νὺξ μακρὴ καὶ χεῖμα, μέσην δ᾽ ἐπὶ Πλειάδα δύνει:
κἀγὼ πὰρ προθύροις νίσσομαι ὑόμενος,
τρωθεὶς τῆς δολίης κείνης πόθῳ: οὐ γὰρ ἔρωτα
Κύπρις, ἀνιηρὸν δ᾽ ἐκ πυρὸς ἧκε βέλος.
Asclepiade
- Epigramma 5,189
La notte invernale è lunga le Pleiadi son già tramontate
ed io tutto bagnato come vagabondo erro davanti alla sua casa assalito da un
desiderio amoroso
ma ingannevole in quanto nato non dall'amore che vien da Venere ma infertomi
da un dardo di rosso fuoco infuocato
Asclepiade
-
Epigramma 5,189
traduzione di
Giuseppe Gianpaolo Casarini
φείδῃ παρθενίης: καὶ τί πλέον; οὐ γὰρ ἐς Ἅιδην
ἐλθοῦς1᾽ εὑρήσεις τὸν φιλέοντα, κόρη.
ἐν ζωοῖσι τὰ τερπνὰ τὰ Κύπριδος:; ἐν δ᾽ Ἀχέροντι
ὀστέα καὶ σποδιή, παρθένε, κεισόμεθα.
Asclepiade
-
Epigramma 5,85
A che pro fanciulla
preservi la tua verginità?
Dinanzi all’Ade non troverai infatti alcun amante
e qui tra i vivi che trovi i piaceri di Venere
là nell’Acheronte solo ossa e mucchi di cenere
con i quali coricarsi
Asclepiade
-
Epigramma 5,85
traduzione di
Giuseppe Gianpaolo Casarini
Ἀνθοδίαιτε μέλισσα, τί μοι χροὸς Ἡλιοδώρας
ψαύεις, ἐκπρολιποῦς1᾽ εἰαρινὰς κάλυκας;
ἦ σύ γε μηνύεις ὅτι καὶ γλυκὺ καὶ δυσύποιστον,
πικρὸν ἀεὶ κραδίᾳ, κέντρον Ἔρωτος ἔχει;
ναὶ δοκέω, τοῦτ᾽ εἶπας. ἰώ, φιλέραστε, παλίμπους
στεῖχε: πάλαι τὴν σὴν οἴδαμεν ἀγγελίην
Meleagro-Epigramma5,163
Ape che
suggi cibo dai fiori perché non ti posi sul viso di Eliodora,
su quei boccioli di primavera che spandono profumo?
Sai bene che qui non solo vi è dolcezza ma anche per il cuore continua e dura
amarezza, un pungiglione d’Amore?
Certo che lo so. Ahi o amante del quieto vivere o della mutevolezza:
attento, che ormai da tempo conosciamo tutto questo.
Meleagro-Epigramma5,163
traduzione di
Giuseppe Gianpaolo Casarini
ὁ στέφανος περὶ κρατὶ μαραίνεται Ἡλιοδώρας
αὐτὴ δ᾽ ἐκλάμπει τοῦ στεφάνου στέφανος.
Meleagro-Epigramma 5, 143
La
ghirlanda che cingeva il capo di Eliodora
si è appassita ma è lei stessa ghirlanda
che risplende più di quella ghirlanda
Meleagro-Epigramma 5, 143 traduzione di
Giuseppe Gianpaolo Casarini
Ai vecchi spesso sovviene?
Spesso mi domando se ai vecchi talvolta sovviene
in momenti di apatia o di stanchezza pensare alle cose
come il poeta disse che potevano essere e che non sono state,
a quel sentor di rose profumate odorate e non colte perché
tante vi erano le spine, a amori falsi perché corresponsione
non vi era di amorosi sensi tra caldi sentimenti e freddo
che li gela, se così fosse niente lacrime o rimpianti
ma un sorriso con indulgenza verso quella giovinezza
ancor ignara di come cogliere il vero fiore dell’amore
ὁ στέφανος περὶ κρατὶ μαραίνεται Ἡλιοδώρας
αὐτὴ δ᾽ ἐκλάμπει τοῦ στεφάνου στέφανος.
Meleagro-Epigramma
5, 143
La ghirlanda che cingeva il capo di Eliodora
si è appassita ma è lei stessa ghirlanda
che risplende più di quella ghirlanda
Meleagro-Epigramma
5, 143
traduzione di
Giuseppe Gianpaolo Casarini
ἁδὺ μέλος, ναὶ
Πᾶνα τὸν Ἀρκάδα, πηκτίδι μέλπεις,
Ζηνοφίλα, ναὶ Πᾶν᾽ , ἁδὺ κρέκεις τι μέλος.
ποῖ σε φύγω; πάντῃ με περιστείχουσιν Ἔρωτες,
οὐδ᾽ ὅσον ἀμπνεῦσαι βαιὸν ἐῶσι χρόνον.
ἢ γάρ μοι μορφὰ βάλλει πόθον, ἢ πάλι μοῦσα,
ἢ χάρις, ἢ ... τί λέγω; πάντα πυρὶ φλέγομαι.
Meleagro. Epigramma 5,139
Sì per le campestri divinità d'Arcadia e al tocco della
cetra Zenofila
da voce alla melodia e sì per Pan festeggia facendo risuonare il canto.
Ed io verso dove fuggo da te ? Da ogni parte mi assalgono gli Amori
ma poco tempo mi lasciano per respirare giacché un desiderio amoroso mi percuote
e di nuovo e la Musa, e le Grazie e…il tuo richiamo. E per tutto questo brucio
nel fuoco.
Meleagro. Epigramma 5,139
traduzione di
Giuseppe Gianpaolo Casarini
Νικαρέτης τὸ πόθοισι βεβαμμένον ἡδὺ πρόσωπον,
πυκνὰ δι᾽ ὑψορόφων φαινόμενον θυρίδων,
αἱ χαροπαὶ Κλεοφῶντος ἐπὶ προθύροις ἐμάραναν,
Κύπρι φίλη, γλυκεροῦ βλέμματος ἀστεροπαί.
Asclepiade-Epigramma 5,153
Il volto di Nicarete desiderosa d'Amore
che si mostrava di frequente dalla finestra
dell'alto tetto della casa fu colpito dallo sguardo
fulminante degli occhi azzurri di Cleofonte,
a Venere caro, che alla sua porta stava davanti
Asclepiade
traduzione di
Giuseppe Gianpaolo Casarini
Ἡδυμελεῖς Μοῦσαι σὺν πηκτίδι, καὶ λόγος ἔμφρων
σὺν Πειθοῖ, καὶ Ἔρως Κάλλος ὑφηνιοχῶν,
Ζηνοφίλα, σαὶ σκῆπτρα Πόθων ἀπένειμαν, ἐπεί σοι
αἱ τρισσαὶ Χάριτες τρεῖς ἔδοσαν χάριτας.
Meleagro-Epigramma
5,140
Dalle melodiose Muse con il portamento quel parlare saggio e della Persuasione
l'arte,
da Eros qual auriga il Bello, e ti è dato Zenofila di Cupido il regno,
perché dalle tre Cariti a te tre grazie .
Meleagro
traduzione di
Giuseppe Gianpaolo Casarini
Ὡμολόγης1᾽ ἥξειν εἰς νύκτα μοι ἡ πιβόητος
Νικώ, καὶ σεμνὴν ὤμοσε Θεσμοφόρον [p. 200]
κοὐχ ἥκει, φυλακὴ δὲ παροίχεται. ἆρ᾽ ἐπιορκεῖν
ἤθελε; τὸν λύχνον, παῖδες, ἀποσβέσατε.
Asclepiade-Epigramma
5,150
Convenne Nico di venire stanotte da me
e lo fece giurando sul nome della sacra Demetra,
ma non venne così il falso giurando, già le guardie se ne sono andate
e or spegnete la lanterna miei schiavi.
Asclepiade
traduzione di
Giuseppe Gianpaolo Casarini
λύχνε, σὲ γὰρ παρεοῦσα τρὶς ὤμοσεν Ἡράκλεια
ἥξειν, κοὐχ ἥκει: λύχνε, σὺ δ᾽, εἰ θεὸς εἶ, [p. 132]
τὴν δολίην ἀπάμυνον ὅταν φίλον ἔνδον ἔχουσα
παίζῃ, ἀποσβεσθεὶς μηκέτι φῶς πάρεχε.
Asclepiade-Epigramma 5,6
Lampada, per
ben tre volte Eraclea giurando
disse che sarebbe venuta da te, ma poi non venne,
or lampada se tu qual dea tu sei punisci l’inganno
e qualora chiusa in casa con un amante
si stia sollazzando tu non dar luce più a
lungo e a spegnerti va
Asclepiade
traduzione di
Giuseppe Gianpaolo Casarini
ἤδη λευκόιον θάλλει, θάλλει δὲ φίλομβρος
νάρκισσος, θάλλει δ᾽ οὐρεσίφοιτα κρίνα
ἤδη δ᾽ ἡ φιλέραστος, ἐν ἄνθεσιν ὥριμον ἄνθος,
Ζηνοφίλα Πειθοῦς ἡδὺ τέθηλε ῥόδον.
λειμῶνες, τί μάταια κόμαις ἔπι φαιδρὰ γελᾶτε;
ἁ γὰρ παῖς κρέσσων ἁδυπνόων στεφάνων.
Meleagro-Epigramma 5, 144
Già fiorisce la bianca viola, fiorisce il giacinto
della pioggia amante, fiorisce il giglio che
sui monti cresce, e già in fiore é Zenofila
l'amante degli amanti, fiore nella stagion dei fiori,
e rosa fiorente della Persuasione, e voi frivoli prati
dalle lucenti chiome solo oggetto di riso, perché lei è fanciulla
più bella delle più belle profumate ghirlande
Meleagro
traduzione di
Giuseppe Gianpaolo Casarini
ἔγχει, καὶ πάλιν εἰπέ, πάλιν, πάλιν ‘ Ἡλιοδώρας’
εἰπέ, σὺν ἀκρήτῳ τὸ γλυκὺ μίσγ᾽ ὄνομα:
καί μοι τὸν βρεχθέντα μύροις καὶ χθιζὸν ἐόντα,
μναμόσυνον κείνας ἀμφιτίθει στέφανον.
δακρύει φιλέραστον ἰδοὺ ῥόδον, οὕνεκα κείναν
ἄλλοθι, κοὐ κόλποις ἁμετέροις ἐσορᾷ.
Meleagro-Epigramma
5, 136
Ancora ancora e poi ancora versa
dici e di Eliodora il dolce nome chiama
a mescolar con questo schietto nettar
e dammi seppur di ieri per cingermi
la ghirlanda di profumo intrisa in ricordo di lei
e vedi come di lacrime la rosa che all’amore
induce piange perché lontan lei vede
e non qui al mio sen vicina
Meleagro
traduzione di
Giuseppe Gianpaolo Casarini
ἰξὸν ἔχεις τὸ φίλημα, τὰ δ᾽ ὄμματα, Τιμάριον, πῦρ:
ἢν ἐσίδῃς, καίεις: ἢν δὲ θίγῃς, δέδεκας.
Meleagro-Epigramma,174
Baci ecco mi manda
Timarione
occhi di fuoco lo sguardo bruciante
poi con quel suo tocco mi abbraccia
Meleagro
traduzione di
Giuseppe Gianpaolo Casarini
ἁ φίλερως χαροποῖς Ἀσκληπιὰς οἷα γαλήνης
ὄμμασι συμπείθει πάντας ἐρωτοπλοεῖν.
Meleagro
A.P. V, 156
Asclepia dagli
occhi come le serene acque
che d’amor sacerdotessa appare tutti invita
a navigar con lei nel mare grande dell’amore
Meleagro
traduzione di
Giuseppe Gianpaolo Casarini
τῷ θαλλῷ Διδύμη με συνήρπασεν ὤ μοι. ἐγὼ δὲ
τήκομαι, ὡς κηρὸς πὰρ πυρί, κάλλος ὁρῶν.
εἰ δὲ μέλαινα, τί τοῦτο ; καὶ ἄνθρακες: ἀλλ᾽ ὅτ᾽ ἐκείνους
θάλψωμεν, λάμπους1᾽ ὡς ῥόδεαι κάλυκες.
Asclepiade
Epigramma A.P. Liber, V,
210
Didima si sta prendendo
gioco di me,
ahimè!ma io guardando la sua bellezza,
mi sciolgo come cera davanti al fuoco.
E se lei è nera, dunque che fa?Pur neri sono i carboni,
ma quando prendono fuoco, splendono qual splendide rose.
Asclepiade
Traduzione di
Giuseppe Gianpaolo Casarini
E rimaser chiusi
Signorina di quel nostro tempo antico
son passati circa sessantenni di Gea
non so se ancora calpesti il suolo
oppure felice di aggiri ecco in quei
Campi Elisi ma d’Ovidio so che ben conoscevi
L’Ars Amatoria e di questa L’Ars Amandi
come di Saffo le liriche amorose e degli
antichi quel cantar di Eros e di Afrodite
ma di assaporare questi versi in comunanza
non vi fu tempo e luogo che i libri furono
negletti che tra noi solo sguardi cattivi
e se non odio certo molto sì tanto rancore
Preghiera di una madre afgana al filo spinato:
Tu filo spinato ammasso ritorto intrecciato
di fili di ferro e d’acciaio appuntiti tu che
dai voli della speranza ci fermi ti prego
abbassati un poco e tu soldato straniero
lì tra la calca impaurito tu pure fermati
un poco ecco alzo le mie povere mani e ti
offro questa creatura carne della mia povera
carne prendilo come dono supremo sofferto
di una povera madre su su corri mettilo
in salvo corri presto e non ti voltare e
tu filo spinato dove ora mi trovo dopo
il mio gesto d’amore impigliata non ti
turbare che ben altro sappi è il mio dolore
Un sogno
Notte di san Lorenzo
una panchina del parco
lì riposa sotto la luna
un mendico e guarda
le stelle e una caduta
dal cielo attende una
e solo un desiderio
da inviare in alto uno
invano che solo nel sogno
sorridendo quella sperata
stella vi vede e nel sogno
presto appagato quel desiderio
d’amore sì un bacio d’amore
sul sognante cade una foglia
e dolcemente lo sfiora sul viso
è rotto cosi il sogno svanisce
quel bacio suo sperato d’amore
Dolori
Si guarda allo specchio il vecchio
e si vede e si sente vecchio una
faccia che nello specchio riflette
i suoi dolori dolori degli anni
delle fatiche dei malanni gli occhi
chiude e in quel buio ecco una visione
un giovane viso ma triste nell’aspetto
altri dolori dell’animo e del cuore
quei dolori non fisici ma mali d’amore
gli uni e gli altri oggi difficile pesare
Calicanto estivo
Tu che nei giorni
del crudel morbo
della mortale pandenia
agli occhi triste
qual fior della miseria
ti mostravi sotto il
ciel di Lombardia nero
or che questo cielo è più
sereno e bello lo rallegri
con accesi colori rosso
cremisi di delicato fiore
Confronti
Bello splendeva al sole
con gli alti rami di fiori
adorno il bianco oleandro
or la furia di un temporale
estivo ha sfogato su di lui
la sua violenta rabbia pendono
a terra i rami lì spazzati
pure i fiori persi nell’aspetto
nei colori e lì sulla credenza
della stanza buia del vecchio
una vecchia sua fotografia
lui giovane bello alto sorridente
ritto or si guarda allo specchio
pur lui curvato piegato ma sorride
di questo suo natural decadimento
l’usura del tempo il danno lento
dei malanni poi il pensier corre
lontano e si fa triste che altri
meno di lui nel tempo fortunati
ecco ricorda come il bianco oleandro
colpiti furono abbattuti all’improvviso
senza pioggia lampi e temporali
dai colpi di una rapace falce nera
Sospira la vecchia
Nell’afa della calura estiva
alla finestra nel cercar
un poco refrigerio dal fresco
della sera là tra gli alberi
bisbigliar sente dolci parole
tra innamorati e il pensier
corre a sere estive assai
lontane quando d’amor parole
le venivan dette parole oggi
ormai dimenticate e nel ricordo
le cerca nel suo amaro sospirare
e poi un nome e un volto ancora
e più forte quel sospiro che
a morire va nell’aria della sera
Il nespolo
Cresciuto è nel tempo
l’albero del nespolo
qui nel mio giardino
ma frutti non da ancora
non qui nato trasportato
qual alberello prima venuto
da lontano non dalla Sicilia
dalla Casa del nespolo della
famiglia Toscano ma dal seme
di un giallo frutto interrato
in un mastello tanti anni
addietro da una cara vecchia mano
Tu sedano
Giunto del tuo ciclo vital
al fine al cielo mostri
i tuoi bianchi fiorellini
e lì nascondi quei sottil
semi dal sapor di liquerizia
tu sedano verde aromatica pianta
tu in gastronomia gran regina
tu selinon sacro ai greci dendron
e nel prodigioso evento da Omero
cieco poeta lì nell’Iliade narrato
da te la guarigion da letal morbo
presta del puledro nelle pugna
amico del pelide iroso Achille
e tu di eccelse terapeutiche virtù
che in te Ippocrate un tempo vide
come nei secoli più avanti pur
Ildegarda la santa dei nervi dal dolor
dalla mente depressione giusto rimedio
e poi qui infine ricordare è bene
che in te al piacer della libidine
stimolante impulso trovò Madame Pompadour
la ben nota e famosa intrigante dama
che vinse per sempre la sua frigidezza
Basilico
Pianta erbacea aromatica
il basilico foglie larghe
piccole o sottili dai colori
vari verde delle verdi
colline genovesi nero qual
figlio delle laviche pietraie
ischitane violaceo rosso
lande thailandesi messicane
profumi aromi dall’intenso
al delicato or vi senti
menta fior di garofano cannella
fine gelsomino generosa ti offri
medicamentosa e in cucina
tisane e impacchi foglia semplice
o pestata salse che van dal Tigullio
alla Sicilia nome non principesco
ma regale sulla mensa imbandita
stai e sulla umile panca contadina
Oggi mi parlano i gerani
Spendono al sole nel giardino
in sette vasi i rosa bianco e rosso
fiori dei gerani li guardo
li vado ad accarezzare ed
ecco nel bisbiglio del vento
mi sembrano parlare: ricordi
quei di un tempo che di tua
mamma ornavano il balcone
quei nostri rosso rosa e bianco
a noi fratelli? Ricordo
e mi commuovo ed ancor mi
par di rivedere una cara
a me figura che curva su di loro
su quel balcone antico familiare
con cura amica accarezzare:
la bella figura della cara mamma mia!
Lavanda in fiore
Tempo è giunto di recidere
la lavanda con i suoi fiori
che poi seccati a profumare
vanno in ciotoline punti
vari della casa e ad dar dolce
fragranza alle linda biancheria
e mentre la mano rapida taglia
corrono il ricordo la memoria
a campi intenso azzurro baciati
dal vento provenzale a quel colle
alpino che di te si fa orgoglio
e vanto ed infine a un vicoletto
di un noto paese vigezzino lì
una targa un nome ai più ignoto
de Femminis inventor delle acque
profumate di colonia e di lavanda
Ad un bianco oleandro
Pianta velenosa sei
per il botanico scienziato
per Pitagora principe
dei numeri e pensator antico
per delle tue foglie
in triadi armonia simbolo
dell’universo fosti
Giuseppe fu prescelto qual
sposo della Vergine
Maria per quel bastone suo
come narra la leggenda
antica che per magia divina
coperto divenne da rami
belli dei tuoi splendenti fiori
io a te oggi a te bianco oleandro
che con l’ampia chioma dolce
alla visione verso il cielo
ti volgi e che per beltà
imponenza sovrasti del giardino
i pur belli tuoi fratelli
oltre la vista io volgo il mio
pensiero che di gioia gli occhi
colmi e all’animo tanta pace doni
Belle di notte
Mi fan stasera compagnia
tarda l’ora ed il buio
in parte il tutto oscura
delle belle di notte
i delicati rossi fiori che
all’aria quel delicato
profumo danno l’animo
pian piano ne è pervaso
e dei pensieri la tristezza
così ne vien piano addolcita
L’odorosa verde menta selvaggia
Qui nel giardino ancora profuma
come un tempo l’aria l’odorosa
verde menta selvaggia profumo
che in quel tempo antico mio
si accompagnava a quello buono
delle pannocchie lì sull’aia
ad essiccare ma persi quei suoni
quelle voci che nelle sere allora
ne respiravano come il dolce sapore
delle mondine il canto della Lilla
della Dora alla luna l’abbaiare
dei vitelli il muggito dalle stalle
il continuo petulante gracidare
dai fossati lontani delle rane
quel risuonare nel buio nei giochi
di ragazzi chiamato Giuseppe il nome
mio lì a Motta Visconti nome che per me
come per Ada Negri la vergine ribelle
il profumo richiama e richiamava tanto
della giovinezza Motta Visconti dei miei nonni
paese dei miei genitori della cara mia sorella
Il giglio di Carniola
A donar al giardin altro colore
con i suoi fiori giallo arancione
che penduli timidi si inchinano
la natura a ringraziare tu pianta
venuta da lontano di Slovenia terra
e qui il ricordo corre a una fanciulla
che del Castello del lago di Bled
la storia e le leggende raccontava
L’uomo con il falcone
Ricordo con il suo falcone
l’uomo fermo in attesa
degli sbarchi della nave
da crociera per una foto
e un piccolo compenso
due vite in comune ora
ma allor il mio pensiero
volò al rapace uccello
come un tempo in volo
non inerte su una spalla
spazi eterni sconfinati
del cielo e del deserto
nuvole e sabbia a fargli
compagnia ecco in alto
in alto rapido veleggia
poi in picchiata una preda
giù a catturare da un obolo
ora quel suo povero nutrimento
La zia Adele
Bella eri sempre elegante
con il tuo sorriso buono
con le labbra ben curate
il tuo bianco cappellino
quella strana borsettina
di una stoffa variopinta
e per vezzo quel ventaglio
penne di struzzo nella mano
or dopo più di settant’anni
io di te ho un ricordo caro:
di mia nonna Nina eri la sorella
quel tuo breve un lampo matrimonio
lì celebrato e lì poi subito finito
che nel letto al primo impatto
quello sposo tuo via cacciasti
poi quella vita tua solitaria
dignitosa in povertà sol lavori
di occasione poi qualche aiuto
da mia nonna e da un nipote
benestante ragioniere, qual
di te il più bel ricordo? Ecco
il tuo fare col di legno bastoncino
ancor ti vedo in mezzo al prato
e quei d’erba vergin tagli freschi
pronta tu a rigirare e rigirare
perché il sole li seccasse e in fieno
fine tramutasse con quel foulard verde
speranza il cappello ampio color rosa
e tu in quel mondo di lavoro duro
assai gravoso contadino tu portavi
con dignità lì quel tocco bello di beltà!
Piante aromatiche
Alzan la voce del giardino
le aromatiche piante dicono
perché solo di noi ti sei
dimenticato tanti fiori
e piante hai osannato e pur
dei gialli capolini sappiamo
della lattuga selvatica
hai parlato e infine la malva
di recente sui mal d’amore
hai interrogato sorpreso tanto
di tanta indignazione ecco
ancor sentir dell’origano il profumo
quelle calde pizze di un vecchio
forno a legna il sapore gustare
degli gnocchi burro e salvia
della nonna e di ieri sera
degli spaghetti un filo d’olio
e verde basilico e fresco
pomodoro e quindi mentre credo
di avere a questo torto mio
verso quelle riparato un brusio
da due angoli lontani del giardino
che si muove l’alloro al vento
e a questo si piega il profumato
timo sì sì di voi ne parlerò in futuro.
La selvatica malva
Mentre della selvatica malva
i rosacei fiori sfioro con la mano
piano le domando tu che tanti mali
sai lenire pur le pene i dolor d’amor
sai tu curare? Muta la pianta non risponde
e la capisco perché tanta curiosità
la mia? Sa che son vecchio e forse
in un tempo assai lontano quando
il cuor mio bruciava per amore non so
quanto lenitiva sarebbe stata la risposta!
Oggi i miei pensieri
Dell’alto pioppo tra i rami
gracchiando si rincorrono
le gazze nel giardino fermi
i merli stanno in attesa
che un verme tra il verde
faccia capolino nel nido
lassù dove nel tiglio in fiore
lo rende tra le foglie più
sicuro sonnecchiano due tortore
così nel volger nel giorno
delle ore i miei pensieri
ora si inseguono e sembrano
gridare poi attimi vi son
tra lor un di riflessione
e a tarda sera si acquetano
e la mente così si rasserena
Plumbago
Apre a metà giugno gli occhi
la plumbago azzurri fiorellini
color cielo e volti la volta
di questo a completare e all’aria
donar altro profumo e nel giardino
più dolce e bella sinfonia da oggi
di odorose essenze e di vari colori
Sensazioni
Odoro e respiro l’aria dai fiori
del tiglio profumata si rallegrano
gli occhi alla vista dei colori
dell’ortensie e l’udito allieta
degli uccelli il canto poi le ali
bianche sfioro di una farfalla
in volo e il gusto così dolce
della natura assaporato lieto
mi abbandono al mio fantasticare
Della selvatica lattuga i fiori
Lungo i cigli di assolate strade
nei giorni prossimi all’estate
quel verde ravvivano e color
gli danno i soffici gialli capolini
della selvatica lattuga e nulla
al viandante chiede l’umile erba
se non di stare qui un poco poco
fermo per questi suoi fiori un poco
rimirare se sì poi una vocina lì si udrà
siamo umili poveri fiori di campagna
ma non ci devi per questo disdegnare
che sulle di Salomone ricche e sgargianti vesti
mai trovato avresti un sì splendido colore
Zibaldone di erbe, sapori, altro
Haiku 05-06-20
Rosa aulenta
Come disse un poeta
Segno d’amore
Haiku 01-06-20
Malva in fiore
A ascessi dentali
Pronte tisane
Haiku 02-06-20
Il rosmarino
A arista in forno
Dona sapore
Haiku 03-06-20
Menta selvaggia
A arsura violenta
Bibita fresca
Haiku 07-06-20
Basilico v’è
Lento cuoce il ragù
Foglia laggiù
Haiku 08-06-20
Origano qui
Pizza mozzarella
Ride il ghiotton
Haiku 04-06-20
Foglie d’alloro
Vi passa un poeta
Serto d’onore
In memoria di una aquila reale
Non più tu regina delle alte vette
sfiderai l’aria e l’azzurro cielo
con maestoso e superbo volo aquila
reale bolzanina che tornata al nido
ed alla materna cova intenta man vile
assassina ti negò la vita ed il volo
e la gioia di vedere a nuova e vita
viva quei desiderati tuoi pulcini
che della natura peggior specie è l’uomo
Di due donne il ricordo
Chissà perché corre oggi
il ricordo a due donne
e dopo settant’anni forse
è la nostalgia di quella
via dove mio padre allora
aveva la sua macelleria:
una molto anziana l’altra
meno matura diceva la prima
di esser baronessa fuggita
anni prima dalla Russia
e la più giovane figlia
secondo quel compagno strano
di un ricco conte dal nome
invero sconosciuto e caduto
poi nella più miseria estrema:
sì contesse e baronesse ragazzo
io con quei ragazzi miei amici
di via Pietro Crespi la fantasia
ingenua portava a un mondo per noi
tutti lontano sconosciuto a noi
donato da queste due signore seppur
vivevano alquanto povere vite grame:
sì care nobili figure assai lontane
che oggi mi piace tanto ricordare!
La chiocciola
Stava ferma nel suo guscio la chiocciola
in riposo e le ho parlato e le ho detto
pensa come entrambi siano tanto fortunati
vedi nel mondo quanti sono i senzatetto, fissa
una casa ho io e tu mobile anche se capisco
la devi tutti i giorni spostare con fatica,
mi rispose tra i due tu solo sei il vero
fortunato che non conosci le varie insidie
che per viver sicura devo ogni giorno sopportare:
sì cara chiocciola hai ragione che a te guardando
e ai sofferenti nel mondo poveri e senza casa
pur contando i tanti miei mali non mi devo lamentare.
Di me parlando
Smessi camice tuta giacca
a cercar veder e parlare
dei metalli e leghe loro
vita morte e cure ecco
negli anni di vecchiaia
il volger del calamo a
vergar qual scribacchin
in versi e non di ghise
ferro acciai ottoni rame
o altro di metallifera
natura ma dell’animo
il sentire e della mente
i ricordi di perduti volti
le vision che agli occhi
dona il mondo e i pensieri
dai colori rosa azzurri
neri e così di me passò
tra l’oprar ed il sognare
il volgere del tempo tanto!
Qual tiglio in fiore
Il tiglio che quando di foglie
adorno è ed i rami carichi sono
di profumati fiori e gioioso
l’aria delizia con effluvio dolce
tanto felice che di pianto sgorgan
al suol cadendo resinose gocce
così sovviene pure al viver nostro
quando a chi si ama mandiam sorrisi
e baci e nel momento la felicità è rotta
poi da calde nostre lacrime d’amore
Qual tiglio in fiore
Il tiglio che quando di foglie
adorno è ed i rami carichi sono
di profumati fiori e gioioso
l’aria delizia con effluvio dolce
tanto felice che di pianto sgorgan
al suol cadendo resinose gocce
così sovviene pure al viver nostro
quando a chi si ama mandiam sorrisi
e baci e nel momento la felicità è rotta
poi da calde nostre lacrime d’amore
E fu felice il bimbo
Eccoti giugno
L’estate arriva
Messi nei campi
……………………………………
Voli d’uccelli
In alto in cielo
Campi sicuri
………………………………
Scende la sera
Il vespero suona
Una preghiera
……………………………
Villano spera
Sia buon raccolto
Tanto frumento
……………………………
Scorre l’acqua
E mulino macina
Molta farina
…………………………………
E’ notte fonda
Lì fornaio impasta
Profum di pane
………………………………
Una fettina
Taglio un filone
Un buon panino
Un grappolo di successive visioni (Haiku)
Erba novella
Striscia una biscia
Ecco un merlo
Luci di alba
Arriva il giorno
Or al lavoro
L’onda si alza
E il mare si increspa
Presto burrasca
Spenta la luna
Panchine al buio
Baci d’amanti
Duetto
Haiku 14-05-20
Alto in cielo
E alla luna guardo
Pensando a te
Haiku 16-06-20
Scende la sera
Il vespero suona
Una preghiera
I gelsi neri
Qui presso le sponde del Ticinello
nei dì di primo maggio al viandante
generosi tendono quel dolce frutto
loro la bella succosa mora nera
umili a quel non chiedono compensi
chiedono solo che man gentile colga
e violenta non sia a verdi foglie
e agli alti ricchi rami nella smania
con il distaccare e lo spezzar crudele
ma ecco son voci poi tu vedi inascoltate:
ingratitudine tanta che lì a terra gemono
prima e infin seccano divelte di lor brocche
La mia scimmia antica
Ai tomisti e ai filosofanti
il disputar se la natura
degli elementi e degli esseri
viventi sia o men da Dio intesa
che oggi il pensier forte è volto
al DNA mio e a quello proprio
della scimmia antica da cui
partì l’ossea catena della vita
mia e al suo grado ultimo paria
nell’ordine scimmiesco come oggi
ultimo son io che solo questo
so di sapere poco o poco niente
mentre oggi da scimmie titolate
e principesche tanti e tanti
saputi sapienti e sapientoni!
Del poetar oggi il foglio é bianco
Guardo oggi quel che mi circonda
e confuso son tra verità e falso
quel che il verde dice essere
buono il rosso e il socio poi sicuri
gridano forte è la peggior cosa
l’azzurro balbetta e il suo dire
sull’argomento ecco non s’intende
anch’io vorrei dir come la penso
ma poi qual è il punto di riferimento?
Così oggi il foglio del poetar mio
rimane bianco che invan la mente
il vero cerca per cui il calamo non verga
Rossi papaveri
Tremuli rossi papaveri
si accendono al sole
come a voler le nuvole baciare
qual rosse bocche d’amanti
labbra assetate d’amore ardenti
E lì una bimba
Rosso geranio
Vola una farfalla
Dolce vision
Il merlo canta
Lì sull’alto tiglio
Nell’aria trillo
Lì il viburno
Bianche palle di neve
Al sol splendore
Farfalla danza
Sorridon i fiori
Ali colori
Giallo quel fiore
Piumoso è quel frutto
Soffia la bimba
Dopo l’ascolto
Il rumore del vento
Lì una finestra che sbatte
Un sogno interrotto
E corre la mamma dal bimbo
Guardavo alla luna
In attesa di un raggio
Un raggio d’amore
Poi la spense una nuvola
Tripudio
Cicala canta
Impazza il solleone
Rotto il silenzio
Il sole nasce
Inno alla aurora
Canto del gallo
Canto di grillo
Tripudio di colori
Danza la talpa
Lucciola danza
Notte sull’erba buio
Scia di luce
Brocca di pesco
Un cinguettio sul ramo
Allegria nell’aria
Spighe dorate
Azzurro terso il cielo
Volo d’uccelli
Nel verde splende
Di color forte vivo
Rosso geranio
Un grappolo
Haiku 10-05-20
Erba novella
Striscia una biscia
Ecco un merlo
Haiku 11-05-20
Luci di alba
Arriva il giorno
Or al lavoro
Haiku 12-05-20
L’onda si alza
E il mare si increspa
Presto burrasca
Haiku 13-05-20
Spenta la luna
Panchine al buio
Baci d’amanti
Zona Industriale di Binasco
Qui il Ticinello sen va
verso la fine del suo corso,
l’acqua vi scorre limpida
veloce, qui spesso nel silenzio
a rinfrescar venivo i miei pensieri
e i tristi a far lontano trascinare
Compari nella notte
Tempi passati tempi di ladri
di galline, un puttaniere
si racconta nel cuor della notte
rincasando sen stava e all’improvviso
s’imbatté in tre loschi figuri,
passato quel primo natural
spavento a quelli lor disse piano
compari amici buon lavoro che
vedo che in giro tutti siamo
per il mestiere istesso al che
a te pure buona fortuna sia
di rimando il capo masnadiero
e lesti poi con passo felpato
nel buio nero pesto spariron:
proprio così raccontò all’amante
tronfio il puttaniere l’indomani.
Peonie
Fiorite son in anticipo svegliate
dai suoni nell’aria di lugubri
sirene e di mesti rintocchi di
campane a morto le peonie che
han così voluto un poco la vista
e l’animo rallegrare in questo
del viver nostro incerto timoroso
tempo di tristezza colmo al sole
offrendo vaporosi qual seta rosei
dalle corolle giallo puntinate
fiori che poi come presto fioriti
presto si son spenti mortal quei
suoni velen alla linfa vital loro
e lentamente ad uno ad uno dai
materni steli giù cadono i petali
piangendo e sfatti così i fiori
lì come in croce bruni pelosi semi
Dell’erba cipollina i fiori
Vita ha presa quell’erba
cipollina nel tondo vaso
lì da anni e da tempo
trascurato che vi sono
sbocciati dolci fiori,
son sfere piumose lilla
rosate lì in cima poste
su lunghi sottil steli
che paion pon pon da man
fatate modellati e all’aria
al ciel e al sole regalati
Duetto Maggio 2020
Baishù 2
Il rumore del vento
Lì una finestra che sbatte
Un sogno interrotto
E corre la mamma dal bimbo
Baishù 1
Guardavo alla luna
In attesa di un raggio
Un raggio d’amore
Poi la spense una nuvola
Morte…morte…morte!
Ultimi giorni d’inverno
si aspettavan della Primavera
i primi tepori il risveglio
della natura e mentre tutti
in questo sogno d’attesa rapiti
tutti atterriti ci siamo svegliati
un nemico subdolo da lontano venuto
in Italia in questa mia terra
lombarda seminava silente la morte
e impotenti noi in tal tetra guerra!
2 Triade di Maggio
Haiku 6-05-20
Il merlo canta
Lì sull’alto tiglio
Nell’aria trillo
Haiku 5-05-20
Lì il viburno
Bianche palle di neve
Al sol splendore
Haiku 4-05-20
Spunta la luna
Si accendon le stelle
Luci nel buio
Guardando i tigli
Gli alti tigli che a febbraio ancora
al cielo tendevano i lor nudi spogli
moncherini sofferenti rami che in coro
pietà al passeggero parevano implorare
da larghe primaveril foglie ampie
verdeggianti chiome lì si offrono
alla vista in questi primi giorni
maggiolini e orgoglio e vanto or son
spente le nudità delle odorose piante,
pur io al ciel tendevo in febbraio
le mie mani cariche d’anni e di dolori
ma in questo maggio non sono rinverdite
e non riverdiranno nel tempo prossime
a morire e nell’attesa non so quanti
i giorni i mesi gli anni ancor potranno
al ciel levarsi e le persone amate
ancora abbracciare e piano accarezzare!
Fiori e fiori
La natura e la sua giovane figlia
Primavera addolorate per il pestifero
flagello che la terra tutta addolorava
si dissero congiunte addormentati quest’anno
dobbiam teneri i fiori che anch’essi
turbati non sian poi da lutti da dolori,
poi dopo un po’ di pensamento perché
non rallegrare le umane sofferenti genti
con essenze odorose e con tripudio di colori?
Prime risposero all’appello se pur timide
le primule le margherite poi i ranuncoli
le viole e la forsizia di presso in un seppur
lento crescendo alla luce si affacciarono
altri e altri fiori: narcisi giacinti calle
selvatiche e mughetti ed altri poi ancora,
infine dai baci amorevoli della Primavera
risveglio presero e vita la lunaria le eriche
gli iris ed i gerani variopinti rossi bianchi
rosa tenero arancione e così in questo coro
e effluvio di profumi e di colori nei tristi
questi che viviam momenti un poco alla mente
riposo vi sia e all’animo di dolcezza un poco!
Triade di Maggio
Haiku 1-05-20
Farfalla danza
Sorridon i fiori
Ali colori
Haiku 2-05-20
Giallo quel fiore
Piumoso è quel frutto
Soffia la bimba
Haiku-3-05-20
Sen va il sole
Or attendo la notte
Pace sovvien
Troncheide
(Filastrocca di un amaro amor!)
Caro mio lettor
In versi voglio dir
No no non poetar
Che sarebbe troppo ardir
Ma mero raccontar
Di un amor
Voglio parlar
Finito purtroppo mal
Ancor ricordo ognor
Che il giovin
Disse allor
Che cosa vuoi amor
Rispose ella un fior
Or ben
Di qual color
Azzurro come il mar
Or lo andrò a cercar
Sì di me non ti scordar
Ma non capì il tapin
Che quello era il fior
Il fiore dell’amor
Che d’Aligi nel giardin
Quel colse con la man
Per far alla bella don
Ma quella non gradì
Così l’amor finì!
Ad un venditore di fumo
In paese eri da tutti ben noto
conosciuto qual uomo bilioso
un tuo vicino vendeva salsicce
invidioso lo volesti imitare
poco avvezzo al fuoco alla brace
sei più noto qual venditore di fumo!
La pianta della miseria
Ben ricordo chi il nome le diede
in un tempo lontano passato
or la vedo rinverdita anzitempo
questa pianta e il suo fiore
tra il verde spuntato par
foriero oggi di tristi futuri
momenti e a rimandar a pagine
antiche peste carestia di pane
mancanza sotto il cielo di Lombardia!
Della calla selvatica il fiore
Oggi l’Arum Italicum la selvatica calla
Mi ha fatto un dono offerto alla vista
Al cielo il suo fiore bello elegante qual
Dell’orchidea che pallido giallo il suo pistillo
Larga eburnea la foglia guaina amorevol protettiva
E quel sol catturato poi all’aria come energia dato:
Di speranza fonte al rinascer allo spuntare come il fiore
A nostra vita nuova dopo i tanti suon lugubri sentiti!
Fior palla di neve
Solitario il vecchio guarda:
Il viburno palla di neve
E’ rifiorito e adorno si
Mostra in questi d’april
Giorni di sferici perfetti
Bianco fiori che per forma
Bellezza ed eleganza gareggian
Con le ortensie, bianco fior
Che da primavera alla bianca
Stagion riporta e a ricordi lontan
Quando da fanciulli in guerresche
Tenzon l’aria fendevan nivee palle:
Il vecchio rivede e di commuove!
I mughetti
Son tornati a fiorire i mughetti
sono fiori di un passato lontano
primo maggio e un mercato di fiori
nizzardo Garibaldi vi era nato
vicino quel vasetto costato tre
euro poi piantato qui nel giardino
nel fiorire puntuale ogni anno
mi riporta a un sorriso gentile
la fanciulla che me l’aveva venduto
un sorriso poi nel tempo perduto
Anni fa: Nizza Primo Maggio Festa dei Fiori
Una vecchia vietnamita
(Dopo aver visto un documentario: Vite sul delta del Mekong)
Guardo le mie calle selvatiche
dalle verdi rigogliose foglie
ritornate dopo l’invernal sonno
al sole a dar saluto e il ricordo
corre là al delta vasto del Mekong
alle sue rive lì dove altre calle
a queste mie sorelle vision dan
lussureggiante e bella e lì ecco
una vecchia vietnamita che curva
con il macete di lor netto ratta
ne taglia i robusti steli lunghi
che al sol poi a seccar lascia
e infin con mani rapide e sapienti
giri ad intrecciarvi va fini canestrelli
e altro ricordo a me amar ritorna
altro fiume il mio Ticino azzurro
altri vecchi quei nonni di mio padre
con l’acqua nemica fino alle ginocchia
altri giunchi recisi altri canestrelli
Ticino Mekong eran sono vite grame!
La vecchia e il suon delle campane mattutino
Son le otto del mattino ed ecco il suon delle campane
e come a memoria nell’aria dicon tra poco sarà messa
ma oggi invero tal richiamo va a perdersi lontano
che sul portone della chiesa un cartello quale vigil
sentinella posto a guardia del diffondersi del virus
reca scritto cari fedeli son sospese le funzioni messe
matrimoni funerali e sacramenti in ossequio all’ordinanze
ma nel silenzio che poi segue ecco un passo solitario
viene a romper questa quiete una vecchia curva stanca
incurante dei divieti piano sui gradini a stento sale
un lumino acceso in mano e lì a terra tremante lo depone
si fa il segno della croce accennando ad una preghiera
un saluto ad un paio di santi alla Madonna e al Signore
poi felice per quest’atti lenta fa il suo ritorno a casa.
I piumosi frutti del tarassaco
Lì due frutti piumosi del tarassaco
solitari mentre solo li guardo sembra
mi vogliano parlare e dire dove oggi
la bimba tua, tua nipote, che allegra
i soffion soffiava e all’aria al cielo
in alto si disperdevan tra di lei di
gioia grida quei sottil piumosi pappi?
Ed io a quelli lontani siam oggi qual
prigionieri in diverse case e non so se
mia nipote altrove sorridendo altri soffion
abbia soffiato ma se saprò vi dirò domani
che ora a lei pensando mi velo di tristezza.
In queste mattine
In queste mattine sul presto
Apro la finestra della camera
Da letto e guardo nel giardino
Lì m’aspetta la cornus rubra
Per darmi il suo saluto e i rosei
Fiori suoi boccucce delicate
Mi sussurrano buon giorno e poi
Sottovoce questo mi dicon: sappian
che tra poco degl’ottantanni tu
taglierai il traguardo, lo so
Lo so rispondo alla cornus io
E pur a quei suoi rosei fiori:
So pur che tra un anno tu cornus
Ritornerai a gemmare e che voi
Fiori suoi ancora a rifiorire
Quel che non so o pianta o fiori
Se allora ancor qui sarò dalla
Finestra giù a guardar voi e
Poi tra noi parlar ed ascoltare!
L’albero di Giuda
Potato fu a novembre
qui l’albero di Giuda
spogliato dei suoi
rami e oggi ad april
al cielo offre quei
moncherini,non foglie
e là sulla corteccia
nuda del materno tronco
grappoli isolati di lillà
violacei fiori,da tal
fiorire e da tal color
purpureo ecco nel tempo
leggende e pie credenze
di Cristo il tradimento
e la passione far memoria.
Or in questi moncherini
l’animo mio vi vede braccia
mutilate tronche e sanguinanti
per i tanti amici nostri morti
e sofferenze e noti tradimenti
che dal Verbano al Garda
spalancate son alla speranza
sì che dopo la passion segno
son forte di resurrezione: quel
risorger per la Lombardia mia
come lo fu per Cristo a vita nuova!
Quest’anno gli innamorati non van per viole
Quest’anno è il duemila e venti
e si offre all’animo e alla vista
una strane e ben diversa primavera:
regna nel paese nostro in Italia
un morbo che semina morte e che invita
a star tra di noi lontani e serrati
in casa, così anche ne risenton
i fiori da noi amati e la natura:
si son sole le viole lungo la riva
lì del fossato quel loro profumo
sì dolce ancor nell’aria olezza
ma fiori son che invan oggi degli
amanti attendon le carezze care:
quella man che coglie, il delicato
gesto, quel bel mazzolin in dono!
Lontan svanito è l’amorevol tra
di lor abbraccio come quando lor
nel tempo a primavera andavano
tra il fresco verde a cercare quei
bei al sol nascenti e profumati fiori:
oggi il crudel quel maledetto virus
l’un tien tanto lontan dall’altra:
e così povere viole siete rimaste sole!
La solitudine oggi
In questi giorni la solitudine
È uscita dall’oblio e si è moltiplicata:
Eccola silenziosa a far da compagnia
A chi muore per il mortal flagello
In ospedale e a chi vecchio e solo solo
Sen sta come recluso prigioniero in casa
Che oggi amara suona la serafica scritta
Sul porton di un francescan convento
O beata solitudo, o sola beatitudo!
Quello scopone
Tempo di contagio e di infezioni
Chiuso nella casa il vecchio
Da tempo è solo e sol la solitudine
Gli è cara compagna e rotta solo
Da quel settimanal pio soccorso
Pasta zucchero caffè di prosciutto
Una busta cosce di pollo frutta
Medicine e poco altro e pensa,
Ed il pensier corre agli amici
Allo scopone scientifico all’osteria:
Sospira e non sa che di quelli
Due in alto son volati e che lì da oggi
Al tavolo è San Pietro a dar le carte!
Mancan
Vince per ora il morbo letal
Che a temporanea resa ci costringe
Nella battaglia dell’usual
Viver nostro quotidiano
Per molti poi e tanti nella chiusa
Casa solo la solitudine è qui
A far da compagnia e corre il pensiero:
Che alla vecchina manca la messa
Mattutina ai bimbi quei correr
Gioiosi nei giardini al giovane
Della lontana fidanzata un bacio
E a noi tutti noi qualcosa manca
Diverso e diverso tanto per ciascuno
Un incontro un sorriso una cosa altro
che la mano è in attesa domani di trovare
Ieri: Pasqua 2020
Pasqua suonavan a festa le campane
al sole risplendevan della cornus
rubra i rosei fiori e si rallegrava
l’aria di musica e profumi lievi
e la tristezza del momento che
tutta lo stivale dalla Vetta d’Italia
a Lampedusa avvolgea un poco vi scemava
Qual rami dell’animo
Muove il vento del giovane oleandro
i rami che par come gradire questo
cullante dondolio pur io vorrei
in queste tristi ore tante le morti
immense sofferenze che il virus
dona che la mente mia un poco
almeno muovesse dondolasse e cullasse
quei miei tristi pensier rami dolenti
di un animo qual pianta triste e sofferente
e per un poco almeno facesse addormentare
Una musica….una spiaggia….quella signorina
In queste ore mesi che il feral
morbo infetta e semina la morte
oggi per dar un poco l’addio
alla tristezza un po’ di musica
all’animo ho fatto respirare
e mentre degli Indios Tabajaras
la chitarra ritmava il dolce
suono non so perché la mente
è corsa ad una lontana spiaggia
romagnola due ombrelloni il mio
e lì vicino quello di una signorina
milanese lei impiegata e io da poco
chimico dottore poche nei giorni
le parole buongiorno buon appetito
buonasera e qualche scambio solo
di alcune informazioni personali
del fidanzato mi disse un ingegnere
di un paese marchigiano qui vicino,
ricordo sì ricordo poi come particolare
un pomeriggio nessun ancora sulla
spiaggia mi si avvicinò si tolse
la parte alta del costume e piano
disse mi può un poco la crema
mia antisolare qui spalmare
confuso un po’ vero impacciato
diedi con man tremante l’inizio
alla operazione di lì a poco
mi sorrise anch’io sorridente
risposi a quel sorriso al soffio
di garbino lasciai di indovinare
quali allora i di noi pensieri.
Lì nel nido un segno di speranza
Le due tortore che nei dì passati
tubavan allegre in su del basso pruno
il nido han fatto or lì nell’incavo
di una una forcella del vetusto tronco
dell’alto tiglio, all’animo che triste
in queste ore dolcezza danno il covar
della femmina quel suo capin che muove,
la continua spola del compagno suo tra
la piccola lor dimora e gli ampi spazi
e l’erbe a cercar al viver il sostentamento
che qui tra poco schiudendosi le uova
luce troveranno nuove vite, questo forier
sia di speranza e d’augurio, in questa Santa
Settimana che alla Resurrezion porta
di Cristo dall’avello, che cessato il flagello
mortal ecco del viver morto la resurrezione!
Invito oggi alla speranza
All’inizial concerto dei biancofior del pruno
del melo cotogno i rosso delicati e del giallo
dei ranuncoli e di quelli giallo corolla bianchi
delle margherite voce danno al floreal coro
che festeggia il marzolino ingresso nella stagion
che di colori i prati indora i vivaci variopinti
tulipani e i giaggioli intensi viola dal profumato
fiore così del canto dei cantor l’armonia che nasce
nell’aria ammorbata dal pestilenzial vile flagello
qui alta di gentile olezzo sale di speranza segno recando
del quotidian perduto viver e antico al ritornare
Il virus della cattiva politica
La Lombardia geme è in ginocchio
affranta conta i suoi morti
la sofferenza riempie gli ospedali
il tessuto economico è al collasso
e chi mentre il morbo era con subdolo
non già palese e manifesto agguato
a Roma Bergamo e Milano con giullare
fare a gozzovigliar ilare era l’invito
a riempir festanti le cinesi mense:
stolti sì stolti ma or con acrimonia
forte vanno a infangar chi allor
gridava attenti e la dura battaglia
iniziò contro il feral morbo e vi continua:
e così contro la Lombardia mia oltre
al coronavirus s’aggiunge un virus
politico che per chi qui vive lotta …. fa più male:
sia ben fissa nella mente quell’insiem di squallide figure!
Gli Alpini di Bergamo
Una montagna avevan da scalare
Per dar soccorso a amici
Sofferenti non alta la vetta
In pianura addirittura lì
Dove negli anni gente
Accorreva per fieristiche
Manifestazioni non su
Innevati crepacci gli
Amici da salvare che poco
Lontano questi giaccion
In letti d’ospedali non
Picozze ramponi corde
Chiodi corazzati nell’opra
Ardua di soccorso ma divisori
Mura pareti azion da carpentieri
Cavi elettrici idrauliche
Condotte e letti e poi letti
Casse scatoloni per medical
D’ossigenoterapia prestazioni
Così le orobiche gloriose
Penne nere bocia e anziani
Con improba fatica al viso
Mascherine al virus protettive
Han vinto la battaglia
Completata in breve tempo
La scalata lì posta la bandiera
Un magnifico ospedale
Una vetta preziosa dove fioriscon
Altre e più belle stelle alpine
Che fioriscon lì dentro
Medici infermiere barellieri
Petali a sbocciar svelti
Al suon delle sirene:
Bergamaschi Alpini per
Voi l’Italia sugli attenti!
Città vuote
Son vuote oggi tutte le città d’Italia
Vie deserte senza anime le piazze
Che il feral virus agguati tende
A minacciar di noi le vite e la salute,
Ed ecco i monumenti e statue tra di lor
Tornano a parlarsi per riempir questi
Vuoti con voci alte di parole amiche
Che nel tempo il vociar del viver
Nostro qual steccato di separazione
Distratto aveva e annullato come
Le rispettive conoscenze e il gentil
Modo di darsi il buongiorno mattutino,
Or cosi io vedo e ascolto a Milano
Chiacchierar il Duomo con il Re Vittorio
Emanuele galantuomo e come il cappello
Si toglie Leonardo nel colloquiar suo
Con la Scala lì vicino e con Palazzo Marino,
Ed ecco in Binasco dove io il passo lento muovo
La Chiesa Parrocchial al Visconteo Castello
Dove Beatrice per man violenta trovò
Morte dar forte voce e con le campane canto,
E infin laggiù a Motta Visconti in quel paese
Dove nel cimitero dormon da tempo mia sorella
Con i nostri cari genitori le Chiese di Sant’Anna
E di San Rocchino che al borgo fan da sentinelle
Tra di loro allegre le sento parlottare e lanciar
Con squillante scampanio un saluto al lontan Ticino,
E tu lettor che leggi aprendo la finestra
Non senti lì sotto quel parlar di statue e monumenti?
