgere a simbolo della fede sulla rupe del Monte Pirchiriano.
Passando in una limpida notte per l'imboccatura della Val di Susa, il viaggiatore di un tempo ed il turista - escursionista dei nostri giorni, é attratto da una luce che invita a soffermarsi, a volare lontano con la fantasia, come é successo anche a noi. Quella luce, lassù in alto, può apparire come il faro di un'astronave sospesa nel cielo. Illumina un possente edificio di pietra, che si erge a fil di piombo sulla vetta di una rupe alta quasi mille metri. La rupe é quella del Monte Pirchiriano; l'edificio é una antica abbazia, una fortezza della fede custodita nei secoli dalla lancia di Michele, l'arcangelo guerriero dell'Apocalisse. La Sacra di San Michele avvolge la cima della montagna, vi poggia con i suoi pilastri occultando ed esaltando al tempo stesso il poderoso slancio della roccia. Lo spettacolo é grandioso, uno sguardo gettato su una natura aspra e selvaggi, e più in fondo, la visione delle Alpi, le vallate e le pianure piemontesi, per vivere delle vere emozioni. Per noi, che giungevamo dalla brumosa Valle Padana, trovarci in cima a quella montagna dove s'innalza verso il cielo la Sacra di San Michele, é stata una vera rivelazione di quella bellezza nascosta e circondata dal fascino delle maestose Alpi. La sua storia é un romanzo intessuto di miracoli, che ha inizio esattamente mille anni fa.
Correva dunque l'anno di grazia 997. Il Vescovo di Ravenna, Giovanni Vincenzo, ha una crisi mistica, lascia le cure del mondo - che tanto, ormai, sta per finire - e si fa eremita tra le balze del Monte Caprasio, sul versante sinistro della Val di Susa.
Questo é un luogo di preghiera, di riflessione, di pellegrinaggio e i pellegrini, percorrendo la seconda via Francigena, giungevano da ogni parte dell'Europa. Lo scrittore Nicola Orsini, così scriveva su i "Meridiani 123": "Venivano da Tolosa, da Briançon, da Nimes, da Avignone, molti ancora da più lontano, dalla Spagna, dalla Bretagna, dall'Irlanda. E tutti avevano ringraziato il signore quando, attraversato il Moncenisio, era finalmente apparsa la Valle di Susa. La seconda via Francigena occidentale - la prima entrava più a nord, per il valico del San Bernardo - adesso sarebbe scesa sulla pianura, fino a Torino, e di qui, per Asti, Alessandria, Stazzano e Volteggio, avrebbe raggiunto il passo dei Giovi e Genova: il peggio sembrava passato. Ma si sarebbero ricreduti poco dopo, davanti alle rovine della abbazia della Novalesa, distrutta dai Saraceni risaliti dalla Provenza fino ai piedi delle Alpi: il "nero periglio" incombeva ancora, e non soltanto sulle coste del Mediterraneo. Anche Susa, l'antica capitale del regno di Donno, ne aveva provato la ferocia. Anche Bussoleno, per quanto difesa da solide mura. Poco dopo, però, si levava la Sacra di San Michele: altissima, poderosamente fortificata, rassicurante,
Si diceva che le prime strutture della chiesa fossero state edificate dai cristiani nel IV secolo, sui resti di una postazione romana a guardia della Chiesa, e che i Longobardi le avessero ingrandite, dedicando il nuovo tempio a San Michele, principe delle memorie più recenti figurava, come fondatore, il santo vescovo di Ravenna Giovanni detto Vincenzo.
Una storia prodigiosa Sul finire del X secolo, il vescovo aveva lasciato la cattedra episcopale per dedicarsi in solitudine alla preghiera e farsi eremita sulla cima del monte Caprasio che fronteggia il Pirchiriano e insieme con questo stringe l'imbocco della Val di Susa. Appunto sul Caprasio l'asceta avrebbe voluto costruire una piccola chiesa e per questo aveva cominciato a raccogliere tronchi d'albero e pietre, faticando dalla mattina alla sera. Ma quando la scorta accumulata gli avrebbe consentito di iniziare i lavori, tutto era misteriosamente scomparso.
Con pazienza il sant'uomo riprese ad abbattere alberi e a scegliere pietre, restando poi nascosto nel buio della notte per sorprendere chi avesse voluto derubarlo di nuovo. E qui avvenne il miracolo perché dal cielo discese una schiera di angeli che, presi tra le braccia i tronchi ed i massi, li riportarono in volo sulla cima del monte Pierchiriano, proprio di fronte: il messaggio divino era chiaro, e l'eremita obbedì, trasferendosi sul Pirchiriano, dove avrebbe ritrovato tutto il materiale che credeva perduto, e per giunta già pronto per essere messo in opera.
Né questo fu il solo prodigio, secondo la fonte più antica - e per la verità assai fantasiosa -, il Cronicon Coenobii Sancti Michaelis de Clusa del monaco Guglielmo, scritto nel secolo XI. Vi si narra che, ultimato il suo lavoro, Giovanni Vincenzo chiese al vescovo di Torino, Aminzone, di consacrare solennemente la nuova chiesa. Il presule, nel viaggio verso il monte, si fermò a dormire in Avigliana: e qui fu destato da un grande clamore di gente ammirata e sgomenta. Nel cielo, proprio sopra il Pirchiriano, fiammeggiava un rosso globo di fuoco ( se fosse successo nei nostri tempi, avremmo pensato ad una navicella spaziale proveniente da Marte) e quando Aminzone giunse alla chiesa, sollecitato dalla miracolosa visione, vi trovò un altare eretto dagli angeli. Di qui, secondo Guglielmo, sarebbe venuto il nome del monte, Pirchiriano cioè " fuoco del Signore". Ma l'etimologia più accertata é assai meno edificante, Mons Parcarianus, cioè monte dei porci così come il Caprasio era il monte della capre.
Come che sia, alle soglie del fatidico anno Mille, arriva all'eremo di Giovanni Vincenzo un personaggio che cerca di redimersi da molti peccati. E' Ugo di Monthoissier, ricco e nobile signore dell'Avernia, detto lo Scucito per la sua folle e viziosa prodigalità. Insieme con la moglie Isengarda si é recato a Roma per chiedere indulgenza a papa Silvestro II e questi, a titolo di penitenza, gli ha concesso di scegliere tra un esilio di sette anni e la pia impresa di completare l'opera dell'eremita costruendo una abbazia. Ugo é uomo pratico: arriva in Piemonte, si rivolge ad Arduino marchese di Torino e da lui compra il monte e tutti i terreni intorno, le cui rendite serviranno al sostentamento del monastero.
La piccola chiesa diventa così un grandioso tempio che, per ogni evenienza, é anche difeso da solide architetture militari. Ma il primo abate non é Giovanni Vincenzo, che preferisce tornare alla sua solitudine; é un benedettino, Arverto, già abate del convento di Lèzart da cui - si dice - é stato cacciato perché troppo severo con i confratelli. E l'abbazia, sempre generosamente sovvenzionata da Ugo il pentito, si ingrandisce con altre strutture destinate alla ospitalità e all'assistenza dei pellegrini e dei mecenati di passaggio sulla via Francigena.. Ricca e potente, las Sacra vive i suoi tempi d'oro tra lì XI e il XIV secolo: poi, mal governata, si avvia alla decadenza fino alla chiusura.
Ma oggi si prega e si lavora di nuovo, quassù. E gli aiuti che la Regione riesce a dare nonostante la crisi, si aggiunge anche l'opera degli Amici della Sacra di San Michele, una associazione di benemeriti volontari.
Nel tardo pomeriggio, dopo il temporale, era ritornato a splendere il sole sulla grande Val di Susa. Dal Belvedere si domina l'immensa pianura, che era illuminata da un meraviglioso tramonto. A noi, possiamo tranquillamente dire, che ci sono rimasti negli occhi i colori meravigliosi di quel paesaggio luminoso e colorato, da dove l'occhio spaziava in un paesaggio fantastico e metafisico, appena sfiorato all'orizzonte da un leggero filo di nebbiolina azzurra, che si fondeva con le alte cime delle bellissime Alpi bianche di neve.
- Tratto dal libro: "Cenni storici e il fascino del Bel Paese" -   

I colori della notte.
Per completare questo nostro lungo Week - end sulle montagne dolomitiche ampezzane, che abbiamo percorso in lungo ed in largo, ammirando ovunque le bellezze del creato, come il sorgere del sole e le ultime lici del tramonto sul suggestivo monte Pelmo, soprannominato " il trono di Dio" per la sua particolare conformazione, dove le rossate vampate si mescolano col giallo striato delle nude rocce, cosicché un fuoco sembra restare acceso mentre intorno calano cupe le prime ombre della sera. Questo é un mondo incantato sotto una delicata coltre bianca di neve, immerso nel silenzio ovattato che solo queste montagne innevate ci possono regalarci. Ma a sera, sotto il chiarore della luna argentata, provate a fermarvi un attimo ed ammirate la volta celeste e vi sembra di sentite una lieve sensazione di gioia che pervade l'atmosfera? Ma si, é la forza traboccante della natura che con i suoi "colori della notte", dal tramonto all'alba ci conquistano con le loro sinfonie di luci, di sensazioni e di colori tra le crode.
Lo scrittore Eros Ramponi, in un suo articolo, intitolato appunto: " I Colori della notte", ci spiega le emozioni e le sensazioni che ognuno di noi prova ammirando la volta celeste rischiarata appunto dai colori della notte. Si, é proprio così, egli ha veramente ragione. Ci siamo soffermati nell'alto di una montagna, immersi nel silenzio ovattato che solo la neve può regalarci in una notte stellata, abbiamo compreso che l'occhio si abitua all'oscurità e ne " scopre" i colori.
Egli così scrive:" Buio, oscurità. Tenebre. Il nero e l'indaco, assoluti o impalliditi della Luna, indiademati d'oro dalle stelle, impavesati dalla diamantina sabbia delle galassie. Le tinte della Notte, il mistero, la magia, il romanticismo della Notte. Già, la Notte. Figlia di Caos, sorella di Erebo, il nero antro che si spalanca nelle viscere della Terra, madre della Tenebra, della Sventura, di Nemesi e di Tanato, di Eris, di Sonno e delle Esperidi. " Domatrice degli dei e degli uomini", la dice Omero, ed Esiodo ne fa " la Madre degli dei": William Blake la eleva a sede dello spirito della tigre: " Tigre, tigre, che ardi splendendo nelle selve della notte". Dante trema al nominarla " Allor fu la paura un poco queta / Che nel lago del cuor m'era durata / La notte ch'i' passai con tanta pièt". E ancora: " Chi v'ha guidati? P chi vi fu lucerna, Uscendo fuor della profonda notte/ Che sempre ne fa la valle inferna?". Sensuale, tentatrice, ammalia gli animi o li scoraggia, cupo velario avvolge i sogni, sollecita l'immaginario, dissimula i peccati. " Ma chi tu sei che avanzando nel buio della notte inciampi nei miei più segreti pensieri? Si chiede William Shakespeare. E' la porta dell'inconscio e degli archetipi primordiali, fomenta le angosce, oppure le placa, le anestetizza: " ha da passà a' nuttata", si insperanzisce Eduardo De Filippo in Napoli milionaria. E' la metafora dei nostri luoghi oscuri, e, spesso, il loro " indirizzo topografico", il ricetto dove essi si compiono. Persino i dotti se ne son fatti stregare. Perché sennò A. E, Housman, avrebbe scritto " Che canterò o che scriverò per fermare il calare della notte?
Notte, Notte che tra i monti é ancora più notte. Fonda cupola senza colore si ispessisce delle pareti strapiombanti, oppure inchiostra il candore delle nevi e dei ghiacciai. Tutto cancella, tutto inghiotte nel suo momento. " Dopo le quattro infilai il sentiero verso la valle piano sì, ma assai poco visibile; una volta mi trovai a salire sulle gambe posteriori d'una vacca che avevo scambiato per un blocco di pietra" si legge in passo della Fontana di giovinezza il libro scritto da Eugen Guido Lammer considerato il manifesto della gioventù alpinistica del primo '900.
E ora c'è il rischio che questa composita malia svanisca. Messa la fotocamera in posa, lasciatala a lungo con il diaframma aperto, disaggregato lo spettro luminoso con opportuni filtri, sfruttato il pallore della luna a un quarto, il nostro Diego Gaspari Bandion, fotografo - artista che ama sperimentare i limiti del visibile, ne registra i segreti con la scrupolosità di un ricercatore scientifico. Li svela e li rivela, sulla pellicola o sul supporto elettronico ne coglie i colori, le tonalità, le oscillazioni energetiche, disegna il cielo di tenui azzurri e rosa, li punge con punture di stelle, dà forma e corpo alle bolle arrossate che il respiro di città e paesi gonfia nelle valli, scolpisce i volumi aguzzi delle crode, tramuta le piste notturnamente immobili in una sorta di striscia di lava bianca. Scienziato, abbiamo scritto, e tuttavia Diego non inaridisce il mistero della notte, anzi lo sublima, lo esalta, lo raddoppia. L'oscurità rischiarata che ci consegna postula un " doppio" che resta oscuro, la percezione della macchina si confronta e si scontra con la nostra percezione sensoriale. Questa antinomia é poesia: il suo obiettivo ci ricorda il sommo Dante ( absit iniuria verbis): " Salimmo su, ei primo ed io secondo,/ Tanto ch'I' vidi de le cose delle/ Che porta 'I ciel per un pertugio tondo/ E quindi uscimmo a riveder le stelle".
Nella nostra osservazione e ammirazione della volta celeste, dal terrazzo dell'Hotel Boite, in quella notte rischiarata dalla splendida luna, ma soprattutto in quella notte pungente dalla fredda tramontana, non eravamo armati di fotocamera in posa, con gli opportuni filtri, per registrare ogni variazione, ogni pallore della vecchia e cara luna, ma abbiamo fissato nel nostro cervello i "colori della notte", con tutte le sue tonalità, le oscillazioni che disegna il cielo di tenui azzurri e rosa. Noi siamo amanti della fotografia, ma non al livello del nostro omonimo Diego Gaspari Bandion, di cui ne parla lo scrittore Eros Ramponi, ma curiamo molto la pittura.
Prima o poi, tutto quello che abbiamo registrato nella nostra memoria, sicuramente lo trasporteremo su di una bianca tela, per realizzare il nostro capolavoro: un quadro con i meravigliosi "COLORI DELLA NOTTE", di quell'incantevole paesaggio delle Dolomiti Ampezzane. Ma ricordiamo con piacere quelle lunghe notti fredde e stellate, rischiarate dalla Luna piena che faceva risaltare i colori della notte, mentre nel tepore dell'Hotel Boite, una squadra di giovani e simpatici animatori turistici, hanno allietato il riposo del " guerriero", pardon, in questo caso dello sciatore o dell'escursionista, con le loro rappresentazioni da vero cabaret: spettacolo di varietà estemporaneo. Non possiamo che esprimere una parola di lode, di approvazione, di consenso, di compiacimento per ciò che hanno fatto per allietare le lunghe serate del nostro soggiorno nell'Hotel Boite.
