Testi di Cristina Bove


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Cristina Bove

Sono nata a Napoli il 16 settembre 1942, vivo a Roma dal '63, anno in cui mi sono sposata. Da sempre dipingo, scolpisco, scrivo, leggo, tempo e famiglia permettendo. Da qualche anno non godo di buona salute, sono stata più volte sul punto di andarmene...ma eccomi qui, davanti a questo mezzo meraviglioso che mi offre la possibilità di conoscere e farmi conoscere. Sono grata a tutta quella fascia di umanità che non si arrende e continua a battersi per un futuro illuminato in cui tutti gli uomini possano esprimere sé stessi senza subire ingiustizie e discriminazioni.. accolti come doni insostituibili in un mondo di pace e solidarietà.

Leggi le poesie di Cristina

Da “I racconti del Falco”

In volo, dall'alto, vedevo un quadro di policromia e di bellezza. Il mare e la spiaggia, e le colline verdi.
Sedute sulla riva due figure radiose entravano a far parte del quadro.
e qualcuno narrava così:
Un giorno, dopo millenni di attesa, una piccola anima si trovò di fronte ad un essere splendente che aveva le braccia cariche di rose.
Lei non aveva mai visto rose così belle, in una infinità di vite in cui si era reincarnata, non aveva davvero mai visto tanta bellezza, nei fiori e nelle sembianze dell’ essere sovrumano che improvvisamente era apparso.
La piccola anima si chiedeva come mai tante rose riuscissero a stargli tra le braccia .
- Sono per te – disse la divina creatura.
- Per me? –
- Sì, sono proprio per te, ed anch’io sono qui per te.-
- Non capisco – aggiunse la piccola anima – non ho fatto alcunchè per meritarlo. –
- Ti sei attenuta alle regole celesti, hai attraversato il dolore e l’abbandono, hai conosciuto la sofferenza, eppure hai conservato il candore dell’entusiasmo, hai saputo rendere più lieve il cammino di chi ti è stato al fianco, hai offerto comprensione, compassione e amore.
- Ma io non ricordo tutto ciò – rispose lei, con gli occhi ridenti mentre si sforzava di ricordare qualcosa del passato.
- Anche se tu non te ne rammenti, negli infiniti passaggi che hai dovuto affrontare, Qualcuno lo ha annotato per te. –
- Oh! – si stupì ancora lei.
- C’è qualcuno che conta i sospiri e le lacrime, qualcuno che scrive in un libro d’argento le storie degli uomini. La tua si sta delineando con i colori dell’arcobaleno, hai saputo affrontare perfino la solitudine, ed ora è giunto il momento di ritrovare il tuo sogno, l’Amore, me.
- Come – con un filo di voce, perchè la commozione le impediva quasi di parlare – come sei arrivato fin qui? E come è possibile che io ti abbia atteso tanto tempo?
- In effetti sono stato anch’io mille secoli lontano da te. Ho attraversato anch’io il dolore, l’abbandono, la solitudine e tutto il resto. Anch’io mi sono incarnato in infinite forme ed anch’io, come te, ti ho cercato invano.
- Ma come è accaduto tutto ciò?-
- Questo non saprei dirlo nemmeno io, so soltanto che dovevo incontrarti ancora, che non potevo più esistere senza di te, come tu non potevi più esistere senza di me. Qualcosa si è compiuto nel seno dell’eternità, e a noi è stato concesso finalmente di ritrovarci ed amarci. –
- Allora era qui, sulle rive di questo oceano, dove sono rimasta a guardare le onde ed i naufragi, dove ho visto le battaglie finire nel nulla, dove ho visto le orme di infiniti passaggi cancellate dal tempo, era proprio qui che dovevo aspettare!-
- È così, amore mio. E abbiamo ancora una forma fatta di materia e di sensi per sentirci vivi e completi.-
- Ma io non sono bella come te – disse lei aggiustandosi intorno il suo corpo ormai quasi sfiorito. –
- Sei bellissima, sei come devi essere, perchè quel vestito è soltanto apparenza, e tra poco avrai solo bellezza.-
- Tra poco?
- Sì, ormai è questione di cancellare il Tempo, l’idea che abbiamo del Tempo...e tutto tornerà come è sempre stato, io e te insieme alla scoperta dell’Amore totale.-
E così dicendo la strinse a sé in un infinito abbraccio.

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Ai piedi delle verdi colline, sulle rive del mare, ora ci sono altre figure radiose.
La voce che narra:
“Mentre la piccola anima godeva dell’abbraccio amoroso di quell’Essere affascinante che la stringeva a sé, c’erano altre piccole anime ad osservare, tutte desiderose di poter entrare in quell’estatico abbraccio.
Una in particolare, aveva grandi occhi brillanti e un vestito ancora molto bello e multicolore.
L’Essere la scorse e lei allora lo invitò con una danza ammaliante, gli fece dei cenni di intesa creando arabeschi e figure colorate nell’aria...Lui ne rimase incantato.
Si sciolse allora dall’abbraccio per andarle incontro.
La piccola anima lasciò fare, sorridente, vide la gioia che emanava da quel nuovo abbraccio e ne fu felice per loro.
Però capì anche che adesso era meglio inoltrarsi nell’oceano, lei non era ancora pronta alla condivisione...Capì che sarebbero occorsi ancora secoli prima di poterla accettare.
Quindi, sempre sorridendo, raccolse tutte le magnifiche rose, tutte quelle che le sue braccia potevano contenere, e le depose ai piedi della coppia abbracciata.
Poi, lentamente, ma con decisione, si inoltrò nell’acqua.
I riflessi del sole scintillavano nei suoi capelli...le onde le creavano suoni melodiosi per farle compagnia...
Sempre più lontana la riva.
Il Tempo cominciò nuovamente a ticchettare...
La sera scese veloce, il grigiore si sostituì al crepuscolo dorato e le nuvole scesero a sfiorare l’orizzonte.
Qualcuno raccolse le sue ultime lacrime e scrisse i suoi ultimi pensieri nel libro d’argento...
Lei si abbandonò al movimento dell’acqua, nella scia del sole morente...poi si lasciò sommergere dal mare...
Il suo ultimo pensiero fu: - Addio, amore mio, sii felice. Almeno tu.-
Qualcuno annotò anche questo.