Non leggono né sentono
I gialli ranuncoli e le margheritine
Tra l’erbe verdi del giardino mio
Aprendo al sole gli occhi loro
Fioriscono lieti quel verde punteggiando
Lor non leggono i giornali né telegiornali
Sentono né suon di sirene o campane a morto
Che nei giorni nostri dicon di dolore
Compito loro dar é l’annuncio della primavera
Ed esultar tra giardini boschi e campi
Ricordo
Ricordo quel mio paese
Lì dei nonni c’era la casa
Un’aia un fontanile
Lì vicino un fosso
Limpida scorreva l’acqua
Odor di saponaria
Bucato facevan le donne
Una bionda tra lor fanciulla
Andavo con lei per viole
Di un tempo lontan passato
Forte m’assale la nostalgia oggi
Il suon di una sirena
Chiaro, lugubre il messaggio
dacché in queste triste ore
il morbo impera e morte detta
allor che nell’aria acuto giunge
di una sirena il suono e la stessa
come ferita par e trasudar lì
di pianto gocce: il virus feral
uno di noi ha colpito ancora!
Due tortorelle
Da giorni sul far del mezzogiorno
In alto sull’albero lì del pruno
Due color cenere tortorelle qui
Vengono a sostare e a dar corsa
Tubando tra lor a d’amore sentimenti
Quel canto che nell’aria dolce
Si frammista al suon delle sirene
Lugubre e a quel delle campane a morto
Possa essere d’auspicio forier
Del ritornar a vita nuova annuncio
Qual fu nei dì del Diluvio Universale
De la bianca colomba il ramoscello.
Bergamo oggi
Terra lombarda città del Colleoni
città dei Mille dei garibaldini
oggi nell’aria solo lugubri suoni
sirene di ambulanze tristi rintocchi
di campane a morto un viale muto
lì in fila scure bare di anime mute
di corpi morti solitari senza il conforto
di un ultimo bacio una stretta di mano
di una carezza di quel caro pianto amico
che così subdolo in silenzio tolto alla vita
ha quell’invisibile vigliacco subdolo nemico
Il cespuglio di alloro
Pieno di superbia ed alterigia
un cespuglio di alloro crescer
volle a dismisura per in altezza
vincer i fiori del giardino lì
vicini, e all’ortensie, al biancospino
per non parlar delle azalee piccine
lor diceva forte: di voi più in alto
godo del vento gentile la dolcezza
e quando il sole spunta primo son
a sentirne i caldi raggi, passò
un poeta e tanto di lui tesse
le lodi per il verde delle foglie,
l’aromatico profumo e del fusto
il portamento che per quel lirismo
fu premiato e di alloro da bella corona
incoronato,lascio al lettor indovinar
da dove quel serto fu tagliato onde
del rimator cinger la folta chioma,
che ortensie biancospino azalee
io so ridon felici in un giardino
mentre piange un cespuglio mutilato!
Mentre respiro
Mentre respiro l’aria della nascente
primavera che accarezza delle piante
le prime verdi gemme e i colori primi
dei crescenti fiori e ne godo quasi
indifferente e distratto la freschezza
rapida poi forte si desta la mente
e il pensiero forte seriamente corre
a chi in corsie e in letti di ospedale
a altri respiri da ferree macchine
indotti qual soffio di vita a viver
costretti a respirare, ora una cosa
chiedo al vento qual augurio mio
e di speranza tanta presto possa lui
accarezzare le rinate vite di questi
nostri fratelli dal soffio sofferente
Samiopoula
E sbarcati vi fu per noi la gran sorpresa,
Tu piccola Samos che da qui derivi il nome
Nell’Egeo oriental sei un piccolo puntino
Isoletta Samiopoula sperduta quasi sconosciuta,
Chi inver ti vide si sentì offrir vision magiche
Che all’animo dieder gioia e forti sentimenti:
Quella piccola spiaggia ove al sol biancheggia
La tua sottil e fine arena, solo sentieri
E quel terren roccioso tra boschi e lì vi odoran
Fiori selvatici dai più bei colori lavanda timo
E fresco origano vi coprono ornandole le rocce nere,
Qual sentinelle a vegliar dall’alto poi due chiesette
Santa Pelagia lì vi è Agia venerata e ti protegge
E quella che di Cristo che ricorda L’Ascensione,
Una taverna quattro case ma tutto intorno un silenzio
Grande rotto solo dalle erbe e dalle foglie e quel
Tremor loro quando le accarezza il vento e da quel
Belar dolce di libere caprette ed il richiamo della
Vecchia lor pastora, cinque anime vive: la sua,
Il tavernier la moglie e quelle due bel figliole,
Lì il pope il piè vi pone sol una volta al mese.
E tu vorresti turista che tutto questo vedi e senti
Che il tempo morisse si fermasse e qual di magia
Incantamento veder udir di Pan il satiro dei boschi
Queste balze e rocce saltar danzar e furtivo ninfe
Inseguir lì nascoste timorose tra gli alti cespugli
E le odorose erbe, ma del tavernier la forte voce
L’incantesimo quello sperato incontro spegne che
Al frugal banchetto chiama, pesci e carne fumanti
Ardon sulla brace e il loro profum dolce l’aria
Impregna e far alla aroma dell’erbe intensa compagnia
Kalymnos
Tu che con le undici sorelle tue
Dall’Egeo, il greco mar, ridente affiori,
Tu che appellò Ovidio latin isola
Dai boschi ombrosa e il cieco Cantor
Delle tre Calydnae una, per me tu
Sei qual allor tu fosti nell’affacciarti
Alla vista mia, vision che all’animo
Respir dava e alla mente il pensar:
Nell’aria profumi intensi d’erba
Aromatica ch’al nome del re greco
Chiama bianche spiagge colore
Blù del mare che a antiche fatiche
Dolorose volge: giù sui fondali
Vite lì in colonie fisse pescate tolte
E poi da man ruvide ma sapienti
Morte mutate in soffice materia
Che qui in ogni dove al visitator
Fan bella mostra o Kalymnos:
Isola del basilico e delle scure spugne!
Pserimos
Pserimos la più piccola dell’Egeo
Delle dodici sorelle, per l’attracco
Un pontile di corda dondolante
Una sottil insenatura, una spiaggia
Lì sabbia bianca vivida lucente
E un mare di un color intenso
Azzurro e di fronte due taverne,
Il candor di quattro case niente
Strade sol sentieri che si perdono
Nei boschi, quel profumo d’abeti
Timo e origano che nell’aria senti
Frammisto a quel del rosmarino
Portan dolcezza e l’inebriar forte
Dei sensi ma poi dall’incanto
Ti sveglia da lassù il lieve suon
Di campana da una chiesetta
Bianco-azzurra e infin bello
Quel breve personal incontro
Il sorriso di due vecchie figure
Ancor care nell’album dei ricordi
I lor d’erba aromatiche mazzetti,
Lasci sul fare della sera mentre
Il dondolio del mar culla il caicco
Quest’isola che pare addormentata
E nell’animo e alla mente giunge
Il sentir dell’arcaico mondo greco
Dei poeti saffici e melici il lirismo
Illusion senile
Appoggiato al suo bastone lento cammina
il vecchio a cercar nel tempo vecchie
strade quando la gioventù gli sorrideva
sotto un albero fronzuto ferma il passo
guarda le verdi foglie che il vento muove
e quel dondolar fa agitar e la mente scuote
là in fondo: una casa un cortile una fontana
e un bianco sentiero tante tante volte corso
e lui giovane con veloce corsa ancor lì pronto
a riabbracciar persone amate e antiche cose
ma dalla man il baston gli cade così la mente
si ridesta e a quel tronco ei triste s’appoggia
Sereno o tempestoso?
Come sarà il domani spesso
da sempre ci sentiamo dire
ma mai sibilla poi visto indovinare,
io se guardo nel mio piccolo vicino
mondo personalmente per vero
non mi posso proprio lamentare
ma vorrei che la povera signora
qui vicina avesse qualcosa di più
per un miglior suo campare che
il mendico che la man tende ogni dì
davanti al giornalaio potesse mutar
vita e tutti i dì suoi sempre mangiare.
Or mi domandi che fai dunque tu
per loro? Faccio quel che posso
ma forse molto di più di certo
potrei fare perché se il mondo
tutto guardo mi assale la tristezza:
ecco aumenta la fame ma pur aumentan
le ricchezze che non c’è osmosi
mai tra queste due diverse schiere,
questo cielo che tutti su dall’alto
copre sol sereno per alcuni è per altri
tanto tempestoso quando mai per tutti
sarà, se mai sarà, sempre sereno?
Corre il ricordo
In angoli diversi del giardino
mio le forsizie al cielo oggi
spalancano primi di marzo qual
occhi timidi al cielo i loro
fiori gialli: di primavera annuncio,
e il pensiero va ad un antico
tempo a un orto altre forsizie
madri delle mie a un vecchio
mio padre che queste macchie
gialle sfiorando accarezzava
come lì nell’aria una delle sue
prossime ormai ultime primavere
Metamorfosi d’amore
La incontrò un dì per caso verso sera
bella rosse le labbra e biondi i suoi
capelli e gli disse or se con me vieni
vedrai e avrai tu in voluttuoso d’amor gioco
grande assai assai grande piacere
ingenuo il giovin si convinse un portone
un androne e una stanza strana e vi regnava
il buio mettiti a tuo agio e un poco aspetta
che io mi prepari a questo divertente ludo
passaron poi cinque o più minuti sparì
il buio e tutto si inondò di luce e una laida
vecchia sdentata puzzolente nuda gli si presentò
gridando con sguaiato dire son qui al piacere tuo
cosa successe poi io non so poi dire ma sol
il ricordo mio a Ser Nicolò va in similar frangente.
Machiavelli racconta infatti al Guicciardini di essere andato per
smania incontenibile di sesso (affogaggine) con una donna bruttissima, un
autentico mostro, per il solo fatto che c’era appena un filo di luce che
non permetteva di vederla chiaramente, poi, però, preso un tizzone dal
fuoco e acceso il lume, vide quanto fosse brutta e ne provò un fortissimo
senso di rigetto
Ricchi epuloni, poveri lazzari ?
Come sarà il domani spesso diciamo
o dire ci sentiamo: sereno o tempestoso?
Diverse voci alla domanda: la risposta danno
quelle di Cassandre altre di Sibille buone,
e di solito nel predire nel giusto son le prime.
Che sempre sui poveri la grandine s’abbatte
e il sole mai fa mancare ai ricchi la sua luce,
poveri lazzari di qua di là epuloni ricchi,
se mai osmosi vi farà tre le due schiere
il travaso sarà da questi ultimi verso i primi.
Illusion sperare in un ritorno all’età dell’oro
come di Panglosso sul migliore dei mondi possibile
in quel suo vuoi speculativo e filosofico pensare!
Oggi Vernate
Solo la chiesa e il cimitero
fan qui memoria del passato,
le cascine cancellate al suolo
rase, quella fatica nei campi
qui più non lascia a terra cadere
gocce di sudore, ville villette
questo mondo agricolo hanno tutto
cancellato, diversa è l’aria che respiri
profumi anonimi scialbi tutti uguali
quei profumi intensi dal sapore sano
dei fienili delle stalle dei pollai
quei rumori quei canti e le voci
pur se persi ancor si respiran
e risuonan nella teca e nella vista
dei ricordi ecco il rumore della ruota
del mulino, il fragore dell’acqua
a quell’impatto, il muggito delle vacche,
alla luna l’abbaiar dei cani, quel
nei fossi oggi coperti da catrame
delle rane il gracidare, il chicchirichì
squillante acuto mattutino, dei gatti
innamorati nella notte il miagolare
e nel pensier vedendoli e sentendoli
ti pare di sognare ma il suon della
campana che a quelli faceva un tempo
nel giorno compagnia ti risveglia,
ma nuove voci allora sconosciute
portano nel cambiamento una nota
lieta voci allegre di bimbi vispi
che risuonan poi in un campo giochi
La barca dei desideri
Deluso dagli approdi scelti noti
che sicuri ritenevo nel passato
questi ultimi miei pochi desideri
ad una nave anonima senza nocchiero
ho da oggi per il futuro qui imbarcato
lasciando così all’onde al mare al caso
quella sua ignota a me destinazione,
or in attesa son di questo porto
sconosciuto con la speranza che
tali desideri come quelli tanti
d’allora agognati non vadan poi perduti
o peggio ancor dal mare soffocati
La nonna Nina
Dorme la nonna da più di cinquant’anni
dei morti il sonno eterno in un cimitero
di campagna ma stanotte l’ho rivista
come un tempo in sogno: già vecchia che
seppur segnata dai dolori, la perdita
di due figli, ai nipoti,a me e ai miei cugini,
sempre lieta sorrideva e nel sogno ecco
presso all’aia stava: il gettar all’oche
starnazzanti quel giallo granturco
triturato con cicoria verde sminuzzata,
quel buon pastone suo, curva poi lì
per la cura ai galli e alle galline
e di corsa quindi qua e là tra fienili,
stalle, luoghi remoti, nascondigli
da lei sola conosciuti, alla raccolta
di uova calde ancora e infin nell’orto
intenta o seminare o a coglier questo
o quell’ortaggio per il pranzo o per la cena.
Così come in un film un poco poco a colori
più in parte in bianco-nero ho rivissuto
circa un buon quarto operoso di una sua
giornata, questa la chiusura a mezzogiorno
lì nella cucina a preparar veloce quel suo
ingannevole risotto, suo speciale campagnolo:
pochi pochi quei funghi e tante inver sottili
di melanzane fette e fette, sì questo
ingannevol gustoso sugo suo ma che sempre
in tavola dava sana allegria e una general
risata e la nonna che pur lei rideva della
sua vecchia e sempre nuova solita furbata.
Qual giorno di Festa ?
Vecchia fotografia in bianco nero
del passato sul retro aveva una data
stampigliata nell’album dei ricordi,
invano l’ho cercata era San Carlo
o forse San Silvestro e quale quell’anno
del cinquanta? Ma di quella foto
io ho un ricordo vivo: Milano Piazza Duomo,
mio padre con un capotto grigio di un peso
smisurato, io calzettoni e pantaloni
alla zuava e sopra un cappottino
più corto un verde impermeabilino
mia madre aveva paura che con il
freddo mi ammalassi, poi mio padre la man
tesa con lì di miglio grani e due piccioni
li in cerca svolazzanti di pastura
io con quel bianco sacchettino di riserva,
noi due milanesi come turisti tra
turisti, poi in Galleria una tazza calda
di nera cioccolata infin prima a casa
di tornar in Corso Buenos Aires da
un rosticciere noto un cartoccio pieno
di bionde e calde patatine: direte
tutto qui cosa dunque di speciale?
Uno dei pochi giorni di mio padre
di vacanza e di riposo dopo quei
tanti anni giorni passati in piedi
sul bancone della sua macelleria
uno dei pochi giorni di vacanze sue
passati con serenità in mia compagnia!
Triste San Valentino
Vestito a festa e con una rosa in mano
s’avvia speranzoso: è davanti a quella
casa poi a quella porta bussa, s’apre: una
figura di donna alta magra, che vuoi? Dire
si sente, son in cerca di R. la risposta.
La megera gli mostra un cartello e queste
in stampatello nere le parole e più sotto
una firma dalla grafia incerta con l’erre
l’iniziale: qui oggi non si vende amore
e lentamente una rosa rossa a terra cade!
Non più
Amarezza e delusione mi son
venute incontro che dopo anni
che quello sperato ad occhi aperti
sogno di riveder ancor quel
tempo mio passato alla vision
diversa se ne andò come sottil
vetro calpestato, non più quella
chiesetta non più quel campanile
non più quelle campane: il mattutino
il mezzodì e il tocco del vespero serale
che il ritmo davano al viver nostro
quotidiano del mio piccol borgo
contadino: la sveglia del desco
l’ora e il tempo del riposo, non
più: uno stabilimento una ciminiera
e ogni tanto di una sirena il suono!
A ricordar profughi italiani
Chi oggi contro il padan si scaglia
immemore a suo dir d’amor pietoso
al povero migrante straniero fuggitivo
vilmente un dì gridò contro di voi violento
tu qui non devi giammai no mai entrare:
profugo eri dalmata e istriano quale
poi la sì grave colpa tua essere italiano
e voler nella Patria tua essere accolto
per schiavo non essere più alla mercé
di quei bruti compagni titini comunisti
or a voi volge in questi dì il pensiero
cari fratelli dalmati giuliani e istriani
e a un tempo i vostri nidi Parenzo
Pola Zara Fiume tanto e pur lontani
ma al cuor nel ricordo sì tanto vicini
Ombre misteriose
Sui muri della stanza nella notte
spesso appaiono ombre misteriose
che danzano e si muovono veloci
si frammentano poi via via un poco
si ricompongono e infin dare come
a queste nere figure strane un senso
e una leggibil distinta lor fisionomia
nel mio dormiveglia incerto poi
m’accorgo che altro non son prima
confusi più distinti poi pensieri
miei riflessi lì proiettati dalla mente
agitata in un tumulto d’agitati sogni
Meglio dolce tepor d’amore
L’ardore nell’amore è come il fuoco
di un ciocco nel camino forte rosso
avvampa poi il legno consumato presto
si spegne e solo grigia cenere rimane
sicché per non rimaner bruciato e poi
incenerito da ardente d’amor foga
così meglio un amore placido sereno
che come lenta fiamma di legno tenero
che più dura nel tempo e dolce tepor dona
Nelle pieghe del tempo
Nelle pieghe del tempo
oggi ho frugato alla
memoria riportare quella
data quell’incontro ma
alla pagina del libro dei
ricordi di quel giorno la
pagina era stata cancellata
Nel mezzo di febbraio
Oggi nel mezzo di febbraio
la natura di risvegliasi
attende e di riprendere i colori,
io lungo un sentiero i passi
muovo su un sentier racchiuso
tra una piccola boscaglia che
alle sponde qui vicine del Ticinello
del Ticino figlio si accompagna,
pochi i cespugli sempreverdi
sotto le morte foglie sonnecchiano
viole e margherite mentre alla vista
le belle verdi larghe foglie mostra
la calla selvatica oltre al rumore
dei miei lenti passi solo il canto
degli uccelli nell’aria non è spento
Non sciolte al vento
Oggi legate all’albero maestro
non sciolte al vento per questo
mio vascello nel mar navigare
della poesia che la mia musa
contadina stanca delusa tanto
è e si rifiuta versi all’animo
dettare e poi su vergin foglio
bianco con il calamo vergare
E quando viene primavera
Chissà mi domando oggi se al buio
da tempo chiusi ancor vedano sentano
i morti il risveglio della natura
a primavera e non perduti sian quei
profumi quei colori che all’aria
si donano dei quali campi e siepi
festosi s’adornano così sul marmo
freddo di loculi che tengon serrati
questi di questi amati spenti corpi
busso e grido destatevi anime care
addormentate che oggi antichi voli
e conosciuti suoni dipinte tavolozze
tanto da voi ammirate vi son da me donati
nere rondinel nel cielo liete dell’usignolo
quel canto e del pesco le rosee brocche
e del biancospin le bianche nel silenzio
poi un dolce bisbiglio si è come levato
Ombre
Figlie dei raggi solari del giorno
son le ombre, le notturne del chiaror
lunare: ombre di visi inespressivi
non occhi per vedere né poi bocche
per parlare, son ombre che talvolta
mi portano a pensare e tra di loro
preferisco quelle che si muovono
e s’aggirano nel buio perché più curioso
su chi lì si nasconda per me fantasticare
Frombolier d’Amore
Quando il martello secco picchia
e dall’incudine percossa guizza
lucente una scintilla che ecco
tosto svanisce ma poi quel scintillar
nel ferro urtato si riprende finché la man
che guida non si stanca diverso avvien
allor che scoccati forte i dardi del lancier
d’amore se s’infiammano al momento i cuori
e poi presto qui il fuoco langue e qui si muore
che invan è a ravvivarlo del frombolier
lo scoccar continuo se la sagitta intinta
non è stata nella mistura degli amorosi sensi
Cercando Solitudine
Vestirmi di Solitudine avrei
voluto per non sentirmi solo
così il suo nome alto ho gridato
e di lei in cerca sono andato
girando della terra più cantoni:
negli estesi silenzi dei deserti
nelle intricate foreste e fitte
boscaglie sulle vette più alte
del pianeta nelle profondità
immense degli abissi in remoti
paesi come in città affollate
per anni ho gridato e girato
per più anni, nessuna risposta
nessun nessun di lei incontro,
deluso in questa ormai ricerca
vana decisi un giorno non più
di continuare quando una spalla
mi sentii toccare, dissi chi è?
Una voce flebile rispose: son io,
perché tanto gridare e cercar
tanto: son la Solitudine sì son
io che da sempre ti sto accanto
e che noi siam una cosa sola!
Quel sognatore di fiabe
Chi fosse non l’ho mai saputo
un nome incerto pure alla pronuncia
ricordo dormiva da anni sotto i ponti
di Lambrate e qui tanto sognava sogni
diceva di draghi fate gnomi dame uccelli
dalle piume strane cavalieri fiori cielo
e ancor farfalle alte montagne mare
pesci sirene un groviglio aggrovigliato
lì tutti assieme poi pian piano la mente
ricordava al risveglio il tutto dipanava
e come un filo magico dorato le figure
del sogno tra loro ogni volta collegava
e nascevan così fiabe diverse e colorate
che poi di giorno seduto in attesa di
un panino e di un bicchier di nero vino
su una panchina fissa la sua di un parco
di Lambrate ai bimbi alle mamme nonni
e passanti di quel quartiere raccontava
27 Dicembre
Gemma oggi guarda il calendario
Sorride e si conta gli anni
Rivede nel tempo le passate
Primavere tanti i ricordi.
Auguri cara fanciulla cara
Tanti saranno poi nel futuro
Tempo lungo che ti attende
In un giorno lontano i ricordi
Con dolce sorriso ricordare
I due fanciulli
Fantasticavano i due fanciulli nell’altana:
percorreremo insieme i sentieri della vita
si dicevan tra loro, bruno il primo dai bei
capelli biondi l’altro, ad esplorare giungle
sconosciute scalar vette inviolate sfidare
tempestosi mari, sogni infantili di bimbi fole.
Ma diversi cammin la vita a noi viaggiatori
per tempi a noi ignoti indefiniti poi riserva:
presto quella bella chioma cessò di gareggiar
in gara di colori coi del sole i lucenti raggi
e a lei s’aprì quel dolce sonno eterno, il bruno
vide poi nel tempo quei capelli suoi di bianco
colore rivestirsi e sfortunato pone i sonni suoi
sul negro cuscino sporco di un anonimo cittadino
dormitorio ma prima di affidarsi alle braccia
di Morfeo sempre a una vecchia foto dà un sorriso:
al fantasticar nell’altana di due fanciulli
giungle lontane alte vette mari tempestosi!
Augurio
Splende al sol del viburno la nivea palla
piumosa soffice leggera sopra vi danza
con delicato quella a sfiorar suo volo
una farfalla dolci quei colori variopinta
e questa vision induce a un sentimento
or che tu oggi alla vita cara bimba mia
ti schiudi questo del vecchio nonno tuo
l’augurio suo: leggeri dolci siano sempre
e non velati di nero i tuoi pensieri, voli
poi la tua fantasia in un mondo variopinto
di sogni fate turchine di gnomi e di colori!
Fiori profumati
Nel giardino della giovinezza mia
ho ritrovato oggi nascosti tra le foglie
dei fiori profumati, dei mughetti,
e una voce è tornata alla memoria
quella di una ragazza bruna che diceva
li prenda costan solo poche lire, vedrà
che poi piantati ogni anno fioriranno
e avrà così di me un ricordo. Quanti
anni quante dimenticate non viste fioriture!
Pure di te come di questi fiori scordato
mi son o fanciulla dal nome sconosciuto,
che val chiedere scusa? Passate son, negli anni
tanti, tante nel maggio dolci nuove fioriture,
bello è oggi ritrovare con questa , nel ricordo,
il profumo della mia nostra sfiorita giovinezza!
Profumo d’ortensie
Quando al cielo colorato della primavera
volgono le ortensie i loro variopinti fiori
con nostalgia corre tanta il ricordo a un
giardinetto, belli dicevo alla nonna questi
fiori belli e da un dolce profumo delicato,
fioriscon oggi in un giardinetto nuovo,
il mio, a loro teneramente mi avvicino
le sfioro le accarezzo e profondamente
poi le odoro e un profumo d’allora come
diverso io sento e par dir una voce cara
da tanto tempo spenta al profumo loro
s’accompagna quello or della giovinezza
Un nuovo amico?
Dal giardino il giorno prima
visto l’avevo da lontano,
un batuffol nero un micino
che lì si aggirava un po’
distratto da rumori vari,
mia moglie lo aveva poi
fotografato: oggi che più
vicino nel prato al giardin
mio s’affaccia e si presenta
io con la man cenno gli faccio
di saltare e al mio invito
corrisponde, dico a mia moglie
guarda chi c’è qui la qual poi
due ciotole qual invito mette
di croccantini l’una di manzo
dadini la seconda, quel la prima
annusa, poi il musin nell’altra
tuffa e pian piano eccol
un poco circospetto si da
a mangiare, noi sorridiamo
ma due dei miei gatti inver
cercan quello spaventare,
allontanati questi pur lui
dopo la ciotola ben nettata
s’allontana e non si capisce
poi se triste o sorridente:
s’aprò s’aprem domani poi
vedremo se sì o no trovato
in sto nero puntolin un nuovo amico!
Tristezza
Cara Signora Chiara come se in Binasco
tu piede mai mettesti eppur per vent’anni
se il ricordo non inganna tra i Portici,
alla rampa del Castello, nella piazza
che a Veronica rende onore e nella Chiesa
che l’urna sua di Beata tiene, l’esile
bella nera tua figura con il fedele a te
Giuseppe in questo tempo lungo vision
gentile e cara diede ai binaschini tutti
che non sentii né vidi nell’ amaro triste
giorno del tuo in Ciel volare qui della campana
quel toccante suono messaggero né poi nei luoghi
dei necrologi lì affissi della dipartita
il nome tuo, siano or questi poveri miei versi
qual di campana rintocco lento e triste annuncio
A ricordo della Signora Chiara V. G.
a cinque giorni della dipartita
29-08-2019
Alla Signora Chiara
Grazie cara signora Chiara del rosso
e zuccherino dono e quel vergato
a ricordarci scritto antichi ma
mai perduti profumi familiari:
un lontan da Lei vissuto tempo
qui trovato nascosto in nugae
mie, parole da man gentil poste,
una busta tra rosse ciliegie lustre
e fresche e tra lor adagiate a farsi
compagnia, non come Angiol Silvio
dettò ben divise a mazzi e ciocche
ma in un colorato elegante shopper,
quel rosso dolce frutto dal sapore
antico che ai ricordi della giovinezza
mia mi riporta: piante in quei giugno
colorate tra i filari lunghi delle viti,
quella lontan ormai perduta giovinezza
come oggi perduta dal cemento seppellita
la campagna che di quelle si adornava
e dove dall’alto del Ticino l’aria
amica respirava, quella di mio nonno
campagna che lì rossa vision mostrava
Luci
Lì presso il lampione danza la falena nera
Brilla una lucciola sulla selvaggia menta
Solitario un cane alla luna abbaia in cielo
Quell’anziana prostituta
Oggi in quest’ultimo giorno dell’anno
del Signor duemila e diciotto non so perché
mi sei vecchia figura tornata in mente,
eran mi par gli anni sessanta, ricordo
che molto piacevi alla signora Gemma
la cara nonna di un mio caro amico:
ogni mattina questa alle dieci circa
da un balcone suo ti vedeva rincasare
verso quel portone all’angol di via Padova
con la via Mosso di Milano, non alta
eri e tracagnotta ma bello diceva quel tuo
portamento e le piaceva, le labbra rosse
forse eri sui quaranta poi un sentore forte
il tuo di pulito e un profumo da te captava
seppure da lontano chissà perché speciale
e non sapeva per nulla il mestiere che facevi.
Poi morì quella Signora cara io pur ad abitar
andai fuor da Milano, un dì per caso in un anno
da allora a oggi più vicino in via San Gregorio
io su un tram verso Lambrate volto e tu sì tu
in quell’angol ferma della via, così ti riconobbi
e forse sui settanta quel mestier esercitavi
ancora e il tram pian piano lontano sferragliava
così le labbra tue di qual color non vidi, aperto
era un poco un finestrino e giunger da giù
sentii come un profumo particolar special arcano e
un sentor di te della persona tua di un bel pulito
forte come un tempo lontan quel profumo sentì e
giudicò il sentor di te Gemma quella signora cara
lei ignara io che conoscevo qual lavor facevi!
Allor freschi pensieri
In un cassetto qui in cantina
dove a caso messe sono vecchie
fotografie del passato una ne spunta
impolverata dalla patina del tempo
in bianco e nero: una primaveril gita
della mia classe del mio liceo
il Carducci di Milano in quel di Pisa
Firenze,la Toscana, sì era quell’anno
il cinquantanove e qui ecco fissati
verso l’Arno incamminati in un istante
alcuni miei compagni di quel tempo:
domando or quali in questo andar
allora i loro pensieri? Penso freschi
lieti pensier di giovinezza fresca
liberi correnti come il correr
libero dell’acque dell’Arno lì corrente
Caducità delle cose…ma forte la memoria
A questa vision nasce forte forte il pianto,
nella notte parigina alta la fiamma avvampa
di Notre Dame la bella Cattedrale al mondo
intero cara da nemico rosso fuoco avvolta
la svettante guglia e di una volta un tratto
il ciel abbandonano per crollar giù a terra
caducità delle cose per un baglior perduti
secoli di storia ricordi antichi del passato
forti? No che più forte è dell’uomo la memoria
che le oggi povere morte pietre vive saprà far
tornare e la storia che le impregna raccontare
Vite del Ticino
Cantò le tue acque o Ticino
un dì lontano di Lodi la vergine
ribelle mio caro azzurro fiume,
generoso nell’offrir tuo tanto
a quel degli avi miei nel tempo
e dei lor miseri parenti gramo
misero al viver sostentamento:
sulle rive giunchi e vimini poi
a formar ceste solide e cestini,
con vigor dalla liquida tua vena
tolti bianchi quarzosi sassi a vita
dar poi in lontan fornaci ardenti
a vetri cristalli e util vasellame,
nelle vicine lanche prati odorosi
del mughetto bianco e giacinti
dai colori intensi con altra flora
selvatica e dai botanici nomi
sconosciuti mentre s’apriva
con funghi porcini chiodini
prataioli il sottobosco, tutto
a portar merce di scambio,
di denaro nei festivi o domenical
mercati e, a finir, dai boscosi
verdi boschi a te figli fratelli legna
a subir dalla sega e dalla pialla
nobile offesa o il focolar
a tingersi di scoppiettante rosso.
Un tempo lontano, un nostalgico
passato ma ancor quella vita
della natura viva o morta ancor
vive, brillan nell’acqua quei lucenti
sassi al vento si piegano lenti i giunchi,
a primavera son le lanche in fiore,
ridono di vita i boschi e i sottoboschi,
il canto qui della lodola e del ravarino
non più rendono come allor men dure
con le melodie loro le fatiche dure
di quelle antiche vite vissute grame
ma solo al ricordo a me danno
nostalgica e dolce pace al cuore.
Destati orsù
Non farti prender oggi dalla noia
mentre riposi sotto l’ombra ampia
di questo faggio antico oh mio amico
che la mente annebbia tutta e buon
sapore toglie al viver lieto torpor
nero mena, orsù destati ora che dei
sensi al risvegliar basta assai poco
il colore d’un fiore e quel profumo
che ecco dolce rima daran al poetar tuo
Settembre
Settembre è il mese delle rondini
pronte oggi a partire e un doman
lontano poi a ritornare nella memoria
loro vi son due nidi due diversi focolari
ma inver uno sol costante eterno amore
dove lì negli anni vita trovan tra di lor
german covate sconosciute e poi in cieli
lontani lieti voli segno di vera comunione
Giorni di settembre
Come ogni anno da tempo attendo
impaziente che il tuberoso elianto
apra al cielo i suoi dorati fiori
per poi come parlarmi e dirmi
di memorie antiche e di ricordi
sì una stanca mano, tuo padre,
un ramo mi recide lungo un fosso
di Motta quel paese avito e poi
ad una stanca figura, tua madre,
ecco di quel mio fiore fare dono
e infine quel dolce sorriso loro,
sì come ogni anno impaziente attendo!
Motta Visconti (MI) il paese
dei miei cari genitori.
Pavia dall’alto
Su un alto terrazzino della casa
di un amico dall’alto guardo Pavia
dall’alto, rosse tegole di antichi
tetti, la cupola del Duomo, le torri
dell’Alma Universitas Ticinensis,
il campanil del Carmine, la bianca
del San Michele fragile arenaria,
lontan del Borromeo quel Collegio
antico, lo sguardo poi ancor più
lontan lanciando quei boschi dove
il fiume azzurro il Ticino scorre,
e qui nell’aria senti come un profumo
antico di storia scienza e vera poesia
che ti parla di antiche genti uomini
illustri e letterati: Longobardi Petrarca
Tasso Foscolo Cesare Angelini Volta
Golgi Spallanzani e Brugnatelli,
di Agostino di Pio V gli spiriti santi
altri nomi famosi pur scorron nella mente
mentre come estasiato guardo Pavia dall’alto
Riandando a quei cantor di un tempo
Scorre il Ticino e ancor muovon l’azzur’acque
nel tratto ultimo del percorso suo prima
d’abbracciar in quel mortale abbraccio il Po
fratel suo maggiore ma qui tra Motta e la regal
Pavia riandando a ricordi antichi che mute
le labbra son di Antonia morta per amore
di Ada di Lodi la rossa vergine ribelle
e più pur la penna d’Albuzzano il vate verga
invan il fiume nuovi cantor a decantare in versi
attende e in scritti dal magico sapore le rive
i boschi l’ampia vallata dell’acqua il mormorar
e del ponte rotto l’elegia, sì ancor il Ticino
scorre ma qui in questo tratto breve è come
riandando ai lor cantori un sospirar dell’onde
Ode al fiume Ticino
Vita danno allo scorrer tuo
verso Linarolo e al Ponte
della Becca dove il Po
t’abbraccia o Ticino fiume
della giovinezza mia dei passi
di Novena e del Gottardo
le due sorgenti tue: acque sorgive
fresche che in quel d’Airolo
mistura e forza per il cammin
tuo lungo trovan per correr
verso una profonda valle
e qui nell’erta che per lì
si parte dalla destra riva
del manier ti salutan di
Stalvedro longobardo
i resti stirpe guerriera che
più alta e regal sede troverà
molto lontan e in più tua
bassa giù riva, ecco di slancio
il baciar tuo dei Tri Bofitt
la Bergonza triturrita antica
e da qui più in giù dove nasce
il Lago Maggiore il figlio tuo
pronto a l’addio dar alla tua
Elvezia patria, qui nel lacustre
specchio ad onorar qui nascosto
il corso tuo di Brissago punteggiano
gli scogli e le isole ai Borromeo
care per non dir di quelle perle
che adornano le rivierasche rive
del tuo Canton svizzero Locarno
e le piemontesi Verbania Stresa
Intra Pallanza Cannobio Lesa
Belgirate e Arona infin dove s’erge
dall’alto di San Carlone il bronzeo
monumento e le lombarde Luino
e quella Angera dove di Giovanni
Visconti sta ferma la sua turrita
Rocca, Sesto Calende dove il lago
muore e tu la corsa tua riprendi
qui in Golasecca che dissepolte
parlano tracce di antiche primitive
genti e poi ecco alla vista s’apron
ad unir le rive tue di Galliate il ponte
e quello di Trecate in San Martino
qui come ben cantò il noto Don Lisander,
le sponde tue varcò a contrastar
quello asburgico imperiale l’alleato
esercito franco-piemontese, non lontan
poco da qui tu lieto sorridi alla città
Ducale bella dalla piazza grande
e del Bramante l’austera alta torre
e qui ricordar giova tu lo vedesti
un tempo Cornelio Scipion il console
romano da Annibale il punico
dall’odio più punico guerriero
assai grave subì sconfitta e onta,
da qui poi riecco il rapido correr tuo
all’abbiatense piana e dal terrazzo
alto che alla vision tua dolce porta
solitaria s’erge di Morimondo l’Abbazzia,
ecco Besate dei Conti da Besate
un tempo porto fluvial tuo tappa
particolar sulla Strada dei Mercati,
Motta Visconti che qui un tempo
l’acque azzurre tue e i boschi verdi
mise in rime Ada da Lodi la vergine
giovane ribelle, qui un tempo tra
delle tue mughettose bianche rive
la vita lor grama spesero i giunchi
a tagliar di mio padre Carlo i nonni
e forse ancor tu come un tempo
vedi fisse ferme nell’acqua quelle
lor povere stanche e consunte membra,
Bereguardo dal Visconto Castello
delle barche il ponte antico che
ancor alle tue piene regge, Torre
d’Isola che dall’alto torrazzo
il tuo veloce scorrer verso Pavia
vede sì la regal Papia longobarda
e colonia un tempo la roman
Ticinum pur la Pamphica sosta
agognata del francigeno sentiero,
or come all’inizio di questa ode
dissi a Linarol stanco qui ti vedo
e della Becca il Ponte qui il Po
t’abbraccia e tu qui caro Ticino
mio in quell’abbraccio muori!
Il vecchio castagno
Dopo anni torno a riveder questo luogo amato
dove dall’alto dalla costa tra i verdi boschi
felice tu scorgevi l’ansa del Ticino, del leccio
i profumi del castagno delle felci dei mughetti
nel vento respiravi forte e da giù sentivi venir
della lodola il canto lieto il gorgheggio dei merli
dei fringuelli prolungato dei tordi dei ravarini
il cinguettio ch’a quei faceva poi eco in lontananza
quello ripetuto e ritmato cucù cucù cucù del cuculo:
struggente il ricordo la nostalgia pur tanto forte.
Tutto cambiato qui intorno e in parte cancellato
non più lì il vecchio castagno dal maestoso fusto
che sul ciglio della strada qual sentinella guardia
faceva alle campagne quel tempo andato di mio nonno
quelle campagne dai filari lunghi e nell’autunno
di macchie ricchi di grappoli dai colori intensi accesi
ai quali i ciliegi lì presso davan loro amica compagnia
e a metà giugno poi avanzandoli con vellutati dolci
rubin frutti in quella nelle stagion correnti tavolozza
cangiante di colori, non più la stradina polverosa
che quelle divideva percorsa spesso di corsa
con la bicicletta ch’allora accompagnava
quella mia perduta come l’amato luogo giovinezza.
S’ergeva maestoso quel secolar,
d’autunnal doni nascosti generoso,
il vecchio castagno là sul curva
che alla ripida discesa poi portava
ad abbracciar laggiù con l’occhio
l’azzurro fiume il mio “canal”, il mio
Ticino: strada ripida sterrata polverosa,
ciotoli bianchi a farla da padroni,
che in salita presa a me ai compagni
portava, fatta in bici, a lieta fantasia
d’epiche nostre imprese e sogni
i nostri quali il momento poi dettava
Pordoi Falzarego Stelvio Tourmalet
Aspin Aubisque Ventoux Izoard Vars
e noi in veste di campioni Bartali
Coppi Bobet Robic Kubler Koblet
Gaul Bahamontes Buratti “giusipin”
immagini sogni memorie cancellati
da una grossa scure e da un manto di catrame.
