Racconti di Salvatore Cutrupi


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Leggi le poesie di Salvatore

Conchiglia
Uno è di troppo, l'ho detto e lo ripeto. Avete già capito di chi si tratta, disse il Capo Scout rivolgendosi ai lupetti che lo ascoltavano con attenzione. Lorenzo capiva che quelle parole erano indirizzate a lui ma faceva finta di niente e teneva in mano una foglia come se fosse interessato ad esaminare il picciolo o le nervature. Sapeva di averla fatta grossa a rubare il panino col prosciutto del suo compagno Giulio e anche se era pentito del gesto, ormai non poteva farci nulla. Le regole erano chiare. Giuseppe, il Capo Scout, glielo ricordò e gli disse di cominciare a mettere nello zaino i suoi effetti personali. Poi telefonò ai genitori del ragazzo perché lo venissero a prendere. Subito dopo si rivolse agli altri lupetti dicendo loro di comportarsi bene e di mangiare il meno possibile perché le scorte bastavano ancora solo per un giorno. Erano rimaste soltanto tre mozzarelle, due scatolette di tonno e quattro mele; anche il pane stava finendo. Lorenzo intanto si era appartato. Quando aveva cominciato a fare il boy scout non aveva immaginato di potersi un giorno trovare in un momento così spiacevole e imbarazzante. Oltre alla bussola, lui teneva nello zaino anche una conchiglia che suo nonno gli aveva regalato nel giorno del suo decimo compleanno aggiungendo queste parole: " quando ti allontanerai da casa per qualche tempo, ricorda di portare sempre con te questa conchiglia; se inaspettatamente ti troverai in una situazione difficile, mettila vicino all'orecchio e ascolta il rumore della montagna".


Ombre
Il temporale era finito da qualche ora e la giornata ormai volgeva al bello. I raggi di un sole ritrovato attraversarono la finestra del salotto e sul soffitto si proiettò l'ombra del lampadario in vetro di Murano. Mario rimase molto sorpreso nel vedere che l'immagine riflessa non era quella dei sei bracci e delle foglie soffiate. Sembrava piuttosto la figura di un ciclista che stava per cadere e tentava di aggrapparsi a qualcosa di solido e resistente. Mario fu attratto da quella visione e per un attimo gli venne in mente quando, da giovane in una salita molto ripida si era aggrappato sul retro di un camion pieno di frutta e verdura per rubare dei mandarini, rischiando di fare una brutta caduta. Mentre sorrideva da solo ripensando allo stupore degli amici a cui avevo raccontato l'episodio, un rumore improvviso lo destò da quel piacevole ricordo. Fu sorpreso e nello stesso tempo dispiaciuto, come quando si viene disturbati nel mezzo di un bel sogno o quando un incantesimo si rompe. Un forte vento aveva fatto tremare i vetri della finestra che si era improvvisamente aperta. Erano volati via alcuni fogli di appunti che lui aveva poggiato sul tavolino e anche l'ombra del lampadario sul soffitto di colpo era scomparsa. Non accade solo alle persone di volere andare via-pensò- ma succede anche ai fogli appena scritti e alle ombre quando non hanno nulla a cui aggrapparsi.


Ce la faremo
Non solo soltanto storie goriziane quelle che stiamo vivendo in questa strana primavera. Sono storie che riguardano il mondo intero, storie di solitudine e di dolore. La frenesia che caratterizzava le nostre giornate si è dissolta in un batter d'occhio e adesso siamo intrappolati nei nostri vuoti e nei nostri silenzi. In questo periodo molto delicato per la nostra salute c'è stata la grande esplosione di bontà mostrata in questi tragici momenti dal mondo delle professioni sanitarie, impegno ed abnegazione più volte pagati con la vita. Abbiamo avuto anche il grande aiuto da parte dei volontari della protezione civile, delle forze dell'ordine, degli operai delle filiere alimentari e di tante altre realtà lavorative. In questa specie di deserto surreale abbiamo la fortuna di avere intorno a noi, in questa nostri luoghi, una natura ricca e generosa. E' la terra del Collio, che da San Floriano si estende fino a Cormons e poi fino a Dolegna interessando anche altri piccoli paesi della nostra provincia dove anche in questi giorni particolari i vitigni non sono stati mai abbandonati. Nel periodo del riposo invernale gli agricoltori hanno osservato il respiro delle piante addormentate come fa una mamma quando il suo bimbo dorme nella culla. Adesso, con la nuova primavera e le temperature più miti, i viticoltori fin dal sorgere del sole, senza clamore e con grande passione, si immergono nel proprio lavoro quotidiano per poter "raccontare" un domani le eccellenze del nostro territorio, facendosi così in qualche modo testimoni di questa terra benedetta. Già dal mese di febbraio si è incominciato a potare, a legare le viti, a concimarle dando loro il nutrimento necessario per garantire una buona qualità dei frutti. Il vignaiolo sa come e dove intervenire per potere dare il giusto spazio alle nuove gemme che verranno. Vengono cambiati quei pali marci che non riescono a sostenere la vite, si puliscono le erbacce mentre si guarda con speranza e fiducia all'inizio del ciclo vegetativo che poi in estate darà luogo ai grappoli d'uva e successivamente ai tanti vini speciali come il Friulano, la Ribolla Gialla, il Cabernet Franc, il Merlot ed altri ancora. Forse non ci abbiamo mai pensato ma l'eccellenza dei vini di questo nostro territorio è soprattutto dovuta a questo lavoro preparatorio e quotidiano sempre in simbiosi e in equilibrio perfetto tra quello che ci regala la natura e l'impegno costante e faticoso dei viticoltori. Verranno certamente tempi migliori, NOI CE LA FAREMO, ma dobbiamo capire che è giunto per tutti noi il momento di scegliere, se stare cioè accanto alla natura o perderci per sempre.


Dialogo
La parola magica non funziona più! Forse è mutato qualcosa nel mio modo di fare o di dire. Vedo una certa diffidenza nei miei confronti tra le persone che conosco.
-Carlo, dimmi, hai notato qualche cambiamento nel mio modo di porgermi o di pensare?
-Si, Salvatore, i tuoi discorsi da un po' di tempo sono discorsi di circostanza, un po' scontati. Anche il tuo modo di scrivere ultimamente sembra costruito a tavolino, un po' artefatto, non spontaneo come era qualche tempo fa. Vedi quell'albero? C'è anche un nido di merli sul ramo più alto. E' un albero secolare. Un tempo avresti scritto una poesia su questo tema, mettendo in risaldo lo splendore della natura e invece adesso non ti accorgi neanche della sua esistenza.
- Può darsi, Carlo, ma adesso torniamo a casa, sono un po' stanco e più tardi voglio vedere un vecchio film che trasmettono alla RAI con Anna Magnani e Aldo Fabrizi.
-Quale? Roma città aperta?
-Si, proprio quello, tratta della resistenza romana durante l'occupazione nazista. Se vuoi farmi compagnia, a casa mia c'è sempre un gelato e una sedia anche per te.
Grazie, adesso sei il vero Salvatore che ho sempre conosciuto. Lets go!


Canzone-Il ragazzo della via Gluck
Questa è la storia di uno di noi…
C'ero anch'io col pensiero nel 1966 tra i ragazzi della via Gluck a condividere insieme a gente tranquilla, nata lontano dalla città, la malinconia della prima strofa. C'ero anch'io a guardare quel ragazzo della seconda strofa mentre lascia la campagna e ascolta piangendo le frasi rassicuranti del suo amico. Ed erano anche mie le risposte date nell'ultima strofa dal ragazzo di campagna, consapevole che vivendo nel cemento della città tutto era cambiato e solo la speranza di tornare "un giorno" ad abitare in campagna riusciva ad alleviare la sua inquietudine. Di questa canzone mi colpisce il riferimento alla cementazione selvaggia, al tema dell'ambiente ancora oggi molto attuale. Mi colpisce quel fare domande e rispondersi da solo del protagonista come se ciò potesse creare maggiore attenzione e coinvolgimento emotivo in chi ascolta. La canzone accresce la mia convinzione che senza passioni, senza sogni e senza ideali siamo soltanto dei corpi senz'anima.


Entro nel mio sogno e ci resto, non posso fare altro. Dalla cucina guardo il vaso di orchidee sul davanzale della finestra comprato per lei e non so più che farmene. Lei è andata via. Vorrei urlare la mia tristezza ma ho poca voce. Avrei dovuto capirlo prima che sarebbe arrivato il tempo dei silenzi. Era diverso il suo orizzonte e i suoi sorrisi erano grandi, sempre più grandi dei miei. Quando lei parlava del futuro io continuavo ad annaspare nel buio. Era troppo lontana dalle mie paure. Ora è il momento di meditare, proteggere questo silenzio, e poi andare in cerca del coraggio. Lei aveva i capelli rossi. Non avevo mai baciato prima una donna con i capelli rossi.


Errori
Da qualche settimana lui non mi guardava mai negli occhi. Ho trovato il primo errore nei suoi comportamenti quando una notte mi ha chiamata con il nome di un'altra; un secondo errore lo ha commesso una mattina quando, preso dai suoi pensieri, ha lasciato il frigorifero aperto per più di un'ora. Un fatto che ha confermato i miei sospetti è stato l'arrivo a casa nostra dell'avviso di una multa non pagata per un divieto di sosta avvenuto nella stessa via dove abitava lei. Mi ero anche accorta che mancava una maglietta arancione mai indossata che tenevo conservata nel cassetto.


Tremori
Il foglio è piegato e non riesco ad aprirlo. Da circa due settimane sono preda di un continuo tremolio. Mi cade l'acqua dal bicchiere, non riesco ad accendere la luce, mi scivola il coltello dalle mani. Sono quello che sono. Ieri sera ho preso un foglio nuovo e ho cercato di fermare le dita per scrivere un ricordo, ma non ci sono riuscito. Ho riprovato stamattina ma dopo qualche minuto mi sono dovuto fermare. Sono quello che sono-ho pensato- e ho lasciato le parole in sospeso.


A Nord di Gorizia
Mentre un vociare di bambini riempie il campo di atletica leggera di Nova Gorica (Slovenia) io guardo il Montesanto, il Monte San Gabriele e il Sabotino e immagino anime gonfie di tristezza vicino alle croci di legno che si levano verso il cielo. Accanto alle trincee e alle gallerie ora c'è la pace dei silenzi, tra i dirupi rocciosi crescono fiori selvaggi e si ode tra i sassi il frusciare di vipere e serpenti; più in alto il volo dei grifoni mentre risuona ancora l'eco dei cannoni. Manca una voce che dica "andate in pace".


Efelidi
Ad Ilaria quelle lentiggini non piacevano e spesso restava in silenzio a pensare. Era appena andata a vivere in città coi genitori e già immaginava i sorrisetti dei nuovi compagni di scuola. Come sei carina, le disse un giorno la maestra. Le lentiggini-sai- sono gocce di arcobaleno e si fermano solo sulle brave ragazze. Ilaria sorrise e andò subito a guardarsi allo specchio. Le lentiggini non c'erano più.


Mario era indubbiamente un narcisista. Ogni mattina, appena alzato, andava davanti allo specchio per assicurarsi che l'aspetto del volto fosse perfetto. Controllava soprattutto se le sopracciglia erano simmetriche e se qualche lungo pelo veniva fuori dal naso o dalle orecchie. Quando qualcosa non lo soddisfaceva era pronto a intervenire con la sua solita pinzetta. Quella mattina fu sorpreso nel vedere la palpebra inferiore dell'occhio sinistro molto gonfia e striata di sangue. Le venne subito in mente il Capodanno del 2005 quando, in una discoteca, aveva ricevuto un pugno, proprio in quell'occhio, dal fidanzato di una ragazza alla quale aveva guardato con insistenza il seno prosperoso. Sorrise ritornando con la mente a quell'episodio e sorrise anche pensando alla sberla che suo padre le aveva rifilato quando, in prima media, aveva ricevuto un brutto voto in italiano. Quei ricordi avevano messo in secondo piano la realtà del momento ma ben presto lui cominciò a pensare come si era procurato quel gonfiore e soprattutto come poteva rimettere a posto la sua faccia. Quel giorno aveva un appuntamento importante con l'editore a cui doveva presentare la bozza del suo ultimo libro di poesie, una donna molto attenta anche alle apparenze e lui ci teneva particolarmente ad essere ben presentabile. Applicò sulla parte interessata un impacco freddo, telefonò al medico di fiducia per qualche altro utile consiglio e poi aprì il cassetto del bagno per cercare qualcosa che potesse esserle utile. Per sua fortuna, trovò un correttore giallo che apparteneva a sua figlia e che faceva proprio al caso suo. Continuò a tenere l'impacco freddo sull'occhio e si rallegrò nel vedere che il livido viola scuro si andava pian piano riducendo di dimensioni. Nel pomeriggio applicò il correttore giallo, indossò un grande paio di occhiali da sole per proteggere i suoi occhi dal vento e si recò fiducioso all'appuntamento.


Inaugurazione
Alle cinque del pomeriggio di quel giorno era prevista l'inaugurazione del Supermercato che avevano aperto vicino a casa sua. Andrea sapeva che in futuro sicuramente si sarebbe recato lì a fare delle compere e decise di andare a vedere. Il locale era pieno di persone sorridenti, allegre, vestite in modo curato come si usa fare quando si va ad una festa. Dopo il discorso inaugurale fu l'ora del buffet. Andrea allungò la mano per prendere un bicchiere di spumante e involontariamente urtò il braccio di una giovane signora che si era spostata all'improvviso.
"Mi scusi" disse lei girandosi e guardandolo negli occhi.
"Di niente" rispose Andrea abbozzando un sorriso. "Mi chiamo Andrea, Andrea Rossi" continuò.
"Piacere, molto piacere", disse la giovane donna, allungando la mano. "Io sono Alena, Alena Petrova".


-Eccoci arrivati finalmente! Luigi, mentre scendi stai attento a non urtare con la portiera sulla parete del garage.
-Va bene mamma, ma perché me lo dici proprio oggi che si festeggia Santa Alessandra ed è il giorno del tuo onomastico?
-Perché ho visto che nello sportello della macchina c'è una striscia che fino a ieri non c'era.
-Ma io, mamma, ieri non sono mai salito in macchina.
- E chi è stato allora?
-Forse il signor Giuseppe, l'amico che il papà ha portato a casa nostra mentre tu eri al lavoro.
-E cosa hanno fatto?
-Hanno preso un caffè e poi hanno chiacchierato un po'.
-Di cosa hanno parlato?
-Soprattutto delle squadre di pallone, del Milan, dell'Inter e della Juventus.
-Perché dici soprattutto, hanno parlato di altro?
-Il signor Giuseppe diceva che ha mal di schiena e che va a fare dei massaggi al Centro Benessere, in via Bangkok.
-E il papà cosa ha risposto?
-Ha detto che andrà anche lui a farsi curare l'artrosi al bacino. La cosa strana, mamma, è che mentre dicevano queste cose ridevano a crepapelle e non ho capito il perché.
-E quando tempo sono rimasti a casa?
-Un'oretta circa.
-Quando tornerà il signor Giuseppe?
-Non ha detto niente?
-Scendiamo Luigi e se sbatti lo sportello non ti preoccupare perché lo faremo aggiustare a papà.
-Va bene mamma, ma perché ridevano?


