Poesie di Emiliano Laurenzi


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Randevouz all'inferno - 19/07/2009
Ridatemi la furia delle mie lame
ridatemi il sangue negli occhi
che brucia che infiamma
che duole e canta canzoni di guerra,
ridatemi le braccia per la lotta
le mani per colpire e strappare
i denti per mordere
e gambe per prendere a calci,
il respiro di ringhio
e lo sguardo dove svapora la brina e s'asciugano i baci.

Ridatemi la rabbia e l'odio
ridatemi la notte del mio sguardo
ridatemi la strada che accoglie l'esercito di scorpioni che mi marcia nel sangue
che mi avvelena le vene,
e sbriciola le ore.

Ridatemi il sudore che profuma d'adrenalina
ridatemi le notti negre
ridatemi l'hasish marocchino
ridatemi il caravanserraglio dei miei mostri
dei miei nemici
dei miei fantasmi,
dei miei fratelli di sventura.

Ridatemi il cielo di scaglie
il fiele delle parole,
il disprezzo dell'amore.

Ridatemi un corpo da picchiatore
ridatemi le poesie fiorite come filo spinato sulle mie labbra
ridatemi la diffidenza del randagio
il sesso fatto per spezzare.

Ridatemi i demoni che sgorgavano dai miei occhi
i retrobottega del crimine
la musica che mi spappolava la pelle
l'abbandono alla vita,
la carne viva.

Dove siete anni senza pietà,
dove siete corpi in contanti,
dove siete droghe sorelle,
dove siete musiche di perdono,
dove siete sguardi d'urto,
dove siete giorni in bilico tra le divise,
dove siete volute di fumo che carezzavate la mio presente che non conosceva futuro?

Cavalco una nostalgia di ruggine che cigola in gola
che inceppa il sorgere del sole,
scheletro del mio stesso disastro
che galoppa sugli occhi del presente.

Dalla pelle del serpente è sgusciato fuori l'agnello,
ma alle spalle dell'alba s'appresta un randevouz all'inferno.

Una valigia di velluto blu
- Dedicata a Cecilia -

Ho chiuso il mio passato ed il mio futuro
in una valigia di velluto blu.
Quando la apro esce musica e fumo
e stridore di binari,
esce la treccia nera d'una zingara
e l'odore dell'aria aperta
delle vite in viaggio
lungo i giorni ed i mesi,
e volti di persone.

Come una carezza nel buio
si apre al mattino il canto del gallo
e mentre guardo l'orizzonte
casa mia è dove sorge il sole,
casa mia sono i fuochi lungo le strade
le facce sconosciute
le distese d'asfalto frustate dai fari.

Come una carezza nel buio
s'accende un altro fiammifero
per un'altra sigaretta ricevuta
e mio fratello è il suonatore ladro
e lo straniero con gli occhi infilzati sul viso.

La valigia del mio passato e del mio futuro
è sul treno
e sulla nave
e sull'aereo
e in macchine sgangherate.

Dentro al palmo d'una carezza di velluto
ci sono rose e schegge,
c'è l'abbraccio puzzolente d'un lavapiatti
e le parole liberate come piume d'uccelli
sotto il cielo che tutti copre
con il sole e con la pioggia,
il cielo nero della notte
dove però risplendono stelle
e dove in fiumi di birra e danze
e truffe amori pugni e fame
scorre impetuosa la carne che siamo.

Ho chiuso in una valigia di velluto blu
ricordi e speranze
illusioni e rimpianti
e galleggia lenta sul fiume
ed accelera e con la corrente balla.

Come una carezza di notte
e come lo squillo della tromba
dentro c'è il vento
e quel respiro che traggo
e che mi stacca dall'attesa
mi strappa al calendario
ed a piene mani in faccia mi getta
carezze e baci il taglio della solitudine
e il muso d'un gatto
l'odore del sudore
i volti educati dei clienti d'albergo
e l'alito di cipolla.

Fiorisce d'abbandono la valigia blu
del mio passato e del mio futuro,
ma allora la apro e ci verso il vino
ci verso le notti insonni
e poi a tutti l'offro in cambio di nulla
e del presente vivo,
del viaggio che apre le scarpe,
del lavoro che spella le mani,
dell'amore rubato e conquistato.

Poi riemerge il basso ed il suono caldo
del suo corpo di legno,
riemerge la passeggiata del respiro
sulla tastiera d'ebano e d'avorio
ed il velluto annega nell'inchiostro blu delle lettere,
anche se ormai sono di chiunque
come la terra sotto i piedi e l'aria che respiro.

Gonfia la luna il mare nella mia valigia
e se l'ascolti ci senti lo sciabordio lento
e l'acciottolio minuto dei granchi sulla sabbia.
Ci trovi onde e conchiglie
sul fondo del futuro e nel cielo del passato
che insieme stanno e scompaiono.

