Poesie di Peter Pepato


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Leggi i racconti di Peter

Pungono poco
i commenti salaci,
vengon da io mal strutturati,
per meglio dire ego attempati.
Poi dio...pardon, io...
cambio discorso.

Colpirne uno…e basta
Il suo verso più ispirato,
è noto,
fu un rutto.
Pur riconoscendo l’inutilità
dei campi di rieducazione,
ché l’idiota resta idiota,
sono favorevole,
per crudeltà.

Disertazione
Disertare è scelta oculata,
lontana brilla fioca la luce
ma i tuoi occhi di falco
non faticano più di tanto…
dietro la truppa gozzoviglia,
tra canti e rutti.

C’erano folle distanti
con cui essere solidali,
e morti altrui da piangere
per dimenticare questi torti
per non pensare a questi soprusi
tutti insieme, vilmente.

È necessario
che il senso fluttui
sulla musicalità delle parole,
leggiadro come Madeleine,
in alternativa,
che colpisca ferocemente,
veloce e violento
come uno starnuto.

Ottimismo & Ignoranza
Io, ottusamente ante,
i miei tomi polverosi,
pieni di eresie,
le mie vetuste teorie,
chelastoriahainesorabilmentecondannato…
ridi divertito, tu,
moderno, ottimo e paretiano
la sai lunga, furbetto…
poi ti dico, così, tanto per dire,
ma Amartya Sen…
Azzardi: un divo di Bollywood?!

Maitres a penser
Guardali, come sono belli…
non si occupano del mondo,
li disgusta…giustamente!
Così snob e blasè!
È un piacere ammirarli!
Dunque tacciamo,
ché il suono delle nostre voci
o il raspare delle nostre penne
non abbia ad offendere
le loro nobili orecchie!

Punti di vista
Vivo come la gramigna
nei campi infestati
dalle ottuse spighe di grano
che imbiondiranno
e cariche d’oro
chineranno il capo.

Il pazzo
C’è un pazzo al mio paese,
gira con la sua bici
ad apostrofar gente
su fatti antichi e vieti,
noioso e fastidioso,
importuna signore,
sproloquia su ogni cosa.
Servirebbe il bastone
ma i miei concittadini
son sensibili e buoni…
e provano pietà.

Il presidente
Il bocio ha detto che è vergogna vera,
molto più che ammazzare a calci in testa,
bruciare sulla piazza la bandiera
di quelli ai quali fecero la festa
i suoi antenati in una certa era…
il morbo nero ancor l’Italia appesta!
Di certo è tutta nostra la vergogna
d’averli fatti uscire dalla fogna.

È cosa senza nome
Evaporò il costrutto,
pensiero che declina,
l’alba verso Bologna,
ti vedo
ti stravedo
mi ricredo su amore
ché è difficile amore
ché è quasi mai amore
se non rovescia e affonda
se non stravolge e offende
se non dice e il contrario
dunque sarà, ipotizzo,
dolore resistente
contro risata laida,
digiuno impenitente,
cosa che non ha nome.

La distanza
Ci si pente per far bella figura
crogiolandosi in pallido rimorso
d’amaro fiele solo qualche sorso,
il perdono s’attende con premura.

Scontar la pena sì sarebbe dura
sentire forte del dolore il morso,
lo scudiscio che ti dilania il dorso
il gelo, la tristezza, la paura.

Dopo cammineresti dignitosa
sguardo radioso, fronte dritta al sole
parleresti con voce forte e chiara,

non più nella palude limacciosa
fatta di vili inutili parole,
colmando il tratto che ormai ci separa.

Filastrocca misogina(serataccia)
Che sia liscia oppure riccia
che sia brutta oppure bella
naturale oppur posticcia
molto seria o ridarella
che sia sana o malaticcia
distantissima o gemella
sia sbagliata oppure giusta…
non dimenticar la frusta.

Il ventunesimo secolo
Il ministro ha or ora espunto,
grazie a un ampia convergenza,
con coraggio e con coerenza,
l’insidioso annoso punto:
tanti quelli che son senza,
l’obiettivo si è raggiunto!
Finalmente un buon governo,
rigoroso e assai moderno!