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Qualcosa però le impediva di affondare. Aprì gli occhi e lo rivide: era sospeso accanto a lei, la sorreggeva con le braccia immerse nell’acqua e il corpo librato nell’aria.
Dolcemente, decisamente, la sospingeva verso la riva.
L’aiutò ad adagiarsi sulla spiaggia, ed anche se il sole era ormai tramontato, alla luce della luna sorgente, i contorni del suo corpo e del suo viso brillavano.
Lei tremava, allora lui la avvolse in un abbraccio che la cullava e la faceva sentire calda e al sicuro.
Trascorse tutta la notte mentre abbracciati, senza parlare, si accarezzavano nel corpo e nell’anima…
L’alba li trovò addormentati, stretti l’uno all’altra, lui protettivo, lei rincantucciata fra le sue braccia.
Il sole illuminava ora ogni cosa, il pelo dell’acqua scintillava di mille piccoli riflessi dorati, il tepore dei suoi raggi si trasmetteva alla sabbia.
Si svegliarono quasi insieme, lui inventò per lei un vestito di parole d’amore, le raccontò di tempi lontani, di storie vissute e finite, di vite lasciate a metà…di luoghi ameni e di terre crudeli, di leggende e di favole vere.
Lei ascoltava in silenzio mentre i suoi pensieri creavano scene e fondali e musiche e danze, ed anche se la sua bocca taceva il suo cuore cantava.
Gli orologi del crepuscolo persero le ali e caddero nel mare, dove furono sommersi e dimenticati.
Il Presente fu l’unico tempo a restare, in un orologio senza numeri né sfere, il quadrante sospeso nel cielo.

Trascorreva le ore davanti al PC, scrivendo poesie e inviandole ai vari siti che ne consentivano la pubblicazione…Aveva anche fatto stampare un libricino a sue spese, tanto per avere qualcosa di concreto da mostrare, a sua moglie, ai figli, agli amici.
Soprattutto a sua moglie, che, conoscendolo bene, sapeva di non potersi fidare ciecamente della sua fedeltà. D’ altra parte già in passato aveva corso qualche rischio di essere scoperto…perché le donne gli piacevano, tanto, tutte…era il femminino che amava in loro, quelle qualità quasi divine di intuito, quella loro capacità di sublimare la passione, perfino quella travolgente e un po’ eccessiva della sua stessa pulsione carnale.
Aveva imparato a giocare con loro, a concedere spazi in cui potessero esporre qualche lembo della loro psiche, ma sempre in agguato alla ricerca di una possibile, agognata, denudazione concreta.
Pensava di esorcizzare la vecchiaia nell’unico modo che lo faceva ancora sentire valido, cercando e soddisfacendo il desiderio sessuale.
Bazzicava anche siti porno, sempre con la massima attenzione a non lasciarne traccia nella memoria del PC che, suo malgrado, talvolta se ne infettava e ne riversava qualcosa attraverso le mail da lui inviate.
Talvolta doveva interrompere un intervento in chat, oppure rinunciare a rispondere ad una mail, se la moglie o i figli si avvicinavano troppo alla scrivania.
Ma il fascino che esercitavano su di lui le menti femminili argute, colte, poetiche, seppure ne stuzzicassero le innegabili doti d’intelletto, immancabilmente lo rimandavano, poi, ad un impulso più robusto, che un po’ dannunzianamente in poesia, in maniera più diretta per posta, si faceva presente per esigere un riscontro.
Eppure alcune sue poesie erano rivelatrici di un fermento, di una malinconia latente, di una struggente rassegnazione alla vita e di una disperata negazione della morte.
Poi nella sua vita apparve una creatura diafana, senza spessore né luogo che non fosse quello schermo luminoso in cui le sue parole prendevano vita e le davano realtà…
Le aveva attribuito la bellezza lunare dei ritratti di Watteau, l’intelligenza di una Simone de Beauvoir, le conoscenza scientifiche di una Margherita Hack…ma anche la possanza misteriosa di un felino.
Sognava di lei, spesso i suoi scritti avevano dei riferimenti che solo lei poteva interpretare. Si stava innamorando di una immagine e, nello stesso tempo, desiderava intensamente che prendesse corpo.
Era diventata irrinunciabile, una sorta di gioco a nascondino, la caccia a quell’entità fatta di pixel la cui amabilità era stemperata spesso da una sottile ironia.
Doveva conoscerla, assolutamente, avesse dovuto attraversare l’oceano, recarsi al polo nord, sulla luna…
Ormai incaponito in questa brama, mise in atto tutte le sue armi di seduzione, le fece ogni sorta di promessa, ne infranse ogni possibile dubbio…Infine riuscì a farsi dare le notizie più precise, riguardo alla sua vita, alla sua quotidianità, al suo luogo di residenza.
La città era lontana, avrebbe dovuto viaggiare quasi un’intera giornata per raggiungerla…Riuscì ad inventare la scusa più credibile di tutta la sua vita e a farla digerire alla famiglia, Ora aveva due giorni per conoscere, finalmente, quella donna affascinante che lo aveva ammaliato dallo schermo.
Il treno giunse in orario, non ebbe alcuna difficoltà a trovare un taxi, l’autista si mostrò cortese alle sue spiegazioni, indirizzo, indicazioni, tutto scorreva liscio.
La strada era in salita, il numero civico che gli era stato indicato doveva trovarsi quasi sulla sommità della via, l’ appuntamento era proprio davanti alla casa, una villetta stile anni ’70, così gli era stato spiegato.
Fremeva, già le sue mani sentivano al tatto quella pelle che aveva tante volte immaginato, serica, morbida, e le labbra che avrebbe di lì a poco potuto sfiorare…baciare…
- Ecco , ci siamo. -
La voce del tassista lo riscosse dalle sue elucubrazioni, prese il portafoglio per pagare e intanto diede una sbirciata alla casa.
La luce del tardo pomeriggio tagliava già molte ombre sulla facciata, il cancello era semiaperto e lui si incamminò su un vialetto di ghiaia frammista a ciuffi d’erba che conduceva fino ad un portoncino scuro, vi spiccava una piccola targa metallica con il cognome, di lato un pulsante su cui premette il dito, per un secondo…il battente si aprì e lui restò perplesso sulla soglia.
- Permesso?- chiese, restando ad aspettare…e non ricevendo risposta, avanzò di qualche passo.
Si trovava in una sala piuttosto ampia, nella semioscurità intravide un ‘immensa scrivania su cui campeggiava lo schermo di un computer acceso, alla cui luce potè scorgere anche varie scaffalature alle pareti, zeppe di oggetti metallici che non aveva mai visto prima.
La porta intanto si era chiusa silenziosamente alle sue spalle e lui, con un certo imbarazzo, pronunciò ad alta voce quel nome che per così lungo tempo aveva solo pensato…un movimento impercettibile, da un tendaggio sul fondo, catturò la sua attenzione, si immobilizzò…mentre una donna bellissima avanzava verso di lui…Si fermò quasi al centro della stanza. Ne potè distinguere i capelli ramati che in morbide ciocche le incorniciavano il viso ricadendo sulle spalle, il seno che prorompeva sodo e bianco dalla scollatura abbondante di un splendido vestito dai toni azzurri, quasi fluorescenti…il viso era di una bellezza botticelliana, e pure nella scarsa luce i suoi occhi avevano uno sguardo dolce e conturbante nello stesso tempo…le sue braccia bianche e tornite si protesero, invitanti…
Stupefatto, eccitato, con la passione che gli montava dentro, le andò incontro, aprì le braccia per stringerla a sé…e le sue mani attraversarono i colori di una figura impalpabile,
un insieme di puntini luminosi che formavano lo splendido ologramma…
Si ritrasse intimorito, sorpreso, deluso…in un contrasto di emozioni che non riusciva a razionalizzare…
Un suono proveniva ora dalla semioscurità del tendaggio, come di pianto sommesso, un singhiozzare soffocato….quasi automaticamente attraversò la stanza e scostò la pesante stoffa scura…dietro, in piedi, le braccia lungo i fianchi in posa sconsolata, un uomo dal viso rigato di lacrime lo guardava con aria implorante…
Aveva dei tratti marcati, l’attaccatura dei capelli bruni bassa sulla fronte e le sopracciglia quasi unite, di corporatura tarchiata, poco più basso di lui, poteva avere una quarantina d’anni. L’uomo, con la voce arrochita dal pianto farfugliò qualcosa…Lui sentì chiare solo alcune parole. -…non avevo altro modo…farmi amare …le mail…volevo dire…ma non…coraggio…-
Lui ricordò qualcuna delle espressioni che più l’avevano colpito, riandò con la mente alle sensazioni provate nell’ attesa di ricevere posta, e poi nel leggerla e rileggerla…la grazia e l’intelligenza che lo avevano così appassionatamente incantato, e allora…lo strinse a sé in un abbraccio.