Ad ogni risveglio tolgo un ricordo
dalla mia valigia
e ad ogni sogno ce ne aggiungo un altro,
ma tutto il mio bagaglio
sono voci lontane,
emozioni sciolte come neve
e l'odore dei pini che apre la calura
ad un alito di miele.

Di nuovo chiudo ed apro la mia valigia di velluto blu
al convergere di due fiumi
quando quel che lascio prosegue
e ciò che incontro mi lascia,
bagnato dalla sorte
ad ascoltare questa musica e queste persone,
la folla ignara e gli estranei
che abitano la mia casa
costruita senza luoghi,
senza i rami secchi dei nomi.

Mi sale dal sangue al cuore
una piena di malinconia agra:
batto il piede e faccio la faccia feroce,
ma è tempo che io richiuda la valigia
o mi ci sieda sopra,
per ricominciare a viaggiare
e riaprire le pagine bianche
di questo presente.   

I miei passi
I miei passi sono alberi abbandonati
e le mie braccia foglie d'autunno
che la stagione fa cadere
nell'abbraccio e nell'abbandono.

Ho sulle labbra che sognano labbra
una crosta di parole
il discorso del mitile
ed il sapore del pinolo nel buio della pigna.

Matura miele e sole nel sangue
che ad onde s'infrange sulle pareti di fibra del mio cuore,
ma l'asfalto fascia il mio respiro,
e nella carne porto tondelli d'acciaio
e scorie ed immondizia
nel mio sguardo di canto e ringhio.

Le luci della notte allevano rovi di desiderio
e si slogano i miei pensieri,
fiorisce rosso e nero lo spezzarsi dei rami.

Apro il petto del mio nome
lo sputo, l'abbaio, lo getto altrove.

Così bevo perchè le onde del mare anneghino le mie parole.

Così mi strappo dalla lingua i ricordi
e stupro l'illusione
sbatto al muro la mia faccia di luna,
frantumo in polvere la volontà
la speranza,
la necessità dell'ordine delle ore e delle cose.

Mangio con l'estraneo
bacio il barbone
ed alla stessa bottiglia
inghiotto con te
che non so chi sei
un alcool qualsiasi a disposizione.

In dadi da gioco
butto il mio corpo dove cade.

Però infitte fin sotto la mente
sanguinano e bruciano di buio
le spighe di grano
del mio pane,
il raccolto immangiabile dell'abuso
il gelo che uccide il sorriso,
la sciatteria dell'amore familiare.

Fiorisco d'abbandono nei passi e nel vento
quando sorge il sole dopo la partenza
e la nebbia delle sensazioni
mi lascia in bocca il sapore dell'uva.

Una nuvola di fumo si tuffa nei miei polmoni
mentre aspiro, respiro
e porto fuoco e cenere in me,
porto la rabbia e la distruzione
e petali e terra
fatti di fango e colore.

A piene mani
A piene mani ti porto
l'acqua che sgorga
dal palmo aperto dei miei pensieri
che sanno di becco e d'ala,

ti porto golfi di petali
e le anche delle stelle
che ammiccano molteplici
al tuo bacino d'anguille.

Vestiti ora del canto dei grilli
e del soffio stanco
del vento di ponente
e spogliati in succo di more
mentre a baci ti distendo
sul letto delle ore
ed in te m'invischio.

A piene mani ti porto
grappoli di sole e luna:
brucia il tuo sangue
in arazzi tessuti di desiderio,
in drappi di pelle
dove a raggi in circolo
si allargano le cellule;

scheggia di specchio il mio sguardo
che gela nella tua lontananza
e si crepa in trasparenza
dentro l'occhio bianco
in cui ti muovi galleggiando
mentre avido ti bevo
e ringhio al cielo.

A piene mani ti porto in polvere
la coda del drago
ed il suo dente d'incanto
che schiudono il tuo seno
dove m'inoltro al fondo
come lava che scorre e geme
sotto la roccia nera,

ti porto sudore ed ansimare
della caccia mortale
ed il gorgo vorticoso
in cui mi si sciolgono le mani.

Mi squarta l'animale che urla nelle vene
mi si tuffa in gola
mi strappa dai fianchi la torre
e mi torce in tentacoli le braccia,
mi si fa di cane il respiro
il cuore di cavallo
e puzzo di cinghiale
mentre la gabbia del petto s'apre
e volano in te piumaggi di canto
che s'abbeverano del mio sangue
dove alla tua sorgente
te ne porto a mani bocca e reni.

Claro hombre? -
- dedicata a Cecilia -

Fra i seni della notte
io cerco una rosa ed una spina:
io sono curioso.

Un vento di sabbia mi morde gli occhi
e la mano della paura mi fruga il sangue:
ma io non mi arrendo.