Assorta occhi sgranati osservi
la mia allegra infelicità:
su letti di chiodi
placidamente dormo
in equilibrio
su un asse tarlato
in mezzo alla tempesta
dico cheese,
paludi melmose attraverso
col mio abito sempre pulito
m’azzuffo con tigri feroci,
solo qualche graffio…
di converso tu,
la quotidiana felicità,
le amorose ore,
inquietanti,
che soffocano,
e i pensieri nascosti
che non dirai…
che mi dirai?

Nel ghiaccio
Cento ne ha avute, calde e generose
tra sorrisi sospiri e buonumore
si schiusero così come fa un fiore
sbocciarono fragranti come rose

Cento gli si negarono riottose
per loro non provò nessun rancore
non si può esser sempre vincitore
si accomiatò da quelle deliziose

Una, una soltanto fu letale
morbida come seta, occhi sfuggenti
profumo che stordisce e lascia muto

lei lo costrinse ad essere sleale
lo condannò all’inferno e ai suoi tormenti
là, nell’ultimo cerchio dell’imbuto.

Testamento
Non mi piegò l’oscuro educatore
inetto alla parola ed al pensiero,
immune grazie a un naturale siero
mi feci beffe del suo freddo cuore

Non mi piegò la balla dell’onore
del militare dal berretto nero
che per poter distinguer falso e vero
doveva chieder lumi al superiore

Non mi piegò la boria del padrone,
sul mio sudore non si fa profitto,
né ci riuscì la dura religione,

andrò all’inferno con il capo ritto…
solo m’arresi senza condizione
al caldo sguardo da cui fui trafitto.

Detti memorabili
C’è un pappagallo azzurro
che ogni giorno
s’appoggia al mio balcone,
sempre senza permesso,
con voce monocorde
dice sempre lo stesso
‘la storia, caro tizio
ha dato il suo giudizio!’
pare glielo abbian detto
gli esimi professori
che dan del tu alla storia,
dei nani in verità,
che in mezzo a tè e biscotti
delizian donne lasse
in salotti distanti
dal ribollir di masse.

Potrà questo continuo abbaiare
di fedeli guardiani
potranno quei volti vizzi e bui,
statue di cera sciolta,
potrà quest’odio, occultato,
per i viventi,
fermare il cammino?

Il congegno
Fu quando
l’odore delle fioriture
ti faceva piangere
caldi fiotti
e i basta dei vicini
interrompevano insensibili
i singhiozzi

fu quando
nel troppo buio
ti sconsolava l’assurda
appiccicosa pretesa che ogni cosa
libro farfalla orma
le narrasse di te
(lei, probabilmente, calice alto
a valutare credenziali di futuri fedeli)

fu quando
tra rigurgiti di grappa dozzinale
ti dilaniava
la nostalgia lacerante
dei deliziosi anfratti
per cui ti si gelavano le ossa

fu allora o poco dopo
che irruppe un feroce presente
tirannico a pretendere
sconfinata devozione
a un’altra dea,
crudele e inconsapevole

Il giorno che si scioglie
Il giorno che si scioglie
ti fa estranea
raspando come un cane
cerco l’osso perduto
e ammucchio terra
e terra e terra…

A pensarci bene
Perché se ci penso bene
altro non è che il grasso
che fa scorrere gli ingranaggi,
non altro che la scelta degli aggettivi
o il goffo tentativo di battere il tempo
su valigie mai disfatte
o l’impallidire di un attimo
nel ricordo di un rossore
che rese vampa le gote
in un attimo molto precedente.

Barbaro sapore d’arcaico deserto
Gentili “profeti”
gli striduli anatemi
si sbriciolano
contro il fluire della vita,
non faccio vanto d’armate
ché la mia forza
è l’essere indifeso,
sangue e non angue,
nulla da schiacciare.

Non plus ultra
Vibratili sensi insufficienti
ad afferrare il senso,
vanto crediti che riscuoterò,
il tempo è un sudicio barbone
ma sotto le sopracciglia lerce
brillano feroci occhi di brace,
che tu non sai guardare…
sempre intenta ad altro,
cammini sul ciglio
di usurate passioni
o dentro una tomba.
Resta un miraggio
la stagione del disgelo,
abiterò nel decoro
di rossi papaveri.
Tu, altrove.
Quanto al saldo,
vanto crediti che riscuoterò.

Continuo addio
Occhi braccati dalla vita,
spume ondeggianti,
periodica affiora la persecuzione,
tutto a distruggere.
E sia,
valga il tuo diritto alla fragilità.
Non per quello che t’ho donato,
ché ogni gesto perso vive
una sua gloriosa consistenza,
ma per quello che non posso donarti,
oltre la scatola serrata
oltre il gelo invadente,
si chiudono i giochi,
con parole soffiate
e civili, mesti sorrisi.