- Tratto dal libro: "Cenni storici e il fascino del Bel Paese" -  

L'arte a Siena
La città assume la sua configurazione attuale in età medioevale: nell'XI secolo, in seguito ad un notevole incremento demografico, si costruirono alcuni borghi, all'esterno delle mura romane, sui crinali dei tre colli, determinando la forma a Y che restò poi caratteristica della città e che corrisponde alla suddivisione dei tre " terzi": di Città a SO, di San Martino a SE, di Camollia verso nord. La prima grandiosa manifestazione di architettura tipicamente senese fu il duomo, come abbiamo detto sopra, fondato nella seconda metà del XII secolo e originariamente concepito a croce latina con transetto poco sporgente. Nei primi decenni del Trecento fu progettata, soprattutto a opera di Lando di Pietro, la costruzione di una nuova, grandiosa cattedrale, cui quella già esistente avrebbe dovuto servire da transetto. Il progetto fu interrotto dopo la peste nel 1348 e quindi definitivamente abbandonato. Nel secolo XIII e soprattutto nel XIV Siena raggiunse il massimo sviluppo edilizio sia quantitativo sia qualitativo: oltre alla Fontebranda e alle chiese gotiche di questo periodo come San Domenico, fondata nel 1266, San Francesco, ricostruita dal 1326, Sant'Agostino, fondata nel 1258 ( interno rifatto dal Vanvitelli), si fissò la tipologia dell'architettura civile gotica in vari palazzi, dai quali il più illustre é il Palazzo Pubblico, costruito tra il 1297 e il 1310, ampliato nella prima metà del Trecento, quando fu aggiunta anche la torre del Mangia, e innalzato di un piano nelle ali laterali nel 1680 - 1681. La pittura del Trecento senese assume una sua originale caratterizzazione stilistica, sicché la storiografia artistica a lungo contrappose la " scuola" senese alla " scuola" fiorentina. Protagonisti della creazione di questa cultura di spiccata individualità e di altissimo livello furono anzitutto Duccio di Buoninsegna, che nella Maestà, dipinta tra il 1308 e il 1311 per il Duomo e ora conservata nel Museo dell'Opera, fuse l'eredità della tradizione bizantina con il nuovo linguaggio gotico, e poi Simone Martini, Pietro e Ambrogio Lorenzetti. La testimonianza più significativa é costituita dagli affreschi della Maestà ( 1315) e del Guidoriccio da Fogliano ( 1228), dipinti da Simone Martini nella sala del Mappamondo in Palazzo Pubblico, e delle Allegorie ed effetti del Buono e del Cattivo Governo ...., dipinte nella sala attigua da Ambrogio Lorenzetti. La scultura senese del trecento non presenta l'originalità e l'altezza qualitativa delle coeve produzione Pittoricha; i maestri più importanti come Tino da Camaino ( monumento funebre al cardinale Petroni in duomo, 1317 - 1318 circa) e Gano di Fazio abbandoneranno la drammaticità di Giovanni Pisano per uno stile più sereno e decorativo. Agli inizi del Quattrocento Jacopo della Quercia diede alla sua città il capolavoro della Fonte Gaia, originariamente situata in piazza del Campo, mentre, accanto a Jacopo, lavorarono per il fonte battesimale del battistero, oltre ai vari senesi minori, i fiorentini Lorenzo Ghiberti e Donatello. Questi tre grandi artisti condizionarono in varia misura gli sviluppi della cultura di tutto il Quattrocento senese. L'architettura rinascimentale si affermò a Siena, dopo opere di transizione come la Loggia della Mercanzia o di San Paolo, soprattutto a opera di architetti fiorentini come Bernardo Rossellino che diede i progetti per i due palazzi Piccolomini ( quello detto " del Governo" e quello detto " delle Papesse") e Giuliano da Maiano ( palazzo Spannocchi). Agli inizi del XVI secolo, la pittura senese risentì influssi di pittura umbra, soprattutto del Perugino e del Pinturicchio, che fu impegnato nella grande impresa della decorazione a fresco della Libreria Piccolomini. Ma il creatore del gusto pittorico cinquecentesco a Siena fu il Sodoma, lungamente attivo in questa città nella prima metà del secolo. L'arte del Seicento e del Settecento senese non presenta opere di grande rilievo, a eccezione delle statue di San Girolamo e della Maddalena, scolpite dal Bernini per la cappella della Madonna del Voto o Chigi nel duomo, e nell'interno della chiesa di Sant'Agostino, mirabilmente rifatto da Luigi Vanvitelli.
In questa città medioevale, con la sua storia, le sue chiese romaniche, le stradine, i vicoli, le piazzette, i palazzi patrizi , i suoi bellissimi monumenti e gli affacci paesaggistici di grande respiro, la conosciamo molto bene per esserci stati tantissime volte, ma ci mancava qualche cosa da vedere di grande importanza artistica. Che cosa? Le 56 scene del pavimento del Duomo, che per la loro realizzazione, hanno partecipato i maggiori artisti dell'epoca nell'arco di centinaia di anni. Quelle opere sono di grande interesse artistico e di inestimabile valore storico Tutte le volte che abbiamo visitato il massimo tempio della cristianità di Siena, questa meravigliosa opera d'arte di stile romano - gotico, con la stupenda facciata di Giovanni Pisano, 1285 - 1296, erano coperte perché non venissero ulteriormente danneggiate dai fedeli e dalla grande massa turistica. La Sovrintendenza alle Belle Arti, per raccogliere fondi per il loro restauro, ha creduto opportuno autorizzare la visualizzazione, permettendo a migliaia di turisti di ammirarle. Anche se abbiamo pagato 5 euro, vi assicuro che ne valeva veramente la pena.
Ritornando a parlare della città di Siena e della Toscana in particolare, ci siamo accorti che non vuol dire soltanto buon vino, la ribollita, i cantuccini col vin santo o il panforte, ma vuol dire anche Palio, che per i Senesi significa la rievocazione di una pagina della loro storia e delle loro tradizioni. Ma camminando nelle sue stradine, nei vicoli, nei sentieri, nei paesini pittoreschi barbicati sui pendii, ovunque si riesce a coglie l'essenza di un'antica terra, dove si fondono leggenda, storia e tradizione di questa nobile regione, che si chiama appunto " Toscana".
Parlando di storia e di tradizione, ci viene spontanea la citazione appunto del Palio di Siena, che per i Senesi é il massimo impegno sportivo e agonistico. Il Palio di Siena, non é altro che una gara ippico - folcloristica di cui si ha testimonianza a partire dalla seconda metà del XIII secolo.
La storia :
Il palio di Siena si svolge due volte l'anno ( il 2 luglio, festa di Santa Maria di Provenzano, come stabilito dal regolamento definitivo risalente al 1656, e il 16 agosto in onore dell'Assunta, patrona di Siena, in base a una modifica introdotta nel 1702). Vi partecipano le diciassette contrade cittadine che rispondono ai pittoreschi nomi di Aquila, Bruco, Chiocciola, Civetta, Drago, Giraffa, Istrice, Leocorno, Lupa, Nicchio, Oca, Onda, Pantera, Selva, Tartuga, Torre e Valdimontone. Soltanto dieci però sono sorteggiate per la gara del 2 luglio, mentre in quella del 16 agosto concorrono le altre sette più tre contrade estratte a sorte tra quelle escluse. La corsa ha luogo nella piazza del Campo, che per la sua ubicazione, si potrebbe definire un grande stadio circondato da vetusti edifici, palazzi patrizi e il grande Palazzo Comunale, con la stupenda Torre del Mancia, su una pista di oltre 300 metri da percorrersi tre volte. I cavalli vengono anch'essi estratti a sorte e non possono successivamente essere sostituiti per nessuna ragione ( la contrada che per un contrattempo qualsiasi dovesse perdere il proprio cavallo, deve rinunciare alla corsa) Prima della gara si svolge il corteo storico di cui fa parte, fra l'altro, il carroccio con il palio che reca l'immagine della Vergine col beato Colombini e che sarà consegnato dal giudice della corsa alla contrada vincente. Caratteristici i volteggi che i " giocatori di bandiere" effettuano con i loro drappi. I fantini corrono la gara montando senza sella e sferzando i cavalli con un nerbo di bue, incitati a gran voce dalla folla. Il palio di Siena, assai noto in Italia e all'estero, richiama a ogni edizione un gran numero di turisti.
Noi, cioè io e mia moglie Adriana, se ben conosciamo molto bene la città di Siena, non siamo mai stati il giorno del Palio, ma ogni anno, assistiamo puntualmente allo svolgimento di questa importante gara ippica - folcloristica, attraverso la grande finestra della televisione . Ricordiamo, in particolar modo le trasmissioni in diretta Tv di questo avvenimento condotte dal rimpianto e bravissimo giornalista Paolo Frajese, che ci faceva rivivere attimo per attimo la grande emozione della corsa e della grande folla festante dei Senesi, appartenenti alle varie contrade. Prima e dopo lo svolgimento del Palio, per alcuni giorni, tutte le contrade festeggiano questo avvenimento, con banchetti pantagruelici e feste folcloristiche.
Anche oggi, 3 ottobre, al termine della nostra escursione nella bellissima città medioevale di Siena, facendo ritorno nei giardini della Fortezza, dove ci stava attendendo il nostro torpedone, abbiamo incontrato un drappello di sbandieratori con i colori della contrada del Bruco, che ha vinto quest'anno il Palio, che sfilavano festanti per le strade della città, seguiti da un lungo corteo di concittadini. Ho chiesto al vigile del quartiere il motivo di quella sfilata di sbandieratori in costume e che significato avesse? Egli gentilmente mi ha così risposto: " La contrada che vince il Palio, per tutto l'anno fa festa, portando in processione per la via della città lo stendardo o il gonfalone, come dir si voglia, con i colori della contrada vincente.
A tutte queste scene del passato che si animavano per me sulla piazza e per le vie della città, non accordavano un'importanza smisurata. Non credo affatto che il passato basti per comprendere il futuro. Arrivo fino a pensare che la tanto diffusa convinzione che lo illumini e lo spieghi non significhi gran che. Quel che é vero fino all'evidenza é che il passato costruisce il basamento su cui s'innalza il presente. Che esso accumula le condizioni di ogni storia futura. La vita ha questo di caratteristico, che viene fuori spontaneamente. E' sempre l'inatteso ad aver le maggiori probabilità di sopravvenire. Ma anzitutto deve partire dall'esistente. La storia é la ricostruzione della vita. Il passato é ciò che impedisce che l'avvenire sia una cosa qualsiasi.
Assistendo a queste manifestazioni coreografiche di popolo e di piazza, qualcuno possa crede che si tratta di puro fanatismo, ma riteniamo invece che si tratta soltanto di rievocazioni storiche di un antico popolo. Essi sono persone rispettosi dei valori della loro terra e della tradizione, tramandatagli dalla storia e che fanno rivivere periodicamente il loro passato.
Questi contraioli, marciando baldanzosi al ritmo dei tamburi e con le bandiere colorate al vento sulle vie della città e dei vicoli delle loro contrade, non fanno altro che camminare su di un tappeto di foglie morte, dove sono sepolte la storia e le tradizioni del loro passato , ma che vengono rivissute periodicamente con la grande festa del Palio. Il fascino di questa ricorrenza, lontano dai soliti allettamenti preparatori in altri luoghi, é lento ma duraturo; é come quei profumi, che sembra debbano subito svanire, eppure resistono al tempo e alla storia e penetrano di sé ogni cosa.  

Le bellezze di Siena
Quando abbiamo lasciato lo storico borgo medioevale di San Gimignano, la cittadina romanica delle cento torri, il sole incominciava a declinare verso ovest, mentre le ombre incominciavano progressivamente ad ombreggiare quel caratteristico paesaggio costituito da piatte colline ombreggiate da campi coltivati ad oliveti, vigneti e lunghi filari di cipressi che incorniciavano e delineare quel dolce paesaggio.
In lontananza, dall'alto dei colli, si incominciavano a vedere le alte torri e i campanili della città di Siena. Parlare o scrivere di questa antica e storica città, come cerchiamo di fare noi oggi, non é molto semplice per la sua complessità storica, architettonica e artistica. Vicino alla chiesa di San Domenico, abbiamo incontrato la signora Margherita, di origine Sud americana e trapiantata a Siena da molti anni, dove svolge intelligentemente l'attività di guida turistica. Nel suo esordio, nel preambolo dell'introduzione all'argomento vero e proprio che doveva essere trattato, ha così incominciato dicendo:
"La città di Siena, prende nome dal colore delle sue terre colorate, le famose terre di Siena, argilla di colore giallo o rosso scuro, da cui si ricava un colorante, come la " Terra di Siena", che i pittori usino per dipingere i soggetti dei loro quadri. Con questa argilla rosso - ocra , si fabbricavano e si fabbricano i mattoni per costruire le case e i monumenti della città. Tutta la città, come potete osservare, da questo balcone panoramico, é costruita esclusivamente dai mattoni ricavati da queste terre, che danno appunto le caratteristiche e il nome alla città che ci accingiamo a visitare, di cui fa eccezione il Duomo, con il suo caratteristico campanile dalle linee goticheggianti, ma che si differenzia dal complesso urbano per le sue strisce marmoree bianco - verde serpentino.
La storia é come un paesaggio attraversato in macchina o sorvolato in aereo. E' possibile passare velocissimi, correre in poche ore da un capo all'altro di un continente, indovinare sotto i nostri occhi lo stivale d'Italia, la punta della Florida, la massa ostile e superba del deserto, delle Alpi, delle Dolomiti. E' possibile anche fermarsi ad ogni passo, prendere dei sentieri che si aprono alla nostra destra e alla nostra sinistra, bighellonare nei campi, nei prati, nei boschi, nei giardini di una città. C'è continuazione dal quadrifoglio che attira il nostro sguardo in mezzo all'erba, dalla tavola della cucina in cui consumiamo i nostri pasti fino al pianeta e oltre. Possiamo adottare l'andatura che più ci piace, possiamo insediarci ad ogni piano dell'edificio dello spazio e del tempo. Possiamo vedere sfilare molto velocemente gli avvenimenti e gli uomini, i paesaggi di questa meravigliosa Toscana, i secoli e gli oceani. possiamo anche scendere ai dettagli più minuscoli, alle pieghe più segrete e meglio dissimulate delle valli e dei cuori. E' tutta una questione di scale. Certe volte mi sembra addirittura che questa nozione di soglia o di scala sia uno dei nodi nascosti dalla metafisica.
La storia ci rammenta che la città ebbe origini da una colonia militare romana, Saena Iulia, fondata in area di civiltà etrusca nell'età di Cesare o poco dopo. Circa la sua storia anteriore, mancano notizie attendibili. Se nell'età imperiale non ebbe particolare rilievo, crebbe durante le invasioni barbariche, quando, per la sua posizione in collina, attrasse molti profughi dal piano in cerca di sicurezza e di difesa. Con la costituzione del comune coincise con alcune importanti conquiste del territorio, come quella delle miniere d'argento di Montieri ( che permisero un'abbondante coniazione di monete), e con le prime ostilità nei confronti di Firenze per il predominio sulla Val dell'Elsa. Da parte imperiale, Siea ottenne molti diritti da Federico Barbarossa, che le conferirono una posizione preminente sul territorio vicino. Nella seconda metà del XIII secolo, col crollo della potenza degli Svevi e del ghibellinismo ( cui Siena era sempre stata fedele), la città subì gravi rovesci nell'urto con la guelfa Firenze: la vittoria di Monteperti ( 1260) fu neutralizzata dalla ben più rilevante sconfitta di Colle di Val d'Elsa ( 1269), in seguito alla quale Firenze e gli Angioini imposero ai Senesi un severo regime di parte guelfa, causa di interminabili lotte civili, sia per la presenza d'una ancor forte fazione ghibellina, sia per le ambizioni di potere delle grandi famiglie e i contrasti sociali. Nella seconda parte del XIV secolo, dopo una sollevazione del popolo minuto, appoggiata da alcune famiglie potenti come i Piccolomini, i Salimbeni e i Tolomei, che rovesciò i Nove (1355), ricominciarono le lotte di parte e le continue mutazioni di regime; e ciò diede occasione a Firenze d'intraprendere una minacciosa espansione in direzione di Siena e indusse infine quest'ultima a porsi sotto la protezione dei duchi di Milano (1390 -1392 e 1399 -14o4). In questo periodo esercitarono un profondo influsso sulla popolazione senese santa Caterina e san Bernardino. Resasi indipendente da Milano, rappacificata con Firenze e alleata con essa contro Ladislao di Napoli ( 1410), consolidati i domini maremmani, Siena non trovò tuttavia un ordinamento stabile, nonostante l'interessamento di papa Pio II, il senese Enea Silvio Piccolomini, finché Pandolfo Petrucci vi impose dapprima larvata ( 1487), poi dichiarata ( 1502- 1512), la sua personale signoria, che preservò abilmente la città dalla conquista di Cesare Borgia, ivi ristabilì una relativa pace e ne curò lo sviluppo economico. Le lotte intestine tra Firenze e Siena, continuarono fino a raggiungere un certa autonomia, e, dopo un periodo di lenta decadenza, ebbe un risveglio economico negli ultimi decenni. Seguì le sorti della Toscana fino all'annessione agli Stati sabaudi, che fu tra le prime a votare nel 1859.
