Racconti di Pietro Scannella


Home page  Lettura   Poeti del sito   Racconti   Narratori del sito   Antologia   Autori   Biografie  Guida   Metrica   Figure retoriche



Petali di rose e foglie d'ulivo
La prima volta che lo vidi, fu durante la funzione religiosa.
La basilica di S. Maria Maggiore a Roma, in quel giorno parata a festa, era così gremita di fedeli che ad ognuno dei presenti era quasi impossibile qualsiasi movimento; eravamo pigiati come acciughe e potevo sottrarmi a malapena, al contatto della sua persona.
Il suo modo di fare, assai strano invero per il luogo ove ci si trovava, non si confaceva alla solennità dell'istante...eravamo all'Elevazione ed egli anziché concentrarsi in quell'umile raccoglimento di preghiera più consono al momento, continuava a tenere il capo volto verso me.
Avevo notato che mi osservava attentamente da qualche istante infine, indispettita dalla sua persistente insolenza e stanca di continuare ad essere l'oggetto della sua attenzione, decisi finalmente di dissuaderlo dal suo atteggiamento con un'occhiataccia severa, e pur sapendo, che a causa della mia timidezza non ne avrei avuto la capacità ed il coraggio, non disarmai.
Rimasi perplessa, impacciata per quell'atteggiamento fiero e baldanzoso, che me lo mostrava sicuro di sé e del fatto suo ed infine soggiogata dalla mesta espressione meditabonda dei suoi occhi grigi sempre puntati su me.
Espressione mesta e dolce che cangiava in uno sguardo freddo, inquisitore, che sembrava frugarmi fin in fondo all'anima e che mi rendeva, mio malgrado, impacciata e goffa.
Non sapevo cosa mi stesse accadendo!
Sentivo invadermi da un profondo senso voluttuoso che mi faceva rabbrividire ed arrossendo, chinai il capo, volgendolo poi turbata verso l'altare, ai piedi del quale S. E. il Cardinale, dopo un breve attimo di raccoglimento, impartiva la Santa Benedizione.
La Messa volgeva alla fine!
Nell'interno del tempio, dove i fedeli devotamente raccolti in silente concentrazione ascoltavano commossi le parole dell'alto prelato, l'aroma dell'incenso, che saliva verso l'alto in candide spirali di fumo, si propagava ovunque.
Le ultime note dell'Ave Maria si erano spente in un'eco fra le navate ricoperte di damasco lucente, la cui tinta purpurea diffondeva all'intorno un più profondo senso d'austerità.
Tentai di pregare, ma invano: alle orazioni si intercalavano una ridda così numerosa di interrogativi, da lasciarmi perplessa e sconcertata.
Non riuscivo proprio a raccapezzarmi!
Sentivo invadermi da uno strano malessere; le guance scottavano sotto la vampata di rossore che le imporporavano e la vista mi si andava annebbiando lentamente; sentivo le forze mancarmi; vacillai e sarei certamente caduta se il giovane non mi avesse prontamente sostenuta.
- "Signorina…" - mormorò accorato - "…si sente male"?
- "Non è nulla…" - sussurrai confusa - "…vede?...è già passato".
Ma lui facendo lo gnorri, continuava candidamente a sorreggermi, come se nulla fosse.
- "Le ho detto che è passato...la prego, mi lasci"! -e vedendo che non se ne dava per inteso, alzai il capo stizzita, - "La prego signore"!
- "Mi scusi"! - esclamò allentando la presa, e detergendomi la fronte dal sudore che l'andava imperlando, mi sorrise con un'espressione così dolce e melanconica che mi disarmò.
Sentii pervadermi da un indefinibile turbamento che mi frastornava ed inconsapevolmente mi abbandonai fra le sue braccia.
Ma fu questione di un attimo...mi accorsi che avevo la mia mano fra le sue e mi sorpresi perfino a sorridergli.
Mi ritrassi bruscamente e celando confusa il volto fra le mani, cercai di trovare nella preghiera, quella pace che avrebbe dovuto tranquillizzarmi e calmare quella strana agitazione, che mi faceva tremare come una povera cerbiatta impaurita.
- "Padre nostro che sei nei cieli...ma perché" - mi chiedevo, "perché continuava a fissarmi ancora? - Ed io
sciocca, sentirmi male e comportarmi proprio come un'ingenua collegiale...non me la sarei mai perdonata davvero!.. sia santificato il tuo nome...Dio che irresistibile tentazione di guardarlo...sentivo di cedere sempre più a quell'attrattiva e l'abulia m'impediva di sottrarmi al desiderio di guardarlo;...e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male...".
Ma fu più forte di me; sentivo il suo sguardo posarsi sui miei capelli come lieve carezza e non seppi resistere; mi voltai!
