Poesie di Paolo Ghelardini


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Non
Non con le pietre si sfalda
la corazza del castagno.

Non nelle conchiglie si ascolta
la voce del mare.

Non sulle guance scende
la lacrima del cieco.

Ali di vento
Guarda un'ala di vento
che si posa sul lungomare.
Ha dato respiro a molti animi stanchi,
a molti sguardi arrossati.
L'orizzonte tuo s'appanna e restringe
ad ogni ora dei pàlpiti ridenti
di tua vita fresca e generosa.

Sì, la tua vita vale come
un infinito giorno
di bianca passione
e schietti ricordi d'amore;
la tua vita spira e vola così
come l'aria che accarezza le pietre
ancora stanche di tante
affannate burrasche d'inverno.

Come un abisso di veritieri istanti
vola e spira come il vento
che sbianca stamane la marina
quel tuo soffio di vita
gentile.

Sobborgo
Quelle povere case
malate d'inedia
per tutti i giorni
vissuti a soffrire
tacendo.
E i tavoli attaccati
dall'unto
delle minestre stantìe
sospese
come fogli di giornale
scoloriti
sotto le mani molli
piagate
dei vecchi rapiti
dal sonno della vita.
Anche domani martirio
quei muri
strappati al fango
delle guerre
vedranno senza sapere
"quando".

Insofferenza
Un po' d'orizzonte
ha sbattuto sopra
la ringhiera di ferro.
E s'è spezzato
con un suono attonito.
Come di mille bastoni
come di mille sbarre
sopra le sbarre
d'una nera prigione.
E tutti i frammenti
di cielo e d'aria
di spazio e di tempo
di morte e d'amore
di vita e gioia
di luce
luce soffusa
luce opaca
luce che graffia
luce che assale
luce che sferza
che stride
che uccide
divide
l'anima mia assorbe.

Dopo la neve
"Scende la sera; ancora ci lasciate

o immagini care della terra..."
Salvatore Quasimodo

...E senza abbandonarle così
fradice e sole
le mie glorie come le foglie
son cadute.
E uno spacco immenso
concesso dalle nubi alla quiete
inattesa del mezzogiorno
ci ha seguito da presso
senza avere pietà
delle lagrime dolci
degli umidi passi di morti
lasciati a dormire.

Che si lascino piegare e correre
tra una sponda e l'altra
del fiume senza ritorno
le canne della vita umana
adesso.
Che si plachi una voce almeno
fra le tante che non hanno un suono.
Che rimanga la Parola.

Il peccato quotidiano
Trasmetteremo ai tempi
alle ore future
tutti quei margini sudici
e volgari di pergamena sbiadita
e i muscoli infiacchiti
delle statue e le strade
pietrificate
fossili sotto ad ogni passo
funesto e nero
anche se non sopravviveranno
che le esauste piattaforme
ormai ridotte a scheletri
sordomuti
condannate ad ascoltar
ciecamente
per non aver potuto mai capire
per non aver saputo mai vedere
per non aver voluto mai sentire?
Non si è mai andati oltre.

Nomi sporchi
Nomi sporchi
sulla faccia inquieta
del mio paese
già affondato
nell'aria magra
di anni vigliacchi
e insulsi.

Nomi sporchi
sui muri
delle case vecchie
dietro ogni angolo
colmo di polvere
bocche di fame
ogni pietra rotta
dalla guerra
e l'ipocrito risonar
della preghiera
prostituita
agli inni di comando
rimbombanti contro
i cancelli arrugginiti
delle prigioni
e lampioni scoperchiati
dalle granate nel fumo.

Mai più nomi sporchi
sul volto amaro
dei pensieri audaci
della gioventù
che ancora non impara
a credere
nell'esistenza.

Solo fiducia in un foglio
e in una penna bianca
come il volare
d'un gabbiano cieco.

Mai più nomi sporchi
domani.

Parola
Vivida e feroce
Azzurra rorida e salmastra
Attonita calda e rappresa
O tu
O mia parola
Per averti cambiai la voce.
E l'idea che scorreva ruvida
Tra le sfumate ansie
Di trovarti
Linfa pura
Nelle impressioni nascoste
Mi si celava attenta.
Ho tutto provato
E l'odio è sconfinato
Nel terrore di non averti,
Parola.