Qui ci sono le mele e nel cassetto i crackers. Nel frigo ci sono i formaggini, il prosciutto, una bottiglia di acqua minerale frizzante e un barattolo di coca cola. Io tra 10 minuti vado via. Ho promesso a tuo nonno di andare a trovarlo in Ospedale ma domani pomeriggio sarò di ritorno. Non aprire a nessuno e se hai bisogno di qualcosa chiama tuo padre al solito numero. Simone era confuso, non sapeva se dire qualcosa o se stare zitto. Aveva quasi dieci anni ma era la prima volta che sua madre lo lasciava da solo per una notte intera. Poi si fece coraggio, si avvicinò a lei, le diede un bacio e sussurrò: salutami nonno Raffaele. La signora Giorgia aveva messo in valigia soltanto un ricambio di biancheria intima, un paio di pantofole e una camicia di seta da regalare a suo padre. Il viaggio in macchina sarebbe durato meno di due ore. A metà strada si fermò in un autogrill. Avrebbe bevuto volentieri una birra ma per essere più sveglia e reattiva decise di bere un caffè. Pagò con una banconota da cinque euro e all'uscita diede il resto a un mendicante che stazionava vicino al parcheggio. "E se hai bisogno di qualcosa chiama tuo padre al solito numero". Quelle parole le rimbombavano spesso nella mente durante il viaggio e le facevano sorgere dei dubbi sulla bontà della sua scelta di separarsi. Tutto sommato, lei stava accettando bene la situazione che si era creata ma suo figlio Simone ne soffriva? In questo frangente avrebbe gioito a stare in compagnia del padre? E Nicola, il suo ex marito, cosa stava facendo in quel momento? Era contento? Era dispiaciuto e pentito di come l'aveva più volte umiliata? Arrivò in Ospedale all'orario previsto e all'ingresso chiese alla signora dietro al bancone in quale reparto avrebbe dovuto recarsi per fare visita a suo padre. "In Rianimazione" le fu risposto. Il reparto si trova qui, al piano terra, alla fine del corridoio, a sinistra. Suonò due volte il campanello e subito giunse un'infermiera. Sono la figlia del signor Nicolosi Raffaele. Ci dispiace signora, stavamo per chiamarla. "Il cuore di suo papà ha ceduto". La signora Giorgia prese il cellulare dalla tasca e chiamò subito il padre di suo figlio. Per favore Nicola, vai da Simone. Il cuore di mio padre si è piegato per sempre e io ritorno tra 2 giorni. Qui il sole non scalda più-continuò- il sole si è spezzato.


"Educare la mente senza educare il cuore significa non educare affatto". Aldo Bressan, di chi è questa frase? Tutti gli studenti della seconda "B" del Liceo Classico Dante Alighieri girarono lo sguardo verso il loro compagno mentre l'insegnante di storia e filosofia attendeva la risposta. Di Aristotele, rispose Aldo dopo un momento di riflessione. Bravo, la risposta è giusta. Adesso tocca a Margherita Galliani. Chi ha detto "Sii gentile, perché ogni persona che incontri sta già combattendo una dura battaglia". Il filosofo greco Platone rispose la ragazza senza indugiare. Brava anche tu, disse con voce forte e chiara l'insegnante scorrendo subito dopo sul registro di classe con l'indice della mano destra i nomi degli studenti per interrogarne ancora uno. Marco Filiputti, intanto, seduto in ultima fila, era molto agitato. Aveva gli occhi sbarrati e teneva la testa abbassata come se stesse per essere travolto da una marea. Temeva di essere interrogato e di non sapere aprire bocca. Proprio in quell'istante fu raggiunto dalla domanda. Filiputti, adesso tocca a te. Quale filosofo ha detto "Chi vuol muovere il mondo, prima muova se stesso"? Marco non aveva la minima idea di chi avesse pronunciato quella frase. Avrebbe voluto nascondersi in un armadio ma naturalmente non era possibile e allora provò a dire un nome a caso sperando di avere fortuna. Aristotele, gridò ostentando sicurezza. No, Filiputti, la frase è attribuita a Socrate. Aristotele invece ci tramandò queste parole " Lo studio è la migliore previdenza per la vecchiaia". Cerca di tenere a mente queste parole, concluse l'insegnante. Senz'altro, senz'altro rispose Marco annuendo più volte con il capo con l'intento di sembrare più credibile: farò del mio meglio.


La pubblicità
La pubblicità è finita e finalmente comincia la terza puntata della serie televisiva Gomorra, la mia preferita. Preferisco molto meno invece gli spot pubblicitari di questi ultimi anni forse perché non mi danno l'allegria che provavo con quelli degli anni '70. Anche se non ne faccio un dramma ho però sempre la speranza che ripropongano in televisione il famoso Carosello che guardavo ogni sera insieme ai miei genitori prima di andare a dormire. Mi piaceva soprattutto la pubblicità dell'aperitivo Cynar dove l'attore Ernesto Calindri, seduto in mezzo al traffico automobilistico, lo consigliava "contro il logorio della vita moderna". Mi faceva ridere molto la pubblicità della brillantina Linetti con l'attore Cesare Polacco, nella parte di ispettore, che dopo aver ricevuto i complimenti per aver risolto un caso poliziesco si mostrava calvo ed esclamava: "anche io ho commesso un errore, non ho mai usato la brillantina Linetti". Simpatica era anche la pubblicità del detersivo Ava dove Calimero uscendo tutto bianco dalla lavatrice gridava "Ava, come lava"!! Oggi si vedono spesso donne mezze nude perfino nelle pubblicità di luoghi turistici pieni di neve. Alcune volte mi sembra di guardare le scene di un film porno senza neppure dover pagare il biglietto. Non so se il gatto che sta accovacciato sulla poltrona preferisce certe immagini ad altre, se è indifferente o se ride in qualche occasione. Una volta davanti ad una pubblicità ho avuto l'impressione che mi leggesse nel pensiero e volesse chiedermi quello che io stesso mi chiedevo e cioè come reagiscono le Associazioni delle cosiddette femministe quando vedono quelle belle ragazze che diventano donne oggetto permettendo lo sfruttamento del loro corpo per fini puramente pubblicitari e commerciali.


In un avviso esposto fuori dalla struttura c'era scritto: per un guasto all'impianto elettrico la piscina è vuota e le attività riprenderanno lunedì 21 gennaio. Le mamme che avevano accompagnato i propri figli alla lezione di nuoto avevano in viso i segni della delusione. Potevano avvisarci con un sms disse una di loro ad alta voce, per cosa ci hanno fatto scrivere il nostro numero di cellulare se poi ci hanno fatto venire qui per niente?" Mio marito è già andato via, disse un'altra mamma, e adesso dobbiamo stare qui un'ora al freddo prima che lui torni a prenderci. Dobbiamo farci rimborsare una parte della quota mensile aggiunse una nonna. Cinque giorni per aggiustare l'impianto elettrico mi sembrano eccessivi, disse un'altra signora guardandosi attorno come per accertarsi che la sua osservazione era stata apprezzata. I bimbi e le bimbe intanto erano fermi e non sapevano cosa fare. L'unico ad essere felice era Stefano, il più piccolo di tutti. A lui non piaceva andare in piscina, preferiva andare a giocare al pallone coi suoi compagni e già pregustava l'idea di poter trascorrere qualche pomeriggio in più insieme a loro.


La gioia
La gioia è quel senso di benessere che ci rapisce quando entriamo in sintonia con chi ci sta vicino. Il colore della gioia è il rosso perché il rosso è il colore del sangue, uguale in tutti gli esseri umani; è il colore dei papaveri di Van Gogh ed è il colore del maglione che lei mi ha regalato per il mio compleanno. La gioia si nasconde dentro un sorriso, in un messaggio a tarda sera, in un battito di cuore accelerato, in una suonata di Beethoven e nel dondolio di un'altalena. Talvolta la gioia cammina in posti sbagliati, inciampa, cade e allora cerca qualcuno che la sollevi. Lei sa che restando a terra si possono graffiare i suoi contorni e possono sbiadire i suoi colori. E mentre nell'aria volteggiano questi pensieri, sull'erba di un prato un vociare di bimbi rincorre un pallone rosso dimenticato da qualcuno e in una panchina vicina un vecchio signore recita a memoria e ad alta voce una poesia imparata a scuola. Per essere avvolti dalla gioia bisogna stare vicino a chi ha la felicità negli occhi; a chi canta, a chi dipinge, a chi racconta storie, a chi suona. La gioia è quella malattia contagiosa che non ha bisogno di cure e che aggiunge anni alla vita e all' amore.