Il nostro sguardo come in un tacito assenso, ci aveva reciprocamene avvinti; lo sentivo amico e provavo la vaga sensazione come se ci fossimo conosciuti da un'eternità.
Come velate dalla lontananza, mi giunsero fioche ed indistinte le parole del Ministro di Dio..."ite missa est...e la gente in un brusio sommesso si avviava lentamente verso l'uscita del tempio.
Fissai ancora una volta il giovane e sorrisi impacciata alla tenera espressione del suo affascinante sguardo; ci accodammo alla fiumana di gente e ci sentimmo trasportare lentamente dalla corrente verso il portale.
Ci ritrovammo fuori!
Il sole che dall'alto faceva capolino da un banco di nuvole biancastre, ci
investì in pieno coi suoi tiepidi raggi, che sembravano posarsi delicatamente sul creato come tenue carezza.
Respirai a pieni polmoni l'effluvio primaverile della fresca brezza romana mentre, come sottostando ad una misteriosa legge i nostri occhi andavano cercandosi disperatamente, alfine ci guardammo silenziosamente per qualche istante ed avvertii che la gioia che provavo in quel momento, era reciproca.
Senza profferir parola mi abbracciava con quella languida espressione conturbante dei suoi occhi, e quando si decise a rompere l'imbarazzante silenzio, che si ergeva come una barriera invalicabile fra noi due, il flusso della gente ci divise, ma ci ricongiungemmo tosto, ai piedi della scalinata.
- "Signorina" - esclamò egli porgendomi il foulard che era scivolato dai miei riccioli ribelli - "le è caduto poc'anzi..."
- "Oh si, grazie"! - l'interruppi con fare impacciato.
- "Permette?...Astelli Lorenzo" - si presentò - "Enzo per gli amici".
- "Piacere...mi scusi per la rudezza di prima, devo ancora ringraziarla..."
- "Ma le pare? Il piacere è tutto mio...posso sapere con chi..."
Sentii cingermi il capo da due braccia e prima che mi fossi voltata, due mani paffutelle mi chiusero gli occhi.
- "Cucùùùù, chi sono"?
- "Mary"!! - esclamai festosamente nel riconoscere la mia cara amica che da tempo non vedevo - "Ma che bella sorpresa mia cara"
- "Lina! Che gioia rivederti" - e l'una nelle braccia dell'altra, ci stampammo due grossi bacioni.
Avrei voluto presentarle Enzo, ma il signorino con mia grande sorpresa frammista a disappunto, era sparito; ne intravedevo a malapena gli ondulati capelli corvini sparire tra il viavai della gente.
Dall'alto del campanile si ripercorsero a stormo i gravi rintocchi delle campane e le rondinelle solcando leggere in lungo ed in largo la volta celeste, l'intarsiavano di intricati arabeschi coi loro sfreccianti voli, in una festosa armonia di garruli cinguettii.
Era Domenica!
Domenica delle Palme...festa della tranquillità, della pace!
E la mia mano trasudata, strinse convulsamente il ramoscello d'ulivo le cui foglie spiegazzate si contorsero nel ramo, giacendo poi al suolo come misere cose prive di vita.
Mi sentii sola; sola e sperduta fra la folla che nel suo incessante andirivieni mi sfiorava continuamente.
Provavo la netta sensazione come se qualcosa si fosse staccata in me e con l'anima invasa da un amaro senso di tristezza, mi avviai mogiamente verso casa, accompagnata dall'infantile cicaleccio di Mary che non si era accorta di nulla.
Ma prima di avviarmi, ai piedi della scalinata intravidi le indorate foglie d'ulivo che inerti, sembravano attendere la pietosa carezza di una mano amica.
I tiepidi raggi del sole si posarono su esse che per un attimo, parvero rivivere, finchè una improvvisa folata non le disperse lontano. Andai a raccattarle per riporle poi, come una reliquia, in fondo alla borsetta.
Sull'annoso quadrante del tempo, i minuti succedendosi veloci gli uni agli altri, fecero susseguirsi in una vertiginosa corsa, le settimane ed i mesi.
Un lungo anno era trascorso!
Un lungo anno vissuto in affannose ricerche, in snervanti attese a volte intercalate ad una fiduciosa aspettativa; in ansie e preoccupazioni, che un
immalinconito clima di illusioni, mi iniettava nell'anima una profonda frustrazione che andava avvilendomi sempre più.
Un interminabile anno, durante il quale l'Italia proseguì la sua rapida discesa per il declivio della rovina, della miseria, della morte!
Il fronte, dopo alternative fasi cruente, si era assestato nella nostra amata Patria, martoriata dai micidiali bombardamenti, mentre le truppe alleate proseguivano la loro inarrestabile avanzata verso Cassino.