Ratio salvi
Si organizzarono le armate benedette
con l’avallo della Santa Provvidenza
ad estirpare l’infetta piaga,
furono braccati i cattivi maestri,
i corruttori di giovani,
portatori delle malsane idee,
libertà uguaglianza
dignità conoscenza…
per tutti…
e nulla si lasciò d’intentato,
ché la santa battaglia lo imponeva,
camere di tortura e roghi,
a eterno monito…
ma quale amarezza per le sante legioni
il constatare che
per ogni corruttore eliminato
ne spuntavano altri due!

Il premio
Sgranatori a capo chino
aspirano all’eternità,
ricordano certi servi
fedeli a vecchie signore
che ne attendono il decesso
per una fettina d’eredità.

Estrazioni del lotto-3
Le rose opprimono semidei
e adescano prudenti incastri
con marmorei altolà
di definita elusività.
Tu, gorgone maieutica,
prigioniera etica,
t’apparirai in sogno
disincantando orde contigue,
prossima al divenire.

Conoscenza per orrore
L’urgere degli eventi
disegna oltraggiose combinazioni…
e poi le cose,
mute testimoni
di realtà deformata.
Null’altro che un Io di cortesia,
strampalato e velleitario.

Nel fondo
Torna l’oscuro fluire dei tuoi sogni
a sbaragliare le tue difese,
il tuo sorriso in prosa nulla può,
paramento grottesco, incerto orpello,
con grida mute tracimerà il fiume profondo
in mille rivoli d’ossessione,
sotto lo sguardo di vetro delle beghine
rifiorirà la carne, sola realtà.

Falsi approdi
Regna l’ossimoro,
trionfante è l’idea, bizzarra,
che l’oscurità faccia luce,
gli anfitrioni del nulla
smorfiano alla francese
mentre gravi s’apprestano a naufragare
nell’inutile mare della loro soggettività.

Mallarmeata d’amore.
Pensieroso lui sta
sulla riva del mare,
tra non molto potrà
disvelare i misteri,
dagli anfratti reconditi
sgorgano le parole,
sono occulte ed arcane,
fatte per iniziati.

Presuntuoso? No, Egli
è il profeta del tempo,
cavalcando lo spazio
ci saluta contento,
svolazzanti le chiome,
se non fosse pelato…
ogni donna lo mira
con lo sguardo perduto.

E non chiedergli il senso
degli oracoli suoi,
ché risponde stizzito:
“Sai che cos’è l’amore?!
Come sta l’universo?!
Dove l’anima alberga?!”
“Me lo dice, signore?”
“Non potresti capire!”

E tu, misero, sempre
vai contento credendo
all’ottusa ragione,
alla logica stolta…
quando impari a volare?!
Non vorrai continuare
imperterrito a dire
che son tutte cazzate?!

CO2
Procura sorriso e pena
il loro modo pavido
d’affrontare la cultura,
in faccia ossequiosi inchini
e salamelecchi vari,
alle spalle smorfie
e infantili sberleffi.
Chi ha detto che l’uomo è cattivo?!
È solo stupido, inetto,
privo di dignità.

L’invasione delle pantegane
Voraci si gettarono
sulla pappa buona buona,
baffi intrisi di sego,
e abbozzarono vacillanti filosofie
fondate sull’ignoranza
di cui menavano vanto,
e declamarono versi funerei
con le voci squittenti,
l’orrendo coro a narrare
i ridicoli intoppi
delle loro vite topesche,
le deliranti deiezioni
a imbrattare irrimediabilmente verità.
Se solo il tanfo non ci avesse sopraffatto…

Attese
Incendiarono il palazzo
per la moneta
le intelligenze vinsero e convinsero,
trionfo della tartaruga,
e il Salvatore rosso
fu costretto a crocifiggersi
col Fedele fucile,
e lo stadio si riempì
di giovani menti,
sempre quelle,
e aspettammo trent’anni
ché fosse sepolto il ghigno animale,
senza giustizia.

La società dei magnaccioni
Sono il ligio cittadino
dico niente, qualunquista
mi spaventa il mussulmano,
ho terror del brigatista…
poi mi schianto a ferragosto
per andare in qualche posto.