A Cesare Angelini
Il sonno eterno dorme in quel di Torre d’Isola
Il gran cantor di Pavia e della Bassa quei che
Di Alessandro al romanzo un gran commento
Feo or il Ticino quel fiume da lui amato tanto
Con dolce lento mormorio dello scorrer suo
Questo riposo culla e qui dai verdi boschi
Quei fiori da lui dipinti in prosa e gli uccelli
Con canti melodiosi lieti a quel cantor loro
Donan profumo e pur lieta dolce compagnia
Papaveri
Umili fiori di campagna
che colorano in giugno
i cigli delle strade le rive
dei navigli figli dell’acque
del Ticino rossi occhi
che sorridono al vento
che richiamano al passato
una mano leggera di bambina
ne coglie lieta un mazzo
e alla mamma sua lo offre
sorridendo mano da tempo
ormai ferma immota là in un
camposanto di campagna
dove ogni anno a giugno
in un angolo nascosto
pur tornano a sorridere
qual di pietas e amicizia
gesto gli occhi dei papaveri
L’ansa del Ticino
Struggente il ricordo la nostalgia forte
cancellati vedo i verdi prati quelle
campagne dai filari dritti d’autunno
macchie di grappoli dai colori accesi
ai quali i ciliegi lì presso davan compagnia
a metà giugno avanzandoli quei vellutati
non dimenticati frutti della natura
nella tavolozza cangiante di colori
non più la stradina scossa polverosa
che li divideva percorsa spesso di corsa
con la bicicletta poi dalla costa tra i boschi
felice tu scorgevi l’ansa del Ticino del leccio
i profumi del castagno delle felci dei mughetti
nel vento respiravi forte e da giù sentivi
della lodola il canto lieto il gorgheggio dei merli
dei fringuelli prolungato dei tordi dei ravarini
il cinguettio faceva eco in lontananza
quello ripetuto del cuculo non più quei fossi Freddi simulacri Tra di me leggo i miei versi d’amore povere parole freddi simulacri d’odi saffiche e dei melici monodici perché a tanto è giunto l’ardir mio mi domando? Una sola una la risposta: poco mi pareva dir amata mia amata cara sai che t’amo! Stradina polverosa di campagna Da anni tanti ormai non c’è più quella mia stradina polverosa di campagna che su dall’alto alla vista portava dei boschi del Ticino fiume azzurro a me sì caro e tante volte allora a piedi in bicicletta visitata quanti i sogni quanti i desideri la polvere nascente mi portava! Larga ampia lì vi passa oggi un’autostrada che ad un azzurro più intenso muove di Liguria al mare non polvere ma nero asfalto che al passar della vettura mia quando lì mi muovo caldo intenso catramoso odor all’aria porta e diversi da un tempo sogni e desideri al momento muove non di quel fanciullo gaio ma di un vecchio qual sono stanco. Quelle tenere viole Non da Urbino né da un convento di Cappuccini ma da uno spoglio giardino abbandonato, il giardino mio dell’amore, dovrei forse coglierne ancora e sentirne sempre quel profumo delicato quale quello di un tradito amore? No, non più, semmai andrò in cerca di altri fiori: odio forse le viole? No, una volta per lor piansi: una mano forestiera quella zolla che da tempo le nutriva tolse e strappò via complice il tuo aiuto: e, ricordo, ridevate! nel suo giardino mi hai detto l’ho portata, senza pudore mi chiedi perché non dà più fiori? Non era terra che le dava vita, la zolla sì seccò, le viole spense, spento l’amore che la animava. Un vecchio gatto grigio Cercava casa un vecchio gatto grigio cenere tipo certosino, da tempo certo abbandonato, difficile dir quale lo stato suo di randagio i giorni passati tanti alla ricerca di una mano gentil un luogo ospitale onde fine porre alle sofferenze sue, poi qui lo trovò da te mia amica mia or più non fugge scacciato timoroso come par di capir che getti d’acqua suoi furon sì palesi ostili, e qui mangia beve sotto folti cespugli d’ortensie rosa si riposa come un dì lontan lontano qui trovò dimora casa e amorevol cure il caro gatton Rufus or lui Rufus gatto nuovo più Bartolomeo. Come rosa e le sue spine Come campo primaverile senza fiori senza nome di donna tra le rime arido secco sarebbe il poetar nostro, donna angelo donna demonio scrigno d’amore d’odio sorgente, rime petrose e amorose rime basta scorrer quanto scritto su di lei nel lontan passato come pur in questo tempo avviene: sì donne come rose e le lor spine, un’ora canto felice di quel bel dolce profumo e dopo mi curo triste quella puntura al dito Ricchi epuloni, poveri lazzari Come sarà il domani spesso diciamo e dire ci sentiamo: sereno o tempestoso? Diverse voci alla domanda la rispota danno quelle di Cassandre altre di Sibille buone e di solito nel predire nel giusto son le prime, che sempre sui poveri la grandine s'abbatte e il sole mai fa mancare ai ricchi la sua luce poveri lazzari di qua di là epuloni ricchi se mai osmosi vi farà tre le due schiere il travaso sarà da questi ultimi verso i primi illusion sperare in un ritorno dell'età dell'oro come di Panglosso sul migliore dei mondi possibile quello suo speculativo e filosofico filosofare Più di quel vecchio merlo Un vecchio merlo nero le foglie morte muoveva lì cadute sotto l'albero del tiglio nel giardino alla ricerca vogliosa di un lombrico poi dopo tanto ma non fruttuoso lavorio tanto deluso se ne allontanava, agitavo io un dì smuovevo vecchie carte appunti miei e note e fogli nel tempo gettati in un cestone e non dati al fuoco perché forse poi nel tempo di possibile interesse così oggi alla memoria un viso d'una fanciulla del mio tempo antico mi è tornato quel suo sorriso non dimenticato lì in questo rigirare la preda mia un indirizzo lì sepolto quello suo più fortunato del merlo l'ho trovato poi più deluso di lui mi son trovato che nel tempo l'indirizzo era cambiato al mittente il mio scritto ritornato Bergenia Tu di San Giuseppe umile fiore come lo fu lo sposo di Maria che un tempo di rosa coloravi gli orti contadini e le rive dei fossati ancor oggi qua e là quando il giorno del Santo si avvicina al cielo apri qual timidi occhietti quei tuoi rosa fiorellini e oggi corre la mente ad una figura a me si cara mia nonna curva come un tempo ancora dare cara cura a quel cespuglio da lei d'anni tanti messo a dimora sulla tomba di quel suo figlio, mio zio, di cui io porto il nome giovane aviere un giorno annegato nel lago di Comabbio Bello è il pensar Stelle lucenti lontane sconosciute anime morte e già da tempo trapassate tra lor forse vi è a noi ignota union legame forte di amorosi amorevol sensi bello il pensar è nel dì di San Lorenzo che quelle lacrime copiose dal ciel cadenti altro non sian se nei desideri nostri a lor pensiam d'amor gocce e d'empatia di quelle a noi care anime da tempo trapassate Gialla forsizia Apro la finestra e guardo sul giardino uno screziato crocus tra le novelle erbe capolino fa s'alzano a guardare il cielo quattro gialli narcisi tra lor stretti facendosi compagnia di giallo sempre lì s'accendono i ramuncoli a questo colore e leggedria al quadro dona timidamente la forsizia gialla nel suo lento sbocciare Un frammento del vissuto mio Soffitte cantine luoghi bui dove giacciono nascosti sparsi oggetti cose che altro non son che frammenti di ricordi sepolti e dalla mente ormai dimenticati ma che talvolta a caso lì frugando vorrem queste memorie ridestare ma poi il cuor spesso la man frena temendo in una scelta che possa recargli qualche spina dolorosa perché domando non dovrei osare riviver alla luce portar quale che sia un attimo dell'animo un sussulto di quel frammento del vissuto mio? Nell'aria cerco Cerco nell'aria il profumo della primavera quel profumo antico da tempo come smarrito eran viole lungo un fossato a noi tanto amico eran bianchi mughetti le sponde del Ticino viole e mughetti che poi negli anni sempre tornavano e tornano a fiorire più non c'è quel fosso o forse inver non lo riesco più a trovare ancor rivedo quelle sponde fiorite del Ticino ma viole e mughetti senza te vicino pers'hanno quel dolce profumo che amavo tanto Quel sospirar del vecchio Sospira il vecchio e guarda la luna di lui confidente amica dei giovanili amori che dir gli pare ricordi un tempo? e così all'animo e al cuore suo tornan le memorie che questo fecero sospirar e palpitar di gioie e pure di dolori ed ecco lassù in alto nel chiaror dolce lucente di Selene come lì tornar velati quei visi noti or qui come per lui rinati e per ognun ecco poi riveder lì sotto le frasi d'amor o il risentir pur l'eco di parole dolci nel segreto sussurrate, ma si vela la luna e lascia quel vecchio tutto solo nel silenzio i ricordi ricordare La Vecchiaia Del tiglio e del platano le foglie tornano a rinverdire e tra lor si dicon svegliamoci che giunta è Primavera poi al sole una preghiera che la sua carezza propizia sia a questo rinverdire lì nascosta sente la Vecchiaia e triste ecco il sospirare suo oh rinverdire a me verbo sconosciuto che Primavera o non costretta son ad invecchiare sempre! Ode alla Lombardia Qui le civiltà protostoriche di Remedello e di Golasecca vi videro la luce e dopo genti celtiche romane longobarde da popoli stranieri il suol tuo calpestato fu e tu a duro giogo servile sottomessa tanto cara lombarda terra mia Lombardia, un dì partì infin anche se tardi il riscatto tuo Milano Brescia Magenta prima e che poi forte nei campi di battaglia Montebello Solferino San Martino si compì teatri fulgidi di onore e libertà, or fiero di te tu mostri agli occhi miei la bellezza dei tanti fiumi tuoi Po Ticino Adda Olona Seveso Olona Sarca-Mincio Lambro come dei laghi pur Lario Maggiore Sebino Garda Comabbio e Pusiano del vate Eupilino culla, acque azzurre un tempo oggi un po' di meno dove borghi città si specchian civettuoli e ville suntuose piene di fascino e di storia altere ne punteggian sponde e rive: la ducal Vigevano e la bramantesca piazza e la regal Pavia longobarda e Lodi dell'indomito Fanfulla e di Ada la rossa vergina ribelle e Cremona infine terra di liutai di mostarda di torroni, ecco quel ramo di Lecco ricordo caro letterario manzoniano Como ghibellina il vecchio Plinio con l'inventor della pila e lo scopritor del gas delle paludi Volta, Monza il Duomo di Teodolinda la cappella con la ferrea corona Bergamo le mura veneziane di Colleoni cavalier insigne la cappella e Donizetti con L'elisir d'amore e lassù Sondrio della val del Teglio gran regina e Milano il Duomo la Scala l'Arena Sforza Visconti Torriani e il nostro caro Don Lisander il Manzoni il panettone qui dove un dì Ambrogio di Treviri Agostino di Tegaste il peccatore Rigenerato dalla fede nel recinto del suo gregge vescovile accolse, la Milano antica dei comuni che con Crema Legnano Bergamo Brescia guerra contro il Barbarossa mosse e la Leonessa d'Italia sempre Brescia ove alla libertà il piede ardito mosse il giovin Tito Speri che l'austriaco nemico vile impiccò senza pietà alcuna al capestro di Belfiore, Mantova qiei laghi dimora dei Gonzaga dove ancor senti nell'aria la dolcezza dell'ambrosia virgiliana e dimora generosa dove pace trovò e poetò d'amori e cavalier Torquato, or s'alzo lo sguardo ecco corona ti fanno in alto terra mia le punte aguzze bianche di quelle vette alpine Retiche Lepontine le Grigne il Resegone L'Adamello la Punta Perrucchetti il Monte Cevedale e il Bernina, e che dir delle verde dei prati di pianura l'odore dei boschi e delle dolci tue colline? Terra di vini di salumi di trifole formaggi e quel ciel tuo Lombardia che come il poeta scrisse che è bello quand'è bello, bello sempre per me sia quando piove e quando il sole splende è scuro o domina la nebbia Cantava diverso il pettirosso Dapprima un canto acuto melodioso e dal nespolo nasceva quel dolce trillo che nell'aria del mattino si spandeva lì nascosto tra le larghe foglie sen stava dal gorgheggio suo io ben capivo un amico piccino un pettirosso poi il canto più struggente e melanconico d'un tratto si faceva e muovendo come triste il suo capino su una brocca ora a me davanti dirmi pareva con questo nuovo canto che tra poco dovrò per altri lidi migrare oh amico caro mio così ti volevo salutare Ciottolo quarzoso Catturato a Motta Visconti dall'acque correnti di questo mio fiume azzurro tu bianco ciottolo quarzoso levigato che tengo ora nella mano un dì vita ti diede una lontan alta esplosione da vetta alpina sconosciuta nella catena là del Monte Leone- Blinnenhorn da masso informe prima poi in alto gettato e infin caduto nelle sorgenti fredde primigenie del Ticino e nei tempi secoli a venir tanti a valle rotolato e da urti infiniti rimbalzanti salti frammentato sorto tu insieme ai tanti tuoi fratelli tenero oggetto sei nel pensier mio a dir come nel tempo evolve la natura Buon giorno Primavera Nel fresco di un mattino queste al vento le parole di un cuore innamorato sussurrate poi piano cadute su questo foglio bianco e qui poi da me fissate: "dona al cielo il pesco le sue rosee brocche un passerotto qui saltella allegro gli sorride un fiore, due colombe d'amor desiate sull'alto tiglio in attesa delle prime gemme tubano al dondolio degli spogli rami e dell'idillio lieto le indora il primo sole, l'aria profuma lieve un giallo gelsomino, s'agita nella gara dei colori pur il bianco biancospino ronzio d'api di farfalle voli, un rondone ad una finestra picchia come a dir ad un bimbo addormentato svegliati pigrone che tutti assiem piante fiori sole noi alati il buon giorno grati alla Primavera dobbiam dare" così questo acquerel grazioso con le parole sue dipinto in un lontan fresco mattino da quel cuore innamorato Lì in soffitta Tengo in soffitta un bauletto lì dove negli anni nel tempo messo vi ho alcuni sia tra i più belli che tra i meno belli miei ricordi e ogni tanto quando la nostalgia forte mi prende oppure allegro sono lì salgo e con lenta man tremante e timorosa quello apro e tra quei guardo e a caso scelgo con la speranza dato l'umor mio sia la giusta scelta or non dico cosa il cuore oggi mi dettava una vecchia cartolina vi ho pescato che un poco la tignola aveva mangiato una grafia devo dir oggi dimenticata ch'allora così li mi scriveva auguri cari che che da ieri tu sei un chimico industrial dottore e poi nessuna firma ma sol di un sale la corretta formulazione a me ben nota ed ecco un giovane viso alla mente mi è presto tornato a me oggi pensionato e di te commosso mi sono giusto ricordato sappi A. cara che invano nel tempo ti ho cercata amica mia di quel sal nitrato! Quella porta misteriosa Si sente bussare a questa porta ma non è come par di sentire per quel forte soffiar suo che sia il vento e per meglio capir a questa di limpido cristallo l'orecchio tendo mio e un fioco lamento or sento: chi è? Allor domando son l' anima buona d'un trapassato amico tuo e qui vorrei entrare per un poco come un tempo antico con te filosofare soggiunge poi ricordi? Della caducità della vita dell'eternità del tempo era allora il nostro disputare or s'apri la porta or meglio che io la prima vissuta e persa e immerso dove il secondo all'infinito regna con più giudizio a te vivo potrò ben spiegare ma invano d'aprir cerco la porta e man man più sottil questa si fa al mio tentar quel vetro poi di veder mi par un sorriso amico che triste ecco poi sparisce e così a tempo presto o tardi differito qual spirito vagante il saper mio! Così danza Primavera Quando come cantò il cantor di Sirmio il dolce zefiro spira e fuggiti son i gelidi venti ecco nasce Primavera che così prende forma e sua figura: flessuose son le gambe di tenere betulle e le scarpe di intrecciati arbusti colorati lunghe le braccia sottil di teneri due pentaforcuti di roseo pesco rami in fiore di fili d’erbe tra le più belle profumate il ben tessuto suo vestito serti di gialle rose mughetti ciclamini variegati tanto tulipani la cintura di raggi di sole i capelli biondi e occhi celesti come il fior d’aliso bocca e labbre della più bella rosa tea e per finir una ghirlanda in testa di papaveri rossi e di giallo bel giaggiolo e qual viva tela dipinta da Arcimboldo eccola subito a danzar da voli di rondini accompagnata al canto di chiurli e rosignoli All’animo non si vela il ciel d’azzurro Si vela il ciel d’azzurro fuggon le nere nubi la pioggia s’allontana non così nell’animo mio dove nel suo ciel di color di pece nembi qui s’addensano violenti a portar nel cuor tempesta Ballata di primavera Come un dì cantò Lucrezio il poeta latin sulla Natura in primavera in questo tempo suo ecco un dolce lieto del creato spento risvegliar i prati si ornano di fiori nei boschi alberi arbusti mutano colore sui rami gemme al sole si aprono silenti qui gli uccelli pronti in canti d’amor per le nidiate giocano tra lor nell’aria danzan le farfalle fan cerchi le api nel ronzare escon i ricci dalle tane e nei fossi le rane a gracidare il ruscello torna con la voce a mormorare e ai nidi antichi tornan le rondini festanti e in questo primaveril vivente quadro vivo lontan le ambasce dolorose pur i tristi cuori rallegrati dalla vision si volgono al sorriso Povera cartolina Nel giorno della festa delle donne il pensier mio ad un lontan assai anno oggi corre e ti vedo così con rabbia stracciar quella mia colorata cartolina, non ricordo se vi fosser in rilievo rose rosse o gialli o forse degli azzuri tulipani ma poi sul retro vi eran scritte parole solo son certo non d’amore ma di semplice amicizia, poveri quei miei fiori di carta e non so perché così da te distrutti e non destinati se così poi così lasciati ad appassire ma nel tempo a mantener quel bello lor vivo colore e che oggi dopo tanti anni avresti potuto rimirare, che ti costava conservarla quella cartolina e solo cancellare il nome mio sì quel mittente? Il gioco della rella Capita ai vecchi mentre sono appisolati che nel dormiveglia ecco sentano soffiare, è un vento sconosciuto che all’improvviso giunge e che a caso apre il libro dei ricordi, questa è la pagina che oggi sotto gli occhi aperta e viva mi son vista: tre vie di Milano, via Pietro Crespi, Giacosa e Marco Aurelio e io ragazzo e quattro cari miei compagni gioiosi e intenti nel gioco della rella, amici di un tempo e oggi dai sembianti e dai nomi ahimè dimenticati, ecco perché dopo settant’anni mi piacerebbe lì tornare e sentir dire dal lanciatore e io alla presa e gli altri lì a guardare: pronto lippa la và e che ben colpito il lippino in alto vola vola, ma qui si chiude il libro e pia illusion la mia! Un momento già vissuto Come un fantasma dalla nebbia dei ricordi m’appare oggi una figura, ancor la riconosco pur se son passati da allora più di sessant’anni e anche il nome subito ritorna della mia mente alla memoria, ed ecco la chiamo ma non risponde si gira e si allontana e in questa fluttuante nebbia rivedo un momento di vita già vissuto quando l’ultima volta allora che io la vidi quando la chiamai quando se ne andò e non rispose: ma stavolta quel girarsi suo non mi ha fatto male! Quel lontano dì a Mauthausen Fredda mattina di un inverno ancora scorrevan le acque del Danubio ma non più fumavan i camini quelle ossa bruciate tormentate carni gemiti di anime belle e da orridi fumi in cielo trasportate e lì sul piazzale di quel sacrario che di bestial e non umana crudeltà fa qui Memoria difficil fu per me affrontare quei gradini gambe pesanti come di piombo fuso che più non volevano avanzare occhi che non volevano vedere oggi nel ricordo d’allora lì veloce corre la mente e a quelle belle anime innocenti morte volge commosso il mio pensiero Giunge la sera Giunge la sera e il pensiero va al passato giorno piano rifotografo i minuti l’ore poche le cose buone quanto tempo utile da me sprecato! Di te il viso Di te il viso tempo ormai lontano più ricordo invano tento alla mente riportar senza successo pur il sorriso che mi piaceva tanto tenuto avessi una foto tua anche se dubito che mi fosse data tu mi piacevi ma la memoria sa che tu mi odiavi dunque perché quelle visioni tue a ricercare? Nel silenzio Nel silenzio or una voce a me piano parla tu non ricordi dice t’amai e tu m’odiasti chi sei le dico di te non ho memoria che nella vita nel tempo amato fui ma tanto odiato pur ecco ti sbagli devi cercare altrove ludi d’amore di persona giocai controfigure senza Una carriola cigolava Una lontana notte di Natale quel lento dolce nevicare quel mio guardar dalla finestra quello stridio quel rumore lento: una carriola cigolava a spinger con fatica eran due vecchi, vecchi dall’aspetto poveri mendichi, nell’andar la carriola il suo cammin segnava qual una firma tremolante, dissi tra me: doman li andrò a cercare render meno duro il lor Natale, ricerca amara invana che da man veloce di uno spazzaneve di quel cammin la meta era stata cancellata La giovane cicogna Questa è per voi la mia fiaba di Natale: “Il gran maestro dove regnan le cicogne ad una giovane alla mission sua prima inviata un dolce carico diede una busta un indirizzo ma nel volar lassù tra monti e mari quella smarrì la busta e più non seppe dove andare dove dunque portar quella graziosa fantolina. Poi ecco laggiù una casetta piccina sola in mezzo al bosco finestre illuminate e fuma qui un camino e un dolce tepor sul tetto lì vicino, pensò: son stanca di volare e un poco voglio qui restare, dai vetri guarda nella casa: lì solo due vecchi soli senza compagnia e ora sa cosa ben fare, alla porta col becco bussa e aspetta che quella lenta s’apra e lì lascia quel caro fagottin e vola via! Poca le importa del gran maestro le rampogne di due vecchi il lor sorriso e la felicità di una bimba in fasce che rallegrar va due vite spente sentir non fa di mal parole il peso!” Così si conclude lettori la mia fiaba di Natale e voi pronti con me la giovane cicogna ringraziare? Il vento del Natale Se in queste notti tu insonne alle stelle guardi e un soffio come accarezzar senti della finestra i vetri è sappi il vento del Natale che nasce lassù tra quel brillio, lascialo entrare e ascolta che ti vuol parlare, parlare di ricordi di quel tuo tempo antico di te ch’eri bambino, dice ricordi e a te vicin si muovono figure ti chiaman voci vive dall’accento conosciuto si quelle che bene ti volevan che t’accarezzano che in quei lontan Natale santo ti portavano regali. Sei scettico non ci credi perché negar ti vuoi a questo vento alla magia del Natale? Così nascon… Molti nella mente si accavallono i pensieri di piombo son i foschi e i cupi come l’elio leggeri i rosei e quelli positivi, una botola ha la mente in basso una finestrella più su in alto, a caso s’apron queste feritoie: cadon pensieri in basso in alto volan altri, degl’un degl’altri il prevaler e così in noi all’insaputa nascon le nostre tristezze o allegrie Solo si sente il bosco Giungon d’inverno i mesi orfano solitario si sente il bosco sol neve e brina mattutina a fare compagnia non più le voci amiche quei rumori quel solletico dolce dello strisciar tra l’erbe rami spezzati salti tra foglie mosse canti sol nascoste e dormienti sotterranee vite lontan o migrati gli uccelli cercan lor pasture più i passi risuonan del cercator di funghi di chi il marron gustoso frutto autunnal alla raccolta muove, sol lo ridesta nel silenzio qualche sparo cacciator e bracconier che son nemici! Quella fanciulla slava Bled e quel suo azzurro lago dall’alto dal castello guardo: si scioglie ora un poco la nebbia dicembrina e una isoletta affiora e un campanil sottile, sulle rive ferme fisse alla sponda le pletna invano cercan dell’acqua l’onda che invan il barcaiol il turista qui attende oggi e qui parla e illustra le local di qui nuove e antiche storie una fanciulla guida dai cerulei dolci occhi e dai bei capelli semibiondi, di lei chiedo e della tesi dice sua: di ser Francesco quei sei sonetti già tradotti pronti ma di quando il laureo serto cingerà la chioma forte sospira che di lavor necessità la man al gesto di Euterpe un poco frena e qui poi la tristezza i suoi bei occhi vela Non solo a Natale Pur essendo uno special giorno Natale è solo un giorno che tutto l’anno sai di giorni più di trecento assomma: tende un povero la sua mano, nel freddo dell’inverno dell’estate nell’afa soffocante su una panchina di un parco o di una stazione nell’androne dona al cielo i suoi sogni le speranze un misero barbone, soffron le vedove gli orfani e geme sempre qualcuno in un letto d’ospedale, un sorriso attendono e non solo quei bimbi le bimbe denutriti di quei paesi assai lontani e se in questo special giorno il tuo cuore alla povertà alla sofferenza apri non chiuderlo poi negli altri più di trecento giorni Due fruscoli di pane Volata è stamani una capinera sulle foglie del nespolo in giardino e col becco fruga in cerca di un insetto, delusa poi in alto alza il suo capino, tra l’erba pallida che perso ha il verde colore della primavera buca il terreno un nero merlo vana la ricerca di un sotterraneo verme e le gialle zampette verso altro luogo muove, anche un passero saltella nel giardino che per lui pur la fame il grido alza ma se avara oggi è la natura come spesso avvien in questi giorni soccorso una man da la mia che qui e là lancia svelta due freschi gustosi fruscoli di pane Io e la selvatica calla La selvatica calla dopo il lungo sotterraneo sonno torna a veder la luce, prima un sottil germoglio un esplosione poi di larghe belle verdi foglie in attesa nel tempo, ai primi dell’estate, alla vista offrir il bianco fiore e la pannocchia rossa, pur io infreddolito e prigione dell’inverno qual spento fiore la lieta stagion quando lo zefiro gentil pian sospira pazientemente attendo e nell’attesa penso ancor vedrà la luce il fior della vecchiaia mia? Casorate Primo (PV):Parco giochi Teresio Olivelli Pomeriggio d’autunno tempo incerto alberi spogli a dar luce sul parco il poco sole ostacol non vi trova: scivoli dondoli altalene e rotante una giostrina vi giocano i bimbi, alcuni son stranieri mia nipote con lor contenta e gioiosa corre e in questo correre e giocare ecco calpestan foglie lì morte cadute nel parco Teresio Olivelli in quel di Casorate Primo, sì corrono giocano di quel nome ignari, vide Teresio altri giochi correr altro in Hersbruck altre foglie calpestate, giovani verdi foglie non dal vento scosse ma dall’alber della vita tolte e là cadute in truculenti bestial giochi da viltà vile e da folle umana insana crudeltà e di quelle la vita dando si occupò le raccolse e a se con amore trasse Teresio Olivelli ( Bellagio 1916-Hersbruck 1945) Martire-Patriota-Beato Deportato morì nel Lager di Hersbruck a seguito di vessazioni e percosse a causa della sua fede religiosa e dell’abnegazione caritatevole con cui si volgeva verso gli altri detenuti Le anime dei morti Vorrei oggi mentre fuori piove e quel picchiar lento sui vetri la mente induce forte a meditare non so perché delle anime dei morti qui parlare ma arduo è l’argomento debole il pensiero: vagan nel cosmo son esseri eterei pensanti che altro mi domando divise son le anime dei buoni bianche da quelle dei cattivi nere? Continua a battere la pioggia lentamente mentre di scorrer cessa su questo mio pensar su quel che siano dei morti l’anime il pensiero L’indemoniata Che fosse indemoniata da tempo sospettavo sguardo torvo occhi luciferini brutta faccia quel parlottar maligno tra se e se della gente sconosciuta al suo passare del buio amante della scura notte dei temporali e grandini incurante della scrosciante pioggia lampi tuoni la facevan gioire si ancora incerto sospettavo la conferma all’improvviso ieri lontan dal vial condominiale soffiava le foglie un povero omarino a questo incaricato e nell’agir tre foglioline sì tre tre foglioline proprio a cader vanno sulla soglia del cancello suo: urla urlacci gesta movimenti strani da questa poi il malcapitato fissa e dopo tre parole strane gli punta un dito e quello ecco in terra cade sì in terra cade e li vi riman riman morto stecchito Altra mano Fuori nevica di bianco i campi ricoperti al calor del fuoco, schioppetta il legno nel camino, qui il vecchio contadino sospirando quel tempo ricorda di passati anni quando il vigor ancora lo reggeva e pensa che là sotto altra mano gettato ha la semente e altra man nella stagion futura taglierà le messi ma saggiamente poi ai quei ricordi antichi andando sorride che ben sa che della vita sempre e solo in avanti la ruota gira Profumo di giovinezza Parla al telefono con mia moglie l’anziana amica oggi amorosa nonna un tempo giovane maestrina vesuviana che son passati più di sessantanni dal Sud mandata in Lombardia quel povero paesin di contadini e così nasce l’onda dei ricordi al mattin la gelata acqua del catino le membra a risvegliare il caffè nero di corsa trangugiato la fredda aula la fumosa stufa quattro fanciulle e sette ragazzotti grande voglia d’imparare un panino piccino a mezzo dì compagna la guardia comunale l’abbaiar d’un cane pomeriggi di dettati e di letture la sera ben venga quella calda gustosa minestra della signora Rosa davanti al camino con qual calor caldo il legno scoppiettante due parole il sorriso del caro signor Lino la buona notte quel letto un poco freddo come scaldato da quel buon profumo le lenzuola il sapiente bucato contadino il materasso soffice avvolgente piume d’oca e un poco quel dolce odore delle frasche di granturco un lumicino sul comodino accanto alla foto della mamma della Madonna un piccolo santino così con mia moglie parlando sull’onda dei ricordi l’anziana signora vesuviana sospira e seppur carichi di sofferenze disagi amarezza poche gioie quei momenti ancor oggi li rimpiange perché avvolti di quel profumo forte intenso il profumo di quella sua bella d’allora giovinezza Il barbone Nella stagion dove regna il gelo e gli alberi scheletriti i nudi rami tendono dolorosamente al cielo su una panchina nella notte altra nudità offre la sua alle stelle quel povero fratello tuo quel barbone e il dolor suo in attesa del primo sole del mattino: notti travagliate spesso da incubi che incutono timore poche da rosei rassicuranti sogni e l’insonne mente che si domanda scossa come saranno poi all’indomani le giornate, tu che in un caldo letto hai dormito e spesso il problema son la scelta dl vestito e della prima lauta colazione di qualche affanno ricorda non ti devi lamentare e dar sguardo pietosa a quella nudità sulla panchina poi far con quella d’amor condivisione Così in breve tempo Sulla soffice sabbia della duna del deserto soffia il vento e in breve tempo questo la modella dopo l’intensa pioggia forte scorre l’acqua del ruscello e la riva in tempo breve aspetto cambia così in breve tempo presto mutan e tanto si modificano i pensier miei dalle vision correnti che scuotono la mente Frangar non flectar il motto Sradica la quercia il vento come gli allori e gli alti pini che a quello fanno resistenza sol ondeggiano al furor suo le betulle gli arbusti il pruno e le salse tamerici che così a lor per stranezza ha dettato la natura, or getta uno sguardo sull’uman consorzio dove par non dettare la natura ma il personal agire che tanti ai tirannici della vita venti il dondolar con inchin profondo pur di star lì in piedi non divelti omaggio e preferenza danno, pochi inver a quelli portan combattimento e profonda guerra che frangar non flectar è il motto loro anche e poi a ben ricordar di Don Lisander quelle sue parole: “Il coraggio, uno, se non ce l'ha, mica se lo può dare” Così sul bianco foglio Il dolor suo sul bianco foglio l’abbandonato amante getta con il calamo tormentando con nero inchiostro quello che son frasi queste riflesse da un animo da mala man graffiato che ad ogni fitta lui verga un parola Nel vento d’amor parole Se d’amor senti parole nel vento sussurrate erano sappi da non corrisposti amanti frasi un tempo scritte su fogli poi stracciati e pur a rosso fuoco dati da man di cuori duri dalla dolcezza dell’amore non toccati ma da Venere pietosa fogli raccolti ravvivati e parole da Cupido ricucite e poi ad Eolo donate Cercando man pietosa Novembre è dei morti il mese il mese che porta a ricordare: tombe con ceri accesi e di fiori ricchi vasi, poi tombe dimenticate nude che non arde un cero né un fiore qui profuma, così nell’aria fredda questo a dir senti da flebili deboli lamenti: man pia pietosa di forestier che sosta un fior pur misero di plastica sfiorita qui deponi oggi e qui da luce nuova al mozzicon di cera gettato tra i rifiuti e spendi, nulla ti costa, una preghiera! La pioggia non sa scrivere..ma Non sa scriver la pioggia d’amor parole che vadan dritte al cuore ma può d’amor compor canzoni, una nota per ogni fior su cui cade qui nel mio giardino: tonalità varie diverse, un do dal ciclamino, un fa dal bucaneve, più re da quelle rose, i sol ecco dal tuberoso elianto, sul geranio un la, i mi dalle mimose dalle ortensie i dolci si: che bella melodia per te al tuo cuor donata amata mia! Il fiore amico Vi è ancora qualche fiore oggi nel giardino che si sta spogliando, son dell’elianto tuberoso amico, fiori che tanto negli anni ho di lor cantato, poveri versi sì ma versi sì d’amore che hanno tanto abbracciato lieti e non momenti miei pensieri riflessioni dell’oggi e del passato e cari visi alla mente mi han portato, pochi occhi gialli son altri, già spenti dalla pioggia dal vento e giammai da ostile mano, mi guardan voglion oggi farmi compagnia e quasi parlar, dirmi: il giorno dei morti tra poco si avvicina e a quelli che in vita come te mi hanno amato porta in quel dì il saluto nostro! Il filtrar del sole Tra le foglie oggi del faggio il sole filtra e quel rosso color accende, tra le foglie filtra dei tigli e quel verde loro si ravviva pur tra le pieghe vorrei che dell’animo mio filtrasse sì da dar oggi un poco più calore a quella fiamma mia fioca dell’amore Come nel mito di Proserpina Curioso il perpetuo vital ciclo dell’Arum italicum,il bianco gighero, che al mito di Proserpina fa memoria: di Pluton sposa nell’Ade buia tetra negli invernal mesi e di Cerere figlia nel mieter lieta biondi messi nell’estate, e di Fregoli il funambolico mutar veloce che bucando il terren alla vita diurna lentamente torna al giunger dell’autunnal stagione e qui larghe foglie belle verdi rigogliose, in primavera poi sottil bianca elegante infiorescenza mostra del bianco fiore madre e in giugno al ciel calor donando il rosso frutto quell’insiem di bacche ostenta, lei che con quel calor poi si dissolve e dal terren scompare ma non muore e lì sotto bulbo solitario vive per ritornar nel tempo a diurna vita La renna birichina Capo nord, il sol s’aspetta a mezzanotte, a frotta giungono i turisti e come per magia dalla roulotte esce un lappone in costume, agita qualcosa sorridente e poi un fischio: ed una vecchia renna macilenta da una tenda frusta lisa e lì fissata esce lesta veloce, alta la testa e di un tempo il palco ormai perduto, al suo padron furba s’accosta in posa per la usual foto di rito, di ricordo,sen va o poi a prender dalla amica man la ricompensa giusta sua:son tenere foglie di salice e di betulla! Qual foglie al vento Si leva il vento cadon le foglie a terra come corpi morti poi più forte di nuovo s’alza il vento e quelle morte qual vive essenze al cielo innalza, così nel tempo a noi accade foglie sull’alber della vita scosse qual vento da misteriosa mano giù cadiamo per poi anime alate dal corpo scisse lassù in misterioso luogo salir e nel tempo eterno ivi restar! I nonni Volge il ricordo oggi ad un tempo assai lontano grosse balle di fieno lassù in cascina un nuovo nato nella stalla colmi i granai di grano e nuovo riso nelle botti il mosto a fermentare ardeva il vecchio ceppo nel camino e alla nonna il nonno sorrideva e lì un gatto birichin facea le fusa,il gallo le galline le papere un cavallo due cani con le voci loro là fuori in coro, vociando, ai nonni parevan voler dire: ci siamo pure noi! Il vitigno abbandonato Un tempo man gentile qui piantò un vitigno di uva nera americana lungo un’alta ferrea recinzion ad una battuta strada parallela poi di quella orfana lontana da anni il viver suo deve alla buona provvida natura e così negli anni risorge a primavera: verdi pampini dal bel fogliam lucente, tralci nuovi svettanti e rampicanti tra le ferree sbarre come libertà a cercare e sui tralci grappoli corposi con il lor mutar nei giorni di forma e di colore per a settembre donar generosi frutti e pronti a dei passanti quel lesto e fugace vendemmiar, ma a man gentili del poco frugal prender liete spesso ecco seguir mani tanto villane poco d’altri rispettose e al ferir portate: tralci offesi divelti e grappoli strappati a dismisura poi qui gettati forte a terra e poi con forte villan piede calpestati, ma pur così soffrendo il vitigno nell’anno che verrà generoso tanto con la natura amica ai viandanti sia buoni sia cattivi si ridonerà! I due tappeti All’inizio della primavera i pappi i bianchi piumosi frutti della viorna nell’aria un poco danzan per poi cadere a terra e lì formar un niveo tappeto, al finir poi dell’autunno il vento di questa i rami forte scuote e scendon nell’aria tremanti variopinte foglie e al lor cader nuovo a terra bel tappeto nasce, tappeti che spesso poi villan piede deturpa indifferente a questo ricamar della natura Occhi gialli Gli occhi gialli del tuberoso elianto di quei fiori a me per ricordi familiari tanto vedo nel corso del giorno come mutar alquanto il lor fissare il cielo sì che all’animo mio che li osserva van recar mutevol sentimenti: al mattin dolcezza che al sol s’apron ridenti lieti, malinconia al scender della sera come tristi spauriti a cercar nel buio la paterna luce! Questo chissà perché è questo il sentir mio che il fiore non si chiude né muta di colore. I gatti di Rovigno Di pietra bianca lunga scalinata tra case basse dal sapore antico che guardan qual sentinelle ferme verso il mare e in fondo un bel micione bianco maculato più su prima degli ultimi gradini tra lor ruffiani semidistesi giocan due micini neri e alla voce tua o amica che li chiama guardan su curiosi in alto a quel richiamo poi distratta tu là più non guardi e il passo muovi ma tra i piedi ecco uno strusciare avverti e dolce senti un miagolio che senza chieder nulla un micio è giunto a salutarti Quel tempo di vendemmia Ottobre già sul filare bella arrossa l’uva e grappoli son pronti al taglio del garzone poi tanti cesti ripieni del frutto della vite da un piede con sapiente ritmo il mosto nasce quello di rovere la botte attende a fermentare tra un anno di vino ci sarà un buon bicchiere Il mio fiore settembrino Sì caro Don Cesare che sei nel sonno eterno Cullato dalle onde del Ticino poveri fiori Son i settembrini umili che spesso muoiono Sugli steli dove sono nati ma cari all'umili Di un tempo nonne e mamme dei nostri paesi Della bassa che dagli orti in povere carte Di giornale portavano con dolce cara pietas Coi loro bei colori a risplender sulle tombe Povere dei defunti loro e domani in cui il dì Ricorre della tua salita in cielo dirò ad una Farfalla alata colorata di volar sulla tua tomba Sarà questo Don Cesare il mio fiore settembrino Pserimos Pserimos la più piccola dell’Egeo Delle dodici sorelle, per l’attracco Un pontile di corda dondolante Una sottil insenatura, una spiaggetta Lì sabbia bianca vivida lucente E un mare di un color intenso Azzurro e di fronte due taverne, Il candor di quattro case niente Strade sol sentieri che si perdono Nei boschi, quel profumo d’abeti Timo e origano che nell’aria senti Frammisto a quel del rosmarino Portan dolcezza e all’innebriar forte Dei sensi poi dall’incanto tuo Ti sveglia da lassù il lieve suon Di campana di una chiesetta Bianco-azzurra e infin bello Quel breve personal incontro: Il sorriso di due vecchie figure Ancor care nell’album dei ricordi I lor d’erbe aromatiche mazzetti, Lasci sul fare della sera mentre Il dondolio del mar culla il caicco Quest’isola che pare addormentata E nell’animo e alla mente giunge Il sentir dell’arcaico mondo greco Quel dei poeti saffici e melici lirismo Kalymnos Tu che con le undici sorelle tue Dall’Egeo, il greco mar, ridente affiori, Tu che appellò Ovidio latin isola Dai boschi ombrosa e il cieco Cantor Delle tre Calydnae una, per me tu Sei qual allor tu fosti nell’affacciarti Alla vista mia, vision che all’animo Respir dava e alla mente il pensar: Nell’aria profumi intensi d’erba Aromatica ch’al nome del re greco Chiama bianche spiaggie colore Blù del mare che a antiche fatiche Dolorose volge: giù sui fondali Vite lì in colonie fisse pescate tolte E poi da man ruvide ma sapienti Morte mutate in soffice materia Che qui in ogni dove al visitator Fan bella mostra o Kalymnos: Isola del basilico e delle scure spugne! Settembre: le rondini Oggi cerco come un tempo le rondini A migrar già in volo o ferme lì fisse Tra i fili dei pali della luce prossime A partire, ma oggi il cielo è vuoto Sui quei fili nessuna nera figurina Son già partite domando, lasciato Han già questo mio paese? Triste, Ecco ricordo chi non torna non Più poi ripartire che quest’anno Le rondini non so perché al mio Paese non sono ritornate per farmi Dolce compagnia e con i loro alti Voli lì questo mio cielo a rallegrare Più non giocava Da tre mesi più non giocava la gatta Briscola la cara dolce mia micina a nascondino come faceva da tre anni in modo furbo scherzoso malandrino viva ammiccante dopo in quel rifugio a farsi festante sempre ritrovare che la malattia alla fine sulle cure aveva prevalso e quel paffuto tipo Garfield corpicin trotterellante ora in esserin povero ridotto nel suo stanco correr e fuggir da me lontano che ritrovato dopo affannoso qui e là cercar mio a la man che dolcemente l’afferrava triste il musin sembrava dire più doman dove sarò cercar mi devi che stanca son e i tempi dei giochi nostri ormai finiti, lì in pace lasciami morire e poi sotto un fiore del giardin scava ma senza lacrimar la tomba mia Lola la piccola randagia La sera in casa entrò furtiva una micina piccola randagia e in un cantuccio del bagno si nascose, vano alla scoperta il tentativo tuo di farle dolce una carezza: come impazzita furiosa ti morsicò una mano, quel suo fuggir e il correr tuo all’ospedale dieci di degenza poi i giorni tuoi e di quella persa per giorni tanti tanti la presenza. Infine quel ritorno, un miagolio a cercar ma sospettosa ristoro alla fame ed al piccol corpo comodo un ricetto e così Lola come la chiamasti poco alla volta da randagia che era ed è diverrà come son Milù Cesio e Rufus Bartolomeo sì di casa e nel giardin giocando allegra questa è almeno la speranza e che nel tempo non sia poi delusa! Speranza però che se ne andò delusa che un giorno se ne andò lontan e qui non fece mai mai più ritorno! Via Mancinelli - Milano Ho cercato notizie recenti questa via stretta ricordo tra un’alta cinta muraria di un deposito di mezzi tranviari da una parte d’altra da austeri edifici del farmaco di ditte famose poche allora le case private sì ho cercato notizie recenti non sapevo di quel fatto di sangue di due giovani qui uccisi vilmente, il ricordo mio va più ad un tempo lontano io ragazzo mio padre di fianco nel percorrere questa via di fretta quelle sere più vicine alla notte nel tornar dal Porpora cine e noi stretti paurosi vicini era da poco la guerra finita balordi malavita di spicciolo taglio regno avevan in queste periferiche vie, non sapevo di quel fatto di sangue di due giovani uccisi vilmente, il ricordo torna un poco più indietro una domenica di primavera dalla messa tornavo bambino un dolor lancinante alla pancia questa via con stento fatica percorsa e la bocca tra secca e schiumosa una bava bavosa corso un rischio di peritonite poi quel mio urgente soccorso Santa Rita una clinica lì vicina fortunato fui da morte scampato, non sapevo qui di quel fatto di sangue di due giovani uccisi vilmente, il ricordo corre nel tempo più avanti sempre l’alta cinta muraria non più quelle di farmaci sedi del sapere e di scienza istituti condomini più ampi ed estesi un mio incontro d’una vecchia mia amica di un tempo che lì insegnante di chimica pura non mi disse non sapeva del fatto di sangue di quei giovani qui uccisi vilmente, se potesse questa via parlare quante storie quanti fatti noti e non noti da lei visti e vissuti nel tempo Due giovani del Centro Sociale Leoncavallo assassinati nel 1978 A ucciderli furono 8 colpi di pistola esplosi in via Mancinelli n. 8 Nel 2012, a 34 anni dall'omicidio, la giunta comunale ha dedicato al nome delle due vittime i giardini pubblici milanesi di Piazza Durante. Sterzing -Vipiteno Corre il ricordo a un luogo visitato a Sterzing -Vipiteno al camposanto in una sera lontana di dicembre lungo il muro di cinta a sinistra dell’ingresso il buio nasconde quei nomi lì diversi di bimbi un dì lassù volati presto in cielo un cerino amoroso lì fa luce e da quei marmi grigi quei riluce uno sguardo sol rapido veloce e commosso lì leggi e vedi che lì Reinhilde accanto a Guido dorme una bimba bionda forse e bruno forse il bimbo che qui nel buio perenne che li tiene per l’eternità si faranno dolce perenne compagnia Oggi mi parlano le viole Lì dal silenzio del giardino delle suore oggi mi parlano le viole da lontano lo so questa alta cancellata ci divide non puoi tender le mani per toccarci ma il tuo viso forte forte appoggia a queste aste ostili e aspira forte forte e sentirai quel dolce profumo come facevi un tempo a riscoprir oggi quello della antica giovinezza Il glicine e la rosa Solitaria là in mezzo alle sterpaglie tenerezza offre allo sguardo la casa sventrata l’uscio divelto un vecchio catenaccio arrugginito mezze finestre scampoli di tende lì per terra vetri il tetto scoperchiato lì sol due tegole rimaste altre qua e là rotte spezzate a compagnia far a quei taglienti sfridi, unici segni di vita oltre all’erbe alte che ancor verdeggiano tra gialle sterpi e le lor sorelle morte un rosa selvatica smunta dal colore incerto non bianca poco tendente al rosa e di un glicine antico un solo e attorcigliato al muro ramo pochi i fiori lilla violaceo il colore orfane vite di mano sconosciuta che a lor un tempo lontano cura vi prestava e nostalgico il pensier corre a quella non sai se d’uomo donna o di fanciulla Arum Italicum Sciolta l’ultima neve marzolina sulle rive del fossato maestosa torna al ciel mostrar l’ampie verdi foglie la selvatica calla e a giugno lì vi sarà di rosso color una esplosion vivace di rosse lucenti rosse bacche, invan lacrime calde attende la primula dell’amor, perenne è quel gelo qui nel cuor creato da parole d’addio qual neve nera su bianco foglio lì gettate: non un rosso fiore a primavera che avvizzito morto sarà il fiore! Canto di dolore Due piccoli cipressi lì presso il monumento stanno a fare compagnia al tuo sonno eterno tu che or riposi dagli affanni sciolta in quel remoto cimitero di campagna dove nei fossi lì vicini in questa stagion, inizio è di primavera, spuntano viole e margherite e dove più tardi in tempo di risaie si sentirà il verso della rana e qui ove dato ti sarà un futuro arcano al passato porta e al ricordo una tua fotografia colorata che da tempo nel portafoglio stava tu che giovane tra l’erbe di un prato ormai lontano muovi sorridendo a me che quell’attimo fissavo e il tempo dove fermo sarebbe stato come ora il piede tuo mia amata cara era lontano Ultimo Ulisside Guido che dalle dolci acque del Cusio dove di San Giulio quell’eremo, lì son vergini pie al silenzio votate lor sol muta è concessa a Dio la preghiera, si specchia al centro solitario, e da quelle ceruele acque del Verbano dall’isole che il Santo patrono milanese noma punteggiate a te lidi del patrio focolare un dì lontan lasciati, forte il desiderio la brama tua, ultimo Ulisside, di solcar mari nuove acque per lo spirito bere alla mente portare nuove ampie conoscenze e all’animo di goder di luoghi nuovi e di bellezze nuove ai più ignote sconosciute e ti sorrise così l’Egeo mar isole dove si rincorron i Miti antichi, dove la man tua con abil tocco su tela mise di quale greca civiltà le rovine antiche, la man che a Olimpia più volte toccò di Prassitele il marmoreo Hermes e gli occhi chiari tuoi di pianto si bagnaron e da ultimo poi l’Oceano oltre le colonne d’Ercole e ben lontan solcato il piede tuo, nuov’acqua sconosciuta, toccò quel fiume quel Rio Paranà e alla vision che gli occhi infiamma la Bolivia selvaggia del Chaco gli Indios dalla bella nudità selvaggia nuove piante insetti nuovi uccelli dal piumaggio strano e la giungla del Paraguay selvaggia ultima meta del tuo umano viaggio che qui volle crudel destin fosse da man violenta la tua luce spenta. No, no ancor tu Ultimo Ulisside vivi: questo per te in Maia il canto dell’amico Vate: “Ed uno di noi, che taceva con fronte ostinata, era sacro a morte precoce, più caro d’ogni altro agli iddii come eletto a perir giovine e in atto di compier l’impresa cui s’era devoto con anima salda. Or quegli nella memoria più fortemente mi vive; e lui vedo presso la ruota del timone in quel punto, ritto su le gambe sue snelle e nervose di corritore del lungo stadio, guatare con gli occhi chiarissimi il solco. In verità, fra i compagni egli era il più pallido. Quasi esangue appariva il suo vólto; ma i suoi biondi capelli sorgevano senza mollezza su la robusta ossatura della fronte nata a cozzare contra l’impedimento; e di virtuoso rilievo su’ chiarissimi occhi era l’arco dei sopraccigli, sobria la bocca e di netto discorso, agile il collo se bene la nuca sì ferma paresse ch’io le comparai la cervice d’Eràcle che l’Etra sostiene tra la bella Espèride e Atlante nella metòpe d’Olimpia. Ei ne sorrise. Ma certo gli sovrastava continua l’imagine immensa d’un cielo.” Or ascolta da lontano questa voce Guido: “Son qua, Ulissìde.„ “Su, svegliati! È l’ora. Sorgi. Assai dormisti. Odi il vento. Su! Sciogli! Allarga! Riprendi il timone e la scotta; ché necessario è navigare, vivere non è necessario.