Dopo la visita alla chiesa di San Domenico, che svetta su quella collina, dove si trovano le reliquie di Santa Caterina da Siena, padrona d'Italia e della città stessa, ma é anche luogo di preghiera e benedizione del palio di quella contrada, abbiamo iniziato il nostro itinerario storico - culturale della città. La città di Siena, per il suo complesso storico - urbanistico, potremmo paragonarla alla città di Genova, per i suoi saliscendi, con i suoi caratteristici carruggi , le piccole piazze e le stradine acciottolate e strette . Per raggiungere il centro, dove sorgono i meravigliosi e turriti palazzi dei signori e dei banchieri della città, come Il "Monte dei Paschi di Siena", abbiamo percorso quella che fu la grande strada chiamata " Francigena o Romea", che ci ha portati dritti davanti al grandioso Duomo di stile Gotico.
La fortuna di Siena, diversamente dalle altre maggiori città toscane, é essenzialmente medioevale e come il borgo di San Gimignano, é legata alla presenza della via Francigena, che vi é attestata fin dai più antichi ricordi di questo percorso. Se Siena, a cavallo tra Due e Trecento, raggiunse dimensioni urbane degne dei maggiori centri europei di allora, lo deve al fatto di essere stata "figlia della strada".
Il rapporto di Siena con l'antica strada é dimostrato anche dalla sua forma urbana e delle dimensioni e del prestigio della maggiore struttura ospitaliera cittadina: lo Spedale di Santa Maria della Scala, sorge di fronte al grandioso Duomo, meta obbligata ai pellegrini che giungevano dai Paesi dell'Ovest d'Europa, per proseguire successivamente verso Roma o Gerusalemme. A differenza di altre città romane ( ad esempio Lucca o Firenze), dove l'originale impianto quadrato ad essi originali é la base di partenza per lo sviluppo urbano medioevale, a Siena questo prende avvio da un nucleo abitato di altura: Castelvecchio, presso il quale si attestò la sede episcopale e la chiesa cattedrale. La successiva crescita della città non avvenne per anelli concentrici attorno all'elemento generatore, bensì fu causata dalla via Francigena che scorreva più in basso, lungo le direttrici delle attuali vie Montanini e del Porrione, che divennero anche gli assi dello sviluppo della città.
Fin dal XI secolo l'antico abitato si era saldato al percorso della via Francigena presso la Croce del Travaglio, dando vita a dei borghi lungo la strada, con tendenza ad espandersi maggiormente verso nord, in direzione di Camollia, quasi a voler sottolineare la forte attrazione della città verso quella parte della Toscana che fin dal primo medioevo si era dimostrata la più importante della regione. In seguito, l'espansione urbana proseguirà verso sud e selle altre direttrici viarie che afferivano alla città in corrispondenza delle quali si aprano le monumentali porte dell'ultimo giro di mura.
La preminenza nel tessuto cittadino di età comunale e dell'antico abitato di Castelvecchio, e di quelli generati lungo la direttrice della via Francigena, determinano l'originale " forma urbis" a tre punte e la divisione della città in " terzi" ( di Castelvecchio, di Camollia e di San Martino). Il processo di formazione della città era avvenuto in una forma che possiamo definire " organica", in quanto cresciuta non pianificata ( semmai lo sarà per episodi, come la piazza del Campo) ma condizionata dalla strada. Per aver seguito un processo formativo che é tipico dei centri nati e cresciuti nel medioevo, Siena appare oggi, allo sguardo di noi turisti, la più medioevale delle grandi città toscane e non solo di queste.
La fortuna di Siena raggiunse il culmine nei decenni tra Due e Trecento, al tempo del Governo dei Nove, quando la sua popolazione superava abbondantemente i quarantamila abitanti e il voto urbano assumeva quei caratteri gotici che ne hanno fatto una delle più celebrate mete turistiche. La funzione viaria della città trova conferma nel grande numero di ospedali che nel medioevo sono documentati ( anche se non contemporaneamente) entro le mura: trentacinque e forse più, ai quali dobbiamo aggiungere tutti quelli sorti nelle immediate vicinanze, posti sulle vie di accesso, ma specialmente sulla via Francigena.
Esempio di ospedale cittadino di ridotte dimensioni é quello di San Pietro alla Magione, in via di Camollia, che fu dei Templari, di cui si conservano la chiesa romanica ad unica navatella absidata ( in un primo tempo dotata di due portali gemelli sulla facciata, poi sostituiti un trecentesco), ed altri ambienti dell'ospizio.
L'ospedale di Santa Maria della Scala, cosiddetto per essere sorto di fronte alla scalinata del Duomo, sorto nell'XI secolo, divenne una delle maggiori fondazioni del suo genere, estendendo ben presto la sua attività anche nel campo medico. Rimasto in uso praticamente fino ai giorni nostri, crebbe considerevolmente nel tempo e subì molte trasformazioni, come si può vedere già nella sua composita facciata. Oltre alla chiesa di Santa Maria, sorta nel XIII secolo ma rinnovata dopo la metà del XIV, che conserva un notevole patrimonio di opere d'arte, vi si distinguono il " pellegrinaio", affresco nella prima metà del Quattrocento da Domenico di Bartolo, ed altri locali con resti di affreschi.
All'ospitalità religiosa della città va aggiunta anche quella " a pagamento", che si affermò successivamente, ma é ben documentata a Siena già nel tardo medioevo. Da registri della Biaccherna del 1288 risultava attiva una novantina di albergatori, spesso appartenenti anche a famiglie di riguardo. La maggior parte dei loro esercizi era compresa nei terzi di Camollia e di San Martino, cioè nella parte della città più interessata dalla via Francigena.
In questo contesto, storico - letterario - turistico, abbiamo cercato di approfondire maggiormente le nostre conoscere di questa bellissima città di Siena, di questa figlia della via Francigena, che nei pellegrini in transito per Roma, ha fatto la ricchezza della città, dei senesi, ma soprattutto degli istituti bancari cittadini. Adesso ci vogliamo soffermare sull'arte e su alcuni grandi artisti che con le loro opere hanno fatto grande non solo Siena, ma soprattutto il nostro Paese.  

Da Siena a San Gimignano.
Dopo questi ricordi di ieri e di oggi, riprendiamo a scrivere sulla nostra agenda di viaggio questi luoghi stupendi, dove le colline ora brulle ed ora colorate, si elevano verso un orizzonte quasi chiuso dove svettano i verdi cipressi quasi a recinto di un casolare, ma subito dopo degradino verso la vallata dove lo sguardo spazia in un paesaggio da sogno, mentre la catena montuosa si tinge di azzurro e si confonde con il cielo terso e bellissimo. A questi sfondi da quinta teatrale, oltre ai pittori della corrente dei " Macchiaioli", sicuramente attinse anche il grande Leonardo, per dare profondità ai suoi capolavori pittorici.
La strada che taglia longitudinalmente la Val D'Elsa, porta a Siena, ma il nostro torpedone ha imboccato la strada provinciale che porta dritti dritti a San Gimignano, come previsto sulla tabella di marcia. Dopo di aver toccato le pievi di San Pietro a Colano e di santa Maria a Chianni ( Cambassi Terme), seguendo la direttrice di Luiano si entra nell'attuale territorio comunale di S. Gimignano. Percorrendo questo itinerario, ci siamo accorti che il paesaggio era cambiato completamente. Non c'erano più i meravigliosi vigneti, i colorati boschi cedui, i castagneti e le verdi scure pinete che incorniciano il paesaggio toscano, ma un territorio collinoso con pochi alberi, dove viene coltivato l'ulivo, il grano e i cereali. Su quelle colline, dove l'occhio si perde in un profondo orizzonte, si vedono soltanto dei lunghi filari di cipressi che delimitavano i costoni, i mammelloni dove risaltano i colori delle terre di Siena, i casolari e piccoli villaggi barbicati sui pendii. Dall'alto di una di queste colline , quasi priva di piante, si scorge in lontananza la Slyline di San Gimignano, immerso nell'affascinante paesaggio agricolo della Verde Toscana. Le torri cittadine svettano verso il cielo come i cipressi sul colle e che nel Medioevo raggiunsero il numero di 72
Verso le ore 10 circa, il torpedone si é fermato nel grosso parcheggio subito fuori le mura dell'antica città. Il nucleo degli escursionisti in piccoli gruppetti si é avviato verso il centro di S. Gimignano e si é quasi disperso fra l'anonima ed eterogenea folla di turisti internazionali.
Il punto d'incontro era la piazza della Cisterna, suggestivo spazio triangolare scandito da torri e antichi palazzi.
I motivi della scelta da parte degli organizzatori dell'Ente Valle di Campitello, é stato lo straordinario interesse di San Gimignano, che sta non solo nella sua singolare bellezza di borgo antico toscano inserito in un verde paesaggio, ma nella struttura dell'insieme urbano e nel suo stretto coinvolgimento nelle vicende storiche della Toscana. La sua importanza nel Medioevo é testimoniata dalla presenza delle molte torri e case - torri che svettano ancora nel centro storico.
Passeggiando nel centro storico con gli amici di viaggio, mi sono accorto che molti di essi sono stati appunto impressionati dalle moltissime torri che svettano nel centro storico del borgo e molti si sono domandati il loro significato, molti altri sono rimasti indifferenti ignorando persino la loro esistenza. Ma dico io, come si può rimanere indifferenti di fronte a tanta bellezza, sia paesaggistica che storica? Forse la risposta é semplicissima, quelle poche persone non sono state mai avvezze alla storia e all'architettura che abbonda nel nostro Paese. Noi non siamo storici, ma nelle nostre poche cognizioni di storia e di architettura, abbiamo cercato di dare una risposta ai nostri amici che ce l'hanno chiesto.
San Gimignano, é una delle più note mete turistiche della Toscana, fu la principale località toccata da questo ramo della via Frangigena, che attraversa tutto l'abitato tra le porte di San Matteo e di San Giovanni. La sua funzione viaria é attestata dalla presenza di numerosi ospedali, tra i quali ricordiamo la missione templare di San Jacopo al Tempio e i due ospizi giovanniti di San Giovanni e di San Bartolomeo, dei quali rimangono interessanti strutture romaniche, oltre all'ospedale di Santa Fina ancora in funzione.
La storia ci racconta che la città si sviluppò nei pressi di un crocevia che raggiunse la massima importanza fra il IX e l'XI secolo: l'asse principale era la via Romea, che collegava Roma alle province transalpine e che in Val d'Elsa incontrava la via Pisana. Il nucleo primitivo sorse fra i due punti di riferimento più vicini all'incrocio, la collinetta della Torre, dove sarebbe stato edificato il castello vescovile, e Montestaffoli, futura sede del potere secolare.
La cittadina raggiunse ben presto un'invidiabile prosperità economica, che cominciò a riflettersi nell'orgogliosa dignità degli edifici. Già nel 949 San Gimignano era designata borgo e, appena cinquant'anni dopo, proprio sul finire del millennio, veniva costruita una possente muraglia difensiva che circondava tutta la città e includeva anche un tratto della via Romea.
Le aperture verso l'esterno si riducevano all'arco della Cancelleria sul lato nord, quello dei Becci a sud, la porta Santo Stefano a est e la garitta di Montestaffoli a ovest, oggi scomparsa.
Fra l'XI e il XII secolo, la cittadina, sotto la protezione del potere vescovile, continuò a crescere e a prosperare.
Sono di questo periodo la collegiata, iniziata nel 1056, e la nascita fuori porta di due piccoli nuclei urbani, San Giovanni e San Matteo, come abbiamo detto sopra, sorti ai lati di della via Romea, che furono incorporati nella città grazie a un secondo giro di mura eretto all'inizio del XII secolo. In questo modo la struttura di San Gimignano prende forma a croce: un asse é formato dalla via Romea e l'altro dall'unione fra i due borghi incorporati.
A partire dal 1247 iniziarono a insediarsi in città gli ordini mendicanti, che furono propulsori della ricostruzione di varie chiese, come quella di San Francesco, e di altri importanti monumenti. San Gimignano , sempre più ricca grazie alle sue frequenti attività - fra le quali spiccava per importanza la produzione di zafferano, che veniva esportato anche in Francia e nei Paesi Bassi - raggiunse in questo periodo il suo massimo splendore.
Abbiamo più volte accennato alle alte torri di San Gimignano, ma non abbiamo spiegato ancora su queste pagine il loro vero significato. Sicuramente non sono torri difensive o d'avvistamento militare, ma rappresentavano in quell'epoca il simbolo della grandezza del casato e del suo potere politico e finanziario. La famiglia più era agiata e la torre che sormontava il loro palazzo doveva essere più alta. Ecco perché nel borgo di San Gimignano abbiamo visto torri alte e meno alte.
All'ombra di queste alte torri vi é la bellissima piazza che prende nome dal Pozzo, che ivi é ubicato in mezzo alla piazza dove gli abitanti, fino a molti anni fa quando non esisteva ancora la rete idrica, si recavano per attingere l'acqua. Oggi quel pozzo é diventato un vero monumento del borgo antico, attorno al quale si esibiscono degli artisti e musicisti di passaggio. Fin dal mattino, vi stazionavano due bravi musicisti austriaci: una giovane e bella signorina al violoncello ed un giovane occhialuto sui 40 anni circa, al flauto, eseguivano magistralmente dei pezzi di musica classica. I turisti si fermavano, ascoltavano la buona musica e offrivano il loro obolo nell'apposita scatola, posto sotto i gradini che circondano il pozzo. Con Adriana, la Cesarina ( la nostra accompagnatrice) ed un gruppetto dei nostri amici, ci siamo seduti sui gradini del pozzo, per riposare le nostre membra stanchi e goderci un momento di buona musica. La grande piazza non era affollata di quella massa anonima ed eterogenea dei soliti turisti chiassosi, ma di persone che evidentemente amavano quel genere di musica classica. Di fronte a noi, sul lato destro, sorge un noto bar gelateria con gli ombrelloni aperti per ripararsi dal sole e i classici tavolini come ai vecchi tempi. Ad uno di quei tavolini, come sulla terrazza di San Miniato, era solito fermarsi a prendere il caffè o il cappuccino, lo scrittore francese Jean d'Ormesson, dove ha scritto moltissime pagine del suo romanzo: " Il vento della sera", che é un romanzo straordinariamente vitale, un imponente e arioso affresco ricco di personaggi ed eventi, un prezioso tessuto narrativo che trasforma piccoli e grandi fatti di cronaca in avvincenti storie dentro la Storia.