Sud-Nord Est
"Dottore, c'è una signora che deve fare una visita, disse l'infermiera bussando alla porta della mia stanza. Il termine "dottore" pian piano cominciava a diventarmi famigliare anche perché molti soldati già mi chiamavano così quando venivano a farsi curare nella caserma di San Lorenzo Isontino, dove l'anno prima avevo prestato servizio come sottotenente medico. La parola dottore suonava bene alle mie orecchie anche perché, dopotutto, la laurea che avevo conseguito era il frutto di tanti anni di studio, di esami, di rinunce e di viaggi su quel mare (a volte tempestoso) che mi traghettava da Reggio Calabria, mia città natale, a Messina, sede dell'Università.
L'infermiera si chiamava Giuliana e aveva sempre un sorriso buono sulle labbra. Era molto brava e svolgeva il suo lavoro con pazienza, gentilezza e professionalità. Se dovessi ammalarmi- pensavo qualche volta tra me e me sorridendo- sarei contento di venire assistito da questa ragazza. Fu quasi naturale, dopo qualche settimana, chiederle di accompagnarmi a conoscere meglio il paese, cioè Cormons, dove da poco avevo iniziato a lavorare come assistente medico dell'Ospedale.
Arrivammo sul monte Quarin con la mia automobile, una Fiat 500 lusso, di colore rosso, regalo di laurea dei miei genitori. Avevo portato con me la macchina l'anno prima partendo da Reggio Calabria e percorrendo in autostrada 1340 chilometri.
Non ero ancora mai salito sul monte. Fui subito sopraffatto dalla magia del panorama ed iniziai ad ammirare tutto ciò che mi ruotava intorno. Accanto a noi due c'era un intreccio di cielo e di fiori, di cielo e di frutti, di cielo e di foglie.
-Sai Salvatore, disse Giuliana, siamo a circa 270 metri dal livello del mare e qui comincia il Collio di cui Cormons è la capitale.
Sentirmi chiamare per nome da una ragazza che fino al giorno prima mi dava del "Lei" e mi chiamava per cognome fu per me una sensazione strana ma molto piacevole, più o meno come quando, nel giorno dell'onomastico o del compleanno, arriva una telefonata d'auguri da parte di una persona che si conosce soltanto da poco tempo.
Davanti ai miei occhi si apriva un panorama stupendo che spaziava dalle Alpi alla pianura, dal Collio al mare, fino alla laguna di Grado e oltre. Col tempo ho imparato poi a conoscere le bellezze del Collio, la vita delle persone che nutrono queste terre con il loro lavoro quotidiano e quei vigneti che si arrampicano sulle colline per poi regalare al mondo i loro vini straordinari.
Cenammo al Cjant del Rusignol, un ristorante situato a Mernicco di Dolegna del Collio, paesino confinante con un altro piccolo paese della Slovenia. Come primo piatto Giuliana mi consigliò il risotto con lo sclopit. Lo sclopit, mi spiegò, è un'erba selvatica che cresce liberamente nei prati nel periodo della primavera e si chiama così per il rumore (scoppio) che produce il suo fiore se lo si schiaccia tra le mani. Poi ci portarono il "Frico", tipico piatto friulano preparato con patate, cipolla e formaggio latteria ed infine, come dessert, lo strudel di mele. Intanto, in fondo alla sala, un signore di mezza età, accompagnandosi al pianoforte, cantava brani di musica degli anni sessanta. Il signor Ferruccio, proprietario del ristorante, poco prima di mezzanotte si avvicinò al nostro tavolo e ci offrì un bicchierino di grappa friulana che mostrammo di gradire particolarmente.
Per tutto il tempo io e Giuliana ci raccontammo molte cose di noi. Parlammo delle nostre abitudini, dei nostri hobbies, dei programmi che ci piace guardare alla televisione, dei viaggi che avevamo fatto in passato e dei luoghi e delle città da cui eravamo rimasti particolarmente colpiti. Parlammo un po' anche delle nostre famiglie ma senza mai entrare nei piccoli particolari o soffermarci a commentare. Non accennammo minimamente invece a situazioni riguardanti il nostro comune ambiente di lavoro. Non parlammo dei nostri superiori, dei colleghi o dei pazienti, come se avessimo avuto paura di mescolare l'intimità che si stava creando tra di noi con le persone che vedevamo giornalmente, come se avessimo temuto che la bolla di sospiri e di sogni che ci stava ospitando potesse rompersi da un momento all'altro solo se avessimo cominciato a parlare di un ambiente dove sono frequenti i pettegolezzi, le gelosie, la competizione, le invidie e talvolta anche le menzogne. Quella cena, vissuta in un ambiente caldo e accogliente, fu per me anche un'occasione piacevole per cominciare a conoscere i vini del Collio, veri gioielli ancora oggi apprezzati non soltanto in Italia ma anche in molti paesi oltre confine.
Al ritorno, guidando verso casa, mantenevo bassa la velocità della macchina per poter scambiare con lei qualche parola e qualche sorriso in più durante il tragitto.
Dopo aver trascorso una giornata così bella, non sarebbe stato facile addormentarsi subito ed infatti rimasi sveglio fino alle due di notte e forse anche di più, rivivendo, come in un film, i vari momenti della serata. Nei primi pensieri del mattino ci fu quello di invitare Giuliana a visitare Cividale del Friuli dove ero già stato l'anno prima, durante il periodo militare. Io e un mio collega sottotenente avevamo fatto una gita insieme a due ragazze di Opicina, conosciute una domenica pomeriggio a Fiumicello, nella sala da ballo l'Arenella. Da Cividale ci eravamo inoltrati poi fino a Purgessimo, nelle Valli del Natisone, dove in una trattoria del luogo avevamo fatto un pranzo con " la bizna s Krompiri (minestra di brovada con patate), le "broskvì s klobaso (verze con salsicce) e la famosa gubanca (gubana), tutte pietanze che "raccontavano" il popolo delle Valli tramite quei cibi della cucina contadina che nelle sere d'inverno- pensavo- erano forse capaci da soli di fare focolare. Alla fine del pranzo il ristoratore ci salutò calorosamente e ci consigliò di tornare da quelle parti per visitare luoghi caratteristici come le Cascate di Kot (angolo), situate nel vicino paese di San Leonardo, in una località conosciuta come Star Cedad che in lingua slovena vuol dire vecchia Cividale, oppure di andare ad ammirare una delle grotte più antiche del Friuli e d'Europa e cioè la grotta di San Giovanni d'Antro che nasconde un tesoro veramente prezioso, una chiesa costruita interamente nella roccia. Per raggiungerla- ci spiegò il ristoratore- bisogna fare 86 scalini, totalmente immersi nella pace e nel silenzio del bosco.
-OK, rispose Giuliana alla mia proposta. E' da tanto tempo che non torno a Cividale, possiamo andarci questa domenica -continuò- dato che ho il giorno libero.
Tornare a Cividale del Friuli o da quelle parti questa volta per me non sarebbe stata la stessa cosa. Quando il seme dell'innamoramento si attiva e comincia a germogliare ci si aspetta che nascano frutti maturi prelibati ed era proprio ciò che il mio cuore desiderava in quel momento. Telefonai a casa del signor Sandrino, una guida di cui mi aveva parlato molto bene un mio conoscente che lavorava da quelle parti e ci accordammo di vederci la domenica mattina. Ci troviamo alle 10 davanti alla chiesa del Duomo disse il signor Sandrino prima che si concludesse la nostra telefonata e venite in orario, mi raccomando, perché alle undici e mezza ho un altro appuntamento.
Dopo aver attraversato il Ponte del Diavolo arrivammo puntuali davanti al Duomo dove ci aspettava la nostra guida turistica che poi ci fece un'ampia e dettagliata descrizione dei luoghi visitati. Rimasi colpito dalla bellezza del Tempietto Longobardo, costruito verso la metà dell'VIII secolo e che rappresenta, come ci illustrava il signor Sandrino, la più importante e meglio conservata testimonianza dell'architettura dell'epoca longobarda. Giuliana seguiva tutto con interesse e ogni tanto faceva qualche domanda alla quale le veniva subito data una esauriente risposta.
In quei momenti avrei voluto prenderla per mano come si fa quando si comincia ad amare qualcuno. Ero convinto che anche lei avesse un grande desiderio di prendere la mia mano e magari di stringerla, poi di lasciarla e poi di nuovo stringerla, ma ero consapevole del fatto che dovevo essere io a muovere il primo passo.
Dopo la visita al Tempietto Longobardo andammo al Museo Archeologico ricco, fra l'altro, di reperti datati dall'epoca romana al periodo rinascimentale e di testimonianze materiali rinvenute nelle necropoli longobarde. Il cielo sopra Cividale era limpido e si intravedeva in lontananza solo qualche piccola nuvola. Soddisfatti della visita, alle undici e un quarto, salutammo la nostra guida e, dopo aver bevuto un aperitivo in un bar vicino, decidemmo di tornare a casa, a Cormons, per poi rivederci alle sette di sera per andare a cena insieme.
Prima che lei scendesse dall'automobile le domandai cosa ne pensasse sua madre del fatto che io e lei avevamo cominciato a frequentarci. -Ne pensa bene, rispose. Le ho detto che sei una brava persona. In quel momento le sue pupille sembravano più ampie, più grandi, come se volessero far spazio ai nuovi sentimenti che stavano nascendo dentro di lei. Seguii i suoi passi fino a quando non aprì la porta di casa. Come se l'avesse saputo, prima di entrare lei si girò e fece un cenno di saluto, agitando la mano.
Quel pomeriggio c'era dentro di me tanta voglia di andare a vedere il mare. A Reggio Calabria ero abituato a guardarlo spesso, soprattutto in primavera e in estate. Io e i miei amici andavamo a passeggiare sul lungomare, un lungomare ricco di palmizi, di ficus e di tante altre specie di piante tipiche dei paesi caldi e tropicali. Ci sedevamo all'aperto nel bar "D'Agostino" dove mangiavamo dei gelati squisiti e delle ottime granite di caffè con panna. Da lì seguivamo il via vai degli aliscafi e, in lontananza, il passaggio delle navi nello Stretto di Messina. Nelle giornate più limpide sembrava che anche il vulcano dell'Etna fosse lì, a due passi da noi.
-Dove andiamo? chiese Giuliana quando ritornai a prenderla puntualmente all'ora stabilita.
-Pensavo di andare a Grado. Ti va?
-Si rispose, con molto piacere.
Avevo un grande desiderio di fare con lei una passeggiata sull'isola tra le calli dal fascino veneziano, mangiare del buon pesce in un tipico ristorante della Grado vecchia e poi, nel silenzio del buio, andare ad ascoltare insieme a lei il canto del mare. Cenammo alla trattoria "La Borsa" con pesce fresco e di ottima qualità. Ordinammo delle capesante e i quadrucci con ripieno di crostacei e ragù di pesce.
Quella sera la luna era più grande del solito, grande come la passione che aveva invaso il mio corpo e anche il suo, grande quanto il desiderio di allungare quel sogno che accompagnava ormai i miei pensieri durante tutte le ore della giornata, allungare quel sogno e farlo poi diventare realtà.
Sulla via del ritorno, arrivati ad Aquileia, ci fermammo qualche minuto ad ammirare la Basilica Patriarcale illuminata e ci ripromettemmo di tornare durante le ore del giorno, per visitare la stessa Basilica, il Museo Archeologico e le altre antichità di quel luogo ricco d'arte, pieno di fascino e di storia.
Arrivammo a Cormons a mezzanotte in punto e per la prima volta la invitai a casa mia a bere un bicchiere di vino e a sentire un po' di musica. Da poche settimane avevo preso in affitto un appartamento nella parte alta del paese, in via Dante, ai piedi della collina. L'abitazione non era molto grande ma per me era più che sufficiente. Tutto intorno alla casa c'era il prato con diversi fiori e alcuni alberi da frutta dove ogni mattina si posava il cinguettio degli uccelli. Con il loro canto sembrava che volessero augurarmi il buongiorno prima che io andassi a lavorare.
-Che carino! disse Giuliana guardandosi attorno. Sei un bravo domestico-aggiunse sorridendo- qui è tutto perfettamente in ordine. In questi quadri che hai scelto per abbellire le pareti -continuò- c'è sempre l'immagine del mare, si percepisce chiaramente che hai nostalgia della tua città.
- E' vero, risposi, è proprio così.
Anche a lei piacevano le canzoni di Lucio Battisti, Claudio Baglioni e Patty Pravo che ascoltammo, seduti sul divano e sorseggiando un buon Tocai. Quel vino mi era stato regalato da un agricoltore che aveva i vigneti nella zona del Collio, in località "La Subida", per ringraziarmi - lui disse- delle cure e delle gentilezze che gli avevo riservato durante il suo breve ricovero in Ospedale.
Restammo ancora per un po' a gustarci il vino e ad ascoltare la musica. Poi, ebbri di felicità, ci abbracciammo, ci baciammo e, sul letto vicino, facemmo l'amore. Rimanemmo sdraiati in silenzio ancora per alcuni minuti. La luce soffusa dell'abat-jour coccolava i nostri volti mentre i suoi capelli accarezzavano la mia spalla e il mio cuore batteva alla stessa frequenza del suo, all'unisono. In quei momenti, con gli occhi rivolti al soffitto, spaziavo con la mente per cercare nei ricordi qualcosa che somigliasse alla gioia che stavo provando in quegli attimi ma non trovai nulla, proprio nulla. Forse una felicità simile l'avevo assaporata quando avevo conseguito la maturità classica e ancora di più nel giorno della mia laurea, ma comunque mai in situazioni che riguardassero rapporti sentimentali.
Mi rendevo sempre più conto che Giuliana, con la sua discreta e affettuosa presenza, stava aggiungendo al mio corpo e alla mia anima una forza nuova, un'energia che prima non avevo e che stava arricchendo la mia vita senza chiedere nulla in cambio.
Sulla via del ritorno, dopo averla accompagnata a casa, gocce di lacrime cominciarono a bagnare i miei occhi. Erano lacrime di tristezza mescolate a lacrime di gioia. Sentivo, in quel momento, che difficilmente sarei tornato a vivere nella mia città, nella città in cui ero nato e in cui abitavano i miei genitori, ma sapevo pure che la terra del Friuli, con la sua generosa accoglienza, sarebbe diventata presto e per sempre la mia dimora.


Giorgio conosceva i lavori di Claud Monet, di Pissaro, di Cézane e di altri famosi pittori impressionisti ma non si ispirava a nessuno di loro. Non avere un maestro come guida poteva rappresentare un limite ma le dava tuttavia il vantaggio di raffigurare la natura senza precostituite impalcature mentali. Lui fissava le immagini nella loro immediatezza, nel loro primo apparire alla retina e alla coscienza e le trasferiva tutte, come per incanto, nelle sue tele. Era particolarmente attratto dagli alberi, forse perché nell'albero vedeva la sua stessa immagine modellata dal tempo. Anche quel giorno ne dipinse uno, un castagno. Del castagno amava rappresentare soprattutto la corteccia rugosa ricca di lenticelle trasversali allungate e la chioma espansa e ben ramificata. Come al solito, prima schematizzò con la matita in maniera accurata le parti dell'albero e poi aggiunse i colori. Dopo tre ore, soddisfatto del proprio lavoro, rimise la tela nella custodia e prese la via del ritorno. Aveva appena superato la prima curva quando, sul lato destro della strada, notò la presenza di un cane, un cane dall'atteggiamento spaesato tanto da fargli suppore che si fosse smarrito o che fosse impaurito per l'arrivo di un temporale che aveva sentito in anticipo, come succede spesso a questi animali. Giorgio non sapeva come comportarsi. L'istinto gli suggeriva di avvicinarsi subito per aiutarlo, la mente invece gli consigliava di essere prudente. Pensò come sarebbe stato più facile se anche lui avesse avuto una coda da scodinzolare per farsi capire. Sorrise. Poi decise di avvicinarsi senza fare gesti affrettati ma nello stesso tempo neanche troppo lentamente per non allarmare il cane e fargli magari pensare che volesse tendergli un agguato. Aprì la borsa dove solitamente portava la merenda quando andava a dipingere e allungò all'animale un po' di pane e prosciutto che fortunatamente non aveva consumato. Il cane sembrò tranquillizzarsi. Giorgio, per un momento, pensò di portarselo a casa e accudirlo. Era un bel cocker di colore marrone, gli occhi scuri, lo sguardo languido e dolce, le orecchie penzolanti fino al garrese e un mantello leggermente ondulato, folto e setoso. Subito però scartò quell'idea. Pensò al dolore che avrebbe avuto il padrone non vedendolo tornare a casa e al dolore che anche il cane avrebbe avuto non vedendo il suo padrone. Senza indugiare troppo, telefonò ai carabinieri del paese e li mise al corrente di quanto stava succedendo. Al loro arrivo riprese velocemente il cammino verso casa con un forte desiderio di rivedere il suo dipinto prima che tramontasse il sole.


Man mano che salivo le scale notavo che la luce si affievoliva sempre di più e quando poi ho aperto la porta mi sono reso conto che la stanza era completamente buia. Un odore terrificante impregnava l'aria, un odore che non avevo mai sentito prima. Al primo impatto poteva sembrare un odore di feci e di urina, un odore di escrementi di pipistrelli o di altri uccelli ma c'era anche dell'altro. Era così pestilenziale e nauseabondo che poteva essere, pensai, un odore di carne putrefatta, l'odore di un cane morto o di gatti o di topi. Non sapevo se continuare la mia esplorazione o indietreggiare. Anche la luce fioca delle scale era scomparsa. Non potevo tornare indietro e, a dire il vero, neppure volevo. Capivo che in quella stanza ci doveva essere qualcosa di particolarmente terribile e io volevo scoprirlo. Era tutto tremendamente tenebroso e buio, buio come solo il buio sa esserlo quando anche i pensieri sono bui. Allungai la gamba per fare qualche passo ma subito andai a sbattere contro un tavolo. Caddi a terra e nel cadere toccai qualcosa di duro, qualcosa che mi pareva essere un corpo umano. Allungai la mano e senza neppure immaginarlo mi ritrovai a toccare una mano fredda, sicuramente morta e poi un viso, anch'esso freddo, anch'esso morto. Allungai la mano alla mia destra e anche lì sfiorai un corpo morto. Dove mi trovavo? Perché c'erano dei morti in quella stanza e chi li aveva portati fin là? Cominciai a sudare freddo mentre un nodo mi stringeva la gola. Mi sentivo soffocare. Gridai come non mai e inaspettatamente mi ritrovai sveglio nel letto di casa mia. Un sogno di morte, forse di guerra, forse di gas letali usati contro l'umanità con l'intenzione di estinguere qualche razza umana. Dopodomani devo andare a un congresso sulla pace, dissi a mia moglie, che si era svegliata di soprassalto a causa di quel mio urlo. Dopodomani. Mentre pronunciavo quella parola mi veniva in mente il ritornello di "Day after tomorrow", una canzone di Tom Waits.

Non puoi negare
che dall'altra parte
non vogliono morire
più di quanto lo vogliamo noi.
Quello che sto cercando di dire è
Loro non pregano
lo stesso Dio che pregiamo noi?
Dimmi, come fa Dio a scegliere?
Di chi rifiuta le preghiere?
Chi gira la ruota?
E chi lancia i dadi

You can't deny
The other side
Don't want to die
Any more than we do
What I'm trying to say,
Is don't they pray
To the same God that we do?
Tell me, how does God choose?
Whose prayers does he refuse?
Who turns the wheel?
And who throws the dice

La neve chiede di essere qui. La faccio entrare.
Buongiorno Maestro. Il mio nome è Neve, Neve di Montagna. Scusami se ti disturbo. La mia amica Neve di Campagna mi ha detto che sei un bravo pittore e che nei tuoi quadri dipinge spesso il mare. Sai, io non ho mai visto il mare. Mia madre invece, tanti anni fa, l'ha visto da vicino. Mi ha raccontato che sul mare ci sono barche che hanno le vele del mio stesso colore. Mi ha pure parlato di tanti gabbiani che volano felici sulle onde fino al tramonto. La mia amica Neve di Campagna li conosce. Una volta ne ha visti due che si erano smarriti ed erano finiti nel cortile di una casa di contadini. Mi ha detto che sono bellissimi.
Sono venuta fin qui, Maestro, per chiederti se puoi dipingermi accanto al mare.
Io dipingo il mare, i fiumi, i laghi e tutto ciò che è formato da acqua. Anche tu sei fatta di acqua e perciò non ho difficoltà ad accontentarti.
Neve di Montagna fu felice di ritrovarsi ritratta accanto al mare.
Con il linguaggio proprio dell'acqua cominciarono a parlare tra loro di pesci e marmotte, di coralli e stambecchi. Dopo un po' si resero conto che, pur essendo fatti della stessa sostanza, avevano un carattere molto diverso. Mentre infatti nella stagione estiva lui era gioioso e lei era triste, durante l'inverno lei era felice mentre il mare si rabbuiava e spesso diventava tempestoso.
Neve di Montagna rimase dentro il dipinto per un anno. Dalla finestra della stanza dove il quadro era stato appeso vide passare la primavera, l'estate e l'autunno. Poi, nel mese di dicembre, fu assalita dalla nostalgia. Le mancava l'odore delle nuvole e quel campanile che fin da piccola lei andava ad abbracciare. Le mancavano le vette, le rocce, le stelle alpine. Inoltre, stando vicino al mare, le sembrava che il cielo fosse ancora più lontano. Forse era vero.
Perciò decise di tornare dov'era nata. Accarezzò quel quadro che l'aveva accolta e ospitata per tanto tempo e salutò affettuosamente il mare. Poi si rivolse al pittore. Grazie di tutto disse, ora devo andare e aggiunse: Maestro dimmi, qual'è il tuo nome? Mi chiamo Monet, lui rispose, Claude Monet.
Un colpo di vento spalancò all'improvviso la finestra portando con sé i rintocchi di campane in festa.
Poi la neve uscì dal paesaggio.