Mimesi
La bambina si voltò per seguire con lo sguardo lo stormo di uccelli neri in volo verso il grande albero della savana. Il villaggio di capanne la circondava, con gli odori grevi dei corpi sudati e delle radici abbrustolite sui focolari davanti alle soglie, dove le donne stavano accucciate a pestare e rimestare.
Poche capre striminzite brucavano ciuffi di erba siccitosa spuntati chissà come tra le capanne; più avanti, sul sentiero di terra rossa, altri bambini giocavano spintonandosi allegramente fra taniche di plastica scolorita accatastate e bassi contenitori di terracotta pieni di granaglie secche..
I vecchi scrutavano l’orizzonte seduti di spalle alle ultime capanne del villaggio…oltre le mangrovie, dove la terra riarsa esalava un tremolio polveroso ed il suolo si confondeva con la sabbia
Lo stormo volteggiava sull’albero, le forme nere si libravano per poi planare sui rami spinosi più alti, librandosi ancora, ridiscendere e posarsi anche sui rami bassi
La bambina pensava che nei dintorni ci fossero i resti di qualche animale morto a fare da richiamo.
Però gli uccelli, ora quasi tutti ben appollaiati, se ne stavano immobili.
La bambina si incamminò verso l’ albero, guardinga, c’era sempre la possibilità che l’ipotetica preda fosse ancora in grado di reagire…
Senza avvicinarsi troppo, in prossimità delle contorte radici affioranti, si acquattò per scrutare…intanto anche alcuni anziani si appressarono, gesticolando fra loro…vi fu una silenziosa ricerca nei dintorni, ma non fu trovata alcuna carcassa…
Tornarono alle capanne scortando la bambina.
L’indomani nell’aria afosa si stagliava l’albero gremito di uccelli…e l’indomani ancora…
Trascorso ancora un giorno, la bambina, cui non era sfuggito l’insolita staticità dei volatili, richiamò l’ attenzione degli adulti, e tutti si diressero all’albero.
Giunti proprio sotto di esso, videro le forme, appena movimentate dal flusso ascendente della calura, frammenti slabbrati di plastica nera, intrappolati fra i rami spinosi…residui di quei grandi sacchi che venivano usati dagli inservienti, alla Missione, per smaltire i rifiuti.
E sotto, ai piedi dell’albero, le carcasse di alcuni avvoltoi scheletriti.

Lo specchio
Nella sala da pranzo, bouffet e controbouffet sulle opposte pareti, il tavolo rettangolare col ripiano di vetro, le sedie imbottite damascate a fiorami beige e rosa, i poggiatesta ricamati sul divano, i fiori di plastica nel vaso finto cinese sul televisore…E il grande specchio trapezoidale alla parete, sulla consolle dal ripiano di marmo cipollino.
E’ seduta di spalle alla finestra, china su qualcosa che sferruzza con lane colorate, gli occhiali sulla punta del naso e le dita deformate dall’artrite.
Ogni tanto alza lo sguardo verso la porta che immette nel corridoio, quindi si volge alla pendola che ticchetta sulla parete di fronte e nel farlo ondeggiano lievemente alcune ciocche sfuggenti dalla crocchia dei suoi capelli bianchi.
Il sole, filtrando dalle tende, ne disegna i ricami sul pavimento e sui braccioli della poltrona in cui sta raccolta, intenta a contare le maglie, più che vederle.
Dalla porta entra un vecchio, porta un sacchetto della spesa, con passo un po’ strascicato si avvicina alla donna e le bacia delicatamente i capelli bianchi.
Lo specchio riflette gran parte della stanza, ne duplica i particolari, anche la damina e il pastorello di ceramica sul ripiano sottostante, le bomboniere d’argento e il carillon a forma di gondola.
Riflette nitidamente la poltrona e il chiarore della finestra che illumina la donna intenta a sferruzzare.
Nello specchio si vede, di spalle, un giovane uomo chinato a baciare i neri capelli lucenti della sua giovane moglie.