Senza rumore cadde il cielo
e nel mattino io comunque mi dovevo alzare;
da un dolore senza nome
è cresciuto nel mio respiro un cristallo:
ed io spero.

Sferzato dalla solitudine
come un relitto in alto mare,
acqua fredda e sapone:
io sotto la doccia canto.

Quando al posto delle vene
mi bevono il respiro le strade
e chilometri fioriscono
nelle ore della mia solitudine:
io in macchina canticchio.

Apro gli occhi e scopro che respiro ancora,
ancora sono vivo ed è caldo il mio respiro;
sorprendo sotto la mia pelle l'emozione
ed il pensiero che s'inclina
come una spiga al vento.
Ed allora sì che io mi meraviglio.

Quando danzo ai margini
e ritaglio pezzi di sogno
affrancati e liberi d'essere gettati,
quando faccio monili di parole
e lascio le parole nel silenzio fra le stelle,
quando guardo altrove e sto zitto
ed inghiotto il fuoco che mi brucia,
io non distruggo un entusiasmo.

Questo chi è se non un uomo?
È chiaro, dirai.
E non privo di poesia.

Ma forse il mio tesoro non sono che parole,
la mia forza solo rabbia feroce,
il mio canto solo un sospiro sotto il peso dell'odio,
il mio stupore solo un sussulto di vita,
la mia speranza nient'altro che dolore,
la mia curiosità nient'altro che disperazione,
e l'entusiasmo un vento che rinfresca l'inferno delle mie ore,
forse.

Ma questo in fondo chi è se non un uomo?
È chiaro, dirai.
E non privo di poesia.

Eppure io vorrei solo chiudere gli occhi
e farmi coprire dalle carezze d'un manto di foglie dorate.    

Sbocciano fiori di pietra alle mie dita
Sbocciano fiori di pietra alle mie dita
mentre con lo sguardo bevo il cielo che mi nutre
con voli di tulipani
e distese di grano
che allargano i miei polmoni in campi di carne.

Busso alle porte del tuo segreto
con rintocchi di campana
e grida di cornacchia
e scheggio le mie unghie sulla corteccia.

Ho piedi marini e braccia come sentieri
mentre i miei capelli stormiscono alle cime degli alberi
ed il mio viso si scioglie
nella corrente dei fiumi.

La luce del sole nutre la mia pelle
dove riposa ancora latte di stelle
ed il sospiro della notte
che tutto trova e tutto perde.

Busso alle porte del tuo segreto
con rintocchi di campana
e grida di cornacchia
e scheggio le mie unghie sulla corteccia.

Esploro il tuo viso nel riflesso delle foglie
ed ascolto la tua voce nella caduta del sasso sul fondale;
così catturo un volo di polline
per fartene collane e bracciali
ed incendio cataste di fiori per vestirti di fumo.

Nella radice dell'occhio vive la tua presenza
e nel cavo delle mani mi riscalda la tua assenza:
mi siedo sulla terra e bevo il tuo segreto
fatto di pietre e grano.

Sfrigolano le stelle
Sfrigolano le stelle sul pane fresco delle mie ore
mentre in onde il grano
m'affoga di cielo
e fiorisco nel volo degli uccelli
parlando con l'eco
gridando vallate
frantumandomi il volto
nella danza sincopata dei semafori metropolitani.

Un miglio d'oro mi legge la carne
misurando in numeri vuoti
la corsa del mio respiro
la danza stanca del mio sguardo
e nella coppa delle mani
si versa la notte che bevo
come un'acqua d'oblio.

Si schiude la mia bocca in petali al mattino.

Sul duplice urto del giorno e della notte
mi scorre nelle vene l'acqua del mare,
ed i miei sogni sono ali di corallo
correnti d'alghe
ed il gracidare delle rane.

Piove nella mia bocca
-dedicata a Cecilia -

Piove nella mia bocca
dove si raccoglie il salto delle rane
ed il morbido riflesso
che ammicca l'acqua al sole.

Gorgoglia il sangue nella mia gola
con la voce della marea
che parla alla luna
e carezza la terra.

Sulla pelle si rapprende la luce del giorno
mentre i sogni se ne vanno in schiuma di birra
e la notte gioca con le ore
una partita senza fine
in cui la posta altrui è il mio cuore.

Prendo una paglia fra i tulipani
ed a sorte con la sorte
baratto immagini e parole
con manciate di fango
e polvere di corallo;

si schiude la stagione nei miei occhi
così che vedo unito al frutto
l'occhio opaco dell'annegato,
ed uno viene dalla radice
e l'altro fasciato di piume
galleggia cullato nel volo dei gabbiani.

Si sgranano in sabbia le mie ossa
mentre le vene si radicano nella carne fatta di terre
e come petali dai rami
si staccano parole dalle mie mani:
il vento le porta mentre si mostrano e tacciono.