In quel periodo mi trasferii in paese, ospite degli zii.
Trascorrevo la mia vuota esistenza sull'anonima scia del solito tran tran quotidiano e spesso il mio pensiero si soffermava sulla visione di un volto divenutomi tanto caro...il volto sempre nitido e chiaro, malgrado il tempo trascorso, di Enzo.
A quel pensiero mi scossi, sorrisi tristemente. Pensavo che era la Domenica delle Palme, domenica di festa e di pace!
Per un istante mi ritrovai a Roma, come nell'anno precedente, dove inaspettatamente la settimana dopo, rividi come in una sbiadita sequenza di un vecchio film, il pensoso volto di lui appoggiato sul vetro appannato di un filobus che scivolava veloce sul lucido manto asfaltato di Via Nazionale.
Pioveva! Dalle nubi grevi e scure che troneggiavano minacciose sulla volta plumbea del cielo, cadeva frusciante una molesta acquerugiola, opprimente ed uggiosa, che diffondeva nell'anima una indefinibile tristezza.
Durante quel breve attimo i nostri sguardi s'incrociarono increduli; i suoi occhi ebbero come un lampo di gioia e sulle sue labbra apparve un fugace sorriso; la sua mano si protese nel vuoto per lasciar cadere una rosa rossa che raccolsi premurosamente mentre, Il filobus scompariva lentamente oltre piazza Esedra, lasciandomi come un vuoto nel cuore.
Da allora un altro mese languì nella fiduciosa speranza che il caso ci fosse venuto in aiuto e sempre sorretta da quella prospettiva, che speravo ardentemente si concretizzasse in realtà, sfiorai con labbra anelanti d'amore la rosa; una lacrima affacciatasi titubante ai miei occhi scivolò silenziosamente sui petali del fiore, che a quel lieve contatto parvero palpitare per un attimo, come se un soffio di vita si fosse risvegliato in essi.
Uno stridulo suono lacerante mi agghiacciò il sangue nelle vene.
Era l'allarme e tutto piombò nel buio!
Ovattato dalla lontananza percepii il sordo brontolio degli apparecchi, che col trascorrere dei secondi andavasi facendo sempre più distinto, mentre all'intorno boati terrificanti sottolineavano con fragore, lo scoppio consecutivo delle bombe che numerose .andavano disseminando all'intorno, morte e distruzione.
Un senso di gelo mi pervase improvvisamente, accrescendo in me la paura che avevo di stare in casa, mentre grappoli di bombe andavano sbriciolando ogni cosa; non volevo assolutamente fare la fine del topo e disperata uscii e con passo stanco e barcollante, mi avventurai nell'oscurità della notte.
Nell'alto i razzi si susseguivano numerosi, illuminando con la loro vivida luce il paese, sulle cui vie si proiettavano grottesche le cupe ombre delle case smembrate, che sembravano allungasi a dismisura per lo scosceso terreno.
All'angolo di un palazzo mi fermai rassicurata!
Un cartello di cartone, ridotto in pessime condizioni, era appeso sul portone: "Rifugio - Capienza 250 persone,,."
Bussai tre colpi ed attesi con una certa impazienza.
Il lacerante sibilo di un aereo in picchiata, tosto seguito dal sordo boato delle bombe che esplodevano e vetri che andavano in frantumi, mi fecero sobbalzare dalla paura; mi rannicchiai in un angolo del portone ed attesi, tremante ed annichilita.
Un'acre ventata polverosa si propagò nell'aria.
Per un attimo parve regnare il più assoluto silenzio, poi l'ossessionante rombo degli aerei tornò a farsi udire più minaccioso che mai; qualche minuto era trascorso dall'esplosione; alquanto stordita mi alzai ed inconsciamente accarezzai la rosa posta in fondo alla borsa accanto al ramoscello d'ulivo e stavo per allungare la mano verso il portone, quando questi, cigolando rumorosamente, si aprì ed all'interno apparve un vecchietto dall'insonnolito viso sparuto irto di peli, illuminato dalla tremula luce di una candela.
Feci per entrare, ma l'omino mi fermò in malo modo e con voce nasale e chioccia mi avvertì che il rifugio era al completo; feci le mie rimostranze, cercando di fargli capire che mi era impossibile girovagare per le strade con quella pioggia di bombe che veniva giù, e lui respingendomi brutalmente mi rispose che non era colpa sua e non poteva perciò farci nulla; che se avessi avuto davvero paura, non mi sarei dovuta avventurare fuori per andare a scocciare il prossimo e che potevo andare all'inferno, per vedere se lì ci fosse stato ancora qualche posticino disponibile; abbozzò poi un melenso sorriso che lasciò intravedere una rada fila sconnessa di denti gialli e difformi ed allungando lo scarno braccio peloso per indicarmi un altro rifugio, mi sbatacchiò il portone sul viso.