Di nascosto da mia moglie
Spio contento le mignotte
Ché mi prendon certe voglie,
soprattutto quando è notte…
poi organizzo un comitato
perché il viale sia mondato.

Scendo in piazza coraggioso
Per difender la famiglia
Da quel popolo vizioso
Che vuol farne una poltiglia…
Dici sono divorziato?!
Scagli chi non ha peccato!

Io no, nun capisco un cazzo,
ma però parlo lo stesso,
dei pupazzi sò er pupazzo,
sò cojone e puro fesso…
mo me faccio ‘na magnata,
bucatini e poi pajata!

Morte precoce
Pallido, spettrale
naviga le strade,
figlio d’oltraggio
e di un’enorme madre amorevole.
-Sei il migliore del mondo!-
Il mondo non condivise
Quando avvenne lo schianto?
O fu lento smottamento?
Pure una, irriguardosa di tale agonia,
pascerà tra quelle rovine,
succhierà quel nulla,
nuova madre bulimica.

La pietra affondante.
Vuoi saper ch’è la famiglia?
Certi tizi han l’opinione
che sia come una poltiglia,
dove regna l’oppressione

dove il figlio e anche la figlia
vivono l’alienazione,
un tranquillo parapiglia,
una libera prigione.

Essa serve a costruire
gli esemplari cittadini
che sapran sempre ubbidire,

dei perfetti burattini,
e il potere riverire,
sempre proni, sempre chini.

Le rocce del Caucaso
Lascia pure che gli avvoltoi
ti divorino il fegato,
nessun prezzo è troppo alto
per dimostrare la stupidità degli dei,
loro sì condannati,
all’immortalità.

Nessuno abbia a pagare la mia inquietudine,
nessuno si sforzi di comprenderla
ma non dite di conoscermi,
quando la notte urge fino a scorrere a rivoli,
quando l’incastro ha il bagliore di lama
e affonda senza ombra di lacrima,
placidamente dormite
nel vostro lettino nuziale.

Notte in cui vorrei scomparire
notte che vale la pena vivere,
sempre in guerra,
altro che quattro parole in croce,
o sublimare nevrosi.
Senza pelle, tutto dolore.

Voi
Se mi vedeste in volo
librar tra le correnti
con le ali splendenti
come l’aquila, solo

lì, tra la colpa e il dolo
sfruttar capace i venti
tra nuvole irridenti,
in un dolente assolo

domare le tempeste
della mia folle guerra
che tutto ormai riveste,

che ogni cosa afferra,
voi certo capireste
quanto agogno la terra.

I discorsi sospesi
Non resisteremo al disordine,
i discorsi sospesi
prenderanno il sopravvento,
hanno tarlato i nostri cuori,
si son pasciuti di sguardi obliqui,
labbra socchiuse, dita sfiorate.
Ti sembrava tutto così saldo!
L’eternità sta agonizzando,
il sogno è appassito
in vasi d’abitudine
o nelle nostre miserie
e certo la fine sarà il principio
fatalmente sorgerà
un nuovo fragile ordine.
Ti sembrerà tutto così saldo!

Già sapevo
La partita è persa,
anche il paesaggio
muore tra le tue ciglia,
le stagioni declinano
davanti ai tuoi fianchi,
la metafisica lascia il passo
al tuo prorompere,
dolose parole m’assetano,
come ampiamente previsto
m’arrendo al tuo lieve sorriso,
lama affilata
che felicemente m’uccide.

Di certo starai
Di certo starai diguazzando
in qualche altro delirio
nei quaranta prevedibili metri quadri
dove titaneggiano
le ombre dei tuoi impotenti guerrieri,
di certo staranno scongelando
nel microonde
i tuoi ridicoli assoluti,
fiaccante nutrimento,
fanne buon pasto,
assieme a chi non conta,
tra poco gronderanno le pareti
e non ti conforterà
la consapevolezza della disperazione,
che, come non capirai,
è premio soltanto ai più meritevoli.

Estrazioni del lotto -2-
La distanza affiora
dal dogmatico gorgoglio
di bardi cauti.
Vige la trama,
tremolante fiammella,
pozione di druidi.
Così il grido delle matite,
colto, in fermento,
dove la lingua insiste.

