Poesie di Gianni Ruggiu


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Libertà di Siria
Guarda come sono tristi
Le montagne al calar della notte
Guarda la tristezza
Dell'astore che disegna nel cielo
La sua croce.  
Abbonda la tristezza in quella martoriata
Terra di Siria, dove il sangue
Del popolo inebria la terra
Dove anche le formiche
Bevono il sangue dei martiri
Che nessuno conosce, sognatori                                …..la notte passerà
Di libertà e giustizia                                                possono sputare le acque
Di patrie senza spine                                                possono fucilare i passeri
Sognatori di campi di grano                                     possono bruciare i versi
Con le spighe pregne                                                possono, possono, possono
E rossi papaveri mossi dal vento                              ma questa notte passerà.
Che cantano la libertà                                               Manuel Scorza
Di un popolo.
Sognano ed aspettano un pettirosso
Che tolga la spina dalla patria
Come già fece con l'uomo in croce.
Sognate, aspettate che la vostra terra
Sia bagnata dalla rugiada non dal
Sangue dei figli.
Possono distruggere Damasco
Faranno morire steli di bimbi inermi
Storpieranno i giovani studenti
Fucileranno vecchi sdentati
Che stringono un gallo da combattimento
Violenteranno le rose appena sbocciate
Faranno, ma il tiranno cadrà.
Si ricostruirà la patria con i sassi
Del deserto impastando il fango
Con la saliva ed il piscio dei rimasti
Ricostruiranno la bandiera in brandelli
L'isseranno nel pennone più alto
Vicino al tiranno.
Ecco faranno tutto questo in nome
Della libertà.

Omissioni del vecchio Vate
Perché vecchio
Vate
nello scrivere ispirato
dalla Dea
non hai narrato
la notte prima
della tenzone?

Eri nella stanza,
vedevi il buio
ma sentivi
Andromaca implorante
Verso l'uomo amato:
"evita il duello padre
dei miei figli, essi
cresceranno orfani
ti cercheranno
cosa dirò loro?

Ettore, stringendo a se
l'amata, con voce certa,
dolce come la sera calante:
"Gli Dei dell'Olimpo
esigono il sacrificio
d' un giusto,
son pronto a pagar
colpe d'altri".

Ricordi vecchio Vate
i corpi che s' univano
diventavano uno solo
amplesso d'amore e disperazione.
Le parole d'Andromaca
stringendo l'amato:
"non giacerò più,
tu perderai la vita
io perderò l'anima."

Il corpo martoriato
del prode Ettore
portato in trionfo
come preda dall'acheo
Achille.
Un'anima vola in cielo
l'anima d'Andromaca.
Non piangere vecchio Vate,
hai sofferto tanto perciò
perdono la tua dimenticanza.

I racconti di una conchiglia
La raccolsi
in un giorno d'inverno,
il mare color fango
s'infrangeva nella rena
portando via pezzi di
spiaggia.

La bruma saliva lenta
non si vedeva più il campanile,
scoccava il tocco del meriggio.
Dove sarà ora?
sarà felice?
solitudine essere ripugnante della vita.

La raccolsi, era la più
bella delle sorelle
vibrò nelle mani sembrava
parlasse.
"portami via ti racconterò
dove sta lei i suoi segreti
gli amori, le sofferenze,
rimpianti e forse un
giorno andremo insieme
ha trovarla,
così anche io
troverò l'altra parte di
me".

La bruma e la notte calante
nascosero una lacrima
che calda calava dai miei
occhi.

Lucia
Madre,
è solo un anno
eppur sembra un'eternità
che in silenzio
come sempre hai vissuto,
sei andata via.

Oggi si ricordano
i defunti,
con anima tormentata
stringo il lumino, e con angoscia
m'accorgo che anni
son passati senza parlarti,
senza vederti
senza chiamarti.