Trasparenza
Se qualcuno mi chiedesse di dire qualcosa sulla Trasparenza forse non avrei molte difficoltà a fare un riferimento alla trasparenza dell'acqua o dell'aria, alla trasparenza del vetro di un bicchiere e perfino a quella di un colore. Sarebbe invece per me più difficile parlare della trasparenza umana, della trasparenza cioè degli atti delle persone, dei loro gesti, dei loro comportamenti. Guardando quello che succede intorno a me, nel vivere quotidiano, noto infatti una diffusa mancanza di trasparenza sia nel campo della politica che in quello della pubblica amministrazione; la stessa oscurità morale la percepisco a volte addirittura in chi si erge a difensore dei diritti dei cittadini più deboli e bisognosi. E allora mi viene quasi spontaneo pensare che il massimo della trasparenza dell'essere umano si possa trovare solo nel bambino, nella sua purezza, nella sua spontaneità, nella sua nitidezza, nel suo candore. Io stesso volgo spesso la mente a quel periodo di innocenza della vita e in questo modo, forse inconsciamente, spero di dare una luce nuova a quegli angoli ombrosi che ancora dormono appassiti nei miei pensieri.

La mente altrove
Nulla di grave disse il dentista. Il dente rotto è un dente di latte e tra un anno cadrà spontaneamente per far posto all'incisivo definitivo. Ringraziai il cielo. Mi sentivo in colpa per aver lasciato mio nipote Michele da solo sull'altalena del parco mentre m'intrattenevo al telefono col mio avvocato. Usciti dall'ambulatorio, chiamai mia figlia per tranquillizzarla. Poi, sulla via del ritorno, tenendo Michele per mano, entrai in un tabacchino per comprare un pacchetto di sigarette. Buon giorno signorina, mi dà un pacchetto di Diana? Diana rossa o Diana blu? Blu, blu, risposi senza neanche pensarci. Avevo la mente altrove.

Autunno
Mi piace parlare dell'autunno perché ho sempre sentito mia questa stagione. Ho iniziato ad amarla fin da ragazzo quando, passata l'ebbrezza del turismo estivo, la mia città riprendeva il suo ritmo cadenzato e la riapertura della scuola mi regalava gli abbracci e i sorrisi dei vecchi e nuovi compagni. L'ho sentita mia quando, ancora giovane, dopo le frenesie del giorno, aspettavo le ore del silenzio per guardare dalla terrazza di casa i colori cangianti dei cieli d'autunno e, nelle giornate senza nuvole, i tramonti dorati che si tuffavano nel mio mare, quel mare dove avevo imparato a nuotare. Amo l'autunno ancora di più in questo mio tempo. L'autunno rappresenta la mia età, l'età in cui si lascia il lavoro e si comincia a riflettere sui temi più profondi della vita. Il corpo chiede delle pause ma la mente vuole continuare a camminare. E' la stagione dei frutti che maturano, delle caldarroste per le strade, la stagione delle foglie che cadono e che hanno più volte riempito di giallo e di rosso i miei versi. E' la stagione in cui la sapienza si fonde con l'esperienza facendo aprire nuovi orizzonti. E adesso, immerso in questi orizzonti, mi ritrovo a viaggiare dentro la magia delle parole e ad accarezzare, giorno dopo giorno, il piacere di fare poesia.


Una donna sale in autobus
L'avevo vista salire sull'autobus anche il giorno prima. Era difficile non ricordare il volto di una donna così elegante e raffinata nei movimenti. Ero rimasto colpito dal suo aspetto. Pur non essendo bellissima, aveva un fascino speciale che aveva calamitato il mio sguardo. Non saprei dire scientificamente quale fosse l'origine di quel fascino. Avevo avuto la stessa sensazione di quando mi attrae un fiore che emana un profumo tutto suo o quando assaggio un frutto che ha un sapore particolarmente gradito al mio palato. Si era avvicinata alla fermata dell'autobus a piccoli passi. Indossava una gonna che arrivava fino alle ginocchia e un paio di tacchi alti che slanciavano maggiormente la sua figura. Sorrise alla signora che stava per salire dopo di lei e quel sorriso mi fece pensare che era una donna felice. Il giorno dopo seppi che si chiamava Angelica. Avevo lasciato la mia macchina in un posteggio vicino alla fermata e avevo preso anch'io lo stesso autobus.


Ogni mattina
Ogni mattina lasciavo a quel passero, sul davanzale della finestra della cucina, due biscotti e delle briciole di pane. Più o meno sempre alla stessa ora, quando aveva fame, lui si avvicinava e in un batter d'occhio ripuliva la scodella. Poi volava via. Era sempre lo stesso passero. Aveva il capo e il dorso di colore bruno e una grossa macchia nera sul petto. Io stavo sempre un po' lontano dalla finestra per paura che la mia presenza potesse disturbarlo e farlo scappare, come era già successo una volta in passato. Per mesi e mesi ho potuto godere di quei momenti che erano diventati importanti per me. Mi sentivo un privilegiato, mi sembrava di essere un uomo fortunato che poteva assistere da vicino a qualcosa di magico, che poteva abbracciare le bellezze della natura e idealmente fare parte attiva dell'armonia del creato.
A metà dell'ultimo inverno il passero non venne più a sfamarsi sul davanzale. Ho posato il mio sguardo su quella finestra per molte settimane e a tutte le ore del giorno e della notte, ma inutilmente. Il cibo che gli lasciavo restava sempre nella scodella e così, pur se a malincuore, mi sono dovuto rassegnare alla sua assenza. E' stato per me come l'addio di una persona cara, come la perdita di un fratello. Non ho mai saputo che fine abbia fatto quel mio insostituibile amico. Non ho mai saputo se sia morto oppure, come fanno tante volte gli uomini, ha voluto solamente cambiare casa e giardino.


Respiro
Riuscivo a stare sott'acqua per quasi un minuto ma poi il respiro cominciava a mancare, la riserva di ossigeno nei polmoni si esauriva e perciò rimettevo in fretta la testa fuori dall'acqua. Ero un ragazzo curioso e la visione di piccoli pesci di mille colori che mi sfioravano le mani o di alghe e piante che formavano a volte vere praterie mi affascinava, era un'attrazione irresistibile. Il giorno dopo tornavo a tuffarmi con la voglia di provare sempre nuove emozioni. Giorno dopo giorno, con l'allenamento, allungavo il tempo del mio respiro e ciò mi permetteva di godere più a lungo di tutte quelle meraviglie. Poi arrivava l'autunno e abbandonavo il mare. Quella sensazione di mancanza di respiro che provavo quando stavo a lungo sott'acqua non l'ho più riavuta. Per moltissimi anni il mio respiro è stato ottimo non solo a riposo ma anche durante i momenti in cui praticavo attività sportiva. Ora, in questo mio tempo dove i progetti si mescolano ai ricordi e alla nostalgia, il mio respiro si concede qualche pausa. Questo succede quando, per gioco o per necessità, rincorro nei prati il mio cane fedele o quando percorro lunghe strade in salita. E allora mi fermo. Poi, dopo una breve pausa, riprendo la via e dentro di me sorrido e ringrazio quei soffi di vento che vengono in aiuto del mio respirare e accompagnano il mio lento cammino verso casa.


Come è possibile che un uomo ancora giovane come me, cresciuto in una sana famiglia, con un diploma di ragioniere ottenuto col massimo dei voti e pieno di interessi culturali e sportivi, si possa ridurre in questa situazione di degrado e di abbandono? Questo era il pensiero che assillava Antonio e che gli ritornava alla mente ogni giorno, puntuale come la sveglia del mattino. Tutto era cominciato un anno prima, nel giorno dell'inaugurazione dei nuovi locali della Banca Popolare dove lui lavorava. Per quella occasione di festa sua moglie Teresa aveva indossato un abito elegante di color fucsia con una scollatura a cuore che lasciava intravedere o quantomeno immaginare tutta la bellezza del suo seno. Il vestito e il corpo snello e slanciato (che nulla aveva da invidiare a quello di una modella) avevano attirato l'attenzione del direttore, dottor Ferroni, un uomo scapolo, dai modi gentili e di bello aspetto. Tra i due fu subito simpatia e la simpatia presto si trasformò in una relazione amorosa. Dopo solo tre mesi Teresa lasciò il marito e andò a vivere nella villa del direttore, alla periferia del paese, ai piedi della collina.


Sabato
Parlava da solo ma alzava spesso il tono della voce come se volesse far giungere le sue parole al di là dell'isola, in quel posto cioè da cui si era allontanato molti anni prima. Quando il vento soffiava forte, lui si fermava, taceva, restava in assoluto silenzio. Non voleva che il vento potesse spezzare le sue parole, che le frantumasse come aveva fatto con i suoi sogni, anzi col suo sogno perché il suo desiderio era stato sempre uno, uno solo. Dimenticava tutto soltanto quando stava sott'acqua, con la sua fiocina, là accanto ai coralli. Era uno dei pochi momenti in cui trovava la pace, era il luogo dove nessuno poteva avvicinarsi ai suoi pensieri. Le sue immersioni non erano soltanto un'abitudine, un modo per trascorrere il tempo in un ambiente magico. No! Le sue immersioni erano diventate una necessità di cui non poteva assolutamente più farne a meno. Era come se ogni volta una sirena lo chiamasse a sé e volesse imprigionarlo in un abbraccio, un abbraccio che prima o poi sarebbe potuto diventare un abbraccio mortale.


Andrea
Ad Andrea sembrò di avere già visto quella ragazza appena uscita dal bar che si muoveva e camminava con la scioltezza di una ballerina. Era sicuramente un volto che gli pareva di avere già incontrato anche se non riusciva a focalizzare il luogo e la circostanza in cui l'aveva notato. Il colore verde degli occhi, i capelli rossi, l'altezza superiore al metro e settanta, il corpo snello e soprattutto il neo, quella piccola macchia vicina all'angolo labiale sinistro erano delle caratteristiche che non era frequente vedere nella stessa persona e che gli erano sembrate subito famigliari. Un pensiero lo scosse all'improvviso. Le somiglia molto, pensò. Forse è Francesca, la figlia di Giovanna, la mia vecchia compagna d'Università e amica del cuore.


Monica
Era un giovedì di marzo e come accadeva già da qualche tempo anche quel giorno, all'ora del tramonto, Monica arrivò all'Università della Terza Età di Cormons per frequentare il corso di scrittura creativa. Era un'esperienza che aveva fortemente voluto provare. Suo nonno era stato un bravo scrittore e le aveva trasmesso la passione dello scrivere. Monica aveva da poco compiuto quarant'anni, era alta e bella, con due grandi occhi felini, la bocca voluttuosa e lunghi capelli neri che le accarezzavano le spalle. - Ciao Monica, benvenuta! Era questo il saluto con cui l'accoglieva la sua amica Fabiola che era sempre in anticipo sull'ora della lezione. Ciao a tutti rispondeva lei accomunando nel saluto quelli che erano lì vicino. Monica era una persona timida o almeno così sembrava. Non si sedeva mai in prima fila, si posizionava quasi sempre vicino ad una parete dell'aula forse perché, inconsciamente, in quel modo si sentiva più protetta. Prendeva appunti come gli altri compagni di corso e, quando scriveva, dai suoi occhi si sprigionava una luce speciale, una luce che esprimeva gioia, la gioia di partecipare ad un sogno collettivo di cui anche lei si sentiva protagonista.

I suoi scritti erano sempre fantasiosi e ricchi di ironia perché, quando scriveva, Monica era davvero un'altra persona; riceveva sempre i complimenti sia dei compagni che del professore, tutti consapevoli delle sue innate capacità. Riusciva, tramite i suoi racconti, a trasmettere un lato molto bello di sé che normalmente teneva nascosto. La sua solita timidezza la frenava molto nel rapporto con le altre persone ma non nella scrittura. Quello era il suo mondo e il suo modo di vivere. Quel corso le era stato consigliato dalla sua terapista convinta che l'avrebbe aiutata a sentirsi più a suo agio insieme agli altri, facendo tra l'altro la cosa che più le piaceva in assoluto. Seppure con qualche perplessità iniziale lei aveva deciso di mettersi in gioco e ora sentiva di non poterne più fare a meno. Adorava i versi, di qualunque tipo essi fossero. Adorava i racconti horror, le favole, le filastrocche in rima, le poesie. Imparava sempre qualcosa di nuovo da aggiungere al suo bagaglio.
Ogni lezione
parole in libertà
su fogli bianchi
Il suo sogno di diventare una scrittrice stava piano piano prendendo forma.

Man mano che andava avanti con la scuola aveva imparato sempre più ad aprirsi, a confrontarsi con gli altri e con l'insegnante. Aveva capito che in fondo le sue sensazioni e i nodi che aveva dentro appartenevano anche agli altri, almeno a qualcuno. Sentiva nelle parole o nei versi poetici dei compagni le sue stesse difficoltà e questo sentirsi alla pari la stava aiutando a superare la sua timidezza. Un giorno, il racconto di un viaggio che aveva scritto e presentato entusiasmò tutti e un largo sorriso si dipinse sul suo viso; si sentì felice ed emozionata come poche volte nella sua vita. Aveva conquistato gli altri e gli altri avevano conquistato lei. Con un gesto della timidezza pur sempre presente, si portò una mano davanti alla bocca e abbassò gli occhi. Al termine della lezione, per la prima volta Monica si unì al gruppo e si recò assieme agli altri al solito baretto per prendere l'aperitivo in compagnia e scambiare quattro chiacchiere. L'atmosfera del locale, luci basse e pareti dorate, invitava ad un'intimità di sguardi e parole del tutto nuovi per lei. Emozioni confuse ma prepotenti si mischiarono presto al profumo della sua pelle che cambiava chimica ad ogni istante; quella che era partita come prova di socialità con i compagni di corso e lotta alla solitudine fin poco prima autoimposta, si trasformò, fra i contorni sfumati di un vino rosso corposo e rotondo, in una esperienza dei sensi che la lascio senza fiato.

Inaspettatamente, improvvisamente, e in un modo che si rivelò del tutto inevitabile come una sciagura naturale e devastante, Monica si accorse, per la prima volta, di quegli occhi che la scrutavano con l'intensità del vetro fuso e incandescente nella sua forma primitiva. Scoppiò a ridere piangendo nel minuscolo bagnetto del locale che aveva ambizioni di metropoli ma stava ai confini della provincia, tra salviette di finto cotone e pot- pourri pretenziosi. Gli occhi la fissavano decisi ma indulgenti, non si incontravano dal secolo scorso, letteralmente. Erano altre latitudini, un altro continente. Si pulì la faccia, il trucco stava colando e incominciò a parlare. Non è qui che pensavamo di arrivare, vero?
Accarezzò l'immagine riflessa allo specchio e sorrise. Si fece più decisa, risoluta e aprì la porta del piccolo bagno. Non era la stesa porta che si era chiusa dietro di lei. Non era nemmeno la stessa lei. Aveva gli occhi diversi. Aveva gli occhi della ragazza che era stata 20 anni prima, quando il mondo era tutto una conquista e la vita un infinito mare di possibilità.
Alla fine
i miei passi
muovono
a mezza via
o in alto mare
del mio inizio.