Lei
Quella che i sogni squassava
l’han vista ieri notte, con l’anima sfregiata
quella che feriva, quella conclusiva
era tra la folla, incerta procedeva
del suo dolore, rosso, tutta si rivestiva
l’han guardata stupiti mentre s’inabissava

Estrazioni del lotto
Mi depongo a porgere,
tra i pini orbi,
i tratturi che infiammano
come case di riposo
ahi! Sopire di macedoni in corsa,
si diffondono le vastità, coacervo
intrinseco, tu, parola che
desumi i poteri,
ombrellone in affitto…
tu…celeste…o grigia…
tu…che disdici le prenotazioni…
tu…

Rogo
Quando arrivi tu ardo
come paglia in agosto,
scoppio come un petardo,
rosolo, pollo arrosto,
brucio e senza riguardo
al tuo cuore composto
ardo quanto nessuno,
tranne Giordano Bruno.

Delirio spesso
Ti prego, ti prego, non urlare…
La verità, sì, la verità!
Poteva capitare anche a te,
dover rinunciare alla vita,
poter rinunciare alla vita…
a volte stride, preme,
infingarda,
come fosse la prima volta…
allora fingo che non,
il mio buon viso,
questo cattivissimo gioco.
La scelta è imposta,
non s’impone.
Però la verità, sì, la verità!
Ma nelle notti insonni,
meglio la vita,
nelle notti insonni,
anelare dolci finzioni,
nelle notti insonni,
affacciarsi dei giorni in cui
ci si poteva schiudere
come un fiore…
di plastica, che importa?
Meglio forse questo disordinato fluire
di insignificanti, insignificati,
segni, che porto sulla pelle?
E chi alla sbarra?
Non padri, non madri,
forse pallidi tubercolotici?
O il mio spesso cuore?
Foss’almeno la Verità…
È soltanto la verità…
E t’assicuro, non biasimo il tuo non dire,
lo intuisco nei sorrisi,
lo leggo nei tuoi occhi, nei tuoi gesti,
ma non lo biasimo,
ma non ti biasimo,
piuttosto ti amo,
piuttosto vorrei che mi amassi…
però, ti prego, non urlare!

Abbozzo di difesa
A ciascuno il suo,
par che dica,
mentre precisa assesta
colpi di mazza…
non provare ad eccepire,
aumenterà la dose,
piuttosto,
scivola leggero
sul filo dell’acqua,
fingi di non sudare,
saluta educatamente…
su…saluta con la manina…

Cos’è?
Non è l’elogio e il plauso,
non coda di pavone,
non è arma d’assalto,
lama per vendicare,
né vile perdonare,
non è lauro appassito,
non è cercar pepite,
non è farsi capire,
è solo leggerezza
che mi viene a cullare.

Quello di cui ho bisogno
C’è bisogno di rivolta,
di profumi che fanno bollire il sangue,
di incendi, canzoni ipnotiche,
di fragranti mattini appena sfornati
e tiepide sere colorate di vino,
d’amache sospese tra dolci parole,
di spiagge e riflessi dorati,
di sguardi che scrutano e fremiti.
C’è bisogno di non riflettersi più
nel blu opaco dei tuoi occhi, specchio falso,
c’è bisogno d’essere sfrattati
dal monolocale ammobiliato del tuo cuore
dove acri si spandono i tuoi incensi tombali
e le pareti grondano malcontento.
C’è urgente bisogno che muoia
quest’angustiante bisogno di te.

106
Lungo il sentiero

le croci del mio calvario
agile ti inerpichi
stambecco mio dolore.

Le ali
E sempre galoppa la tua fantasia,
di getto, felice, se vedi un tramonto
ti sgorgan parole, dolce emorragia,
son tante che quasi non tengo più il conto…
io qui a fronteggiare questa mia afasia,
quei segni feroci che smonto e rimonto…
ti basta una rosa sciupata, mon coeur,
per farti elevare più di Baudelaire.

1
Notte, velluto nero
cani servi latrano il tuo elogio,
ti cantano folli dalle anime petrose.
Io conosco la tua doppiezza,
la slealtà inlatebrata,
indifferente
t’attraverso,integro.
Udrò i tuoi urli di maiale scannato
all’arrivo del non evitabile crepuscolo.