Piangevo!
Piangevo d'un pianto sommesso e struggente che gradatamente andava infondendomi un senso di tranquillità che non si addiceva davvero alla triste realtà del momento.
Dall'alto della torre del Palazzo Comunale, l'enorme orologio scandiva il decimo rintocco quando ripresi a girovagare. I razzi uno dopo l'altro si erano spenti in un tremolante sprazzo di luce ed il paese ritornò a sprofondare nell'oscurità.
Ad un tratto i bombardieri ricominciarono a far sentire il loro cupo brontolio più insistente che mai. Altre bombe improvvisamente esplosero in un terrificante boato, assai vicine; qualche scheggia fendendo sibilante l'aria mi sfiorò e si perse nel buio della notte sul cui nero drappo trapuntato di stelle, si intersecavano le multicolori traccianti delle mitragliere dell'antiaerea.
Sgomenta e terrorizzata mi voltai ed alle mie spalle intravidi, fra una densa cortina di fumo e polvere, il palazzo ove poc'anzi avevo mendicato asilo, ridotto un fumante cumulo di macerie, a guardia delle quali si ergevano lugubri e sinistri contro la nera volta del cielo, alcuni palazzi, che mostravano attraverso lo smembramento delle loro mura, l'interno delle camere dalle pareti sgretolate e dei pavimenti sconquassati, che in un groviglio di fili ed un ammasso di mobili squarciati ed informi, attendevano coloro che non sarebbero ritornati mai più.
Seppi poi che il rifugio era stato centrato in pieno e che nessuno degli occupanti si era salvato!
Finalmente come Dio volle, mi ritrovai davanti ad un enorme caseggiato il cui sotterraneo fungeva da rifugio.
Mi guardai circospettamente attorno e dopo un breve attimo di esitazione mi addentrai per un corridoio, accodandomi ad un paio di persone che frettolosamente si dirigevano verso lo scantinato.
Discesi gli ultimi scalini, avvertii una gradevole frescura che parve refrigerarmi piacevolmente; il mio sguardo già assuefatto all'oscurità, abbracciò immediatamente la scena che mi si presentava alla .fioca luce d'una lanterna,
Gente d'ogni ceto sociale e d'ogni età, disseminata per il rifugio era raccolta in una intimità
quasi familiare impostale dal pericolo che la sovrastava; da una parte un gruppo di donne e di ragazzi assisi in semicerchio che pregavano fra lo snervante piagnucolio di qualche bimbo; dall'altra, gente che sonnecchiava, il cui respiro più o meno affannoso, seguito talvolta dal rumoroso russare di qualche persona anziana, era intercalato da risatine sommesse d'incoscienti ed indelicati giovinastri, la cui insulsa strideva maledettamente con il pianto soffocato di una vecchia signora; appartati in un angolino, una giovane coppia stretta in un affettuoso abbraccio e dimentica forse di tutti e tutto, si scambiava qualche innocente bacio, mentre qualche altro, immerso nei propri tristi pensieri, aspirava nervosamente il fumo di una sigaretta.
Volsi attorno uno sguardo preoccupato, smarrito, e sgattaiolando fra le persone che nervosamente andavano su e giù, mi diressi alla parte opposta del sotterraneo, all'angolo del quale intravidi il riquadro di una finestra rettangolare, posta leggermente al di sopra del livello stradale.
Era la prima volta che entravo in un rifugio e mi trovavo a disagio; avrei preferito davvero fuggire da quel luogo per ritrovarmi a vagabondare per le solitarie vie del paese.
Avevo paura, una paura folle che mi faceva sudare freddo come se fossi stata colpita da claustrofobia…eppure non mi muovevo, stavo lì ferma ed immobile, come inchiodata da una misteriosa forza occulta, soprannaturale, che m'impediva di capire il motivo per cui avevo deciso di allontanarmi dalla campagna, per andarmi a rintanare fra quelle quattro mura, mentre sotto la volta stellata mi sarei sentita più sicura, ne ero certa.
In quell'istante, come in uno stato soporifero, soggiacevo al fluido magnetico che sembrava volesse guidarmi verso la via che conduceva al paese.
Ed io docile, procedevo inconsciamente per la mia strada con passo sempre più stanco…non mi ero ribellata, non ne avevo avuto la forza, ne il coraggio…non ne avevo colta l'opportunità e mi meravigliai n seguito, di ritrovarmi in quel sotterraneo a scrutare a destra e a manca, come in cerca di qualcosa…come in cerca di qualcuno!
A quel pensiero le fattezze di un volto caro, adombrato dalla mesta espressione dei suoi occhi grigi, mi affiorò alla mente.