Fine


Il colore nero
Quando si dice che un oggetto è nero lo si fa per indicare uno dei tanti colori del mondo. Può sembrare strano ma per me non è così. Per me la parola colore è sinonimo di vivacità, allegria, passione. Per me i colori veri sono il rosso, il verde, il giallo e tutti gli altri che si vedono nell'arcobaleno, quelli cioè che fanno brillare gli occhi, che fanno spaziare la mente, che vengono dopo un temporale e fanno sognare sorrisi. Non ho mai immaginato che possa esistere per esempio un orizzonte nero, un arcobaleno con dentro il nero, un cielo nero, un mare nero. Dovrei dire che anche il bianco non è un colore perché non è nell'arcobaleno, ma è una cosa diversa. Il bianco è come un foglio che prima o poi si riempie, è un'attesa, una speranza, un lenzuolo, un abito da sposa. Il nero no, il nero è già qualcosa che è avvenuto, è un arrivo, è una fine che non torna, è una porta chiusa, una saracinesca. Il bianco è l'inizio, il nero è la conclusione, il nero è "the end". Il nero è un corvo, il catrame, la cenere dopo un fuoco acceso, un pozzo senza fondo, è il carbone dei bambini cattivi nella notte della Befana, è il brutto anatroccolo; il nero è il buio, anzi è il buio ancora più buio; il nero è silenzio, l'ombra dell'ombra, un tunnel, una galleria lunga; certo, dovrei aggiungere che il nero è anche uno schizzo, la nota di uno spartito, un vestito a festa ma non riesco a farlo; per me il nero è soprattutto un accompagnamento, un lutto, una sconfitta.


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Dal giardino Alessandro guarda sua madre seduta vicina al bassotto chiamato Infinito in omaggio a Leopardi, il suo poeta preferito. Guarda, mamma, grida Alessandro! E' sbocciata una rosa; ieri era ancora chiusa. Avevo immaginato risponde avvicinandosi a lui per guardare, stamattina c'era nell'aria un profumo di mirra, un profumo di rosa antica che già conosco.

Domande per Pericle Camuffo
Come si fa ad essere malinconici quando si ha il piacere e la gioia di andare a letto con decine di donne?
Nel modo crudo di descrivere le tue storie e i tuoi personaggi pensi di essere stato influenzato dai libri di Bukowski?


Marta si alza dalla sedia e guarda l'orologio. Ora devo andare dice rivolgendosi a Francesco che stava seduto nella poltrona accanto alla sua. Sarei rimasta ancora un poco ma devo proprio andare, la strada è lunga e presto arriva il buio. Fermati ancora un momento, sei stata tanto tempo senza venire a trovarmi, parliamo ancora un po' di noi. No, Francesco, ho paura di rimanere bloccata per strada, sento che si sta avvicinando un temporale. Strano, ribatte Francesco, le previsioni davano un tempo sereno almeno fino a domani. Non credo sia così, conosco bene l'odore della pioggia e i fischi di quando un vento si avvicina. Io e mio marito abbiamo vissuto diversi anni a Domodossola dove piove spesso e proprio lì ho imparato a sentire in anticipo, come gli animali, il rumore dei lampi e dei tuoni. Vieni a guardare disse poi avvicinandosi alla finestra, vedi quante nuvole basse? Non si vede più neppure il cielo. Si, è vero, ma fermarti almeno fino a quando cesserà il temporale. No, no, grazie Francesco, sarei rimasta ancora un poco ma devo proprio andare, mio marito e mia figlia mi aspettano per la cena e io torno sempre a casa quando è sera.


La mia piazza preferita
Forse per me sarebbe più semplice descrivere una piazza famosa vista nei miei viaggi del passato. Mi riferisco a Piazza S. Pietro, a Piazza della Città Vecchia a Praga, alla Gran Place di Bruxelles, alla Plaza Mayor di Madrid, a Piazza del Campo a Siena e a tante altre ancora, ma devo confessare che, pur nelle loro bellezza, sono luoghi che non sento miei. Sento invece più vicina a me la Piazza 24 Maggio di Cormons che negli ultimi quarantasei anni ho visto centinaia e centinaia di volte soprattutto perché ho abitato parecchio tempo da quelle parti svolgendo anche la mia attività professionale. Sulla piazza si affaccia il Palazzo Locatelli, di stile palladiano e costruito nel diciottesimo secolo da una nobile famiglia bergamasca. Qui hanno trovato degna dimora da molti anni il Municipio e l'Enoteca cittadina. In questa piazza, in verità, non ci sono bellezze architettoniche e, anche se si tratta di una copia, l'unica opera artistica di discreto valore è il "lanciatore di sassi" eseguita, all'inizio del Novecento, dallo scultore Alfonso Canciani, nato a Brazzano di Cormons. Il giovane lanciatore rivolge la mano col sasso contro il vicino campanile del Duomo e simpaticamente, quando lo guardo, mi pare di vedere in lui uno scugnizzo napoletano. La vicina fontana con i suoi zampilli è sicuramente moderna e i due bar che costeggiano la piazza, pur accoglienti, sono molto semplici. Anche i lampioni sono molto semplici ma di sera quando mi capita di passare vicino a loro ,la luce mi sembra diversa da quella degli altri lampioni, è più calda, quasi famigliare. La piazza in primavera ed in estate diventa il salotto della città e si respira un'aria mitteleuropea. Persone del luogo e turisti, in gran parte austriaci e tedeschi, all'ora dell'aperitivo e soprattutto al tramonto siedono all'aria aperta sorseggiando la bontà dei vini del Collio e gustando un piatto di buon prosciutto. In quei momenti la piazza diventa una piazza allegra, spensierata, direi felice. Le persone si scambiano sguardi, sorrisi, parole ma senza mai eccedere. Tutto è misurato. Non c'è confusione, non ci sono risate fragorose o schiamazzi come succede altrove. Anche io mi siedo ogni tanto fuori dal bar e quasi senza volere mi trovo spesso a guardare in alto e con mia sorpresa vedo il cielo che mi mostra sempre il suo colore migliore, il colore azzurro. Perciò forse io amo questa piazza. Mi affascina anche aspettare l'arrivo del vento, sentire la sua voce. Certe volte, dall'alto del Monte Quarin, la brezza giunge fino a me e mi sfiora, poi si allontana e poi ritorna. Nelle giornate afose mi provoca una sensazione gradevolissima. Sembra che porti con sé il profumo delle ciliegie, di quelle ciliegie che fino a cento anni fa, partendo dal famoso mercato di frutta della piazza, raggiungevano ogni parte del vecchio continente austroungarico. Arrivavano fino ai mercati di Vienna, di Varsavia, di San Pietroburgo. E allora immagino di vedere, come succede nei sogni, belle e giovani donne mentre, nei campi, spensierate e gioiose raccolgono le ciliegie dai rami più bassi e penso a quanto mi sarebbe piaciuto essere stato anche io un contadino e avere intonato un canto allegro insieme a loro.


Il mio animale preferito
Dicono che i nati come me sotto il segno dell'Acquario sono persone che hanno uno spirito indipendente; amano essere liberi, senza padroni, un po' come i gatti e quindi sarebbe stato per me quasi naturale avere come amico uno di questi felini o magari più di uno. Sfortunatamente mia moglie è allergica al loro pelo e quindi non li frequento molto. Ho avuto modo invece di conoscere più da vicino i cani e sono diventati i miei animali preferiti. Il mio primo cane è stato un cocker, regalato a me e a mia moglie moltissimi anni addietro. Eravamo in vacanza dai miei genitori e lo zio Giuseppe, grande cacciatore, ci regalò un cocker con cui facemmo il viaggio di ritorno da Reggio Calabria a Cormons in automobile, naturalmente con le dovute frequenti soste lungo la strada. Si chiamava Dick. Adesso c'è Camilla, un bassotto voluto da mia figlia e che ormai è diventato come la mia ombra, anzi di più perché sta con me anche quando non c'è il sole. Passo con lei tutto il tempo che non passo con l'anima e anche lei fa la stessa cosa perché dalla sensibilità che dimostra penso proprio che anche lei abbia un'anima o forse solo lei. Pur non avendo fatto io un corso per cani e lei un corso per uomini devo dire che ci capiamo molto. Io so per esempio quando lei ha fame e lei sa quando io ho sonno. Siamo in tale sintonia che in questi casi ci accontentiamo a vicenda. Io le do da mangiare e le faccio compagnia, magari con un dolce, e lei mi lascia dormire stando vicina, ai bordi del letto. Camilla ha qualcosa che io non ho e non mi riferisco solo alle sue quattro zampe rispetto alle mie due gambe, ma sto pensando soprattutto alla potenza del suo udito e del suo olfatto. Lei comincia ad abbaiare già quando qualcuno ha solo il pensiero di venire a casa mia e l'intensità del tono aumenta sempre di più man mano che la persona si avvicina. Con noi famigliari succede la stessa cosa con la differenza che il suo abbaiare non è mai molto deciso e insistente ma ha un qualcosa di tenero, di morbido, forse di affettuoso o almeno così a me pare. Per quanto poi riguarda l'olfatto Camilla è ancora più speciale. Quando la porto a passeggio lei si ferma spesso sul ciglio della strada ad annusare gli odori e si sofferma soprattutto sugli odori cattivi. Lei distingue facilmente gli odori cattivi da quelli buoni. Io invece non ho questo dono. Molte volte penso di essere accanto ad una persona buona e solo parecchio tempo dopo mi accorgo che mi ero sbagliato. Ogni tanto la porto a fare un giro in paese con la macchina. Lei si appoggia al finestrino laterale e guarda il paesaggio. Sembra una di quelle persone che dentro i pullman fanno i giri turistici delle grandi città. Ogni tanto si gira verso di me forse per chiedermi di spiegarle cosa c'è intorno a noi. Tornati a casa va a sistemarsi soddisfatta nella cuccia vicina al termosifone e attende che io le prepari qualcosa di buono da mangiare. Ci sono altre cose che avrei voluto scrivere che riguardano i cani, in particolare il mio, ma devo concludere perché devo uscire per un impegno improvviso. Avrei fatto bene a iniziare a scrivere questo breve racconto qualche giorno prima. Peccato! Oggi mi sta succedendo la stessa cosa che mi capita con le persone che mi stanno a cuore; ritardo di dire quello che provo per loro e quando poi decido di farlo è ormai troppo tardi, il tempo è finito.


Riflessione dopo la lettura della poesia "Possibilità" di Wislawa Szymborska
La prima cosa che ho fatto dopo aver letto la bellissima poesia dal titolo "Possibilità" di Wislawa Szymborska è stata quella di confrontare le preferenze della poetessa con le mie. Questo sì, questo no, questo forse e così via. Gli elenchi lunghi finiscono sempre per annoiarmi ma in questo caso non è successo. Ho cercato di capire come mai io sia rimasto incollato con curiosità quasi morbosa a leggere la poesia fino alla fine e credo di averlo capito. E' stato perché non si è trattato di leggere un mero elenco di possibilità ma nei lunghi versi mi è sembrato di vedere le storie della vita di ognuno di noi, con le nostre preferenze ,i nostri dubbi , i nostri interrogativi e i nostri desideri. Nella poesia non si parla solo di una cosa ma in tutta la poesia si percepisce sempre la stessa cosa. Un desiderio cioè di indipendenza, di libertà, di anticonformismo (preferisco le eccezioni) di amore per i deboli (preferisco i paesi conquistati a quelli dei conquistatori) di rifiuto per le regole "a prescindere" e spesso un'ironia (preferisco parlare con i medici d'altro) che rende meno pesante la profondità dei temi trattati. Questa poesia s'interroga anche sui problemi dell'esistenza ma le parole sono proposte con grande semplicità per cui non serve essere cattedratici per capire il senso e il significato del brano. In questa poesia il verso è libero come se si trattasse di uno scritto di prosa ma la musicalità delle parole scelte dà un ritmo dolce e nello stesso tempo deciso e direi quasi incalzante a tutta la poesia. Si ha l'impressione che i versi vogliano proporre qualcosa al lettore, dare messaggi da seguire, da fare propri, da provare a condividere o magari da lasciarli cadere nel nulla dopo una personale riflessione( preferisco non affermare che l'intelletto ha la colpa di tutto).In questa poesia vengono affrontati temi filosofici, enigmi esistenziali (preferisco prendere in considerazione perfino la possibilità che l'essere abbia una sua ragione) ma non ci sono momenti, per esempio, che rimandano al femminismo, come succede più volte con molti poeti donne e questo mi sembra un merito perché, secondo me, la poesia non deve essere scritta per i maschi o per le femmine ma è per tutti. Quello che mi ha molto gratificato dopo aver letto questa bellissima e originale poesia, è stato constatare che molte delle cose preferite da Wislawa Szymborska piacciono anche a me e quindi avere riscontrato che anche i piccoli poeti possono sentire dentro di loro quello che posseggono i grandi poeti. Anche questo fa parte delle "emozioni"?


Dalla finestra del castello
Era una mattina particolarmente ventosa. Era come se gli alberi, i fiori e le foglie si fossero svegliati all'improvviso da una tempesta fatta di vorticosi flussi d'aria. Intorno al castello si udivano i suoni prodotti dal vento e tutto sembrava concorrere a far nascere una sinfonia, una sinfonia ascoltata tante volte in quel luogo d'incanto.
La principessa, noncurante del vento e del freddo, anche quella mattina, assistita dallo scudiero, si avvicinò a Ribot, il suo cavallo prediletto e iniziò la sua solita cavalcata percorrendo a tutta velocità i mille e trecento metri quadrati del bosco intorno al castello, per poi rientrare piena di gioia.
Dall'alto della finestra della stanza da letto, il principe osservava ogni giorno quello che era ormai diventato quasi un rito, una piacevole visione. Seguiva con un cannocchiale la sua sposa fino a quando lei scompariva dietro una grande curva e poi rivolgeva la sua attenzione verso i giardinieri che intanto iniziavano a eseguire il loro lavoro quotidiano lungo i viali. Erano due giardinieri che rastrellavano i petali ormai in agonia delle camelie, irrigavano il giardino e controllavano, fra l'altro, con attenzione i muri tappezzati di rose e di limoni. Gli zampilli di una grande fontana davano un aspetto ancora più suggestivo alla bellezza di quel luogo e il principe, dopo colazione, trascorreva parecchio tempo ad ammirare dall'alto tutto ciò che considerava essere una sua creatura.
Verso le nove del mattino, dopo aver curato minuziosamente il suo aspetto, il principe scendeva dalla sua stanza e andava sempre a raggiungere la sua sposa ritornata dalla lunga cavalcata. Un bacio sulla guancia e poi la mano nella mano a raccontarsi, incuranti del freddo, le prime emozioni della giornata.