A tutte queste scene del passato che si animavano attorno a noi che eravamo seduti sui gradini del Pozzo non accordavo un'importanza smisurata. Non credo affatto che il passato basti per comprendere il futuro. Arrivo fino a pensare che la tanto diffusa convinzione che lo illumini e lo spieghi non significhi gran che. Quel che é vero fino all'evidenza é che il passato costituisce il basamento su cui s'innalza il presente, che esso accumula le condizioni di ogni storia futura. La vita ha questo di caratteristico, che viene fuori spontaneamente. E' sempre l'inatteso ad avere le maggiori probabilità di sopravvenire. Ma anzitutto deve partire dall'esistente. E ciò che non ci si aspetta deve venir fuori da ciò che si conosce. La storia é la costruzione della vita. Il passato é ciò che impedisce che l'avvenire sia una cosa qualsiasi.
Stando seduti sui grandini del pozzo, affluivano dentro di me tutti questi pensieri dal passato al presente, mentre si diffondevano nell'aria le meravigliose note di quella soave musica classica, mi sembrava che il fluire, lo scorrere del tempo si fosse fermato, ma la successione illimitata di istanti entro la quale viene concepito e registrato il trascorrere delle cose e degli eventi, non si ferma mai. Parlando del tempo, Jan d'Ormesson, così scriveva:
" Il tempo non scorre sempre allo stesso ritmo. Ci sono delle lunghe sere d'estate o d'autunno in cui sembra quasi immobile, Ci sono degli istanti di felicità che svaniscono così in fretta che sembrano appena sfiorati dalla sua corsa ansimante". A noi era successa la stessa cosa.
La pausa pranzo , oltre che essere un rito, é una necessità per mantenere in buona salute il corpo e per permettere al cervello e alla mente l'insieme delle facoltà intellettive e razionali dell'essere umano di rimanere efficienti, perché restare a stomaco vuoto si fa fatica a recepire tutte le informazioni storiche e architettoniche di questo borgo medioevale. La pausa pranzo, oltre ad essere un rito é un momento di socializzazione con gli altri commensali, perché non si vive di solo cibo, ma anche di conversazione e di amicizia. Seduti allo stesso tavolo ci si conosce meglio e ti permette di conoscere a fondo le persone che ti stanno a fianco e di scambiare due, quattro parole con loro. In queste occasioni nasce la vera amicizia.
Oh si, l'amicizia, non tutti conoscono questa parola bellissima, che vuol dire tante cose e che oggi sembra poco di moda, perché non si conosce il suo vero significato intrinseco, interiore, intimo, che vuol dire benevolenza, fratellanza, affezione familiare, intimità e simpatia. Il segreto di un'esistenza felice sarebbe proprio questo: sapere identificare al momento giusto le persone e i sentimenti profondi per istituire la vera amicizia. Si direbbe un traguardo elementare, se non fosse che a quella che possiamo definire " la voce della coscienza", che dovrebbe guidarci senza sbagliare la rotta, si oppongono giorno dopo giorno centinaia di altri richiami.
Sono voci esterne, molto spesso futili, che però non possiamo fare a meno di ascoltare, e che mettono in dubbio le certezze del giorno prima.
In questa zona oscura del nostro essere, in questo buio insormontabile della certezza: la saggezza é messa in crisi dall'ambizione. La serenità é continuamente aggredita dalle tentazioni; le passioni si fanno beffe della ragionevolezza. E il passar del tempo anziché placarsi spalanca nuovi inquietanti interrogativi.
Come uscire allora da questo vicolo cieco? Simile ad un treno in corsa che attraversa fasci di binari, la voce dei desideri apre e chiede gli scambi, si entusiasma e si deprime, incapace di scegliere il binario giusto. Ma chi sarà il vero macchinista del treno? Noi naturalmente, si, siamo noi stessi, con le nostre gioie e anche con le nostre debolezze.
Per la pausa pranzo eravamo attesi al ristorante " La Mandragola", sito in un caratteristico vicolo all'ombra di una vecchia torre. La signora Cesarina, in precedenza ci aveva letto il menù, che consisteva: Per primo piatto la "Ribollita", mentre per il secondo piatto, coniglio arrosto, vino e cantuccelli con vin santo.
Molti di noi si aspettavano gli spaghetti o le lasagne al forno, come succede di solito nelle gite organizzate, ma sentendo la "ribollita", la maggior parte sono rimasti male. Si sono chiesti, ma che cose la " Ribollita?". Per trovare il significato esatto di questo piatto locale, bisogna fare un salto indietro nel passato ed addentrarsi nella cultura contadina toscana. In effetti, si tratta di un piatti molto povero. La ribollita é una minestra toscana di cavolo nero, con fagioli e altre verdure, prima cotti separatamente e poi cucinati insieme e versati su fette di pane aromatizzato con aglio.
Quella che ci hanno servito, senza dubbio, era un ottimo primo, ma secondo me, non era la vera ribollita, ma un piatto di minestrone passato e reso quasi denso con l'aggiunta di pane raffermo e pezzettini di prosciutto ed un filo d'olio d'oliva.
La storia di questo piatto povero della Toscana di altri tempi, veniva confezionato in una grossa pignatta di terra cotta, con tutte le verdure sopra menzionate, che rimaneva sempre a cuocere lentamente sul fuoco , per giorni e giorni. Ogni volta che si prelevava la minestra dalla pignatta, venivano aggiunte altre verdure e fette di pane raffermo per il giorno seguente. Ecco perché il nome " Ribollita", perché ribolliva in continuazione.   

Il paesaggio senese.
(Domenica 3 ott. 2004)
Lontano dai ritmi frenetici della vita d'oggi, al confine tra la Val Padana e l'Emilia Romagna, la Toscana viene ricordata per le sue verdi colline e per i pittoreschi paesini che svettano sulla cima dei colli, ma anche e soprattutto per i suoi grandi artisti della corrente dei "macchiaioli" come Giovanni Fattori, Telemaco Signorini eccetera et ecc. Con questo nome furono indicati, per la prima volta ironicamente del 1861, alcuni pittori che all'esposizione della Promotrice fiorentina di quell'anno avevano presentato quadri di paesaggio da loro stessi definiti " macchie" perché dipinti a semplice macchia di colore. Questa classica meta del fine settimana per chi vive nelle grandi città, ma anche per quelli come noi della Terza età, che dal piccolo borgo padano di Campitello: un borgo di sapore medioevale, dove la vita segue un lento ritmo di vita quotidiana, ma con tanta voglia nel cuore di evadere per conoscere da vicino questi luoghi bellissimi, che in fondo non sono altro che una vera macchia di colore, ma anche siti della storia medioevale del nostro Paese.
Eppure, appena ci si allontana dalle lande afose e nebbiose della grande e bellissima Val Padana, e si incomincia a percorre la grande arteria che sale verso i contrafforti boscosi dell'Appennino Tosco - Emiliano, appare un mondo nuovo, un mondo diverso e la Verde Toscana appartiene a questo mondo. E' veramente bello viaggiare in questo periodo autunnale ed ammirare la rigogliosa vegetazione che ne ricopre i versanti che offre una tale varietà di colori e di scorci paesaggistici che chiunque viene catturato dal desiderio di esplorarla percorrendo le numerose strade e sentieri, un tempo vie di comunicazione tra una comunità e l'altra e non solo del nostro Paese, ma dall'intera Europa del Nord Ovest, partendo da Canterburi, da Santiago de Compustela e della Francia, i pellegrini che volevano raggiungere Roma, percorsero questa strada chiamata " Francigena o Romea".
Dopo molti secoli, infatti, con la nascita delle moderne autostrade che collegano la brumosa Lombardia alla Toscana, ridente scenario di un paesaggio grandioso, di grande respiro e soprattutto di grande bellezza si sono aperte le grandi vie di comunicazione con tutta l'Europa. Ammirando queste alte e superbe montagne, ti sembra di trovarti di fronte alla tavolozza di un grande pittore, dove, cronologicamente l'artista vi ha sistemato sapientemente la gamma cromatica dei colori, per dipingere il suo capolavoro. Ad impreziosire questo capolavoro creato dalla Madre natura, ci ha pensato l'aurora con i suoi primi splendenti e luminosi sprazzi di quel caratteristico colore rosato che assume il cielo a oriente, immediatamente prima del sorgere del sole. A completare l'opera perfetta in ogni sua sfumatura, ci ha pensato l'astro celeste: il Sole.
Il grosso torpedone segue la sua corsa ad una andatura di crociera, tanto che ci consente di ammirare tranquillamente, attraverso il grande e panoramico cruscotto del torpedone, un paesaggio stupendo, che ormai é diventato un classico del cuore della vecchia e sempre meravigliosa Toscana. Sia sulla destra quanto sulla sinistra, sfila davanti ai nostri occhi, come un sequenza cinematografica, il paesaggio collinare coltivato a vigneto e a bosco ceduo. I colori sono quelli caratteristici di sempre: i colori delle terre di Siena, impastati con i gialli e le ocre delle foglie delle vite e dei querceti , mentre esaltano gli azzurri della profondità e i grigi degli oliveti della campagna Toscana.
Visitare in questo periodo autunnale la Toscana, é un godimento continuo, non solo per gli occhi , ma anche e soprattutto per i sensi che il nostro organismo percepisce in continuazione provenienti dall'esterno. Questa é Terra di meditazione: si apre intera con le sue luci abbaglianti, i suoi colori di terre forti e le sue cupe ombre a noi semplici e silenziosi turisti della sua bellezza.
Il suo fascino, come scriveva il poeta, é lento ma duraturo nel tempo e nello spazio; é come quei profumi intensi che abbiamo provato nel ripercorrere di recente, anche se sul filo della memoria del nostro passato prossimo, della nostra Old Calabria, questi profumi sembra debbono subito svanire, eppure resistono al tempo e penetrano di se ogni cosa.
Abbiamo da poco lasciato le alte colline contornate da boschi colorati e di fittissime e fresche pinete verde scuro, con i castagneti e i boschi cedui e siamo entrati nel paradiso terrestre della vecchia e terra di Toscana, con l'immensità dei suoi vigneti, dove il paesaggio si perde all'orizzonte e si fonde con la massa sfumata del Monte Amiata: E' una montagna incantata, dove una volta si celebravano i magici riti etruschi. Oggi, vi si possono celebrare i riti dell'evasione, del tempo libero, alla ricerca di un'antica serenità.
Si, é vero, é proprio così, di quella serenità che stiamo cercando anche noi anziani che giungiamo dalla brumosa Lombardia. Essa non é soltanto la regione dei colori velati dalla nebbia, ma é un susseguirsi di panorami incantevoli e sensazioni suggestive, quasi al limite dell'irreale. Ma oggi, siamo qui alla scoperta di un itinerario nuovo, diverso per assimilare l'essenza di un'antica terra, dove si fondono leggenda, storia e tradizione. Un itinerario per sentirsi in sintonia con ciò che ci circonda: la religiosità, l'arte, la buona tavola, l'artigianato e soprattutto quella fonte inesauribile di sorprese che é il paesaggio.
Val D'Elsa.
E bastata una piccola sosta, dove la strada prosegue immersa in vasti e profondi campi collinari coltivati a vigneto, dove svettano lunghi viali di cipressi che contornano casolari e vecchi conventi. Siamo capitati in un periodo che fervono i lavori della vendemmia e ovunque guardi vedi carri agricoli che trasportano l'uva alle cantine per essere pigiata, mentre nell'aria si percepiscono gli intensi profumi di mosto, che persino ci fanno ubriacare.
Da quella posizione possiamo ammirare luci e ombre sulle stradine di campagna, filari di viti ben ordinati, l'imponente cinta muraria del maestoso castello di Montiriggioni, che si trova tra Firenze e Siena. Il fronte della splendida casa che fu di Monna Lisa. Insomma, una bella panoramica sulla fertilissima campagna toscana; un suggestivo angolo di paese con le vecchie case rustiche di mattoni rossi e ingialliti dal tempo, piene di storia e dell'antico fascino. Quello é un tipico paesaggio della verde zona del Chianti Doc, da Monteriggioni verso Firenze e a 15 chilometri da Siena. Uno sguardo ravvicinato alle uve pregiate del Chianti, nel vicino vigneto ancora da vendemmiare. Guardando attraverso i filari, si intravedono i grappoli in fruttiscenza costituita da un asse centrale allungato, dal quale pendono i peduncoli di numerosi frutti di uva nera.
Alcuni anni fa, dall'antica abbazia romana di San Salvatore, sita nel vecchio borgo di Badia Isola, che sorge di fronte alla stupenda collina sulla quale sorge il Castello fortificato di Montireggioni, circondato da una possente cerchia di mura medioevali munita da 14 torri, ispiratore di Dante ( inferno canto XXXI n. 40 ) dove la vita sembra che si sia fermata a quel lontano tempo del divino maestro che così faceva a scrivere questi versi immortali:
"..però che, come in su la cerchia tonda
Montereggion di torri si corona,
Così la proda che il pozzo circonda
Torreggiavan di mezza la persona
Gli orribili giganti, cui minaccia
Giove dal cielo ancora, quando tuona ....
In quella mattina brumosa di fine autunno, con gli amici del CAI di Mantova, abbiamo partecipato alla lunga marcia che si é conclusa nella grande Piazza dietro la Cattedrale di Siena, percorrendo il vecchio tracciato della Francigena. Qualcuno si potrebbe domandare che significato ha la parola " Frangigena"? La Frangigena é la famosa via Romea, che nel medioevo percorrevano i pellegrini provenienti da Canterburi, dalla Spagna e della Francia diretti a Roma e a Gerusalemme. Adriana ed io, ricordo che siamo giunti fra i primi 60 escursionisti, provenienti da diverse località della Toscana e della Lombardia. Quella é stata una giornata meravigliosa, che difficilmente possiamo dimenticare. Quella, oltre ad essere una bellissima passeggiata, é stata una commemorazione e un omaggio alla vecchia Frangigena. L'escursione é stata organizzata dal CAI della città di Siena, fin nei minimi particolari. Durante il percorso, abbiamo incontrato diversi punti di ristoro e di assistenza sanitaria. Il tutto gestito dall'organizzazione militare, del battaglione " Folgore". Alla fine della lunga passeggiata, man mano che gli escursionisti giungevano al punto d'arrivo, gli veniva assegnato dall'organizzazione un premio, che era uguale per tutti: due bottiglie di chianti, una maglietta e un cappellino ricordo. Dopo qualche settimana, su nostra richiesta, ci é stata inviata la cassetta con il filmato dell'intera escursione.
Da quando con Adriana mia moglie, abbiamo scoperto la verde e bellissima terra di Toscana, ahimè sono trascorsi molti anni, abbiamo apprezzato moltissimo queste stupende colline, immedesimandoci nei suoi colori, nei profumi e nelle emozioni che avvolgono questo mondo antico e nello stesso tempo incantato, dove ci ricordano momenti di vita, momenti vissuti nella magica atmosfera che avvolge ogni cosa.  