Mi parve soffocare. Mi aggrappai all'inferriata della finestra e nel brusco movimento, mi si aprì la borsetta; il mio sguardo si posò amorevolmente sulla povera rosa appassita, i cui petali notevolmente inclinati verso il ramoscello d'ulivo, ne sfioravano le foglie avvizzite come se avessero cercato un po' di pace…quella stessa pace che inconsciamente cercavo anch'io.
Ad un tratto sentii il cupo rombo degli aerei farsi più minaccioso che mai ed attraverso l'inferriata ne vidi a distanza le nere sagome abbassarsi gradatamente nella mia direzione; istintivamente mi appiattii all'angolo ella finestra ed attesi in preda a folle terrore.
Avevo sentito improvvisamente il gelido alito della morte soffiarmi in faccia il suo fetido soffio funesto!
Due mani allora, si attanagliarono alle mie braccia in una morsa d'acciaio, che dopo avermi strappata con forza brutale dall'inferriata, mi scaraventarono violentemente a terra, mentre un sibilo lacerante, stridulo, acuto, fendeva l'aria in un ossessionante crescendo che stordiva, che si centuplicava un una rimbombante ripercussione, fino a rintronare con cupo fragore nel cervello; poi una tremenda esplosione terribile scosse brutalmente l'enorme edificio e tutto si frantumò in un rovinio di mura che miseramente crollavano in un'acre cortina polverosa ed una densa colonna di fumo acre, che fra lingue di fuoco saliva verso l'alto, in una nuvola nerastra.
All'intorno le schegge s'arrestavano con secche vibrazioni metalliche contro le mura delle case vicine, sfogando così in una miriadi i fori la loro cieca furia distruttiva.
Nel rifugio la paura, degenerando in panico, si manifestò nei presenti in una confusione caotica...urla, pianti, imprecazioni, gemiti, invocazioni; voci concitate e piangenti che invocavano a raccolta tutti i santi del Paradiso per chiedere loro aiuto e protezione.
La gente come impazzita si abbandonava l'una nelle braccia dell'altra, come in un definitivo commiato dalla vita terrena.
Altri razzi tuffati dall'alto, si librarono a mezz'aria per illuminare con la loro vivida luce il paese, sul quale sinistro aleggiava il lugubre spettro della morte.
La figura immobile che spiccava contro la grata contorta della finestra si mosse visibilmente e la sua ombra parve allungarsi fino a me; fissai inebetita il mio salvatore e...trasecolai!
Ero pazza...una ridda di sensazioni e sentimenti interiori si accavallavano nella mia mente sconvolta, sciorinando frammenti di visioni, ora nitide, ora contorte e sbiadite, che andavano gradatamente sfumando nei lineamenti vivi, reali di un volto a me tanto caro.
Alzai gli occhi velati di lacrime e mi accorsi che le sue labbra si muovevano impercettibilmente...
- "Mia caaa...ra, pi...cco..la!" - rantolò in un penoso gorgoglio.
Annaspò disperatamente le mani nel vuoto, contrasse la bocca in una smorfia di dolore e si abbattè ai miei piedi con un tonfo secco.
Mi trascinai stancamente fino a lui e sconcertata cercavo in tutti i modi
di rianimarlo chiamandolo dolcemente per nome... …Enzo...Enzo...
Ma i suoi occhi, quegli occhi grigi che m'infiammarono il sangue nella vene, rimasero chiusi, immobili; così come rimasero immobili, nella stessa immobilità della morte, le sue labbra, dalle quali fuoriusciva un rivolo di sangue, e sulle quali deposi un bacio appassionato...il mio primo e forse ultimo bacio d'amore!
Il cuore allora sembrò spezzarmisi in petto, fui invasa da un tremito convulso mentre un sapore dolciastro mi si spargeva per la bocca ; tutto cominciò a girarmi vorticosamente attorno e mentre la vista mi si andava annebbiando, mi riversai su di lui e svenni.
Da allora, sei mesi lunghi lunghi di estenuanti veglie si susseguirono gli uni agli altri, in un cadenzato stillicidio di giorni e settimane da incubo, che mi trovavano sempre inchiodata al capezzale di Enzo, sul cui volto scrutavo trepidante, le varie fasi del suo lento miglioramento.
E così, grazie all'inestimabile e proficua opera del primario e della sua equipe ed alle amorevoli cure di Suor Fernanda, Enzo venne finalmente strappato alla morte, i cui adunchi artigli avevano cercato di contenderlo al mio amore! A quell'amore sempre più profondo, il cui epilogo si concluse in una meravigliosa notte di primavera, durante la quale il creato, con una delicata sfumatura d'incomparabile bellezza offriva un'affascinante visione della natura addormentata.