Fatale momento
Fatale momento di decisione
È il muovere il passo sulla pietra che si è scelta.
Non c'è bisogno dello scopo
Né del perché di un atto
Che poteva avere lo stesso contorno
Impresso in uno specchio
Lucido.
Immagine rovesciata.

Dopo la neve
"Scende la sera: ancora ci lasciate o immagini care della terra..."
S. Quasimodo

E senza abbandonarle così
fradicie e sole
le mie glorie
come le foglie son cadute.
E uno squarcio immenso
concesso dalle nubi alla quiete
inattesa del mezzogiorno
ci ha seguito da presso, senza avere pietà
delle lagrime dolci,
degli umidi passi di morti
lasciati a dormire.
Che si lascino piegare e piegare
tra una sponda e l'altra
le canne della vita umana adesso.
Che si plachi una voce almeno
fra le tante che non hanno
un suono.

A cavallo del sogno
Una volta ebbi una donna.
Una volta "avevo" una donna.
Vecchia bambina lei.
Vecchio bambino io.
Era cara in amore,
così nella paziente attesa
d'un bacio che ha timore.
Il primo.
Poi venne l'ultimo.
Ma prima di giunger funesto
ai nostri due animi ignari
e innocenti
tanto abbiamo sofferto e amato.
M'è gradito ora pensare
ai momenti brevi
in cui si ragionava assieme.
Ed io con lei parlavo di me,
e lei con me parlava nel buio
di tutto il mondo attorno,
e parlavamo insieme
al mondo che non ci capiva.
E si rideva.
E si piangeva.
L'ho vista piangere un giorno.
Piansi anch'io di nascosto.
Però adesso
non la vedrei piangere ancora
d'amore per me.
Chè ogni cosa bella è finita.
E s'è seccata l'erba odorosa
del fieno che accolse
le candide gambe di lei
a cavallo del sogno.

È stato un canto
Se n'è andato l'amore
come il tocco d'una magia
e pur ti resta nell'ansia
di quel ricordo vano
il pensiero d'una bugia
che un giorno lontano
sentisti dir da me.
Ancora il passato
mi vive nel cuore
e lo copre d'un manto.
Non basta il dolore
a far dimenticare
quello ch'è stato,
quel che, lo sai,
non fu mai un vanto.
Che cos'è la malinconia
se non l'amarezza
d'un sogno tradito,
se non la malìa
della nuova conquista
per l'animo tuo
di quel fiore appassito
che è l'illusione?
È vagabonda la passione.
Ricorri al tuo pianto
per sedare tristezza
e quietare la voce
che con rara dolcezza
ancora rammenta
quello che ha dato.
Quel che, lo sai,
è stato un canto.

Solo per te
Guardavo stanotte rapito e un po' tonto
la forcella tra il Monte Nudo e il San Martino
là dove sorge il borgo di Arcumeggia
che ci ha visto quel giorno al tramonto
di un amore fragile come una scheggia
e che forma la "V" di Valentina.
E allora io col cuore in tumulto
trattenendo le parole fra i denti
son corso a casa a perdifiato
t'ho cercata tra le cose e le pareti
nell'aria e negli odori ormai spenti
alla luce del mio lampadario malato
come il solito rito, il solito culto
nel trambusto di pensieri stridenti
tra gli incensi accesi dei miei ricordi.
E lì t'ho trovata ancora una volta
nella poesia assetata dell'amore spietato
Quello che dà la febbre e ti stordisce
che ti ammala e ti rivolta
che ti uccide o ti guarisce.

A Valentina
Le stelle
sono capocchie di spilli
appuntati
sul gomitolo di lana
del mio amore
per te.

Aforisma
Non seguire mai
i passi di un egoista
anche se lo credi
amico.
Giorno dopo giorno,
anno dopo anno,
ti porterà fino
all'abisso.
Ma quando tu ne sarai
sull'orlo,
egli si scanserà
lasciandoti andare avanti. 