"Versi" a spasso per il parco
Il torpedone ci ha lasciati ai piedi del monte fra boschi di castagne in mezzo a cui scorrevano limpidi e queruli ruscelli. Avidi di ammirare quel riposante paesaggio ed avidi di incominciare a salire su per la montagna, avevo avuto appena il tempo di rimarcare che alcune volte il sentiero era fatto di pura lava che ancora mostrava le sue onde pastose e le sue linee curve e concentriche, quasi un ruscello di pigra ceralacca che scendesse per un piano inclinato: qua e là avevo raccolto a fior di terra un pezzetto di ocra rossa di pasta finissima, per cui, pensavo, essendo pittore dilettante, che quel minerale, impastato con l'olio di lino, potrebbe essere adoperata nella pittura, mentre Adriana aveva fatto bottino degli ultimi fiori d'autunno.
Anche se eravamo nei primi giorni di dicembre , di tanto in tanto, incontravamo lungo i sentieri le eriche e gli arbusti sempre verdi e le felci invadere i boschi di castagni, finché riuscivano a farsi padroni della montagna. La natura mi sembrava sempre più bella quanto più era selvaggia, e allora sempre più mi ricordava i versi del canarino Cayrasco, che avevo letto nel libro di Paolo Mantegazza:
Siempre desea florecer la oliva,
Destillar de las penas miel sabrosa;
Y con murmurio blando la agua viva
Baxar del alto monte presuroso:
Templar el ayre la calor estiva,
De suerte que a ninguno see enojosa;
Y enfin por su lemplage, lauros; palmas,
Ser los campos Elyseos de las Almas."
Su quel sentiero ho visto nuove piante, che prima non conoscevo. Il bosco selvaggio era circondato da ogni parte dalla flora canarina. Erano il brezzo ( Erica arborea e scaparia), eriche così alte che si può sedersi sotto la loro ombra. Nella My Old Calabria, lungo le pareti argillose e dove corrono i torrenti silenziosi , si trova questa specie di erica, ma il fusto é leggermente più ridimensionato, mentre dalla robusta radica si ricava il materiale, con il quale le industrie costruire le pipe. Nel parco, oltre ai canarini, la colomba del lauro. Il primo si trova in tutte le isole Canarie ed anche a Madera, ma é diverso del gentile prigioniero che noi tutti conosciamo e che ci rallegra con i suoi vivaci gorgheggi. La Fringilla Canaria ha il dorso grigio oscuro leggermente olivastro con macchie oblunghe di un bruno nerastro, con la coda bruna, con il collo, il petto e il ventre di un colore giallo vivo. Il nostro canarino é una specie fabbricata da noi che canta assai diversamente dell'uccello selvaggio. A Tenerife ho visto razze bellissime di canarini e capaci di veri prodigi di canto. Oltre ai canarini , ci sono i pappagalli che sono molto colorati e se lunghi il braccio si posano e cercano sulla mano il cibo. Oltre a questi simpatici pappagalli vi é una miriade di altri uccelli rari che volavano da un albero all'altro. Percorrendo quei sentieri vi abbiamo incontrato inoltre la capra selvaggia dalle lunghe corna attorcigliate: una razza proprio delle Canarie. Oltre alle capre dalle lunghe corna, vi pascolano numerose famiglie di maiali e maialini allo stato brado in cerca di tuberi e di castagne. Abbiamo appreso che gli indigeni delle Canarie nel passato possedevano molti porci e attraverso le cronache dei conquistatori come i porchetti e i piccoli cani arrostiti figurassero fra i pasti più ghiotti dei Guanches . Vedendo pascolare tranquillamente le capre e i maiali, ci ha risvegliato dentro di noi il ricordo dell'escursione in Sardegna, quando si arriva all'altopiano di Golgo, si incontrano le capre selvatiche e i maiali allo stato brado, che spesso si incrociano con i cinghiali, proprio come qui nella splendida Sardegna. Poi appare la bianca ed antica chiesetta di S. Pietro, con i suoi caratteristici ricoveri per i pellegrini. Il forno e i maestosi olivastri, si respira misticismo e pace. Però non spiace interrompere l'atmosfera con una gustosissimo "porceddu" arrosto o una pecora cucinata con patate, verdure e accompagnata da buon vino locale, dagli amici della Coop. Coloritzè. Qui nel Parco, come sul Golgo, germogliano molte piante medicinali, e fra queste germoglia una qualità di salvia, dalle cui foglie si estrae un olio essenziale che contribuisce notevolmente a curare la memoria di noi della Terza Età. Di tanto in tanto si vede qualche pino superstite (Pinos canariensis) - Il Pino delle Canarie é davvero un bell'albero: con la sua vegetazione rigogliosa e i suoi rami robusti, con il tronco spesso ornato di pittoresche germogli di musco, una specie di pianta parassitaria dal portamento meridionale e il suo verde vivace, é il principe legittimo della flora canariense. Nel Parco, abbiamo ammirato a lungo un ginepro antichissimo torto e piegato dal vento, il famoso ginepro di El Hierro. Non sto qui ad elencare tutte le varietà di piante e di fiori che s'incontrano sui sentieri del grande Parco, ma posso dire che nella sua selvaggia bellezza, osservando con attenzione puoi ammirare un vero e proprio giardino dalle mille sfumature. Tuttora sulle Montanàs de Fuego, come su quella di Lanzarote si vedono fiamme e vapori. Nel 1971 a La Palma c'è stata l'ultima eruzione   

Parque Nacional Del Teyde
Nel nostro breve soggiorno presso l'Hotel H. 10 Las Palmeras, circondato da ampi giardini subtropicali, che si affaccia sulla passeggiata e sulla spiaggia sabbiosa di rena trasportata dal vicino deserto: una spiaggia che contrasta con il resto delle altre spiagge dell'Isola. Questo grosso albergo é ubicato al centro della Paya de Las America. L'area più vasta di Tenerife, offre ai turisti una vacanza gradevole fatta di sole, divertimento e relax. Un breve giro all'interno porta ad Adeje, il villaggio più antico, e a due ore di cammino da qui a al Barranco del Inferno, un crepaccio mozzafiato con una bella cascata. Lungo il litorale verso est, la Costa del Silencio, fatto di semplici bungalow costruito intorno al villaggio di pescatori contrasta piacevolmente con gran parte degli altri luoghi di villeggiatura. Il porto di El Abrigo invece é pieno briosi ristoranti di pesce. Più ad est, all'ombra di un antico cono vulcanico, c'è EL Medano, famoso per due spiagge adibite al windsurf. Nelle vicinanze di un altro antico villaggio di pescatori, si trova Los Cristiano, sulla costa meridionale di Tenerife, che é diventata una cittadina che si estende ai piedi di aride colline. E da questo porticciolo che partono regolarmente i traghetti e gli idrovolanti per La Gomera. In uno dei primi giorni del nostro soggiorno in questo ridente angolo di paradiso terrestre, abbiamo dedicato un'intera giornata all'escursione sul Monte Teyde, che sovrasta Tenerife immerso in un scenario vulcanico selvaggio, é uno spettacolo che incute rispetto. La storia ci racconta che milioni di anni fa esplose un cono ancora più grande e si lasciò alle spalle la devastazione di Las Canàdas, cratere largo 16 chilometri, é il vulcano Teyde, più piccolo, all'estremità nord. Oggi i materiali vulcanici formano una distesa desolata di logore rocce tinte dai minerali, fondi di cenere e colate laviche. Un'unica strada passa per l'altopiano di Las Canàdas, tra un parador, un centro informazioni e una moderna funivia. Seguendo i sentieri, si apprezza meglio questa straordinaria area, che per le sue vedute strapiombanti forma un paesaggio dantesco. Volevamo ammirare da vicino quella meravigliosa natura, volevamo abbracciarla con un più intimo amplesso. Trovando le nostre gambe d'accordo con il nostro desiderio, partimmo dal nostro Hotel, prima del sorgere del sole a bordo di un pullman di linea, che ci ha condotti al piazzale della funivia. Con questo mezzo siamo saliti fino a e quota 2750, da cui ha avuto inizio, per i nostri amici " caini" la spettacolare salita verso la cima, la Caòadas del Teyde, durante la quale si possono ammirare straordinari e unici ambienti vulcanici con grandiosi panorami sulle più vicine isole dell'arcipelago delle Canarie. In otto minuti di funivia si arriva a meno di 160 metri dalla cima di Teyde. Un sentiero tra i detriti offre una vista indimenticabile. Durante la salita si può effettuare una sosta presso il rifugio Parador m. 3300, restaurato di recente. Il Parador de Canàdos del Teyde é immerso in uno scenario surreale e metafisico: una base ideale per coloro che vogliano esplorare a fondo il parco. Noi, cioè io Adriana mia moglie e molti altri escursionisti, ci siamo fermati in quella località dove ci siamo rifocillati, ma soprattutto abbiamo ammirato quello stupendo paesaggio da sogno.      

Il corredo della sposa
Noi non siamo sicuramente scrittori di professione e neppure etnografi e tanto meno studiosi di questa scienza che studia le etnie umane nei caratteri fisici e morali che le distinguono nelle loro origini e nei loro spostamenti; eppure lo scrupolo con cui registriamo, giorno dopo giorno, le regole di un antico costume - appena temperate dai modi e dalle forme narrative - siamo o cerchiamo di essere in un certo senso rigorosi. Non si capisce per quali ragioni gli scrittori di professione non guardino mai con curiosità nelle tradizioni del mondo che fu a loro familiare per attingervi quel calore di verità che rende viva e durevole ogni rappresentazione.
Oggi, ci vogliamo soffermare su queste pagine di questo nostro zibaldone, per parlare della storia della dote alle ragazze da marito, che é tipica di tutte le province italiane e non soltanto dei paesi rurali come il nostro borgo antico di Cosoleto. La grande scrittrice Matilde Serao, parlando del corredo della sposa, così faceva a scrive: " L'obbligo del corredo spetta soltanto alla sposa , mentre lo sposo non ha questi obblighi, perché l'uomo é il padrone di casa".
La parola corredo significa l'insieme delle vesti, della biancheria che una sposa porta con sé dalla casa paterna, perciò ogni famiglia che aveva delle ragazze da maritare doveva per tempo preparare il corredo se voleva che si sposassero, altrimenti rimanevano zitelle e tutto ciò rappresentava un grosso peso per la famiglia. Sembra che oggi, in questo nostro tempo consumistico, non é più di moda preparare per tempo il corredo, essendo cambiati i canoni , gli usi é i costumi dei tempi che furono, e la famiglia della sposa lo acquistano direttamente al libero commercio ed al momento opportuno. Tra corredo e dote c'è una grande differenza: il corredo, come abbiamo visto era d'obbligo per tutte le ragazze da marito, mentre la dote significa l'insieme dei beni che la donna appartenente a famiglia agiata porta con sé maritandosi, per partecipare al sostentamento e alle spese della vita familiare.
Cinquant'anni fa, quando Adriana ed io ci siamo sposati, anche nell'Arma Benemerita, alla quale appartenevo, era obbligatorio che la futura sposa portasse il corredo e anche la dote. Nel corso degli accertamenti, per il rilascio del nulla osta da parte del Comando di Legione, oltre all'insieme dei principii che regolano il comportamento , la vita pubblica e quella privata, la moralità civile e le pendenze penali, comprendeva anche la verifica da parte di un ufficiale superiore dell'Arma, di accertare personalmente dell'esistenza del corredo e della dote.
Ritornando indietro nel tempo, emergono nella memoria del mio passato prossimo, oltre ai ricordi della mia fanciullezza, le bellezze paesaggistiche della rigogliosa vegetazione autunnale che ne ricopriva e ne ricopre le colline che circondano il piccolo borgo aspro montano di Cosoleto, che offriva una tale varietà di colori e di scorci paesaggistici che chiunque veniva e viene catturato dal desiderio di esplorarla percorrendo i numerosi sentieri che attraversano i boschi di castagne, le grandi vallate verdi degli oliveti e i vigneti con allo sfondo le bellissime montagne macchiate d'azzurro. Queste terre forti e le vallate bellissime, non hanno mai offerto allettanti prospettive di lavoro agli abitanti; quando gli albanesi eravamo noi, la maggior parte degli italiani dal Nord al Sud, come fece anche mio padre e i suoi fratelli, emigrarono in America, per fare fortuna. Dopo tanti anni di sacrifici, umiliazioni e di duro lavoro, fecero ritorno al paese di origine, dove acquistarono delle piccole proprietà, si costruirono la casa , si sposarono e continuarono così a fare gli agricoltori per il resto della loro vita. Oltre a produrre il grano, l'olio d'oliva, il vino , i cereali , gli ortaggi e altre attività tipicamente agricole, come la coltivazione della canapa , del lino e della ginestra, che opportunamente lavorate permettevano di confezionare lenzuola, tovaglie, biancheria personale e soprattutto per preparare il corredo per le loro figliole.
La storia : La pianta della canapa é coltivata fin dalla più remota antichità per le fibre che fornisce: La canapa, il cui uso é andato progressivamente diminuendo dal XIX secolo a oggi, é fornita in gran parte dall'India, dalla Cina e Corea del Nord. La canapa é una cultura da rinnovo ed esige terreni sciolti, profondi, freschi, ben preparati e abbondantemente concimati. In Italia la semina viene effettuata generalmente entro il mese di marzo, a spaglia o a file ed é seguita da una leggera erpicatura o da una rastrellatura. La pianta non richiede particolari lavori di coltivazione. La raccolta si esegue alla fine di luglio - primi di agosto, lasciando dapprima le piante sparse sul terreno e riunendo poi gli steli in fasci coi quali si formano cumuli di forma conica ( pile o pirle) per completare l'assiccamento. Quando questo é terminato, gli steli, ridotte in bacchette prive di foglie e di infiorescenze e riuniti in mannelle, vengono sottoposti alla macerazione e poi alla stigliatura. Queste operazioni sono analoghe a quelle in cui viene sottoposto il lino e la ginestra e mirano a liberare le lunghe fibre che si trovano nella zona liberiana dello stelo e che costituiscono il tiglio, il quale risulta così più lucente e pastoso. Il tiglio di canapa di qualità migliore é utilizzato dall'industria tessile per la produzione di tessuti diversi ( tela greggia, tela da vele, coperture, tele catramate, ecc.), quello di qualità più scadente é usato per la produzione dei cordami, uno dei campi di maggiore applicazione della canapa.
Ricordo che alla fine della campagna per la produzione e lavorazione della fibra, avveniva la filatura. Per quest'operazione, venivano impiegate oltre alle nonne tutte le persone anziane del rione che con i fusi: arnese di legno, panciuto nel mezzo e che si assottiglia gradualmente verso le due estremità, adoperato per filare a mano la lana e le altre fibre naturali, come appunto il lino, la canapa e la fibra di ginestra. Alla conclusione di quest'operazione di filatura, si passava alla tessitura. Nel piccolo borgo di Cosoleto, esisteva un solo telaio a mano, quello primitivo e completamente in legno di ulivo, fornito di organi adatti all'intreccio della trama e dell'ordito, lo stesso modello di quello che adoperava Penelope, per tessere il sudario per il padre di Ulisse , Laerte, che ogni notte disfaceva la tela tessuta di giorno, in modo di non finirla mai, ma fu tradita da un'ancella e costretta a condurla a termine. Quel telaio della zia Cristina, era un cimelio storico, che rispecchiava quel modello portato dai Greci otto mila anni fa prima di Cristo, quando fondarono la Magna Grecia, e veniva adoperato nel periodo invernale, per tessere la tela per la dote delle mie sorelle.