Stretta fra le sue braccia, mentre le nostre labbra si univano in un lungo e fremente bacio d'amore, gli offersi tutto il candore e la fragranza dei miei diciotto anni!
Le stelle parvero allora sorriderci silenziose ed occhieggiando in un impercettibile tremolio dai mille riflessi, si tuffarono nell'immensità azzurra dell'alba, mentre la luna sembrava celarsi pudicamente dietro un'evanescente nuvola d'argento, che al tiepido contatto del sole nascente, s'infuocò in un tenue riverbero d'oro e di porpora
Le acque del ruscelletto sospinte lievemente dalla leggera brezza del ponentino, lambirono i nostri corpi, quasi assopiti dalla melodiosa musica, che il blando soffio di Eolo fischiettava fra le fronde degli alberi, in quella romantica atmosfera di sogno e felicità!
Era appena trascorso un mese, nel corso del quale assaporammo la felicità in tutta la sua squisita dolcezza, quando i vorticosi flutti rovinosi della disperazione, sommersero le nostre esistenze!
Durante quel tristissimo anno che vide la nascita di mia figlia e la deportazione di Enzo in uno dei tristi lager's tedeschi, tutto parve frantumarsi attorno a me come per sadico volere di una demenziale forza occulta; tutto, e tormentata dal rimorso che spesso mi avvelenava l'anima, mi sembrava d'intravedere le nostre povere esistenze precipitare per il ripido declivio della vita, oltre il quale non c'era che la fine, il silenzio, la morte!
E con quella ossessionante visione, mi svegliavo sovente di soprassalto e nel buio della notte mi appariva l'emaciato volto di Enzo deturpato da un mefistofelico ghigno che mi fissava trucemente con quegli occhi grigi dall'espressione torva e cattiva...vedevo le sue labbra contrarsi spasmodicamente come in preda ad atroci sofferenze, mentre la sua voce tetra e cavernosa imprecando rabbiosamente, si smorzava in gemiti strazianti od in stridule risa che terminavano in dolorosi singulti... - "Lina, anima dannata...che tu sia maledetta in eeeteeeernooo"!
Qualche volta quella ossessionante apparizione si dissolveva lentamente
nella nebulosa figura di Giovanni, che avvicinandomisi sempre più, m'investiva con sguardo folle, profferendo malevoli parole piene d'acredine e cariche d'odio all'indirizzo di Enzo, sbeffeggiandolo e mettendone in dubbio le sue qualità morali e perfino la serietà dei suoi sentimenti nei miei confronti.
E Giovanni continuava a fissarmi intensamente finchè quei suoi occhi sbarrati, si dissolvevano nella notte in due amorfe cavità senza alcuna vita.
Quella dannata sera, ricordo, non volli dar peso alle sue stupide insinuazioni, il significato delle quali più tardi, cominciarono a pesarmi nel più oscuro senso del loro valore.
La mattina dopo, avendo deciso di giocargli un tiro mancino gli telefonai; avevo architettato uno scherzo nella speranza che avrebbe potuto farlo ricredere, anteponendo alla figura rodomontesca che vedeva in Enzo, una immagine più consona alla personalità dell'uomo che amavo ed al quale ero debitrice della mia stessa vita.
Disgraziatamente però,. non si concluse a lieto fine quello sciocco scherzo, che si concretizzò invece in un epilogo ben più triste e tragico: una retata con l'arresto e la deportazione di Enzo e di tutta la combriccola che vi aveva preso parte!
Fatalità!
Triste e tragica fatalità che influì notevolmente nel cammino della nostra esistenza, sconvolgendone inesorabilmente il corso.
Da allora diversi mesi sono trascorsi nell'incubo di un avvenire incerto e nebuloso.
Una deprimente sera, esasperata più che mai dall'assillante pensiero della mia colpevolezza, decisi di farla finita una buona volta per sempre; avevo preparato un bicchiere con un'elevata dose di barbiturici e stavo per berne il contenuto, quando il frignare della mia bambina mi raggelò.
Come inebetita mi appressai alla sua culla; l'innocente sorriso che illuminò il volto del mio adorabile frugoletto m'iniettò nell'anima un intenso senso di calore, mentre il suo limpido sguardo sembrava supplicarmi a non abbandonarla mai e sgambettando allegramente protendeva verso me le sue rosee manine paffutelle come se avesse voluto trattenermi dal compiere quel gesto insano.
Affondai frastornata, lo sguardo in quegli occhi luminosi e fremetti d'orrore e raccapriccio; solo allora ebbi la netta sensazione della realtà. Ero pazza e nella mia aberrazione mentale, stavo per compiere l'irreparabile!