La fantasia
Gioca a inventarti le nuvole
come cavalli che solo tu sai domare
per portarti al traguardo del sole.
Gioca a inventarti un forziere
pieno di gemme d'oro e d'argento
che un pirata sconfitto ha perduto.
Gioca a inventarti una strada
in salita che porta a nessuna cima
dove giace la culla del tempo.
Gioca a scendere in un pozzo buio
per trovare il giardino della tua isola
dimenticata dai tutti i libri del mondo.
Gioca a inventarti una canzone
fatta dalle note scordate di una chitarra
che non hai mai imparato a suonare.
Gioca a inventarti un fiume
che scorre dalla foce alla sorgente
e trascina la barchetta di carta della vita.
Gioca a inventarti un amico
che ti cerca solo per sapere se stai bene
e ascolta i tuoi lamenti perduti.
Gioca a inventarti un amore
che ti scalda le mani come un guanto
e ti rinfresca con il respiro dell'anima.
Gioca a inventarti un mondo fanciullo
dove gli eroi di cartone sono i maestri
che non ti mettono mai in castigo.
Gioca con la fantasia,
dall'alba al tramonto
fino alla fine del tuo inverno.
La fantasia ti salva la vita.
9 febbraio 2008

Avrai sempre
Potrai non avere
sassi da calpestare sulla strada di casa
e non sentire
l'odore dell'erba bagnata dopo un temporale.
Potrai non vedere
le nuvole strappate nel cielo che ti ride in faccia
quando scende la sera e ti senti male.
Potrai non capire
le voci della gente che sorride senza sapere
che le parole non restano a lungo in mano
e una folata di brezza presto le porta via.
Potrai non trovare
un posto dove sederti a guardare le foglie morte
con gli occhi persi nelle rughe dell’albero.
Potrai non andare
nel posto che i tuoi sogni hanno inventato
all'alba di un risveglio graffiato dalla noia.
Potrai non sentire
il silenzio dei suoni che il cuore s'inventa
per accenderti dentro una musica nuova.
Potrai non trovare
le cose abbandonate tra le righe di un quaderno
che ha perso nel vento tutte le pagine.
Potrai non pensare
di avere la sete che asciuga la bocca priva di baci
e di provare la fame che fa sentire nudi i gabbiani
quando volano sul mare nella bufera.
Potrai non piangere
davanti ai sorrisi pietosi di chi non piange mai
e sorridere davanti alle lacrime
di chi non ha mai sorriso.
Potrai correre avanti
Potrai tornare indietro.
Potrai restare e parlare allo specchio
guardando il tuo viso
che interroga gli occhi colmi di domande.
Potrai annuire a chi non vuole diventare vecchio.
Potrai negare a chi non sa di essere un bambino.
Potrai avere sentire vedere capire trovare pensare ridere piangere…
Ma avrai sempre nello zaino
che ti porti addosso sulle spalle
pesante e leggero,
acceso e spento,
sano e malato
muto e ciarliero
il mio pensiero.
S. Valentino 2008

L'uccellino
Hanno preso un uccellino dal ramo
per usarlo come un passatempo
perchè gliel'aveva mandato il dio Mercurio.
Lo hanno chiuso in una gabbia
e gli hanno dato da mangiare
a poco a poco strappandogli via le penne
per tenerle come un trofeo in un libro
e poi stare lì a guardarlo spoglio
mentre gli ricrescevano le piume
come se fosse un trovatello adottato
per pietà a compensare i loro difetti umani.
Hanno cresciuto l'uccellino affidandosi al caso
dimenticandosi che era creatura viva
che stava costretta in una gabbia
E quando l'hanno lasciata aperta
lui se n'è volato via a vedere
com'era strano il mondo di fuori.
Quando è tornato l'hanno guardato male
l'hanno accusato di aver preteso la libertà
dono di loro esclusiva competenza
e l'hanno fatto ammalare
l'hanno fatto sentire colpevole
di abbandono della vita che gli avevano dato
per opportunità e per sentirsi grandi
sentirsi genitori, sentirsi padroni assoluti
ai quali si deve riconoscenza
si deve il sorriso e il pianto,
il giaciglio e un pasto caldo.
L'uccellino mortificato e deluso
ha trovato di nuovo la via di fuga
ammaliato da un suo simile disperato e solo
e insieme hanno volato per un po'
inventandosi una felicità che non c'era mai stata
un'illusione famelica che li ha stancati
per il lungo volo assieme senza avere la forza nelle ali
giovani lei vecchie lui ma insieme vigorose e ardite
alimentate dalla speranza di poter andare da soli lontano.
E sono precipitati al suolo stremati, le ali spezzate.
Poveretti e miserabili quelli che hanno mortificato l'uccellino
come una merce da baratto con la ricchezza presunta
di stare in una famiglia grande e unita
illudendolo di avergli dato la felicità,
facendogli credere di essere al sicuro
mentre invece era in pericolo mortale.
Nella loro ottusa insensibiltà e miseria
i genitori putativi dell'uccellino
non hanno mai capito
che quel che davano toglievano
nello stesso momento.
Per loro non faceva molta differenza
lasciarlo morire intirizzito su quel ramo
o farlo struggere dal dolore in un letto caldo.
L'importante era tenerlo in gabbia
facendogli credere che a loro doveva la salvezza.
La gabbia adesso è vuota
la mangiatoia e il beverino sono pieni
per l'uccellino che ritorna ogni tanto
disperatamente ancorato al suo posatoio
e vi becca i semi di panìco
di quella vita che i suoi padroni
non sono stati in grado di dargli
riuscendo solo a nutrirlo di pànico
giorno dopo giorno
anno dopo anno.
L'uccellino è tornato sul ramo della libertà
cinguetta e lancia il suo messaggio
alle nuvole chiedendo loro la pioggia
che lo laverà dalle scorie della compassione
che non dà la vita ma la toglie
che mette al mondo e subito dopo uccide.
E ben presto, riprese le forze, volerà via nell'infinito.  