L'operatrice di quel vetusto e funzionante telaio, era la zia Cristina,( detta la bagnarota), perché proveniva dalla bella e solare cittadina di Bagnara, che sorge sulla meravigliosa Costa Viola, dove le sue origini si perdono nella notte dei tempi, che probabilmente risalgono al periodo della Magna Grecia. In quel tempo, frequentavo le scuole elementari e nel tempo libero, mi divertivo a plasmare la creta. Ricordo che la zia Cristina, mi commissionava i contrappesi per tenere la tela sempre tesa, così ogni volta che si rompeva uno lo rifacevo con l'argilla e lo portavo alla fornace per farlo cuocere. Da quello che é stato per me un gioco da fanciullo, molti anni più tardi, plasmare l'argilla e dipingere divennero i miei principali hobby preferiti. Sia con la pittura che con l'argilla, ho riscosso, immeritatamente, molti riconoscimenti da parte del pubblico, della stampa e della critica. Ritornando al passato, devo dire che ero contento di espletare tale incarico, perché alla fine la zia Cristina mi ricompensava sempre con un pugno di fichi secchi. Quelli erano tempi grigi, quando le piccole e semplice cose erano molto apprezzate, come appunto un pugno di fichi secchi, due noci e quattro castagne secche. La stessa cosa, in quel periodo autarchico e di carestia, voleva dire per il corredo delle ragazze da marito. Se le famiglie non si ingegnavano artigianalmente per fabbricare e ricamare in casa il corredo delle ragazze, non c'era altra possibilità per sopperire alla bisogna.
E' bene che questo aspetto del racconto sia precisato con chiarezza. Qui si tratta di un aspetto stretto da regole e da esigenze precise. Emergono dai meandri dei ricordi di un fanciullo, oltre al quadro la qualità, la laboriosità dell'uomo. In questo senso é ricostruita un'esperienza unica e irripetibile e sarebbe bene che trovasse, in altre Regioni italiane, non tanto imitatori, ma testimoni corretti di costumi e tradizioni ancora operanti nella vita della comunità contadina della vecchia e cara Calabria.
Il paesello natale, inalterato da secoli nella sua fisionomia agreste, sono sicuro che non é affatto cambiato, é rimasto tale e quale lo abbiamo lasciato 60 anni fa, con i suoi problemi irrisolti, i suoi problemi di sempre , che si trascina come un pesante fardello. Ci siamo offerti come testimoni e interprete di una storia che nasce spontanea dai ricordi.
Si é fatto ogni sforzo per realizzare l'unità Europea; si sta' facendo di tutto per fare entrare la Turchia e i Paesi dell'Est nella Comunità europea - e ben a ragione - per sensibilizzare soprattutto i giovani ad "incontrare l'Europa" e, forse non si pensa abbastanza ad "incontrare l'Italia" unita, forse non si pensa abbastanza ad "incontrare l'Italia". Ed incontrare l'Italia" significa penetrare nella cultura, nelle tradizione, nel modo di vedere e intendere la vita e il mondo propri di ciascuna zona di questa composita realtà socio culturale che é la nostra Italia presenta. Ma soprattutto significa riuscire ad eliminare più che il divario economico, la sostanzialmente assai scarsa comprensione e, quindi, la fondamentale difficoltà di un dialogo aperto e fecondo fra il ricco Nord e la povertà del vecchio Sud. E ciò é dovuto, in particolare, al diverso terreno, al diverso humus storico e culturale nel quale affondano le loro radici il Nord ed il Mezzogiorno.
Scoprire e capire le più profonde radici della tradizione e della storia del Mezzogiorno italiano é fondamentale sia per il Nord, onde possa comprendere e, quindi, amare il Mezzogiorno stesso, onde possa "ritrovare se stesso", la coscienza della propria natura, che é , in fin dei conti, la coscienza della propria storia.   

Tenerife: montagna innevata
Nella lingua degli aborigeni guanci, Tenerife significa "Montagna Innevata", un omaggio alla sua caratteristica geografica salente: il vulcano inattivo del Monte Teyde, la più alta cima spagnola. Tenerife é irregolare massa triangolare di terra la più vasta delle isole Canarie. Si erge ripida verso la vetta, coperta di nuvole, ed é divisa in due zone climatiche ben distinte: umida e lussureggiante a nord, assolata e secca a sud. Tenerife offre una gamma di attrazioni ben più ampia di tutte le altre isole, tra cui lo spettacolare paesaggio vulcanico, gli sport acquatici e una vibrante atmosfera notturna. Le spiagge, tuttavia, sono di sabbia nera, non certo allettanti e piuttosto modeste per chi nuota. Le stazioni turistiche sono piene di appartamenti e hotel: vita notturna molto vivace, ma poca tranquillità.
Il centro storico della cittadina di Tenerife, é ancora oggi come l'ha descritta Mantegazza: " Le contrade di questa solare cittadina sono pulite, le case poco alte, a colori lieti, aperte alla luce e all'aria serena di quel paese. Pochi palazzi, ma anche poche case scrostate, l'aria di facile agiatezza e di contento. Molte chiese, fra le quali ricordo quella della Concezione sulla cui altissima torre ascesi per contemplare il panorama della città, dei neri monti che la circondano e del lontano cono del Teyde". La città non ha certamente il tumulto dell'industria operosa; poca gente col cipiglio fra il lieto e l'ozioso: moltissimi mendicanti che non stringono il cuore coll'aspetto della miseria, ma che serenamente esercitano il mestiere del dolce far niente, (come del resto succede nelle nostre città e particolarmente a Napoli); alcune signore che portano ancora la pittoresca "manta"; molti preti con i loro cappelli che Rossini e Don Basilio hanno fatto immortali. Per le strade, per le piazze di Tenerife, come pure nei locali pubblici e in quelli notturni, si incontrano spesso molti nostri connazionali, che cercano di trascorrere nel miglior modo possibile il loro tempo libero. Se non fosse per i tanti vulcani che si ammirano sulle alte cime, ci sembrerebbe di essere nell'Andalusia, ma non dobbiamo dimenticarci che ci troviamo in terra di Spagna. Qui tutti parlano lo spagnolo, ma conoscono anche la nostra lingua, specialmente nei locali notturni dove l'attrattiva principale é il flamenco, con le sue splendide ballerine andaluse, dove ti offrono volentieri la tipica bevanda spagnola, la sangria, preparata con vino rosso nel quale sono lasciati macerare arance, limoni, frutta a pezzi, aromi.
Anche qui, come in tutte le città di mare della Costa Mediterranea, ci sono le male lingue che vi dicono che nell'isola di Tenerife gli uomini sono brutti assai e le donne bellissime; per cui l'ira e il dispetto con cui nei tempi lontani, come riferisce Mantegazza, erano ricevuti gli stranieri e le difficoltà che si opponevano al loro sbarco, quando venivano da paesi sospetti. Tutte calunnie. Noi abbiamo visto una gioventù splendida: uomini belli e le ragazze bellissime, che si trovano nei paesi della Spagna e dove domina la bellissima razza andalusa, che forse può vantarsi di dire al mondo le più belle fra le figlie d'Eva.
" La fisionomia degli abitanti é del resto tutta spagnola. Non é che nella campagna e specialmente in alcuni paesi, dove gli indigeni non furono tutti distrutti, che potete ricordare nel colore abbronzato, nella forma del cranio e nell'altezza della statura che là avevamo sicuramente sott'occhio il sangue yuanche. In pochi paesi ho poi trovato più squisita e cordiale ospitalità.......
I dintorni di Tenerife non sono sicuramente dell'ideale bellezza di Napoli, di Costantinopoli, di Rio de Janeiro e delle coste del Mediterraneo, ma sono romantici, pittoreschi. Lungo il mare vi sono le rupi così nere e screpolate e raggrinzate che vi pare di ancora di sentirvi scottare i piedi sotto la lava fumante, di cui sembrano formati anche i cento coni frastagliati che con strette e precipitose valli s'addensano gli uni sugli altri. La stessa sensazione l'abbiamo avuta, alcuni anni fa, nell'isola di Vulcano e di Stromboli, le glauche piante marine scintillanti con le loro perle ghiacciate e i ciuffi delle scarse graminacee, se non bastano a formare un giardino, ravvivano il paesaggio col contrasto delle tinte e la varietà delle forme. Il Paseo Ortega pieno di rose e di gelsomini, con le sue palme e i suoi allori luccicanti, col suo disordine estetico e il nastro serpentino dei suoi sentieri profumati sembra fatto per accogliere i sospiri di due amanti felici. La stessa cosa, possiamo benissimo dire, di aver ammirato nelle Rambles di Barcellona, nei suoi variopinti giardini di rose e nelle splendide colline che circondano la città.
Qualcuno si può domandare, ma che cos'è Tenerife? Qualcuno ha scritto che é l'isola della "eterna primavera". Egli aveva veramente ragione. Per poterla capire e ammirare da vicino, bisogna percorrere le sue strade, ammirare i suoi paesaggi e le sue caratteristiche montagne, parlare con la gente, con i commercianti, con i baristi, come abbiamo fatto noi del CAI di Mantova. Diremo che Tenerife é la più estesa e la più famosa delle Canarie.
La natura da a Tenerife un'impronta inconfondibile: al Sud l'ambiente quasi desertico alterna spiagge di sabbia lavica e suggestive coste rocciose, mentre il nord é caratterizzato da una flora lussureggiante di tipo subtropicale. Simbolo dell'isola é il maestoso Teyde, la più alta montagna di Spagna che, con le sue bizzarre formazioni di lava e le nevi quasi perenni visibili dalle spiagge soleggiate, contrasta con la zona a valle ricca di boschi.
Tenerife é un'isola affascinante, ospitale, tranquilla e viziata dal clima e soprattutto dalla gentilezza degli abitanti.
Le speciali condizioni climatiche offrono una temperatura piacevole e costante tutto l'anno. La vacanza balneare viene vissuta prevalentemente nella zona meridionale dell'isola. Il Sud di Tenerife é sorprendente: le spiagge di Playa Los Americas hanno il fascino delle grandi pianure brulle.
L'aria incantevole che circonda quel paese; sicché tutti si sentono felici, quasi immessi in un bagno tonico e inebriante, che ravviva senza irritare, che accarezza senza stancare. Un tempo, come succedeva anche nel nostro Paese , molti militari dell'Arma venivano trasferiti in Sardegna per punizione, la stessa cosa succedeva in Spagna, che per motivi politici o per punizione venivano spediti in quell'isola, che poi si sono trovati contenti del loro trasferimento o esilio, che hanno dimenticato la patria lontana, e ritornati al potere i loro amici politici, preferivano rimanere in quelle Isole fortunate.
Benché le sette isole dell'Arcipelago delle Canarie siano così strettamente legate in un vincolo di fratellanza; pure presentano già alcune differenze nel carattere dei loro abitanti, le quali si devono sicuramente ai diversi costumi che alloro volta nacquero dalle diverse località e dagli svariati suoi prodotti. Così per esempio, gli abitanti dell'isola di Palma sono molto tristi, e a Tenerife tener la palmerada vuol dire lo stesso che avere lo spleen, come si dice da quelle parti.
Nel nostro girovagare per quelle isole, abbiamo compreso che il carattere degli abitanti e di indole buono , sempre allegra, che si accontenta di poco e poi, sono ospitali e benevoli. Non risulta che sono dediti all'alcol. Lasciando da parte i ricchi abitanti della città che livellati dall'inesorabile moda, hanno una fisionomia poco caratteristica, rimangono gli agricoltori e i pescatori che formano da sempre la parte principale del popolo canario.
Abbiamo constatato inoltre, che la terra a Tenerife é una cosa preziosa e scarsa; ogni giorno i torrenti la portano al mare, e i boschi distrutti in gran parte non l'arrestano più sui pendii precipitosi delle rupi. Un vecchio detto che i contadini continuano a ripetere: la profezia di Lugo si é in infatti gran parte avverata, ed egli, dopo aver fatto sforzi giganteschi e impotenti per impedire il taglio dei boschi, dettava nel proprio testamento queste lugubre parole: " Tenerife non durerà duecento anni". I proverbi, si sa, sono proverbi: Tenerife, é più bella di prima, con la sua vegetazione lussureggiante che sembra un giardino sempre verde.
Sicuramente si fa molta fatica per coltivare il terreno in molte località dell'isola. Il cielo é fecondo, l'acqua non manca, ma il suolo non esiste; in un certo senso Faust avrebbe ragione di dire che é proprio questo des Pudels Kern. Or bene, gli agricoltori coltivano la terra; ed io l'ho veduta, quest'improba fatica, quasi non credendo ai miei occhi. Il robusto contadino con picconi e vanghe di ferro rompe le rocce e nel profondo delle fessure va cercando la terra coll'avida avarizia del cercatore d'oro e mescolata assieme alla lava sgretolata l'adagia sul letto delle rocce e la sostiene con muriccioli di pietra lavica, seminando in quel terreno creato da lui i suoi cactus, il suo mais, il suo orzo e il suo vigneto. Mi diceva un vecchio contadino, con il quale mi sono fermato a parlare di quella magra agricoltura, che le campagne di Tenerife l'agricoltura é più avanzata che a Madera; vi si pratica la rotazione agraria, alternando il mais con le patate, si fanno pascoli artificiali di erba medica e s'adopera il guano con certa larghezza.
Pensando alle fasce coltivate a Tenerife, mi é venuto in mente la bellissima Costa Viola della My Old Calabria, dove la terra viene trasportata con la barca fino alle piccole insenature, per poi trasportata dalle ( bagnarote con le ceste sulla testa). Le bagnarote sono donne forti e robuste, che da sempre hanno trasportato sul capo ogni oggetto. Nelle insenature della montagna arida e granitica che sovrasta la cittadina di Bagnara, illuminata dal sole del Mediterraneo, germoglia rigogliosa la vite del zibibbo. I contadini calabresi, frantumano queste rocce granitiche e li mescolano con la terra trasportata dalle loro donne fin lassù per rendere fertile quella montagna aspra e nello stesso tempo bellissima: la montagna incantata. In un certo senso, fanno la stessa cosa che da millenni continuano a fare i contadini di Tenerife: un lavoro duro, ma scarsamente redditizio.
Da quando il turismo di massa ha scoperto questo paradiso terrestre, nelle isole della grande Canaria, si coltiva poco la terra. Un tempo il vino era il primo prodotto dell'isola di Tenerife e bastava a farla ricca. Il succo delle sue vigne era delizioso e rivale di quello prodotto a Madera, sotto cui nome si commercializzava in Europa. Icod de los vinos dava il migliore e il Puerto de Orotava numerava con orgoglio le tante navi venute d'Inghilterra per caricare il prezioso liquore. Paolo Mantegazza, ci ricorda che " il fatale odio distrusse questa sorgente di ricchezza,( Tenerife fu invasa dall'odio nel 1853; cioè un anno dopo Madera) quando la visitai Tenerife non esistevano che pochi vigneti che lottavano a stenti sopra il terreno che l'Opuntia andava loro contrastando. Ho bevuto però nella Villa dell'Oratova un vino bianco squisito che una vigna privilegiata continuava a distillare.
Il terreno era però troppo scarso e il paese troppo povero; perché si potesse ostinarsi a conservare le vigne malate. Convenne fare un auto da sé generale e alla vite si sostituì "l'Opuntia" della coccinella ( Tutte le specie di opuntia che sono successe, con poche spine un'epidemia sottile possono servire a dar alimento alla cocciniglia: alle isole Canarie si preferisce l'Opuntia ficus indica). Quest'industria che si era tentata fin dal 1831 come una curiosità divenne dopo il 1833 la rendita maggiore dell'agricoltura.
L'esportazione della cocciniglia dal 1831 al 1856, anno in cui può dirsi che quest'industria aveva raggiunto un grande sviluppo....."