Il pianto accorato di mia figlia parve svegliarmi da un lungo sonno letargico e disperata, prorompendo in un pianto dirotto, mi accasciai esausta ai piedi della culla.
Altro tempo trascorse fra speranze ed illusioni, che contribuirono sempre più, a farmi vivere sul filo dell'incertezza, una esistenza vuota che solo il sorriso della mia piccola riusciva ad allietare.
Finalmente un bella mattina le fosche tenebre dell'ignoto si squarciarono per lasciare filtrare un tenue raggio di speranza!
La voce si sparse in un baleno e passando di bocca in bocca, giunse fino a me: stanno rimpatriando i prigionieri che le forze alleate hanno liberato in Germania!
E così uomini e donne, vecchi e giovincelli si recavano giornalmente ai Centri di Raccolta Profughi, nella segreta speranza di poter abbracciare i loro cari.
Un giorno finalmente arrivarono anche i miei amici; ma per quante domande avessi loro rivolte, non riuscii mai a sapere nulla di preciso sulla sorte di Enzo; solo evasività, incertezze e contraddizioni nella loro versione dei fatti.
Solo Giovanni una volta, con aria contrita si lasciò sfuggire qualche frase smozzicata..."Perdonami Lina, avevi ragione tu", - ed asciugandosi gli occhi lucidi di pianto con la manica della giacca, continuò...- "Enzo, in quell'inferno mi ha salvato la vita...ma dopo quello ch'è successo, non l'ho più visto e non ho saputo più niente di lui". - e prima che avessi potuto interrogarlo, fuggì a gambe levate senza farsi più vedere.
Capii ciò che aveva cercato di nascondermi e quello che in realtà era accaduto...capii che Enzo era morto, che non l'avrei rivisto mai più...capii che a me era preclusa ormai ogni speranza e che tutto era miseramente crollato attorno a me!
Capii...per settimane e mesi soffrii disperatamente in silenzio, sempre perseguitata dall'atroce rimorso che m'avvelenava l'anima.
Una sera mi ricoverarono d'urgenza all'ospedale e quando chiamarono il medico di guardia, affissai lo sguardo incredulo in quello del dottore e...e non capii! Non riuscivo a connettere...
Mi sembrava di sognare e temevo di risvegliarmi da quel meraviglioso miraggio che m'infondeva nelle vene un piacevole senso di calore.
Vidi due mesti occhioni grigi velati di lacrime, dall'espressione dolce e tenera, che mi guardavano amorevolmente, mentre una voce melodiosa mi scendeva fin in fondo al cuore...
- "Lina, amore"!
Tutto allora parve girarmi vorticosamente attorno, stesi le braccia come davanti ad un'irreale visione di sogno ed esausta, mi abbandonai inerte sul cuscino.
Quando ripresi i sensi, chino su me scorsi l'adorato volto rigato di lacrime che mi sorrideva dolcemente.
- "Lina...Lina, amore mio"!
- "Oh Enzo"! - La voce soffocata dai singulti si spense in un doloroso gemito. Egli stringendomi a se mi chiuse le labbra con un lungo e fremente bacio d'amore.
Tsssss...ormai tutto è finito, l'incubo si è dissolto in questa nostra magnifica realtà!
- "Dimmi Enzo...perché non sei più tornato a casa"?
Il sorriso che gl'illuminava il volto di gioia, svanì in una smorfia indefinibile."Per questo"! - e battendo con le nocche della mano qualche colpo sulle gambe, affondò i suoi tristi occhi nei mie.
- "Vedi...temevo...pensavo che in queste condizioni..."
Compresi, dal rumore sordo che fece, che aveva la protesi in ambedue gli arti; gli avevano amputate le gambe e le parole di Giovanni mi risuonarono flebili all'orecchio...- -
- "Mi ha salvato la vita in quell'inferno"!
Gli cinsi il collo in un tenero abbraccio e non lo lasciai proseguire. Le nostre labbra palpitanti di passione si cercarono avidamente per unirsi e suggellare con un bacio, la nostra muta promessa d'amore.
Da qualche mese sono sposa felice di Enzo che contraccambia ad usura l'immenso bene che gli voglio...da qualche mese, nella nostra bella casetta, allietata dal radioso sorriso della nostra adorata figlioletta, viviamo nella più completa felicità, in un'atmosfera di sogno e di pace.
Di quella stessa pace che ora, gli appassiti petali di rosa hanno trovato per sempre, all'ombra delle avvizzite foglie d'ulivo!      

L'ultimo viaggio
Albeggia!
Il sole che faceva capolino all'orizzonte, avanza ora pigramente nel cielo terso, dove una solitaria nuvoletta vagante, alla dolce carezza dei suoi tiepidi raggi, avvampa in un riverbero d'oro e di porpora.