L'isola
Di fronte al molo, una piccola sporgenza biancastra, piatta, spiccava tra gli scogli sotto il lungomare. Alla luce del sole risaltava come se fosse estranea al resto delle rocce.
Una figurina vi stava distesa, sembrava dormisse.
Alcuni gabbiani sorvolavano la spiaggia emettendo stridule grida, ogni tanto planando sulle onde per poi dirigersi quasi in picchiata sulla scogliera.
Da questa parte , affacciati al muraglione , si poteva osservare il profilo del colle sovrastante il porticciolo dei pescatori e le case disseminate sul litorale.
Era già trascorsa mezz'ora, e la sagoma sulla roccia non aveva cambiato posizione.
Una barca rientrava col pesce appena pescato, approdò sotto di noi e attrasse la nostra attenzione…scendemmo per vedere le cassette che i pescatori scaricavano sulla riva. Poi qualcuno propose un gelato e ci avviammo verso il solito bar prospiciente la darsena.
C'era poca gente in giro, alcuni vecchi dalle mani callose e annerite di nicotina giocavano a carte fumando e imprecando seduti ai tavolini di metallo, tra cordami arrotolati e sedie impilate, all'interno un ragazzo sciacquava tazzine e le appoggiava capovolte a scolare. Ci intrattenemmo a parlare della casa dei miei nonni, in vendita da qualche settimana, da quando cioè anche la nonna se ne era "andata" e che, sembrava, avesse trovato un acquirente, un pittore straniero che già da tempo viveva in paese. Se ne dicevano di cotte e di crude su di lui , ma a noi interessava soltanto che la vendita si facesse. Dopodichè, forse, noi cugini e i nostri rispettivi genitori, non avremmo avuto più la necessità di frequentare l'isola.
Stavamo tornando sul camminamento del molo, quando non potemmo fare a meno di osservare la figurina sugli scogli, immobile, nella stessa posizione in cui l'avevamo notata ore prima…
Di comune accordo decidemmo di attraversare la spiaggia e risalire dal lato opposto.
Il sole stava calando e la luce radente mutava le forme degli scogli e noi ci affrettammo.
Giunti sul posto ci affacciammo tra le barre di ferro dell'argine di cemento per osservare sotto di noi…reclinata sul fianco, una forma vagamente somigliante a un delfino, rosea, con le gambe congiunte a formare una sorta di pinna caudale, giaceva senza segni di vita…
Ci calammo dagli scogli, puntellandoci con le gambe e con le braccia fino a raggiungere la strana creatura…due grandi occhi si aprirono imploranti su di noi, il respiro soffocato quasi un rantolo, udimmo le parole…credemmo di udire le parole…quelle che ci esortarono a spingerla in mare…con tutta la delicatezza che ci fu possibile, la sollevammo e l' adagiammo nell'acqua…
La vedemmo guizzare ed allontanarsi negli ultimi riflessi del sole ormai tramontato…
Qualcuno intanto si era affacciato e scrutando verso di noi si scalmanava…-Guaglio'! Uhé, guaglioni, che state facenno?-
-Niente…niente...-
-Mbeh, saglite, ca se fa' notte!...
Alcune braccia ci aiutarono a scavalcare il parapetto, ci fu raccomandato di tornare subito a casa.
Non parlammo fra di noi, non riferimmo mai l'accaduto ai nostri genitori, qualcosa ci impedì sempre di farlo.
Questa estate, sono tornato sull'isola, ho sostato sulla piazzetta, davanti al bar…ho guardato a lungo la scogliera, la roccia piatta sporgente…un vecchio pescatore si è avvicinato e, come sovrappensiero, mi ha detto:- Ah, lllà nce steva la statua di una sirena , ma tantu tiempo fa , 'na matina, ''ncoppa alli scogli, truvarono sulamente 'na scarpa-
L'avevo persa io.

L'essere
Da qualcosa senza confini uscì una voce senza parole e l'Essere senza forma vibrò più forte.
Attraversò luoghi di luce e campi di energia, spazi concentrici e dimensioni mutevoli, e la sua vibrazione aumentava sempre più…e sempre più cresceva il pulviscolo…
E più vibrava più si condensava.
Nella nebbia siderale l'essere ruotava intorno ad una sfera viscosa, qualcosa che era ancora l'Essere ma già se ne separava.
Ruotava sempre più…e la viscosità luminosa gelificava addensandosi. Si contraeva e sempre più si concentrava…divenne un punto vorticoso, separato dal suo altro, e cominciò a cadere, precipitare verso altro ancora che attirava con una forza mai conosciuta prima…
L'impatto fu l'esperienza che l'Essere conobbe come "oscurità"…e il Nulla… che l'Essere seppe elaborare come il non-sperimentabile, l'inesistente, l' inconcepibile paradosso infinito.

Poi, intorno al punto in vibrazione, forze diverse produssero modi nuovi di esistere…c'erano limitazione e solidità, complessità e costrizione.
L'Essere guardò sé stesso dall'infinita libertà che ancora era….e conobbe la sua altra esistenza e questa, a sua volta, conobbe sé stessa nella molteplicità della forma: occhi videro, orecchie udirono, mani toccarono…
Il bambino si osservò nello specchio di un altro bambino, di innumerevoli altri bambini…quindi si addormentò…e sognò…

Il sogno creava tempo, e nel tempo l'Essere sperimentava il mutamento, e nel mutare impegnava le sue energie e, non riuscendo più a ricordare la sua provenienza, si identificava con il suo sogno…

Infine si svegliò. Vide il gioco degli specchi e…rise.
Sentì voci chiamare da spazi infiniti, vibrazioni giungere e fondersi con le sue,,,Desiderava aprirsi, espandersi, confluire in quella soavità quantica che invitava, attraeva…
Guardò l'Uomo in cui si era condensato e rappreso, e fu grato a quel meraviglioso complesso di possibilità in cui aveva potuto sperimentare la separazione…e fu felice ancora di più nel potersi conoscere partecipe dell'espansione creatrice…divino frattale del movimento eterno dell'Amore.