Nel corso delle nostre passeggiate, parlando con la popolazione indigena, abbiamo voluto approfondire la coltivazione di " opuntia", di cui ne abbiamo molto sentito parlare e che oggi la sua coltivazione e quasi del tutto scomparsa. Camminando fra quelle vallate umide, fiancheggiate da alte pareti laviche, di tanto in tanto si incontrano piccoli campi di "opuntia", che sono pur bizzarri; veri polipi giganti con le loro foglie polpose e glauche e con il labirinto dei loro rami hanno un non so che di grottesco e di strano. (Queste strane piante di cui si parla, noi li chiamiamo "Fichi d'India", e abbondano sulle Coste della Calabria ed in quelle della Sicilia, e producono frutti veramente squisiti). Quando poi si inchiodano con le spine le pezzuole bianche che servono a difendere l'insettuccio ancor giovane dalle intemperie, quelle opunzie sembrano entrate al servizio di un ospedale chirurgico; di tanto sono imbrattate di cenci informi. Un indigeno , che abbiamo incontrato nel suo arido campicello, ci ha spiegato che si seminano gli insetti nati nelle case, nel mese di maggio; ed essi abbandonano le pezzuole entro otto giorni, attaccandosi alle foglie che devono nutrirli. Il procedimento é quasi lo stesso di quando, nel secolo scorso, anche nel nostro Paese, specialmente nella Pianura Padana, si allevavano i bachi da sete, qui invece si allevavano le opunzie. Le madri tenute in casa continuavano a dar prole, e quando muoiono esaurite, si fanno seccare e si vendono in commercio col nome di Cochinilla negra o zacatillo; e valgono molto più delle della cocciniglia ordinaria, perché più ricche di materia colorante. - In tre o quattro mesi i giovani insetti diventano adulti, dopo aver cambiato di pelle più volte, lasciandone le tracce sotto forma di una polvere bianca che li ricopre. In maggio e giugno compaiono fra quelle schiere scarlatte los machos, i quali destinati all'amore volano qua e là fra il gregge delle femmine, senza dare al commercio alcun prodotto. Le femmine adulte si raccolgono con accuratezza dalle donne e si fanno asciugare in stufe riscaldate a 40 gradi.
Due industrie d'origine vegetale e che sono caratteristiche delle isole Canarie, fanno la raccolta dell'orchella, lichene destinato alla tintura e che vanno a raccogliere sulle rupi col corpo pendente da una fune e con tutta quella agilità che hanno ereditato dai Guanches, e la preparazione della barrilla o soda grezza che si ottiene bruciando l'erba ghiacciola (Mesembryanthemum crystallinum ) ed altre piante che crescono spontanee sulle spiagge del mare e sono molto ricche di sali sodici.      

Cavalli e asinelli a Lanzarote
I cavalli e gli asini, come pure qualche cammello, furono introdotti dai conquistatori. I piccoli destrieri di Lazarote sono molto ricercati e gli asini hanno trovato in quest'isola una nuova patria; pare che quel clima confà loro in tutto come quello dell'Egitto. Sono animali robusti e nelle loro virtù asinine inarrivabili. ....Il Guerrazzi deve aver sicuramente conosciuto un asino di Lazarote o di Fuerteventura. In quest'ultima isola poco dopo la conquista divennero selvaggi impertinenti e violenti che convenne distruggerli..... I buoi introdotti dagli Spagnoli sono ancora oggi una bella razza andalusa; ma le vacche sono così agre e così povere di latte; che in Tenerife nessuno fa uso di latte di mucca. Questa razza di animali, specie nelle campagne si vedono invece tirare i carri e vengono adoperati per arare i campi. A noi che veniamo dall'Europa, reca non poca sorpresa e ci richiama al periodo della Seconda Guerra mondiale, quando con i buoi si aravano i campi e si adoperavano per il trasporto di legnami o altri prodotti dalla terra.
Un agricoltore indigeno, ci racconta che gli antichi Guanches possedevano molte capre e con le loro pelli si vestivano e ne ravvolgevano le loro mummie, e si nutrivano con le loro carni e con i tendini preparavano il loro filo per cucire, e con le ossa facevano armi, aghi e cento strumenti diversi. Quello, sicuramente era il periodo della pietra. Anche sulle nostre montagne si verificava tutto questo.
Comunico, ergo sum . Non sappiamo se e come i Guanches tentassero di comunicare con i loro simili, come non sappiamo neppure come facesse Otzi con i suoi compagni prima di venire trafitto da una freccia a tradimento, lassù, sul Similaun, 5.000 anni fa. Un fatto é che dalla più remota antichità l'uomo ha sempre sentito la necessità di informarsi sul mondo circostante e di comunicare con i suoi simili, inventando di volta in volta metodi sempre più nuovi e più moderni ed efficaci.. Quelle che fino ad ieri erano periferia del mondo, ad esempio le alte valli delle Alpi e degli Appennini, le pianure del Punjab o la città di Tenerife, come nel Sud Ovest dell'America con gli indiani, possono essere oggi per la prima volta centro. Se potessero ritornare indietro nei millenni i Guanches . Gli indiani d'America o il cacciatore Otzi, che veniva ferito mortalmente sul Similaun 5.000 anni fa, chi sa che cosa ne penserebbero del progresso tecnologico di cui noi oggi disponiamo? Le loro risposte non le potremmo mai sapere, comunque, sono sicuro che ne sarebbero felici anche loro, e forse, tanti disastri di cui ci informa la storia si sarebbero potuti evitare.
Di questo argomento della comunicazione , nel capitolo escursionistico a Bolzano e dintorni, in occasione della visita ai Mercatini di Natale, nel mese di dicembre, ne abbiamo parlato più diffusamente, spiegando le varie tecnologie della comunicazione del nostro tempo consumistico e tecnologico "La Montagna de Fuego":
Dopo una lunga panoramica di alcune località di Tenerife, ritorniamo a parlare della " Montagna di Fuoco", mentre la grossa cabinovia saliva dolcemente su verso la grande montagna di fuoco, gli alberi, le felci, l'erica gigante, le siepi si diradavano, apparivano qua e là nude rocce nere come il carbone. Ogni tanto mi voltavo ad ammirare la vallata sottostante e il mare immenso; lontane, velate, scorgevo anche le isole minori e la dolce e bellissima città di Tenerife. Tutto quel mondo silenzioso e disabitato aveva l'apparenza di un sogno, di quel sogno lontano che per molti anni ho cullato dentro di me, ma finalmente ero giunto ai confini del mio sogno. Si é così, il sogno di visitare queste terre bruciate dal sole, queste montagne nere di lava e le vallate lussureggianti. Quella é la grande montagna benedetta che domina i boschi dell'Agua Mansa, mi guardai intorno e rimasi muto dinanzi ad una delle più belle scene della natura. Alla mia sinistra vi era il gigante del Teyde con il suo cono d'argento, ai miei piedi l'Oceano; e quasi a ringentilire quello spettacolo d'una maestà troppo severa, vedevo sotto di me la graziosa valle che avevamo lasciato al momento della partenza della cabinovia, e i villaggi dell'Oratova, del Puerto di Garachico, di Realejo alto e baio, tutti adagiati mollemente nei campi già brulli e incolti. Sopra di me vi erano rocce nere e lontano sulle tranquille pianure del mare le montagne pittoresche dell'isola di Palma. Il picco di Tenerife, la valle erbosa, i villaggi; tutto era sparito. Dinanzi e sotto di me una immensa distesa di nubi bianchissime come se fossero un nuovo Oceano, e non erano rotte che dalle punte acuminate dei monti della lontana Palma; mentre sul mio capo brillava il sole in mezzo a un cielo d'oltremare. Ogni rapido passaggio di una scena tutta sorriso e tutta grazia in quell'altra tutta grandezza e corruccio mi sorprese, mi commosse, mi affascinò allo stesso modo quando vidi per la prima volta le nostre meravigliose Dolomiti. Non avevo mai visto nulla di più bello, ne di più grande e scenografico. A quel punto mi sono domandato, ma che cosa é la vita? Nulla si sa, ma tutto s'immagina nel grande mistero della natura. La vita é l'insieme delle funzioni naturali degli esseri viventi, vegetali e animali, che riguardano la nascita, lo sviluppo, la riproduzione e l'interazione con l'ambiente e con gli altri organismi. L'antropologia, scienza che studia le caratteristiche organiche degli esseri umani e della natura, ci dice che la vita é giunta sulla Terra da una cometa 400 milioni di anni fa, e si é sviluppata nelle acque profonde dell'Atlantico. Quindi, la vita si é sviluppata nel mare prendendo le sembianze di un minuscolo girino e perfezionandosi nei millenni é giunta alla perfezione dei giorni nostri. Parafrasando una canzone di Lucio Dalla, egli così definisce la vita: " La vita é un sogno, una partenza, un ritorno? Non lo so.
La vita é la vita!
La vita é come una piuma di un'ala di uccello ferito,/
Di valle in valle portata dal vento che tutto trascina./
La vita é come una goccia di rugiada in agonia,/
Un attimo d'amore, una palpitazione del cuore/
E' come la poesia eterea che trasvola e si perde nell'infinito/
Come un fragile sogno che scivola via verso gli orizzonti assolati e lontani./ Ecco che cos'è la vita:
Un semplice soffio di vento, una goccia di rugiada che svanisce e si perde nello spazio infinito del silenzio .
Per rimanere sul tema del significato della vita, in quel luogo del silenzio e di preghiera, mi venne in mente di fare un'altra riflessione, appunto, sulla Vita e sulla Madre natura che ci circonda:
"Tutte le religioni parlano sempre del peccato originale e lo maledicono e ne fanno la sorgente di ogni male su questa antica e meravigliosa terra: da nessuno ho mai sentito parlare di virtù originale. Eppure l'abbiamo tutti e l'abbiamo dai padri dei nostri padri e la conserviamo celata nel più profondo del nostro cuore ed é questa l'amor della natura. Generati dal suo seno fecondo ne abbiamo incarnato il santo battesimo ed ogni volta che ci troviamo faccia a faccia con essa, come sta succedendo a noi oggi, sentiamo dentro di noi un misterioso fascino che ci fa parte viva delle sue visceri materne, sicché ci invade per tutto un fremito di gioia serena che é anche e soprattutto luce, calore, vita, amore e serenità in un tempo solo. Benedetta dunque questa Madre generosa a cui lasceremo le nostre ossa e i nostri succhi, perché fecondino nuovi figli e riscaldino nuove gioie !
Il grande picco che sorgeva al vertice della grande montagna, che avevo alla mia sinistra e dal quale non sapevo distaccare lo sguardo non era più il vulcano di Cadamosto che aveva ammirato nel 1505, egli così diceva: "Et ha nel mezzo un monte in modo d 'una punta fatto altissima, la quale continuamente arde. Et così si afferma da cui quella ha veduta, et oltre cacio dicono che questo monte havia d'altezza meglia sei"
Non era neppure lo Stromboli, il gigante fumante della mia fanciullezza, ma il Teyde. Anche Cristoforo Colombo aveva veduto il Teyde in tutta la pompa della sua collera. Nel suo giornale di bordo, il giovedì 9 agosto 1492, quando per la prima volta andava cercando il Nuovo Mondo così scriveva: "De spues tomò el almirate a Canaria, y adobaron muy bien la Pinta con muecho trabajo y diligeneias del almirante, de Martin Alonzo y de los demas; y al cabo vinieros a la Camera. Vieron salir gran fuego da la Sierra de la isla de Tenerife que es muy alta en gran manera".
Lo scrittore Paolo Mantegazza, parlando del vulcano Teyde, così scriveva: " Il nome di Echeyde, inferno; che si cambiò poi in Teyde e che i Guanches diedero al picco di Tenerife era in quel tempo ben meritato; e nelle carte manoscritte del secolo XIV e XV potete trovare quest'isola indicata con il nome di Isola dell'inferno. Così come io la vedevo, mi ricordava piuttosto il nome di Nivaria dato dagli antichi romani all'isola di Tenerife. Quando ho trovato coperto tutto il cono di neve era il 25 di marzo. Anche nei tempi antichi però le ire di quel vulcano erano interrotte da lunghe pause In un giornale di navigazione trascritto da Boccaccio da Certaldo e scoperto a Firenze si legge che nel 1541, i Fiorentini e i Genovesi, avendo fatto un viaggio alle Canarie, trovarono il picco del Teyde senza eruzione. E in quel tempo l'Etna ebbe una calma di molti secoli; e il Vesuvio, in riposo da 25 anni, non incominciò a dar segni di vita che un secolo dopo, mentre nel quindicesimo secolo, Teyde, Etna e Vesuvio si risvegliarono in una volta sola.
Dalla conquista in poi le eruzioni del Teyde furono poche. Se n'ebbe una il 24 dicembre 1704, preceduta da 25 scosse di terremoto in meno di tre ore. La lava che sgorgò dalle sue visceri si vede ancora alla Gumbre di Fasnea, al sud - ovest della Ladera di Guimar. Una seconda eruzione si ebbe il 5 gennaio 1708 e allora si aprirono nello spazio d'un chilometro più di 30 bocche di eruzione. Il 1 febbraio dello stesso anno nuove scosse e nuove eruzioni.
Il 5 gennaio 1706 dopo un gran terremoto il vulcano fece esplosione a due leghe da Carachico. La città fu distrutta e non rimasero che alcune vie deserte e la lava continuò a rovesciarsi sui colli vicini per tre mesi. Da quel giorno l'Inferno dei Teyde al di d'oggi sonnecchia e si contenta di distillare pigri vapori di zolfo nei suoi crepacci trachitici. Berthelot, attraversando il fondo del cratere da nord a sud, poté introdurre la mano nel più profondo crepaccio, onde levarne cristalli di zolfo e non risentiva che un calore sopportabilissimo. In un'altra gita al Pico trovava un calore insopportabile e vapori solfuri che lo soffocavano".
Tenerife possiede varie sorgenti di acque acidule, e quella di Fuente Salada e l'Acgua - Azeda di San Miguel e l'Acgua Agria sono acque che risentano certamente l'influenza del vulcano sonnacchioso, ma non ancora spento.".
Non si può sempre vivere in mezzo alle nubi, ne in mezzo agli entusiasmi: per cui, girando intorno intorno i miei occhi e cercando di assorbire lentamente tutte quelle bellezze e formare un tesoro per le lunghe noie della Pianura Lombarda, incominciammo a scattare diapositive e prendo appunti sul nostro vecchio e caro taccuino. Ma a tratti una voce pareva ripetermi le parole di Khalil Gibran:
"Forse hai sentito parlare della montagna benedetta. Qualora tu ne raggiungessi mai la cima, proverai un solo desiderio: scendere e ritrovarti con chi abita a valle. Ecco perché si chiama la montagna benedetta".