Depongo i fiori
simbolo dell'amore
per te.
Accendo il cero
simbolo di pace e lo depongo
ai tuoi piedi,
asciugo le lacrime
che scendono nel tuo ricordo.

So che ho il tuo perdono
e con esso vivo
pienamente il tuo ricordo
madre mia.

Giuseppino
Padre,
di te parla il cheto fiume
che lento scorre
fra aranci ed ulivi
sin dove la dolce acqua
abbraccia la salsa
del mare.

Di te mormorano
le fronde degli ulivi
che hai amato e curato.

Di te parlano le genti,
parlano dell'opera
della bontà
dell'amicizia che hai dato.

Ancor ti vedono
lassù sull'albero d'ulivo,
passar di ramo in ramo
come il merlo a te caro.

Di te parlo io
con orgoglio di essere
tuo figlio.

 

Chi seppellirà i morti
Chi seppellirà i morti?
Vedete anche voi Dei dell’Olimpo
Vedi anche tu Dio d’Abramo e Giacobbe
Vedi anche tu Allah con il tuo profeta Maometto
Vedete anche voi Divinità sconosciute
I morti della follia umana.

Chi seppellirà i morti?
Rispondete
Al lamento che all’alba
Di un tristo giorno di un anno passato
Ho di un anno che verrà
Sarà oggi?
Madri, padri e figli
Stravolti dal visto vagano, piangono, urlano.
Cercano un corpo, un respiro, un lamento
Che prima hanno amato.
Chi seppellirà i morti?
Sono stesi sul loro sangue
Con pose che solo la morte sa dare.
Sono trecento, mille o forse diecimila e più.
Le corazze, gli elmi
Le spade, gli speroni arrugginiti
hanno perso la lucentezza
Come i morti, la giovinezza.

I cani annusano
Cercano la mano amica che donava
Tozzi di pane e pisciano
Sui corpi sconosciuti.
I lugubri avvoltoi
Bestie immonde figli degli inferi,
Banchettano con corpi gonfi di putridume.

Chi seppellirà i morti?
Chi darà piacere di Carne alle spose troppo giovani
Per vestire a lutto,
Troppo giovani per non giacere
Con altro corpo di maschio guerriero
L’altro è defunto.

Chi seppellirà i morti?
Chi spiegherà perché sono morti.
L’infame s’aggira
Ghignante fra i cadaveri
Assaporando i putridi odori
Dell’orrore.
La follia unica colpevole
Dell’eccidio d’oggi e domani.

Mille musiche diverse ma tonate
Armoniose si levano coprendo
Ogni altro suono del dì avanzato.
Ombre umane intorno ai bivacchi
Con lingue di fuoco che salgono in cielo
Nel silenzio irreale della notte
Una voce canta :
“IL MISERERE”
Dal terreno bagnato di sangue
Spuntano dei fiori arcobaleno e papaveri
Coprono i corpi e li purificano e li profumano.
Sono sepolti con gli onori
Coperti dei fiori
Del cielo e della terra.

Domani saranno consegnate le medaglie
Alla memoria
Fiumi di parole saranno dette con falsità
Molti piangeranno
Le struggenti note del silenzio
Onereranno i valorosi giovani
Della perduta gioventù.
marzo 2010.

Nubi vagabonde
Come nubi vagabonde
sospinte dal vento del nord
vagherete fluttuando
anime in pena.

Busserete alla porta dei beati
inascoltate.
Sapevate uomini e donne
che sarete diventati anima,
conoscevate colpe e castighi
per chi pecca.
Sapevate perché stava scritto
e poi è stato detto: “Si è viandanti
nelle vie del mondo” che poi hanno fine
e si diventerà anima.

Dovevate fare cernita fra il bene
ed il male, frustarvi prima di cadere.

Ma la pena, come la vita,
non è eterna e domani sarete mondati
lavati dal male fatto o dall’atto.
La porta si aprirà e sarete illuminati
cesserà il crepuscolo.