L'angelo dei settimini
L'angelo dei settimini è sempre trafelato. La chiamata arriva che se la sta prendendo comoda: ancora un paio di mesi da trascorrere in giro tra le nuvole immerso in melopee ed arpeggi, arcobaleni e scintillii di stelle, qualche apparizione sulle Ande, una capatina su Cassiopea, qualche buon incensino da sniffare, qualche litania da archiviare…
Ma il Capo, che ha già sparpagliato sé stesso in squame, piume, muscoli e crescione, ha terminato prima del previsto cartilagini e femori, ed ora anima e cellule stanno lì lì per essere scaricate…
Amen e si ritrova sparato dallo spazio, nel tunnel direzionale che lo deposita dentro l'ospedale.

Sospeso sopra il minuscolo corpo rugoso, visibilmente asfittico, l'angelo si assottiglia, diventa un filo di luce che penetra nei grumi dei polmoncini striminziti, quasi un arco voltaico e…l'esserino cianotico apre la bocca ed emette uno stentato vagito
L'angelo plana sull'incubatrice, leggero, un soffio appena…il suo protetto è incerottato, incannulato, e dorme il suo primo sonno tra gli umani.
Ma perché tanta fretta?
A volte il Capo si produce in enigmi.
E stare tra le ali, a volte, può diventare scomodo.
L'angelo non recrimina, adesso ha cose serie cui dedicarsi…ormai non è più possibile abbandonare la postazione, occorre vigilare perché tutto si svolga a puntino. Dovrà restare per tutta la durata prevista a sostegno della creatura che gli è stata affidata. Dovrà supplire alle sue debolezze, correggere errori di percorso , assistere in situazioni estreme. Ma l'essere che è stato preso in consegna, non saprà mai della sua presenza…non sarà mai certo di potersi affidare alla sua custodia…e questo è un altro dei Suoi enigmi,,,
L' angelo, pur non conoscendone l'epilogo, sa quanto imparerà dalla vicenda umana del suo protetto. Sa che proverà per empatia tutte le sensazioni che quel piccolo essere percepirà, sempre più intense,man mano che procederà nella sua crescita. Sa che dovrà assisterlo in ogni difficoltà, sa anche che saranno innumerevoli i mezzi, sommi o infimi, che il futuro uomo userà per affermare sé stesso sul pianeta. Non conosce il motivo per cui quello spirito è venuto a sperimentare la materia…e non potrà mai opporsi alla sua volontà…lo sanno bene quelli che hanno avuto in custodia Hitler e compagnia. E questa è la regola più difficile da osservare…
Ora il dovere chiama…qualcosa non funziona nell'incubatrice…il piccolo è immobile, cereo… nessuna infermiera in giro…il reparto è illuminato fiocamente dalle luci di notte..i medici sono tutti in sala parto…
Occorre intervenire, e subito! L'angelo , contravvenendo per un miliardesimo di secondo alle norme stabilite, dà un 'occhiata al futuro del bambino…men che un attimo, ed eccolo trasfondere la sua energia in un fascio di luce che rianima l'esserino…nessuno ha visto, nessuno ha assistito…intanto il piccolo miracolo clandestino ha regalato agli uomini un futuro poeta …

La poltrona
La poltrona era in un angolo in fondo al salone, il serico tessuto rosso del rivestimento spiccava contro la tappezzeria color senape.
La giovane donna la rimirava compiaciuta, era stato il regalo più gradito per le prossime nozze.
E si adattava magnificamente allo stile con cui lei e il fidanzato stavano arredando la bella villa appena acquistata.
Si allontanò di qualche passo per osservarla meglio.
Ispezionò tutta la casa per annotare cosa mancasse ancora.
Pulì sul pomello della porta studio invisibili impronte lasciate dai facchini.
Si accertò che le imposte della camera da letto fossero ben serrate.
Quindi tornò nel soggiorno chiudendosi alle spalle i battenti della splendida vetrata del giardino d'inverno.
Il crepuscolo tingeva di toni rosati tutto l'ambiente.
Diede un'occhiata all'orologio, ancora una decina di minuti e suo padre sarebbe passato a prenderla.
Felice, leggermente affaticata, si appressò alla poltrona.
L'ammirò ancora una volta prima di sedersi. Si sentì accolta dal morbido tessuto, nel rosso che s'incupiva un poco verso il fondo e nell'incavo dei braccioli.
Sprofondò dolcemente, quasi abbracciata dalla poltrona, calda e cedevole.
Stava per alzarsi, al suono del clacson di suo padre, quando venne risucchiata all'indietro.
Annaspò con le braccia, tentò di fare leva sulle mani…e scivolò nel buio che si era aperto sotto di lei…
Due enormi labbra rosse si chiusero soddisfatte e turgide sul suo corpo. Si schiusero e richiusero come a gustare la preda. Poi si tesero ondeggiando in ogni direzione fino a sparire nel liscio tessuto rosso.
La poltrona aspettava nell'angolo in fondo al salone.

Casa degli zii
Vivevo con i miei zii, in una piccola casa colonica circondata da un orto.
Ogni giorno mia zia lavava mucchi di panni sporchi di terra, sulla pietra liscia del lavatoio accanto al pozzo, fuori sull'aia.
Mio zio zappava, e seminava, e potava, tutto l'anno.
Tra una lavatura e una potatura, bisticciavano e inveivano. Spesso la zia recava i segni inequivocabili delle bastonature infertele dal marito, sulle gambe, sulle braccia e sul viso.
Un giorno la lite fu più aspra del solito.
Lei tornò dentro casa con la faccia e le mani graffiate e sanguinanti.
Restò tutta la giornata seduta, immobile, nell'angolo accanto al camino.
Aspettammo tutta la notte.
Il mattino seguente preparò un ottimo brodo.
Dopo qualche giorno mi disse che lo zio l'aveva abbandonata e che era partito per l'America.
Aspettammo notizie. Passarono i giorni.
Intanto non facevamo che mangiare salsicce.
Salsicce a pranzo e salsicce a cena.
Piccantissime salsicce cucinate in tutti i modi possibili.
E il cane aveva sempre il suo succulento osso da spolpare.