Benedetto é anche il suo clima, la flora e la fauna. Mentre camminavo a passi lenti e cadenzati lungo i sentieri di quelle vallate silenziose, mi sono spesso domandato: Perché mai tante persone posero il piede sulle rocce che circondano la bella cittadina di Tenerife e se ne sono innamorati? Ci sarà sicuramente una ragione. Perché mai Humboldt che ha esplorato tutto il mondo, che ha ammirato le selve vergini dell'America alla luce del suo genio ha serbato le sue più calde parole d'ammirazione alla Valle d'Oratova; perché Bertholot, De Buck, Schacht, Gabriel de Belcastel son divenuti poeti sul suolo dei Guanches; perché io stesso ricordo così bene i pochi giorni che con gli amici mantovani abbiamo trascorso a Tenerife, che é come una gemma preziosa della mia vita? Tenerife, irta di rupi con il vertice della sua cima priva di foreste fu chiamata, l'Eden dell'Oceano, e ora un paradiso che rassomiglia alla nostra Enna, resa nel passato celebre dalla favola di Proserpina e che é tappezzata tutto l'anno di viole profumate e di fiori bagnava le sue terre all'onda di laghi incantevoli. Perché tanto fascino, si domandava il grande scrittore Paolo Mantegazza, se raccolto intorno a quest'isola fortunata, a quest'isola del sole? Anche noi, seppure per pochi giorni, abbiamo respirato le sue brezze marine, credo, e ne sono certo, di aver scoperto il mistero che avvolge tutto questo; credo che tutti quelli che sono giunti prima di noi, hanno ammirato quella Montagna benedetta di Teyde, e hanno benedetto quella terra, perché avevano trovato quella gioia di vivere, perché si sentivano più sereni, più lieti, più vigorosi; perché quel clima é uno dei migliori del mondo e la natura ammirata attraverso l'aria che ci ravviva e ci esalta, ti sembra cento volte più bella. L'universo piglia sempre colore e forma dall'organismo che lo sente. Adriana mia moglie, me lo diceva ogni giorno: " Da quando siamo qui a Tenerife, il tuo umore é diverso, i tuoi piccoli acciacchi sono spariti, la tua serenità d'animo ha subito una trasformazione. Sei sempre più allegro e prendi la vita con filosofia, senza mai rattristarti". Ella aveva ragione. Succede sempre così tutte le volte che esploriamo un angolo del nostro meraviglioso pianeta. E' successo altre volte, come per esempio, quando abbiamo esplorato quelle poche località del Nord Ovest degli Stati Uniti d'America, l'arcipelago delle Isole Eolie, il Continente Sardegna, i sentieri delle Alpi , delle Dolomiti, le Città d'arte , i paesaggi e le coste del nostro Paese, che sono l'ultima essenza della bellezza. La maggior parte di noi italiani, giriamo il mondo da Nord a Sud alla ricerca dell'angolo felice, ma ci dimentichiamo che il giardino del mondo é proprio il Bel Paese . Ma nessuna cosa agisce più pronta sull'animo nostro a deprimerci e ad esaltarci, a farci lieti o tristi quanto l'aria che venti volte al minuto penetra nel più profondo del nostro viscere respiratorio, stringendosi in un intimo amplesso col sangue e con i nervi.
Vi é certa atmosfera che al primo respiro ci accarezza con tanto amore e ci rinfresca con tanto vigore, tanto che ce ne sentiamo sollevati da terra e che ci da una immediata gioia; vi é invece cartaria che nella prima ora ci fiacca, ci annoia, ci illanguidisce e ci fa scontenti di vivere. Vi sono paesi e località, dove il primo pensiero é un sorriso; e fra questi, abbiamo scoperto, che vi é appunto anche Tenerife. L'aria che si respira in queste Isole del Sole, in questi luoghi sperduti fra l'Africa infuocata e l'Oceano dalle sue acque fredde, é una mina inesauribile che sta aperta alle ricerche dell'avvenire, é un oceano di elementi combinati, disciolti, sospesi. E' come l'aria che respiriamo, o che vorremmo respirare ogni giorno della nostra vita.
Geograficamente, come tutti sanno, Tenerife é posta al 28' grado di latitudine nord, e al 13 di longitudine ovest, e questo suo posto nel mondo può già dirci qualcosa di molto generale nel suo clima. Il termometro, in questa prima decade di dicembre non vi scende al disotto di più 12, ne ascende al disopra dei 28: vedete quanta magia di tepori si nasconda in queste cifre! Il solo abitato di quest'isola fortunata, di quest'isola felice non conosce il gelo ne le nevi delle nostre Dolomiti , é queste si possono soltanto trovare sulle alte vette del Teype, ad abbellire il panorama, non già a raffreddare gli abitanti e i migliaia di turisti che ogni giorno giungono da ogni parte del mondo.
Se Tenerife é il paradiso dei climi subtropicali, il Bel Paese é la culla della storia, della democrazia, dell'arte, del Rinascimento, ma soprattutto é il giardino del mondo. Ecco perché una moltitudine di gente si é innamorato del nostro meraviglioso Paese, circondato da oltre 8000 chilometri di Coste e di splendide spiagge, di montagne stupende e di pianure affascinanti, come la terra di Lombardia: Essa non é soltanto la regione dei colori velati dalla nebbia, ma é un susseguirsi di panorami incantevoli e sensazioni suggestive, quasi al limite dell'irreale. Ma anche qui, sulle sponde dell'Atlantico, ci sono luoghi incantevoli, luoghi da sogno, tanto che ci siamo innamorati di questa terra antica di vulcani.   

La volontà di potenza
Ma oggi, in questo nostro tempo in trasformazione, dove tutto trasvola da un continente all'altro con pazzesca velocità e leggerezza, é un continuo susseguirsi di disgrazie, guerre e massacri che corre sulla pagina, poi rimbalza di capitolo in capitolo, si ramifica e si moltiplica la notizia senza provocare nell'emotività del lettore altro effetto che d'una vitalità esilarante e primordiale, come se fosse il "racconto di Voltaire". Il sociologo Francesco Alberoni, uno studioso attento dei problemi sociali contemporanei, parlando dei "Leoni e delle volpi", ci dice che "Ogni essere vivente, ma lo vediamo soprattutto negli animali superiori e nell'uomo, porta in se una volontà di sperimentare, vivere, espandersi, affermarsi, dominare sugli altri. Tutti gli animali delimitano un proprio territorio e lottano per espanderlo e impedire agli estranei di entrarvi. Tutti i maschi cercano di accoppiarsi con tutte le femmine più belle e le femmine con i maschi più forti o più vistosi. Tutti inoltre lottano per affermare e vedere riconosciuta la propria superiorità, il proprio rango, ma nessuno pensa ai valori della vita.
Nietzsche, che per primo ha capito questa tendenza universale, l'ha chiamata " volontà di potenza" o la filosofia per affrontare i problemi della vita di tutti i giorni. Ma che cos'è questa filosofia? Be', così su due piedi non é poi tanto facile darne una definizione. Come abbiamo visto, l'uomo ha raggiunto le più alte vette di civiltà attraverso due discipline fondamentali: la scienza e la religione.
Però gli esseri umani, nel corso della loro storia, hanno sviluppato innumerevoli attività ed innumerevoli capacità consentendo alla volontà di potenza di esprimersi in moltissime direzioni. Non c'è solo la competizione per il cibo e il sesso e non conta solo la potenza fisica. Il gigante muscoloso, non mi riferisco al mio "Gigante Buono", di cui ne ho parlato nel capitolo precedente, che con spirito altruistico mi ha salvato la vita, ma di quel gigante che in una società animale sarebbe diventato il maschio dominante e, ancora nel Medioevo, un potente guerriero, oggi é svantaggiato davanti a musicisti, cantanti, registi, finanzieri e politici magrolini. E perde la partita contro un ragazzo che, come Bill Gates, giocando con i computer diventa l'uomo più ricco del mondo. Se oggi scriviamo i nostri racconti, ci colleghiamo in quella grande rete a forma di ragno, che si dirama in ogni angolo di questo nostro mondo, che si chiama appunto Internet , lo dobbiamo alla grande intelligenza di Bill Gates.
"Ciò che invece continua a contare, e sempre di più, é la volontà di potenza in se stessa, perché intesa nel suo senso più ampio, come energia vitale, volontà di creare, di realizzare, di superare gli altri. E questo in tutti i campi, nella scienza, nell'arte, nella letteratura, nella musica, nel cinema, negli affari e nella politica. Dovunque il fattore decisivo resta sempre questo slancio interiore che si presenta come irrequietezza, ambizione, curiosità, coraggio di sperimentare il nuovo. Lo si vede già nei bambini, negli adolescenti destinati al successo. Qualche volta si presenta come capacità specifica, come nei geni matematici o musicali precoci, ma spesso assume solo l'aspetto di una inquietudine evasiva, conturbante. Lo si vede negli uomini e nelle donne che riusciranno, che hanno tutti, indistintamente, una grande fede in se stessi, una caparbia volontà di realizzare la propria meta da cui nessuno riesce a distorglierli. Per cui cadono e si rialzano, come é successo con il grande condottiero di tutti i tempi, Napoleone Buonaparte, che cadde due volte sulla polvere ed é risalito due volte sull'altare. E gli altri percepiscono la loro superiorità. Spesso li invidiano, li temono, cercano di fermali, ma inutilmente.
Il grande sociologo italiano Vilfredo Pareto ha distinto gli uomini di potere in due categorie: i leoni e le volpi. Nei leoni la volontà di potenza si esprime ancora un po' nel modo arcaico, quella dei nostri antenati scimmioni che si battevano i pugni sul petto, come irruenza, implacabile tenacia nel combattere i nemici, renderli impotenti. Ma anche come entusiasmo, fede che trascina. Nelle volpi, invece, come astuzia, capacità di simulazione, di persuasione, di intrigo, di ricatto, di inganno. Nei periodi di panico, di disordine, nei movimenti si affermano ai leoni, che lo mordicchiano, li logorano, li soppiantano.
E le volpi, sia ben chiaro, sono aggressive come i leoni. Ma lo nascondono. Solo quando sono sicure mostrano il loro cinismo, la loro arroganza e la loro prepotenza.
Ritornando al " Racconto di Voltaire", dobbiamo dire di trovarci di fronte a due modi di dire assai in uso nella società contemporanea e lo dobbiamo a Voltaire, autore del racconto filosofico Candido o dell'ottimismo (1759): "Questo in cui viviamo é il migliore dei mondi possibili" e " Bisogna coltivare il proprio orto". Il primo dei due é di un pessimismo totale, il secondo si presta a più di una interpretazione, ma comunque non si distacca da una visione della vita in cui ragione, razionalità e realismo hanno il primato su tutto.
Parlando del " racconto di Voltaire", Matteo Collura, così scrive: in un suo articolo: "E giusto, riferendosi a Candido, sottolineare subito il significato filosofico, la grande forza innovativa nel pensiero occidentale qualche anno prima del definitivo squasso della Rivoluzione francese. Tuttavia questo racconto é giusto venga considerato uno dei capisaldi della letteratura mondiale per i suoi meriti squisitamente letterari: difficilmente uno scrittore é riuscito a narrare una storia di fantasia con tale felicità d'invenzione, con tanto ritmo, tanta velocità e stringatezza, tanto acume nel tratteggiare i personaggi, nel farli vivere in un mondo che sta' a metà strada tra l'Inferno di Dante e una sorta di Hellzapoppin. E proprio questo entusiasma Italo Calvino, il quale in una introduzione al Candido del 1974 annotava: " ...... Con velocità e leggerezza, un susseguirsi di disgrazie supplizi massacri corre sulla pagina, rimbalza di capitolo in capitolo, si ramifica e moltiplica senza provocare nell'emotività del lettore altro effetto che d'una vitalità esilarante e primordiale....". E tutto gioca sulla velocità, il Candido di Voltaire; e perché lo stesso stile, secondo le tradizioni dell'autore, doveva contribuire alla realizzazione del progetto: La messa alla berlina delle teorie di Leibniz sulla cosiddetta " armonia prestabilita", vale a dire sull'immutabilità e la giustificazione di ogni cosa sulla Terra perché tutto tenderebbe all'armonia.Anche nel racconto del " Il cavaliere della Solitudine" di Patrizio Spinelli, troviamo lo stile del "Racconto di Voltaire", in quello stile inconfondibile nella sua semplicità, velocità, leggerezza e scorrevolezza, che fa rivivere , in un certo senso, il racconto come in un sogno ,come i personaggi della letteratura di Cervantes di Don Chisciottiana memoria. Ma anche Leonardo Sciascia e tanti altri scrittori contemporanei, hanno attinto alla sofisticata macchina allegorica di Voltaire. In Italia il caso più eclatante e intenzionalmente dichiarato appunto da Sciascia, il quale nel 1977 pubblicò un veloce stringato racconto intitolato Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia , dove i leoni e le volpi si sbranavano per il potere.
L'autore del Giorno della civetta lanciò la sua sfida letteraria scegliendo la formula di Voltaire, cioè velocità, leggerezza, stringatezza, ironia. Quella velocità e leggerezza non é più possibile ritrovarla così facilmente nei giovani scrittori. Quando scrivo qualcosa, cerco sempre quella leggerezza e fluidità, ma raramente la trovo. Ognuno ha il suo modo di scrivere e di esprimersi, sicuramente si può migliorare, ma rimane sempre quell'impronta personalizzata. Io credo, con i miei modesti scritti, di non avere mai annoiato il lettore con le mie storie che spesso sfiorano l'autobiografia. Tutto questo succede perché noi anziani, rievochiamo il passato per vivere il nostro presente e spesso, camminiamo sul quel tappeto di foglie morte, dove é sepolta la nostra giovinezza e la storia del nostro Paese. Lo scrittore - poeta Patrizio Spinelli, così scrive in un suo commento On line, paragonandomi: " in versione nostrana al grande scrittore Chatwin". E così conclude dicendo: " Si vede che Diego Cocolo, possiede anche l'occhio del pittore, per le discrizione paesaggistiche prese in punta di pennello, e riversate con tutta la cromaticità sul taccuino". Senza dubbio, é una citazione immeritata per un dilettante come me, comunque, lo ringrazio tantissimo per la bellissima citazione che mi inorgoglisce.
Se non ho mai raggiunto tale risultato, valga dunque l'intenzione: ho cercato di essere semplice, veloce e di essere leggero, se non ci sono riuscito cerco sempre di migliorare il mio modo di scrivere. Lo stesso pensiero lo troviamo nella letteratura di Leonardo Sciascia. Egli così scrive: " Ma greve é il nostro tempo, assai greve". Voltaire aveva seminato e c'era chi, coraggiosamente, ne raccoglieva i frutti. Ma nei leoni mafiosi della vecchia e giovane Sicilia, esiste ancora la volontà di potenza che si esprime ancora oggi nello stesso modo un po' arcaico, come quella dei mafiosi di ieri, di cui il grande scrittore Sciascia, ne parla diffusamente nel suo libro Il "Giorno della civetta". Nelle pagine di questo libro, egli ha distinto gli uomini "d'onere della mafia", in due categorie: "in uomini e ominicchi", ovvero in leoni, che cercano di dominare gli uomini di potere e le istituzioni, ed in volpi, che sarebbero gli ominicchi, che cercano a loro volta di mordere la coda ai leoni ruggenti.
Nel suo libro Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia (1977), parla della storia dell'emarginazione politica ed emotiva di un giovane che rifiuta ogni compromesso. Egli passa dalla saggistica alla narrativa, interpretando la vita siciliana con partecipazione drammatica ma anche con mordente ironia sullo stile di Voltaire.
Mentre Voltaire preferisce la linea mediana perché non si fa illusioni sull'uomo e sul mondo. I poteri dell'uomo sono molto limitati e il male e il negativo stanno in agguato dappertutto. Ma vivere bisogna, e con impegno coscienzioso " coltivare il proprio giardino" . La dignità dell'uomo sta nel difendere i diritti sovrani della religione, la quale si afferma nel corso della storia attraverso un drammatico alternarsi di vittorie e di sconfitte. La modernità dell'etica di Voltaire ( ha osservato C. Bo a proposito del Candido) sta proprio nella determinazione umile e coraggiosa, priva di tracotanti certezze: la nostra vita é un mistero, ma noi possiamo comunque renderla migliore.     

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