Sarete vestiti con abiti nuovi,
mangerete a sazietà, berrette
l’acqua della fonte del perdono
che laverà le viscere, così puliti
ringrazierete la luce. 

Fa bene piangere
Fa bene piangere
Quando pioggia e nevischio
Scendono fine.
Penetra dal collo
Cala lungo la schiena
Attraversa l’elastico delle mutande
(bisogna cambiarlo è consumato)
E scende lungo il canale delle natiche
(qui si colora di un pallido giallo)
Prosegue alle scarpe
Che fanno diga.
Continui a camminare dentro la diga
E l’acqua colorata diventa nera
(per via delle calze).
Continui a piangere
Nessuno s’accorge che piangi
La pioggia e il nevischio
Nascondono le lacrime.
Lei è andata via con un altro
Ti ha detto addio
E tu piangi.
Le scarpe
(che sono dighe)
Tracimano.
Il liquido nero forma pozzanghere
Nauseabonde.
Svoltano l’angolo tenendosi per mano
Lei e lui
Andranno alla cantina
Faranno l’amore nel gran letto
Che cigola
Come le catene dei fantasmi che abitano
In quella stanza.
Ora anche tu sei un fantasma.
Sei solo,
Svelti gli ombrelli con sederi e gambe
Cercano riparo
Solo tu resti in mezzo alla via
Ti fanno compagnia
Le pozzanghere nauseabonde
E le lacrime.
Un vecchio con la mantella
S’avvicina nauseato
Ti parla e non capisci.
Ha smesso di nevicare e di piovere
Non piangi più
Le scarpe hanno smesso di tracimare.
Un pallido sole
Manda dei raggi
Per far compagnia alla solitudine.
 febb. 2010

Immaginario amico
Camminava in quella via
impacciato e nervoso
contava monetine.
Era la sua prima volta
pensava di peccare per
i suoi quindici anni.

Guardava i passanti con timore e paura
di essere additato s’entrava in quella porta
al numero tre di quella via.

La porta si rinchiuse alle sue spalle
l’accolse il tanfo di corpi sporchi,
li sta la puttana con le gambe storte
e l’aids in corpo.

Volle scoprire tutto
in una sola volta,
tutto scoprì - anche la malattia -.
Il tempo è passato da quella prima
volta, or giace in una corsia
di un grande ospedale.

Ventenne, devastato dalla febbre,
tubi, tubicini, flebo e sacche di sangue
infilate nel corpo martoriato.
Maledetta quella volta
e la puttana dalle gambe storte.

Al suo capezzale
la mamma,
con i suoi occhi che piangono anche quando ride.
Il padre dalle grosse mani,
fiero delle sue certezze, ormai
traballanti.
Tremano le mani per quel figlio
morente.

Al tocco, il dolore si spegne, si sente riposato,
è passata la febbre, non sente la stanchezza.
Un gran caldo lo invade
un caldo d’amore.

Una luce divina
e l’angelo del cielo
le sorride dolcemente,
prendendo la sua anima innocente.

Canuti come il Monte Bianco
son i capelli materni,
curvo e tremante il padre
senza più certezze.
L’amico della vita
le porta la sua palla ovale.

Anche io vado via,
ciao mio caro sfortunato
immaginario amico.
Vado per raccontare la tua prima volta
a tutti i quindicenni.

Il nettare
La mano tremolante
fecce traboccare
il nero vino,
nettare dell’Olimpo
che gli Dei
donarono
all’uomo
per ritemprare
le stanche membra,
punte dalla stanchezza.

Per stordire
i lugubri pensieri
che veloci
ti riportano dal cipresso
dove ti lascia.

Oblio di un attimo
con la rossa ambrosia,
riesco a vederti,
parlarti,
tu sorridi, non parli.

Morfeo scende
su di me
stende un velo
pietoso
alla mia solitudine.

Nulla è cambiato
Nulla è cambiato
negli anni
m’accoglie il silenzio
irreale della partenza.