L'albero
Il grande pino ombreggiava la facciata della bianca casa.
Se ne poteva scorgere la chioma scura oltre l'alto muro di recinzione, arrivava al primo piano della casa di cui sfiorava la balconata.
Lui ci passava davanti ogni giorno, ed ogni giorno vedeva la figura rannicchiata sotto l'albero, completamente avvolta dal plaid scozzese che ricadeva quasi a nascondere la sedia a rotelle.
Gli era diventato abituale soffermarsi un attimo al cancello, fare un breve cenno con la mano alla ragazza di cui scorgeva parte dei capelli biondicci e parte del viso smunto.
Così, tutte le mattine.
Erano ormai quasi due anni che lui abitava in quella strada, e la donna era sempre là, tutte le mattine.
Nelle giornate di pioggia c'era un grande ombrello piantato nel terreno a ripararla.
Talvolta una vecchia raggrinzita si affacciava dalla balconata, lo sguardo indugiante verso il pino, come a vigilare. E subito si ritraeva dietro le persiane.
Lui spesso si sorprendeva a escogitare qualche sistema per fare amicizia con la ragazza che, a parer suo, doveva sentirsi alquanto sola. Non aveva mai visto qualcuno accanto a lei, e poi doveva essere ben triste patire oltre l'immobilità anche la solitudine.
Ma il pesante cancello, sempre chiuso, l'aria stessa che aleggiava intorno all'infelice, lo respingevano fino a farlo desistere.
Ogni giorno un piccolo cenno della mano, esiguo invito all'avvicinamento, e via, senza voltarsi indietro.
Quello che successe poi, lui non riusciva a ricordarlo chiaramente, tanto fu rapido il susseguirsi degli avvenimenti. Nella sua mente confusa ritornava soltanto l'odore acre del fumo e il crepitare secco dei rami che si incendiavano: l'albero aveva braccia di fiamma che si tendevano contorcendosi verso il cielo
Si era fiondato a scalare e scavalcare, senza saper come, il cancello, aveva percorso di furia il viale fino alla sedia, aveva afferrato la donna sotto le ascelle e tirato, disperatamente tirato, tentando di sollevarla per sottrarla alla pioggia di scintille, nell'aria ormai irrespirabile.
Il tronco del pino ardeva crepitando , in una vampa resinosa e scricchiolante.
Già la coperta aveva preso fuoco.
Lui la spinse da parte…URLO'…Il fuoco si appiccò ai capelli della giovane, ne avviluppò il viso che sparì nel fumo.
Lingue di fuoco serpeggiarono lungo il corpo immobile…bruciarono le braccia e le spalle…la fiamma discese scoppiettante giù per le gambe, lignee, contorte, congiunte alle radici, ramificate oltre la sedia, abbarbicate all' albero.

Genesi imperfetta

4 gennaio

Non so come dirglielo, non trovo le parole . Lei aspetta.
-Sì, cara, i giornali ne parlano, c'è stato un altro caso proprio nel nostro quartiere…-
Non riesco a reggere il suo sguardo.
E' tutta colpa mia!
Lei ha gli occhi larghi d'angoscia, ha ragione, tutta colpa mia. Ma come potevo rinunciare? Rinunciare con ancora sessanta probabilità su cento?
- Sì, cara, dammi, lo metto a posto io, sì, sul secondo ripiano…Aspetta, lascia che ti aiuti…Tesoro, non piangere! Ti prego! Ti amo tanto! Ho tanta fiducia nella nostra buona sorte…Vedrai, a noi non succederà…andrà tutto bene-
Lo spero con tutto me stesso. E' l'unica cosa che conta, ormai.
Mia moglie è la persona più bella , più dolce, più coraggiosa , che un uomo possa avere accanto, mi dispiace lasciarla da sola in casa, ma devo recarmi in ufficio.
- A stasera. Ada, non affaticarti, mi raccomando! Hai sentito il dottore,no?-

5 gennaio

Lei è già al corrente, la televisione è ancora accesa…
- Dunque, è andata più o meno come sai. Ti leggo le notizie dal giornale: due casi all'Ospedale Civile e uno al Residenziale; una delle donne, quella più giovane, si è suicidata…L'incaricato del CAPPAF invita la popolazione alla calma: i genitori devono aver fiducia nelle risorse che il Centro è in grado di offrire ai suoi protetti, ed è in grado di portarli tutti ad un livello di efficienza normale, in modo da garantire loro una vita socialmente valida ed accettabile.-
Lei si asciuga furtivamente gli occhi con il lembo del grembiule.
- Scusami, non mi va di cenare, sono troppo stanco …ho solo voglia di dormire…Buonanotte, cara.-

16 gennaio

Chiudo piano la porta alle mie spalle, attento a non svegliarla…E' tardi. Silenziosamente mi svesto, infilo il pigiama, mi stendo accanto a lei che dorme. osservo il suo profilo delicato, il piccolo naso all'insù. La coperta si conforma al suo corpo, si arrotonda sollevandosi sul ventre gonfio.
Un nodo mi stringe la gola…ho voglia di piangere e gridare…Le chiedo mentalmente perdono per averla convinta a tentare. Perdono per questi lunghi giorni di pena , per questa altalenante attesa tra speranza e terrore. Perdono per non averle evitato il tormento.