„ A ricordo di Guido Boggiani Pittore-Fotografo-Etnologo 1861-Omegna 1902-Puerto Casado-Paraguay Come frutti piumosi della viorna I pappi o come li cantò in Maia il vate della Pescara di Fiume di Gardone, Gabriele il grande, quei frutti piumosi della viorna festosi lievi danzano nell’aria e poi dopo la caduta il suolo ricopron di bianco niveo manto che piede poco gentil presto calpesterà macchiandone il candore, son così i sogni illusion e speranze nostri che in ciel librati dall’animo dalla mente liberati candidi volan e cercano certezza poi come pappi cadono spesso per terra e son distrutti che forte calpestati! Notte di Natale Un palazzo patrizio bifore, una finestra illuminata, gioiosa lì ride una bimba bionda: quell’albero i regali, per la demolizione dirimpetto pronto un caseggiato vecchio, una finestra, un vetro rotto, rischiara la stanza una candela e da lì a guardar s’affaccia una bella bimba bruna il nulla la circonda, da lì quell’opulenza vede e un sospiro forte nasce poi si spegne che lì volando un pettirosso qual dono una bacca rossa lì depone di ilex un ramo su quei neri capelli, il suo regalo, porta una capinera che nel giorno di Natale bandita in ogni dove è dei bimbi la tristezza! A mio padre Vecchia fotografia sei per sei in bianco e nero e tu assorto stai in una stradina alberata di Gardone scelta così per caso mi domando oggi nel tempo dopo sessant’anni quali fossero allora i tuoi pensieri una delle poche e rare tue giornate d’evasione e lontano dal tuo caro bancone di macelleria, non certo volta a la mente alla nave Puglia all’immaginifico Poeta al Vittoriale. Come cantò il dolor Anite Non solo nei bimbi il dolor forte che a lacrimare porta come cantò un dì la poetessa Anite di Tegea: Ad una cavalletta, usignolo dei solchi, e ad una cicala, ospite delle querce, tomba comune eresse Miro bambina; e infantili lacrime pianse, ché l’Ade cattivo fuggì con i suoi due balocchi.” ma pur a me già canuto e vecchio al dipartir per crudel e letal morbi chi tra fusa scherzi giochi carezze portò alla vista gioia e al cuor letizia per pochi a anni tanti del viver mio come nel tempo accadde per Rufus Virgola la piccola Peonia quel gatto dal nome sconosciuto e infin da ieri poi per Briscola a me cara gattina E nulla cambierà Frasi fatte parole già sentite allo scoccar di un anno nuovo, pace serenità prosperità fortuna gioia salute successo soldi tanti, è un ritornello che immutato torna come quei balli in piazza stelle filanti ardenti e botti spari ma ai cenoni nei resort montani alle esotiche spiagge son gli stessi sempre che brindano a champagne e così sarà per lor anno per anno, a chi sotto un carton o sotto le stelle dorme ed i morsi della fame soffrir fa tanto niente cambierà nell’anno e così sarà per lor anno per anno, che ipocrite false son quelle parole allo scoccar di un anno nuovo dette e ipocrita pur chi questo dir mio nega! Il tempo per un poco si fermasse Di quel blocchetto spesso solo quel trentuno colorato vive lo staccherà doman la mano uno strappo muore così un anno e già li pronto è un rosso uno di gennaio su un blocco vergin intonso ed ad assottigliarsi pronto e neri rossi e neri cadranno via via quei colori dei giorni segno e il tempo si consuma ma quest’anno nuovo vorrei che per un poco si fermasse l’ora dando più spazio ai miei d’amor pensieri: gli ultimi forse! Quel Natale Sarà doman Natale Corre lontano il tempo Son più di settantanni Cosa scrissi nella letterina Il ricordo è perso la poesiola Recitata pur dimenticata Ma pur se morte di quel dì Le persone care oggi son qui A dirmi che quelle eran sì D’amor parole quei versi Inno a un Bambin d’Amore Non un amore Tempo di gioventù lontano difficile dir se amore o solo mera simpatia quei sentimenti miei da lei odiati tanto e quel dì finiti frantumati, queste a un casual incontro queste ultime a me parole: più non t’ostinar e serba se vuoi come ricordo ultimo di me questo freddo ciao. Vola la foglia Dal platano che guarda sul giardino stacca una foglia un refolo di vento domando perché quella tra le tante una voce dolce che viene lì dall’aria par dirmi lì fissando forte posto avevi i cattivi tuoi pensieri che con me ora son volati via così prima di morire fare volevo un atto mio per te d’amore Come le foglie Ferme le foglie poi s’alza il vento e s’alzan tutte a lui lievi danzando e al mutar o al cessar poi di questo rotolano si rialzan e repentemente cadon e lor che guardo son come i miei pensieri fermi veloci e alti al mutar del turbinio della mente Vuoto il nido Vuoto qui il nido delle rondine amiche volate con forzati voli per lontani lidi e qui in attesa di uno sperato lor ritorno, pur vuoto il nido oggi dei pensieri miei cattivi che volati da me lontan lontani che da lì si spera senza possibile ritorno San Valentino: Povera prostituta! Amanti ardenti sul talamo felici una rosa a dir dei loro sentimenti in questo giorno degli innamorati e amanti d’un amore mercenario in fretta consumato lì una stradina spesso di campagna un alberguccio di periferia e lei povera ragazza venuta da lontano da un pappon al mercimonio data: oggi per lei nessun San Valentino nessun dono d’amore sol fallaci carnal incontri un due difficil poi dire quanti! Nessun rosa un vil lurido pappone sol vigliacchi tanto vigliacchi amanti. Qui cerca l’abbandonato amante L’aria inebria nella sera il profumo di lavanda e s’accompagna a questo la lor delle aperte belle di notte rosse la fragranza delicata dolce sospira qui il solitario abbandonato amante alla ricerca tra i profumi dell’amata quello ormai perduto e tra i ricordi. Alle mie ombre Beate voi mie ombre che nel camminar dei giorni miei mi accompagnate spesso lievi sottili evanescenti vuote che i pesi dei dolor e delle pene che al corpo pesan tanto assenti son in voi scuro riflesso suo Scivola dall’animo Danza la gialla farfalla sul geranio rosso e lì nell’azzurro del mattino a quel leggiadro danzar dell’azzurra libellula il volo s’accompagna rapito così da quel disegno che l’aria tinge scivola dall’animo la mia malinconia Ferma immota l’aria il faggio e i tigli invocar sembrano anche un minimo refolo di vento che possan danzare i rami e le foglie dondolare piano, lì nascoste indifferenti le cicale stanno a rompere il silenzio con quel costante alto fastidioso canto, quei movimenti l’occhio attende e l’orecchio il nulla Oggi son triste Oggi son triste ma non so spiegar la mia tristezza che l’otre dei miei dolori pieno avevo lanciato laggiù nel profondo mare che forse la chele di un lì vivente mostro o meglio che sol gli aguzzi di un pesciolino denti l’abbiano forato e alcuni di quei a galla reso e di nuovo da me a respirare qui portato? Come nell’afa Come nell’afa estiva forte s’attende a donar al corpo un poco di frescura così un animo che tanto d’un amor che tormenta brucia un sospir qual soffio s’attende dalla persona amata che a quel brucior dar breve tregua Canti e riposi estivi Fanno a gara nel caldo dell’estate a lanciar nel cielo i loro canti i grilli e le cicale e sonnolenti i gatti miei rannicchiati al sole, stanno ai giochi d’amore pronti i primi in attesa quei dormienti delle notturne fresche ore complici ruffiane a quegli attesi sospirati incontri: qual darà ora del giorno sollievo alle sue pene d’amor al solitario abbandonato amante che la forte calura pesa al cuore e la fresca ora notturna non ristora? Ombre nell’afa della mente Mentre l’afa estiva il respiro toglie e la mente par scoppiare corre un ricordo a quel mio tempo antico ed ecco per magia un balcone di una casa nota verdi le tende e quei di gerani i vasi questo di colori rallegrare: una figura seminascosta mi sorride, non lontano poi un orto, una vite americana, quattro alberelli di prugne e un albicocco grande di frutta bionda dorata generoso, erbe diverse e fiori profumati e sotto il porticato qui seduta una figura diversa dalla prima che pur sorride al mio avvicinarsi, così si scuote si agita la mente tanto e a quella io domando forte perché tutto mi è nitido chiaro e presente in questo ritorno mio nel passato mentre indistinte sfuocate le figure sono? La mente dice son ombre quelle di persone a te sì care morte lì da me proiettate e di quelle che da tempo vivon solo nel tuo cuore Vite del Ticino Cantò le tue acque o Ticino un dì lontano di Lodi la vergine ribelle mio caro azzurro fiume, generoso nell’offrir tuo tanto a quel degli avi miei nel tempo e dei lor miseri parenti gramo misero al viver sostentamento: sulle rive giunchi e vimini poi a formar ceste solide e cestini, con vigor dalla liquida tua vena tolti bianchi quarzosi sassi a vita dar poi in lontan fornaci ardenti a vetri cristalli e util vasellame, nelle vicine lanche prati odorosi del mughetto bianco e giacinti dai colori intensi con altra flora selvatica e dai botanici nomi sconosciuti mentre s’apriva con funghi porcini chiodini prataioli il sottobosco, tutto a portar merce di scambio, di denaro nei festivi o domenical mercati e, a finir, dai boscosi verdi boschi a te figli fratelli legna a subir dalla sega e dalla pialla nobile offesa o il focolar a tingersi di scoppiettante rosso. Un tempo lontano, un nostalgico passato ma ancor quella vita della natura viva o morta ancor vive, brillan nell’acqua quei lucenti sassi al vento si piegano lenti i giunchi, a primavera son le lanche in fiore, ridono di vita i boschi e i sottoboschi, il canto qui della lodola e del ravarino non più rendono come allor men dure con le melodie loro le fatiche dure di quelle antiche vite vissute grame ma solo al ricordo a me danno nostalgica e dolce pace al cuore. Umbria Del suol calpestato dall’antiche genti etrusche umbre romane e longobarde Patria, tu Umbria: patria di sante santi del pennello della penna un tempo insigni gran maestri, qui dove il seme sacro all’atzeco trova forma e sotto scorre veloce il fiume dell’ imper che il mondo antico al gioco suo sottomise, dove il calibo licor bollente e forma trova e e di durezza tempra, dove Spoleto la dotta dei mondi offre spettacoli e cultura, dove dall’alto alla vista s’apre il borgo e qui lo sparvier di Federigo un di trovò rifugio e oggi il violaceo sagrandino al palato gentil di Bacco la letizia dona, Bevagna ove al Sentin allor il roman diè dolore all’umbro e qui nel giugno quel viver medieval rivive, io dalla rocca di Spello ove i floreal disegni a rallegrar la vista a gara fanno a te Umbria un canto d’amore canto faccian eco a questo l’acque del lago dove Gaio Flaminio del punico subì l’onta e del Clitunno di cui Giosuè in versi incliti declamò le fonti. Riflessione Cogito ergo sum, nosce te ipsum, γνῶϑι σεαυτόν mi guardo allo specchio penso e poi vorrei veder chi realmente sono ma non riflette i miei pensier lo specchio e l’animo mio dal vetro non traspare dove nascoste son le mie e tante imperfezioni muto lo specchio come nulla pur di me rivelano tante mie fotografie in bianco e nero o colorate del mio presente e del lontano tanto mio passato Ricordando Edgar Lee Masters Qui in un vecchio cimitero di campagna abbandonato dove par assente la pietas che ai morti porta un amorevol sguardo qui dove regnan solo rovi sterpi ed erbe quattro tombe vedi e sassi a far lor ricordo con scure lapidi dal tempo nemico fessurate niente si legge fuor che ad un occhio attento su una questa consunta giallo scolorita scritta il resto eroso cancellato :… a sedici anni morta ! Io cara fanciulla dal nome sconosciuto di te tanto più di te vorrei sì altro sapere oltre l’attimo di tempo breve cui la vita un dì poi spenta un tempo ti sorrise.. muta la risposta tua anche se il vento che l’erbe muove sembra con dolce sospirare dire: non turbar forestiero il sonno mio e di quanti mi stanno qui vicini, perché il voler saper? Sol morti e muti siamo e quindi il tuo saper sia solo questo: taccio rimuovo rovi sterpi e sassi, quattro di campo fiori sulla riva di un vicin fosso la man mia poi coglie e con amor in silenzio tremando lì depone. Ti avrei chiamato Fuffi Nella vecchiaia spesso tornano ricordi che il tempo sembrava avere cancellato e sepolto per sempre nel profondo oblio sorgono così alla mente all’improvviso e ti fan dire perché avevo perché scordato? Così stamane mentre di fuor forte pioveva e forte batteva la pioggia contro i vetri il lamento di un can lontano il cuore mi ha così turbato e una immagine portato: son io che allora ero bambino e li vicino un buffo vispo cagnolino era, ricordo, il regalo di un vicino e della mamma ancor sento la voce “qui da noi a Milano non si può caro tenere piccola la casa il lavoro di papà e mio e tu piccino meglio portarlo in campagna dalla zia certo vedrai che lì si troverà benone” e all’indomani così laggiù lì mandato povero amico mio batuffol senza nome ma in cuor mio col tempo Fuffi ti avrei chiamato, ti avrei chiamato perché presso la zia giunto per abbracciati più ti avrei trovato, ricordo, domandai forte piangendo dove tu fossi andato”sta ora mi disser presso un ricco agricoltore, vedrai che lì starà benone”, ricordo, quelle parole false ancora ripetute per rifiutare quel povero essere indifeso, quale la fine tua la sorte qual che di te da allora nulla ho più saputo caro batuffolo di un giorno solo amico che Fuffi avrei un dì chiamato quanti anni passati circa settanta sono oggi ringrazio la mente che in quell’angolo dello scrigno dei ricordi il ricordo tuo mi ha al cuore all’animo miei portato. Quel gatto dal dimenticato nome Foto da anni gettate in un cassetto di poco conto e lì dimenticate oggi così per caso nella noia del giorno tra lor la mano affondo e tra le dita questa mi ritrovo: sta lì nel giardino coi suoi aperti occhioni tra l’erba che un poco lo nasconde vicino ad un arbusto di melo cotogno in fiore, di certo era già l’inizio della primavera, un bel micione bianco curioso, ricordo, senza alcun timore mentre allora lo fotografavo, un nome, ricordo, di certo gli avevo dato ma ora dopo anni quel nome purtroppo io mi son scordato, pochi i giorni d’affetto compagnia certo, ricordo, quella marachella il tuo introfularsi sotto il cofano della macchina in garage la fatica per tirarti fuori poi il tuo sparire all’improvviso dopo questa foto che oggi mi ritrovo tra le mani caro gattone dallo scordato nome Festa dei nonni: filastrocca Leggere non tu sai pur difficile per te oggi capir il dir di queste mie parole qui fissate ferme che un doman tu possa ricordare: “Laura la bella bimba nostra venti mesi appen compiuti ai nonni suoi il giorno di festa loro dedicato un grazioso caro gentil dono ha lor voluto fare tramite l’aiuto della mamma sua un quadrettin e ferma fissata rossa lì sta della manin sua l’impronta rosso si sa è il colore dell’amore e quella man si sa dona carezze e a ricordar sta il saluto dolce suo quando li vede e guarda: ciao ciao, sorride l’apre quel gesto ciao ciao” Grazie Laura a nome dei nonni Iole Enzo Graziella Giuseppe Profumo di rugiada La memoria al primo incontro corre del mio cuor amante amata e quale il profumo or chiedo l’essenza del tuo esser che allora mi donasti non fiori esotici sconosciuti non erbe aromatiche frutti da giardin fatati ma tu solo rugiada fresca lieve rugiada che quelli al mattin irrora profum senza profumo che ancor oggi di freschezza dolce mi rallegra o amata il cuore. Non qual lucertola al sole Prima al sole le lucertoline stanno ferme tra l’erbe e solo il capin lor si muove poi ecco lì un muro alto e pronte a danzar strisciando sono e con le crepe lì a nascondino tra i matton giocare al sole io sto pure fermo coi miei pensieri e tanti cupi pesanti e altri più leggeri strisciar non so ma striscian sì nei labirinti della mente quelli e a nascondersi vanno solo i belli ritornan dopo il gioco le lucertoline al sole ma alla mente più tornan più a rallegrarla i miei pensier più belli Il crisantemo In segno d’amor e di pietà sen stava eran quelli giorni a ricordo dei defunti su un marmoreo funereo monumento e quando sfiorito gettato in un bidone una man la mia da lì rapida poi tolse sta ora in un vaso lì nascosto nel giardino mio già pronto a rifiorire il dorato giallo crisantemo e certo son che qual occhi pietosi i fiori suoi al ciel andran guardando e di quei morti i visi cercheranno quelli in freddo marmo fissi eterni allora conosciuti come lui per giorni da nebbia fitta e da gelata brina nei mattin velati Mar Morto: quei sorrisi Sponda giordana del Mar Morto lì seduto in riposante sosta che faticoso il risalir fu dopo quel galleggiar leggero dalle nere forti saline acque un incontro questo di teneri fanciulli un gruppo e con le maestre sue son poveri orfani iracheni fu quel presentarsi offesi non nelle membra solo ma nella mente pure lesta un mano non so perché nel fermar quel tentativo di carezza mio gesto che ben inteso inver fu da quelle creature che da quei lor smunti visi sbocciò un largo a me sorriso ben serrato forte oggi nello scrigno segreto mio e quello dei miei sì miei più bei ricordi Zingaro e marinaio Dice oggi che stanco è il cuore lungo le strade del mondo e tante zingaro son stato sull’acque poi di laghi fiumi oceani e mari tanti del marinaio ho preso le sembianze: tante le soste e le fermate tante e tante sì in questo viaggiar mio le donne per le quali ho palpitato nessuna fissa dimora a nessun porto ancorato solo brevi incontri intensi frammenti d’amor belli condivisi e or vivo lieto nel palpitare di ricordi Gocce di nebbia settembrina Staman triste mi offro al giorno con i tristi tanti miei pensieri e par questo piangere il mio dolor sentendo ma poi gocce son solo di nebbia leggera settembrina verso di lei ecco le braccia tendo cerco conforto alla disperazione al brucior mio dei sentimenti queste dal palmo della man scivolan via ma ancor lì fermi e lì fissi nell’animo i tristi pensier miei qual gocce pesanti di una nebbia della mente che da qui non scorron e sempre qui stanno a tormentare Par parlare l’elianto tuberoso Negli ultimi giorni settembrini volge i suoi occhi color sole gialli l’elianto tuberoso al cielo, un sol ramo ogni anno per magia si china in basso e a me lo sguardo volge e poi al vento dondolando i suoi occhi mi sembrano parlare è come la voce dolce di mio padre che queste parole pare sussurrare: di questi fiori ricordi nella stagion in vita alla mamma un mazzolin solevo portare e nell’eterno sonno stando a lei vicino non vorrei oggi pur mancare, ancor più in basso scende il ramo ed offre i giallo fiori pian pian dondolando verso la mia mano che al cimiter a lei per lui porterò come ogni anno sempre all’indomani Un foglio giallo stropicciato Un foglio giallo consunto dal tempo stropicciato poche le righe scritte incerta la grafia come se mano stanca dolente avesse dato allora loro vita sull’uscio di casa mi sono ritrovato: queste le scritte frasi e alla lettura di lor mi son forte e tanto emozionato: “Dove tu sia ti porti il vento queste mie parole, perché forse ti chiedi chi sei io non ricordo, sì un tempo fu lontano della giovinezza nostra a ricordare prova, non gioie d’amore mi donasti d’amor nessun frammento che sempre pure un sorriso mi negasti e in frammenti il cuor mi fu ridotto” Amico lontano sconosciuto non so quanto ti possa questo consolare un tempo anch’io scrissi queste con mano incerta stesse tue parole Ondeggia l’alto pioppo Ondeggia l’alto pioppo al vento australe par tra cielo e terra un danzar leggiadro soffia sui pensier miei la tristezza forte scossa la mente e par fermarsi il cuore Ponte Coperto di Pavia Ritorno oggi dopo lungo tempo il piede a posar sotto le arcate del Ponte Coperto di Pavia, il Ticin, l’azzurro fiume, lì sotto come quel dì vi scorre ancora ma io la memoria inver vorrei fermare e a ricordar tornare. Oggi è settembre allora estate era una fanciulla sconosciuta lì sulla sponda un remo lì vicino già pronta con le amiche alla vogata, poi il suo bel viso in sù chissà in sù perché rapido si volse, la man aperta in segno di saluto lieta sorridendo: tanta la gente che andava vi passava e non so a chi fosser donati il saluto e quel sorriso e un’illusione sorse poi veloce via via scivolò la barca, ancor vive l’illusion fissa nel pensiero! Un volo di gabbiani Punteggia il verde scuro degli abeti di San Pietro la collina, il mar laggiù d'un azzurro chiaro fermo, nel ciel nuvole bianche immote, leggiadro di gabbiani un volo anima il quadro. Ricordo dell’Isola d’Elba A margine di un campo fiorito di Cicognola C’è un altro alitar in quei campi e nella bella stagione, un alitar lieve e soffuso di nobili spiriti dal volto caro e familiare ? Con lento andare passa da qui amico e tu pure forestiero e se un fremito forte senti lo saprai di certo e capirai chi lì s’aggira qual ombra tra l’ombre festanti e liete. Non sono forse le anime buone, le tante anime giuste e pie che in vita a Veronica e a questo luogo resero con opere e preghiere santa e cara devozione? Sì, sono d’una catena lunga, maglie robuste, alcuni anelli vi è poi tra esse quella del curato santo e poi ancora di ombre note e ombre sconosciute. Cicognola frazione di Binasco (MI) dove fanciulla visse la Beata Veronica a ricordo in prossimità della sua festa (25 Settembre 2016) di Mons. Luigi De Felici santo curato e suo devoto Lasciar l’alpeggio E’ tempo di migrar lasciar l’alpeggio a luoghi antichi il gregge chiama al vecchio nonno il giovin pastorello s’accompagna lieto il primo cari luoghi di nuovo ritrovare triste il fanciullo dover l’amor trovato sui monti abbandonare Metamorfosi d’amor Qual farfalla innamorata si posò su un fiore esser quello credeva dell’amore ma lieve il profumo lì non vi trovò alcun vero piacere venne la sera diventò falena lampada rossa colorata bella nascosto lì pensò ecco l’amore si avvicinò poi sopra vi si pose e si bruciò l’ali d’amor tanti i sembianti e pene d’amore tante un favo dolce stillante delicato miele lì solo disse troverò l’amore e qual orso desioso tanto per quel biondo nettare gustar verso l’alvear alzò una zampa d’api uno sciame e si trovò a scappare una goccia di miel per terra cadde sarò mosca si disse e lì dentro s’andò a tuffare ritentò di volare ma invan così morì d’amore d’amor tanti i sembianti tanti quelli d’amanti e per amore fino a morir le pene tante tante! Abbandona della luna il chiaror Abbandona il chiaror della luna la vallata già dorme il gregge lento della cena il fuoco muore sol veglia il can che fa di guardia che invan lassù di Selene il volto cerca così al buio nero della notte s’abbandona il tutto pur s’abbandona ai sogni il pastor per la fatica stanco La farfallina di Moron Ricordo Moron quella raffineria poco lontan il mar Caribe vasto palme e lì a terra noci di cocco sparse vicin un chiosco bibite panini e altro quei dulcitos dietro un vetro semiopaco piccoli fanciulli senza gioia tanta miseria povertà tanta quegli occhioni spalancati a mezzodì fermi lì in attesa che al baffuto omone dietro il banco una voce poi dicesse un dulcito por estos ninos amigo due poi tre quattro cinque forse la voce via via poi si sparse e tu un dì pur tu ricordo tu venisti in disparte prima e il muco al naso il viso triste e dei pantaloncin stinti sdruciti spaurita nella sperata desiata attesa e a quel un dulcito otro tanbien lo mejor piano tesa la man il piede tuo ecco si mosse come con fatica un timido sorriso non come pareva di un gracil bimbo che nel diman solo allor capii quel tuo reale gentile aspetto una bambina dalla pulita faccia un rosso nastrino nei capelli neri una linda lisa corta gonnellina sì questo era stato cara fanciulla per me certo sì quello bella farti dono gentil e qual ringraziamento di un piccol dolce forse sognato e negli anni passati tanti vive il ricordo tuo farfallina diventata donna, l’augurio questo: sia tu lieta e felice mamma Tanti anni fa..Moron ( Venezuela-Mar Caribe) Tarda nell’ora Tarda nell’ora tarda ad arrivar la sera l’animo freme s’agita e par ruggire che solo nel buio sperato e tanto atteso avranno quiete questi tristi miei pensieri Teslifen e Teslofen Ascolta ascolta e fa la nanna: questa la fiaba che un tempo il nonno al babbo tuo diceva per farlo felice addormentare o mia dolce cara nipotina: v’ eran due omaccion baffuti Teslifen e Teslofen camionisti che tutte le notti s’aggiravan nel paese qui vicino a portar per conto di un Re Mago con un tir grosso e possente dei giochi e dolci ai bimbi che nei lor lettini bravi s’eran poi senza caprici tranquilli addormentati, v’era anche con loro un lupo alquanto birichino dal nome stran Zebbino che talvolta al volante stava e la strada mentre stanchi Teslifen e Teslofen per il viaggiar lungo faticoso tanto dal pisol presi per far dispetto a quelli apposta lui sbagliava: dove siam dove siam dicevan di colpo lor svegliati da voci e rumori strani: lì una foresta immensa piante mai viste pur dai colori strani come di strani color ecco uccelli fiori e i leprotti e lì tra lor giocava facendo girotondo una fatina bella dai biondi capelli rosa la boccuccia azzurri gli occhi belli, così svegliati e stizziti tanto con rabbia tanta di botte davan al lupo birichino..qui cara nipote il babbo tuo poi s’addormentava. Ma al mattino quando svegliato e gli occhi un poco stropicciati così il babbo tuo a sua volta questo mi diceva che in sogno oppure forse vero poi difficile da dirsi che di Zebbin del lupo birichino era amico diventato come pur della fatina bionda e con loro tutto felice un giocar tanto felice: una foresta lì vi era tutta colorata rosso verde blù arancione azzurro i suoi tanti colori vi odoravano piante fiori e frutta offrivano cariche piegandosi le piante fino a terra e si riempiva l’aria dei canti degli uccelli e leprotti scoiattoli saltavano tra loro e come diceva d’esser stato nel paese dei balocchi! Già vedo bimba cara.. stai dormendo cosa dirai domani al tuo risveglio? Filastrocca per la mia nipotina Laura Il nanetto delle fiabe Il bimbo già dorme è chiuso il libro delle fiabe ma ogni notte per incanto ad una pagina si apre e quelle figure lì dipinte prendon vita: un cavallino alato e Gigino il nanetto birichino, sù pronto sveglia grida questo forte a Remo a quel bimbo addormentato: “è ora di partir girare il mondo giunger fino lontan lontan al paese dei balocchi”. E’ solo un sogno ma al bimbo sembra vero così con questo piccin piccin amico e in groppa a quel cavallo dalle dorate ali tutte le notti il suo lettino lascia e così volando volando in quel paese arrivan e lì una fatata giostra attende già pronta con altri cavallini e cavalieri di girar girar girare fino al mattino tra canti gioia e festose allegre grida quando una voce amica interrompe il sogno dice la mamma sù Remo dormiglione di svegliarsi è giunta l’ora filastrocca per i bimbi più piccini Abbandoni Marzo giunge e abbandona il giardino il pettirosso viene la fine di settembre e la rondine abbandona il tetto amico, del lor viver chi detta i ritmi è la natura: in inverno in primavera ci sarà il ritorno. Ti ho amata or non più ti amo l’abbandon questo governa del cuore un sentimento, patria cara addio paese mio ti abbandono: spingon a ciò guerre fame e disperazione ma speranza pur vive di riamar la stessa amata come pur gli amati lidi rivedere. Poi fatal all’uomo della vita l’abbandono giunge e dalla morte alla vita sappiamo non vi è certo ritorno ma qui pur vivon son sentimenti e per chi crede una speranza: non negra terra il buio il nulla, che vive il ricordo un fiore una tomba una prece quando è sera quella foto che ti sorride ancora e poi ecco vita nuova : della carne sfolgorante la Resurrezion sarà al suono quel dì imperioso forte acuto della Tromba! Redenzione Questa è la voce che giunge dalla Croce la stessa dolce che al buon ladrone disse non disperar se sei stato ladro, assassino o prostituta pur per tutti voi vi è speranza e redenzione: ascolta attento è la voce di Cristo che ti toglie dal buio dall’errore dal passato che infonde nel tuo animo una luce grande luminosa che dal baratro al Cielo ti trasporta Il volto di Dio Oggi non parla la scienza la filosofia né la teologia sull’Essenza di Dio né su quel Volto in risposta all’ardua di Pier domanda “ Chi l’ha visto? ma di fede una donnetta ieri da me su questo interrogata. Senti mi disse cosa rispose Gesù a Filippo a quel suo chieder “Orsù mostrami il Padre!?,” e prima ch’io tentassi d’aprir bocca queste pronte le parole sue, come riporta nel suo libro tra i quattro San Giovanni,: ” Chi vede me Filippo vede sappi il Padre e così chi vedendo il Padre me vedrebbe” e poi da allor tanti gli esempi nell’umana storia che come ben sai vide il volto di Cristo il Beato Cottolengo, sì il Giuseppe piemontese, in quelle deformi membra e in alienate menti, oggi poi Francesco Papa nel migrante affranto nel rifugiato che senza Patria e che sol con la speranza di viver erra quel volto vede e ci dice di vedere e che dir guarda oggi vi è grande festa in Cielo lì vi è Teresa che di in quei morenti visi per anni in quella disperata città tanto di dolor dolente altro non accarezzò credimi che di Cristo il viso, così concluse e questo a me suo dir qui riporto. Ancor della Lentezza Nel viver nostro in questo tempo-spazio siam come molle in stato diverso di tensione: uno Ordinario un di Frenesia ed infin il migliore quello chiamato di Lentezza. Nel primo colori vari dove in genere il grigior prevale, caotico affannoso il secondo che il respiro pure toglie, di memoria, riflessione e cognizione il terzo: ma spesso nel viver dosar non sappiam la forza La Lentezza Del tempo-spazio oggi negletta figlia è la Lentezza che nel viver nostro primeggia la Frenesia sua sorella, nell’oblio marcito quel frutto della antica popolar saggezza che suona “Chi va piano va sano e va lontano” Un lento triste pigolio Nulla m’è dato di saper quali i tuoi pensieri o dal giallo becco merlo nero che dal ramo alto del platano fronzuto oggi al ciel non lanci quel gioioso acuto trillo tuo ma un lento pigolio lento che come mesto pianto pare Vite parallele Non son solo sbiadite foto sull’album dei ricordi ma forti vivide figure fisse nei ricordi della mente: qui nel suol degli Emirati con il suo falcon amico davanti all’alta nave da crociera in sosta fiero alla vista dei turisti s’offre un figlio del deserto, nella verde Irlanda eriche in fiore, non lontano il mare, sul limitar d’una casupola dal muschioso tetto col suo caprone di bellezza rara al gitante sorride ed orgogliosa quello indicar va una vecchia, gelido Capo Nord nella oscura notte gelida radura, tundra a punteggiar sparuti muschi e licheni verdi, un biondo lappone la tremolante al vento tenda sua dal riposo al comando ecco pigramente s’alza a salutar gli ospiti curiosi la dolce pigra renna, tre bimbe scure beduine e lì dal vento del deserto mosse in Tunisia tra come scivolanti dune piccole volpi a quelle far allegra e dispettosa compagnia, tra i canali d’una ridente Delft una piazza un mercato una cattedrale volta al cielo qui dallo scavato secco viso un mendico vecchio dalla vecchia scura blusa scuciti e lisi i pantaloni una scimmietta una cassetta e colorati foglietti lì ove scritta sta la futura sorte nostra al suon suonante di un organin col musino vispo vispi gli occhi la zampetta a darne uno pronta: oh quel caro civettuol ridente borgo dei tulipan paese, in Giordana infin dei Re la lunga lunga assolata strada una sosta ai passegger viaggianti una piazzuola larga: banchetti monili in mostra e di ricordo cianfrusaglie, un serpente sibilante dalla scura pelle screziata al collo di un berbero statuario dal turbante rosso attorcigliato: queste tra le tante qui presenti tra i fogli dei ricordi vite parlanti parallele vite in simbiosi con amiche vite, vite vissute a render un viver men tanto crudele, la miseria e i morsi della fame, lì in attesa di uno scatto: una foto poi un sorriso per quello spicciolo in regalo. Batteva dolce l’onda Batteva dolce l’onda contro la scogliera la Luna e le stelle a farci compagnia e sopra la costa oleandri gerani l’aria a profumare di quella notte d’estate e noi amanti d’un futuro sognatori la solitudine oggi a farmi compagnia perduti suoni luci profumi falso amore 15 Agosto Ferragosto pur liturgica Festa della Beata Vergine Assunta in Cielo, di Maria le lodi cantar vorrei ma come osar e dir dopo del divin Poeta i sublimi versi? Così di Lei immaginar mi piace qual dolce fanciulla ebrea a lievi di Anna e Gioacchino i genitori render le fatiche quotidiane e che al pozzo di Nazareth allegra muove con la brocca in testa e un poco poi qui ferma in attesa del traboccante d’acqua secchio ilare fantasticar del futuro con le compagne sue ch’ancor dell’Arcangelo quel dir lontano ignoto e del futuro destin Suo terreno e poi celeste ignara come ignara che un comun mortal qual io son dal nome dello sposo Giuseppe suo mortale pure nei secoli a venir tanto lontan futuri un dì potesse con amore dire: Maria del Ciel Regina per me per i miei cari Gesù l’amato Figlio prega . Due libri del Liceo Mia moglie ha deciso di fare pulizia inutile lasciar simili inutili fardelli al figlio alla nuora e alla nipotina, così oggi tra la carta da smaltire vi ha messo due miei libri del Liceo: l’Ippia minore di Platone e il volume primo della Filosofia del Lamanna, eran rimasti senza che mi ricordassi a farmi silente e nascosta compagnia tra i tanti dimenticati di quegli anni. Prima dell’abbandono li ho così riaperti, quasi accarezzati e tanti poi i ricordi vi son nati: i due miei vecchi Professori di Greco e di Filosofia quell’aula un tempo del Carducci in via Lulli di Milano, i nomi i volti di compagni perduti ormai lontani, poco lontano ecco i rintocchi d’una campana a morto un’anima che sale credo in Cielo e qui per me il morir sicuro ormai per sempre con Platone il dotto e del Lamanna il primo tomo ore liete e perdute della mia cara giovinezza e nel macero d’una vasca il sciogliersi di sapere. Guardo oggi una tua fotografia Una vecchia fotografia guardo cara sorella mia la tua fatta dalla mamma ingrandire da una più piccina e poi incorniciare dopo poco quel quattro di settembre di un anno assai lontano quel giorno triste dell’abbandono tuo per volar questo il pensiero in Cielo, come un tempo rivedo luminoso quel sorriso pare la foto muoversi e vita prender dolce pia illusion che ai vivi spesso i cari trapassati nostri regalare sanno e se nel dì di San Lorenzo credi stanotte una lucente stella vedrò cadere perché non creder che questa cara sorella mia sia di un ricordo segno un messaggio tuo per me tanto d’amore? Inis Mòr Isole Aran: Inis Mòr e le due sue sorelle lembi di terra dal vasto Atlantico lambita, il ricordo d’una estate antica: un barcone a sfidar le onde, un pub una birra due panini il lacerato stomaco s’acqueta, un tedesco professore dotto di filosofia, del gaelico pensier si è persa mi dice la memoria, scogliere a picco onde forti lì contro rumorose che il suo pensier non portano infin poi a ben capire, ecco maglioni colorati in bella vista, poi un ragazzo vispo dai capelli rossi un baio suo cavallin ed un calesse, un susseguirsi di stradine strette e un continuo e dolce saliscendi, ai lati linde casette tra loro solitarie nel verde sparse qual occhi aperti oltre a guardar dai secchi muri di orti e campicelli confini divisori nere petraie e dal lunare aspetto, e nel girovagar del calesse lento sole e poi pioggia e ancora sole poi pioggia e pioggia ancora a ristorar nell’ampia vision di quel lontan da oggi giorno mio la rapita mente e lo spirito sognante Bianche campanule Tra rovi arbusti e infestanti erbe lì due bianche campanule: son occhi aperti a cercare il sole e il cielo, par suggerire qual maestra è la natura: fa come me quando è grigio il viver tuo che in ogni dove metto una nota di colore. A S. : in Memoriam Quando d’autunno vedrò le rondini partire, io penserò a te , amica cara piccola rondine venuta da lontano, da quella terra dai colori accesi, che, infranto il volo e muto reso il dolce cinguettio che l’accompagnava, tranquilla dormi nel quieto cimitero di campagna dove la nebbia già stende il suo mantello Ma so che un frullo d’ali misterioso nel gelo di un mattino sentirò e una voce conosciuta mi dirà:” Dimentica se puoi l’esile rondine caduta,tenera, fragile e fredda senza l’ali, come vedesti in quel mattino triste, e pensami a quando, in primavera, di Progne ritorneranno in stuolo le sorelle”. Attenderò sì quel tempo e il cielo scruterò cercando, tra le tante, una rondine felice di girare nell’azzurro… ..quel frullo d’ali, quella voce amica. Vorrei suonasse falso quell’antico canto:” Tornan le rondini ma tu non torni più.” Lì un tempo Lì un tempo in mezzo all’oro del grano oltre al rosso dei papaveri rideva l’azzurro del dolce fior d’Aligi perduto fiore alla memoria lì in quel campo in un perduto tempo sorridendo gioiva la mia giovinezza Jacques Hamel: in Memoriam Ecco che la pace della tranquilla Normandia da man sacrilega di belve dall’aspetto umano solo vien di colpo sconvolta e in terrore tramutata: un borgo francese dal nome finora sconosciuto, un vecchio canuto Prete di campagna, dolce mite lo sguardo e il viso dalla tarda età tanta scavato, alla funzione sacra mattutina sull’altare attende, ultimo atto di lungo ministero che sgorga il sangue dalla sua recisa gola, non pietà solo odio vive: è furia islamica assassina o di poveri giovani tanto delusi? Al lettor che intender sa lascio pertanto la risposta: di certo e senza dubbio questo vecchio è un martire cristiano e par di veder una goccia di quel sangue cader nel Calice dorato a completar del sangue di Cristo l’ultima sua di Prete l’ultima consacrazione! Francia: Assassinio di Padre Jacques Hamel- 26 Luglio 20016 Amicizia tradita Torno oggi a scavar nel campo dei ricordi a ricercar un caro volto amico che alla mente appar sfuocato assai sbiadito, questo non trovo ma altri poi risorgon dal limbo del passato: uno par dirmi di me morto è’ il ricordo? Non rispondi taci mi hai dimenticato? Sorride dice: eppure un tempo quanto abbian percorso insieme i sentieri lieti della giovinezza nostra! Tolgo triste da lui lo sguardo, smetto di scavare, altra mia ingratitudine all’amicizia antica non vorrei poi oltre qui trovare Bianco oleandro Pianta tanto bella l’oleandro oggi la bianca chioma fiorita sua tende al cielo brilla al sole alla visione mia dolcezza offre, volteggia lì vicino una farfalla dai colori vivi giallo rosso bruni poi rapida veloce si allontana e sussurrare par queste parole: tanta bellezza ostenta ma veleno in sé poi mortal tanto racchiude qual bella donna di sua bellezza adorna che prima dolce ti attrae poi baciandoti ti avvelena il cuore come tu sai bene del passato tuo Ancor vi fanno i nidi lì le quaglie? Lungo la strada che percorro lento s’offrono oggi alla vista di granturco alti dalle frasche verdi steli, da guaina al tutolo crescente fanno alcune e corre altrove la memoria: delle quaglie, altro campo, altra stagione, ero fanciullo oggi vecchio stanco, ecco quei nidi da steli da fogliame lì nascosti, ricetto sicuro e protezione, che spiavo attento silenzioso un varco aperto senza far rumore: prima screziate uova poi il loro aprirsi, l’aprirsi alla vita di vite nuove il nascer quel dolce caro pigolio. Bello sarebbe se il nido qui oggi ancor facessero le quaglie! Quattro soste al correr nostro Spesso è tutto un correr il frenetico viver nostro frettoloso tanto da impedir di guardare il mondo come se accanto a noi ci fosse solo grande vuoto e indifferenza apatia fanno a tal passo compagnia alla morte non volge il pensier nostro come a vita grama o a vita che sboccia vite diverse la natura: tanti i giorni dell’anno diverse sono le occasioni fermare questo passo tante le possibili fermate come posar un fiore sulla tomba deserta d’un morto sconosciuto una carezza al risveglio d’una vecchia protetta solo da un cartone nel rigore dell’inverno un sorriso infin donar a un bimbo in una culla in fasce e a un passerotto lanciare briciole di pane quattro tuoi piccoli gesti d’amore e d’amicizia non costan nulla e ti faranno un poco più felice Quando vedrai le primule Quando vedrai le primule sbocciare saran per te dolci parol d’amore: le mie, ovunque sia nell’ora, presenti o perse ormai queste sembianze, perse nell’ombra o perse nella vita. Come primula, il gelo vinto, torna alla vita con tenui colori e cielo e aria con tremore sotto le foglie cerca o l’erba del giardino, seppure spento ad un terren sorriso , nell’eterno tempo come dormiente, sboccerà così il mio cuor, con ritmo lento, a cercar quel sorriso che a quel fior sorride, non so se triste o se di me si ride, dimentico di un tempo di una vita, lo cercherà comunque e l’illusione sarà che tu sorridi che mi pensi quando vedrai le primule sbocciare. Ove tu sia voglio che ricordi quando vedrai le primule sbocciare.“Simile a queste nelle stagioni il corso del nostro amore fu: carezze e baci, fiore bello fiorito, ma spesso, come all’ape poi profumo e colori prosciugati, spoglio al cuor e spento qual gelo ai sensi triste appariva come quelle spoglie che nell’inverno, avvolte e sepolte nel giardino, dispariscon e sembran morte, poi come quelle tornava a rifiorire!”. Ovunque sia a questo amore pensa. Muto stanco il viver mio Canta una lodola tra il canneto nello stagno a quello lì vicino si tuffa e poi gracida una rana sotto i miei occhi vive la natura m’interrogo e domando perché solo sia muto stanco il viver mio invano in me cerco la risposta la lodola canta e gracida la rana Odio che più odiar si possa Ancor oggi dir non so se simpatia o amor con i miei sguardi per lei provassi tanto passato è il tempo solo un ricordo fisso vive che d’odio sguardi che oltre il più odiar vi sian a quei miei qual ricompensa n’ebbi D’amor poco sapendo D’amor poco sapendo quel dì non dissi t’amo più tardi il cuore scosso forte lo dissi ma invano che amor non ama indugi che sordo è a tardo richiamo Un bacio alla Luna Getterò stanotte un bacio mio lassù alla Luna grato è il ricordo per quel suo allor gentil regalo illuminato aver quel primo bacio mio d’amore resa stella terrena ardente quella panchina al buio Quei poveri umili fiori di campagna Rosso papavero e tu azzurro fior d’Aligi poveri umili fiori di campagna ch’oggi ritrovo solitario sul ciglio d’una strada d’un paese a me caro all’animo ed al cuore ricordi antichi andati alla mente mi portate: d’un amor mio di un tempo verde giovanile un amor come il primo ardente color fuoco spentosi poi nel volger breve d’una estate il secondo che colto sul cuor con cura posi per come il mito narra a lenir le ferite sue Del verseggiar son fonte Del mero scribacchin o del poeta sommo del verseggiar son fonte di ispirazione e dell’uman sentire l’anima l’animo la mente il cuore: volge al celeste eterno alla morte quella prima e di pensier sia buoni che cattivi la mente ne è forziere, sol di sentimenti e tanti l’animo sol ne è colmo e tra questi il mal d’amore primo primeggia e tutti i sensi avvolge anche dell’anima e de la mente poi quando dalla mano vergato e reso noto per il cuor sarà un gioir o portar pena Piange il tiglio Triste oggi è del merlo il canto che man violenta la compagna uccise lì su di un tiglio il ramo e a far al dolor suo compagnia par stillar da una verde foglia non di resina gocce ma calde a consolar lacrime d’empatia Su un muro screpolato Rivedo questo muro vecchio screpolato e vi leggo ancor lassù d’amor parole mie in un tempo scritte mio tanto lontano e lì ancor vive pur se quell’amore morto, or lì vispa sopra vi striscia lieta danzando una lucertolina che da lì rapida sparisce trovando tra le crepe sicura sua dimora o quanto vorrei che quelle mie parole lì pure sotto vi trascinasse per lor donar un eterno oblio stolto sussurra una vocina parole ricordi che stanno pur nel cuor fisse e niente nessun le può obliare o cancellare Amico volontario T’aggiri in istrada e negli ospizi in carcere sotto i ponti e in ospedali attento non guardi al colore della pelle sua non al credo religioso che professa da buon samaritano sempre ti offri al sofferente sconosciuto a te davanti di lui tue fai le ferite sue del corpo e pur quelle che spesso son nascoste dell’animo e la mente e fai per amore tutto questo senza chiedere compensi onori o encomi vari gratificanti premi sol per te basta il tenero sorriso di quel viso Soffia la bimba Soffia la bimba allegra sul bianco pappo del tarassaco e lieta volar vede ciuffi bianchi sottil e lievi al vento che la man tenta di fermare ma rapidi fuggon quelli e sol rimane il solo stelo con la capsula del frutto lì messo a nudo e quel suo primo sorriso si muta in delusione diversa si aspettava dopo di quel soffio la sorpresa ma ecco pronta è ancora con quel gioco a rigiocare Il soffione Solitario mi chino nel verde a coglier di un tarassaco verde un solo solitario pappo e al cielo in alto poi guardando a disperder quei tanti tanto sottil piumosi semi forte forte soffio con l’illusion vana di disperder i cattivi pensier miei lontano e a germogliar lontano lontano tanto dal terren del cuore mio La lodola cantava Nascosta quel dì tra i boschi del Ticino una piccola lodola cantava e del divenir ignaro io di quel canto tanto mi beavo che di lontan lugubre triste era il suonar di una campana poi suono per me fatal a recar da lì in poi solo dolore e pianto che dal materno ramo quel dì cadde mentre quella piccola lodola cantava una piccola verde foglia a me sorella Non vi è cantor Non vi è poeta vuoi sommo o sconosciuto che dell’amor non abbia nelle rime sue cantato che tu donna e i sentimenti che all’uman cor all’animo nel tempo muovi del poetar son fonte sgorgan così petrose rime poi dolci accorate poi tanto dolorose tu donna angelica spirto oppur donna pietosa t’amo e non m’ami lo sai che poi ti odio oggi questo il cantar tu senti nei secoli a te donna! Non come rosa Che man gentil dal suo cespuglio colga o che agir violento da lì con furia strappi della rosa il dolce profum si muore e l’acuta spina poi perde il suo vigore, pur degli amanti al fiore la fragranza scema quando tra quei cuori il distacco avvien quale ne sia di questo la ragione fior della rosa diverso poi sia nell’aspetto sia nei colori che per vero senza spine nato poi di queste lui morente si ricopre tutto per far sol un dei due cuori sanguinare Il saluto della rana Copron ninfee carnose e dal giallo fiore il largo specchio di un melmoso fosso e nel silenzio non sento per qui strano poi verso alcuno delle figlie del limo delle rane poi da qui lontani un tuffo un gracidare come a dir al domandar a quel pensar mio muto son qui presente ti saluto e del pensier io grato m’allontano Molle tirate da mano misteriosa Cheto è lo scorrer del ruscello, calmo il mare azzurro piatto senza onde, sonnolento il vulcan il suo bollore spento, s’apre lieto al sole il cielo nessun nuvola lo turba e infastidisce poi ecco quelle molle misteriose lì celate che a suo piacer una mano misteriosa stuzzica e con lor gioca e per capriccio bizzarro e tanto sconosciuto oltre il limite meccanico sottende della natura mutano gli stati si gonfia il ruscello a dismisura, ribolle il mar e onde violente s’alzan minacciose, fuoco vomita il vulcano si rompe il ciel e fulmini saette e sulla terra gemer si sente per morti e distruzioni Come rapido della lucciola Come rapido della lucciola il suo chiaror nel di lei fuggir tra l’erbe si perde e spegne e qual da nuvola in ciel sorta improvvisa della luna il lucior ecco vien velato e tolto e delle brillanti stelle ad un tratto il candor svanisce come candele da un soffio spente così spesso tra l’erbe dell’orto degli amanti e tra il cielo dolce lunar e di lor tanto stellato dell’amor la lucciola muor Venere ratta si vela e tutto dei cuor si spegne l’ardente firmamento e questo amaro divenir spesso ignoto da sapere Le vite del giardino Nel volger del giorno dal mattin a notte muta repente la vita che anima l’erbe le piante i fiori gli spiazzi e pur l’aria di un giardin che qui s’affaccia: quando i gatti dormienti sono o in cerca di avventura e merli gazze passerotti nei nidi sui rami dei platani dei tigli o dell’alta quercia che quei qui tanto sovrasta al notturno giusto riposo l’ali spente stanno abbandonati e volati già son a della sera il primo far da qui altrove e le bianche farfalle e le zanzar moleste e i calabroni e sotto terra in fondo rifugio stan bruchi formiche vermi ecco che al colmo della notte striscian tra l’erbe veloci dal musino buffo e snello il corpo buffe corazzate creature i miei cari porcospini ricci che lì pronte per lor sui bordi di aiuole dagli spenti fiori di dolci mele fette larghe in attesa stanno e di pasti altrui avanzi croccantin dorati a romper il diurno forte digiuno e fame ristorare e s’apron poi danze e d’amor giochi e a sospetti rumor mutansi infin quei corpicin in d’aculei ricche rotonde palle Il nobil servil omaggio La gran Marchesa dai capelli rossi in tarda età il mondo aveva lasciato dorme ora nel suo avito nobile sepolcro di marmorei busti marmi colorati adorno e in alto troneggia una equestre statua di un famoso suo bis-bisnonno condottiero prode che con una man un bronzeo stemma regge, triste qui guardo vedo e ripenso oggi neanche un fiore povera Marchesa ma tanti negli anni di rose rosse mazzi di principi conti visconti duchi giovinastri non già omaggio alla vetusta grazia tua ma bensì ai pranzi luculliani che largivi, or non ti rattristare che da che mondo è mondo diffuso è questo agir servile uno ti danno se san più di cento avuto ed al dato zero dicon più non ti conosco quindi sola non sei in questo amaro elenco pensa dunque qui serena e stesa stando al vecchio e saggio tanto popolare detto che passata la festa pur son gabbati i Santi! Sospira la vecchia Rugginoso il filo e mal fermato pende misero quel bucato steso poveri stracci e un sospir di vecchia, passa di presso un treno quel silenzio rompe e al sospir seguono ricordi: altro il balcone, altri eran quei panni di seta stesi lindi e colorati, una gonna rossa svolazzante al cielo e d’amor di giovinezza altri sospiri oh quella sera, lì guarda la vecchia curva stanca: un forte sospir nuovo e un treno che lontan poi porta quei suoi lontan ricordi! La mano in alto tesa La mano in alto tesa per oggi darti mamma una carezza non al caldo tanto amato viso che muta fredda marmorea foto toccan queste dita mie e poco lo so è questa mia carezza che pur con tanto amor lì portata non scalda né riporta in vita te mia fonte della vita, vita spesa negli anni tanti tuoi solo per donare pur se fu tua vita sofferta e dolorosa tanto: tolto ti fu bambina, quel lago, un caro tuo fratello, matura donna poi la figlia bimba, mia sorella,tenero ramo dalla rapace falce nera dall’alber tuo materno un dì reciso, indi nel tempo dolori altri e tanti tanti da forte spirito mutati pur vivo quel vasto tuo tormento interno in sorrisi dolci e gioia a chi ti avvicinava ed ecco infin come dicevi consolazione della vita tua quell’amor tanto sconfinato amorevol e amorevolmente dato a quel figlio mio figlio di tuo figlio frutto eran tue parole dolce e assaporato a dar, dopo amarezza tante e prima del sonno eterno che or pian piano or t’avvolge, l’ultimo vigor al tratto estremo della vita tua come rinnovata, cade la mano mamma e dopo la carezza dal labbro solo col singhiozzo nasce questa mia parola: grazie ……………………………………! La bimba donna Sperduta è la casa in mezzo a un bosco il mio passo lento mi porta lì per caso una bionda bimba lì sopra una sedia che fai le chiedo oh mia cara piccolina? Stendo il bucato che siam sette fratelli il babbo è morto e la mamma sta al lavoro son io la donna di casa e dal cesto ad uno ad uno si svuotan via via e via magliette più calzoncini piccole gonne mutandine e così via via quei fili stesi s’accendon di colori e tra gli alberi il sol filtrando rafforza quei colori e quel danzar al vento e dona luce e gioia a un viso piccolino la saluto mi allontano triste è il mio pensiero La rosellina dimenticata Un maggio antico ricordo in quel giardino tante eran le rose che del cuor ardente mio s’offrivan al desio, coglimi era la suadente di lor voce: tutte eran belle tutte profumate, sol una inver taceva poco il profumo poca la bellezza così tra le prime la mia scelta cadde ma tardi stolto l’animo ferito manifesto mi fù l’errore mio che senza spine sol era quella da me tanto sdegnata inodore muta poverella che facile per un amante d’inganno esser preda quando si bada solo alla bellezza e all’apparenza Huc ades Galatea! Così un tempo un dì cantò il Cantor d’Enea: Huc ades, o Galatea; quis est nam ludus in undis ? huc ades; insani feriant sine litora fluctus: difficile dir qual nell’onde divertimento Galatea allor trovasse e val forse oggi per me quella del final verso esortazione forte ? No, quell’imperioso invito disattendo giocar ecco pur io mi pongo coi bei correnti flutti l’onda scompone e ricompone quel mio sembiante e coi raggi del sole lo colora e discolora verdi alghe fan da pennello guizzanti pesci gli fanno in giro da corona così dolce dolcezza si diffonde al cuore che si completa poi col giocar mio col silenzio Quel ch’io credeva amore Corre spesso il pensier a ricordar del tempo della età mia nova un non corrisposto quel ch’io credeva amore quanto tanto allor dolore mi portò al cuore diversa riflession e giudizio oggi si portano alla mente amor non riamato amor non è che questo è vero e non fallace sentimento se non v’è poi corresponsion dei sensi Quella prima domenica d’Aprile Una casa di riposo un letto bianco chi mi regalò la vita tanto stanca: ecco un mio bacio l’ultimo e il tuo ultimo debole sorriso che deboli erano quelle forze, ultimi tra noi moti d’amore e gesti, una lontana prima domenica d’Aprile quel tuo ultimo cammino sul sentier che al sonno eterno, morta la vita, porta Come nudo tiglio Ricche di foglie verdeggianti son oggi le piante del giardino il tiglio solo al ciel due moncherini tende nudo tanto la scure nel potar quel d’autunno dì la chioma sua offese e d’udir or par un lamento suo che altre primavere han da venir prima d’al ciel d’aprir le verdi braccia te fortunato dico che ben diverso il destin di vecchia pianta il mio nuda tra le mille e mille piante verdi nel campo della vita braccia dall’usura del tempo rotte a rinverdir precluse e la morte solo pronte ad abbracciare domani forte Forte l’animo piange Forte l’animo piange forte al ricordo dei ricordi questi: tre visi tre figure un tempo amati tanto, non fredda sottil lama né di tenaglie uncini ardenti recider e estirpar posson di questo dolor mio forte le sue radici tanto forti Son io poeta? Mai lo saprò! Mai lo saprò se questo mio parole in versi vergar costante fama porterà di vero poeta al nome mio o di scribacchin inver non degno di memoria, semplice il metro di giudizio: se il mio sognar, il mio amar, il dolor mio, del mondo i miei colori saranno d’altri indotti sogni, sentimenti ad amor volti come a intendere così il dolore che soffro e gioire così del colorato mondo mio degno sarò di aver d’alloro di una fogliolina sola pur anco il capo cinto, ma se questo mio sentir amar veder soffrir sol mio sarà e muti dei miei lettori i sentimenti e dell’animo i sussulti, cada il sever giudizio: sì di versacci sia mero scribacchino. A Eos Eos dell’aurora dea dalle rosate dita come ti cantò un dì il cantor d’Ulisse qui solitario ancor nel buio a rimirar le stelle la tua salita dall’oceano mar con ansia forte attendo che si accenda di nuovo color il cielo e lì forte lanciar tra quelle dita i tanti miei pensieri neri e che al tocco tuo possan di color mutare Di Balos la laguna Ancor oggi respirar vorrei di Creta del mar greco perla l’aria forte di profumo salsa là dove di Balos la laguna, dalle blu sue acque poco profonde e dolci e dalla sottil rosata arena da spenta vita di mitili e balani nata s’apre dove chinando un poco il capo il riflesso del sembiante tuo guizzante e mosso il corpo come da fremito tutto percorso scuote poi questo volgendo a di Gramvousa del manier i resti viva memoria vivi del guardingo suo vegliar del venezian sul turco infido ecco come un tempo qui ancora vorrei al cielo liberar i tristi miei pensieri Erfoud Un tempo qui acque oceaniche profonde vita marina fatta da specie e da colori tanto tra lor diversi svariati fascinosi oggi la solitudine il silenzio del deserto dove il vento spesso domina e impera petraie dove giaccion memorie del passato morti fossili che puoi toccar con mano e come per magia riveder quel mondo antico e ridestar quelle vite e quei colori Canti solenni oggi Oggi tutto va ben Madama la Marchesa questo cantar s’ode per valli e per contrade son voci giulive dal tosco fiorentino timbro ma pur trentine sicule romagnol campane per non dir umbre di Puglia e calabresi, vili sol tacciono mute son liguri e padane, che da due anni e più, son grulli quei che non voglion vedere, mutato il viver e lo star in questa nostra Italia grande e tanto nova che novo un re regna e nell’oprar delle faccende sue il favor ha di giulive bimbe, al par suo tanto saputelle, che compagnia fanno e al suo dir e al cenno il sì d'assenso danno e poi, da mane a sera le man forte battendo, questo il principiar del canto loro solenne e con lo sguardo fisso al real scanno: “Dove è l’Italia povera stracciona vilipesa di quel tal di cui tutta l’Europa un dì derise? Uno Stival vedi novo lucido rivoltato tutto che il mondo inter bacia e riverisce prono oh sovrano oh nobil condottier toscano, non più miseri qui in cerca di un boccone ma dalla pancia piena e ben satolli tanto, piene le fabbriche e forte risuonano i cantieri non più tasse ma pesanti di fiorin saccocce, solo un ricordo il paese ove il bel sì suonava all’età dell’oro con te il tempo è tosto ritornato non Italia ma di Bengodi hai tu qui terra ricreato epigono degno di Giovanni di Boccacino da Certaldo” Verrà l’alba Verrà l’alba il nuovo giorno verrà tremebondo ancor nel sonno attendo: detterà il sole nuove d’amor parole al triste animo corroso dai notturni della gelosia violenti sì devastanti fumi o altre saran a lui gocce di fiele? Altri crepuscoli Altri crepuscoli sì crepuscoli antichi mai dimenticati così ricorda il vecchio: curve ancor nel della risaia il fango gambe semisommerse le mondine, già il grosso calderon sull’aia bollente, scoppiettante il fuoco ardente, la fame a lenire, dopo una rapida sciacquata nei fossi lì vicini, nell’ora le attendeva poi, spento il fuoco, in quel silenzio muto,solo alla luna l’abbaiar dei cani quel gracidare continuo delle rane, l’attesa sua un altro fuoco ardente quell’ore d’amore complice un pagliaio All’animo acquetarsi paiono i tumulti Spesso sul far della sera nel tempo in cui si spegne il giorno e all’animo acquetarsi paiono i tumulti del passato nascono ricordi immagini che sui bianchi muri della stanza dal tempo trae la mente e lì proietta piano son luoghi figure e volti tanto un tempo cari ma immagini son che scorrono via veloci poi invano sempre il tentativo di fermarle così l’animo riprende forte forte l’agitarsi suo A sogni porta primavera A sogni oggi antichi porta primavera i fiori nei campi son gli stessi ma diversi agli occhi sono quei i colori pure nell’aria i profumi hanno dolcezza e soavità minori colori spenti stinti fragranze svaporate come quei sogni di una antica primavera Miles gloriosus Plauto il libello suo lasciò un dì senza custodia da lì con balzo rapido e veloce dalle pagine ratto se ne scappò Pirgopolinice e con lui altre due figure a fargli compagnia e il tempo poi gli anni sfidando il piede mise presso il ponte d’un italico fiume l’Arno e grande fu la sorpresa sua la vision di un condottier bardato tutto grande codazzo lo seguia festante folla dame e cavalieri e solo viva evviva al suo passaggio “ Come certo non sai che sei straniero- due fanciulle disser con voce squillante allegra tosco-fiorentina -da un mondo lontan tanto tanto da qui lontan forse extraterren venir devi dunque tu sappia da terra misera questo onorato sta trasformando in terra di Bengodi” Ecco come sarà questa Italia nuova da programma suo “ si legheran le vigne con salcicce di formaggio grattugiato le montagne maccheroni di cappon in brodo coi ravioli e fiumicelli di vernaccia s’intende la migliore” Giunta poi sera e dopo un poco nel paese aver girato Pirgopolinice tutto ciò non vide anzi e qui non sto a dir se non queste sue parole a Filocomasia e Acroteleuzia dette a voce alta “ Come vedete nel tempo continua la commedia nostra: un altro fanfaron e cortigiane altre” Sabato Santo antico Un Sabato Santo dal suono dal profumo antichi del passato ma oggi ancor sentir vorrei lo squillar lieto giocondo forte di campane tanto ormai lontane che ai villan nei campi alle donne ai focolar già pronte e a me ai miei cugini