18/01/2017


Per uno che, come me, ha vissuto sempre in città leggere "Il Bestiario" dello scrittore messicano Juan José Arreola è stato come frequentare una serie di lezioni sul mondo degli animali, soprattutto di quelli che vivono nei boschi ,nelle paludi, nei luoghi lontani dalla quotidianità. E' stato come immergersi in una natura viva, vera ma nello stesso tempo anche fantastica, quasi surreale. Ciò che mi ha più emozionato non è stato tanto leggere la descrizione dettagliata delle caratteristiche anatomiche e delle condizioni di vita degli animali presi in esame ma è stato soprattutto scoprire quasi un po' della loro anima ed in certi casi è stato come accompagnare pagina dopo pagina il loro andare incontro ad un destino già segnato, già fatalmente deciso dalle leggi della loro natura. Mentre leggevo il libro mi sembrava di avere quegli animali di fronte a me e di percepire l'odore nauseante dei loro escrementi senza però provare repulsione o disgusto. Sentivo lo stesso effetto di quando si assume una medicina amara che però si sa essere utile per fornire all'organismo qualcosa di cui ha bisogno. Mi pareva che gli odori nauseabondi di quegli animali si attaccassero alla mia pelle senza però che sorgessero in me segni di rifiuto, di ribellione. Mi sembrava, in quei momenti, di essere anch'io un animale che vive nei boschi e nelle paludi, un ippopotamo o un orso con le sembianze di uomo e forse questo era anche l'intento dell'autore, descrivere cioè l'essere umano attraverso l'analisi del mondo degli animali. Bestiario è un libro che incuriosisce subito grazie anche allo stile dell'autore che mostra un approccio diretto, spontaneo, privo di fronzoli e di ammiccamenti. E' un libro che certamente tornerò a leggere in futuro proprio per riassaporare con la mente gli odori di quel mondo unico e affascinante, per rivedere le abitudini di quegli animali e i luoghi del loro vivere. Posso dire, con assoluta convinzione, dopo questa lettura, alleggerita e resa meno cruda dall'ironia dell'autore, di conoscere meglio il mondo di tanti animali come per esempio il carabao o l'axolotl, dei quali prima mi era noto soltanto il nome e forse neanche quello.


Ho un bassotto di nome Camilla

29/04/16
Mi guarda con occhi languidi come solo lei sa fare quando mi chiede di uscire. E' Camilla, il mio bassotto. Lei sa che a quell'ora, alle 9 di mattina, la porto con me a fare un giro in paese, ma oggi piove e non è prudente farla uscire. Quando lei cammina, il suo ventre, come quello di tutti i bassotti, tocca quasi per terra e giornate di pioggia come questa potrebbero procurarle qualche malanno. Ma lei insiste, inizia a gemere, sembra non capire perché stiamo rimanendo a casa. Mi intenerisco, la metto sul sedile della macchina ed esco con lei. Dal finestrino vicino al sedile lei guarda fuori con molto interesse. Sembra una di quelle persone che, sedute sui pullman, fanno i giri turistici delle grandi città. Questo è il parco dove prima c'era la caserma, le dico, e adesso ti porto sul viale Roma dove i ragazzi vanno a scuola. Lei non si gira, non vuole interrompere le mie spiegazioni. Poi, arrivati nella piazza del mercato, mi guarda come se volesse chiedermi cosa fa lì tutta quella gente. E' venerdì rispondo e tutti i venerdì è giorno di mercato. L'accarezzo sul collo e mi avvio senza accelerare verso casa.

30/04/16
Camilla abbaia. Guardo l'orologio. Sono le sette di mattina. Come mai è agitata così presto? E' il contadino, spiega mia moglie alzandosi velocemente dal letto. L'ho fatto venire per mettere a posto il giardino. Bene, bene le rispondo anche se avrei certamente preferito vederlo arrivare un'ora dopo. Camilla non abbaia più. In passato ha già visto quell'uomo e perciò, dopo averlo riconosciuto, si tranquillizza immediatamente. Camilla è molto curiosa e si avvicina alla porta che dà sul giardino. Vorrebbe uscire per vedere cosa fa Michele, il giardiniere. Mi assicuro che i cancelli di casa siano ben chiusi e poi la lascio andare. Per fortuna oggi non piove, il terreno è abbastanza asciutto e lei saltella felice fermandosi ogni tanto ad annusare l'erba, soprattutto quella dove sono più intensi gli odori.
01/05/2016

E' incredibile. Quando mi vesto il mio cane capisce subito, in base alla lentezza o velocità dei miei movimenti, se posso farlo uscire con me oppure se ho fretta e dovrò lasciarlo a casa. Oggi è proprio uno di quei giorni in cui non potrò portarlo con me. Per fortuna ci sono mia moglie e mia figlia che possono accudirlo. Fra l'altro sta anche piovendo e sarebbe stato complicato portarlo a fare il nostro solito giro in paese. Mia figlia è molto affettuosa con Camilla, più di me. La fa giocare nel corridoio di casa lanciandole giocattoli di pezza e quando poi è stanca la prende in braccio e l'accarezza. Giuro che non saprei dire chi è più felice tra il cane e mia figlia, forse lo sono in egual misura. Sono rientrato a casa all'ora di pranzo. Lei ha cominciato ad abbaiare prima che io aprissi il cancello. Ha un udito formidabile, come tutti i cani. L'accarezzo ed è contenta. Capisce che passeremo il pomeriggio insieme.

02/05/2016
Stamattina il cielo è grigio ma non piove. Il mio cane è già pronto per andare fuori. L'automobile però non vuole partire. La batteria è scarica e dobbiamo per forza uscire a piedi. Niente male. Ci avviamo per le strade vicino casa come abbiamo fatto tante altre volte in passato. Camilla ha delle preferenze. Fa resistenza quando voglio portarla nelle strade dove ci sono grossi cani che abbaiano e si lascia invece condurre senza problemi se mi avvio verso luoghi tranquilli specialmente se gli odori dell'erba sul ciglio della strada sono forti o addirittura maleodoranti. Grazie alla potenza del suo olfatto lei distingue facilmente se un odore è buono o se invece è cattivo. Io, al contrario, non distinguo sempre; tante volte penso di trovarmi accanto a una persona che profuma di buono ma dopo mi accorgo che avevo sbagliato completamente. Non ho purtroppo l'olfatto del mio cane. Alle 11.00 è arrivato il mio meccanico di fiducia per sostituire la batteria scarica con una nuova. Camilla ha abbaiato piano e solamente due volte. Aveva capito subito che quel signore era venuto per aiutarci.

03/05/16
Sono le otto e mezza e il sole splende come non ha mai fatto in questi ultimi tempi. Camilla si avvicina al posto dove si trova il guinzaglio per farmi capire che non vede l'ora di uscire. La prima tappa è verso il panificio per comprare il pane e la seconda alla Scuola Media di viale Roma. Devo concordare con la Dirigente Scolastica una data per consegnare, da parte del mio Lions Club, un premio alla studentessa che ha eseguito il miglior poster sul tema della pace. Camilla resta in macchina. Lascio leggermente aperto un finestrino per farla respirare bene e mi avvio verso la segreteria della scuola. Lei non abbaia. Sa che non posso portarla con me. La stessa situazione si è verificata negli ultimi anni e lei ricorda tutto. Incredibile! E' come se avesse in testa un diario dove annota tutto quello che succede e che rilegge al momento opportuno. Mi sorprende sempre di più. Lei conosce alla perfezione le mie necessità e si adatta subito. Ha aspettato in macchina circa 10 minuti. Al ritorno siamo andati a fare una breve passeggiata nella strada di campagna adiacente alla scuola. Il sole era sempre alto nel cielo, un cielo limpido e azzurro come nei migliori giorni di primavera. Tutto intorno regnava il silenzio. Si sentiva soltanto in lontananza il rumore di un trattore e vicino a noi il canto di due pettirossi che, sui rami di un ciliegio, cinguettano tra di loro. A mezzogiorno il postino ha suonato il campanello di casa per consegnarmi una raccomandata. Camilla ha cominciato ad abbaiare ed ha finito solo quando lui è andato via. Lei sa da tempo quali sono i suoi due compiti principali. Il primo è quello di fare la guardia ed il secondo quello di farmi compagnia quando non sto bene e ho voglia di riposare senza vedere nessuno.

04/05/2016
Stamattina, come spesso succede, sono andato con il mio cane a salutare i miei vicini di casa. Loro sono sempre molto gentili con me e ogni volta mi offrono il caffè con dei biscottini. I loro sguardi sono tutti per Camilla a cui sono molto affezionati. Anni addietro loro avevano un cane di nome Benny che poi è morto. Quando accarezzano il mio mi accorgo che nei loro occhi sta per spuntare una lacrima e allora racconto subito qualcosa di allegro per distrarli, per non farli soffrire. Loro hanno un giardino ben curato e non si arrabbiano se Camilla, con le sue scorribande, provoca qualche piccolo guaio nell'orto. La perdonano, le vogliono tanto bene. Oggi avrei voluto parlare un po' di più del mio cane, dire di lui cose che in questi giorni non avevo ancora detto ma nel pomeriggio ho un impegno a Udine e perciò non potrò farlo, dovrò tenere tutto per me. Peccato! La stessa cosa mi succede ogni tanto con certe persone; rimando di raccontare le cose che ho intenzione di dire loro e quando poi decido di farlo è ormai troppo tardi, il tempo è finito.

L'orologio
E' sempre stato appeso a una parete della cucina di casa fin dal momento in cui l'ho ricevuto in regalo dalla signora Brandolin, una mia vecchia paziente ed amica della famiglia di mia moglie. E' successo in occasione del mio matrimonio, nell'aprile del 1977. Si tratta di un piatto di porcellana bianca con orologio incorporato. Il piatto ha dodici centimetri di diametro ed ha i numeri romani. L'orologio è alimentato da una pila ed il quadrante è decorato con fiori gialli, verdi e rosa. Questi ornamenti sono distribuiti lungo tutto il perimetro del quadrante e i loro colori sono tenui, delicati, sfumati. Guardando i fiori da lontano si ha l'impressione di vedere dei piccoli serpenti ma poi avvicinandosi si capisce subito che si tratta solamente di fiori, fiori esotici di cui purtroppo non conosco il nome. La lancetta dell'orologio che segna i secondi è stretta e lunga ed ha un colore rosso amaranto mentre le lancette che segnano i minuti sono più corte, più spesse e di colore nero. Sul retro del piatto sono contrassegnate le parole "Le trefle Limoges Francia Noblesse Qualite tradizione Porcelaine de Limoges". Scandisce il tempo in modo preciso e si mantiene ancora in ottime condizioni nonostante abbia quarant'anni di vita o addirittura di più se si considera l'anno di produzione. Il movimento delle lancette è impercettibile e non si sente alcun ticchettio neppure nel silenzio della notte. Il gancio è costituito da un sottile ma resistente piccolo triangolo metallico. Il piatto si toglie facilmente dal chiodo attaccato al muro e si riappende altrettanto facilmente. Dire che sono molto affezionato a questo oggetto forse è dire troppo, ma affermare che lo considero alla stregua di un grande amico è sicuramente una cosa vera. L'ultima domenica di marzo quando ogni anno viene introdotta l'ora legale sono io che lo stacco dalla parete e sposto le lancette dell'orologio sessanta minuti in avanti. La stessa cosa succede nell'ultima domenica di ottobre quando viene reintrodotta l'ora solare e io riporto le lancette indietro di un'ora. Sono queste le occasioni in cui mi sento molto legato a lui. Mi viene quasi la voglia di accarezzarlo e quando muovo le lancette cerco sempre di essere cauto, di avere la leggerezza di una piuma quasi avessi paura di fargli male. Tante volte l'orologio si è fermato perché si era esaurita la batteria ma, dopo la sostituzione della pila, ha sempre ripreso normalmente la sua funzione. In quei momenti ho sempre tenuto il fiato sospeso per paura che potesse essersi fermato per sempre.

L'aereo decollò puntualmente alle ore 19.00 da Ronchi dei Legionari e insieme a mia moglie arrivai all'Aeroporto di Roma Fiumicino un'ora dopo. Alle 22,00 la coincidenza per Reggio Calabria e dopo un tranquillo viaggio l'arrivo puntuale nella mia città natale. Qualche minuto prima di atterrare, dal finestrino dell'aereo, avevo potevo ammirare lo Stretto di Messina, cioè quel braccio di mare che separa la Calabria dalla Sicilia, e anche un tratto della costa calabra e la città illuminata che si specchiava nel mare. Cominciavano in quel momento a nascere dentro di me tempeste di emozioni. Scendendo dalla scaletta dell'aereo iniziavo già a sentire addosso l'odore della mia terra, quel profumo di fiori e di limoni che avevo da tempo dimenticato. Erano passati cinque anni da quando avevo visto per l'ultima volta la mia città ma mi sembravano dieci, venti o forse più. Natale, il mio fratello maggiore, ci attendeva nella sala d'aspetto dell'aeroporto e ci accolse con un grande sorriso anche se i suoi occhi erano visibilmente stanchi per l'ora tarda. Il matrimonio del mio pronipote Davide, principale motivo del nostro viaggio, ebbe luogo il giorno dopo. La cerimonia in chiesa si svolge a Messina, città della sposa, e il pranzo di nozze in un ristorante vicino a Taormina. Quando al mattino salii sulla nave traghetto che ci portava in Sicilia un accavallarsi di immagini e di ricordi mi tornarono alla mente. Tanti momenti e situazioni che riguardavano i miei viaggi sul mare negli anni degli studi universitari proprio a Messina. Vidi scorrere, come in un film, i miei ritorni a casa dopo un esame superato e l'abbraccio dei miei genitori, le cene frugali alla casa dello studente, gli scherzi con gli amici, le ore piccole in compagnia dei libri, gli innamoramenti, le prime confidenze con l'amore. Nonostante fosse il 23 dicembre quel giorno non pioveva, non c'era vento e la temperatura era abbastanza mite. Il matrimonio fu una buona occasione per rivedere tante persone care. Oltre ai miei due fratelli e a mia sorella incontrai i cognati e poi tanti nipoti e pronipoti. Scambio di baci, di sorrisi, di gesti affettuosi. C'erano persone di tutte le età, da mio cognato Francesco di novant'anni a una mia cugina al sesto mese di gravidanza, in pratica il passato e il futuro di una piccolissima fetta di quella città. I parenti e gli amici mi parlavano spesso in italiano, per delicatezza, pensando che io avessi dimenticato il nostro dialetto. Non immaginavano che ricordavo perfettamente tutto e restavano piacevolmente sorpresi nel constatare che lo parlavo ancora come loro, come se non fossi andato mai via da quel luogo, o come se fossi stato via solo qualche mese o poco più. Il pranzo nuziale si protrasse fino a sera. Dopo il brindisi con gli sposi abbiamo potuto gustare una lunga varietà di specialità siciliane. Fra tutte, gli involtini di pesce spada alla messinese, il cartoccio di cernia con le olive, la parmigiana di melenzane e infine la torta fatta con pasta di mandorle, crema di ricotta e pan di spagna. Durante il viaggio di ritorno per Reggio Calabria sono andato per un momento sul pontile della nave a guardare il mare. Soffi di vento mi arrivavano dritti sul viso e mi scompaginavano i capelli ma io non sentivo alcun fastidio, era come se stessi sognando, la stessa sensazione di quando qualcuno ti accarezza e ti prende per mano. L'aereo per il ritorno a Cormons era nel pomeriggio del giorno dopo. Prima di ripartire avrei dovuto esaudire alcuni miei desideri e così di primo mattino mi recai in cimitero a dare un saluto ai miei genitori, poi una piccola sosta nella casa e nel giardino della mia infanzia, un sorso d'acqua nella fontana dove nella mia giovinezza, seduto nel muro a semicerchio vicino, avevo trascorso ore ed ore con i miei coetanei a parlare di calcio, di ragazze e di progetti futuri. Prima del pranzo, seduto con mia moglie in un bar del lungomare, una granita alle more con una brioche, come ai miei vecchi tempi di scuola. L'aereo arrivo puntale la sera del 24 dicembre a Ronchi dei Legionari,giusto in tempo per trascorrere la notte di Natale con nostra figlia Elena e con Camilla, il mio bassotto.
 