Il vecchio rudere
è sempre lì a dominare
la vita, gli amori e odi
delle genti.

Il tocco
si spande nelle campagne
chiamando vecchi esseri
dal viso stravolto dalla solitudine.

Seduto vicino alla vecchia
fontanella
al fresco del fico moro,
col merlo canterino
adagiato sul ramo più alto,
miravo con angoscia
quei volti dove l’aratro
della vita ha tracciato
dei fondi solchi.

Le donne
vestite di nero
leste passano nella via
alzando sbuffi di polvere.

Nulla è cambiato,
oggi che sono dotto
m’accorgo che tanto
rimane a fare.
Domani
farò parte di questa gente
per dare loro il mio sapere.

Ricordando l’uomo
Seconda Parte

Lasceremo
in pace con noi stessi
quelle terre sante.
Al rientro
ci ristoreremo,
muteremo le vesti,
cambieremo i calzari,
sistemeremo il pane nero
nella bisaccia,
colmeremo le borracce
d’acqua e vino.
Ci metteremo in strada,
andremmo per le vie del mondo
rivivendo la morte dell’uomo.
Ricercheremo il vitello d’oro
che la gente d’oggi ha eretto
come fatto dal popolo maledetto
da Mosè.
Nel nome suo compiono ogni tipo
di nefandezza immolando la vita
eterna.
Quando trovato,
con mani e unghie
pezzo per pezzo lo distruggeremo,
faremo un grande falò
di purificazione.
Le tavole di Mosè leveremo
al cielo in segno di pace.
Quel giorno, avrà termine il buio
sulla terra e l’uomo diventato
Dio ci libererà dalla colpa.

Ricordando l’Uomo
Prima parte

Partiremo insieme
andremo laggiù
ha cercare la verità
della vita.
Viaggeremo a piedi
per calzari un paio
di sandali.
Varcheremo
il mare su una barca a vela,
nella bisaccia disporremo
pane azzimo e cicoria
negli otri acqua di sorgente.
Non porteremo denari,
busseremo alle porte e dove
ci sarà aperto ci ristoreremo.
Cammineremo nelle vie polverose
di Galilea e della Sammaria,
ci fermeremo al pozzo nella strada
una donna ci offrirà l’acqua
in una ciotola di legno.
Racconterà una storia passata
di tempo antico, piangerà
ricordando l’uomo che la
perdonata.
Spezzeremo rami d’ulivo,
entreremo in paese,
all’angolo della via sono
legati due asinelli.
Ci recheremo nella grotta
dove l’angolo buio
è illuminato dall’angelo
del cielo.
Ai piedi del monte, con
animo lacerato piangeremo
l’uomo e pregheremo Dio.
Contempleremo quelle macchie
di sangue e poseremo un fiore
di campo.
Andremo verso il gran fiume
dove un’ uomo vestito di pelli,
che la moltitudine chiama
“IL BATTISTA” ci verserà
l’acqua della vita.

Ecco la fine
I ceri simboli di speranze e di
Vita si sono consumati
Aspettando il miracolo che
Non è arrivato.
Or i moccoli caduti per
Terra, si mescola con
Il fango della vita che
Lentamente contagia le
Menti.
Le luci si sono spente nell’
Antro solo una stanza rimane
Chiara è la stanza del fatto.
E lì ancor sta la morte con
I soldi del lavoro prestato,
La fattura ha rilasciato, era
Intestata a tanti esseri impietosi.
Or la morte defeca su di essi
E maledice quei trenta denari.
Si spegne anche quella luce
Il vento entra nella stanza e
Porta via la morte e i suoi
Odori.
Se guardate nel cielo verso
Aldebaran noterete una stella
Che prima non cera è la stella
Splendete d’Eluana.
Vivi di noi                                    “Padre David Maria Turoldo”
Sei
La verità che non ragiona.
Un Dio che pena
Nel cuore dell’uomo