30
Patetico non-poeta,
che depauperi parole,
causa omesse promesse…
Poi pappi pappardelle?!
Pippi le polverine?!
Proponi il prepuzio porpora
a pispole dalle poppe polifemiche?!
Preferiscono protoantropi,
ottuso utopista!
Propugna piuttosto principi,
appari ispido
a porporati e piscopi,
vitupera i privilegi,
disapprova i prezzolati,
deplora i predappini,
apostata all’aposiopesi,
polipo polemico,
patrocina gli oppressi…
proiettile del popolo?
(purtroppo perì il proletariato
tra prodotti d’ipermercato)
Poi appartati in pace,
che pure perdura perpetua,
impura e perduta, lei…
mai t’appronti al pianto
Peter Pepato, patetico,
povero poeta mancato?

Antifona
Bello il parlare suo, ma tenga a mente,
quello che per il divergente vale,
ahimé, non può applicare al convergente,
ché rischia di cadere per le scale.
È dimostrato, oltre che evidente,
che si supererà, quell’animale.
Il limite presunto non è accolto,
perché proprio dal limite è risolto.

Farmacologia
Io non discendo affatto dal gorilla,
son balle quelle dell’evoluzione,
a me m’han fatto tutto con l’argilla,
non c’è stata nessuna selezione,
in me di certo alberga la scintilla
del divino, son frutto di creazione.
(Il medico consiglia in questa fase
almen tre dosi al dì di Serenase)

Imparare il coraggio
C’era l’odore della terra sulle tue mani
E una smorfia di stupore sul tuo viso.
Oltraggio del mondo?
Pure non eri come loro,
affondati nella palude putrescente,
derisi dal destino.
Ti differenziava la levigata scintilla
che illuminava lo sguardo
di non sopprimibile curiosità.
Anch’io non sono come loro,
proni davanti all’illusione,
sciocchi scherani della menzogna.
E ogni sera ti ringrazio,
e sorrido nel rivedere
la tua faccia nel mio specchio.

Contrappasso
Se credi che il cammino tuo sia eterno,
non ti crucciare quando noi burloni
ti bersagliamo con il nostro scherno
come ben sai siamo dei gran buffoni
e finiremo dritti giù all’inferno
dove ci infilzeranno coi forconi.
Per te, lassù, sarà una grande festa
e ci potrai persin sputare in testa.

Distici partigiani.

1
Se piove non sbagliare locuzione,
stavolta ladra lo è l’opposizione.

2
In piazza per difendere il lavoro?
Macché, per le pellicce e i rolex d’oro!

3
Non temer per le tue televisioni,
noi siam gentili, anzi, Gentiloni.

Toh, chi ci rivede!
Ancora credi al torvo comunista?
Egli ha mentito, ed io te lo dimostro:
fu amore e pace l’epoca fascista,
(e Mussolini non fu affatto un mostro),
clima ideale per l’uomo e l’artista,
della censura mai si subì il rostro.
L’Italia era gioconda, ricca e colta
e il buce aveva una gran chioma folta.

La ragion, pure
Già ve lo disse il dotto Emanuele,
certi argomenti è meglio lasciar stare,
labirintico caos, vera Babele,
matasse che non riesci a dipanare.
Di certo ciò vi sembrerà crudele,
quei mari voi volete navigare,
ebbri battelli con le chiome al vento,
pieni d’anima e dio, con sentimento!

Inspiration
Non brontolio molesto
ma miasma che pervade,
silenzioso e immanente
tu rinvii al trascendente,
impeto non eludibile,
più sostanza che forma,
da oscurità dense di significati
promani inarrestabile,
o (af )flato, che ispiri poetesse.

Minimo
Nelle modeste sere
parole da scordare
fastidiose zanzare,
invero menzognere.

Dentro corpi galere
resti di lupanare
stanno a gozzovigliare
senza pena temere.

C’è un orrendo nemico,
al di là dello specchio,
ogni giorno gli dico:

mi disgusti, e parecchio,
a capirti fatico,
crepa orsù, ferrovecchio.