Ho perso il mio respiro
Ho perso il mio respiro in tormente di rabbia
quando i rami dei miei occhi
esplodevano in crepe
e lasciavo lividi sul cielo
mentre le mie labbra diventavano una cicatrice di silenzio.

Le mie dita scavavano il nulla della disperazione
e la mia lingua frustava le ore
con parole d'odio e rancore
mentre a fiato a fiato
soffocavo il mio futuro
e del presente facevo una distesa di cenere.

Il mio respiro è oggi muto
ed i miei occhi al fondo trasognano la luna;
le mie mani violente raspano la terra dell'abbandono
e la mia lingua inghiotte
e fatica a formare parole.

L'incantesimo di una rosa di sangue e cielo m'imprigiona
e perde petali ad ogni volta di stagione.
Chi affonderà le mani e la bocca nella mia carne corrotta
per strapparmi d'angoscia
e dare un corpo al sangue ed un tempo al cielo?   

Chi vive e sogna...
(ispirata a "Nelle piccole torri orecchi odono" di Dylan Thomas)
- dedicata a Cecilia -

Chi vive e sogna e spera là
oltre l'occhio che scruta
le mie mani che indagano il segreto
di queste mute torri
abitate di domande?
Ancora una volta dovrò seguire il vento,
sposare i miei piedi
con le stagioni degli zingari,
o busserò all'accorto silenzio
di quella porta che mi guarda?

Approdo incalzato dalle stelle
a questa silenziosa pace di terra
sotto uno sguardo d'altrove
sferzato da un vento senza pensieri.
Non il fuoco di un assedio
né il grido dei delfini
muovono le sue distese quiete.

Approdo lentamente a questa terra
dove nell'aria vive un ascolto;
il tuffo dell'ancora si anima
nelle pupille la luce tremula
di chi si domanda il dono ed il destino
che muove il mio scafo.
Nel naso e nelle orecchie
ancora le onde animate di iodio e sale,
sento vibrare sulle mie mani
l'attesa e la paura
di chi da quelle torri scruta.

Cosa mi attende ora
io che senza meta
baratto vela e spada
per un benvenuto di braccia
ed una voce nuova?   

Una voce di glicine e cotone
Una voce di glicine e cotone
sfiora il mio respiro
con volute di fumo blu
e carezze d'ala sospese.

Si scioglie in pietra lavata la mia pelle
e gli occhi s'allagano di notte
quando come lucciole risplende il mio respiro
che s'illumina a tratti di stupore
e silenzioso ricade sul petto fresco delle ore.

S'apre in gola l'abbraccio caldo dell'alcol
che porta il raggio del sole nel labirinto del polmone
dove si lega e si scioglie
la mossa della lingua che forma le parole.

Una voce di glicine e cotone
sfiora il mio respiro
con volute di fumo blu
e carezze d'ala sospese.

S'adagia una coltre di petali viola
nel cavo silenzioso ed ospitale
dove gorgoglia il sangue,
dove un palmo di terra rubato al deserto
è fatto di lacrime e cura.

Al margine mi nascondo dietro le foglie
e nel dorso buio della corteccia
chiudo nel palmo delle mani il mio sguardo
come un uccello ferito.

Una voce di glicine e cotone
sfiora il mio respiro
con volute di fumo blu
e carezze d'ala sospese.

Trascorre la tua presenza come l'eco del ruscello
che s'accompagna di fronde cantate dal vento
e dello schiocco delle rocce mosse
dalla corsa trasparente
mossa nei tuoi capelli d'onde.

Allungo una mano e le mie dita si fanno d'alga
nel riflesso sull'acqua il braccio si muta in scaglia
mentre mi si schiudono le mani
ed il mio sguardo si raggruma in perle
che scivolano dentro la corrente.

Una voce d'ala sospesa
m'entra fra le costole
e mi sfiora il respiro
con carezze di glicine e cotone
ad addormentarmi le ossa ed i dolori
cullandomi in volute di fumo blu.   

 

Arde il mio respiro
Arde il mio respiro
e senza fuoco manda in cenere le stelle
ed in fumo i petali di rosa.

Arde il mio respiro
e nutre la lama del mio furore,
le asciuga il filo
e come acqua chiede sangue e vendetta
chiede dolore e distruzione.

Ed io mi chino al nero futuro
al presente che sa di niente,
mi piego al male
all'odio vendo le mie vene
i miei occhi dove s'asciuga il miele
dove riverbera la mancanza
e la tenace disperazione.

Figlio del rifiuto
non temo la fame
non il cielo
nè disprezzo, solitudine,
e rido dell'amore e del denaro.

Estendo il deserto nel mio petto
ed allevo scorpioni a custodire ed uccidere il mio cuore.

Perchè a tutti è concesso stare, andare, passare, tornare e partire.


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