Tutto è pronto
La camera è pronta
Hanno usato la biancheria
Delle grandi occasioni
Per una morte assistita.
E’ giunta di notte proveniva
Dalle rive di quel lago che
Ci ricorda Renzo e Lucia.
Ce anche l’azzeccagarbugli
Anche lui fa la sua parte
Come grillo parlante.
Ci sono anche i boia non
Hanno il cappuccio nero ma
Il camice e i guanti bianchi ma
Non crediate che cambiassi la loro
Parte è quella di carnefici.
La morte è stata chiamata
Hanno mandato la caparra
Il saldo ad assassinio compiuto.
Il giudice ha deciso, or si guarda
Allo specchio e si paragona a Dio.
Tu madre di Gesù che hai sofferto
Sotto la croce, porta con te Eluana e dalle
Quelle gioie e la vita che uomini
Malvagi le hanno tolto in terra.

Grande falò
Faremo un gran falò
Nello spiazzo dietro la
Stalla.
Tenendoci per mano
Balleremo sino all’alba,
Al suono di un’armonica e
Di un vecchio violino che
Si lamenta con stridule note.
I vecchi stanchi dei balli e
Del buon vino, parleranno
Con lucidi occhi il tempo
Che fu, e una lacrima
Scenderà dai loro stanchi
Occhi.
Noi tenendoci per mano,
Andremo sotto il vecchio
Ciliegio, che sarà ancora
Testimone muto dell’amore.
Quando il sole sorgerà saremo
Qui ad aspettarlo.

Il voto
Perdonate onorevole
Il mio ardire nel chiedere
Conto del voto che vi ho dato,
Per vostra richiesta e insistenza.
Le promesse assai allettanti,
Il lavoro, i soldi e, Dio vi perdoni
Anche la vita eterna.
Promesse, e come tale sono rimaste,
Parole che appena pronunciate il vento
Ha portato via.
Gli inchini e i sorrisi, gli inviti ha pranzi e
Cene, vi degnavate di chiamarmi “caro
Amico mio”. Or dopo il voto all’incontro
Nella pubblica via, girate il capo per non
Dirmi buongiorno.
Alle vostre menzognere parole non ho mai
Creduto, altrimenti a quest’ora Dio mi
Perdoni all’inferno sarei condannato.

Pargoli Vagabondi
Pargoli vagabondi
Di un mondo minore
Gente tribale d’esseri
Vocianti.
Urlare, dire ciò che a
Loro piace, insulti a chi
Non si unisce al coro, alle
Loro parole alle loro azioni
Nefande e blasfeme.
Urlare contro gli eroi,
Tragedia nella tragedia
“una cento, mille Nassyiria”.
Cosa dire se le parole
D’orrore non escono
Dalla bocca per maledire
Questi esaltati pargoli
Vagabondi, infetti
Di virus demoniaco della
Distruzione fisica e morale.
Satana costruirà in fretta e furia
Un altro girone nel suo inferno
Per questi esaltati pargoli
Vagabondi, figli di una società
Dove la crudeltà è considerata
Una dote.

Guardare la terra
Guardare la terra dall'alto,
Contare le macchine che
S'inseguono come bilie
In cerca di un parcheggio.
I treni arrancano sulla
Salita del monte, sbuffando
Dalla fatica.
Gli aerei che volano lesti
Come i cattivi pensieri.
Guardare in mezzo al mare e
Vedere una nera nave che
Lancia al cielo spire di
Fumo nero.
Guardare le persone che
Sembrano formiche e,
Proprio come loro
Arrancano nella vita.
Guardare quei ragazzi che
Giocano nel parco
Giocano al dottore con
La siringa in mano.
Guardare nelle strade
Dove le ragazze invitano
Ai giochi dell'amore.
Guardare i marciapiedi dove
Piccoli bimbi tendono
La mano per ingrassare
I grandi.
Guardare la terra dall'alto
Porta malinconia.