19 gennaio

Abbiamo guardato insieme il notiziario della sera: 23 casi all'Ospedale Maggiore, 15 al Fatebenefratelli, 9 allo Spallanzani, nella nostra città. Nell'intero paese la percentuale è costantemente in aumento.
Ha parlato il solito addetto psicologo, ha detto che bisogna continuare ad affidarsi al Centro Assistenza Protesica per Anomalie Fisiche, assicurando che ai nostri figli sarà garantito un futuro adeguato. Ha parlato di progresso scientifico, di progettazioni sempre più all'avanguardia: servoprensili ad induzione psichica per i nostri bambini privi di braccia, cuscini d'aria a controllo sensoriale ottico per quelli privi di gambe, ecc…
Ha spiegato che con l'ausilio di apparecchiature sempre più sofisticate i nostri figli non avranno rimpianti né invidieranno mai i loro predecessori.
Ada ha soffocato le lacrime, poi ha spento la televisione ed ha incominciato a parlare di un visetto delicato, nasino all'insù, riccioli d'oro, piccolo corpo sgambettante, piccole braccia dalle manine paffute…
L'ho stretta forte a me nel riflesso ramato della lampada che illumina i suoi capelli biondi.

20 febbraio

Soltanto il cinque per cento dei nati in questa settimana è normale.
Stamattina hanno ricoverato con le doglie l'inquilina del ventesimo piano.
Aspettiamo la telefonata del marito.
Vorrei abbracciare Ada, rassicurarla, ma i suoi occhi mi sfuggono, restano fissi sul piatto ancora pieno.
Ecco, il videotelefono squilla…non c'è bisogno di parole: quel viso rassegnato, dolente, dice tutto: senza braccia, senza gambe…un tronco e una testa…come tutti gli ultimi nati di questa settimana.

25 marzo

Ci siamo quasi. Tra pochi giorni Ada partorirà.
Mi intenerisce la sua aria stanca, il suo bel viso segnato, il passo esitante sbilanciato dal peso del ventre sempre più sporgente. Vorrei essere con lei in un mondo di tanto tempo fa, in una piccola casa di mattoni, dal tetto di tegole rosse a spiovente, sopra un prato verde su cui saltano e corrono felici i nostri bambini, acchiappando farfalle e calpestando l'erba…Come nei racconti dei nostri Vecchi…
Per noi sarà così…sono sicuro…sicuro…sicuro…!

29 marzo

Un uomo è sempre indifeso di fronte al male.
Così forte è la convinzione di esserne immuni che, malgrado le previsioni contrarie, gli avvenimenti sgradevoli ci colgono comunque impreparati.
Quando mi ha detto: -Ci siamo- ho creduto di impazzire…
Poi tutto è precipitato…La corsa in macchina…il suo pallore, il suo sorriso di incoraggiamento tra uno spasimo e l'altro, Era stravolta ma mi ha perfino strizzato l'occhio mentre il lettino scivolava silenzioso lungo il corridoio.
C'era un vortice nella mia mente, quando la porta della sala parto si è chiusa dietro l'ultima infermiera.
Poi…il ginecologo mi ha chiamato.
Ed ora sono qui, accanto a lei, aspettando che si svegli dall'anestesia.
Ma come potrò dirle, quando mi guarderà con l'ansia dentro gli occhi, come potrò dirle:- ha due piccole braccia grassocce, due piccole mani rosa, due gambette tornite, nostro figlio, un piccolo corpo tenero. Senza testa. ?

Fiaba per massaie ed angeli
Rifulgono gli orli del Settimo Livello…Configurazioni astrali palpitano al tocco degli alisei solari…Coordinate multidimensionali vibrano al Suono…prossime al nuovo Canto…
Hamnelos (in verità il suo nome è un puro arpeggio) veglia sull'Attimo, sé-manifestando nel Punto in cui la Notte del Millennio si trasmuta nell'Alba…
Convoglia nella sua coscienza i fremiti del Tempo…i suoi Quanti vibranti in espansione, attendono l'Amata, che ritorna con il suo dono d'Ombra…

Nella piazzetta del mercato c'è trambusto e vocio…Lei si ferma tra i banchi, sistema i sacchetti della spesa…cammina trascinandosi un po' sulla gamba destra. Ora percorre distrattamente i pochi metri di strada per giungere al semaforo…un furgone frena proprio sulle strisce…lei corre verso il marciapiede…all'improvviso un dolore le squassa il petto… la costringe a fermarsi…intorno si fa buio…cade riversa sull'asfalto tra le mele che rotolano sui piedi dei passanti…
C'è chi accorre…qualcuno grida di chiamare un medico…qualcuno cerca di soccorrerla, ne tasta il polso, ne controlla il respiro…ma negli occhi, quello sguardo fisso, rivolto a guardare qualcosa che nessun altro può vedere, non lascia dubbio…


"Ahril!"…suono che avvolge…musica che fluisce…luccicano e vibrano le sillabe del Nome: "Ahril!"…
Onde di beatitudine!...
La diafana Essenza ruota al Centro dell'Arcobaleno…tra mille Luci, mille e più Colori, Hamnelos la chiama con i suoni del suo Eterno Amore…è un canto che lui solo sa cantare…è un suono che lui solo sa creare…
Nuvole d'oro s'aprono al suo chiamare, e Lei, che è l'Amore e la Voce dell'amore…il cui nome è Delizia…Carezza…Tenerezza…e travolgente Andare…e quieto Rimanere…è Respiro ed Espiro…risponde…
. "Hamnelos!".. e vibra l'altro suono…l' arpeggio, ecco, che Lei, soltanto Lei, sa così modulare…Lei, che per farsi amare e per donargli amore, avrà imparato a Nascere e a Morire…