L'uomo saliva a fatica la strada che si inerpicava erta. Era vestito con indumenti di tela molto leggeri, portava un cappello di paglia. Sotto braccio un cavalletto e una cassettina custodia. Col caldo sudava al sole del mezzogiorno ma lui non si faceva cura. Gli occhi chiari cercavano la fine della salita dove si sarebbe fermato a pigliare fiato. Si strofinò con la manica il naso aquilino e mise a posto i suoi capelli scuri mossi dal vento. Giorgio non vedeva l'ora di mettere su tela il progetto che aveva in mente. Per questa sua passione aveva lasciato il lavoro qualche anno prima di andare in pensione. La mostra si sarebbe tenuta tra due mesi ed era quasi tutto pronto. Era la sua terza mostra perché la passione per la pittura l'aveva rapito già da molti anni. Lui amava i paesaggi e la natura viva. Aprì il cavalletto, fissò la tela e cominciò a strizzare i colori sulla tavolozza. Era entrato nel suo mondo.Giorgio conosceva i lavori di Claud Monet, di Pissaro, di Cézane e di altri famosi pittori impressionisti ma non si ispirava a nessuno di loro. Questo apparente difetto le dava però il vantaggio di guardare alla natura senza precostituite impalcature mentali. Lui fissava le immagini nella loro immediatezza, nel loro primo apparire alla retina e alla coscienza e le trasferiva tutte, come per incanto, alle sue tele. Era particolarmente attratto dagli alberi, forse perché nell'albero vedeva la sua stessa immagine. Anche quel giorno ne dipinse uno, un castagno. Del castagno amava rappresentare soprattutto la corteccia rugosa ricca di lenticelle trasversali allungate e la chioma espansa e ben ramificata. Anche quel giorno, come al solito, prima schematizzò in maniera accurata le parti dell'albero con la matita e poi aggiunse i colori realistici. Dopo tre ore, soddisfatto del proprio lavoro, rimise la tela nella custodia e prese la via del ritorno. Aveva appena superato la prima curva quando, sul lato destro della strada, notò la presenza di un cane, un cane dall'atteggiamento spaesato tanto da fargli supporre che si fosse smarrito o che fosse impaurito per qualche rumore particolarmente strano che aveva sentito in anticipo e che stava per arrivare. Giorgio non sapeva come comportarsi. L'istinto gli suggeriva di avvicinarsi subito per aiutarlo, la mente invece gli consigliava di essere prudente. Pensò come sarebbe stato più facile se anche lui avesse avuto una coda da scodinzolare per farsi capire. Sorrise. Poi decise di avvicinarsi senza fare gesti affrettati ma nello stesso tempo neanche troppo lentamente per non allarmare il cane e fargli magari pensare che volesse tendergli un agguato. Aprì la borsa dove solitamente portava la merenda quando andava a dipingere e allungò all'animale un po' di pane e prosciutto che fortunatamente non aveva consumato. Il cane sembrò tranquillizzarsi. Giorgio, per un momento, pensò di portarselo a casa e accudirlo. Era un bel cocker di colore marrone, gli occhi scuri, le orecchie penzolanti fino al garrese e un mantello folto e setoso. Subito però scartò quell'idea. Pensò al dolore che avrebbe avuto il padrone non vedendolo tornare a casa e al dolore che anche il cane avrebbe avuto non vedendo il suo padrone. Senza indugiare troppo, telefonò ai carabinieri del paese e li mise al corrente di quanto stava succedendo. Al loro arrivo, riprese velocemente il cammino verso casa con dentro di sé un forte desiderio di rivedere il suo dipinto prima che tramontasse il sole.
 

Desiderio
Una parola che mi ha sempre attratto è la parola " desiderio". E' una parola che interessa tutti perché tutti abbiamo dei desideri. Qualcuno desidera essere ricco, qualche altro desidera stare bene in salute e qualche altro ancora essere corrisposto dalla persona che ama. Tutti desideriamo essere felici e ci adoperiamo perché ciò si avveri. La cosa strana del desiderio è che appena l'abbiamo soddisfatto siamo quasi più scontenti di prima e spesso troviamo più esaltante il momento del desiderio che il momento stesso in cui esso si realizza. Ho notato nei miei lunghi anni che quando manca il desiderio si è più tristi, più malinconici. Il desiderio fa fiorire ogni cosa, il possesso dell'oggetto desiderato a volte rende invece tutto logoro e sbiadito. Ci sono in verità situazioni in cui il desiderio può diventare morbosità, disperazione, ossessione, pazzia soprattutto quando entrano in gioco i tormenti e le tempeste dell'Eros , ma è anche vero che senza desiderio ci si avvicina più precocemente e mestamente alla fine dei propri giorni. Il desiderio racchiude dentro di sé emozioni, sentimenti, passione e questo mi basta per decidere di stare sempre al suo fianco. Non voglio rischiare di diventare e vivere come un essere vegetale. Non voglio confinarmi in quell'isola piatta dove nessuno potrebbe venirmi a cercare.
 

Vento
Una parola che amo molto è la parola "vento". Al solo pensarla sento subito dentro di me un senso di libertà che mi rapisce. Il vento mi piace in tutte le sue sfaccettature. Mi piace quando d'estate soffia leggero sulle vele delle barche, mi piace quando sbatte le imposte delle finestre di palazzi antichi o fa cigolare vecchie porte facendomi tornare bambino a fantasticare la presenza di fantasmi e mi piace quando, impetuoso, trascina foglie secche e vecchi rami verso le sponde dei fiumi. Questo suo diverso modo di manifestarsi assomiglia un po' al mio temperamento e forse perciò mi attrae. Infatti anche io a volte sono paziente, mite e buono, altre volte irrequieto nell'animo, turbolento, impulsivo. Mi piace il vento perché lo sento vicino anche quando non c'è. Diventa mio complice quando soffia sui capelli di una bella donna per mostrarmi interamente la sua bellezza, diventa compagno quando sono stanco e acciaccato e lui appiccica le foglie sui vetri della finestra per donarmi un suo pensiero, diventa infine amico quando mi asciuga le lacrime se non voglio farle vedere e quando nella salita verso casa mi alleggerisce la fatica spingendo il corpo stanco fino alla meta.
 

Cielo
Una delle mie parole preferite è "cielo". Mi ha sempre affascinato il cielo, fin da bambino. Ha sempre affascinato soprattutto il mio pensiero facendolo spaziare lungo i confini infiniti dell'immaginazione. Ho parlato e scritto di lui anche senza guardarlo. L'ho immaginato coperto dalle nuvole anche quando c'era tanto sole, perché in quel momento le nuvole erano dentro di me; ho scritto che era d'un azzurro infinito anche nei giorni di pioggia o di nebbia se però il mio cuore, in quei momenti, era sereno, limpido, luminoso. Di notte vedevo e vedo ancora stelle anche quando non ci sono e la luna mi sembra a volte più vicina. Succede quando sono felice e l'attesa del domani è piacevole. Nonostante le conoscenze scientifiche degli ultimi decenni che hanno "materializzato" gli astri e la luna, per me essi non sono cambiati. Sono gli stessi di quando ero piccolo e li vedevo dall'abbaino della soffitta o di quando più grandicello, passeggiando in riva al mare, alzavo lo sguardo verso l'alto e sognavo di realizzare i miei sogni piccoli o grandi. Mi confidavo con le stelle e con la luna parlando da solo a voce alta e mi sembrava che loro ascoltassero i miei desideri e i miei sospiri. Ancora oggi, seduto accanto alla vecchiaia, faccio tante fotografie del cielo e le conservo nella mia mente. Se un giorno lontano mi capiterà di non vederlo più, potrò almeno sfogliare ancora i suoi colori.
 

La fisarmonica era poggiata a terra e l'uomo era sdraiato sulla panchina, con gli occhi chiusi. Da lontano non riuscivo a capire se dormiva o se aveva qualche malanno. Mi sono avvicinato, gli ho mosso più volte il braccio e gli ho chiesto se aveva bisogno di aiuto. Lui ha aperto gli occhi, ha abbozzato un sorriso e mi ha ringraziato. Poi mi ha detto che non stava male ma che era soltanto molto stanco. Aveva risposto in italiano ma dall'accento avevo capito che si trattava di uno straniero. Mi spiegò, infatti, che era nato a Tarnow, in Polonia, e che viveva in Italia da circa due anni. Sperava di trovare un lavoro, un lavoro qualunque, e nel frattempo andava di sera a suonare nei ristoranti della città. Cercava di raccogliere, con le offerte, i soldi necessari per sé e per la sua famiglia, rimasta in Polonia. Mi raccontò che nella sua città natale da qualche tempo non si trovava più lavoro. Io gli credetti. Mi disse che suonava la fisarmonica da molti anni e che aveva frequentato la Scuola Superiore di Musica di Cracovia. Aggiunse che, oltre alla fisarmonica, aveva imparato a suonare anche il clarinetto, strumento che poi aveva abbandonato a causa di una grave malattia alle corde vocali. Io gli credetti. Mi parlò dei suoi quattro figli che avrebbero voluto studiare musica, come lui, e che non l'avevano fatto perché nessuno in famiglia poteva pagare le loro quote d'iscrizione al Conservatorio. Io gli credetti. Mi disse che non mangiava dal pomeriggio del giorno prima e che di notte, per stare al caldo, dormiva nella sala d'attesa della stazione centrale. Io gli credetti ancora.
D'altronde, come facevo a non credere a un uomo venuto da un'altra nazione, avanti con gli anni, amante della musica, sdraiato su una panchina in una grigia giornata d'inverno, senza nessuno vicino, con gli occhi gonfi e lo sguardo rivolto verso il cielo? E se anche avesse esagerato cosa cambiava? Gli regalai venti euro e lo salutai augurandogli un futuro migliore. Dall'altro lato della strada intanto dei ragazzi e delle ragazze, seduti al bar, chiacchieravano allegramente ad alta voce davanti a delle brioches, sorseggiando caffè e succhi di frutta. Avevano in mano biglietti di treno e mi era sembrato di sentire che avevano programmato per il giorno dopo una gita a Venezia, per il Carnevale. Tante maschere, oggi, ho pensato fra me e me. Iniziava intanto a fare freddo. Abbottonai il soprabito, girai con cura la sciarpa di lana intorno al collo e mi avviai a passo svelto verso casa. Erano quasi le dodici e anch'io cominciavo a sentire un po' di fame.
 

Dalla finestra
Oggi è stata per me una giornata speciale. Dopo una notte tranquilla trascorsa in riviera, ospite di un amico d'infanzia, all'alba mi sono affacciato alla finestra per guardare il mare. A me piace guardare il mare, anche d'inverno, anche quando diventa più grigio e l'orizzonte, a tratti, sembra scomparire. Mentre lo guardavo, improvvisamente, mi è venuto un forte desiderio di andare a vederlo da vicino. Non ho saputo resistere. E' stato un forte richiamo simile a quello che si sente quando chiama l'amore. Sono uscito subito e gli sono andato vicino. Intorno non c'era nessuno. Le onde planavano sulla sabbia una dopo l'altra, qualche flutto di ritorno, un po' di risacca. Quel lieve rumore mi affascinava, mi rapiva. Mi è sembrato, ad un tratto, che il mare volesse parlarmi. Mi sono seduto sulla sabbia accanto a una barca, per ripararmi dal vento, e ho cominciato ad ascoltare. Lui ha iniziato a parlarmi dei vecchi pescatori, dei marinai, delle tempeste, dei pirati d'un tempo, dei coralli e dei tesori che sono nascosti nelle profondità degli oceani. Mi ha parlato dello spettacolo che mostrano i delfini quando giocano con le bolle d'aria e dei soffi a fontana delle balene. Ogni tanto spruzzi di acqua salata mi bagnavano il viso ma io rimanevo fermo ad ascoltarlo, come fa un bambino quando sente i racconti e le fiabe dei nonni. Le sue parole erano note musicali, somigliavano ad un canto, era il canto del mare. Mi ha parlato poi di quei navigatori che prendono il largo nelle giornate di sole, mi ha parlato dei guardiani del faro, della bellezza delle luci e dei porti delle grandi città. Non mi ha parlato di lei, forse non la conosce, forse non l'ha mai vista. Lei abita molto lontano. Il tempo è trascorso velocemente e senza neanche accorgermi si era fatto già pomeriggio. Ho lasciato la casa del mio amico e all'imbrunire sono ritornato in campagna, a casa mia. Mi sono affacciato alla finestra e da lì ho continuato a guardare il mare anche se il mare non c'era. Vedevo barche a vela che, spinte dal vento, accarezzavano le onde, vedevo gabbiani che seguivano le navi delle grandi crociere. Volavano quei gabbiani e io volavo assieme a loro.
 