Idee
Guardi il foglio bianco
Annotti due righe poi lo
Pieghi e lo cestini.
Il vuoto delle idee spinge a
Leggere ciò che altri hanno scritto.
La voglia è tanta e le idee
Latitano copiare? Sarebbe
Facile, ma poi perché?
Non sono pensieri tuoi
Sono pensieri di altri.
Tutti li conoscono, tutti li
Amano, ti danno del copione,
Sono versi famosi e t’inchini ai
maestri.
I nomi sono nomi:
Dante – Ahi servella Italia di dolor ostello;
Petrarca - Italia mia benché il parlar sia;
Brecht - Generale il tuo carro armato è una macchina;
Di Tarcia - Già corsi l’alpi gelide e canute;
Carducci - I cipressi che a Bolgheri;
Pascoli - O cavallina cavallina storna.
Grandi maestri, chi sei per
Copiare il loro pensiero, la prosa, le
Sofferenze d’ogni riga d’ogni parola.
Sofferenza nello scrivere, nell’amare,
Ricordi Leopardi, Montale ed altri, che
Con sofferenza hanno fatto la storia
Della poesia.
Ecco ora il vuoto della mente è colmo
Di frasi e pensieri d’oggi e di altri
Tempi.
Non serve copiare, serve solo
Pensare.
 


Augurios

Tres augurios mannos
T’appo a dare: su primu pro
Una vida chena afannos, su
Segundu pro amistade
Chena ingannos e s’ultima
Pro nobiere a chent’annos
Bona Pascas de Nadale a tie e a tuttu
Sos tuos caros.
Sos augurios de bona Pasca de Nadale
E bonu annu nou, a tottus sos chi iscriede
In qusto logu.
Bos’chelzo ringraziare chi a maccos e
Sanos , vachides iscrivere in questu logu.

Auguri
Tre auguri grandi ti
Devo dare: il primo per
Una vita senza affanni, il
Secondo per amicizia
Senza inganni e l’ultima
Per vederci fra cento anni.
Buona Pasqua di Natale a te e a tutti
I tuoi cari.
Gli auguri di una buona Pasqua di Natale
A tutti quelli che scrivono
In questo sito.
Auguri buon Natale e buon anno nuovo.
Vi devo ringraziare, che a fate scrivere
In questo sito a dotti e “fessi”.

L’urlo
Il dramma dei popoli che
Non conosciamo,
La fame, la sete, l’orrore
Della guerra.
I bimbi che muoiono i
Padri che piangono.
Poi ce chi ride ha conquistato
Il potere, un potere di cosa?
Di morti viventi d’esseri
Ignudi, di pianti e lamenti.
Un popolo urlante dal viso
Stravolto, un viso, una maschera
Un urlo, l’urlo di Munch.
Il dramma di un popolo nell’
Urlo di Munch.
Copriamo quel quadro, così
Non vediamo quell’urlo straziante
Che sa d’agonia.
Copriamo col velo la nostra
Coscienza, l’urlo scompare
Il dramma rimane.

Il vecchio noce
All’angolo dell’orto di una casa
Diroccata, fra rovi e canne,
Stava un vecchio centenario noce,
Aspettava la sua morte con dignità e
Fierezza.
I frutti grandi e gustosi, erano preda
Dei ragazzi che lì andavano
Per giocare alla guerra.
I rami spogli rivolti al cielo
Riposavano e sognavano un’altra
Primavera
Guardando in alto, nel ramo più alto,
Era lì una foglia mentre le sorelle
Facevano da tappeto ai piedi del
Vecchio noce.
Un flebile e dolce mormorio, chiese
Alla foglia:” perché non raggiungi tue
Sorelle”?
Con voce lacrimosa la foglia rispondeva:
“non voglio morire come loro” e, con
Caparbia rimaneva lì nel ramo più alto del
Vecchio noce.
Un vento gelido e impietoso, soffiò così
Forte che la foglia stanca della tenzone, si
Stacco da quel ramo e dalla vita.
Volteggiando nel vento impetuoso
Raggiunse le sorelle che erano ad aspettare.
Questa è la vita di una foglia del vecchio.
Noce che sta lì all’angolo dell’orto di
Una casa diroccata e, aspetta anche lui
La sua caduta.
Questa è la storia della vita, per tutti
Ci sarà la caduta.