a tutti del Signor Risorto davano l’annuncio ancor oggi quella vision agli occhi aver vorrei di rondini nel cielo festanti in volo che al bronzeo suon davan compagnia poi ancor veder vorrei qui di un bianco biancospin la siepe e da un bianco scialle avvolta lì una figura cara mia nonna, la voce ancor sentir“ della Croce fatti il santo segno ” e poi sulla mia guancia sentir da una stanca mano una carezza San Valentino:ma ancora vi legge il cuore Più non parla agli occhi questa vecchia cartolina il tempo tanto passato ne ha cancellato le parole pur il colorato fronte rose rosse smunte scolorite ma il cuor vi legge ancora è una frase tua d’amore amore dal tuo fuggir prima del tempo cancellato come questo giorno dell’Amore sul calendario mio Solo nella solitudine:un sogno! Un sogno strano sogno vedo uno specchio d’acqua sconosciuto una frana lì e massi che bloccano l’unica sua strada rivierasca un ultimo idrovolante è giunto e spento il motor sta già in rimessa spenti pur son i lampioni che alle sponde del lago fan da sentinella solo silenzio regna nessun alito di vento ferme e immobili le acque ed ecco io sol io solo su una barca lontan al largo immota e ferma con i miei tanti pensieri avvolto sto da questa buia solitudine spettrale: quelli cattivi tanto lanciar vorrei e far affogare nel più profondo punto qui si interrompe il sogno desto son scosso e da quei tanto sommerso La foglia forestiera Una foglia staccatasi da un albero lontano un dì dal vento sollevata si posò in un giardino gentilizio vattene via gridaron tu che sei plebea quelle qui stese e cadute dalle piante blasonate che non diverso dal consorzio nostro umano pare il pesar l’altro anche nel regno del mondo vegetale Cerco invano Cerco tra valli monti e innevate creste un lago solitario dove lì lasciar i tristi miei pensieri e poi con lui da tal peso tanto opprimente al viver mio sgravato respirar della solitudine quel sapore suo ma il mio girar è invano che sol si sa nel fantasticar dei sogni si potrà trovare Anime morte sconosciute Oggi di voi nulla è dato di sapere anime morte sconosciute nulla la neve ricopre quei di un tempo i volti vostri e i nomi e gli anni nulla né vecchio bimbo fanciulla non vi è storia né di voi passato solo un presente qui silente muto in attesa di un futuro misterioso Illusion fallaci Spogliato è or qui l’albero del tiglio foglie secche già morte tristi a far lì sotto a quello compagnia il vento poi dal mucchio una di lor solleva questa mossa par prender vita nuova altre nel tempo si mettono a danzar tra quel tappeto morto dove il vento poi morto ferme ritornano a morire , pur falso prender vita di volta avvien a passati istanti del passato nostro secche foglie dall’alber della vita morte quando dall’alito d’interno vibrare scosse poi il sussulto morto di nuovo a morir nel mucchio morto di ricordi nostri morti: fallaci illusion che coi sensi forte pugnan Quel alla vetta anelar Silenzio nella valle limpida è la giornata là in faccia al sole la vetta sta maestosa inesplorata e l’attendeva dando all’anelar suo di conquista giusto ardito quel coraggio così il duro rude alpinista forte la scalata le dure sue prime rocce sol asperità lievi come bimbo lì steso in fasce accarezzando di piglio diede per vero far quel sogno suo di vittoria e cento e cinquecento mille metri e poi più di duemila neve ghiaccio la vetta ecco pronta ad avvinghiarlo nell’abbraccio ma nella gioia poi nell’ebbrezza tanto mosse l’infido sperone un piede tremenda la caduta morte l’attendeva e non vi fu per lui ritorno che spesso l’alenar nostro sol dolore arreca e crudel destino beffardo i nostri sogni infrange Foibe Dieci febbraio oggi del Ricordo il giorno verità negata, verità nascosta, verità taciuta che per anni una patria vigliacca imbelle prona chinata genuflessa all’altar rosso fu titino comunista che vedere qui non volle altro rosso ma rosso sangue dalmata istriano sangue italiano che da corpi poveri smembrati vilipesi torturati forte forte arrossò carsiche pietre di profondi stretti budelli foibe e foide e di quanti tanti poi illacrimate ignote tombe foibe parola che ancor oggi timidamente suona e par di poca risonanza che da allor sempre come il divin poeta scrisse Italia non donna di provincia appare ma bordello Viale spoglio Invano scuote il vento inutile fatica spogli di foglie son gli alberi del viale invano inver vorrei che questo turbinio l’animo mio scuotesse e poi la mente a far volar lontano i tristi miei pensieri Mutansi i pensier nel camminar nel viale Spoglio è il viale e all’animo pensieri muove che poi mutano al rumor dei passi lenti miei che ne misuran un dopo l’altro i lunghi metri sì prima è la spettral tristezza della natura muta e ferma che dalla morte a meditare porta poi di un passer sullo spggliato ramo acuto sonoro il cinguettio l’animo desta e alla speranza e alla vita induce che lì in volger di tempo breve verde foglia e fior di color intenso bello a quello a far di compagnia e alla uman vision parransi così è il mutar e delle stagion il divenire loro pur muove il passo lungo il viale della vita mia ma quando questo spoglio sarà poi senza risveglio Come in una fiaba Avvenne negli anni ma non è una fiaba giunto un inverno giunse il pettirosso a mendicar a cercar di spegnere della fame i morsi povero il vecchio misera la casa ma di un pezzo di pane vi fu condivisione così negli anni tanti nel cuore degli inverni sempre assieme e quei tristi poi saluti agli inizi delle primavere con in cuor la speranza di pronti attesi arrivederci ma poi vi fu un ultimo inverno la man tese il vecchio quel dì di briciole foriera il pettirosso trovò la finestra semichiusa la man vuota e penzolante freddo un braccio lì più volte e più lì saltellò forte poi forte sbattè spaurito l’ali e il capin reclinò dolente per sempre insieme insieme nella morte Il passerotto Il giardino oggi è innevato avrà freddo dice il bimbo alla mamma il passerotto che quello vede sul bianco manto zampettare inquieto? Credo di sì certo é la risposta scaldar non si può tesoro mio quel suo corpicino ma un poco sì renderlo felice una briciola posare qui sotto il davanzale or apre il bimbo la finestra apre svelto pure la manina cade nell’aria il fruscolino in volo s’alza il passerotto È una notte senza profumo che respira Anche stanotte la notte tutta la città avvolge vie piazze palazzi chiese fabbriche e negozi e chi ancor si muove lavora o si riposa nuova stanotte è la notte non d’odori e non profumi ai sensi dona di chi forte la vuole respirare che svuotato è il sacco vital che li teneva e lì in alto son già dispersi in un lieto cielo stanotte per non morir è la notte che respira profumi e odori tutti dell’alitar di chi dorme chi lavora chi piange chi soffre chi gioisce dei sani dei malati dei poveri e dei ricchi profumi di fiati dolci e puzzolenti e odori vari di bocche profumate e di bocche senza denti tutti raccolti con universal afflato e da lei fusi Stessa è la notte Stessa stagion luogo stesso e stessa notte ma di lei diversi il sapor e il profumo ai sensi invero sono che è la condizion del viver a alitar attorno questi al signor ricco e al povero mendico al bimbo nella dorata culla e a quel misero in cenci alla dama in talamo adorno e alla che batte prostituta al monsignor del duomo e al suo canuto sacrestano Sol castigate vesti religiose Dove nacque li vi trovò la morte un povero ospedale di periferia il brefotrofio e anni da mendico a lui nessun carnal o voluttuoso che gioia ardente ai sensi pone di donna mai respirò profumo ignoto dono e tanto sconosciuto altro pur caro e forte quella vita avvolse quel dolce strano odore bianche e nere religiose castigate vesti e refettori e di corsie mense dal primo vagito all’ultimo respiro triste parabola in d’amor due punti C’era una volta un re C’era una volta un re così s’apriva la fiaba poi ogni narratore nel dir seguiva la sua strada e così faceva la nonna ai nipoti suoi narrando: c’era una volta un re che viveva in un castello e nel castello i due figli con sua moglie la regina e poi spesso variava nei dì lo svolger della fiaba ecco oggi da maritar la principessa bella azzurri gli occhi e biondi i suoi capelli un accorrer tutto principi e baroni e suoni danze baccanali pranzi contento il re felice la regina e con lei la corte tutta un altro dì era quella lì bruttina calva e neri i denti e quell’occhio il destro guercio nessuno la voleva l’ira del re la regina in pianto cacciati i suonatori per non dir poi del principin un dì la regal pappa non mangiava terror della balia sua nutrice vecchia di colpo gran mangione clisteri e tanti a profusione e un gran dottor lì ecco pronto e la regina in pianto. Vuol dir una nonna smemorata pasticciona alquanto? No accorta e saggia nel capir nei giorni l’umor nostro sì nel crear nell’attesa del narrar l’attenzione nostra ! Come il prezzemolo la Speranza Verde come il prezzemolo è la Speranza un prezzemolo poi che ben oltre travalica le virtù il sapore dell’odorosa erba medica culinaria guai se mancasse a quella mensa nostra dei sogni desideri e illusioni tante insapore sarebbe lo stanco viver nostro Palmiro piccola cara dolce cavia peruviana Come un tempo Mirò bambina pianse la morte de l’animaletto dolce caro trastullo suo ecco così udir io sento non da bimbi questo pianto adulto e da lontano e queste sue parole canto: “Non più da oggi vispa e curiosa dalla tana tua piccola nella minuscola gabbietta lì nascosta, uscirai cara dolce cavia amica peruviana, bianco batuffolo peloso celati gli occhi in parte il bel musetto il ciuffo arancio rosso e marrone un poco, a prender dalle nostre mani amiche vuoi fresca lattuga o basilico verde o poi di peperon un piccol piccol tocco, né più a rosicchiar lenta o veloce quel caro profumato fieno, che rapita fosti in cielo oggi da una dea pietosa che toglie chi in affanno e sofferenza grave da tempo qui tra noi vi vive e da lei portata alta lieve in luoghi dove pace eterna alberga, non temer che mani nuove amiche, bianco e angelico il candore, pronte già son a prendersi di te pronta amica cura oh amica: e quanta tu vedi qui a te in dono celestial verzura e biondo fieno dal sapore sì dolce certo sicuro come quello antico nostro ! Due parole non di addio ma di ricordo eterno bianco batuffolo caro peloso amico che da quel giorno lontan lì tu tutto spaurito in gabbia e solo e triste sopra quel pancone di sagra di paese tolto e d’amor subito tanto avvolto per breve ma intenso tempo a rallegrare la nostra casa fosti e i vari giorni e i vari luoghi tanto poi da un dì a ricevere e donar pure il sorriso della bimba nostra” Come un tempo Elpis Come un tempo Elpis dea della speranza al fin di consolar l’umanità dai mali afflitta la terra preferì ai fasti gioiosi dell’Olimpo e dal popol latin invocata Spes ultima Dea onde riparo ai tristi neri suoi affanni porre ed alba nuova rosea nei dì futur vedere così in lei convien col verbo a lei sì caro pur noi in questi tempi cupi tanto perigliosi tanto sperare al fin poi di non lasciar morire i nostri poveri sogni che invitano a sperare E i gonzi sorridono beati (Una satira bonaria) Fa miracoli questa legge dal nome alquanto strano tre milioni in Italia di posti di lavoro nuovi che a Varazze de il Giobatta due assunti da oggi nuovi varcato hanno il cancello del Cantiere suo Destino Scuote un’upupa un ramo una foglia ondeggia che gemer in pianto par già del destino presaga e il sentir mio quando a scuoter quel caro ramo ove qual foglia io sto verrà quel lugubre rapace ? Tempi poveri lontani Notte della vecchia dalla sua fatata scopa ecco dopo il Natale dalla Befana sperava un bimbo in un piccol piccino e nuovo dono come tradizion di quei tempi poveri lontani ma poi inver fredda e vuota vi trovò la calza che appesa stava a quel suo camino spento che anche il nero carbone pur essendo buono stato gradito tanto avrebbe il bimbo alla misera stanza sua un poco per poco donar dolce tepore ma troppo stretta di quel povero camin la cappa per il carico grosso che in groppa lei portava Una fiaba di Natale Bella piena di luci quella casa picchia del bimbo alla finestra il passerotto il becco infreddolito chiede una briciola piccola di pane ma cattivo è il bimbo e non si cura della piccola creatura che lo implora e sì che ricca tanto la merenda sua con fatica altrove vola il passerotto misera è la casa un povero tugurio non ci son vetri alle finestre scure solo spessi fogli di cartone scuro qui sbatte contro e pur qui implora scosta il cartone una piccol mano e a quello dona quel che può tutto donare di pane raffermo un piccol tozzo di un bimbo povero ma buono non la merenda ma il pasto quotidiano dal Ciel mandato era quest’uccellino verrà il Divin Bambino la Santa notte il secondo a premiare il primo a castigare Bosco invernale spento Qui lascia cadere come amorevol pianto umide goccioline la nebbia sullo spento invernal bosco che a terra scivolando da sofferenti rami spogli senza foglie umida dolce carezza data a quelle vive ancor dei sempre verdi arbusti nani rompono lo spettral che domina silenzio qui non fiori non colori accesi né d’uccelli melodiosi canti e come morta la natura pare ecco il vento una foglia secca muove un secco ramo spezzato l’aria forte rompe son forse voci che a me negli anni vecchio voglion dir non di questo tuo vedere di noi ti sia tristezza ma di te spesso che non torna degli anni primavera ma sempre negli anni la stagion che alla natura vita nuova dona ? Piuma soffice danzante Nella notte serena aleggia alta nel cielo par una foglia dorata dalla foggia strana caduta da un albero fatato la piuma lieve soffice lucente dall’agitar frenetico caduta dell’angel del Signor nunziante la nascita di Cristo Redentore Care credenze perdute Un tempo lontano dei nonni era il paese quei Santo Natale strade innevate bianche che gioia sul far del mattino ancor ricordo quelle nere tracce di solchi netti profondi è stata del Bambin Divin la dorata slitta diceva la nonna ai nipoti suoi raggiante i doni ecco a portar ai voi e ai bimbi buoni dolce cara bugia di allor persa credenza che del Comune lo spazzino era lì passato ma di quei neri solchi vive ancor la nostalgia C’era una volta un re (A chi un tempo soleva improvvisar narrando) C’era una volta un re così s’apriva allor la fiaba poi ogni narratore nel dir seguiva una sua strada e così faceva ricordo la nonna ai nipoti suoi narrando: c’era una volta un re che viveva in un gran castello e nel castello poi i due figli con sua moglie la regina e poi spesso variava nei giorni lo svolger della fiaba ecco un dì da maritar la principessina bella azzurri gli occhi e biondi i suoi capelli e lì un accorrer tutto di principi e baroni e suoni danze baccanali e pranzi contento il re felice la regina e con lei la corte tutta un altro dì era quella inver bruttina calva neri i denti e quell’occhio il destro guercio e nessuno la voleva forte l’ira del re la regina in pianto cacciati i suonatori per non dir poi del principin fratello che un dì la pappa non mangiava era il terror della balia sua nutrice vecchia poi ecco un gran mangione quello e clisteri a profusione e il gran dottor lì sempre pronto e la regina sempre in pianto. Vuol dir lettor una nonna smemorata pasticciona alquanto? No vedi accorta e saggia nel capir nei giorni l’umor nostro nel crear così nell’attesa del narrar l’attenzione e la sorpresa ! Rospicina (Fiaba per i più piccini) Libellule azzurre danzan lì leggiadre dello stagno il limo si copre di ninfee cantano ranocchi e piccoli rospi in coro gran festa s’annuncia e dal vicin canneto sbirciano lì curiosi ochette e topolini lenta s’avanza una bianca di gardenia foglia mossa dal soffio di due cardellini barca regale e gonfio il petto tronfio lì troneggia e saluta il Grande Rospo Re a lui vicina Rospicina la figlia prediletta andrà tra poco sposa al Principe Ranocchio venuto da lontano dalla Palude Paludosa dove nonno Ranocchion Secondo è fiero Re e Imperatore che Rospicina attende qui e là saltando al ciglio dello stagno in testa quattro foglie di lattuga verde ma non un grande amore e un coronato sogno triste la sposa ad altro il cuor donato suo al cugin barone Rospicello riuscirà costui con del Gufo Saggio Grande e del suo già promesso aiuto rapendo Rospicina in volo le nozze vuoi a fondo o in fumo poi mandare? Piange Parigi (13 Novembre 2015) Nella serena notte novembrina lieta scorre la Senna la siderea alta Torre tutta la città abbraccia lieta spensierata non vi è timor muove la gente chi a del pallone il gioco Francia-Germania pronte vinca il miglior questo il vociare chi all’amico e caro noto ristorante lì lasciar gli affanni e star sereni e muove la gioventù a Bataclan a goder del metallico forte suono ma il terror la morte son in agguato belve feroci disumane dalle tane dell’Isis sanguinario perfido uscite nel pianto portano la felice sera scoppi spari acre fumo e morte fatican i versi miei nel dire come e tacciono che sol dolor sgorga lieve sonno e ai morti tanti pace ai feriti dolenti tornino lor le forze ecco non solo di lutto nella notte nera veste triste oggi Parigi no non sola è con lei il mondo nostro occidentale tutto non prevarran le truci novelle orde barbariche dai deserti improvvise qui sorte a morte muover che Parigi si sappia altro non è che la roman Lutezia Pettirossi Quando dell’autunno l’ultime foglie segnano il tempo e ancor sospirano prossimi a finir i giorni di novembre ad una pagina nuova ma antica il libro come ogni anno della Natura s’apre: ingiallito il foglio delle rondini l’addio ecco che accanto un altro si colora s’anima prende vita in cielo voli nuovi e in verdi parchi e in giardini spogli il canto s’ode d’uccellini rossi solitari dal rotondetto buffo corpicino: i pettirossi, su un nespolo che abbraccia casa mia staman di lor uno saltella non so dir se quel negli anni amico oppure sconosciuto ma di certo per un sol giorno forestiero che da doman vi saran sul davanzale mio di pan due briciole al mattino e poi nei dì nel tempo lo zompettar suo vermi a cercar nell’erba smunta e qual ghiottone pronto a distaccar lieve danzando rosse bacche dall’agrifol pungente come i german un tempo: quattro mesi così saran d’amicizia e compagnia Foglie, foglie e foglie. Su tutti degli alberi le foglie egual la forma solamente che poi tra lor una dall’altra si distingue piccola o grande di bellezza e tanto alquanto oppur povera cosa miserella e i colori infin tanto diversi ma tutte a quelli da corona far poi toglie una mano le più belle e il vento le più grandi stacca brutte e piccine devono gioire e le rosse poi invidiar le brune? No queste e quelle nel tempo saran gialle che unica è la sorte cader e lasciar nudi quei rami così a noi sovvien sian foglie tanto tra lor diverse sull’alber della vita tanto frali che non età forza bellezza o della pelle color risparmia nella polver il cader Dove vuoi che ponga Dove vuoi che osando ponga oggi la speme mia amico caro? In un mondo miglior per tutti: non più barconi dove la morte aleggia, non più di disperati ai treni assalti in Macedonia, non più le orde al terror truci votate di BokoHaram e Isis, il santo suol diventi poi luogo dove l’Ebreo a quel di Palestina la man tenda lontane sian le violenze, che Russi e Ucraini, Turchi e Curdi depongano le armi vi regni la concordia, dal mondo su fuggan focolai di guerra, ciascun mortal un tetto suo poi abbia sete fame dolor terror violenze tante de la umana mente siano sol ricordo, ma dell’uom le inclinazioni male note credo vana sia questa mia speranza. Quel mio sospir d’amore Danza nell’aria novembrina e lieta volteggia l’ultima foglia dal platano caduta ma quella aguzza punta a me per me è acuto strale e d’amor nasce al ricordo forte dall’animo un sospiro e quella mulinando quello lì cattura s’alza ecco un refolo e su l’innalza su e più su nel cielo più alla vista mia appare dove mai andrà a cadere a posar quel mio sospir forte d’amore mai sarà dato ad alcuno poi di sapere Autunno Ingiallir vedi degli alberi le foglie color marroni gialli rossi accesi in alto guardi e del’’autunno il nascer lì dolcemente senti poi non più foglie rami nudi spogli braccia ad uno scuro ciel s’offron dolenti e lì in quel vuoto triste vedi con tristezza la sua morte Sì più… Ancor vorrei sentire il franger dell’onda marina fragorosa sugli scogli la spuma nascente e a morir pronta raccoglier con le mani il salmastro spruzzo al labbro assaporare e coglierne del mar l’odore fresco e lì in alto sentir del gabbiano il canto e veder quel suo leggiadro volo e poi vorrei sì vorrei ma da tempo spenti i sensi son dall’abbandono tuo Qui ritto, qui fermo, qui davanti. Profondo il silenzio, pure l'aria è muta, qui ritto, qui fermo, qui davanti sono e' l marmoreo monumento io fisso: qui, nel piccol cimitero del paese, qui la mamma dorme e non lontan, che presto tolta fu alla vita, la giovinetta figlia, mia sorella, pur riposa, papà accanto da tempo a lei fa compagnia. Questo, mamma, il mio parlar silente: potrai alla mente chiedo mai sentire? Molti anni abbian qui noi due pregato, più di cinquanta, tanti, ricordi, tanti e tanti, poi anche tu, ormai stanca debole e canuta, me e la vita hai abbandonato, oggi solo qui son nel pianto forte in preghiera nel ricordo. La tarda viola Vedo oggi nel giardino una tardiva viola e con la mente ritorno a un tempo antico al giardino della giovinezza e dell’amore vi era ricordo vi era un fior certo una viola ma non la colsi che nell’istante mi tremò la mano ancor dell’amore acerbo allora or mi domando che fine abbia fatto quel non colto da me fiore: là ritornar cercar vedere? Fosse ancor lì qual come questa viola tardiva e dolce e profumata? Tremante pur oggi la man sarebbe e incerta poi non per acerbo amor ma per vecchiaia stanca, guardo e penso ai versi del poeta antico: “Il mio sogno è nutrito d'abbandono, di rimpianto. Non amo che la viola che non colsi. Non amo che le cose che potevano essere e non sono state...” Davanti a una fonte antica Oggi in te mi specchio oh mia fonte antica dove spesso un tempo pace trovaron della vita le tante arsure mie ma sortilegio crudel ecco muta tua cura che dall’acqua un riflesso forte nasce a portar al mio passato e qui cari volti a riveder e familiari tanto e non più alla vita e trapassati e da onda sì fresca forte nasce una bruciante arsura qual induce la sete dei ricordi La lavandaia Una carriola lenta cigolava una vecchia curva lavandaia limpida scorreva nel fosso l’acqua e quell’odor di saponaria e di sambuco antico e di menta selvaggia verde e il colore poi lì s’accompagnava di lenzuola a nuovo splendor dallo splendor del sole rinnovate e quel sorriso lieto volto al cielo oggi raccolti fissi nella memoria dei ricordi Rubar le stelle Fatto leggero in ciel vorrei volare lì dall’Universo più stelle poi rubare il nome tuo con quelle compitare stelle cadenti con strisce luminose meteoriti comete i fuochi ardenti loro cerchi lucenti di costellazioni a quel mio scritto da contorno fare così che nei dì dall’imbrunire all’alba in eterno l’Universo quanto ti amo sappia Una strana foglia Nel giardino dove tra molte ancor viva sta la vecchia pianta della vita mia ai di lei piedi tra le tante amiche foglie conosciute di strana foggia e di stranier colore ho nel cercar mio curioso foglia ritrovato che queste qui cadute nel tempo vario d’età verdi rami ancor novelli o duri forti nodosi screpolati interrogar tant’amo poi da lor sentire ch’ogni foglia lo sai è spesso un’ anima passata quante vite diverse e destini tanti: a questa pur dico chi sei da dove vieni da te or voglio sapere stolto sento dire stolto foglia son dell’alber della vita tua del destin quella ultimo finale sì dico dimmi ma s’alza forte il vento s’alza e con lui lei pure alla presa beffarda sfugge su in alto per sempre s’allontana Doni autunnali Non è avaro il bosco autunnale noci castagne piovono ai tuoi piedi da lisci e pungenti manti avvolte d’uve selvatiche corbezzoli giuggiole i bianchi neri rubin colori tra il verde allietano la vista erbe foglie del fungo nascondono in attesa di man furtiva quel ricetto ch’ a ogni sentier già mosso o da piede nuovo non violato qui viator povero o ricco alla natura importa poco non trovi di colmar suo panier o aurea sporta Calpestando foglie morte Muovono lungo il viale che al volger di questo anno della vita porta i passi miei e a terra foglie già morte ma par queste del piede il lento calpestio risvegliare e nel molesto crepitio qual lamento voci qui pian levarsi e sussurrare alla silente aria piano: fummo le speranze tue e i desideri tuoi da te appesi all’alber tuo della vita in primavera ricorda questo ricordare ogni foglia un desiderio una speranza, colpa nostra non fu se al cader nostro qui anzitempo e presto e il lor morir fu a noi triste compagno che troppi il voler e lo sperar tuoi allora che vital linfa sol forte in picciol ramo scorre meglio poche foglie al vento ancora a tener vivi in te speranze e desideri che tante come qui inver morte cadute a dolore rinnovare ad ogni calpestio Foglie autunnali Tra le foglie autunnali prossime a morire filtra il sole lor donando dolce una carezza quale amorevol segno di un presente addio così vorrrei nel tempo prossimo a venire che i miei ultimi della mente miei pensieri filtrati fosser dalle tue per me d’amor parole a l’animo carezzar e scaldar prima dell’addio La rocca di Arduino Da Sparone che nella Val dell’Orco siede dopo l’ascesa che’l fiato toglie ed il cuor porta per certi tratti in gola lungo è il sentier che qual serpente muove nel folto di castagneti adorno bosco al fin dell’erta alta a veder s’apron di massicce grigie pietre eretta ancor di Santa Croce la chiesetta e a boccon rotte un tempo a quella di corona sua le possenti mura qui rocca visitator tu sappia di Arduino d’Italia re in di Pavia San Michele incoronato che dell’invasor Enrico e imperator tedesco alla fuga domate scosse verso valle mise di vittoria le supponenti e tracotanti truppe Ode alla castagna moritura Ancor oggi come un tempo in un angolo di strada caldarroste grida un omino dalle nere dita a rimestar sopra un bracier fumoso le autunnal del riccio figlie generose tanto dal ghiotton tutto bramoso darsi dopo nel cuor colpite e tanto dal fuoco tormentate sì quel gemito quel crepitio quel caro caldo profumo d’addio Lui e lei Ricordo che lui e lei erano tra lor fratelli lontan vissuti dal vivere sociale crudeltà altrui ancor oggi mi chiedo oppure innato lor di solitudine forte e tanto tanto desiderio? Negli anni nessun mai li vide in viso morte solo pietosa spento di lor mostrò il sorriso. Qual vita? Questi i segni o i rumor meglio negli anni di giorno in giorno sempre ripetuti: quel lento fioco lento cigolar d’una carriola polverosa la strada che al Ticin da lì portava e quella luna al mattino viva ancor non spenta che due ombre con il chiaror suo accarezzava e poi polverosa sempre del ritorno quella strada ma più forte che pesante la carriola il cigolio suo e più lenti lenti delle due ombre i passi stanchi ma ecco dal lume delle amiche stelle rinfrancate Più forte oggi il ricordo corre Più forte oggi corre a te il ricordo mio d’elianto son tuberoso tre gialli fiori d’oro nel prato e dall’erbe lì verdi nane avvolti accarezzati pare e curvo tutto con la man ti vedo di lor a farne un mazzolin con cura come solevi in quel lontan tuo passato tempo umile dono poi ma alquanto alla mamma tu sapevi gradito e tanto, ch’oggi pur lì nel verde a te vicin quella nella nebbia dei miei ricordi appare come stava allor dell’uscio sul limitare sorridente. La Processione Per le vie del paese la Procession si snoda a rimirar della santa l’urna al balcon s’affaccia una vecchierella stanca e alla di lei finestra due rossi drappi lisi smunti giocano con l’aria poveri son cenci ma segno di devozion profonda poca attenzion inver lì della vociante tanta folla al limitar degli usci pochi feston e colorati nastri mute di color le tante prospicienti lì vicin magioni il buio ciel s’apre a prendere di colpo luce nuova dal sole nasce un raggio forte e luminoso tanto a colpir forte della santa l’argentea e dorata teca di lì un riflesso a colpir quel vecchio viso Ero migrante Ero migrante una valigia di cartone povere cose dentro due fotografie di mamma il babbo i sette miei fratelli di terza classe in un lungo treno per sempre lasciavo la mia terra andavo al nord a cercar fortuna eran di legno duro sedili cigolanti a Milano a Torino mi chiamavan terrone spaghetti e mandolino li in Svizzera Germania Lussemburgo pochi sorrisi poche amiche mani di lavorar gran voglia sempre spesso sottopagato e molte volte in nero poi negli anni mi sono fatto onore da migrante del Sud da italiano vero A ricordar profughi italiani Chi oggi contro il padan si scaglia immemore a suo dir d’amor pietoso al povero migrante straniero fuggitivo vilmente un dì gridò contro di voi violento tu qui non devi giammai no mai entrare: profugo eri dalmata e istriano quale poi la sì grave colpa tua essere italiano e voler nella Patria tua essere accolto per schiavo non essere più alla mercè di quei bruti compagni titini comunisti or a voi volge in questi dì il pensiero cari fratelli dalmati giuliani e istriani e a un tempo i vostri nidi Parenzo Pola Zara Fiume tanto e pur lontani ma al cuor nel ricordo sì tanto vicini Le cadute Torna alla mente la Caduta del cantor grande del lago di Pusiano questo al veder mio: cade un vecchio claudicante misero all’aspetto con schiamazzo i ragazzotti ridon altri inver indifferenti, giace per terra una stracciona povera mendica guaisce il cagnolin suo amico da logora sporta lì povere cose sparse, inciampa la gran dama scarpe alla moda borsa griffata di velluto i guanti un grido un unico affannarsi gran ressa si chiami l’ambulanza, il copion questo caro mio lettor non cambia se a terra è steso un monsignore di ribellion di sdegno nasce spontaneo un moto Torna oggi l’autunno Torna oggi l’autunno a bussare alla mia porta un turbinio nell’aria forte di forme e di colori son foglie da lontano e nel tempo allor cadute ma per malia strana non morte ma ancor vive ch’ogni foglia è un viso un suono una emozione una gioia o un dolor: sì chi bussa è entrar vuole altro non è lettore caro quel viver mio passato. Primavera è giunta Anche il rosso mattone il color ravviva che scende della pioggia marzolina un gocciolio lì vicin riabbraccia dal lungo viaggio stanco un rondon l’amico vecchio cornicione di primule e di viole laggiù si veste un angolo nascosto del giardino e al ciel timidamente apre i pigri suoi sonnolenti mille fiori gialli l’umile forsizia dal vento poi smosse alzate le protettive foglie al tepor dell’invitante sole il riccio si ridesta del pesco tutta vedi la brocca che di rosei bei fior s’adorna nell’aria il dolce suon di una lontan campana sussurrare pare: sì è giunta primavera! Sull’amicizia: cantar fuori dal coro? Se mi guardo attorno e ad Argo Fido e ad Hachiko forte penso voglia vien di non cantar nel coro che bella sacra è l'amicizia vera come narra di Lelio Cicerone difficile poi trovarla mantenerla del proverbio l'aureo tesoro spesso in vil latta si trasforma poi il ricordo va a Eurialo Niso Patroclo Achille e mi consolo. Kaiservilla II Ch’amor e dolor nel tempo fosser per te eterni oh imperator canuto qui volesti a Kaisevilla che il cuscin ove il morente capo la Sissi tua posò fosse, in una fredda stanza, qui deposto e or io mentre pur lo guardo così penso: quanti ricordi per vent’anni ti portò alla mente poi da quel dì che fredda vile acuta lama colpì su di Ginevra il lago la dolce imperatrice e cara sposa ? Che qui vi fu l’incontro vostro primo e il cuor tuo per lei presto fu da forte passion mosso, giovan tu allor novello austro-ungarico asburgico imperatore, lei giovane inesperta fanciulla bavarese oh qui a Kaiservilla in Bad Ischl ridente quante volte rapida corse la memoria sì quelle estive stagion passate e tante quanto buon umor allegria amore risa tra quei verdi boschi a caccia il cavalcar spensierato e ardente e le amene festanti compagnie di duchesse nobili e baroni che tennero quel lieto dolce viver vostro poi quante volte questo dolce ricordar ti trovò in pianto che quella acuta fredda lama pur giunse lì a pugnalarti il cuore! Sì quanti ricordi vecchio Imperatore certo negli anni alla tua mente questo cuscin mosse come alla mente mia oggi muove. Pur in me s’acquetano i miei tristi pensieri Cessa il vento di tormentar le foglie muto dei cani alla luna l’abbaiare loro non più delle rane il gracidar nei fossi si spegne il forte vociar degli ubriachi tace il bimbo dopo quel suo rotto pianto e qui sol re regna il silenzio nella notte tutto tace muto e silente nessun rumore pur in me s’acquetano i miei tristi pensieri Audace stanotte l’ardimento mio Audace stanotte l’ardimento mio in ciel volare con l’Angelo Custode e tra le nuvole lì della vita il libro mio pian piano con lui dar di mano fissar quanto di bene e pur di male abbia nel tempo vita dato e dar di conto infine con la pesa quanto per il ben ci sia finora tanto di difetto Migranti Nulla par essersi nei secoli mutato del triste lor peregrinar destino di genti tante del consorzio umano: erravano nell’arido deserto un tempo quei figli miseri del già un dì errante Abramo al cercar della promessa terra altre par utopiche speranze spingon oggi di nuovo a lasciar quell’antica terra le siriane genti a varcar le serbo danubiane sponde, premevan e nel tempo premon indios meticci messicani altro ostil deserto a un passo lì quell’eldorado americano, e partivano un tempo i bastimenti nostri affollati di terza classe miseri lunghi treni terre campane aostan venete lombarde piemontesi tosco liguri furlane sicule sarde calabre lucane pugliesi umbro marchigiane e emiliane romagnole infino tra pianti tanti e lacrime lasciate e quel loro vagar poi senza del doman certezza, pur altre sponde altri o stessi continenti genti irlandesi curde polacche e tante così via, oggi son insicur gommoni barconi dal rotto fetido legname che spingono a cercar qui da noi fortuna sfidan altri navigli poi non più sicuri l’alte profonde infide acque indiane non nera scura bianca rossa gialla è la pelle ma stessa la speranza di vita miglior nuova tanto e tanto lontan da patria e casa: che par nel tempo non cedere all’oblio al ricordo migrante questa parola cupa tanto triste ha soffrir perché e sempre patir povera parte tra la tanto felice e tanta dell’umana gente? Quanti sciacalli e nessun si chiami fuori! Quanti sciacalli si ergon oggi a i moralisti far alta la voce da palchi pulpiti libri giornali che sol oggi vedono tragedie: miseri laceri nel lor cammin dolente e morti, un imman dolore, chi mai levò allor la voce forte altri inver uccisi miseri dolenti o pon oggi a lor pietosa mano offese a lenir di lor povere carni o memoria dar con lume e con preghiera? Che vuoi armeno fui curdo coreano tibetano bosniaco di fede mussulmano cristiano in India e nel Sudan sahariano giallo cambogiano e di etnia nera poco nota ma di me parlar lo sai non fa notizia pagina bianca vuota vuoto il balcone tace. Dirà qualcun e già lo sento: tempo passato acqua che non macina qual che sia il color del burattin mugniaio al suo mulino elettorale Non importa al vecchio Non importa al vecchio il giunger della primavera che morte per lui da tempo son tutte le stagioni solo nel cuor suo domina regna il freddo dell’inverno che freddo da anni tanti nel letto è quel cuscino non più il dolce respiro come della primavera il soffio che nelle notti il sonno suo accompagnava non più quella calda mano il viso suo a sfiorare nel caldo dell’estate che un autunno come cadon le foglie dalla vita così in un dì si staccò il suo amore Così oggi piange l’Adamello Dei ghiacciai da sempre delle stagioni i ritmi portano al lor disgelo giorno oggi diverso pur se qui spesso è da veder qual mesto triste ricordo di memorie antiche nostre di nascoste eroiche gesta che dalla gelata perenne neve tua maestoso Adamello affioran qui un vecchio tascapan di stoffa grigioverde un liso lembo laggiù ancor copre la neve uno scarpone: Penna Nera o d’Italia Fante? Io grido : tutto si fa silenzio con forza forte questo soldato ignoto nostro a ricordare il ghiaccio geme con crepitio si rompe si fessura e nascer vedi da lì di dolore un forte pianto: da neve sciolta di lacrime son stille che al fondo della valle tra rocce e sassi mestamente vanno Crosta sottile Mente che sol a se stessa pensa sguardo distratto inaridito cuore quei letti di cartone nell’inverno erbe di un parco nella stagion estiva povere lì sfatte povere membra vi riposan ecco man tremanti via via crescenti dove un tempo di affamati cani vi era zuffa e battaglia rovistan disperati s’affannan negli scarti dell’opulenza tua soffermati un poco ti dico amico perché ben non vuoi guardare? Tanti o pochi vuoi tu or contare? Quella che vedi sol è fragile crosta sottile di un sommerso mondo di povertà e dolore toccarla e romper fin al fondo suo poi guardar aprirà vedrai all’amor e alla carità il cuore! Torna a viver e a splender la Natura Come cantò il cantor di Sirmio “Iam ver egelidos refert tepores, iam caeli furor aequinoctialis iucundis Zephyri silescit auris” sì già miti tepor annuncia stagion nuova e muta del ciel è l’equinoziale furia e dolce di Zefiro è il leggero soffio: non senti ? Nuovi colori e nuovi suoni oggi offre Primavera e d’ognun l’animo forte sussulta e gioisce alla dolce vision ed all’ascolto del nuovo e rinnovato mondo: spuntan e timide si mostran le viole lungo le rive dei fossati e qui scorrono fresche e limpide le acque laggiù il nero merlo nel cespuglio ascoso al cielo canta e lieta vola la rondine sul tetto dal vento smosse alzate le protettive foglie al tepor dell’invitante sol il riccio nel giardino si ridesta roseo è il pesco e bianco vestito è il pruno e nei prati e negli orti tutto è un tripudio di colori: della camelia i fior son rosse bocche occhi gialli sonnolenti all’aprirsi della forsizia quei mille fiori che il pennello del Demiurgo a dipinger non s’arresta e così torna a viver e a splender la Natura a ogni nuova Primavera. La caverna della dell’oblio Questa caverna è senza luce non vi arde il fuoco né vi giaccio qui per terra incatenato non esterni movimenti e da captare ombre indefinite rifugiato in quest’antro buio mi son non per cercar sapere e del ver parvenza ma per dimenticar falso fatuo questo mondo che luci accecanti cerchi luminose scie ardenti della realtà danno falsa conoscenza La leggenda dell’uomo che odiava le canne di bambù Era la gara della pesca sportiva della vita sua già vincitor sicuro lì sul podio si vedeva primo in alto e folle festanti il nome suo al cielo gridar e già gustava quel tripudio, si muove nell’acqua de il montan laghetto il galleggiante, il campanellin in cima de la canna suona, dell’onda al pelo s’intravvede una luccicante e maestosa preda, pesce mai si vide per bellezza e dimensione, che far che dire ormai è certa la vittoria: ma sul più bello al momento dello stacco la canna di bambù sollecitata tanto e tanto cede al furor del catturato e in due si spezza donando a questo vita nuova e quella libertà ormai insperata l’ira del pescator s’accende rossa, ride sghignazza insulta quella da lui per lui quel dì la certa e sicura in piedi osannante folla, da quel dì lo prese ad agir come un demente una follia pura sì girar il mondo in lungo ed in largo alla ricerca di canne di bambù boschetti o piantagioni onde di loro far unico deserto o se vuoi tabula rasa, e ancor oggi s’aggira in questo suo agire furibondo. Alla ricerca di me stesso Spesso ricorre nel cuore della notte un sogno che a un viaggio alquanto strano s’accompagna un treno una sola carrozza un viaggiatore solo un macchinista e poi un solo capotreno, solo una fermata e in attesa un solo viaggiatore e un capostazione accanto con la paletta in mano, direte cosa c’è di strano ? Ecco la stranezza di questo viaggio strano: son solo sempre io che viaggia guida controlla attende ha la paletta in mano verrà una notte un viaggio a dir chi sono ? Il pellicano di Mykonos Se nel girar il mondo e l’Egeo mar solcando in Mykonos ivi il piè tuo porrai ecco nella piccola Venezia all’occhio visione singolar mostrarsi: una bitta dall’umor salso di ruggine vestita e un vecchio pellicano lì, triste spente le ali il lungo becco un morto pesce a stento ivi tenuto a la fame sua dono gentil offerto, non fiaba questa spettator cortese né pur mera leggenda saper devi un dì altro pellican quì vi dimorava, da pescator pietoso da morte certa tratto tempestosi eran dei marosi i flutti un sanguinante corpo spezzate l’ali oh povero quel becco e lacere le zampe tutte ma infin da quel in vita riportato Petros qual nome gli fu dato e per anni anni qui visse dalla gente amato e dell’isola simbolo e bandiera alla morte fino per crudel destino giunta e la memoria sua onde negli anni onorata fosse non un marmoreo simulacro freddo qui si volle ma un german simile sì un vero uccel vivente e così via via man man da allor nel tempo quanti poi Petros al primo succedutisi mi scuso non so dirti! Ridestò quel profumo i sensi Giorni di fine aprile di un mio anno antico a spegner la notte stava un’alba nuova dal golfo di Gela alle sabbie di Mondello tagliando lungo una retta la Sicilia l’auto nera correva lenta vecchio il guidatore così che io meglio poteva veder sentire Caltanisetta la valle del Salso Enna e gli agrumeti limoni aranci in fiore e vigili stavano i garzoni alla lor cura albeggiava si deve fermar il vecchio ecco un profumo lì una dolcezza l’aria inebriavan io pur tutto stordito prima poi quel olezzar ridestò i miei sensi la rosea Aurora delle zagare il bianco come illuminava e pur del mar l’azzurro da lontan sì intravvedeva in attesa poi di gustar così della salsedine il sapore Mattinata Mattinata di Manfredonia il golfo del Gargano quel promontorio una sera di maggio all’imbrunire ulivi mandorli e rossi melograni fichi d’india e infine quegli aranci e a loro accanto tanti quei limoni un tripudio lì di profumi e fiori fiori dove le bianche zagare tra di loro regnavano regine inebriata l’aria una particolar dolcezza delicato quel profumo intenso che i sensi tutti ridestava e il sapor del mare lì spinto dalla brezza si mischiava dando al respirar un sospiro lieve Verso l’alba di un nuovo mondo Ondeggia il barcone tra i marosi teme il migrante per la vita sua ma nel futuro pone la speranza, dorme il barbone nelle estive notti sopra una panchina poi nel rigore dell’inverno un letto di cartone, i ponti una stazione, sogni gli stessi in tutte le stagioni, tirano la cinghia, poche in casa gioia allegria da tempo, il disoccupato come pure il vecchio pensionato, guerre uccisioni atrocità dando lo sguardo al mondo da lontano e guardando di nuovo più vicino negli ospedali vedi sofferenze quanti carcerati e quanti derelitti, tanti, cosa accomuna ciascuno l’uno altro? Che sorga, dopo le notti buie di dolori di lamenti e stenti tanti, le passate e ingannevoli fallaci albe false, quest’alba agognata e vera: che dal mondo, dalla vita da oggi si cancellino per sempre il nero il brutto, si muti tutto nel più bel bianco tanto: pace libertà dignità salute lavoro qualche euro in più e a ognun un tetto Le vecchie de El Palito Gemon le carni sfatte che un dì venal voluttà e piacer sottile dieder a turpi bramosie maschili le vedi ancor a giacer ai vecchi giochi vecchie parvenze di femminil ormai perdute forme a misero destino giunte a questa vision triste forte fu in quel lontan non più dimenticato giorno il desiderio mio di pianto ti basti dir che al cospetto loro la vecchia di Klimt che de le donne percorre le stagioni è uno splendore A tesser dei miei pensier la tela Catturata la mosca, scacciata la zanzara solo solo silenzio nella stanza e pur fuori ogni umano ardor ha spento la canicola asfissiante e alquanto strano delle cicale il lor fastidioso canto lassù sui tigli alti: qui nel silenzio ogni rumor qui e lontan fugato solitario men sto o quasi che sul soffitto lì solerte e di puntiglio all’opra sua un ragno sta a farmi nel silenzio solitaria amica compagnia io pur intento a tesser dei miei pensier la tela Ancor vorrei sentire Ancor vorrei sentir delle cicale il canto là del Colosso l’isola, quel folto alto gelso, un promontorio e la vision da lì del mare, vorrei ancor sentir quel lor cantar diverso stridulo chiassoso petulante dei marini uccelli in volo ovver sopra gli scogli dall’onde del gran mare baciati ove vita e poi morte vi trovano i merluzzi, ancor vorrei le voci dei bimbi delle bimbe dei fieri beduini sentir che la città dei Nabatei morta riportano alla vita nell’offrir monili false monete lucenti belle pietre colorate, ancor vorrei sentir la voce di te compagna mia dell’età mia nova già passata, l’ultima volta fu da un balcon fiorito e spento da allor per sempre a me e alla vita fu quel sorriso tuo , sì vorrei sì ma dall’animo si svuotano i ricordi Che ferisce il cuor questo richiamo Una voce par chiamare dal bosco e un passato improvviso ritorna: ecco tieni questo dono d’amor di odorosi mughetti un mazzolino, ma quella voce è da tempo muta, da tempo già finito quell’amore e quel profumo ormai dimenticato, è oggi il vento forse a ridestar l’eco non spenta ma tra gli alberi sopita di quelle sue parole o della mente il vagheggiar sperduta nel bosco dei ricordi? Il domandare è vano che ferisce il cuor questo richiamo Solitudine di una vecchia prostituta (Più di settantamila) Nuda or giace sul letto la vecchia meretrice e con mestizia guarda quel che un tempo fu cespuglio nero folto rigoglioso, spento ora sfatto e povera cosa, ove lì nascosto, pur oggi sfatto, s’apriva, in giorni già ormai lontani, a donar lo scrigno quei falsi amor fugaci venali mercenari, ove al corpo membra s’avviluppavan da odori e sapori vari e disparati, a toccar luride man o linde e delicate e fiati o dal sapor ancor di menta o puzzolenti fiati, fisso il prezzo concordato: saranno stati pensa più di settantamila ? E rapida corre la mente ai ricordi e al ricercare ma al cuor suo tristemente un grido giunge che forte dice: nessuna estasi nessun ahimè dolce caro da ricordar profumo! Un giugno antico Di presso ai rovi che abbracciavano i muri di vecchie case abbandonate su distorte recinzioni di metalliche reti rugginose al ciel mandava con voluttuosa contorta danza i suoi primi verdi teneri germogli il luppolo selvatico, una mano stanca ma con sapiente tocco, era la nonna, quelli dalla materna pianta lì staccava, daran più gusto mi diceva alla frittata nostra di stasera, le lanceolate sottili foglie del tarassico la fioritura innanzi sua punteggiavano dei campi di trifoglio i bordi e le rive dei fossi s’offrivan pure alla stessa mano che in un cestel con cura delicatamente a far di cara compagnia a quei germogli lì poi poneva e la stessa voce che diceva per l’insalata di contorno alla frittata di stasera, s’inizia un giugno oggi nuovo e un tenero ricordo torna a quella sera Più non sente il vecchio Più non sente il vecchio quel vociar delle mondine nell’andar alla risaia allegre né quei canti d’amor di passion e di mestizia nel volger del giorno fino a sera sospirati curve con l’acqua fino alle ginocchia, un mondo perduto e a lui sì caro un mondo dove per una sola sera non ricorda con chi trovò d’amore un’ora più non sente il vecchio ma il ricordo vive un pagliaio illuminato dalla luna il lamento nel silenzio di un cane il gracidare di una rana L’asino di Thugga Maestose si estendon della vecchia Thugga le rovine di civiltà di tempi morti antichi, qui si aggiran pieni di curiosità sotto il calor del sole di turisti stuoli, il capitolin tempio, al favor di Giove Giunone e Minerva eretto, gode tra di lor di particolar ricerca e studio, e poco lontan di lì in un prato di rovi di sterpaglie un asin sonnolento a quel vociar della curiosa lì vicina gente indifferente bruca tra i sassi a la fame lenir sua e indifferente pur par di capire a quello che fu lì splendido passato come lo fu quel bigio suo fratello carducciano al progresso verso a quella sbuffante vaporiera che fuggia: che asini son il vecchio o il nuovo per loro cambia poco ma solo esser dell’uomo sempre in sudditanza Care bucoliche figure Sì oggi ricordo un tempo antico mio, dopo quei precisi tagli al sole l’erba attendeva di diventare profumato fieno e con sapienti e ben ritmati tocchi le donne dai larghi cappellon di paglia come formiche alacri a far da gara silenziose quel falciato con un bastoncin a favorirne l’essiccazion smuovevan e sotto l’ampio mantello dei gelsi grandi generosi si godevano lì dell’ombra alta la frescura i mietitori le forze a ritemprare, grilli e cicale coi loro canti rompevano dei luoghi quel silenzio oggi in quei campi s’odono soltanto acuti e meccanici rumori perse nel tempo le care bucoliche figure Un luogo antico Son tornato oggi in un luogo antico, ancora lì il bidone rugginoso come un tempo e sul tetto quella tegola distorta lì a diriger con rigor l’acqua piovana fino al segnato giusto segno, e accanto alla tettoia appeso un nodoso ampio mestolo di legno, ma non più qui le ben spianate aiole né di nera terra ben curati monticelli solo rovi e sterpi dove s’apriva la vision di verzure e fiori, a terra poveri secchi rami dell’albicocco amico e poi non più in quest’orto amico a fumar il caro vecchio contadino amico lieto d’agreste duro lavor gli arnesi smessi Il vecchio gatto grigio Dopo mesi di assenza il vecchio gatto grigio dal collo ferito e in parte sanguinante tornò, si tornò nel giardino e nuovamente qui trovò ristoro ma fu per poco in questi caldi giorni dell’estate, difficile curar le sue ferite, randagio fuggiva ad ogni contatto solo al cibo all’acqua dava confidenza, una sera poi chissà come in casa entrò forse a cercar nel silenzio suo ultimo conforto che poi due giorni dopo al colmo la calura morte trovò sotto una panca, già pronti come nel giorno appresso l’occhio tuo a cercarlo e la man pietosa a por ristoro: una consolazion per lui per te per me amica avergli dato una degna come ad amico sepoltura Solo oggi ricordo Solo oggi dopo cinquant’anni va il ricordo ad un’aula ad un banco ad un quaderno aperto alla pagina dove vi era scritto in stampatello “il nostro amore non è di questo mondo”, forse e non so se per me eran queste tue parole ma se sì ecco che in segreto allora tu dicevi che su questo terra chissà perché non mi potevi amare, stolto allora che io pensavo che tanto tu m’odiavi data la non corresponsion com’il poeta un dì scrisse d’amorosi sensi La bimba e il nonno Sta la bimba prossima ai sei mesi sulle ginocchia del vecchio nonno dapprima sorpresa un poco titubante poi sorride e si rasserena op op giù su e giù muove le gambe il nonno e a quell’ op op del cavallino accenna con voce roca di quel ricordo vecchio della canzone le parole ride la bimba dimentica il nonno i tristi suoi pensieri Ecco così vorrei Che dice al vento la rondine che vola lì nel cielo, ai fiori che danzando bacia con grazia che sussurra la farfalla, quali dei fiori le parole al primo sole che risveglia i sonnolenti lor colori? Nulla mi è dato amica cara di sapere così ecco vorrei per un istante solo esser vento e fiore e primo sole poi per ascoltar le varie voci del Creato Bianca farfalla Che dice al cuor all’animo mio Il tuo volar di fiore in fiore bianca farfalla la libertà tua quel danzar tuo senza turbamenti ed il mio esser fermo io e prigioniero poi dei tanti affanni e tristi pensieri Allor amaramente pianse Arida secca la fonte del cuor suo ove per anni vi attinse la musa sua contadina all’animo alla mente dittar d’amor parole or sol le cerca la man tremante che più la penna del poetar regge tra vecchi fogli di sbiaditi versi dove qui vi legge “saper vorrei amica perché mi odi tanto” , sì oggi vi sorride ma nello scriver allor amaramente pianse All'animo sorgono ricordi e poi pensieri Nebbiosa fredda giornata novembrina profondo il silenzio, pure l’aria è muta, sorgono all’animo ricordi e poi pensieri nascono qui in un nascosto camposanto di campagna dove il sonno dormono eterno quei ch’alla vita mia diedero un dì vita e tu lor giovinetta figlia alla vita assai presto e troppo tolta mia sorella invan cerco quel lontan perduto lor sorriso ma fermi e immoti son quei marmorei visi e un pianto forte di calde lacrime riga il mio Cronaca quotidiana Triste si faccia della chitarra oggi il suono lamentevol nella buia fosca notte il canto dell’anima mia tua s’accompagni il dolore e il pianto al ricordo di morte anime dolenti alla vita un dì strappate da bestial bestial follia Luna stanotte si riposa Mi dice vieni a goder con me il lucior di queste stelle mirar della Luna la falce che miete queste su nel cielo nascon così stelle filanti che degli amanti cadendo muovon d’amore desideri così da queste parole dolci mosso ecco pronto son in attesa a scoccar segretamente quel desiderio mio di baci ricoprirti tutta amata mia attendo ma invano la Luna stanotte stranamente e dispettosa si riposa Oggi è muto il canto Muto sia oggi il tuo canto cessi il suo suono la chitarra l’anima triste volga il pensier a chi fu tolto il canto e il suono il canto della vita e delle voci amiche l’amorevol dolce suono La tarda viola Vedo oggi nel giardino una tardiva viola e con la mente ritorno a un tempo antico al giardino della giovinezza e dell’amore vi era ricordo vi era un fior certo una viola ma non la colsi che nell’istante mi tremò la mano ancor dell’amore acerbo allora or mi domando che fine abbia fatto quel non colto da me fiore: là ritornar cercar vedere? Fosse ancor lì qual come questa viola tardiva e dolce e profumata? Tremante pur oggi la man sarebbe e incerta poi non per acerbo amor ma per vecchiaia stanca, guardo e penso ai versi del poeta antico: “Il mio sogno è nutrito d'abbandono, di rimpianto. Non amo che la viola che non colsi. Non amo che le cose che potevano essere e non sono state...” Apocalisse Quando si spegnerà quel giorno il sole e cadran le stelle giù nel mare sol fuoco celeste e gorghi di acque violente spaventosi avranno sulla terra il lor dominio non più nei campi con messi un tempo e frutti a rallegrar l’umana specie che da allor vagherà nella paura e nel terror dolente in attesa misera della accorrente fine e un sol destino tutti avvolgerà e non vi saranno sconti né favori o soprusi e raccomandazioni che le imploranti forti voci dei potenti e del più debole dei miseri il gridare saranno un unico terrificante grido di dolore Kaiservilla Lontan da qui un altro lago alpino, man assassina vile spense un dì la vita tua dolce Sissi imperatrice e qui volle, a ricordo tuo, a che l’amore e il dolore eterni fossero nel tempo, il cuscino dove il morente capo tu posasti, lo sposo tuo il vecchio canuto imperatore, e oggi il desiderio lontan suo diventa come sogno mio sperato: falsa vision non sia quel tuo elegante cavalcare tu ilare ridente lì nel verde colorato parco. Profumo d’ortensie Quando al cielo colorato della primavera volgono le ortensie i loro variopinti fiori con nostalgia