Il suicidio
Il suicidio è un evento che si tende a nascondere nell'ambito in cui si è verificato, qualunque sia l' esito, e viene definito come tale solo se "riuscito", ovvero se il suicida muore; se questi, invece, sopravvive, si parla di tentato suicidio.
Ma le cose non stanno esattamente così: posso dirvelo con la massima certezza, avendone sperimentato entrambe le modalità.
Il "tentativo di suicidio" è una forma di ricatto sentimentale, una richiesta di attenzione che determina la messa in atto di metodi autolesivi non bastevoli a determinare la morte , apportatori di infermità abbastanza gravi da poter impietosire e colpevolizzare coloro che si ritengono i responsabili della propria angoscia esistenziale, malori ai quali si spera di sopravvivere ed ottenere anche, finalmente, l'amore e la considerazione degli altri.
Forse possono essere i primi avvisi di una escalation che può portare al vero suicidio.
Per me fu così.
Il suicidio vero e proprio è tutt'altra cosa: non c'è più alcun desiderio di colpire gli altri , non si pensa alla possibilità di sopravvivere, anzi, per evitare questa evenienza, si attuano metodi drastici, a lungo premeditati, o istintivamente ritenuti tali.
Quando aprii le persiane del balcone, non volevo più alcuna attenzione, né desideravo più altro se non portarmi fuori da tutta quella sofferenza.
La decisione annientava ogni possibilità di "oltre" e di "ancora"…non sentivo altro che la delusione totale per quella vita in cui avevo creduto di amare ed essere amata e che si era rivelata, invece, una arida prigione, una prosaica successione di rifiuti e abbandoni.
Aprire le persiane sull'abisso…dal quarto piano di una palazzina di periferia…alla liberazione di un volo senza ritorno…
Svegliarsi…ed essere ancora prigioniera…
Doversi accontentare di una minima attenzione, nella viscosa difensiva del silenzio che diventa necessità per non impazzire, ed alibi per chi non riesce ad assumersi la responsabilità di un fallimento familiare.
Il tempo diventa il becchino ufficiale di una morte avvenuta, mai ratificata.
Il tempo che permette le più aberranti rimozioni, i più devastanti silenzi.
Che mi fa scrivere di una morte accaduta quarantadue anni fa perché solo così trovo la forza di urlare il mio dolore per quella ragazza di diciotto anni, infelice come… nessuno ha mai voluto sapere quanto, verso la quale nessuno mai ha sentito la necessità di conoscere il perché…
Tentato suicidio…così si mette il titolo alla tragedia di un essere umano, colpevole soltanto di esistere.
Ed è ancora il tempo a permettere il ritorno ad una "normalità" degli ALTRI, soprattutto di quelli che non riuscirono a confessare a sé stessi la propria inadeguatezza.
Che non offrirono nemmeno la compassione o la delicatezza per sorvolare sugli immancabili errori di percorso, benché testimoni dello sforzo titanico del mio sopravvivere.
Il tempo che copre del suo oblìo polveroso i percorsi della paura, che spegne con le sue ombre incalzanti i guizzi degli ultimi falò, e che ti riconsegna alla vita con il tuo nuovo corredo di speranze ridimensionate…
Nemmeno alla persona che ti ha amato e che ti sta ancora vicino dopo anni di dure conquiste, di faticosa crescita, nemmeno a lui è stato possibile raccontare…prima perché troppo giovani entrambi per capire quanto fosse necessario elaborare quel lutto…poi perché la nascita dei figli allontanava sempre più quella ragazza diciottenne dalla donna attuale immersa nella molteplicità di doveri e nelle intense emozioni del suo essere madre.
Tantomeno ai figli si può dare il carico di una tale esumazione.
Eppure so che devo farlo. lo sto facendo: sento che non mi è più possibile continuare a tacere
E' necessario dare degna sepoltura a quella ragazza caduta nel pieno svolgimento della sua battaglia per la libertà…

Mentre
Mentre ai vertici del potere economico-politico vengono spartite le risorse della terra tra le nazioni opulente, lo sfruttamento di quelle povere continua ad essere sorretto proprio da quelle strutture che si autoreferenziano "pie"...Mi ci sono voluti decenni per potermi scrollare di dosso il pietismo, il mito della sofferenza, il servilismo della rinuncia...Sono passati secoli e ancora i faraoni si abbuffano di arrosto, abilmente addestrando i propri suddititi a sopravvivere del fumo ai tabernacoli. Coglionati e contenti, dicono a Roma.
Oggi mi indigna in maniera viscerale la realtà che non posso più ignorare: gli uomini vengono defraudati sistematicamente del loro più sacrosanto dei diritti, quello di essere consapevoli della propria condizione di assoggettamento...altro che fratellanza! Torquemada in tonaca mimetica si tramandano la spada a difesa dell'oro degli imperatori, santi e profeti vengono abilmente manipolati a fungere da esche per gli ingenui che, affamati di mito, dimenticano di essere affamati davvero. E della propria fame si sentono anche colpevoli, mangiatori di mele a tradimento, violatori di codici, assassini di uomini e di dei.
Il condizionamento vissuto come offerta di sé eroica e santa non può che produrre martiri..e finquando resteranno inchiodati sulle croci o inceneriti sui roghi, gesucristi e profeti saranno gli indicatori morti di un paradiso inutile futuro per i condannati vivi dell'inferno presente.
Che poi ci si continui a meravigliare delle guerre e dei massacri, e si continui a chiudere gli occhi sui motivi veri che producono la violenza e l'orrore, fa veramente pensare...ci siamo assuefatti alla morte, ci siamo asserragliati nei salotti , nel silenzio omertoso da pali e da guardoni...
Nella necessità di sopravvivere si innestano i percorsi dell'oblio, le fughe nei campi dell'Arte, tenutaria di fantasmagorico meretricio, che per un giorno di gloria esige il prezzo della coscienza...e mi ci metto anch'io, transfuga che si autoassolve accampando le più svariate scuse...a copertura della vanità...
Mentre ...

Figli-poesie (Riflessione)
Mi piacerebbe conoscere il parere degli amici autori su una mia riflessione, nata leggendo ormai da molto tempo le opere dei più svariati poeti in rete: ho notato con interesse che sono poche e ricorrenti le tematiche, contrassegnate da simil-trascorsi esistenziali, mentre innumerevoli gli stili...e fin qui niente di nuovo ...Mi ha stupito, invece, che malgrado salti agli occhi l'evidenza di forme più o meno armoniose, liricamente apprezzabili e tecnicamente ineccepibili come quelle dei più famosi poeti del passato e contemporanei, o come quelle dei numerosi dilettanti attuali, nessuno se ne appropri. E sarebbe relativamente facile farlo. Vi è qualche travaso di immagini, qualche reminiscenza...ma mai un vero e proprio plagio...Mi viene da pensare che esista una sorta di DNA concettuale per cui, citando un famoso detto napoletano: "ogni scarrafone è bello a' mamma soia" ciascuno vede i propri figli-poesie come irrinunciabili...creature recanti in sè lo stampo insostituibile dell'essenza del suo creatore...
Che ne pensano i poeti del sito?


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