Amore Nascente
Benvenuto cielo
Stellato, benvenuto
Chiarore lunare.
Voi che con argentee
Luci, illuminate un amore
Nascente, che come una
Rosa a maggio sboccia in
Due felici cuori.
Voi astri dell’amor,
Illuminate i primi timidi
Baci, le prime carezze,
Pudiche carezze, lievi
Come l’alito di un bimbo,
Come il volo di una farfalla.
Ascoltate le promesse, i
Loro intimi segreti, aspirazioni e
Paure di una vita in due.
Voi diletti argentei astri,
Come una chioccia con i
Pulcini, vegliate di buona
Lena i due cuori vicini.
Stanotte, la vostra luce
È più argentea del solito,
Si è così, un po’ ruffiani
Splendete di più, quasi
Voleste illuminare, badare e
Proteggere questo
Nascente amore.

Metamorfosi                                                                       
Il Tempo è un fiume                                                     “Quando anche foste casto
che lento scorre attraverso                                             come ghiaccio, puro come neve,   
terre e pascoli sconosciuti,                                              non sfuggirete alle calunnie al
con sé porta via, la vita e                                                al pettegolezzo, al sospetto di chi
gli amori.                                                                         a torto o ragione a smesso di credere
E tu credi che con la                                                       in voi.
cipria copri i segni del                                                     Elaborazione di un pensiero di
tempo che passa.
Le rughe sul volto, il                                                                  SHAKESPEARE
Bianco dei capelli, il
Mutare del tuo io:
“Omnia mutantur, nihil interit
  Tutto muta e nulla muore”
         (Metamorfosi) Ovidio
Metamorfosi dell’amore in te,
Nel parlare, prima amoroso,
Aperto al dì futuro, e oggi?
Metamorfosi dell’amore, del
Tuo io, indifferenza per ciò
Che amavi.
Ecco ora c’è l’arroganza, ti
Possiede come una bambola
Di pezza, la usi per difesa
Come una pesante armatura.
Difesa da chi da cosa, forse
Da te stessa, dal tempo che
passa.
Cerchi vendetta?
Perché? per cosa?
Interroga te stessa e guarda
Lo specchio dell’anima,
Guarda lo specchio della
Vita, forse troverai la
Risposta alla tua
metamorfosi.
Capirai, che parole non
Dette, o dette troppe volte
Ma non credute, anzi
Stravolte per usarle come
Tue armi per colpire, umiliare
L’innocente, che ancor non
Capisce.
Ma tu nella metamorfosi, vuoi
Usarlo, come un soldatino di
Piombo, per i tuoi giochi sulla
Scacchiera della vita.
Il soldatino tace e s’adegua,
Fino a quando?
Aspetta che il tempo porti con sé
Anche la tua metamorfosi, che
Si dilegui come neve al sole.
Ma quando? Sarà in tempo a
Salvare le ragioni di una vita?