corre tanta il ricordo a un giardinetto, belli dicevo alla nonna questi fiori, belli e da un dolce profumo delicato, ma oggi in un giardinetto nuovo il mio a loro ecco che teneramente mi avvicino le sfioro le accarezzo e profondamente poi le odoro e un profumo d’allora come diverso non so perché io sento e par dir una voce cara da tanto tempo dimenticata spenta al lor profumo s’accompagna oggi come per magia quello della giovinezza tua Quel duo improvvisato S’aprì quel dì alla vista un largo spiazzo all’improvviso lungo la provinciale e tra l’erbe, come per magia, agli occhi ecco si mostraron un carretto un cavallo un uomo e un cane e poi li tutto in gir di presso degli oggetti e manufatti tutti a far loro da corona in mostra bella, ottone rame ferro battuto zinco quei metalli, sonnolento era il cavallo, altra nascondeva il fondo del carretto alla rinfusa mercanzia, suonava a terra lì seduto una nota canzone popolare il vecchio vuoi fabbro artista scultore maniscalco, era una fisarmonica vibrata con man lesta e il can scodinzolava contento e il cavallo pareva pur gioire a quel suon che l’aria riempieva, era del biondo studentino come del Valentino quella nota melodia e come d’incanto misterioso attratto a lor far di me compagnia sveltamente il piede mio sì corse e nacque all’istante così un duo canoro un duo strano improvvisato, non canto di quelle parole il canto storpiatura, pur maltrattato il ritmo da vocal toni alti e bassi inopportuni che il cane non pareva con strano suo guaito poi apprezzare tanto che dir? tanta e poi tanta alla fine fu l’allegria spontanea nostra, il ricordo ancor presente vivo questo un di ferro un portavasi pagato a quello poche lire non so se come regalo offerto o lire a lui date per il lavoro qual giusta ricompensa, vivo sì ricordo vivo d’una amicizia in breve così sorta e di quei cinque minuti di festa e d’allegria. Pensieri Con mano calma dolcemente dondola la carrozzina il nonno dolcemente la bimba gli sorride quali pensier si chiede il vecchio stiano racchiusi in quel sorriso e poi ai suoi tristi pensando la man sospinge repente al dondolio e come per magia a quel sorriso nuovo quelli sente in dolci tramutare Crescono all’animo i ricordi Si assottigliano man mano le nostre conoscenze che molti già abbandonato il palcoscenico hanno vivace della vita e crescono all’animo i ricordi al ricordo loro che non è il vento che stacca i fogli dal quaderno degli incontri e dell’amicizia nostri Storia di un orologio Segna l’ora al polso del vecchio l’orologio, un vecchio orologio d’acciaio inossidabile, caro regalo, un tempo, dei suoi cari genitori per una promozione alla scuola media, poi messo in un cassetto che d’oro lì lo relegò quel nuovo dono ai tempi del classico liceo. Perché lasciarlo lì dormire un giorno disse al babbo il baldo giovinotto mettilo al polso che la cipolla tua par tanto pesare nel panciotto così il dono donato ritornò indietro al donatore ma poco lì rimase che poi dal braccio cadde suo smarrito in un campo di patate ma poi la sorte volle che dieci anni dopo venisse per caso ritrovato durante di quelle una raccolta alquanto fortunata e rotto e morto poi creduto messo come rottame di poco conto tra le cose poi di là da rottamare ma il suo cuor batteva ancora che così si scoprì quando stava da ultimo per essere buttato li tra le mani sentì quel giovane diventato anziano come una voce metallica nell’aria bisbigliare era il richiamo ai ricordi di un tempo al tradimento per un oggetto pari nella funzion ma di valor altro che da tempo aveva subito una diversa amara sorte che tolto agli affetti per l’attenzione di un ladro insegna qualcosa caro lettore questa curiosa storia? Illusione Nel girar nel tempo il mondo un poco i cattivi miei pensieri e le delusioni tante pensavo d'aver per sempre poi in diversi luoghi e lontani abbandonati: un dì al vento provenzale i più leggeri, poi i più neri nelle sabbie infuocate di un deserto, quelli più antichi ancor in acque oceaniche e profonde, infin i più recenti messi ai piè d'una piramide, ma un giorno il campanello forte forte è risuonato e diceva alta una voce nota vieni quattro pacchi ci son qui da ritirare Milano via Pietro Crespi Vi era una bottega un tempo al dieci in questa via, vi era un’insegna, rossa la scritta, “Macelleria”, qualunque fosse il tempo o buona o avversa la stagione , quale poi lo stare di salute , né febbre né di schiena mali e dolori seppur spesso presenti a far d’impedimenti, mio padre con man agil veloce ogni mattina la sua pesante cler v’alzava e tutti i dì nel primo pomeriggio fuor che nei giorni di mercato che a quel far mia madre da sola s’apprestava, poi in piedi al banco a tagliar carne, più spesso magri i giorni di consumo che quelli la cassa a rallegrare, ci si accontentava, diversa la bottega, cambiata oggi quell’insegna, due assi stanno a fare mi pare di chiusura, sarà il sogno di un vecchio oggi come il bimbo d’un tempo ritornato? che lì ancor mi sembra di vedere due care a me figure care una cler che s’alza e poi si serra e s’alza , due visi sempre allegri sorridenti, quanta per anni fatta per il mio ben fatica e per mia sorella tolta presto al mondo nel fiore della vita cui oggi dolce nel sonno le fate compagnia amati suoi miei nostri amati genitori Confessione Al finir della sua vita giunto dinanzi una tomba da tempo abbandonata, solo sterpaglie una foto grigia stinta scolorita, con la mente a capo basso lì diceva: lo so mamma non son stato un figlio buono che sei morta in un ospizio vecchia sola abbandonata, viltà oggi e codardia ancor fanno per la vile decisione sofferenza e compagnia, no non il senno avevi perduto ma l'avevo perduto io. A ricordar pesa il rimorso? Sì ma è un peso lieve troppo, quali son giusta punizione e la condanna giusta? Dell'amor tuo mamma in vita quel fuoco ardente a me donato, il finir mio giunto, or eterno fuoco sia nell’Inferno a tormentar le carni mie! Bianche roselline Stava un cespuglio di bianche roselline davanti alla porta di una casa un ramo ne trassi in dì che poi posai nell’aiuola del mio giardin da quella casa lontano ogni anno al nascer quando della tarda primavera delicati alla vista e al sol lucente si apron i bianco fiori di roselline profumati corre il ricordo mio a quel cespuglio a quella casa e ad una figura che su quello curva con cura cura lì si prende di quei fiori dei suoi rami la figura di mia mamma I ritrovati fiori Nel giardino della giovinezza mia ho ritrovato oggi nascosti tra le foglie dei fiori profumati, dei mughetti, e una voce è tornata alla memoria quella di una ragazza bruna che diceva li prenda costan solo poche lire, vedrà che poi piantati ogni anno fioriranno e avrà così di me un ricordo. Quanti anni quante dimenticate non viste fioriture! Pure di te come di questi fiori scordato mi son o fanciulla dal nome sconosciuto, che val chiedere scusa? Passate son, negli anni tanti, tante nel maggio dolci nuove fioriture, bello è oggi ritrovare con questa , nel ricordo, il profumo della mia nostra sfiorita giovinezza. Cuore di mamma Vola oggi mia poesiola dai versi poveri e non aulici a narrar il più grande tra tutti del viver nostro umani sentimenti, vegliava un dì la mamma il bimbo suo un bianco lettino d’ospedale un letto grigio intriso di cattivi odori un ospizio una vecchia abbandonata sta morendo quel bimbo or grande l’ha dimenticata ladri e prostitute gli fanno compagnia amor materno e vedi ingratitudine filiale spesso corrisposti non son gli affetti umani ma tra questi vince l’amore delle mamme sì queste lettor della vecchia ormai morente le parole figlio lontano ti voglio tanto bene Canzonetta di commiato Più non solcherà nel tempo l’azzurro mar di questo Azzurro e amato Sito il vascel mio e dir non so io se queste amabil acque al passar suo onta subiron forte o inver la lor dolce dolcezza dolce non fu tanto turbata che della poesia pover mia la fonte antica si è oggi inaridita bianco senza segni immacolato è il foglio e vedi il calamo poi fermo a vergar versi diversi sì più più non muove sol ultime dal cuor sgorgan solo solo queste mie parole a Ser Lorenzo del nobil Sito insigne Vate e Mecenate a Piero dall’inclito verso aulico cantor e mentor mio alle Poetesse gentil ai Poeti dal canto bel insiem uniti a chi mi lesse e a chi non un saluto e il sentito grazie mio Ricordando Giacomo Zanella Una foto: ti rivedo amica sorridente e lì a te vicino un figlio del deserto azzurro il barracano suo e violaceo gli cinge la fronte il capricapo e i piedi nudi sopra di Erfud le sabbiose dune e tra le man reca e t’offre gentil solo un piccol obol la richiesta fossili memorie di un tempo lontan antico del Cretaceo allorchè vite marine s’agitavan in un acqueo mar profondo oggi gran mare di sabbia e di ricordi Piccola musicante di Lisbona Scorre il Tago qui la Torre di Belèm vi si rispecchia folla festante oggi variopinta di scialli venditrici un pittore di strada e più in là un vecchio gelataio al gradin più basso lì seduta la piccola musicante suona vibra la fisarmonica s’ode una triste aria il cagnolin suo lì bardato a festa il capin scuote ma vuota è la scatola che invan l’obolo attende forse il suo pensier è pari al mio: quanta indifferenza alla povertà al bisogno di chi solo di miseria vive La vecchia di Azemmour S’apre alla vista dall’antiche mura portoghesi qual vestigia di un lontan passato quel suo correr a Azemmour dell’OumEr-Rbia all’oceano vasto, non lontan la povertà e la miseria son qui racchiuse labirinti d’intricate viuzze tra basse case giallo ocra un chiuso portoncino e sull’uscio un limitar angusto siede una sdentata vecchia in gramaglia nera a terra tre gatti macilenti magri le fanno amica compagnia tesa a chi passa la tremolante mano lo sguardo basso l’obolo attende e ti par di capir lo senti intimamente non tanto per sé se pur di stenti e di dolor tanti nella morsa quanto la speranza di spegner della fame il dolor dei mici Un lamentevol canto Cadde implume il passero dal suo materno nido la man di un bimbo lo raccolse e in una gabbia pose e con amorevol gesti curò poi e nutrì nel tempo messe le ali l’uccel tentò più volte e volte il volo che sempre s’infranse sbattendo sul metallo duro quindi si volse al bimbo e col vocin così gli disse come vedi son tuo prigioniero e come tuo trastullo non vanificar e render falso e impietoso quel tuo pietoso e caritatevole a me allor primo soccorso la libertà val molto di più di una prigion dorata: s’aprì o non s’apri caro lettor a tuo parer la gabbia? Il vascello della solitudine Or navigo solo sul vascello della solitudine mai finora qui si trovò nel tempo umana impronta né suadente voce qui de l’aere il silenzio ruppe se non dell’onde e del vento il suono e delle tempeste urlanti al tempestoso mare che in questo navigar mio amiche or a me saranno al dì fino dell’ultimo tramonto Dal novel Burchiello (12 Ottobre 2014) L’acque fende oggi correndo il burchio del Piovego e poi del Brenta lentamente e nella corsa se pur rotta da chiuse e ponti lieta alla vista s’offron palazzi e ville che di un tempo lontan portano i ricordi e nelle del suo correr soste a lo spirto nutrir nel suol calcando delle dimore i parchi e nel silenzio lor d’affreschi istoriate stanze sentir si sente di storie antiche e di leggende note o sconosciute: Napoleon qui dormì una notte là la bella Rosin con Re Vittorio vi trovò ricetto e quell’affresco di Enrico di Francia e di Polonia l’ospital con Doge Mocenigo e lieto incontro all’occhio dona e la villa vedi ove per il suo amor da carnal altri amori offeso vi segregò l’infedel sposa il nobil venezian Alvise che per anni Malcontenta visse e poi quel udir di nomi e nomi quali di dogi di dame e cavalieri di mercanti pittori e condottieri e primi di quei delle magion insigni costruttori degni di fama eterna per l’architettura somma in cui qui primo eccelse Andrea di Pietro patavino. Dalla caduta di una foglia Cade una foglia un distacco un ricordo nasce che di quella il volteggiar tosto scompone pezzi di vita inseguiti invano con lei lontan caduti e persi Pur spento l’amor mio Spenta la luna Spente son le stelle Pur spento l'amor mio Il tiglio L’ampio tiglio mi oscura dell’ultimo autunno quei pochi deboli raggi di sole ne soffre il mio gelido cuore che un dì sen fuggì lontano l’amore or attendo paziente che spogliato dal vento quel primo all’ultimo venga qual ristoro un dolce tepore Vecchio torno oggi Vecchio torno oggi con la mente a cercar nel campo dei ricordi quanto di buono e di cattivo lì nel tempo del mio vivere ho vivendo seminato atti incontri studio lavoro scontri discussioni in solchi arati in terreno smosso dissodato spesso accidentato e sassi e rovi e acqua e sole e tempeste e poi sereno prima con forte giovanile ardore qui gettato e poi negli anni medi in modo più attento ed oculato infine alla fine nel finire con saggezza un poco poco con tremante mano e passo tardo lento o con zoppia or per quanto vedo e trovo ritrovato ringrazio il Cielo e Dio mio Creatore In riva al fontanile Fiori di sambuco sulla riva al sol nascente l’anatra starnazza sull’alto ramo un nero corvo gracchia guizza veloce un pesce nello stagno gracidar senti una rana saltellante da lontan s’apron poi cerchi correnti al lancio di un mio sasso nuove vite s’agitan nell’acqua solo neri spenti senza profumo immoti fermi i miei pensieri. Ombre misteriose Ombre misteriose la notte del sonno disturbano il cammino e poi prendono aspetto quando lento fluttuando di sole un raggio il sonno giunge a risvegliare: son neri d'umana forma torbidi pensieri che arduo rendono l'entrar nel giorno nuovo. Guardando a quel passato Guardando a quel passato nostro e a quel tempo di giovani studenti forte ragion s’ascolti oggi ti devo già oltre il cammin dantesco giunti. Pur non bella ma carina ricordo mi piacevi ma anco ricordo che a te quel mio incontrar facesse schifo. Se ti guardavo se ti sorridevo lesta la mano ti coprivi il viso, se ti seguivo forte correndo lontano ecco tu fuggivi quanti tra noi di questi incontri scontri? Mi rivedo così oggi ahi povero frescone quel non voler capire qual vana fosse ogni corresponsion di sguardi e sentimenti che come perduto il senno per tempo s’agitò quel mio maldestro agire così ragion forte oggi ti devo per l’agir tuo di fronte a quello mio. La strada dell’oblio Sto cercando la strada dell’oblio ma il ricordo del mio passato è forte giro e rigiro come in un labirinto poi ecco sfinito mi trovo a lei davanti rabbia e delusione vi è vietato il senso Rapida scivola dall’animo la malinconia Al pensier forte è di pianto il desiderio ma nel ricordo poi del ben che dato avete rapida scivola dall’animo la malinconia oh voi tutte mie anime care trapassate nel tempo per passi brevi assai o lunghi incontrate lungo il cammino della vita Incubi Notte infernale sonno agitato anime spettrali demoniache agitavan la mente e l’animo tremava scosso pure il corpo che poi cedeva a un riposo falso affannoso da sussulti mosso tu da me tolta rapita o fuggita forse lacerante il tormentante dubbio tu lontan danzante in dissoluti orgiastici piaceri venne poi il mattin tu lì vicino a me dormiente a dissipare i dubbi a rassenerar i sensi nel violento scosso risvegliarmi Coni di gelato…gusto sapor di giovinezza Con man rapida riempie i coni il gelataio gusti diversi e colori vari delizia al palato festa tra lor fanno i fanciulli anche un vecchio fa la sua richiesta un cono pieno gusto unico sapor di giovinezza ad una vaschetta di colore verde speciale or par dar mano il gelataio Ricordo di mio suocero: Quel vecchio quadro Ho rivisto oggi quel tuo vecchio quadro ricordi? Dipinto vi è un angol del giardino e quel casotto basso lì vicino alla cantina dal muro rosso mattoni semi screpolato dalla finestra giallo ocra con il vetro rotto dalla grata consunta distorta rugginosa che un esile rampicante glicine abbracciava facendo a questa e al muro festosa compagnia sì in alto fin lassù in alto sì fino alla grondaia e poi vicino alla tua firma d’autore due impagliate sedie velate dall’ombra di quel alto pino di confine aggiunte mi dicesti qual segno a te assai caro di ricordo di momenti non più visibili e fuggiti quando lì ti sedevi con la nonna accanto attento e sorridente ai giochi di mio figlio allor bambino. Vorrei che ancora tu mi odiassi tanto Ricordi un tempo scrissi perché tanto mi odii? Come oggi vorrei dopo più di cinquant’anni che ancor tu mi odiassi tanto e tanto ! Fa calar l’oblio sai l’indifferenza ma non quel se vive forte sentimento ostile e che disprezza tanto che se più mi odiavi ecco che sì a me più forte tu pensavi e così nel tempo antico e così oggi vorrei che ancora tu mi odiassi tanto e tanto perché ancor vivo sia quel tuo forte a me pensare Ad un vecchio cespuglio di prugne da man violenta ucciso Oggi vecchio cespuglio di asprigne prugne non più vivi come un tempo festante nel parco cittadino, man cattiva bruta disonesta alquanto un dì ti tolse così per suo capriccio con ratto taglio netto. Il perché ora chiedo a quel vigliacco sconosciuto :che male ti faceva qual offesa poi ti recava in quel viver lì tranquillo oh vile maramaldo? Così vecchio cespuglio di prugne da man violenta ucciso di te voglio parlare di te questo a tutti ricordare sì ancor ricordo d’inverno le innevate bianco cristal tue larghe e giù pendenti brocche il lento tuo risveglio all’inizio della primavera quei bianco perla fiori principio e segnal allegro per la calda stagion di tondi giallo-verdi e amabil frutti qual doni offerti alla sete del povero mendico e de le badanti ucraine gioiose in quell’atto del distacco, dal vento poi spogliato ti avviavi al riposante d’autunno sonno. Vuoto oggi allo sguardo quel tuo un dì amico ospital prato e così oggi caro arbusto vivi sol nel ricordo mio. Tempus fugit Sento e vedo lo scorrere del tempo e il suo rapido fuggire, non è più poi l’oggi e s’approssima il domani in attesa del lontan divenir futuro, mentre la mente apre a quel passato luoghi visi cari momenti e illusioni. Sì ecco l’oggi sfuma e si colora poi ieri diventa e diventerà poi domani nuovi luoghi alla mente e visi nuovi vissuti e da viver nello scorrer del tempo sì illusioni e momenti nuovi: sì solo il tuo amor non fuggirà col tempo. La gatta e il vecchio Stanco s’alzava il mattino il vecchio pigro poi lentamente scendeva le scale di lui in attesa nello stanzino la gatta e di quel ghiotto boccone se ne stava, mangiava la gatta e poi gli sorrideva e del vecchio il viso si rasserenava e quel suo stanco sentir s’allontanava. Già semisonnolenta la sera era la gatta Sul divano stava allor seduto il vecchio oh quante tante volte prima di dormire al comando alle ginocchia sue s’accucciava poi spariva in attesa del sonno e del mattino. Morì la gatta, vennero poi sere vennero mattini la stanchezza rimase niente poi salti alle ginocchia or quel povero vecchio solitario vive di ricordi. Un nero puntolin codato Trovò la mamma un giorno ormai lontano nel giardino di casa un nero puntolin codato solo spaurito abbandonato il debol miagolare venne poi il bambino e pose una ciotola di latte da allora Virgola nera micina trovò una casa. Crebbe negli anni il bambino crebbe la gattina quindici anni di gioia di fusa di carezze e di sorrisi ieri tutto finì la nera parca si prese quell’amica in pianto è oggi quel bambino diventato adulto. Virgola Più non gioca il vecchierello con la sua gattina morbo crudel spense quel sorriso quel correr lesto alla ciotola il mattino quel ripetuto gesto alla buonanotte vuota la stanza vuoto quel cestino deserto il sasso là in fondo nel giardino dove al sol d’estate sonnecchiando stava libero quel cantuccio riparo dalla pioggia dalla neve nel volger dei mutamenti vari del tempo dei mesi e dello scorrere degli anni. Il vecchio guarda ricorda rivede e piange forte. Virgola bella nera miciona mia Non addio ma oggi ciao Virgola bella nera miciona mia, per quindici anni ci siamo fatti dolce compagnia, tu un dì piccola micina trovatella, sì una virgola un musetto un corpicin codato, io già lungo il viale discendente della vita, tu nel tempo crescevi ogni tanto qualche piccolo malanno, io poco a poco nel tempo declinavo ogni tanto acciacchi vari, la vecchiaia: ma quanti tra noi giorni anni felici ! Morbo crudel ha spento oggi il tuo sorriso così piangendo vivo solo nel ricordo tuo. Tanto di te vorrei qui raccontare ma.. meglio tacer quel tanto, moine giochi sorrisi fusa carezze e paure anche, poi quel, al comando, saltellar sulle ginocchia, …e questo così per sempre tener nel cuore mio. Oh mio povero frescone! Sì mi piacevi bimba e il cuor cercava dolcezza ma disgusto tu provavi e a quel solo amaro fiele. Sì ti giravi allor e celavi il viso a sguardi e miei sorrisi, vano il correr mio vano che lesta veloce tu fuggivi! Sì nell’agir mio oh che povero frescone allora non capivo potessi dirti oggi capisco sì capisco giusto l’agire tuo se non v’è corresponsione d’amor vana è la battaglia! Verso Luxor Poco lontano scorre maestoso il Nilo, qui alla vista un mondo arcaico vive: verdeggianti distese in lontananza tonache nere nel mar verde curve, tonache bianche e variopinte, barbe, colorati consunti copricapo più vicino, odori strani nell'aria di pipe al fumo un acre fumo s'accompagna dal fuoco sterpaglie arroventate rifiuti abbandonati, capre vitelli somarelli di guardia stanno a incerti blocchi di cemento, povere case pronte a salire, tondini rugginosi al cielo aspettano di calcestruzzo la coprente veste: fan compagnia ai ferri bianche parabole che incorniciano il vecchio nel presente; negli spazi giocano i bambini tanti, di pezza un pallon rincorron, in triste attesa le fanciulle di rassegnato son futuro già tristo segnato, ecco passa un carretto un asin qual motore dal volto stanco canuto auriga quel dirige, dal carco sporgente pondo, gialle di zuccher canne, un frusto ne strappa un vispo bimbo : con triste sorriso lo succhia e nella corsa morde men amaro nell'attimo fuggente il suo destino? Mentre danzan de la neve i fiocchi Vedo nell’aria danzar de la neve i fiocchi aerei son sottili bianchi e immacolati poi in terra cadendo acqueo umor lì nasce e in nera poltiglia quel candor si muore: nasce allora al cuore forte un desiderio forte oh potesse favorir natura il cammin inverso! Lancerei in tal caso lesto al ciel i cupi miei pensieri che da neri in candor bianco fosser poi lì mutati e danzando la mente lieta resa per sempre lì restare! Cadono i fiocchi, cresce la fanghiglia, vana la speranza muore il desiderio restano i pensieri e la mente trema. Sul viale del tramonto Povero vecchio che si piscia addosso è il giovane studente che ti corteggiava che tu sdegnosa irosa allora detestavi curva tu pure sul viale del tramonto muta se puoi quell’odio in un sorriso. Giocan tra lor le foglie Posson mi dico esser le foglie a un tempo qual segni d’amore che di dolor cocente ? Voglio con lor giocare a un sottile gioco: volan del tiglio nell’aria le ingiallite foglie son a forma di cuore qual simbolo d’amore vero sincero oppur sofferto e tormentato, s’accompagnan a quelle nel d’ottobre vento del castagno le acute appuntite lor sorelle vuoi frecce mortali o d’amor pungoli amorevoli: qui s’alzan nell’aria e s’offron alla mente e al pensiero mentre si mischian come giocar tra lor cordate e lanceolate e al gioco io per gioco ricorro pronto ai nostri amori non dissimili da questo di foglie intreccio e turbinio sì quanti amori da cuori trafitti mi dico son un dì finiti sì quanti amor nuovi oggi sorgon da altri cuor colpiti Invan la foglia cerco Invan oggi la foglia cerco che ingiallita dispersa è al vento con le sue sorelle a lei le speranze mie in primavera posi deluse al pari suo ingiallite e al vento perse. D’ali un frullio D’ali un legger frullio lenta oscilla una brocca ecco si stacca una bacca nell’aria avverti gaiezza un merlo felice che canta Cerca il pettirosso Regnan oggi la brina e il gelo una bacca cerca il pettirosso l’oscillar lento d’una brocca poi lieto d’ali un legger frullio e nell’aria di gaiezza un canto. Tut il bambino Faraone Nella valle dei Re dove l’occaso del sol si nasce la rotta roccia scolpita colorata non pace né eterna quiete, qual quel dì lontan la pietas sì volle, dona alla piccola mummia del Faraon bambino corpo un dì che trasparente teca tiene ed alla vista dei violator dell’infinito sonno suo oggi me compreso s’offre. E mentre scorre con lento passo la teoria lenta del guardian la lesta man al venal tributo s’offre suo quel furtivo raggio di torcia su occhiaie vuote dal buio a risvegliar e a occhi impietosi offrir e a Tut un dì potente oggi povere ossa rendere continua e ripetuta offesa. Giusto mi chiedo dei morti il sonno turbar nel nome della storia? Fuggiva l’estate..fuggivi tu.. Fuggiva l’estate dopo quei bei mesi calda stagione vibrar di luci di colori un malinconico autunno principiava già foglie gialle danzavano nell’aria in quel tempo caldi abbracci allora labbra di fuoco occhi di gioiosa luce giunse poi forte all’animo la malinconia tu fuggita foglia tu tolta dal ramo dell’amore Che fin han fatto quelle mie parole? Che fin han fatto quelle mie parole di simpatia o d’amor che principiava su fogli fissate o colorate cartoline? A te in particolar oggi lo chiedo dopo cinquant’anni da quel ultimo ricordo tra i pochi indirizzati invio: con rabbia lette, bruciate o ignorate? Mi piacerebbe invece questa sorte: lasciate con indifferenza estrema per anni sepolte in qualche libro oggi in pila su di una bancarella e trovatole un ignoto compratore dire potesse facendole rivivere nate eran da un vero intenso amore. L’onda dei ricordi Triste cavalco l’onda dei ricordi s’agita la tempesta della mente nel ricercar gli spazi del perduto tempo ore con te vissute allor qual estasi di sognante amore cerco mi illudo di averli ritrovati l’onda falsa fallace li allontana Quel ritmico danzar delle lucciole Quel ritmico danzar delle lucciole tra l’erbe, il canto delle rane ripetuto, già la notte pronta a dominare l’ora, l’ultimo sulla aia canto delle donne: le ultime gialle umide pannocchie denudate con gesti rapidi decisi dalle materne frasche protettive a riempir le scorbe quasi al colmo, l’abbaiare dei cani alla nascente luna, quel muggito dell’ultimo nato nella stalla dal familiar tipico odore tutto cerca oggi la mente alla memoria riportar quei giorni della giovinezza: sì ancor son lì e l’animo par rasserenarsi dal tumulto di un chiassoso caldo giorno. Un vecchio pendolo di mogano intarsiato Rivedo oggi nel tempo un luogo antico del passato e al ricordo caro familiare: un solo muro di quella casa dell’infanzia mia e dolce nido: rossi mattoni pien di crepe e ancor d’amore bianche sbiadite scritte e quell’evviva a Gino del Tour vincitore, dall’opposto lato una grigia parete stinta sol rettangoli biancastri occhi muti lì in risalto cosa mi ricordan penso di quel tempo andato? Cerco e un forte ricorso forte pongo alla memoria fruga dico trova indaga presto dimmi suggerisci ma invano: unico punto ecco un chiodo rosso ferrigno lì, sì sopra l’ore batteva della fanciullezza mia perduta un vecchio pendolo di mogano intarsiato, ore diverse segna oggi al polso d’acciaio un orologio. Convivio negato? Di Faraoni terra: lento corre il torpedone lento verso Luxor da Safaga e un canal di nilea acqua al cammin suo s'affianca e alla vista si presenta: s'ergon ville isolate deserte senza vita a destra, sulla sinistra sponda un pullular d’umili casine e in lontananza campi s'estendon verdi di culture: donne, neri puntini, accucciate curve al lavor intente, a ridosso sulla riva dove fumando alberga la mondezza giovani anziani vecchi e poi bimbe e fanciulli tanti vocianti creano allegria, allegra se pur in vita grama la fanciullezza lor trova sì radici e debol scarsa linfa. Così a loro e a Dante e al suo Maestro Aristotel greco corre il pensier e al desiderio di conoscenza innata di sapere alquanto: perché il Convivio a lor negato? Uno, il più piccino mi guarda mi sorride la man lesta agitando al mio sorriso che tosto, la strada corre, si spegne e si rattrista... tarpata forse una acuta mente che si accontenterà di guardar sol lo scorrere degli anni. Pensieri…pensiero… Torno spesso a meditar nel tempo sull’umor dei miei pensieri e il peso nuvole alate azzurro bianco chiare vedo portar danzando i miei più lievi nuvole nere dense scure di procella i cupi trascinano in tempesta fosca persi i primi per sempre nell’immenso ritornan qual saette ardenti e grevi i secondi come a colpir ancor la mente questo è il pensiero antico sempre nuovo si scambino per sempre le nuvole i pensieri Il villan si lava i piedi In questo afoso caldo caldo dell’estate mentre patisce il corpo quasi sfatto e pur la mente par perder i pensieri a rinfrancar il primo e quella attenta ritornano i ricordi: voci suoni care figure di un tempo non perso non dimenticato di estati afose calde e di un tempo antico. Ed ecco ritorna viva presente la memoria: si lava i piedi il villan sul limitar dell’uscio suona la campana del vespro in lontananza e poi quel gracidar nel fosso della rana scende la notte danza la lucciola tra l’erba e Lilla e Dora cagnoline abbaiano alla luna io fanciullo al sibilar delle zanzare sogno. Batte l’onda salsa La salsa onda forte forte batte la scogliera all’urto un vento salmastro s'accompagna su quella pietra io scrissi un giorno t'amo rossa la vernice un cuore ancora affiora vecchi ricordi erosi di un finito amore quanto soffra dei colpi quella nera roccia a nessunè dato perduta amata di sapere quanto inver io soffra per l'abbandono tuo ogni colpo dell'onda è un forte colpo al cuore haiku in grappoli …………………….. brocca di pesco un cinguettio sul ramo allegria nell’aria …………………………… spighe dorate azzurro terso il cielo volo d’uccelli ………………….. canto di grillo tripudio di colori danza la talpa …………………. cicala canta impazza il solleone rotto il silenzio ………………. lucciola danza notte sull’erba buio scia di luce ……………………… misera stanza regna luce malferma pianto di bimbo …………………….. il sole nasce inno alla aurora canto del gallo …………………… freddo polare sol un carton per letto un triste pianto …………………….. nel verde splende di color forte vivo rosso geranio ……………………. raggio di sole lassù sulle montagne neve che brilla ……………………….. un muro antico d’amor scritte sbiadite rid’un ramarro ……………………. biondeggia grano macina gira gira bianca farina …………. stelle cadenti lì luminosi sciami pianto del cielo ……………….. stelle cadenti desideri sopiti eccoli nuovi …………….. spenta la luna pur spento l’amor mio spente le stelle ………………………… lavanda in fiore ridon colline e prati gioisce il cuore …………………………. brocca di rovo fredda neve nel bosco spina nel cuore ………………………….. foglia di gelso un rumore leggero bruco che pasce …………………. brocca di rovo gocce rosse di sangue spina nel cuore ……………………….. il tiglio piange nella notte silenzio resinoso gel Quel canto melodioso canto Si sveglia il pescator in mezzo al mare sì che la notte cede al chiaror dell’aurora e con concerto accendonsi i dorati raggi del germano sole ed ecco di un nuovo giorno il sorgere leggero, un acquarello di colori il blu dell’onda il rosato cielo lo scintillio di aurei riflessi, or l’ora è qui giunta non per gettar la rete e l’ittica fauna dalle profondità render qui captiva ma per sentir nel silenzio dell’incanto ancor della innamorata il melodioso canto. Da tempo da quel dì quando dallo scoglio cadde cantando a lui d’amore un canto e l’onda a lui rapì quella fanciulla bionda Eos ed Ersa dal sonno lo traggon lor pur dolenti per fargli amica compagnia. Come la salsedine Qual la salsedine cade ed il lucente metallo si corrode, qual la nebbia tutto ricopre e la visione tutta oscura qual la fuliggine nera tutti i colori muta e li scolora così per lo stillar d’amaro fiele al cuore giunge pena così turbato è l’animo da oscuri e neri sentimenti così spenta è la gioia di goder della gioia dei colori dal dì del fuggir lontan da me dall’abbandono tuo Nel tempo Nel tempo la salsedine corrosa ha la cornice, nel tempo scolorita ha il sole la fotografia, nel tempo, tanto passato, al cuor non muta dolce amica di un perduto tempo il tuo sorriso. Quell’odore di piscio No alla tua fine eleganza che attira no agli inebrianti profumi che spandi no a quella tua anima nera nascosta da sudici panni che turban la vista da quell’odore di piscio che appesta ecco lo spuntar poi di un’anima bella ma il volgo apprezza ingannato l’inganno Non più per me spighe dorate Laggiù spighe dorate a un vento gentil ondeggiano e piegansi ridenti, più su in alto un cielo azzurro terso, da qui d'uccelli battiti d’ali festanti a quella bionda pastura dolce vanno, lieto frullio senti nell’aria ed allegria. Oggi alla mente torna quel mattin lontano, altro era quel dì quel campo altre eran pur quelle dorate spighe, d’amor così volavan i pensier miei e tu che poi festante lieta sorridevi, oggi ormai a me non più spighe dorate non più di Cupido ali spiegate in volo non bionda dolce pastura ai desideri che già sazio di dolore è il cuor mio per quel nel tempo andato abbandono tuo Un Maggio antico Maggio spento piovoso oggi ad un maggio antico colorato corre la mente tristemente a quel verde prato serra di fiori dai colori vivi accesi per il nascente al giorno sole al man mia che la tua cercava tra il rosso papavero l’azzurro fior d’aliso gialle margherite a mani poi congiunte principio d’un amore man oggi in questo maggio l’una stanca l’altra a vita spenta in questo maggio spento vivo intenso acceso sol il dolor mio. Qui rincorrevo i miei acerbi sogni Rivedo oggi quel luogo a me sì caro qui rincorrevo i miei acerbi sogni girando ad occhi chiusi attorno all’aia certo che tu nascosta tra un pagliaio ridendo mi guardavi aperti quelli poi era tra noi di sguardi un sottil gioco sogni d’amore per una bimba bionda spenti poi quando crudel morbo spense quel suo sorriso e i dolci azzurri occhi bianca la bara leggera dove ti posaron altri sogni altre speranze all’animo mio s’aggiunsero poi nel correre degli anni cose belle sì vidi ma di più le brutte inutil guerre intestine lotte di potere brame al dio denaro tutto sotteso poi pochi gli slanci d’amicizia veritieri bimba ti ritrovo oggi nel camposanto sola. A S. Per il dolor qui S. l’esile bianco collo a un ramo de la quercia appese sua giovinezza spegnendo brutale fu l’oltraggio il passo ferma o viaggiator cortese dal prato un fiore cogli e qui deponi lo irrorerà il qui vicino salice piangente. Niuna stilla d’amor a del cuor l’arsura Timida prima poi con gocce tonde e forti alla finestra batte la pioggia settembrina e ne riga i vetri con intrecci di rivoli sottili, al ticchettio ed al ritmo si destan gli assopiti sensi, diversi pensier genera la risvegliata mente di color allegro il primo cupo nero l’altro: che s’alla riarsa natura lieto beneficio occorre a spegner del mio cuor l’arsura niuna d’amore stilla! Dolor che non si spegne e si rinnova Abbandonato il giardino ha il pettirosso in altri lidi da qui lontan si è avventurato or su le brocche antiche e le nascenti foglie del vetusto d’anni nespol dal rigor del verno tanto tormentato liete dal volo saltellan quattro capinere vite e natura nel tempo si rinnovan pur non si spegne e si rinnova nelle mutate stagion al tuo pensier al ricordo il dolor mio. Rosso sanguinante sol rimane il cuore Spente le stelle velata pur la luna grigio cinereo l’universo cielo dentro me guardo da quel tolto lo sguardo: per te quel sentimento spento per te oscuro il mio pensiero non acceso ma nero l’universo amore rosso sanguinante sol rimane il cuore. Del tempo colpa or chiedo? Del tempo colpa or chiedo se ancor a te corre il ricordo pochi cinquant’anni son che all’oblio la tua imago ceda? Stolto al cuor non si comanda una voce dice che parte da lontano certa son certa sì che per l’eternità vivrà di me di me per te il ricordo. Qui ritto, qui fermo, qui davanti son Profondo il silenzio, pure l’aria è muta, qui ritto, qui fermo, qui davanti sono e’ l marmoreo monumento io fisso: qui, nel piccol cimitero del paese, qui la mamma dorme e non lontan, che presto tolta alla vita, la giovinetta figlia, mia sorella, pur riposa, papà accanto da tempo a lei fa compagnia. Questo, mamma, il mio parlar silente: potrai alla mente chiedo mai sentire? Molti anni abbian qui noi due pregato, più di cinquanta, tanti, ricordi, tanti tanti, poi anche tu, ormai stanca debole e canuta, me e la vita hai abbandonato, oggi solo qui son nel pianto forte in preghiera nel ricordo. Sì più non s’apre Picchia invan la mano tua qui contro, dal tradimento tuo il cardine è corroso, a te sì più non s’apre la porta dell’amore, sì ruggine ferrigna non solo quello ricopre ma pur la chiave del cuor che un dì t’amava. Sol muti e non vocianti Rotto del luogo è qui il silenzio, l’aria silente si anima di voci, il gracidar nello stagno della rana, del cuculo il verso in lontananza, lento pur mormora il ruscello, della lucertola nell’erba lo strisciar, frasche e vento chiudono il concerto: sol muti e non vocianti i pensier miei. Geme dell’amore il motor Nuvole leggere, il ciel rosato azzurro, poi repente il tutto muta, minacciose nere sorelle caccian quelle, nell’aere scuro cumulonembi si fan strada, al baglior guizzante il tuono forte segue, la terra geme colpita da grandine violenta, in simil ratta guisa quel dì divenne il sentir interno mio, il tuo sorriso spento, in odio tramutato, al cuor sereno, tanto ancor d’amor sognante, fosche d’ambascia nubi scagliò sì tanto: di grandine dolor tempesta il motor dell’amor ne fu colpito. I melograni di Mornico Losana Nella stagion che di rosso intenso s’apron dei melograni i fiori macchie di queste colorate gemme di Mornico Losana ornano la veste, sul limitar stanno di pietrose antiche case abbandonate, in giardini, un tempo, tra spessi rovi s’ergon a fatica e tra sterpaglie secche, lungo pendii che scendon verso valle e sui cigli qual sentinelle ferme delle strade all’arboreo scintillante quadro donan sua completezza sì che nel caldo giugno questo al ciel volto rosseggiar di fiori rossi negli anni nel tempo si rinnovella dolce vision donando. Verso altri lidi migrar? Piange afflitta da dolor colpita è la lombarda musa contadina, osannanti cori e d’incenso il fumo lungo le pendici di novelle cime qual del Parnaso e d’ Elicona vette han turbato lei sì misera e tapina. E’ indarno qui elevar il canto tuo altri più modesti terreni cerca lidi qual del tuo Ticin l’amate sponde. Verso campi fioriti Più non ditta la contadina musa lontan lontano s’è da dì nascosta arida la mente il calamo che verga fermo si riposa abbandonate forse l’arse ortaglie secche sue dimora verso campi fioriti profumati vaga onde doman l’usual povero verso mio dolce fragranza delicata dia? Sicilides Musae paulo maiora canamus( Virgilio) Absit iniuria verbis! Dialogo tra un poeta ed un lettor nel Sito errante I Dell’occorso dialogo il dir qui ecco vien qui posto quel tra un assiduo lettor del Sito e d’un poeta iroso tanto e dall’umore strano anco, curioso poi si veda l’epilogo finale. L: Perché nessun ti legge? Pochi invero alle righe tue son i commenti o note. Qual la ragione io penso ti domandi dimmi se credi e avrai da me risposta. P: Nel Sito il tuo orientamento quale quali delle scelte tue quale il cercar? Del poeta il nome il faro tuo la meta per antica conoscenza tua o il tema che riflession alla mente seria pone ? Dopo l’assaggio fatto d’un sorso netto cade il giudizio di sì o no su il vin in botte o dal profumo nel bicchier di poche gocce scese quali per la poesia alla vision tua i sol primieri pochi inizial lì posti versi ? L: Per minchion forse m’additi e prendi amico? Onde evitar che insospettato amar gusto mi colpisca ad altri l’onor del bicchier il veder la fine qual tu comprendi certo al momento letture son e giudizi espressi e tanti riportati. P: Dell’altrui gustar nuova bevanda merito dato mai poi ti colse un tempo danno che aceto ti colpì al posto del licor quel desiato dolce sapor sperato? II Il dialogo trovò così allor brusca netta cesura il lettor nel Sito errante lo gnorri tapin facendo poi girò le spalle e muto da quel il passo prese: dubbio nessun del poeta voi dite fu l’impertinenza? Solo arse sterpaglie e secchi arbusti Non di verbena fior non di viole profumati prati della musa mia contadina è l’affannoso cercar onde il canto elevar del cantar mio solo arse sterpaglie secchi arbusti il piede suo lento stanco percorre a noi così sì piace questo odorar dal gusto antico intenso e forte altri Pison cerca altri poi sferza emulo tu nel cantar aulico tuo del miel aspro dolce di Venosa alla ricerca dell’inclito verso. Quintiliano: Satura quidam tota nostra est Orazio: Ars Poetica Con simpatia ed amicizia ai veri Poeti del Sito da parte dello scribacchin lombardo e della povera sua musa contadina L’amico strillone In via Manzoni lo strillon faceva da anni sfortunato povero nato grama la sua vita, altri una lontana sera sui giornali il nome suo lì ben posto gridaron, una foto accanto, scritto di sotto avvenente giovane straniera l’amore felice trova che col barbon s’unisce suo quella sera il richiam del giorno questo la didascalia a tutta pagina grande questa, un vil vilmente l’avea per poche lire venduto che faceva quel dì quel tristo comunal addetto? Falsa ingannevol per gli onesti quell’union era per uno spicciol di danar una italianità comprata quel sogno falso di falso d’amor morì il dì stesso due bottiglie non più di vino bevute con gli amici svanita dove chissà de l’inganno quell’avventuriera un nuovo strillar triste risuonar si sentì ancor tristemente da lui triste la sera dopo in quella via. Degli elementi la materia prima Or a te teologo la domanda pongo che il poeta divin un dì a se stesso profondamente pose degli elementi la materia prima esser da Dio o no intesa or se l’assunto il primo fosse provato non fisico mero fenomeno meccanico dello stagno quel gemer suo quando d’abito si muta e la nera peste su di lui incombe poi sì che in tal guisa al dolor soffrir forte dei metalli il pensier nostro quindi si ponga allor che in ostil a lor ambiente perdon forma e sostanza e sol diciam con banal dir corrodonsi. Vedasi di Dante il filosofico pensier al riguardo e nel Convivio in particolare. Ricordando Anite Quel lor gattino piangono i bambini cui di atroci dolor morbo crudel forier a quel un dì la buona morte impose come così un tempo Mirò la cicala sua presto alla vita tolta per l’Ade oscura buia tristezza sempre il gentil cuor pervade quando lacrime giovanil cadono calde all’iniquo dipartir dei lor cari trastulli . Anite poetessa alessandrina nata a Tegea-Arcadia nel 360 a.c. circa. A Mirò che piange "infantil lacrime" per la perdita dei suoi trastulli ( un grillo,un usignolo, una cicala) una delle sue più belle liriche. Ricordando Ipponatte Cinga Euterpe il capo d’altri del mirto sacro e dell’alloro non scazonti dal corretto ritmo che zoppicanti sol al dir mio ditta povera musa contadina. Ancor mi chiedo lasso Ancor mi chiedo lasso t’amo perché le dissi crudo sì come temevo quel suo repente dire vederti più non voglio odioso il tuo sembiante quel profferir disgusto alla vista son all’udir mio: allor amarament'io piansi. Il rosso papavero Le dissi t’amo sì in primavera come il rosso papavero così prese color vivace il di lei viso anch’io poi rispose e mi sorrise ma come morta la stagion del fiore pur come quel avvizzì il suo amore. Se fossi Dante Se fossi Dante non avrei nel poetar difetto della metrica non schiavo ma patrone il rigor del verso certo e lo scorrer suo perfetto non insulse parole ma per mamma diletta genitrice mi punge ambascia per dolor mio al calamo ratto quel fuoco de la mente ma scribacchin son per cui non rubo tempo al tempo per agire di cesello nella ricerca di rime e di lessico forbito così alla mia povera musa contadina nell’istante a lei m’affido come quella detta vo significando sì insulse ai più immonde righe ma di lor a me non cale ad altro fonte vadan pure a dissetarsi. Il fiordaliso Come Chiron da freccia mortal colpito al dolor col fior riposo pose l’azzurro fior d’aliso tra bionde messi pur io andrò a cercar sul cuor d’amor ferito lo porrò per la pena mia così lenire. Indifferenza e solitudine Cupi rintocchi manda la campana s’annuncia un funerale piazza deserta chiesa semivuota là una povera bara spoglia misera senza un fiore accanto tre persone tremanti canute malvestite un solo prete unico assistente il sacrestano alla domanda mia era un povero barbone la risposta il guaito di un cane in lontananza Geme dell’amore il motor Rosato azzurro è il cielo, nuvole leggere, ecco che all’improvviso muta, nere dense minacciose cupe sorelle caccian quelle, nell’aere cumulonembi si fan violenta strada al guizzante baglior segue il tuono forte geme indi la terra da grandine colpita, così nell’attim da parola mala nata sconvolto è il sentir interno mio che al cuor sereno d’ambascia fosche nubi a quel rapido rapido porta il mutato in odio quel tuo primo sorriso e così di colpo colpito geme dell’amor il motor da grandine di dolor ferito. Una mente elettrica elettrizzata. Polarizzati all’anodo son meri criptoionici pensieri fuggon veloci gli elettroni qui della vera conoscenza si riducono poi pian piano all’opposto polo i protoni della memoria del ricordo nell’indifferenza il tutto dei neutroni dell’insipienza. Il topino di Salina Cadde sul ciglio della strada il topolino colpì poi piede crudele, agonizzante pietosa man con cura la tua raccolse indi tra fiori profumati pose che a lui fosser gentil bara. Luglio 2011: Isole Eolie con mia moglie G. Il barbone e il bambino Il nome vero suo mi era sconosciuto ricordo solo di quel simpatico signore che dormiva sotto i ponti di Lambrate di giorno spesso delle bocce rassettava i campi di un oste lì vicino a casa mia poi non sto a dir come io allor bambino di quel barbone divenni poi amico suo. Volle un giorno di un sogno vero suo raccontarmi da lui, da barbone, mendicato che anche lui volea come signor sognare, questo l’inizio: un dì nella notte fischiava il treno, come d’incanto di quel rombante si trovò alla guida ed ecco, oh bello: binari immaginari e terre mai viste sconosciute, folle la corsa non vi erano fermate…e poi? Bambin te lo dirò se vuoi te lo dirò domani, venne il domani tanti domani ancora ma mai più mai tornò da me per continuar d’allora. Un volo di gabbiani Punteggia il verde scuro degli abeti di San Pietro la collina, il mar laggiù d’un azzurro chiaro fermo, nel ciel nuvole bianche immote, leggiadro di gabbiani un volo anima il quadro. Un mattino all'isola d'Elba L'amico delle stelle Spesso sorridendo mi diceva amico non ho mai sognato ma se le stelle guardar sognar vuol dir sì son ad occhi aperti un grande sognatore ch’a Sirio e sue sorelle, alle lucenti stelle, di cader prima nelle braccia di Morfeo affido i pensier miei, quei miei voluti inappagati desideri: così lassù vedo rasserenati i primi forma prender poi i secondi per celeste incanto infin mi prende il sonno dolce dolcemente. sempre in ricordo del mio amico Barbone Tera de Pipp Mi diceva non ho mai sognato ma se guardar le stelle sognar vuol dir sì son grande ad occhi aperti sognatore che la notte poi dormo secco in un misero giaciglio di cartone. Il nome vero suo mi era sconosciuto solo Tera de Pipp era chiamato, gentile sorridente viveva sotto i ponti, ricordo un dì mi diede qual regalo di bocce un colorato paio, curava tuttofar per un bicchier di vino della bocciofila i campi del burber canuto oste noto signor Peppino, ma un giorno mi raccontò di un sogno un sogno vero suo, l’aveva mi dicea l’aveva mendicato che anche lui volea sognar mentre dormiva:sì fischiava sopra il ponte il treno nella notte, come d’incanto di quel rombante si trovò alla guida,binari immaginari terre sconosciute non vi eran nel viaggio le fermate,una folle corsa tutti da terra ridendo lo guardavan, d’oro la giubba avea diamanti li bottoni non più, non più quel povero straccione nel sonno nel sogno felice mormorava ma il sogno sognato durò poco, urtato si sentì il calzone mentre lui guidava, di botto sfilato gli avean quel suo poco tagliata la saccoccia del liso pantalone, questa del sogno l’ amara….. conclusione. Dai miei ricordi di bambino- Milano anni '50- Via Marco Aurelio- Una bocciofila-Un caro vecchio Amico il "barbone" ma Signore Tera de Pipp. Io e la quercia Del querceto di quel tempo antico mio solitaria or te ne stai tu maestosa pianta dall'ostil ascia ch'abbatte risparmiata, non più sorelle allor tante che or ti faccian tenera amica compagnia come nei dì lontani degli infantil poveri nostri giochi di fanciulli a chi più ghiande le grandi tra noi a gara da la grandinata lì caduta sparsa raccattar sotto dalle verdi verdastre chiome vostre tra quella infin ricercar poi le tumural galle quelle poi lanciar ne l’aria in alto allegri e de le prime cupole cavar barchette per il rio per minipipe lunghe poi gli acheni fornelletti trastulli nel tempo nostro poi perduti com’anco gioventù andò tra noi perduta e dolor non solo come te pur io solitario rimasto nel prato de la vita persi i compagni miei tutti dalla falce che a caso taglia senza guardar sia tenero virgultosia tronco spesso. La vecchia quercia Del querceto antico solitaria or te ne stai maestosa amica dall’ascia nemica risparmiata non più sorelle che ti faccian compagnia come nel tempo di quei infantil poveri giochi a chi più ghiande a raccattar tra noi da la grandinata lì caduta sotto dalle verdi chiome ampie tra quella ricercar poi le galle e quelle poi lanciar ne l’aria dalle cupole barchette per il rio pronti poi gli acheni per le pipe trastulli poi perduti la gioventù perduta io solitario pur ....persi gli amici. Bianchi batuffoli Bianchi batuffoli qui aleggiano nell’aree, i pappi, piumoso dono del pioppo al venir della primavera e a lor vorrei lanciare i miei pensieri: quale il timor? Perché la mente frena? Che i cattivi poi il vento non disperda, che gli allegri a terra poi in nivea coltre piede non gentil li vada a calpestare. Così nel dubbio me li tengo e quelli lasciando come nati liberi e leggeri. Solitudine Estraneo son alla vociante folla rumorosa, attorno a me sol vuoto tutto è nulla, a me ghiacciati i sensi a me sì spenti dall’abbandono tuo. San Severo II ( Quel chiassoso rione milanese) Quel chiassoso mio rione milanese dove il parlar lombardo di paese cedeva al vociar forte del pugliese io studente liceale lei esile sartina che guardavo passando ogni mattina lei di rimando una mossa birichina solo sorrisi sì solo affettuosi cari sguardi tra di noi neanche una parola e tardi poi il dir tentai la timidezza vinse, troppo tardi che migrammo da quel sito amico, lontano lei così disse la Maestra agitando la sua mano al paese del nonno quale sposa sì a un paesano, io sempre a Milano a Città Studi lì vicino chimico industriale questo poi fu il mio destino Africa Asia girar Americhe e qui mondo latino impianti acque dei metalli studiar la corrosione loro per l’Italia e il Sud di viaggi di missioni la collezione contar non so ma un giorno laggiù ecco il magone quel luogo non lontano un cartello recitava un nome mai scordato di paese mi indicava: di lei giunto chiesi e la voce mia rotta balbettava nel dire nel sapere confusione e delusione tanta tanti gli anni da allor passati all’incirca sì quaranta nel chiedere nel cercar poi la mente crollò stanca volle però il destin non so se crudel oppure amico che lasciando quel paese ecco un volto caro antico di fanciulla mi si presentò attraversando un vico parea nella vision offerta la dolce sartina di quel rione una nipote forse o figlia creata della mia immaginazione? Mi sorrise perché ancor mi chiedo: quale commozione! Così con le lacrime agli occhi mi rividi lo studente liceale del rione. Una sera lontana a Motta Visconti Riempiva l’aria della sera al calar l’odorosa menta verde selvaggia il calor dell’aia si spegneva profumo di pannocchie lì di granturco al sole il silenzio rompeva del grillo il canto dal fosso della rana il gracidar s’unia la Lilla e la Dora care di mia nonna allegre cagnoline con l’abbaiar piano leggero lo starnazzar dell’oche e dei tacchini il goglò voci più davan al serotin concerto. La frugal cena poi già pronta era sul desco oggi così vorrei dopo che il tempo fuggito è tanto risponder come allor a quel su corri è pronto: vengo sì cara mia vecchia cara nonna vengo. binasco 25-04-2012 Aprile oggi.... S’accompagnavan un tempo nell’età oggi lontana della giovinezza mia d’april dolci serate all’amor garanti in questa tarda età april a lei s’adegua oggi freddo e tempeste l’accompagnan spento l’amore a me solo noia tanta regala. Incanto mattutino Un cielo in lontananza arabescato rosse bluastre di colori pennellate il volo di un aereo le scompone trasporta poi un soffio più vicino bianche nuvole pallide intarsiate da raggi del sol nascente modellate sotto di loro passa poi più in basso in elegante volo un cinerino airone che poi scompare lesto alla mia vista mi perdo così tra voli nuvole e colori. Tra donne sole .......vorrei… Tra donne sole sole da tempo abbandonate in un ospizio tetro triste figlio esser vorrei per donar loro un bacio una carezza lieve tra donne sole sole carcerate quale la colpa giardin fiorito verde prato senza sbarre esser vorrei almeno per sette otto non di più ore tra donne sole sole in gramaglie nere figli mariti persi in guerre senza senso atroci esser di consolazione vorrei ma non so come da Abele e Caino falsa parola e la parola pace tra donne sole sole denutrite coi figli loro che piangono la fame nutrimento manna vorrei essere celeste che nel pianeta per sempre tolga questo risolva questo atroce dramma tra donne sole sole che nella vita mai amore bussato ha ai cuori deserti freddi loro Amore essere vorrei almeno per un secondo solo dare felicità un bacio una carezza basta poco. Questo mio vorrei : a tutte le Donne che nei secoli hanno sofferto :solitudine..prigionia...dolori..disgrazie.... fame...mancanza d'amore. Il gatto (Rufus) In falso inverno cominciò una fiaba: era l’inizio della primavera. Venne dal pelo maculato eroso, nuda la carne e una malferma zampa, tra la neve mendicando un osso il gatto e qui trovò ristoro. I tuoi attenti atti e un amorevol tetto a ritrovar le forze e la speranza di vita migliore e senza stenti lo portaron. Or ti guarda felice e ti sorride alla carezza attento. A Graziella 24/04/2005 accadde in quei giorni dopo una nevicata Roteata lontan fu del tuo amor la sfera Come quando l’occaso del sol giunge e sia ombre vecchie spegne e nuove la principiante sera accende e nell’ora paure speranze attese ai cuori sorgon, quali che sian non è dato poi di sapere che ciascun nell’intimo le stesse poi nasconde, per me allor che dal cerchio del mio mondo lontan roteata fu del tuo amor la sfera calda non della sera il principiar ma notte fonda e buia l’animo mio tutto sì avvolse che ognun scorge guardando il mio sembiante: la speranza morta del ritorno tuo in me vive solo…. la paura. Il davanzale della malinconia Sì ombre immaginifiche e silenti qui sul davanzale, vuoto spoglio da sussulti al quieto vivere sereno, della malinconia mia già da tempo ingigantiscono paure immotivate: parte di lor nel vuoto già lanciate nel sottostante balcone delle idee che di dolore trafiggono i pensieri, altre, le più, nella mente inver ancor da maligna diabolica colla trattenute sempre presenti, fantasmi sconvolgenti ravvivati da fantasmi tra quell’ombre che il cuor e l’animo rattristano sì tanto. Freddi simulacri Tra di me leggo i miei versi d’amore povere parole freddi simulacri d’odi saffiche e dei melici monodici, perché a tanto è giunto l’ardir mio mi domando? Una una sola la risposta, poco mi parea dir amata mia amata cara sai che t’amo. Sogni distrutti Ho strappato con forza dalla bocca nera della notte quei sogni diversi erano quelli che il mattino con un roseo sorriso mi aveva regalato. Insidie della vita: circospezione Rosso era il vestito luccicante suo, occhi i suoi verde smeraldo,la bocca sua poi ben formata, labbra fiammeggianti, con inganno quella lo portò, almen così credea,quel dì con sè alla casa del piacere, nell’ampia stanza giunto di marmo le colonne vide, figure dionisiache di menadi d’alloro incoronate e satiri caprini danzanti voluttuosi e lieti alle pareti, a terra poi dovizia grande di tappeti dal vel pregiato arabescato, divani poi di fine seta aurea purpurea rifiniti finemente,invitanti infin coppe e tazze di metallo fino, fuor qual manici ornamenti a mò di fallo, dentro della vite colmi dell’inebriante dolce asprigno alla bocca sì gustoso succo. Così lì nell’estasi dopo il primo sorso di quello ben gustato, mentre già pronto, dal vigor dal rosso licore che stolto si credea tratto, all’ardente agognata dei voluttuosi sensi d’amore dolce pugna, tardivamente si scoprì, giunto un torpor e una vista corta sorta, misera preda poichè scoprì che falso era di Venere l’agone.Triste delittuoso fu l’inganno che di novella Circe capì della magion la soglia aver bensì varcato, la cui magia tramutò poi di colpo quel primitivo suo vissuto incantato incanto,che di tutto agli occhi suoi si mutò d’aspetto: ferree di rovente fuoco le colonne, orrendi infernal mostri lì in attorno, strame letame di contorno, infin qual sortilegio per l’ingannevol pozion finì in vacca lui stesso trasformato e su sudicio lurido di sterco pagliericcio di lei, rosso il mantello occhi di bragia alla bocca nera, schiuma bavosa, in foggia di furente bronzeo toro l’onta subì di un fatal e ben diverso da quel sognato e sperato iniziale amorevol dolce amplesso. Spesso dimentichiamo a casa quell'erba moly che Ermes ( Mercurio) aveva dato ad Odisseo ( Ulisse) per sventare le malie e i sortilegi della maga Circe. Metamorfosi dei sensi S’interrogò quel dì pensoso in riva al fiume che diverso strano e in tutto misterioso gli apparve quell’accadimento che l’acqua in corsa gli mostrava fatta d’opposti di dubbi e di incertezze alquanto varie: sì ritto di certo era, in piedi, e nel riflesso si vedeva curvo, bello nel fior degli anni ancora e compariva qual cadente misero vecchio: di bell’aspetto sì era orrido alla vista invece il suo povero sembiante. E poi ancora cos’è questo mistero ancor s’interrogava pensosodubitabondo in riva al fiume: quale dunque era la stagione che l'avvolgeva: gelido inverno e freddo o invece una afosa e calda opprimente estate? E poi, solo, libero e ramingo sopra un monte dalla vetta alta: sentir grandi silenzi e infiniti spazi goder niente affanni , pace o chiuso, in gabbia, in tumultuosa città tra una vociante folla: calca opprimente ostile, vista chiusa impedita tanto ed un urtato dolorante violentato petto? Cosa era poi quel giardino? Misterioso, strano: rose dal profumo dei mughetti mughetti rossi dal profumo intenso della rosa! La pioggia lo bagnava e si sentiva completamente asciutto,una fame divorante lo assaliva e nel contempo si sentiva sazio,voleva parlar d’amore ma in cuor sentiva sentimenti d’odio. Smarrito non capiva poi se sua oppure di qualch’altro, se tutta vera o invece tutta falsa, se occorsa poi in sogno o nel tempo vissuta per davvero e poi, nel tempo, se ieri o in un passato più lontano fosse stata questa storia. Era il riflesso rotto e distorto dell’acqua nella corsa che portava a questi dubbi, a nuove e immotivate sensazioni al porre a tutti i sensi domande insensate per la mente? Dubbia lettore è per tutti la risposta: quello spintone in riva al fiume gli parve allora come una carezza era già morto annegato ma ancora vivo per sognare ? Il perdono di mia Madre Notte senza Luna qui del Camposanto serrato il cancello rugginoso aspetto, il cammino aspetto di anime silenti che per amico hanno corpi evanescenti, dicon che parlan solo con il viso triste o sorridente qual che sia il pensier loro nel momento, ecco passano lievi lievi cerco tra loro coi tremebondi sensi il viso caro di mia Madre e tremo tremo temo il giudizio severo per quel giorno, muto pavido vigliacco la lasciai insultare forte fardello grave la colpa ancor da espiare, ma invece mi sorride come per dirmi già allora ti avevo perdonato l’animo tuo non sia da oggi più mai turbato e un pianto forte dirompente il mio accompagna quel suo sorriso fuggitivo. Binasco (MI) 24-03-2012 Ricordando Metastasio--è la fede degli Amanti... Cosìè, certa sicura allora così tu parlasti, questo sbocciato oggi nostro amore non morrà come rosa delicata sempre fiori donerà nella serra del cuor mio degli affetti chiuderò quale virgulto vivo assai protetto ben curato come zolla tutto l’ardente esser mio il sole dolce il mio sorriso la rugiada fresca i baci miei gentil soffio le carezze mie nel sfiorarlo lievi cosi è certa più sincera dopo un mese solo che l’amore nostro è già finito così dici cosa vuoi stavi tu lontano senza palpiti il cuore rotta la serra poco il sole secca la zolla ferma l’aria il fiore dell’amore non poteva che appassire: ben disse e poetò un giorno il saggio Metastasio. Il vecchio castagno Dopo anni torno a riveder questo luogo amato dove dall’alto dalla costa tra i verdi boschi felice tu scorgevi l’ansa del Ticino, del leccio i profumi del castagno delle felci dei mughetti nel vento respiravi forte e da giù sentivi venir della lodola il canto lieto il gorgheggio dei merli dei fringuelli prolungato dei tordi dei ravarini il cinguettio ch’a quei faceva poi eco in lontananza quello ripetuto e ritmato cucù cucù cucù del cuculo: struggente il ricordo la nostalgia pur tanto forte. Tutto cambiato qui intorno e in parte cancellato non più lì il vecchio castagno dal maestoso fusto che sul ciglio della strada qual sentinella guardia faceva alle campagne quel tempo andato di mio nonno quelle campagne dai filari lunghi e nell’autunno di macchie ricchi di grappoli dai colori intensi accesi ai quali i ciliegi lì presso davan loro amica compagnia e a metà giugno poi avanzandoli con vellutati dolci rubin frutti in quella nelle stagion correnti tavolozza cangiante di colori, non più la stradina polverosa che quelle divideva percorsa spesso di corsa con la bicicletta ch’allora accompagnava quella mia perduta come l’amato luogo giovinezza. 