Per strane ispirazioni
E alla signora bionda(notevole)
Che(gesticolando) esibiva concetti
Ho detto(tanto per dire)(che)
Per risalire bisogna precipitare
E facezie simili(col mio sorriso)
E più in basso si va meglio è
Che a lei(per strane associazioni)
Ha ricordato il sacrificio pasquale
(l’uovo divino la sacra colomba glassata)
E si è attardata(intellettualmente) a considerare
La(non necessaria) necessità
della ricerca del trascendente
(Mentre nell’aria si spandeva
il suo odore di femmina)
E le labbra(rosse e gonfie)
Hanno proferito le parole indimostrabili
Fino a scivolare(inevitabilmente)
A dir del Colui(accavallando le gambe)
Associato(ad demonstrandum)
A certi tenui(pastello) tramonti
Al che io(senza pudore) ho detto
Che in certe albe(per differenziarmi)
Ma solo in certe(radiose)
Ci si sentiva(con che faccia!)
Davvero pieni del(suddetto) Colui
(pensando ad altre pienezze)
E ai maestri che disapprovavano
Ho chiesto perdono indicando
Con gesto contrito
La frazione d’infinito
Che la signora custodiva
Tra le cosce mistiche.

La sacra famiglia
Uggiolan come cani bastonati
Ché l’orco negator di teofanie
Iscrisse le lor piatte litanie
Un po’ più in basso dei più bassi flati

Siam strapoeti, autodecorati
Siam le sorgenti, siam le epifanie
Come permetter certe villanie?
Han detto in coro, da ego immenso orbati

La critica è feconda e meritoria
Il falso elogio sempre tarpa l’ali
Non ricusar la mano ammonitoria

Giovati senza tema dei suoi strali
E rendi finalmente all’orco gloria;
Romba il suo nome lungo le iniziali

66
Com’è che non lo vedo?

Tu dici è dappertutto,
nel nascere, nel lutto,
sta pure dove siedo.

E perché non lo vedo?
Tu dici a ciglio asciutto
Che ho il cuore troppo brutto
Son vizioso, non credo.

Ma non fu certo il vizio,
come incauto presumi,
che mi portò al giudizio

furon dolci profumi
che sparse qualche tizio
nel secolo dei lumi.

19
Com’è turpe il mio amare,

velenoso e sibilante,
che vaga come lupo famelico
nelle notti ordite dal dio caustico
Com’è turpe il mio amare,
che dileggia morali e
dirompe dagli argini,
che si beffa di me
e del mio edificante balbettio,
e delittuoso scruta
le carni dolenti e gonfie
Com’è turpe il mio amare,
che io volevo puro
e ridacchia volgare,
che volevo lucente
e risiede nel buio
Com’è turpe il mio amare,
che viltà non conosce
e desidera folle
che si erge furioso
e dilacera, avvampa
Com’è turpe il mio amare,
che mi guarda dal basso
e mi invita ad agire,
nel suo eterno presente,
con un gesto animale.
Com’è turpe il mio amare,
a cui saprò somigliare.

Necrologio
amico, dolce amico,
amico, amico antico,
vorresti tu schiantarti,
ché io possa ricordarti?

Se sfondi un parapetto
Ti dedico un sonetto,
muori di malattia?
Ti becchi un‘elegia!

Possa io dal tuo decesso
Trar parole in eccesso,
parole appiccicose,
retoriche e ampollose

son certo la tua morte
dischiuderà le porte
a metafore ardite,
di cordoglio condite

penso che il grave lutto
M’ispirerà di brutto,
tu dritto giù all’inferno,
i miei versi ab aeterno.

amico non temere
è come un gran cadere,
o forse un declinare,
chissà...precipitare

amico, che odo dire?
Che tu non vuoi morire
Che di versi scipiti
Ce ne sono infiniti

Che se anche dovessi
Non vuoi dei versi fessi
Ma solo un fragoroso
Silenzio decoroso

Di certe ipotetiche lune
Distratta,tra avvocati
e grigiore balneare,
il sorriso di carta.
Ha deflagrato tra le nuvole bolse
una luna di folle bagliore
crudele t’ha morso
il ricordo di colui
che faceva le tue sere.
Invasa da barbara malinconia,
inautentica anch’essa.

18
Poco da declamare, ormai,

cammina accanto al muro, saluta educatamente,
scusate sono stanco, dillo, è facile;
potrà sembrarti che si stiano inabissando,
e forse stanno davvero affondando,
ma se avrai pazienza li vedrai divertirsi da matti.
Sul fondo.

Certe le fanno a dismisura
Madri di burro le forgiano d’angoscia
E poi urla il vuoto
E il buio mai così buio
Aggredisce e offende
Ma tu rifiuta la croce
Tu, impassibile, guarda.

Eri sangue e labbra smodate
Il sorriso assente e le ali spezzate
Un prodotto perfetto di pura ansia
E i miei fraintendimenti, i miei travisamenti.
Fra rovi indistricabili.


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