E mi manchi
Il fiume scivola alla foce
e lascia limo sporco
dove nascono fiori già appassiti.
La barca in secca abbandonata
guarda il mare senza storia
che respira sogni affogati lontani.
Il vento spira e canta gli anni
che sono solo dei momenti
qui davanti.
E mi manchi
Mi manchi
Mi manchi.
Il vecchio tronco marcito scalda
uova piene di canzoni ubriache
che non si sentono più
Il muschio aspetta d'essere strappato
per fare un tappeto di ricordi
asciugati dai giochi ridenti
della tua vecchia gioventù
La foglia secca farà terra
tra un milione d'anni
quando non ci saremo più.
E mi manchi
Mi manchi
Mi manchi
Le scarpe fanno passi
sulle loro ombre bianche
di speranze spazzate via dalla pioggia
che confonde le lacrime sul viso
di un pupazzo rotto buttato via
dal bambino che era nascosto in noi.
Il faro si avvicina
il faro si allontana quando arriva
la burrasca e dondoli sbattuto
nel sonno che ti ammala di pena
tra le coperte dei sogni sbiaditi
dalla paura di non vederlo più.
E mi manchi
Mi manchi
Mi manchi.

Le note di un Capodanno
 
Tanto quanto
 
Tanto quanto
 
l'edera che si attacca alla corteccia del tronco ormai asciutto...
 
Tanto quanto
 
il gattino che fa le fusa nel grembo della padrona distratta...
 
Tanto quanto
 
il cane randagio che scodinzola cercando l'amicizia negli occhi estranei...
 
Tanto quanto
 
l'onda di risacca che scivola sulla battigia lasciando cocci di vetro...
 
Tanto quanto
 
le persiane di un'antica finestra sprangata dai cardini arrugginiti...
 
Tanto quanto
 
le vecchie scarpine divenute strette che non ti stanno più...
 
Tanto quanto
 
la cartolina colorata di una giornata nel sole di un agosto sgraziato...
 
Tanto quanto
 
i calzini di lana consunti che ti hanno scaldato nelle sere d'inverno...
 
Tanto quanto
 
il ventre ospitale del tuo tiepido letto disfatto dalla pena...
 
Tanto quanto
 
la foto sbiadita di una vecchia stazione che non c'è più...
 
Tanto quanto
 
le pellicine mangiate delle tue piccole dita fragili e vaghe...
 
Tanto quanto
 
i delicati nèi coriandoli beffardi della tua pelle profumata...
 
Tanto quanto
 
il saluto del viandante all'ostello che l'ha ospitato una notte di tempesta...
 
Tanto quanto
 
la speranza del naufrago aggrappato al tronco alla deriva...
 
Tanto quanto
 
le strofe di un madrigale cantato da un menestrello stonato...
 
Tanto quanto
 
l'involucro di una caramella che ha addolcito la tua bocca amara...
 