2012: da Motta Visconti (MI) Paese delle mie radici dei miei amati Genitori. Passa la Milano-Sanremo Non più oggi nel giorno caro del mio caro Santo come un tempo del mio tempo andato e antico giorno grande di festa e di già annunciata primavera ma in un sabato normale anonimo pure feriale è sfrecciata ier l’altro da Binasco sotto i miei occhi la Sanremo:cicli lucenti metalli speciali leghe ultramoderne pochi chili rispetto ai grevi da spinger fardelli del passato, maglie multicolori scritte tante variopinti tessuti seta lucente aerodinamica pure non più quelle scritte sole Bianchi Legnano Bottecchia Willier Triestina Atala su di una lana umile grezza tessuto vile impregnato di sudore. Nel veloce avanzante gruppo nuovi giovani campioni del pedale alcuni sconosciuti o quasi invano ho così cercato lì come per magia Bartali Coppi Girardengo Binda Merckx Van Looy Fignon Minardi con Petrucci Kelly Bobet Privat Poblet e il vecchio Poulidor, invana di questi antichi noti visi la ricerca che so sapevo di tra lor molti come già in fuga solitaria partiti un giorno in vol fuggiti da un Turchino immaginario personale per raggiunger quel traguardo comune luminoso il Cielo sì lontano nella corsa della vita dal traguardo un tempo familiare di via Roma oggi cambiato ch’al vincitor e al gruppo non più sorride della Primavera la mormorea effige qual primavera spenta degli anni miei così come con voi fuggita nella corsa delle mie stagioni quella mia per sempre imprendibile ratta e veloce cara perduta giovinezza. Ricordando Guido Gozzano Che ne è di voi un tempo antico e in giorni ormai passati graziose dolci fanciulle avvolte allora dal profumo di quella giovinezza oggi lontana? Mezzo secolo circa o forse molto più fuggito, credo, fuggito sì il tempo ma ancor presente la memoria. Quel giorno ricordo sotto l’ombrellone azzurro-chiaro di una calda afosa spiaggia romagnola mi diceste con allegro fare vorremmo con te domani il sorgere del sole nel primo mattino noi noi soli contemplare. Venne il mattino e il sole là in fondo in mezzo al mare dava già il segno della sua salita con raggi sfumati luminosi: fresca l’aria era e la brezza salmastra da un profumo dolce amaro già alitava e ci avvolgeva. Ecco qual novella Atalanta rapida una, una corsa veloce all’improvviso spiccò qual volo ed ancor vedo così quelle dorate chiome sollevate al vento, triste invece dell'altra mi parve lo spento tenero sorriso. Quale il perché di tale corsa allora non capito, per la sorella e me soli forse poi lasciare penso? Ma nulla accade tra noi rimasti soli, silenzio vi fu solo silenzio, sguardi lontani eppur noi così vicini, sguardi che il sole nascente disturbava, un silenzio nel silenzio muto del mattino. Vinse di certo una forte timidezza allora! Quali dunque mi domando oggi in quel momento i nostri pensieri gli inespressi sentimenti o i desideri rimasti nostri e tra noi ignoti? Rosa non colsi, non capii l’amore? Finì così ricordo ancora: tre ombre sole e lontane dal principiante sol dettate e sole sulla spiaggia ferma ciascuna con i suoi pensieri fermi che di un gabbian il verso invano ...invano... invano... invano... molesto disturbava. Cisti: ad Arno Del buon vino poche son le botti così non a peso si giudica un poeta Amore mercenario L’incontro fu un dì per caso amore mercenario la donna al giovane propose disse suadente quella lì la casa il segnale poi un lume acceso la porta semichiusa ardito quello fremente ardimentoso tutto per quella d’amor pugna venal offerta voluttuosa all’indicata casa all'ora mosse ma spento lì il lume trovò anco pur serrato da un chiavistel vistoso tanto e l’androne alquanto spento l’ardor suo finì finito l’ardimento ingannato si ritrovò qual povero minchione. Allo spirito maligno Son io che parla a te, spirito maligno che mente e cuore la notte mi devasti a me nel buio creando immagini mortali non so se false oppure come credo vere! Sì, seppur lei tace e nel ludo lascia fare, altrove so pensa: in ciò tu mi tormenti e forte forte ridi ma nel tormento che distrugge e annienta sappi che almen la sua pietà pietosa dona un poco pace. 01-02-2000 Tormento Amata cara un dolor m’assale oggi mi tormenta, il pensier corre a quel dì che lieta data ti fossi a forestiera mano: se certezza o dubbio non me lo svelare! Come mutato oggi quel sembiante! Vecchia dal tempo ingiallita ritrovo una fotografia un volto, come mutato oggi quel sembiante un tempo quell'amato caro viso, ancora vivo o spento quel sorriso? Al pensiero al dubbio all’incertezza di gocce amare si riga il viso mio. Rimpianto di fine d'anno e d'altra fine Bella così io non ti ricordavo scusami se ancor oggi amore ti chiamo, tanti i rimpianti forti i desideri che in passato suscitato hai in me e spento tu che sbagliando forse pentita forse male scegliendo il dubbio ch’a chi t’offristi male poi ti colse. 31-12-2011 Non so Amata cara Non so se quando sarò freddo e muto farai come Didone che un dì ruppe fede al cener spento di Sicheo, non so amata cara. Questo pensier che per anni mi turbò la mente risposta trova e giusta, lo dice del Sacramento il rito che muore con la morte di un dei due Ministri, quindi libero io della vita dagli affanni libera tu, da me non più amata, di amar poi felice chi tu credi. A un tempo lontano penso Amica al tempo in cui eri lontana penso allor che un ampio vuoto un cuore triste d’amor privo circondava quale inaridita secca senza speranza di fiorire zolla, ecco un dì manifestata ti sei tu all’improvviso fresca rugiada col seme di Cupido accanto seco te portando il soffio dolce dell’Amore tuo presso quel cuor sbocciò così il più bel fiore. Motta Visconti 22-05-1967 Le sue chiome sollevate al vento Alla mente tornano una spiaggia quel primo sorgere del sole già l’astro là in fondo in mezzo al mare il segno dava della sua salita con raggi sfumati luminosi chiari fresca l’aria alitava la salmastra brezza dal dolce sapore amaro d’intorno era silenzio nessun gabbiano in volo quand’ecco inaspettata la visione una figura indistinta prima il nascente sole la vista disturbava poi nell’attimo più presente veloce era la corsa parve incontro a me venire dorate le sue chiome sollevate al vento non si fermò continuò la corsa svanendo poi nella lontananza chi fosse non l’ho mai saputo allora non compresi oggi credo più saggio di saperlo con lei fuggiva svaniva un frammento un istante non assaporato della giovinezza Oggi ricordo frammenti di orrore… ..di terrore Nel giorno della Memoria oggi forti forti tornano a me memorie al cuore e alla mente, piange il primo affranto freme sì forte la seconda allor che il Male assoluto nel cieco Mondo con di questo l’assoluto strano a capir silenzio terrore orrore morte seminava e sappiam quanto! Risuonano ancor oggi i miei forti violenti passi per scacciar l’angoscia e la paura del momento come allora sul selciato largo e vuoto che alla vision inizia e da di una città spettrale di morte e di camini lungo le rive di un Danubio che pigro nella nebbia scorreva in una triste lontana giornata di Novembre dove spenta quei dì per non scorrer più la vita fu in modo atroce e vile di umane vite ah quante quante con il mio debol essere tramortito non atto fermo il moto mio a varcarne la soglia tremendo quel suono secco ancor lo sento delle scarpe mie quei gradini pochi ma tremedi di salita ma che nel pianto certo ben sicuro sentivo che povere Anime morte lì vicino leggendo il mio distrutto pensier errante benevoli a quel mio come irriverente vergognoso impedimento facevan come ai miei passi Amiche dolce compagnia. Corre il pensiero ancora e forte ai milioni ahi quanti di bimbi e bimbe nel fior degli anni mai cresciuti mai diventati grandi dove nella dolce oscurità che nella memoria ne protegge il sonno scandire sento da voce amica carezzevol nomi cognomi nazioni anni che per tanti la decina è alquanto un vanto speranze deluse spente: oggi bambini miei fanciulle mie non son a Binasco ma lontano e ripercorro come quel giorno lì nel silenzio affranto e nel dolore quel tratto buio ma dolce a Voi amico caro son qui presente ecco nello Yad Vashem che voi sempre ricorda e a ciascuno di Voi faccio oggi compagnia. Bella così….così pensavo… Quel bocciolo sfugge oggi al mio pensiero la rosa come piena vedo quel petal tolto manca che primo un dì il suo profum porse a me, sol l’album dei ricordi oggi soccorre il tuo viso bello con mestizia vedi io guardo nel giorno sorto un dì per la mestizia cancellare: oh non dovrebbe il cuor oggi esser felice ancora? Certo mi inganno ma penso e sento il tuo tremore non più nel tempo andato come tremore verginale! Perché dunque mi illudo mi dolgo ed ancor spero: oh povera memoria stolta al presente stolto guarda sussurrar vorrei gridando ma la voce è muta e trema: queste le parole rimaste sepolte dentro il cuore: bella così amica non ti ricordavo scusami poi seppur ormai da me lontana ti chiamo ancora amore. Un tempo così desideravo... Impaziente e tanto d’Amor del ritorno tuo attendo la sospirata ora che tarda, passerà rapidamente il tempo? Chiedo: nell’attesa lenta solo tedio mi avvolgerà che vuoto pare il cuore mentre la mente ricrea invano tra mille disegni il tuo sorriso? Volge poi il pensier a la desiata ora e sogno: s’acquetano la tempesta ed il tormento si stringeran vedo le mani e poi ancor le labbra lentamente, dolci, si poseranno sulle labbra. A G… 05-08-1967 Oggi ripenso Ripenso al tempo in cui eri lontana allor che un vasto vuoto il cuore mi opprimeva zolla senza speranza inaridita che un fior amico sì aspettava, così dolce poi tu amata cara dolcemente all’improvviso ti sei un dì manifestata nacque dentro di me allora il più bel fiore. A G.... 22-05-1967 Come un limone...non fiori...non frutti... Tu che le stagioni tutte dell’amore hai vissuto tanto assaporando della primavera le primizie quei fiori azzurri variopinti che a te s’aprivano vogliosi d’offrirti la delicata essenza loro ch’hai assaporato le delizie gioie qual i gustosi frutti dell’estate labbra rosse ardenti ciliege da baciare pere succose per te quei seni da succhiare nettare vitale e laggiù le pesche tante vari colori vellutate che aprendosi al desio a te deliziato hanno i sensi il cuor tutto la mente tu che l’uva asprigna tarda dell’autunno alla bocca spremuta inebriante mosto hai pur bevuto che dalla secca castagna godevol nutrimento hai poi lieto gustato che dell’inverno degli agrumi aspri ti sei di tanto in tanto deliziato più il profumo più odorando il frutto sol guardato toccato sfiorato con gentil tatto anco accarezzato capir non puoi chi fiore mai sì colse non gustò ciliegia della castagna dal riccio poi fu punto pure e vecchio si trova come un limone senza arancia in mano. Giorno per giorno Amata cara sì giorno per giorno rifiorir ti ho vista come una bella rosa sul suo ramo fissa che pur mutata ad appassire tarda e sempre fresca e aulente al cuor che come un tempo l’ama appare. A mia moglie G... 02-12-1999 Il tempo passa Amata amica cara il tempo passa: il bel bocciol com’era? Chiedo: sei tu cambiata o come allora sempre a me tu pari poi domando. Ecco guardo la rosa che ancor oggi splende sì più bella, dolce rugiada l'allieta e nel crepuscol dolcemente bagna. A mia moglie G...-Binasco 02-12-1999 .....così scrivevo un tempo Amata mia amata ti chiamo nel mezzo della notte da dolci e profondi pungoli d’Amore risvegliato: zagaglia più acuta e penetrante mai trafisse cuore! Come un foglia (funere mersit acerbo) Verde il colore ancora la primavera in fiore un battito un istante si stacca cade la foglia saluta il ramo amico il vento ecco si alza lontano via la porta un attimo un sospiro così come la foglia sorella mia giovinetta dal materno collo quel dì la man tua cadde nel vuoto un ultimo sorriso spento la parca venne e ti portò via. A ricordo di mia sorella S. più di cinquanta gli anni del distacco.. vivo ancora forte il ricordo mio.... struggente il dolor ancor in questo antico e nuovo che vien Natale. Somnium Idonea nox nobis est neminem videmus in umbra nos osculantes tanget nemus umbriferum circum .................................................. Il sogno Favorevole è per noi la notte nessuno vediamo nell'oscurità il bosco ombroso proteggerà noi ed i nostri baci! ............................................... Milano- 1956 Liceo-Ginnasio-Carducci Ad una compagna della giovinezza del sogno ignara! giuseppe gianpaolo casarini (iosephus rusticus mediolanensis) Vada il saluto Al degno di Mecenate delle festanti Muse cortese amico sì gentil Curator dell’azzurro Sito, a chi la lira tentando sotto l’ombroso faggio in altro luogo oppur silente o dal pulsar della vita rumoroso all’occhio alla mente di lettor curiosi i sentimenti suoi le speranze le illusioni care sue va dettando a chi poi il tutto a queste chiara luce da con il giudizio benevol sempre nel commento vada il saluto di un oscuro vate dalla musa contadina: che il Natal Santo per tutti gioia vera letizia sia. Senza rancore sì senza rimpianti Se dopo cinquant'anni sono tanti per in serbo tener queste parole ti rivedessi te ne direi tre sole senza rancore sì senza rimpianti. "Perché in quegli anni mi odiasti tanto?" non ti chiedevo altro sai solo un sorriso un segno d’amicizia da quel grazioso viso tu di ignorarmi invece ti facevi vanto giravi la faccia e poi di me certo ridevi ai tuoi amici con scherno mi additavi che questo non vedessi forse tu credevi Tanto pesa in gioventù esser d’amore schiavi da subir tacendo quanto beffarda mi facevi così mai domandai cosa di me dentro di te pensavi. Un palloncino alato colorato In un palloncino rosso viola blu i miei sogni ho lì soffiato sogni dimentico Morfeo mai sognati all’amor tuo intesi e sempre volti lor compagno al moto propulsore un gas l’elio primo tra i gas nobili il più leggero auriga un vento poi pigro capriccioso forse burlone incerto sempre nel cammino che ne sarà di lor ormai dispersi in cielo? Una pioggia di frammenti del cuor mio le visioni le sperate carezze tue mai avute se mai di colpo da una esplosion colpito o lentamente lontan portato per luoghi dell’aer sconosciuti fino a lei Venere stella dell’Amore o forse ancora quel guscio l’involucro del sodal privato in terra sgonfio sol con loro ritornato qual sia dunque poi il destino sogni saranno miei poveri sogni mai sognati. Cosìè ...variazioni sul tema “Cosìè”è di certo per l’uomo di sapere cosa nota il qual pronto a seria filosofica materia ti rimanda che a lui note son le categorie aristoteliche e kantiane o più sottili pure teologiche bibliche considerazioni. Ancor oggi però nei giorni a noi vicini sia lontani sul pianeta risuonar si son sentiti diversi “ cosìè” qual violenti imperativi categorici attivi come tali o nelle loro violente e trasgressive pure negazioni seppure ad un conclamato vero quelli per vero riferenti. Se sorrider si può di alcuni lor curiosi che dubbiosi mostruosi quelli son da indur terror e sgomento alla mente umana: tra i primi “se non fusse per lo ditto di Aristotile” del vero visto dubitare sull’origin dei nervi su un tavolo anatomico possiamo insieme ridendo ricordare, tra i secondi quel “cosìè : la terra non si muove” della inquisizione santa, tardivo oggi quel ravvedimento, contro l’assunto di Galileo lo scienziato tosco sacrosanto vita sua stravolta poi vissuta nel dolor raminga tra i secondi, dei terzi dal ricordo vivo sconvolgente triste alquanto vi è solo l’imbarazzo della scelta per nomi tanti nazioni varie continenti molti questi i loro “ cosìè”qual assunti obbedire tacer non criticare mai quei “ragione han sempre” tanti così i pecoroni tanti così i servili tanti i plaudenti poche poi dissenzienti le coscienze rette a quelle voci perfide assassine che spesso lo sappian con la vita hanno pagato. Il primo Poeta Chi il primo poeta domandi della storia domanda sciocca lapidaria secca la risposta il Demiurgo il Signore nostro sommo del creato di scalpello di pennello col soffio diede vita ad opera finita l’ammirò e commosso disse…bella. Furbi e minchioni Da due ore siamo in fila e la coda non si muove lo sportello della posta è già pronto alla chiusura quale iella che sfortuna qui bisogna ritornare poi si sente una vocina ho la mamma all’ospedale grave prossima a morire su lasciatemi passare commozione generale su lasciatela passare sorridente eccola là la sua pratica sbrigata giro l’occhio e per caso guardo là fuori sull’opposto marciapiedi ride pure una vecchina la mammetta sì morente della furba signorina, in attesa seduto sono nel salone dell’ infermeria già il sangue cavar mi devon per poi questo analizzare alto centoventitre il progressivo bigliettino per entrare non so quanto il tempo in ansia dovrò quindi qui aspettare anche qui caso non strano una voce forte roca strafottente senza in faccia alcun guardare lesto del laboratorio apre la porta e poi grida come a se stesso: “con l’infermiera devo sol parlare”, dopo cinque o sei minuti poi riappare questo tale con al braccio un vistoso cerottino e ridendo infin saluta quel centinaio me compreso di minchioni. Ai parcheggi alle vie prese contromano non si contan le furbate quanti invalidi tu trovi pure medici fasulli lì mai visti residenti patacche false sui cruscotti momentanee di disabil carrozzine non più oggi patria Italia di poeti navigatori santi ma di furbi e di furbetti e per equo contrappeso di fresconi. Quel beffardo sorriso che deride Implorare cercar oggi da te carezze baci invocarli quali da te pegni per me d’amore? Mendico poi bussar alla porta tua del cuore che di sé il più basso infin subir potesse amante non amato grave indecoroso assai umiliamento ? Gioia quindi donarti di un mio possibile tormento? No, mai: saggio negli ingannevoli mendaci ludi dell’amore nel tempo sai amica diventato sono: così da come ormai da tempo tu mi guardi come poi lo sguardo sempre da me tu levi come beffarda tra te alfin sorridi pur io vedi mi guardo non piango di me anch’io sorrido sfidando ben fisso guardandoti negli occhi quel sorriso che altro non è che maligna derisione. Perché dunque pietire lo sappiamo entrambi quel che di certo tu non mi potrai mai dare: baci e carezze da te per me pegni d’amore. Pensieri da ricomporre Vorrei ricomporre i miei pensieri che una mente distratta su rotaie di binari differenti ha indirizzato che treni senza orari e senza mete che non amano filosofici pensieri hanno più volte gli stessi stritolati di loro frammenti lì impastati in parte altri lontan volati in posti sconosciuti ricordo solo che erano serie considerazioni cosa fosse il bene e il male di riflesso chi lupi feroci chi mansueti agnelli dai tempi di Caino di Abele vi è stata fino ad oggi irrisolta contrapposizione distrutta rimasta lì l’intera riflessione ricordar solo mi pare un amara conclusione ieri oggi domani sempre e nel futuro tutto è legato al metro personale di valutazione per Caio lupo agnello per Sempronio. Alla Beata Veronica da Binasco Pellegrin orante pio che t’avanzi di Binasco nella parrocchiale a quell’altar minor subitamente guarda, dorme Veronica nell’urna argentata lì devotamente posta che tra i Santi la giusta comunione attende lei da secoli Beata venerata, povera ignorante contadina in vita che qual di Cristo sposa forte il velo con ardimento ardeva, forte patì l’attesa dell’ardente devozione sua che dalle dotte badesse letterate irrisa vilipesa le porte dei conventi augusti trovò sì chiuse che rozza conoscenza rozzo villan sangue non v’era lì ricetto padre Agostino poi teologo santo peccatore s’aprì commosso a questo santo ardore. Falciava un dì Nina, perduta ogni speranza, come negli anni suoi in verde età passati, le bionde messi dono di Dio in un’ardente estate e in quel dorato prato dal lì poco lontan San Pietro in Ciel d’oro ticinense che l’urna tiene delle Confessioni l’onorato Santo a lei suadente una voce così giunse: Santa Marta un convento di Milano i nomi queste da Nina forti le parole poche intese, presto un porton s’aprì da quella intercessione qual umile conversa alla cerca comandata vestì alla morte fino la bianco-nera veste agostiniana mutando in Veronica quel primitivo suo Nina. Per anni umile tra gli umili a quei donò conforto o il ricevuto obolo di rimando lor tosto donando o se vuote le mani con carezze e il sorriso suo, mistica in estasi sovente rapita tra i celesti nella carne da Satana offesa e tormentata visse il mistero dei dolori e di Cristo la passione, con dolcezza castigò del Moro e di Beatrice le mollezze della malata corte milanese, al vicario di Cristo ch’a Lucrezia al Valentin vita donò con carnali amplessi voluttuosi di Pietro macchiando il soglio venerando su mandato preciso dall’amato suo Signore con la rampogna pure portò a quei pentito il perdono a lui donato da Cristo Salvatore. ......................................................... Giovannina ( Nina) Negri o Negroni nasce nel 1445 in quel di Cicognola di Binasco. Conversa agostiniana con il nome di Veronica nel convento di Santa Marta in Milano sarà lei ad ammonire a viva voce i costumi del Moro e della sua corte, lei umile e fragile donna di umili origini ma sorretta ed illuminata della fede a portare, a Roma, al Pontefice Alessandro VI , Papa Borgia che indegnamente regna, quelle a noi ignote ma salvifiche parole di Cristo e tali da far esclamare allo stesso, dopo questo colloquio segreto, alle personalità della corte pontificia:" Onoratela perché questa è una santa donna". Morirà in odore di santità nel 1497" Quelle assenze nell'essenza del Nulla Utopia mera è l’essenza del giardino dove il Nulla regna non fiori né profumi non colori nulla assente la materia nessun atomo solo ombre vane leggere sconosciute false figure da lontano qui dalla mente insana proiettate uccelli piante cose persone tutto inerte nel tempo che non scorre fisso nel vuoto senza vita senza morte come non avanzano le stagioni nell’assenza del buio e della luce è negato quel che vive nel giardino dove soffia il vento del Tutto della vita i sentimenti vari le emozioni forti nessuno ama come non odia alcuno non vi è gioia come non v’è dolore Mera utopia questo giardino strano dove il Nulla accanto a ombre regna. Stati d'animo e sentimenti incerti Il mio presente attento guardo al passato solo rapido uno sguardo da violenta di sentimenti opposizione assalito colpito stordito sono preso questo dubbioso mi domando i conti dovendo fare con me stesso felice nell'infelicità infelice nella felicità lo stesso tumulto o una diversità? Lo specchio Stava lassù in solaio quello specchio vecchio da tempo abbandonato senza cornice polveroso in parte screpolato, lo sfiorai col dito una traccia apparve netta lucente chiara, ancora rifletteva lo accarezzai di nuovo col palmo della mano riprese luce vita nella sua interezza: io ch'ero curvo vecchio dal viso malandato ritto mi vidi nel fior degli anni e d’ aspetto bello, dietro poi lei bella ridente dal gioioso viso, nessun mistero né magia arcana lo specchio riflesso aveva un ricordo mio. Un desiderio inespresso d’amore Una afosa notte d’agosto il cielo una trapunta di stelle dalla volta celeste lacrime attese già pronta una frase all’amata la dirò alla mio astro cadente la vista puntata alla coltre puntata in quel luccichio d’un tratto vacilla quel guizzo fiammante si perde poi muore assieme a quel mio inespresso desiderio d’amore Quei fiori gialli alla mamma..quel dono di mio padre Macchie gialle i fiori, gli occhi, del tuberoso elianto oggi, fissi lo stelo poco mosso, il dio sole ignorando che le noma e nutre di splendido splendore fissano altrove: occhi lacrimosi la meta dello sguardo intenso questo doppio scambievole amoroso sguardo, gialli fiori che un tempo già lontano non dimenticato, questo il motivo di questo pianto il mio, mio padre alla mamma da rive di quei fossi tolti, generosa serra non avara e a man povera gentile, in fasci umile dono d’amore le portava, senza profumo più delle rose diceva profumati senza valore per lei ricordo più care di una gemma, amor semplice rurale onesto contadino, alle rose penso da me nel tempo ai vari amor donate alle spine in dono nel tempo spesso invece ricevute. Fiori gialli stellati del topinambur ( helianthus tuberosus) Povere ossa Due nonni di mio padre un tempo due foto oggi i nomi sotto due date su marmi grezzi dal tempo patinati due loculi vicini in un ossario là nel camposanto lì giaccion di lor l’ossa loro che generato m’hanno preso vita nel tempo l’ossea catena della vita mia. Vita la lor giorno per giorno spesa fuor che nei freddi tormentati inverni dall’alba fino a sera tarda tarda sera curvi piegati sempre senza sosta, svelti una crosta di pan e sorsi solo d’acqua, lungo i cigli del Ticino un secondario ramo tagliar di netto, il colpo il gesto ratti, teneri giunchi farne da vender poi solide fascine acqua o calda o fredda, che importa, alle ginocchia fino in vita povere ossa allora qui povere ossa. A ricordo dei nonni paterni di mio padre Carlo Giovanni C.C.-C.V. Nera figura tutta nera Nera figura tutta nera nero scialle nera lunga fino ai piedi palandrana nere pantofole di grezza pezza ancor di lei il ricordo in Milano via Celoria negli anni miei oggi lontani mendicava lì solo studenti di passaggio o quasi a quelle ore assai preste del mattino politecnico scienze come medicina qual buona sorte e sperato auspicio per un esame da dare e poi da superare più di uno spicciolo risuonando forte nel piattino di metallo nero lì cadeva con cura posto lì a lei vicino vecchia tremolante vecchia su un instabile sgabello seduta lì quale destin ultimo triste giunta sfatta sfinita quasi consunta cinquant’anni di meretricio forse di più passati in bordelli di piacere case e angoli di strade il marciapiede forzati amplessi falsi sorrisi baci a lei rubati di guadagno fonte dello stato per tenutarie prima di un giovane pappone dopo che anziano poi inabile lei a quel triste mestiere diventata ancora misera alla questua allor portava povera vecchia sola senza affetti donna vigliaccamente che vigliacco ancor sfruttava. L'arte del pennello Splendeva qual rossa rosa la giovinezza sua forti i battiti del cuor irregolare il polso l’ebbra vision che i sensi turba alla vista al piacer sempre nascosta turbinava la mente vagante era il pensiero mio così per sbaglio non per voglia la sorpresi dal bagno usciva come una venere dall’onda che ad un pittor si mostra e quello poi ritrae non si voltò, sdegnata, chiusa lesta fu la porta che ladra la nascose al mio pudico sguardo cosa poi dissi non ricordo incerta la parola questa nel cuor ancora conficcata freccia mortale pronta secca tremenda la risposta nell’arte del pennello, sai, tu non eccelli non sei pittor valente povero imbianchino. Amor fallace Ti dono amor una ti dice col sorriso poi il falso regalo presto si riprende quello ti porto amor sincero amica quatto lo nasconde e or tosto ad altra reca ecco son qua fremente mi dice son l’amore mi volto un istante solo ecco già fuggita dettò Metastasio un dì qui conferma trova è la fede degli amanti come l’araba fenice. Al morto sul lavoro sconosciuto Giusto e doveroso il cordoglio tributar al caduto amico della folla conosciuto ma che dir dei molti dai volti poco noti due righe sole nelle gazzette di paese cade dall’impalcatura e subito poi muore si rovescia il trattore e lo travolge in pieno l’alta tensione tocca rimane fulminato gas tossico in raffineria un tragico destino un carbonizzato anomala fiammata all’altoforno illustri sconosciuti caduti tutti sul lavoro anche per voi si levi una voce di ricordo un abbraccio a famiglie vostre in pianto. Fuggenti pensieri Viaggiano i miei pensieri come treni nella notte in un oscuro tunnel tutt’attorno buio solo vacilla la memoria la mente trema non li potrò fermare binari sconosciuti ignota la stazione. Meditatio ( Filastrocca) Cosa ho imparato mi chiedi dalla vita? Che ad esser onesti ci si perde sempre che se incensi il potente ci guadagni tanto che se paghi le tasse sei un gran minchione che se bari e truffi sei alquanto e tanto riverito. Potrei continuare su questo tema all’infinito, quando mi guardo dando allo specchio il viso contento son anche se ho fin qui perduto di non aver mai fatto negli anni il baciapile di aver pagato onesto sempre il mio tributo di non esser poi mai portato sugli altari d’esser infin per tutto e per tutti chiamato povero minchione. Neda Se senti ora una voce nel notturno buio mossa come dal vento e portata da lontano ascolta Neda sono che fu, “ I am Neda” recava allor la scritta sul fatal cartello a me vicino morta vilmente assassinata, non lasciare questo nome cadere nell’oblio straniero amico sconosciuto al mondo ancor di me porta ti chiedo conoscenza se con cuor tenero e commosso tu mi ascolti. Quale la colpa mia? Contro un iniquo crudel tiranno alzai il mio grido quel giorno sì forte deciso, voglia di libertà dove vien negata, ma un vil cecchino così il mio bel sorriso spense la giovinezza mia al giogo non servile, al grido forte un forte anelito di patrio amor mi spinse. Spento ormai tace non sanguina, no, no, non batte, non batte più questo giovane cuore come farlo ancor forte, forte pulsare mi chiedi tu che senti? Con il ricordo con il pensiero gridando il mio nome con un sussurro al vento. Ed io Neda dolce amica ragazza iraniana di bellezza bella amico italiano sconosciuto grido nel pianto forte il tuo bel nome Neda. Il 20 giugno 2009 la studentessa di filosofia Neda Salehi Agha-Soltan (persiano: ندا آقاسلطان) era in compagnia del suo insegnante di musica e stava partecipando alla protesta contro l'esito sospetto delle elezioni: un cecchino membro della milizia armata la uccise sparandole vilmente un colpo al cuore. Haec hodie meminisse iuvat Osanna osanna grida oggi nelle piazze festanti certa folla plaudente caduto è il tiranno puttaniere di sogni falsi fiabe ingannevoli dispensator promesse tutte vane giusto ricordar oggi a quelli certe vere fole del passato osanna sì che quanto allor sperato per fortuna loro e nostra non sia allor capitato altro che cioccolata ai bimbi buoni ne san qualcosa i bambin magiari. Così ricordo dal balcone prima, più tardi poi, confuso tra la gente, ad un comizio del tempo davo ascolto, nella foga tanta, così senza microfono a voce alta forte dal palco, tra l’altre cose dette tante, forte gridò con piglio l’aspirante senatrice “ai bimbi loro due volte al giorno o più le mamme russe la cioccolata danno” applausi battimani scroscianti ecco tanti. Assonnato della mamma in braccio un bimbo con lei a me vicino”cioccolata ?” incerto balbettò, della mamma questa la risposta”cosa buona figliol mio caro per noi roba rara da comprare cara cara” un sospiro “ ma vedrai quando verrà Baffone”. A quella dolce fola, vidi non so se per quello strano nome o per la mamma sua le certezze certe di colpo il bimbo felice addormentarsi. Se ieri per caso in piazza andato fosse ringrazi quella non bevuta e di certo amara cioccolata! Da un comizio elettorale degli anni cinquanta A Gilad Shalit Così per te allor Gilad dettai queste parole qual d'amicizia e di speranza segno al vento che a te poi le portasse in quell’amaro tempo del proditorio vigliacco sì tanto odioso atto “Dicono che i soldati mai non piangono ma qualora fors’anche tu piangessi ora, cosa cui non credo, vergogna non ti sfiori riga spesso il pianto il volto dei bambini quando del’orco cattivo sentono la fiaba, per te non da fiaba ma vera è la presenza, ascolta, credi, ritorna il bel sorriso presto quando dicon le mamme se n’è or andato così per te son certo ritornerà quello radioso presto tu Gilad ritoccherai d’Israel il suolo” Ora questo nel tempo si è per te così avverato non più bambin soldato ma già giovane maturo diventato dopo anni tanti troppi di prigionia crudele Piange la mamma il suo bambino Scorreva limpido un tempo un fiume azzurro prati fioriti erbe profumate tante lungo il corso poi di cemento alto duro ecco uno sbarramento sparisce il verde un vasto immenso lago nasce quello la corsa violentata qui mutata arresta improvviso un giorno il temporale tuona pioggia violenta torrenziale s’arrabbia il fiume si sbriciola il cemento pochi secondi frana di colpo la montagna sparisce dov’era la collina son strade vicoli contrade dei paesi a valle l’alveo del fiume pietà non mostra nella violenta corsa correndo verso il mare non s’arresta acqua fango detriti portano solo morte e distruzione piange una mamma il suo bambino travolto dalla piena sotto la melma muore un fabbro nella sua officina chissà dove portato via al bar seduto stava un vecchio pensionato Amor non riamato non è amore Amor non riamato non è ricorda amore sol sofferenza grande per un sol cuore che imporre mai di certo si può amore a un cuore indifferente del tuo amore non riversar pertanto odiosi acuti strali parole amare addurre i tuoi voluti mali a chi senza colpa colpevolmente assali non è amor merce che richiesta si regali A ricordo dei "granata" di Superga Un novembre oggi triste piovoso che induce ai ricordi alla malinconia un vecchio ritaglio di giornale con cura conservato un quaderno delle elementari una fotografia Bacigalupo Ballarin Maroso Grezar Rigamonti Castigliano il pianto ricordo mio bambino vecchio ora vorrei uno per uno granata miei prendervi per mano Loik Mazzola Gabetto Ossola Menti altri ancora dello squadrone supervittorioso mio caduti lì a Superga un giorno ormai tanto lontano oggi per voi forte ritorna quel magone di quel bambino diventato vecchio voi sempre rimasti baldi giovanotti in Cielo Tragicamente il 4 maggio del 1949 l'aereo che riportava a casa la squadra del Grande Torino e del suo seguito dopo un'amichevole giocata a Lisbona si schiantò contro la collina di Superga Empatia della natura Piange pronta a migrar la rondine perduto il rondinino si dispera occhi imperlati da perle di dolore il salice piangente le raccoglie piange il salice piangente lacrime bianche gocce stillanti cadono nel rio sotto lì vicino l'onda corrente le trasporta via ride la fanciulla innamorata lacrime calde tenere gocce di gioia stille d'amato riamato amore scendono su un fiore ride il fiore rosa rossa rosa al sole s'apre a quell'umore il giorno muore scende la sera gocce perlate sui petali del fiore di natura strana la rugiada lì posata pianto di un usignolo innamorato pianto di un amore perduto ritrovato pianto di un cane solo abbandonato idrogeno ossigeno sali diversi vari tracce organiche lì si fanno compagnia gioia di vivere e vita fatta di dolore bella divina della natura l'empatia acqua amara mista del rio alle radici per tener vivo fresco questo fiore da porre su una tomba sconosciuta dove riservare ad un ignoto Amore. 02-11-2011 Un fiore su una tomba senza fiori Imago Vecchia dal tempo ingiallita ritrovo una fotografia un volto un sorriso come mutato oggi un tempo quell'amato viso ancora vivo o spento quel sorriso? Al pensiero di gocce amare salate si riga il viso mio." Fallita pugna ardita Quello il segnale un lume acceso una porta semichiusa ritta pronta all’ardente d’amor battaglia fremente la zagaglia ardito ardivo ardimentoso a quella sperata ardita pugna spento il lume chiuso l’androne spento l’ardore finito l’ardimento mi ritrovai povero minchione. Io e l’airone cinerino Fermo ritto immoto là nella risaia verde un airone cinerino, fisso io qui fermo curvo su un paracarro al ciglio di una strada, quello le larghe ali stese poi lentamente, pigro quasi, prende il volo quali che siano i suoi pensieri con lui volando stanno, mi alzo io barcollo a terra cado gravato dagli affanni miei. Il fuoco di Stromboli Stromboli dalla nera spiaggia nera sabbia vomito di rabbia un tempo di una bocca ardente ancor viva bella vision che alla mente quel ritmato nella notte nera fuoco sfavillante porta prima ad un ignoto vagheggiare lontano di pensieri poi al ripensar invece del tuo ieri qual fornace quel riverbero forte di metalli la nascita a me sì cari quel girar per il mondo mio la lor cura prevenirne poi se possibile la morte impianti acri fumiganti e non e vari sempre attenta vigile fu già la premura tempo passato di certo mai dimenticato ma quel lampo di fiammata ultima data che lassù scompare alloggi al momento dell’ora mi riporta fuoco morto spento al fuoco spento morto di un amore terminato dei sensi voluttuosi già l’ultima fiammata Il profumo di quel risotto Tra i tanti ricordi della fanciullezza nostra assai lontana questo regalarti vorrei cara cugina mia quel che alla mente oggi mi porta quell’ora di mezzogiorno di un giorno del passato. Laggiù sulla strada amica polverosa la via Ticino di un tempo una donna vedo assieme a tre bambini: tua mamma, la mia zia Nina, tu e Battista con accanto di voi più grande l’Angelina: miei cugini. Da tempo ormai riposa il papà tuo lo zio Carlo mio laggiù nel Cimitero accanto al nostro zio Giuseppe: il nome mio. Alla prima commozione ceda il sorriso tuo, tra il pianto sai bello è il riandar a vision antiche care non nell’oblio cader lasciarle ma riviverle nel tempo e poi mai sai dimenticarle. Ecco, così un gesto allegro a piena alta mano a distanza grande di saluto ancora vedo, il mio, tre salti di gioia agli occhi lieti mi si paran da lontano poi poco e più vicino oggi come allora dubbio nessuno erano come sempre i vostri. L’abbraccio ed il saluto poi su quel gradino che alla casa grande dei nonni allor portava, sulla tavola fumante, già pronto –sarà sorpresa?- quel risotto dal sapore suo particolare tutto quello della nostra nonna amata amata nonna Nina, “ con i funghi?” di Battista la solita domanda, sì, pronta come al solito della nonna la risposta. Quale dolce inganno quel sì più volte ripetuto in quegli anni del nostro passato tempo antico: più melanzane, ricordi, ma i pochi funghi accanto con sapiente della cuoca astuzia ben trattati al palato quel particolare gustoso magico aromatico davano sapore. Tra una tirata di cucchiaio ed un’altra poi le risate nostre di tua mamma della nonna e del pà Paul così con deferenza da noi chiamato il nostro caro nonno Paolo nonno caro. Penso certo ne sono che anche tu vorresti sentir oggi per una volta almeno ancora quel magico ingannator sapore! A mia cugina Paola Santa S.V. in ricordi di Motta Visconti "Daghela no” ( Carme carnascialesco) Lüisa daghela no chel fa el magütt el te diss che l’è zirconi ma a lè un semplic fer de tola la tentà de šzincall prima de rivestill pö d’argent d’or de platin nella valle del Bir Bir, ma che or ma che platin orpimento e realgar sul pistùlin! Cara tüsa dam a trà lasää stà vegn da mi che bell o brutt stanne certa cosa vera cosa sicüra la sarà no sün sicur na fregadüra. Milano 1963-Facoltà di “ Scienze-Chimica Industriale" Ombre dalla cava di pomice abbandonata ( A ricordo dei cavatori di pomice ) Laggiù l’azzurro mar di Lipari quassù agavi in fiore ligustri fichi d’india assenzi da corona fanno alla cava abbandonata nascondendola alla vista del viandante ammassi di bianche laviche pietraie quali immoti nel tempo spettatori di un antico di polvere sottile anfiteatro qui una sofferente umanità vi recitava il doloroso dramma della vita propria. Così tu perder lascia di cercar quale ricordo tra i cumuli di pomice spugnosa la lucente vitrea nobile scheggiata ossidiana nera la mano tosto ferma alto fissa lo sguardo ecco ancora si vedono, no non son fallaci della mente ombre, membra disfatte a cavar intente senza gemito o lamentela alcuna sotto il cocente sole e poi riporre in ceste la preziosa figlia bianca del vulcano carico e fatica portati la sera alla marina cui il sensal dalla bilancia falsa moneta iniqua darà al fin di una giornata in agonia vissuta l’atavico morso della fame rotto dei miseri la dieta mezzo filon di pane e un cetriolo spenta l’arsura delle sete sospension bianca di piovana acqua e polvere sottile lì piovuta per così di giorno in giorno l’agonia loro prolungar di una dolorosa non vissuta vita.E’ una mamma maliziosa? Alla figlia giovin giovinetta inesperta non pratica di un certo del mondo strano tutto particolare immenso bosco e della fauna che lì trova ricetto che un dì decise in quello di Diana seguire la passione la saggia mamma cacciatrice esperta da più anni maestra del mestiere così le disse: non t’affannare figlia mia diletta lepri a stanar ad inseguir cinghiali astute volpi rossicce cercar timidi cerbiatti mirar pronta col fucile pronto da lontano, non t’affaticar presta passione tra i venatori sport a quello per me più bello tra i più belli ovvero nel sottobosco di soppiatto prendere gli uccelli non importa poi se merli passeri tordi oppur fringuelli. Quelle tenere viole Non da Urbino né da un convento di Cappuccini ma da uno spoglio giardino abbandonato, il giardino mio dell’amore, dovrei forse coglierne ancora e sentirne sempre quel profumo delicato quale quello di un tradito amore? No, non più, semmai andrò in cerca di altri fiori: odio forse le viole? No, una volta per lor piansi: una mano forestiera quella zolla che da tempo le nutriva tolse e strappò via complice il tuo aiuto: e, ricordo, ridevate! Nel suo giardino mi hai detto l’ho portata, senza pudore mi chiedi perché non dà più fiori? Non era terra che le dava vita, la zolla sì seccò, le viole spense, spento l’amore che la animava. Tetralogia: Dove mettere i miei sogni? I sogni e gli elementi aristotelici Dove mettere i miei sogni? Nel palloncino alato ? Ho soffiato i miei sogni assieme all'elio in un palloncino: che ne sarà di loro ormai dispersi in cielo? Chi lo potrà afferrare? Nella scatola dei sogni? Nelle profondità più profonde della terra ho interrato la scatola dei miei sogni. Nessuno la potrà mai così scoprire?. In una capsula di piombo? Compressi e rinchiusi in una capsula di piombo ho affidato i miei sogni al mare. Chi lì la potrà trovare? Nella bocca di in vulcano? Con cura i sogni a me più cari ho avvolto in un ricciolo d'amianto che ho poi coperto con ossido di cerio per poi gettare il tutto nella bocca infuocata di un vulcano. Chi laggiù potrà mai andare? Ombre dall’aspetto vano Proietta la mente ombre dall’aspetto vano sui muri del labirinto dei ricordi che si rincorrono tra loro, vano poi della mano l’incapace atto di fermarle: chieder loro chi siano quale tra noi la conoscenza un tempo forse amor odio quale il legame i nostri sentimenti ? Meglio tacer non domandare quale che fosse non risvegliar dalle voci loro le sembianze di chi la mente si vuole liberare. Il mulo di Alicudi Il basto vuoto lenta la fune al palo che legato a quello ti trattiene assorto ti riposi in quella d’indefinito tempo attesa che altri non tu ne faran misura per quel cammin riprender duro pesante che lassù porta alle pendici alte lontane del vulcan di Alicudi antico, mulo paziente. Non si cura il tuo dolce languido sguardo, tal un giorno lontan un tuo parente pigro asino bigio per il treno, di quelle potenti al molo lì presenti navi di tecnica simbol di progresso che il pelago sì posson solcar sicure ma non fendere poi come tu fai laviche ossidianiche bianco pomice dure ostiche pietraie non immergersi senza tema in un mar di rosmarini cardi pungenti fichi d’india agavi in fiore o più gentil gialle ginestre assenzi bianchi capperi smeraldini fiori di ligustro che il sentier tuo sfiorano su ingannevoli dirupi e tanti rendendo forse più lieve coi colori coi profumi loro il tuo cammino di passi fermi fatto e da attento occhio. Non macchine non asfaltate strade e vie in Alicudi per la gente del luogo che qui vive un unico motor muove la vita tu sol mezzo di trasporto unico aiuto così che la vita qui non muoia e ancor viva sia uliveti verdi prosperose vigne distese di capperi ben curate non confinata così isola eoliana a gechi pipistrelli ghiri o regno solo di selvagge capre. Ricordando Pirandello Nella pirandellian commedia recita l’attrice “I sono colei che mi si crede”: così su noi vari giudizi senza tema dati tanto forte è l’altrui convincimento inconsapevoli attori diventiamo coperto il viso da maschere diverse forestiere chi ci crede santi chi peccator ci vede chi persona riservata chi ridanciano rozzo e così via verdetti lontani dalla vera essenza. Come spiegare quindi questo assunto per cui una immutata realtà granitica smembrata venga diversamente vista variamente interpretata: quale questo assurdo curioso continuo giuoco della vita in cui di ciascun di noi vi è coinvolgimento alle volte attori altre curiosi spettatori? Realtà sue finzioni immaginazioni poi che riportan alla caverna di Platone delle fuggenti ombre il mito e che sfuggon alle categorie aristoteliche e kantiane? Quale il motor di questo eterno ludo? Psicologia spicciola o curiosità innata presunzione in fisionomica materia affermar con saccenteria “cosìè perché così a me pare”? Ad altri darne la risposta, ci illudiamo di voler scoprire il vero ma pur vedenti ciechi siam come i saggi lor ciechi veri dell’elefante indiano la novella da un tocco breve di una parte sua ciascun sul di lui essere diverso insindacabile giudizio diede e per ognun fatale errore. Circospezion quindi con mere fallaci sue apparenze la realtà voler significare tronfi di sé del giudizio sicuri risuonar fare una volta più “cosìè per che così a me pare” per evitar come i saggi indiani di essere poi delusi. L’albatro di Vulcano L’albatro o un di lui marin fratello della faunistica del pelago voliera fermo sulla ruvida spiaggia di Vulcano di nera sabbia lavica granosa tra sdraio mute e ombrelloni spenti nel far del mattino solo se ne stava, difficile dir o pensar cosa pensasse a indovinar ci provai io per gioco. Ritrovar quel vicino appuntito scoglio amico antico o un più ampio di fine e bianca sabbia lido nuovo trovar su una sperduta isola lontana sì da mutar non solo il color di sosta luogo e se del caso pur i suoi pensieri come pure i miei pensavo io che pensante pensoso invece triste conoscevo. Non mi guardava né io l’interrogavo poi l’uccello con fatica s’alzò di colpo in volo puntando su Lipari sul mare così portò nel vento gli ignoti suoi pensieri li rinfrescò forse o li mutò in altri più leggeri, io mi girai per contro verso del vulcano il cono scrollando il capo forte e là i miei lanciai di forza verso quel sulfureo denso fumo per me luogo più sicuro, erano pensieri cupi di ricordi amari e il lì nascosto fuoco, prima o poi, li avrebbe inceneriti. L’orecchino ritrovato Nella casa antica abbandonata tra alti rovi spogli arsi senza more roseti spenti su di loro nessun fiore non inverno era ma tarda primavera rudere cadente la porta spalancata rifugio un tempo dalle ansie mie fuggir e qui trovar al cuor ristoro dimenticando dell’animo i miei mali dove ricordo ancora un giorno lieto spegnendo l’arsura degli affanni mi donasti fanciulla la freschezza del tuo primo e acerbo amore ho ritrovato per terra un orecchino tra calcinacci dal tetto giù caduti luccicante oggetto per l’infiltrato sole perso l’avevi tu proprio la notte dell’addio tormentato triste dopo un atto triste fugace d’amor lento non consumato fu nell’attimo di un’ultima carezza la mia che sdegnosa irata il capo tuo scuotendo di scatto come belva rifiutasti ad un appassito già finito amor per sempre ultimo oltraggio quel grido non mi toccar con quelle luride schifose viscide tue mani che oggi di quello rispettose neanche credi questo tuo ricordo osano toccare. Nuvole di acciaio inossidabile aride come i miei aridi pensieri Nuvole di acciaio inossidabile che non portano gocce di pioggia e che non muove lì fisse il vento raggi solari col riflesso portano lontano e là diffondono calore dando a stelle di rame e a comete blu cobalto con luce esogena vividi colori sono nuvole false aride come aridi sono i miei pensieri veri ma fermi spenti che una mente fredda più non muove e schegge di ghiaccio dentro l’Io infligge e a lui donando solo ambasce forti si stingono dell’animo i colori la sanguigna rossa carne del cuore così…. muore. Al mercato dell'Infelicità Perfida i miei sentimenti hai inscatolato come sardine e venduti gratis al mercato dell'Infelicità.