Il leggero venticello refrigerante del ponentino, che spira piacevolmente dal mare fin dalle prime ore del giorno, mitiga notevolmente la calura che il trascorrere del tempo, va rendendo sempre più afosa ed insopportabile.
Nel paese, dove ognuno ha ripreso la propria attività giornaliera, aleggia nell'aria un gioioso senso d'euforia per la festività in onore del Santo Patrono, che gli abitanti tutti, commemorano in questo primo lunedì d'agosto!
Per Corso Italia, fiancheggiata a destra ed a manca dai numerosi negozi, c'era ieri, un formicolio di gente occupata nei vari acquisti, che faceva la spola da una vetrina all'altra, per la scelta più conveniente del proprio fabbisogno.
Lungo le vie principali addobbate a festa ed abbellite dagli innumerevoli festoni che l'adornano, fanno bella mostra di sé i variopinti drappi che pendono dai balconi delle case.
Dall'alto del Palazzo Comunale l'enorme orologio scandisce con i suoi rintocchi lunghi e rimbombanti il trascorrere del tempo; una settimana è ormai passata dalla programmazione della festa e nel paese fervono più alacremente che mai, i preparativi per la lieta ricorrenza.
Per le strade, numerose bancarelle cariche di ogni sorta di dolciumi, allettano con le loro leccornie grandi e piccini…per un peccatuccio di gola, mentre il luna park, allestito alla bene e meglio in periferia, offre a quanti lo frequentano, svaghi di ogni genere.
Ma non a tutti purtroppo, è data la gioia di partecipare alla festa e goderne i piaceri!
Infatti, addossato al muro della chiesetta prospiciente la piazza, un povero diseredato dalla natura, protendendo lo scarno braccio ricoperto di cenci, confida nella misericordia dei passanti che di tanto in tanto lasciano cadere qualche soldarello nel cappellaccio unto e sdrucito che tiene fra le gambe.
In paese tutti lo conoscono, ma nessuno sa chi sia e da dove venga; estate o inverno, incurante delle condizioni atmosferiche, da tempo immemorabile, lo vedono elemosinare sempre sbracato sul selciato, per poi, sparire dalla circolazione, a sera inoltrata.
Ed ora, malgrado l'imperversare della calura che gl'infuocati raggi del sole rendono più opprimente, egli, spinto dall'indigenza, persiste nel mendicare, insensibile all'improvvisa sensazione di freddo che gli procura una serie di involontarie e continue contrazioni muscolari, mentre copioso, il sudore va imperlandogli la fronte scottante.
Le ore che si susseguono danno l'impressione che trascorrano celermente, tanto da sorprendere un po' tutti, di ritrovarsi nel bel mezzo del pomeriggio inoltrato.
Il sole difatti, nella sua parabola discendente, non dardeggia oltre, con l'insopportabile temperatura elevata dei suoi raggi il paese, dove, tra le partenze di chi si reca in ferie e gli arrivi di quanti ne tornano, non si attende che l'inizio della cerimonia.
All'ora stabilita il corteo, preceduto dalla statua del Santo Patrono portata a spalle da sei volontari della Confraternita, esce salmodiando dalla chiesa per snodarsi lungo le vie del paese; il povero mendicante affissando allora la statua con sguardo triste ed addolorato si segna con devozione mentre le sue labbra si muovono impercettibilmente per biascicare forse un'orazione.
Al calar della sera, come per incanto, una miriade di lampadine illuminano a giorno le vie sottostanti; la processione intanto, in un coro di litanie rientra in chiesa e due scugnizzi che ne, fanno parte, invece di seguire gli altri all'interno del tempio, si fermano incuriositi davanti al mendicante, che indifferente a quanto gli accade attorno, non si scompone per niente e rimane nella statuaria posizione di chi, col braccio proteso, fa affidamento sulla pietà del prossimo.
Il più piccolo dei due ragazzi si rivolge all'amico ed indicando il cappellaccio traboccante di monetine, gli esterna il suo profondo stupore; il più grandicello dopo un attimo d'esitazione fa spallucce, lo prende per mano e lo trascina allegramente verso una delle bancarelle.
A sera inoltrata poi, mentre la festa impazza tra musiche e balli, le luminarie in un interrotto scoppiettio rischiarano il cielo con mille policrome luci e molteplici forme, segnando così, l'inizio della fine della festa.
E mentre la musica dell'orchestra si spegneva nella notte, il povero mendico, zittio zitto ed all'insaputa di tutti, partiva , senza alcuna possibilità di ritorno, per l'ultimo viaggio!


Home page  Lettura   Poeti del sito   Racconti   Narratori del sito   Antologia   Autori   Biografie  Guida   Metrica   Figure retoriche