Tanto quanto
 
le tegole rotte del tetto che ti riparano dalla pioggia e dal vento d'autunno...
 
Tanto quanto
 
la foglia secca che giace nel quaderno aspettando d'essere guardata...
 
Tanto quanto
 
le pagine ingiallite di un vecchio diario gremito di pupille svagate...
 
Tanto quanto
 
le spine di una piantina grassa che ti ha punto involontariamente...
 
Tanto quanto
 
la molla rotta di una macchinina di latta che non si carica più...
 
Tanto quanto
 
la cenere di una sigaretta spenta che ti ha rubato un minuto di vita...
 
Tanto quanto
 
la moneta falsa che hai raccolto sul selciato di un tempio crollato...
 
Tanto quanto
 
le nuvole rubiconde che rincorrono il sole stanco al crepuscolo...
 
Tanto quanto
 
la voglia di fragola che marchia la pelle di un bimbo innocente...
 
Tanto quanto
 
il passo di un'ombra che segue la tua figura stagliata sul muro...
 
Tanto quanto
 
il giugno raggiante colora le rose dei perduti giardini di Babilonia...
 
Tanto quanto
 
la vecchia fotografia di un istante felice dimenticata in un cassetto...
 
Tanto quanto
 
la cera squagliata della candela sulla tavola sparecchiata un giorno di festa...
 
Tanto quanto
 
l'erba tagliata di un prato verde che vuol diventare foraggio di un agnello...
 
Tanto quanto
 
lo smalto che dipinge di rosso le tue unghie rosicchiate dal dolore...
 
Tanto quanto
 
la vela di una barca cieca sbattuta dal vento di scirocco...
 
Tanto quanto
 
l'uccellino in gabbia cinguetta all'albero davanti al suo davanzale...
 
Tanto quanto
 
il fumo che si leva dal camino della capanna di una fattucchiera...
 
Tanto quanto
 
la coda staccata di una lucertola che non vuole morire...
 
Tanto quanto
 
il tappetino che accoglie i tuoi piccoli piedi intorpiditi al mattino...
 
Tanto quanto
 
il vagito di un bimbo che piange per sfidare la vita che non conosce...
 
Tanto quanto... e più di tutto questo
così ti ama
PAOLO, il 31 dicembre 2007.

Ho sentito tutto
Sono uscito a guardare la notte.
Ho visto due monti scuri stagliati contro un cielo bislacco.
Una spruzzata di luci di tanti colori accesi nel buio
Come lampadine di una festa finita sotto la pioggia
Il pennacchio di vapore di una ciminiera
La sagoma di un traliccio alto quanto una torre medievale.
Ho sentito tutto.
Ho capito che ci sono cose molto più grandi di noi
Piccolissimi cespugli nascosti nell'ombra della paura.
Ho percorso i sentieri dei monti bruniti senza vento
Ho dato loro un nome mio che non c'è sulle mappe
Ho seguito le orme degli animali in cerca di tepore.
Ho sentito tutto.
Mi sono sentito a casa mia.
Ho guardato al di là di questo disegno sereno
Senza scoppi senza fragore senza freddo senza tempo.
Ho saputo che un altro, altri con la vita chiusa nelle tasche
Stavano guardando le stesse cose, muti, allibiti.
Ho sentito tutto.
Ho capito come ci si perde nel non saper contare
Come i bambini che non sono mai andati a scuola
Uno più uno fa tre, due meno due non fa niente ma più di zero.
Ho sentito tutto
Il peccato di non aver dato voce alla parola che sta nelle radici
Aggrappate alla terra bagnata solo dalle lacrime.
Sotto le scarpe ci sono tragitti che non hai mai percorso
Sono le orme dei passi che hai perduto sognando
Pensando solo a te stesso, alle cose da poco che non sono da poco.
Ho sentito tutto
La sovrumana potenza di questo mondo così nobile e così ignobile
Così genuino e così ingenuo che non ti sta abbastanza nel cuore
Ma troppo stretto nella testa
E straripa come un fiume in piena dal suo letto senza argini forti.
Ho sentito tutto
Guardando al di là di quei crinali ricalcati come carta carbone
Sull'infinito che finisce soltanto dove tu vuoi farlo finire.
Ho sentito tutto
Lo stupore di non aver sentito abbastanza.


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