La forza di Job
La forza di Job è,
vincere al biliardo con
l'ultimo tiro dell'ultima
pallina.
La forza di Job è,
vincere il campionato
del mondo di boxe
all'ultimo minuto
dell'ultimo round.
La forza di Job è,
mettersi in fila una
lunga fila, per pagare
un bollettino delle tasse.
La forza di Job è,
vincere una partita a scacchi
in tre mosse.
La forza di Job è,
digiunare per quaranta
giorni e quaranta notti
nel deserto.
La forza di Job è,
distruggere Gomorra
e tutti i suoi abitanti.
La forza di Job è,
guarire i malati con
la forza delle mani.
La forza di Job è,
piangere per giorni
la morte di un amico.
La forza di Job è,
litigare nel tempio
contro i farisei.
La forza di Job è,
morire sulla croce
per salvare l'umanità.
La forza di Job è,
parlare con Dio
mormorando "si padre mio".
Un candore si spande
nel pianoro, una rosa
sbocciò nella roccia,
il profumo di lillà
si spande e penetra nelle nari.
Dal cielo stellato con
il chiarore lunare,
una schiera di cherubini
discese dal cielo, l'amico
Job portò via.
Ciao amico Job,
la tua venuta non è stata
vana.-

Preghiera per il Sig. G.....
Accoglilo Signore
nel tuo Regno,
sii vicino a te, e lui
quando le genti della
terra ti faranno
tribolare, ecco lui,
in silenzio, con il suo
sorriso da bambino-adulto
prenderà la chitarra, e canterà.
Come per incanto, le genti si
fermeranno ad ascoltare il
Sig. G. diventando per un attimo
tutti più buoni.
" Libertà non è stare sopra
un albero, nonè neanche
il volo di un moscone,
la libertà non è uno spazio
libero, libertà
è partecipazione."
Giorgio Gaber
Accoglilo O Signore
nel tuo Regno.

Ciao Eroi
Ciao eroi
che in silenzio
avete servito la patria.
Ciao Eroi
che in silenzio
avete curato i malati,
accudito i bambini,
confortato le madri,
sfamato le genti.
Grazie Eroi
per l'insegnamento
che al mondo avete dato,
col vostri sacrificio,
il sacrificio estremo,
grazie eroi, grazie soldati
italiani, il vostro sacrificio
non sarà vano e, quando
la pace regnerà in questo
paese martoriato, si allora
si ricorderanno di voi, di voi
soldati d'Italia, che la vostra
giovane vita avete donato
per la pace di Nassirya.
Prendili per mano o Signore
e guidali nella via della luce,
dà a loro la serenità eterna,
e ai loro cari una beata
rassegnazione.

Pazzia
Compagno son delle
           mura
parlo e racconto la
         solitudine
il freddo della notte mi
strazia il corpo la solitudine
      mi strazia l'anima.
Sconvolta è la mente
da quel dì passato, or
patisco l'attimo, la mente
    umana sè rivoltata.
La pazzia è in me?
vivo, perchè vivo?
verrà anche domani senza
          impazzire?
Urlare, si forse mi sentiranno,
morire, la liberazione, no
vivrò, impazzirò si forse,
     chissà domani.

Solo
Mi guardo intorno
non vedo nessuno,
parlo nessuno mi ascolta
urlo al vento.
Paura, solittudine
chiedo aiuto, nessuno mi aiuta
eppure un brusio di voci sento
solo fra la gente.
Cado,mi calpestano
eppur m'amavano
si scordati di me.
Sento freddo,tremo
affannoso si fa il respiro
mi lamento ,sa d'agonia.
Tormento,malvagità silenzio
il mondo tace
sè fermata la vita
ipocrisia umana.
Mi rialzo tremolante
cammino,cado mi rialzo
nessuno mi tende la mano
un randagio s'avvicina
con la ruvida lingua
mi lecca la mano
capisco cado per non più rialzarmi.

Oggi ci riprovo
Oggi ci riprovo
spolvero i vecchi quaderni,
le agende messe da parte,
rileggo gli scritti che
con altra grafia riempi
le bianche pagine del diario
di un tempo passato che
mi facevano compagnia.

La rima non sarà baciata
non sarò certo un Dante
sarò un diletante che
scrive poesie.

Chi le leggerà
forse riderà
che poesia e questa
non vale una cicca.

Ma io che lo scritta
con soddisfazione
son contento d'averlo fatto
e domani sicuro ci riprovo.


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