Una pioggia di indicibili pensieri L’impalpabile nuvola lontani via porta indicibili pensieri strane sensazioni erano nate tante angoscianti il cuor la mente eri fuggita da me ormai lontana pensavo fosse vero ma solo un sogno era un incubo sognato quando sarà dissolta non pioggia vedrà lassù il cielo frammenti solo sciolti di indicibili pensieri e nell’animo mio rinato allora ritornerà ancor nuovo sereno. Vana parola
( Haec olim meminisse iuvabit) Vana parola è la parola Amore se di novità si nutre e alla fine poi si spegne vuota. Se l’abitudine la stanca e la scuote la sopportazione per poi cadere vinta in rassegnazione triste. Se il t’amo, t’amerò di un tempo antico cede al ti amavo e al ti ho amato credo, al credevo d’amarti e non ti amo più. Così facile è dirla la parola Amore un giorno e più facile ancora dimenticarla un altro dicendo poi senza rimorso di fronte ad un tardo e nuovo incontro ora è diverso, allora mi sbagliavo. L'agave e il suo fiore ( L'agave di Salina) Sul cono del vulcano da tempo spento di Salina tra le pietraie figlie della lava al cielo al mare a quelle sorelle lì vicine l’agave verde mostra dal suo cuore nato dopo un attesa lunga di vent’anni e più orgogliosa e di cui fiera s’adorna il figlio quel fiore ardito dall’alto fusto la bella quale a salire elicoidale infiorescenza strano destino il loro e dal fato misterioso da qui a poco in un abbraccio d’amore spegner quasi all’unisono la vita loro si piega il figlio la corolla sul tronco ormai spezzato sulle molli già spente braccia sfatte non più carnose foglie della mamma da questo atto d’amar d’ amor sublime domani nasceranno nuove vite Una spiaggia romagnola-II Alla mente tornano una spiaggia quel primo sorgere del sole già l’astro là in fondo in mezzo al mare il segno dava della sua salita con raggi sfumati luminosi chiari fresca l’aria alitava la salmastra brezza dal dolce sapore amaro d’intorno era silenzio nessun gabbiano in volo quand’ecco inaspettata la visione una figura indistinta prima il nascente sole la vista disturbava poi nell’attimo più presente veloce era la corsa parve incontro a me venire dorate le sue chiome sollevate al vento non si fermò continuò la corsa svanendo poi nella lontananza chi fosse non l’ho mai saputo allora non compresi oggi credo più saggio di saperlo con lei fuggiva svaniva un frammento un istante non assaporato della giovinezza. L'ultimo sogno ( Un sogno rubato) Mentre di felicità ebbro nel forziere quella tua carezza ormai insperata sul viso mio da tempo dalla lebbra roso da quel lontano giorno dell'addio qual ultimo dei miei sogni riponevo il guerriero alato dell'Invidia velenosa amico di chi oggi t'accompagna nei sentieri lieti e caldi dell'Amore mi ha sorpreso e dal forziere lesto questo sogno furtivamente mi ha levato. Perché rubar tra i tanti sogni questo non tanto a te ma a lui domando quando non un istante dalla fantasia creato ma la stagione quella dell'Amore vero e non del sogno gli appartiene? Son tornato oggi al mio paese Lì ancora sono le due vecchie chiese Sant’Anna e San Rocchino come un tempo che austere fan di guardia all’ingresso del paese sentinelle ferme fisse poco mutate al vento degli eventi che nel tempo tanto hanno cambiato di questo mio amico borgo il caro volto mutate quelle immagini andate di un passato dissolto solo alla vista tolto ma ravvolto ancora nei ricordi miei che odorare fanno quei profumi intensi della prima giovinezza e a riveder a risentir con forza nuova danno i luoghi persi le persone amate le vite vive del bosco quei canti degli uccelli presso quell’ansa del Ticino quei cinguetti distinti quei gorgheggi che ben conosco che oggi dalla persa costa frantumata scossa da lì più non potresti più sentire ma che ora come d’incanto i prati i luoghi le smarrite voci sono ancora qui della lodola lo struggente pianto del ravarino il lieto canto si liquefa il bituminoso asfalto spariscono i blocchi di cemento tutto alla mente ritorna e si presenta tutto rinverdisce ancor le campagne amate dai filari dritti al vento il ciliegio con le rosse brocche il pesco nano rifiorisce macchie su macchie di grappoli tanti dai colori accesi una tavolozza nel tempo persa ridipinta come prima ricordi andati oggi pensati alla vision di nuovo resi scorre così l’acqua di un tempo tra le rive eccola limpida pura fresca delle rogge e di quel fosso sito d’incontro di giochi e di bucato ancora ricordo quando le donne allora le fanciulle alle vesti al panno cantando filastrocche allegre ridavano freschezza cenere grigia con fior di saponaria la mistura il ranno stesi poi ultimo atto da frasche verdi donata la carezza loro complice il profumo malandrino di quei fiori di sambuco e quelle gore dove i ragazzi tra grida e lazzi in tuffi arditi davano sfidando talvolta i loro cuori ardite prove di coraggio che in risa terminavano da pazzi dove io solitario a queste amiche acque portati poi col vento chissà dove affidavo giovinetto i miei pensieri oggi nuovi ben diversi e qui annegati in grigi freddi blocchi di cemento. Spezzato un idillio al sorgere del sole In quel mattino il cielo d’un azzurro terso fresca poi alitava la salmastra brezza sfiorava il viso dolce sentivi la carezza solo silenzio muto del gabbiano il verso il sole non più nascosto alla vista con sfumati chiari luminosi raggi dato aveva il segno della salita dal dio Nettuno il profondo regno con timidezza sfiorai quei seni vellutati fuggì di corsa le dorate chiome al vento sollevate il sol nascente disturbava la vista svanita in lontananza cominciò il tormento spezzato con un gesto il mio inopportuno il nascer di un idillio al sorgere del sole invano la chiamai non c’era più nessuno. Dal giardino di un amore Dal groviglio del rovo un amore soffocato il nostro trafitto un cuore dalla spina della falsa rosa il mio il salice piange lacrime amare del tradimento dell’inganno il tuo così nella notte scura del giardino la fioca luce di Selene nel silenzio tre gocce di sangue su una foglia tre gocce salate che grondan da una frasca solo fa vedere Circospezione: peccati e desideri Lassù saran tutt'uno? Ero morto e San Pietro in sogno mi stava a giudicar con un omarino accanto sconosciuto tutto tremante in attesa del giudizio e della pena. Un po’ vediamo il Giudice parlò il libro dei peccati delle mancanze ecco delle omissioni per la Bontà Divina alcuni cancellati andati in prescrizione quei soliti pensieri quelle tentazioni niente di grave di particolare tre secoli di pene ora in Purgatorio ora. Poi una postilla trovò nel libro del vicino che caso strano del tutto insospettato rimandava al mio al punto scritto dei pensieri miei dei venial peccati delle insane mie mormorazioni e di colpo mutò così il giudizio sentenziando: assolto tu qui rimani e a me tu condannato laggiù all’Inferno. Come subito implorai perché San Pietro perché la distinzione questa preferenza? E Quei ricordi quel giorno in riva al mare orribile oscena al di fuori di ogni tentazione definisti così una giovane fanciulla irridendo chi l’avesse mai sposata soggiungendo poi che se del caso lo sfortunato il tapin meschino dopo morto meritato avrebbe di certo il Paradiso e che tu bella bellezza esteta gran adoratore piuttosto che toccar una simile bruttezza il saio francescano di corsa rivestito avresti o preferito finir bruciato tra di Satana i demoni così vedi di un convento frate mai non fosti ma della vita gaudente e allegro libertino per cui di quel tu dire sei stato accontentato. Dal sogno uscito e in grande confusione preso dal turbamento e del tutto frastornato riandando a quel giorno lontano del passato ricordandomi come vera e detta quella mia stupida scherzosa o non osservazione non conscio se San Pietro nel sogno oggi vi scherzasse o meno nel dubbio che nel giorno del giudizio confermasse questo senza sentire di un prete confessore il parer suo per evitare le fiamme dell’Inferno mi convenga prontamente farmi frate. Ritorno a Motta Visconti Tutto è cambiato torno oggi a rivivere con la mente le cose del passato a risentire alcune voci amiche quelle di un tempo che un tempo vi era che oggi invece non c’è più a respirare come di Lodi la vergine ribelle il dolce profumo della giovinezza tutt’attorno ville blocchi di cemento struggente il ricordo la nostalgia forte cancellati sono i verdi prati quelle campagne dai filari dritti d’autunno macchie di grappoli dai colori accesi ai quali i ciliegi vicine sentinelle facevano loro compagnia a metà giugno avanzandoli nei colori nella tavolozza quei vellutati mai dimenticati frutti dal sapore dolce succoso non più la stradina scossa polverosa che li divideva percorsa spesso di corsa con la bicicletta poi dalla costa tra i boschi felice tu scorgevi l’ansa del Ticino del leccio i profumi del castagno delle felci dei mughetti nel vento respiravi forte e da giù sentivi della lodola il canto lieto il gorgheggio dei merli dei fringuelli prolungato dei tordi dei ravarini il cinguettio faceva eco in lontananza quello ripetuto del cuculo non più quei fossi le amiche Rungia Cara e Rungia Dora dove in quegli anni del tempo del passato cantando le donne le fanciulle innamorate filastrocche allegre dei panni nelle gore facevano bucato cenere grigia di saponaria fior violetto con cura poi sull’erbe delle rive steso a frasche verdi accanto di sambuco dove i ragazzi tra risa e lazzi con destrezza in tuffi ampi arditi davano prova di coraggio dove io in disparte da loro solitario all’acque affidavo i miei pensieri portati poi lontano chissà dove pensieri nuovi oggi diversi annegati in grigi e freddi blocchi di cemento. La spiaggia romagnola Come non ricordar quella voce da poco conosciuta che un giorno sotto l’ombrellone di una calda afosa spiaggia romagnola all’orecchio con malizia sorridente tra di quei bimbi i chiassosi giochi mi sussurrò grande alla fine la sorpresa sarei felice se con lei domani il sorgere del sole al primo mattino potessi noi soli intende nel silenzio qui contemplare. Venne il mattino il sole là in fondo in mezzo al mare già dava il segno della sua salita con raggi sfumati luminosi fresca l’aria e la salmastra brezza dal profumo dolce amaro dall’onda mossa alitava ecco la vidi da lontano con rapida corsa veloce le sue dorate chiome sollevate al vento incontro a me venire non si fermò e continuò la corsa sparì ormai figura svanita il sol nascente la vista disturbava nel silenzio sulla spiaggia un’ombra ferma la mia solo rimasto dall’inganno deluso con i miei pensieri.L'idolo infranto...tempesta..metamorfosi dei sensi L’aquila della gelosia dalle nere penne di ematite e dai lucenti artigli di realgar e di pirite inseguendo con macabra danza nel giardino fatato d’ametista gli alberi e di fiori da corolle tutto diamanti e di rubini il fringuello dell’amore dal rosso petto di lepidocrocite spezzò nell’urto la statua di ortoclasio con venature lievi delle speranze mie verde smeraldo dei sogni miei zaffiro blù manto di Madonna, dei colorati desideri quali corindoni di modesta latta le mie aspirazioni. Volaron così di silicio atomi in alto di alluminio e particelle elementari ioni elettroni fotoni e poi mesoni e tramortito questa fu la mia terribile visione: si fanno guerra i miei quattro Cavalieri dell’Apocalisse, per spade comete fiammeggianti brandelli di Via Lattea a forza strappati qual scudi punteggiati da nascenti nane. Si scuote il firmamento per l’agone, galoppano i destrieri partiti dai quattro angoli del Mondo sfiorando galassie e cieli sconosciuti al comando dei quattro cavalieri intenti alla tenzone, così atterrite, turbate dai frastuoni di colpi parati di fendenti fiammeggianti andati a vuoto, si scambiano le stelle le Costellazioni, ne nascon nuove di forme spaventose nomi strani, si perdono nel cosmo meno la Terra, i pianeti conosciuti ribollono gli Oceani, fiumi infernali fin qui ignoti portano ai mari fetide sostanze melmose lanciate da bocche arroventate di vulcani, non più montagne spianate e distrutte le vette solitarie……… questi gli accadimenti, questo il caos l’apocalittica vision, nulla al confronto rottosi in frantumi l’opaco simulacro perdute le speranze e spenti i sogni dell’agitarsi tumultuoso e ribollente del mio io e dei miei persi pensieri. Ritorno alla poesia Ritorno oggi sui banchi del liceo dei lirici greci un libro apro leggo piano lentamente a caso: l’elegiaco Mimnermo il giambico Ipponatte la divina Saffo tra i melici monodici Alcmane e Ibico tra i melici corali. Da ciascuno di loro uno o più versi tolti così senza affanno troppo o cura di seguito riporto Filippo Maria Pontani l’esimio traduttore : “E’, gioventù preziosa, come un sogno Curva su me vicina al lume Arete L’acqua fredda risuona tra le rame Del melo e la radura un’ombra Dormono i vertici dei monti e i baratri, le balze e le forre e le creature della terra bruna e i pampini, graniti entro il segreto ombroso dei tralci, danno fiore." Che cosa dire? Versi cristallini puri che s’intrecciano tra loro quasi a comporre un’ode dolce sublime dal lirico sapore genuino non di quelle d’oggi con parole astruse dove il soggetto quando presente rincorre il predicato dove il verbo è mancante o sottointeso per non parlare di concetti che cozzano contro la ragione! Ripongo in modo piano quasi religioso questo libro ma ben in evidenza nel cassetto. Nota: da "I lirici greci" tradotti da F.M. Pontani-Einaudi Editore -Torino 1969 Quei Sabato Santo del passato In quei Sabato Santo, non so quanti. sono passati più di sessant’anni, mentre suonavano con rintocchi forti a festa e in lontananza le campane, la nona Nina ci chiamava tutti e poi gridava storpiando il latino di quel Christus Dominus Resurrexit Il Signore Gesùè risorto come sempre storpiava la domenica a Messa ma lei non solo quel Regina Sanctorum omnium in un dolce e caro nei ricordi Regina Santaromanium: tutti chiamava me ed i miei cugini. Pronta già l’acqua raccolta dal secchio in fondo al pozzo per bagnar gli occhi ad evitar secondo la credenza contadina malocchi o peggio malasorte, già pronti campane e campanacci dalle stalle tolti dal collo delle mucche e dei cavalli già prese dal camino quelle di ferro lunghe catene per fare compagnia con squilli suoni e un festoso chiasso alle campane. Quattro eravamo a far festa, io Peppo, Angelo e il mio Battista: oggi il Concilio ha cambiati i riti non più il Sabato Santo è giorno di campane, giace ancora Cristo muto nel Sepolcro, penso al passato mi mancano non solo le campane, i campanacci e le catene: sono rimasto solo, corre triste il pensiero ai miei cugini che da tempo alla nonna fanno compagnia là in Motta Visconti, al cimitero. Amor timido..mai espresso Dal tram scendevi fanciulla dal nome sconosciuto sul portone del liceo ti guardavo timido per te incerto quel sentimento che viene chiamato amore quale l’aprirsi del pesco il roseo fiore al tepore primo della primavera. Tremula e incerta pure la voce mia nel desiderio urlante di chiamarti qual cinguettio come strozzato e piano del passero novello spaurito nel nido suo protetto e non pronto al gioioso canto sul ramo non lontano del pruno di bianco rivestito come spavaldo intona invece il suo il fringuello proprio lassù quale innamorato alla fine di una tarda e lenta primavera. Cambiata fu un giorno la fermata io non ti vidi più e cercai invano più volte la scuola marinando al posto nuovo il volto tuo di nuovo quale dolce e mia tenera visione. Mutato il luogo mutata la stagione: sconvolta fu al suo termine e d’improvviso quella mia vissuta come sogno primavera la grandine venne a tormentar del pesco i fiori e lontano fuggì poi dal nido suo il passero ormai già pronto al volo per la tempesta muta pur la voce sua del richiamo anche lui fuggito spentosi lassù il canto del fringuello innamorato si spensero così dal cuore e dalle labbra cara fanciulla dal nome sconosciuto gli acerbi e non espressi per te miei sentimenti. Quella dolce ingenua fola....del passato Una sera di giugno dal balcone di quella cara vecchia casa mia di ringhiera di corsa incuriosito sceso ero tra la gente anch'io là in mezzo al prato tra i presenti in piedi stava un " nemico amico" mio. Scontrati un giorno per caso c'eravamo incontrati dopo e poi meglio conosciuti una due tante domeniche da mesi entrambi d'insulti e tanti ricoperti spesso con grida se non aspre parole, mattino fortunato, da gente stanca a fine di una dura odstile settimana o peggio ancor nel sonno addormentata dopo che a gara per scale e ballatoi, diventato per noi così nel tempo gioco, a chi facesse primo nella veloce corsa nel bussar alle porte ansanti senza fiato di quelle umili case solo di povertà ricche ma quasi tutte se non tutte di persone persin cordiali e oneste fossero le stesse di ringhiera o no con latrine semiaperte ai piani pazientemente a turno in pigiama in povere sottane rattoppate mutande lise anche seminude da loro visitate e talvolta per non dire spesso senza bagni salvo quello comune lì in cortile. Quinta elementare bambino allora io per i preti vendevo l'Italia e il Vittorioso lui, sui trent'anni circa, l'Unità per il Partito suo. Quella sera alle bandiere rosse lui vicino seminascosto da quelle e dal palco prudente stavo invece più lontano io. Del dopo guerra erano quelli i tempi oggi assai lontani che la nostalgia del passato rivive oggi ancor per me per voi fores se con pazienza mi leggete: via Padova là stava quel caro vecchio Trotter tra Turro vecchia e Crescenzago, un largo spiazzo punteggiato da quelle di legno giallo verde misere povere baracche di una Milano già pronta da poco a vita nuova con le speranze le sue illusioni tante dopo bombe morti fame paure ruberie e forse peggio vendette personali vili delazioni ra falsi amici o fortuite e strane conoscenze. "Ai bimbi loro due volte al giorno le mamme russe la cioccolata danno" così senza microfono a voce alta forte e viva dal palco tra l'altre cose dette e tante nella foga del comizio " casa lavoro giustizia libertà del proletariato di noi del partito presto vedrete compagni vicina la vittoria" gridava agli astanti attenti ed applausi tanti una compagna sua. Assonnato della mamma in braccio un bimbo ricordo balbettava: cioccolata che? È cosa buona e tanto figlio mio per noi oggi rara roba sconosciuta ma vedrai quando verrà Baffone. A quella dolce fola del passato vidi non so se per quello strano nome o per la mamma sua le certezze certe d'un tratto quel bimbo felice addormentarsi. Perché tentar la lira? Quando con la biro in mano o battendo i tasti dimentico del Croce e credendomi poeta o se assennato qual mero di versi scribacchino su vuoti spazi di carte virtuali o vere i miei pensieri inchiodo i ricordi le speranze del passato tempo dell’oggi o del futuro mi domando spesso: “Perché tormenti i bianchi o gli elettronici fogli? Perché li righi, li graffi, a qual pro lo fai, quale perché? Chi vuoi che legga le tue fantasie, gli attimi, i sogni i frammenti di una vita solo tua? E se mai lette chi ti potrà capire o compatire? Sarà il tuo dolore deriso e forse poi schernito? Saranno le tue gioie lì impresse come fole viste? A chi importa sai se tu un tempo amavi Caia e quella non t’amava, se per la morte di Rufus il gatto tu piangevi e se nel veder quel giorno il tal monte di pace e di silenzi ti nutrivi? Se ieri lei t’amava e or non ti ama più? Sarebbe allora buttar via la biro più saggio come pur per sempre non sfiorare i tasti? Se di poetar smettessi o meglio di versi scribaccare di certo non piangerebbe quella musa ad Ermes cara sia essa Calliope Euterpe oppur la giovane Talia! Perché in questo artifizio arduo insisto? Lo spiego, primo: guai se per vanità scrivessi sì sarebbe triste! Anche ad un badilante qual io sono e non orafo di versi accade qualche volta quel momento: “ Est deus in nobis agitante calescimus illo!” Se poi nessun leggesse le mie nugae poco male: quei miei pensieri quelle illusioni quei rimpianti rimarrebbero non smossi e fissi come nati lì su quei fogli a man vergati o da lento ticchettio quindi negletti e solo a me legati, sì, solo miei! Così sarebbe anche se taluno lì li lasciasse soli dopo uno rapido sguardo e alquanto indifferente ma se agitando quei fogli con un dito o con la mano qualcuno li strappasse da questi e vi ridesse o peggio sopra vi sputasse nessun rancore per lui sentire vari solo e contrastanti lieto per averlo mosso al riso e allo sberleffo più lieto per una vita, la sua , di certo, bella vissuta lieve e senza affanni ma triste sarei pure per lui per quel suo spazio vuoto di rimpianti, di sussulti e di emozioni. Ai pochi che un poco in me visti si sono e conoscono o hanno conosciuto se non con Caia con Calpurnia o con Sempronia quei sentimenti strani e opposti dell’amore, a chi ha capito il pianto per l’amico gatto edè gioioso della gioia data dagli spazi ampi e dai silenzi che nascono dai monti, un grazie quale sprone a ritentar la lira quale che sia dei critici il giudizio per cui un caldo arrivederci una volta riscoccata la scintilla! Inno a Nisyros Allegro, spensierato fu l’inizio e bello di quel giorno a Nisyros splendida tra quell’isole greche che con Kos, Samos, Kalymnos, Samiapula e lor sorelle punteggia lieve il greco mar al cantor di Zacinto caro, profumi non persi di un mondo antico, richiami forti di una civiltà unica del passato, Esiodo, Platone, Omero, Epicarmo, Ippocrate, Solone, Alceo, Saffo e così via. Subito giù verso il fondo del cratere pronti senza fatica e lestamente la fin di quel tondo vaso raggiungemmo, di quella bocca muta e semispenta, sacra vision un tempo, quando di fiamme vive, di fuoco ardente, di boati e gemiti si nutriva, per le ingenue genti richiamo temuto a divine e mitologiche figure. Del dio Vulcano qual fucina ardente, lui e Ciclopi chini e operosi a lavorar metalli, così cantavano e cantano ancor i versi dei cantor antichi a noi noti e sì cari. Nel silenzio ci accolse l’ampia distesa fatta da cristallina e fine terra dal sapor aspro e dal bianco e bianco-cinereo aspetto, fumigante e bruciante sotto i piedi per il nascente zolfo e gas sulfurei ultimo e lento respirar a fatica e quasi agonizzante di quello un tempo fuoco vivo e tonante. E lì, come estasiati, ilari, dimentichi degli affanni del tempo quotidiano come non ripensar ad altri tempi a quando ribolliva il magma ardente al crepitar delle fiamme, ai rumori funesti, al timor della gente, alle loro ansie al presagio forse di una cattiva sorte. E questo poi un tempo avvenne! Altro era di Nisyros l’aspetto…. Spenta sotto il fuoco e la grigia cenere una antica vita: miti pastori, argonauti, poeti e pensatori. Ricordi così pensavamo allora alla caducità del tempo e delle cose. A distoglierci da questi filosofici pensieri e dall’errar della mente in altri sogni ci pensò poi la salita che ci tolse la vista, fece scoppiare il cuore, ci asciugò la bocca, ci svuotò i polmoni ci annebbiò i pensieri fuorché uno: cercare vivi o morti di risalir la china. Stanchi per la faticosa risalita, come non ricordar amica mia quel carrubo che alla casa bianca abbandonata faceva solitaria e struggente compagnia. Casa e carrubo ci accolsero in silenzio, muti: gli antistanti gradini di cemento sbriciolato e salso ci offrì quella qual gradito scanno seppur duro di riposo, qual tremolante ed incerto per le rade foglie mosse dal vento filtro al sole dell’Egeo che con il vulcano le resistenze del cuor, dell’animo aveva se non distrutte ben fiaccate donò l’altro: frescura dolce agli accaldati corpi. Contraria e nemica stava l’ombra che sul viottolo la casa proiettava: occhi spenti le finestre marcescenti come il marcescente legno della porta, a penzoloni la serratura non metallo lucido ma ruggine ferrigna. Poco lontano sbatteva lentamente contro il consunto palo di chiusura un piccolo cancello dentato, a terra i frammenti lignei dei suoi denti, non più ritti ma storti i rimanenti, disarmata sentinella ad un orto un tempo e qui fitta sterpaglia, disseccate erbe, qualche raro cardo. La languente stanchezza, il silenzio, il sussurro del mare da lontano, nuovamente ci portarono poi a filosofare sulla caducità della vita delle cose, a meditare. A rafforzare i pensieri nostri già in moto ci pensò un gatto grigio, furtivo solitario che passò veloce tra le erbe arse e quasi ci sfiorò, ci pensò pure il danzare tortuoso sui tormentati muri della casa di una lucertolina dal manto verde giallo che poi sparì veloce infilandosi ratta tra le crepe. Unici segni di vita in quel momento e in quel luogo assieme a quel carrubo ma fisso senza movimenti se non le foglie impedito pure da tempo per le mancate cure di toccar più alto il sovrastante cielo, carrube ai piedi secche, spaccate, morti i fuoriuscenti semi ma non morte e di vita segno poche carrube vive e acerbe che con sofferenza dai suoi rami si alimentavano togliendo a questi ed al tronco una poca debole sostanza. Quali i pensieri di quel vecchio gatto? Dove era finita la lucertolina verde giallo? Quali i legami e le memorie con chi un tempo lì vi abitava e poi migrato lontano forse a cercar fortuna? Si sarebbero un giorno ritrovati, quali la sorte qual destino? Erano ancora vivi o morti e la fortuna li aveva poi baciati? E della casa, dell’orto di quel carrubo che ne sarebbe stato? Pensieri tra noi espressi e non, in libertà e fantasia. Scendeva la sera, la barca alla spiaggia ci attendeva: uno sguardo alla casa ed al carrubo e quattro carrube colte per ricordo! Alla mia Musa Contadina Se anche tu mi abbandoni che farò mia Musa Contadina? Da sempre lo sai le tue sorelle che danzano tra il Parnaso e l’Elicona disdegnato hanno e giusto cito il Giusti quei miei versacci di certo poco colti da dozzina che ancor oggi mi fanno compagnia nell’ingannar il tempo e il fuggire suo povere righe senza movimento e discorsive alquanto narrazioni insulse senza quel poetico licore cito il Carducci se non erro che il fin palato e lieto allieta dei critici preposti al lor giudizio. Ritornar ai metalli ed ai fluidi cattivi corrosivi che cercan di aggredirli in condotte tubazioni por rimedio? Ai reattori pensar di desolforazione, agli impianti urea, di cracking ai forni, alle caldaie, ai condensatori d’acqua dolce oppur di mare, alle condotte interrerate, al pitting degli acciai, e così via? Tempo passato ormai all’album dei ricordi confinato se pur più volte dall’oblio strappato tramite severe accademiche, miei ultimi cimenti, sui metalli dissertazioni e non tanto dotte poi ne sono quasi certo la noia vista di quei giovani scienziati! Perché ora mi dico alla noia della scienza aggiungere la noia , così pare, dei miei poveri versi perché una patetica questua di benevola conferma e accettazione seguite poi da commiserevoli letture? Una man ti prego dammi e presto mia Musa, non lasciarmi solo poni la fine a questi patimenti come di Virgilio sublime mantovan poeta alle Silicides Musae questa la mia disperata invocazione mia Musa Contadina insieme a te “paulo maiora canamus” I sogni …ed il quarto elemento aristotelico Incorrotti seppure intrappolati ma non spenti a vita nuova pare sono i sogni affidati nel tempo in un palloncino all’aria, quelli racchiusi in una scatola interrata, gli altri incapsulati in piombo grigio e piombati tra gli abissi in fondo al mare e a me i più cari da ossidi ceramici protetti gettati in fornace ardente di un vulcano : nell’aria danzano, sotto terra trovano la quiete, nell’acqua marina sono fermi e vincolati, protetti dal metallo a Saturno caro, nulla può per gli altri di Efeso dal negro antro la fucina. Ma se i loro involucri per triste sortilegio dovessero svanire ed i sogni liberati immersi nudi nei quattro elementi cari a Lo Filosofo de la Prima Filosofia che ne sarebbe dunque poi di loro? Si perdon forse nell’aria i primi, muoiono di diversa morte i secondi sotto terra ed i terzi immersi in acqua quale sorte? Difficile darne la risposta e tu che pensi? Una sola comunque è la certezza che quelli a me più cari una volta spezzata l’ignifuga corazza: arsi, riarsi e bruciati prontamente se ne andranno in fumo! Quel sorgere del sole....... Che ne è di voi oggi un tempo in giorni ormai passati graziose fanciulle mantovane ore quelle dal profumo dolce di una giovinezza qui lontana, mezzo secolo circa o forse più fuggito? Fuggito il tempo ma ancor presente la memoria sorelle insegnavate greco e latino l’una l’altra sono certo storia e filosofia. Quel giorno mi ricordo sotto l’ombrellone di una spiaggia romagnola mi diceste vorremmo con te domani il sorgere del sole nel primo mattino contemplare. Venne il mattino e il sole là in fondo in mezzo al mare dava il segno della sua salita con raggi sfumati e luminosi: fresca l’aria e la brezza salmastra da un profumo dolce amaro già alitava e noi che di noi accadde? Una di voi spiccò, tu, qual novella Atalanta rapida corsa veloce all’improvviso le tue dorate chiome sollevate al vento triste era poi o pareva il tuo sorriso il perché di tale corsa non ho mai capito, fuggir volevi per lasciar me e tua sorella soli? E tu, l’altra, rimanesti così con me ma vi fu solo silenzio, sguardi lontani seppure noi vicini che il sole nascente disturbava, un silenzio che ancor oggi non ho ben inteso. Vinse di certo la nostra timidezza allora! Quali dunque mi domando nel momento i nostri pensieri gli inespressi sentimenti o i desideri rimasti nostri ma tra noi ignoti? Tre ombre poi sole e lontane sulla spiaggia ciascuna ferma con i suoi pensieri. Difficile che oggi a Voi, ormai care Signore, queste righe su quel giorno possano arrivarvi, non so, ma le affido alla fata dei ricordi stessi che spesso li ravviva anche nel tempo e da lontano. Signorine di un tempo ormai care Signore grazie per quell’ora in quel mattin silente e che in quel silenzio non ho mai scordato. Smarrita è l’isola dei sogni (Il nocchiero ingannatore) Amica cara la nave nostra che volgeva così credevo all’isola dei sogni ove essi s’ammantano del vero e là mutarsi nella concretezza quei cari sogni nostri di una amore durevole e eterno non so perché o per quale sortilegio non solo la rotta abbia abbandonato ma in zattera malferma all’onde si sia pure di colpo trasformata perdendosi con i sogni trasportati in acque ignote di un misterioso mare. Di chi la colpa se tua o mia mi domando: il dubbio sorge che dal porto già partita sia con al timone un nocchiero falso e sconosciuto all’amor nostro mago d’inganni e di filtri ingannatori. La Legnano di Bartali Piazzale Loreto di Milano da viale Abruzzi non lontano fa di sé nella vetrina bella mostra ancora di fango ricoperta la Legnano color giallo quell’anno dal grande Gino cavalcata per domare qual vittorioso prode di Francia le ostili strade tra Alpi Pirenei fino a Parigi, vittoria assai pure propizia che dalle piazze in Italia anco tolse la tensione dopo a Togliatti il capo comunista da un esaltato l’attentato vile. A guardare tale bicicletta in quel momento oltre me bambino di ott’anni allegro estasiato pure due ragazzotti col tram venuti dal contado non so se da Vaprio d’Adda o dal più vicino Crescenzago. All’altro dice l’uno “cun chela bici lì sicur vincevi anca mi”. Un più anzian signore che di lì passava udendo del ragazzo le parole in modo brusco serio nello stesso dialetto così disse e s’intromise ” pisquano alter che bici, per vincc che voerenn i garunn” Di rimando l’altro ragazzo al primo già di per sè mogio nel vivo colpito ed avvilito la dose poi per di più rincara “te capì sufela che la gent a la ta rida a dre è… che voerenn i garunn” Come bastonato cane quello di corsa se ne andò, non so se piangendo o meno, allora ricordo io sorrisi , oggi non più bambino ma vecchio dalla vita ammaestrato non riderei: “Perché i sogni dolci nostri le illusioni ingenue care della giovinezza irridere infranger con durezza alla realtà richiamare con ironia e lo sberleffo? Ortensie e serenelle Dalla strada s’apriva un cancelletto su quel nascosto lembo di terreno non so se vicoletto oppure povero giardino che tra le case della nonna e della dirimpettaia se ne stava solo ricco di ortensie e di serenelle i lillà come chiamati altrove e nell’anno tra i segnali colorati delle stagioni che seguono l’inverno unici fiori lì sboccianti tra primavera tarda e principio dell’estate. Da tempo da anni non più le zolle di allora del passato non più le ortensie rosa rosse azzurre e delle serenelle il tenue colore e quel profumo caro, tutto sepolto sotto blocchi di cemento ma di te nonna mia nonna Nina quando passo di te io non mi scordo e nel ricordo ti rivedo ancora come quando di quei fior con mano vecchia e tremolante ne facevi con cura e con fatica amorevol mazzi per portarli poi ai tuoi figli che oggi dormon con te ma allora l’uno all’altro accanto riposavano là nel cimitero. Ricordi di Motta Visconti L’amico pettirosso Cerco invano dalla finestra semichiusa che guarda sul giardino quasi brullo dall’autunno in parte già spogliato dagli ultimi colori e che all’inverno vicino ormai si offre triste e nudo la tua presenza amico pettirosso: da giorni è già trascorso il tempo l’ora sperata a me cara negli anni familiare e attesa dell’arrivo tuo! Guardo e ascolto degli altri uccelli il canto passeri, merli, gazze e le colombe che tutto l’anno sento dai vari suoni il cinguettare ma quel tuo canto melodioso e a Chopin caro non è più qui malinconico mi sento nel non sentire quel richiamo. Per anni ricordi ci siamo fatta compagnia quattro mesi circa di giornate fredde buie anche nevose, rarità lo splendere del sole nell’ultima dell’anno la stagione che porta al cuore e alla mente di chi ha già percorso della vita anni su anni molti ricordi e i tanti sogni sognati poi svaniti e legati a quella passata e assai lontana nel tempo giovinezza. Giungevi all’improvviso e all’improvviso poi partivi poi all’ultimo marzo te ne sei andato e da quel giorno lontano sei da qui la tua presenza persa e oggi così mi sento ancor più solo. Il cinguettio tuo che tra i tanti più degli altri percepivo segno era che stavi lì vicino nascosto dietro quel cespuglio spoglio poi in silenzio io ti osservavo e tu con rapida ma circospetta corsa sull’esili zampette qual fili sottili sottilissimi di rosso colorati come il piccolo petto che gentil ti dona il nome quel caro canto ad un tratto interrompevi e a beccar lesto correvi quelle solo per te povere briciole dalla man lasciate in quel posto ad altri ignoto e che tu solo conoscevi: l’umile e parca mensa non molto di più offriva tu lo sapevi ma non ti lamentavi: una beccata e ti guardavi attorno al pericolo possibile guardingo poi riprendevi e talvolta il bel capino sollevavi e mi guardavi ed io ti rispondevo e questo era per me conforto ai miei pensieri d’infelicità pieni e così in quegli istanti e quella tua presenza rottasi un poco l’infelicità mia felice sorridevo ora quelle briciole un tempo a te regalo beccano facendosi la guerra passeri merli gazze e le colombe e l’infelicità mia rimane rotta solo da qualche mio singhiozzo. 4 Novembre (Davanti al Monumento ai Caduti di Binasco) E’ un giorno lontano, del passato ma oggi rivive il bronzeo Monumento. No, non più freddo metallo ma carni sofferenti e offese, lassù sul Carso ove bagnaste, Soldati di Binasco, di sangue i massi e s’arrossò la neve. Dove il coraggio dai cuor balzò sì forte: parola sconosciuta la paura! Vedi: lassù, sul campo di battaglia al fratel morente l’amore fa da scudo: con una man Tu tendi la baionetta al vento, con l’altra di Lui il reclinante capo tieni. Tu a colpir pronto ed a protegger Lui non dalla nera parca che già incombe ma da un nuovo del suo corpo oltraggio. E pur già preso Lui dal sonno eterno con un breve moto in un sussulto estremo a Te rivolge quell’ultimo sorriso: parlano gli occhi dall’indiviso viso e paion dirTi piano, piano, piano: “Sì grazie a Te, come partii mi vedrà mia madre” Binasco 4-11-2004 Che ne sarà di te Angelo Custode? Che ne sarà di te mio Angelo Custode quando verrà l’istante della dipartita, la mia da questo mondo? Al teologo ho posto la domanda e non so ancor se mai avrò risposta. Ti affiderà la Pietà Celeste ad altra nata nuova creatura o terrà conto per noi del mio Giudizio: Inferno, Paradiso o Purgatorio ? Di questo tu non parli e ti capisco. Così, se tu fossi destinato a me in eterno scontato il fatto che prima in Purgatorio e dopo di certo in Paradiso potresti per sempre qual Custode farmi compagnia, il problema, cosa assai seria ardua da capire, si porrebbe se all’Inferno dovessi esser gettato: lì vi è, credo, certezza che tu non possa entrare, perché poi condivider dovresti le mie colpe? Qui quindi il distacco dove tra dannati e giusti non vi può esser passaggio e comunione o proprio temo all’atto del primo dei Novissimi? Tu non parli ed io ansioso non so che dire, vienimi, ti prego, in soccorso o teologo e rispondi: “ Che ne sarà del mio Angelo Custode?” Dimmi!" Al mio Angelo Custode Non Michele, non Gabriele né Raffaele che le angeliche schiere fan marciare voi angeli di truppa e senza nome qual tu sei mio Angelo Custode! Solo Angelo Custode sei quando ti prego anonimo del cielo mio compagno mio solo mio non da dividere con alcuno! Mea gens : Il Ticino Mughettose, festanti e ridenti le sponde del Ticino, querce secolari e castagni d'odorosi boschi: mazzolini fioriti e cesti di porcini dal profumo intenso a Milano offriva un tempo Modestino a Porta Ticinese e Lodovica e in Piazza Duomo: una vita semplice, frugale e priva di pretese. Un tempo l'azzurr'onda sfiorava con fruscio i bianchi sassi e arsi, cotti dal sole Giovanni e i suoi fratelli lunghi forconi agitavan svelti nell'acqua dai barcè e i levigati ciottoli, frammenti di grezzi massi nel fiume a monte rotolati e poi rotti e spezzati da salti e lavorio dell'acque e trascinati per tempi e per stagioni sconosciute, l'affannosa e sobbalzante corsa qui finivan fermati, imprigionati da rebbi rugginosi; poi da fatica aggiunta e a forza aggiunti a guisa di bianchi su un ampio slargo monticelli portati infine in fornaci ardenti e vetrerie davano pane a Giovanni e ai sassaioli tramite forma e vita di familiari oggetti: vita dura e faticosa con dignità vissuta. Soli nel lavoro e nella vita al Goss e Margarota, "salvadag" li chiamavano certuni: era poi falso ma si sa la cattiveria era edè allora come oggi assai presente che, per il dimesso aspetto e i poveri vestiti miseri stracci più volte rattoppati, si diceva e si credeva avessero malie strane e odiassero sia i grandi che i piccini, per questi allora non vi era peggior babau : meglio evitarli non incontrarli in strada. Così costretti da questa diceria odiosa a percorrer solitari solitarie vie la vita tutta giorno per giorno fuor che nell'Inverno dall'alba fino a sera tarda e senza sosta curvi e piegati lungo i cigli di rami secondari del Ticino tagliavan di netto con l'acqua sino alle ginocchia, ah povere ossa, teneri giunchi e ne facevan solide fascine. Io bambino "milanese" , ospite dei nonni a Motta e non del tutto ignaro di tale cattiva maldicenza, questa devo rigettare e dire forte: "Care figure addio, agrodolce ricordo della fanciullezza!" Volle il caso che per caso li incrociai, cigolava la carriola colma di fascine, forti gli attriti della sgangherata ruota, solo, tremante, impaurito ed alla fuga pronto fui fermato non da callose e ruvide mani né da sdentate e paurose bocche ma da due ciau e da larghi sorrisi accompagnati da gesti in forma di saluto: non membra d'orchi ma di persone umane! Vita misera e piena di tristezze se non dolore: per poche lire un certo Giovanö prendeva le fascine! Mani esperte rapide le sue e veloci ed ecco cesti, cestini, fiaschi impagliati e damigiane di vesti intrecciate rivestite e belle, centri, centrini, sporte e sottovasi: parte all'industria, parte alle osterie, il resto infine lo vendeva Ghita la moglie col suo banchetto di sabato al mercato. Di tutti forse la miglior ma pur sempre vita grama! Giuseppe Gianpaolo Casarini L’aar ( L’aia) Milan, via Padua angül via Arquà püsè da quarantann fa e forsi dapü: l’äävv sir fäävv cold savi bon no ad durmì, darvï la fnäster l’ääv poeu pegg non tant par i vúss che gnãvä sü dal bass ‘d lustarì, ma pr’i sansosoer che sinfiravän denn a munton che ta mordavän dapartutt brasc ciapp coll e garonn parfinn sutt i culsett, e innür me gnüvv in ment di oltär sir, sir da tant ann fà cant savi un fioeu a la Mott, sir cold d’agúst, la lüna piena, e i sansosoer anca lì a fala da padron cui lüsirö dalà dal foss di Pin di Russ, e par la curt giränn la Lila, la Dora i dü cän dla Nona Nina, dormen i gain in dal pulee e là tac a la stall ta senta al vers dl’occ e caal di pavarin, luntän al par al brusegg di vacc anca se in propi lì a dü pass. Sultant su l’aar al scür dla sir e l’ari tutt inturän in rutt da vùss e da canson: cantään i donn su l’aar intant ch’in a dre è a dasfrascää al margon “Oh campagnola bella e peou la Banda d’Affori ed i prüväärbi dal Giuaninn rampega e delle Tre Melarance cünt chall turlulü final “ lü chall sa cradäävv un grand grand dasù al se fai mätt un rusc in dal cù” Pien i scorb ed pien i scurbinn dal margon dasfracaavv peou al segn dla Cruss ed un patär e nal silensi dla nocc tucc a caa. Anca li a lääv nocc sa sentääv pü parlà silensi e peou silensi e me gnüvv un po al magon par chest me turnà turnà indree in dal temp. La cä dal frä ( La casa del Frate) L’olter ieer mentär s’aavi intrè ‘ndä sul stradon che porta a B’sà Me pars da ved ammò cume una vöölt la cä dal frä, là dopu la curva sul rivon Cunt i so cupp russ, mess rut e in mess di pasarin i ninn, Pusè sutt tra i tëcc e i muur g’aav anca chai di rundanin: muur pien da crepp cunt un quai bucon stacaav e cunt l’usc sbarätaav. Pö là in fund in mees al prää ho vust la sia Dela, l’aav propi lè, Cunt al so fularin veerd al coll e cunt in cò un caplin biäänc che la vultaav al fen cul bastunin e areent Papu, Ingelino e al me Batista. Pusè innaans a mità prää cunt al fer par taiä l’aarb, al sgäsc, l’aav stravacaav Ciapin e Luigi che cunt la cud al faav al fil al sò. Sträc pär al laurä e pär l’arbaton dal so puus ad una gabaav Ätäc al foss la sia Nina e la sia Tugnina avan drè a parlä, al siu Pedar cunt al fulcin a l’aav adrè a taiä un rubin l’olter siu Pedar al bivaav dal fiaschet dal vin o forsi dl’äqua frösca e un queidun pö, sò no chi, scunduuv al pisaav dadrè a un muron Pasaav intant pusè luntän Ingiulin cunt al so bö e ‘l tumarlin G’avän tucc mancavi dumà min ma pö un clacson dun utumobil Da culp al al mà dasdaav saavi giamò ruvä a B’sà E dumà li ho capiiv che intant ch’andavi saavi drè a sugnä Da una Giornata in Val Vigezzo Ritorno a Santa Maria Maggiore ( Casa B……) Conserva ancora quel sapore antico la casa qual dalla strada un tempo ci appariva al fine di una corsa partita dalla valle: dello stesso colore i muri ed i suoi disegni. Chiuse invece le porte e le finestre qual occhi spenti e labbra mute ahi segno certo di un abbandono triste. Serrati pure il cancello ed il cancelletto cede alla ruggine la pittura verde. Dal primo e dalle grate che spazio danno alla vista un parco mutato e offeso e mutilato rispetto allo splendore antico verde e acceso di faggi e di rigogliosi pini unico segno di vita ancor presente appare un gatto bello e pasciuto che rapido alla vista si nasconde. Si nasconde e riappare riappare e si nasconde forse per stimolar gli occhi e la mente ai ricordi di un tempo ormai passato. Ma le bianche sedie lì in fondo vuote ed abbandonate un tempo segno di vita ed allegria per nomi noti e visi familiari reclamano ora il silenzio lasciando solo tristezza e malinconia. Santa Maria Maggiore 02-10-2010 A ricordo di Geo Chavez dall’ ardito volo Son cent’anni dall’audace gesto e lo ricorda., oggi, nella piazza il simulacro che alla muta foto s’accompagna intrecciato di rami e fiori di un aereo non difforme per foggia e leggerezza di quel di quella che fu magica impresa, libellula alata che da Briga spiccò verso le Alpi poi domate in volo. Una seminebbiosa Domodossola queste che tu per primo sorvolasti fiero e deciso qual Auriga alato or mi oscura e mi nasconde. D’un tratto ecco colorarsi le vedo un istante di sotto d’un timido sol poi nuvole incerte sopra un picco di un volto s’arabescan lieto gaio e sorridente: il tuo forte ardito dell’aria, coraggioso Geo: quel dì non caduto al suolo ma rapito da un turbine e poi volato in Cielo. Domodossola 02-10-2010 Grazie Musa: Gli scherzi della vita! Grazie mia Musa Contadina per l’ispirazione di questo magnifico peana degno di un epico cantore. Dal vertice alto di un triangolo rettangolo lungo un cateto di botto son disceso, troppi gli attriti e la frizione lungo la via dell’ipotenusa, e così sopra un cerchio strano mi sono ritrovato di cui non conoscendo il raggio e resa quindi nulla l’area dell’appoggio alla caduta sopra un trapezio anch’esso strano mi sono ritrovato. Una, due, mille volte non so quante sopra vi ho danzato come inebriato ed inebriato poi stanco ad una vicina sfera mi sono avvicinato, cercando incautamente di toccarla ma con lei rotolando sono ruzzolato fino al parcheggio dei solidi suoi parenti. Qui per farmi bello un cilindro mi sono messo in testa e un grosso toro al collo ho preso un parallelepipedo e sopra di lui due cubi per appoggio ed evitando con fatica i prismi e le punte dei coni lì vicini, con fatica sono giunto sopra la punta appuntita di una piramide per ritrovarmi infine e sempre, ancora sul vertice alto di quello stesso triangolo rettangolo. Dal vertice alto del triangolo… ………………………………. Sei sicura Musa che della tua saggezza abbiano inteso o no questa tua bella ispirazione ? Anniversario Cinquanta, poi dieci e cinque ancora, in quel giorno che li assommava tutti gli anni tuoi mio caro e vecchio amico, i miei, cuore mio, compagno di una vita, per sbaglio, tu lo sai, non per voglia la sorpresi: dal bagno usciva come una venere dall’onda che ad un pittor si mostra e quello poi ritrae. Non si voltò, lo sai, e chiusa, lesta, fu la porta che la nascose lesta al mio pudico sguardo. Le chiesi scusa per l’incolpevole atto dietro la porta, e tu lo sai, non vi fu risposta, come un intruso, tu lo sai, e nell’indifferenza mi trattò quel giorno come le altre volte. Quando splendeva la sua giovinezza, tu lo sai, forti i tuoi battiti, ricordi, ed irregolare il polso, l’ebbra vision che i sensi turba mai mi mostrò, mai, tu ben lo sai, quella poi io né chiesi né pretesi, sempre distolsi da lei, lo sai, sguardi furtivi fino al cadere dei giorni della primavera sempre e poi, tu sai, di quelli dell’autunno tardo ancora. Speravo, mi chiedi, che in quel giorno caro forse pentita mi facesse in quell’istante il dono con un suo nel tempo ripensamento tardo? Porvi rimedio prima che non vi fosse più rimedio, quante ancora le nostre stagioni o primavere? Mai, lo sai ed io lo so, sarebbe potuto capitare! E poi già, io lo so, tu hai pronta e secca la risposta che negli anni , lo so, soffrendo mi hai taciuto: “ Nell’arte del pennello, amico, sai, tu non eccelli non sei pittor valente ma povero imbianchino!” Alla mia Aspasia Son volato in cielo dalla Luna argentei raggi ma non per te ho poi rubato: ne ho fatto una sottile rete a quel vecchio pescatore l’ho gettata per rendergli più lieve la fatica. Dal giardino di un re, non so quale, ho colto un fiore, la più bella rosa ma non per te ; a quella vecchia stanca l’ho donata: un dono per una vita solitaria, mai sfiorata da un amore. Son sceso sotto terra in più punti ho poi scavato zaffiri, rubini e pietre rare gemme smeraldi a profusione ma non per te: alla piccola Ornella li ho portati che con la man tremante mendicava. Cosa per me, cosa mi chiederai mi porti in dono? Da pruni rovi e bianchi biancospini rami su rami avevo tolto e di spine una collana poi intrecciato, era per te ma me la sono messa al collo. Da erbe le più infestanti e dei più velenosi fiori un mazzo maleodorante avvolto da urticanti foglie avevo con cura preparato era per te ma me lo son tenuto teneramente poi l’ho pur baciato. Da sponde di fiumi, da vette di montagne schegge di sassi, frammenti di appuntite rocce un pesante fardello ne avevo tratto con fatica poi da te portare: davanti alla tua porta poi mi son fermato, era per te. Non ve erano bisogno già li conoscevi eran gli stessi coi quali un tempo non lontano m’avevi tu trafitto il cuore. Quella cartolina In un vecchio libro di stechiometria alla pagina “Soluzioni tampone: calcolo del pH-esercitazioni” ho ritrovato una vecchia cartolina quella di un tempo lucida con rose rosse e viole che allora si mandavano non in busta chiusa: “ Che importava del postino o d’altri”! Sul retro già affrancato: “ Gentile Signorina, il tuo nome il cognome, la via, il numero, il paese”. Nello spazio riservato: “ Milano-19 marzo millenovecentosessantatré- Sotto scritto in grande e in modo trasversale racchiuso tra due righe parallele un “PERCHE’ TANTO ODIO?” ed in piccolo piccolo quasi non si legge firmavo-giuseppe- il nome mio.” Oggi a distanza di tempo non so perché quel PERCHE’ non ho mai spedito! |