Solitudine
Sono stata tutta la notte seduta su questa sedia di paglia a pensare, a riflettere e ho deciso, mia SOLITUDINE, che dobbiamo separarci. Sei stata una compagna leale, disponibile, sempre presente ma adesso devi lasciare questa casa. Ho preso questa decisione difficile, forse la più importante della mia vita, ma non tornerò sui miei passi. Mi hai spinto a vedere solo cose brutte dentro questa stanza ,attaccata con me a guardare la televisione. Una televisione ormai macchiata di rosso, di quel sangue che ci ha fatto spesso vedere. Ore ed ore a guardare omicidi, torture, vite di bambini dilaniati dalle bombe delle guerre, donne stuprate ,uomini vecchi coperti dalla terra che li aveva generati. Basta! Vai via e porta con te questa televisione con tutti i suoi orrori. Molte volte ,quando ero sul punto di uscire a guardare gli angoli del mondo, tu mi hai trattenuto con la scusa di stare insieme a meditare, a nutrire la nostra anima bisognosa, a irrobustire i nostri pensieri. Ho perso il sole del mattino, i tramonti della sera. Mi hai affascinato parlandomi dei tuoi amici poeti che hai conosciuto nella tua lunga vita come Leopardi, Pascoli, Montale, Pasolini ma per colpa tua ho dimenticato i colori dei fiori ,non capisco se ci sono ancora gli arcobaleni. Non so se gli orizzonti si sono inclinati ,se vacillano come me, piegato su questo mio corpo arrugginito dall'inattività. Forse, SOLITUDINE, ti sto offendendo troppo ma voglio essere sincero, come mi hai insegnato tu. Non voglio che tu possa pensare che questa mia decisione sia solo temporanea e per questo continuerò a dirti che non ti riconosco più, non voglio immaginare un futuro assieme a te. Il mio futuro, per quel che mi resta, deve essere nella strada, fra la gente; voglio sentire gli odori delle piazze, i profumi delle vecchie case, il respiro degli alberi nei viali. Voglio vedere i sorrisi che tu, SOLITUDINE, non mi ha mai mostrato; voglio sentire gli schiamazzi dei bambini mentre fanno i girotondi nei giardini e vedere la gioia delle loro mamme mentre, sedute sulle panchine, li osservano da vicino .Mi hai ingannato facendomi capire che l'intimità della propria casa è un dono che non hanno tutti ,che fuori ci sono pericoli continui , furti di borse, di orologi, di collane. Ma cosa me ne faccio io, SOLITUDINE, delle mie borse se sono piene di vuoto, delle collane che sono diventate scure come il colore del mio viso ? Cosa m'importa di avere l'orologio se tutte le mie ore con te sono uguali? Mi avevi promesso che dopo qualche settimana di vita in comune sarei diventata una donna più forte, sarei stata meglio, ma erano solo bugie. E' forse miglioramento non avere più amici, non ricevere telefonate d'auguri per i compleanni o per il Natale? Vuol dire stare meglio se devo aspettare la pioggia per sentirmi in compagnia , se devo ascoltare l'ululato del vento per pensare a una canzone? Basta, SOLITUDINE, vattene via! Voglio uscire sulla strada, voglio di nuovo sentire la melodia dei rumori e dei frastuoni.
 

Nessuna penitenza
Domenica di Pasqua, come ogni anno ,andrò a confessarmi nella chiesa del duomo.
Il prete mi chiederà che peccati ho commesso e io gli risponderò che ho "perso" molto tempo a scrivere poesie. All'interno della piccola grata del confessionale lui farà un sorriso (che io non potrò vedere) e
sono sicuro che poi mi assolverà senza darmi alcuna penitenza. Mi spiegherà che scrivere poesie non è peccato anzi è una cosa buona perché le poesie, aggiungerà, sono simili alle preghiere, sono preghiere laiche che scrivono la vita e cantano l'amore.
BUONA PASQUA A TUTTI !
 

San Francisco
L'occasione mi è stata data dall'invito a partecipare a un Congresso che si svolgeva in quella città. Partito da Roma assieme ad altri colleghi e ad una guida dell'Agenzia, dopo un cambio di aereo a Chicago,sono giunto nella notte a San Francisco, in California. Ero un po' frastornato a causa del diverso fuso orario ma avevo un forte desiderio di vivere quella nuova avventura.
In quei cinque giorni trascorsi in America ho seguito solo in parte il Congresso mentre ho dedicato molte ore alla visita della città.
Sarà per la suggestiva nebbia che crea giochi di luci magici e indimenticabili o per la splendida baia che la circonda ,sarà per il fascino che emana il ponte Golden Gate, saranno i multietnici quartieri o le ripidissime strade , certo è che San Francisco mi è sembrata una città entusiasmante, suggestiva, molto particolare, direi unica.
Il Golden Gate è il monumento di questa città più famoso al mondo. Si tratta di un ponte costruito nel 1937. E' di color rosso-arancione e sembra sospeso nel vuoto. Attraversa la baia di San Francisco e collega la città con il delizioso paesino di Sausalito detto "la Portofino d'America".
Il Golden Gate è stato oggetto in passato di numerosi film di successo fra cui "La donna che visse due volte" di Alfred Hitchcock, un film che ho visto più volte, interpretato dai bravissimi attori Kim Novak e James Stewart.
Una mattina, con alcuni miei colleghi, avevamo programmato di attraversare a piedi il ponte ma presto abbiamo dovuto desistere perché spirava un vento gelido con raffiche così violente che sembravano arrivare dritte al cuore. Abbiamo perciò attraversato il ponte con un autobus di linea che ci ha riportato al centro della città , precisamente alla Union Square, sede,fra l'altro, dei grandi magazzini Macy's . Siamo poi saliti su un Cable Care per un viaggio giù fino alla baia tra strade ripide e discese mozzafiato. Questi mezzi si agganciano ad una rete sotterranea di cavi che scorrono ad una velocità costante e permettono in questo modo di superare le pendenze estreme delle colline della città.
Dalla baia di San Francisco si vede la mitica Alcatraz. Sembra vicinissima eppure compare e scompare nella nebbia quasi fosse stregata. Con un tour di mezza giornata si possono visitare le celle che hanno ospitato i banditi più famosi d'America come Al Capone e Frank Morris. Interessante è stata anche la visita al quartiere più pittoresco di San Francisco,ossia China Town. Varcato il portale d'ingresso ,il celebre Dragon's Gate decorato con lanterne ,dragoni e animali propiziatori, ci si immerge subito nel cuore del continente asiatico. Al Chinetown vive la più grande comunità cinese al di fuori dall'Asia che in passato si chiuse al mondo esterno come una città nella città ,con usi e costumi che si sono tramandati nel tempo e gelosamente custoditi. Vi sono negozietti turistici con ogni tipo di souvenir ,antiche erboristerie con ogni sorta di medicine ed unguenti e nelle piazze gente che si esercita nelle antiche arti guerriere, sotto la costante benedizione delle divinità cinesi.
Oltre alla bellezza dei luoghi, mi ha colpito di questa città anche l'ospitalità dei suoi abitanti, la cordialità innata della gente del posto sempre disposta ad aiutare gli altri per qualsiasi problema. L'ultima sera, rapito dalla sua bellezza, seduto sul terrazzo dell'hotel, guardavo il cielo e pensavo.
Mi trovavo lontano diecimila e settecento chilometri da casa mia eppure mi sembrava di respirare l'aria del mio giardino, sentivo parlare una lingua straniera e mi pareva di ascoltare il dialetto della mia città, dalla baia arrivava un profumo di mare che mi ricordava …., poi la nostra guida ci chiamò, dovevamo riprendere il volo.
 

Un pezzo di pane sul tavolo
Da molto tempo ogni sera, quando sto finendo di cenare, lascio da parte sul tavolo un pezzo di pane per metterlo all'indomani , di prima mattina, sul davanzale della finestra . Un pettirosso viene puntualmente a nutrirsi e io compiaciuto lo guardo da dietro il vetro della cucina, senza farmi vedere, per non impaurirlo. L'altro giorno ho visto che quel pettirosso, invece di mangiare, ha messo il pezzo di pane nel becco ed è volato subito via. Ho pensato che lo stesse portando alla sua mamma vecchia e malata e così da quella volta metto sempre sul davanzale due pezzetti di pane, uno per lui e uno per la sua mamma.
 

Un uomo che passa in bicicletta
-Carlo, chi è quell'uomo?
Quale?
-Quello che sta passando in bicicletta.
E' un signore che ogni giorno, all'ora del pranzo, va a trovare la sua mamma che vive in Casa di Riposo.
-Ogni giorno?
Si, anche con il vento e con la pioggia. Percorre 7 chilometri all'andata e 7 chilometri al ritorno.
-Ma non ha la macchina?
Non credo; penso che non abbia le possibilità economiche per comprarla.
-Poverino, è più sfortunato di noi .
Non direi, caro fratello. E' vero che lui non ha l'automobile per ripararsi dalle intemperie ma la sua mamma è viva e lui può ancora coccolarla, mentre noi abbiamo la macchina ma non abbiamo più la nostra mamma.
 

Quattro passi
Mi capita spesso di uscire, prima di sera, per fare quattro passi nel paese. Da quando c'è il divieto di fumare nel chiuso dei locali ,vedo fuori dai bar diversi uomini che bevono tranquillamente i loro buoni boccali di birra. Molte volte li vedo sorridere e immagino che si divertano a raccontare qualcosa di buffo che è successo loro durante la giornata di lavoro o che stiano facendo qualche commento su storie di donne e di motori. In genere li guardo quasi furtivamente, entro nel bar, prendo un caffè e poi esco riprendendo il mio solito cammino. Più di una volta mi è venuta la voglia di avvicinarmi, di unirmi a loro ma non ho finora avuto il coraggio o meglio la determinazione di farlo. Sono certo però che presto accadrà. Mi interessa molto capire, infatti, cosa si nasconde veramente dietro quelle risate e sono anche curioso di sapere se prima di uscire loro aprono, come me, le finestre di casa per lasciare che il vento porti via tutte le preoccupazioni e i tristi pensieri .
 

La finestra rotta
La finestra rotta e tutti quei pezzi di vetro sul pavimento facevano pensare a qualcosa di violento, forse a un'aggressione, un tentativo di furto, non certamente alla furia del vento visto che quel giorno non c'era stato alcun temporale. La conferma venne proprio dalla padrona di casa, una signora piuttosto anziana che, seduta sul divano del salotto, stava raccontando ai carabinieri cosa le era successo. <<Ha visto in faccia l'aggressore >>? chiese l'appuntato rivolgendosi alla donna ancora visibilmente scossa. Non bene, rispose; quell'uomo aveva il volto coperto da una calza di nylon. Era comunque un giovane, sui 30 anni, non troppo alto.<< Ha sentito la sua voce>>? << Le ha detto qualcosa >> ? continuò a domandare il carabiniere. Mi ha chiesto di aprire il cassetto dei gioielli e di consegnare il denaro che avevo, minacciandomi con un coltello. La sua voce non era chiara, continuò. Mi si è sembrato comunque che fosse la voce di qualcuno venuto da lontano. Va bene, signora, conclusero i due carabinieri dopo aver riempito il verbale; faremo le nostre indagini e vedrà che troveremo il colpevole. Dopo averli accompagnati alla porta e ringraziati ,la signora si mise nuovamente a sedere sul divano .Poi, come nelle scene di un film, ripercorse tutti i terribili momenti passati poco prima. Un'immagine, più delle altre, le balzò davanti agli occhi. Era il tatuaggio sul polso interno della mano destra di quel giovane che l'aveva derubata. Raffigurava una semiluna a forma di C. Era lo stesso disegno che aveva già visto sul polso di Carlo, un tossicodipendente, figlio di Marianna, la sua migliore amica. Probabilmente, pensò, era stato lui a rubarle soldi e gioielli per potersi comprare la droga. Cominciò a piangere e mentre le sue lacrime bagnavano un viso sempre più scarno e pallido, dalla finestra senza vetri cominciò a entrare un'aria gelida e pungente. Avvolse allora le sue spalle con un pesante scialle di lana e si avviò verso il letto. Capiva facilmente che sarebbe stata una notte molto fredda. Ma poi improvvisamente cambiò idea e decise di uscire di casa. Non se la sentiva di restare seduta più a lungo in quel salotto, teatro di un'avventura che difficilmente avrebbe dimenticato. Impulsivamente, senza sapere ancora cosa avrebbe fatto o detto, decise di andare dalla sua amica Marianna, anche lei vedova e che abitava nella stessa via .Suonò il campanello ma stranamente nessuno rispose. In genere, a quell'ora, la sua amica stava sempre a casa a guardare la televisione. Suonò più volte ma sempre senza esito. Ritornò così mal volentieri verso casa. Aveva appena varcato la porta d'ingresso, quando sentì squillare il telefono. Sollevò subito la cornetta. Qualcuno la stava avvisando che in un incidente stradale era morto Carlo, proprio il figlio della sua cara amica. Non riuscì a piangere, ma giurò a se stessa che non avrebbe mai raccontato a Marianna quello che era accaduto in quella terribile giornata.
 

Camminare
Avevo percorso solamente una decina di metri del viale alberato che poi conduce in campagna quando, senza minimamente aspettarmelo, mi sentii salutare. Era una voce che mi sembrava di conoscere. Mi girai e vidi infatti che si trattava di un mio vecchio amico. Ciao Michele, risposi, abbozzando un sorriso. E' da un po' di tempo che non ti vedo. <<Vai anche tu a camminare>>? continuai. <<Si>> disse, con un viso gioioso che si intonava perfettamente con la sua bella tuta colorata. Il riposo, la tranquillità e i tanti gelati delle vacanze ,aggiunse, mi hanno fatto mettere su parecchi chili e per eliminarli ho pensato di fare un po' di attività fisica.<<Che ne dici>>? Fai benissimo, mio caro. Anch'io ho lo stesso problema .Andiamo!
Cominciammo così a camminare lungo il viale, l'uno vicino all'altro, con naturalezza, con semplicità, spalla a spalla, come se quell'andare insieme fosse una nostra abitudine consolidata già da tempo. <<Vedi sempre le partite di calcio>>? mi chiese ,senza ridurre l'andatura che per la verità non era molto veloce. <<Si>> risposi, ma solo in televisione .Guardo soprattutto le partite più importanti o quelle più piacevoli dei campionati stranieri.<< E tu giochi sempre a bocce>>? chiesi .Meno, molto meno, rispose, con un timbro di voce languido che sembrava nascondere un po' di malinconia. Il proprietario dei campi è ammalato e dovrò aspettare la sua guarigione prima di poter riprendere a giocare.
Senza farci caso, avevamo ormai lasciato alle spalle il viale ed eravamo giunti in aperta campagna. Alla fine della salita ci fermammo brevemente per prendere fiato come fanno i ciclisti quando arrivano sulla cima di una montagna e rallentano la corsa per respirare un attimo a pieni polmoni. Imboccammo poi ,con passo più sciolto, quella discesa che ci avrebbe ricondotto al punto di partenza. Domani comincia il festival di Sanremo continuai, con voce potente, come a voler dimostrare che non ero affatto stanco. Si, lo so, mi ha informato mia moglie. Lo vedrò anch'io continuò Michele, senza tuttavia mostrare eccessivo entusiasmo. Piano piano raggiungemmo il punto da dove eravamo partiti e dopo ancora qualche minuto di conversazione ci salutammo affettuosamente, augurandoci l'un l'altro buona giornata.
Quando rimasi solo ,però ,mi accadde una cosa molto strana. Fui assalito ,improvvisamente, da un senso di tristezza, di delusione ,di angoscia, un qualcosa che non avevo mai provato nei giorni precedenti dopo le camminate fatte da solo . Ripensai velocemente ai discorsi fatti poco prima col mio amico, ma mi resi subito conto che nulla di quanto avevamo detto poteva essere la causa di quel mio stato d'animo così malinconico, inquieto, quasi turbato. Percorsi a passo sostenuto l'ultimo breve tratto di strada che mi separava da casa e dopo aver lasciato sull'uscio le scarpe da ginnastica, piene di terra, entrai salutando dolcemente mia moglie.
<<Com'era oggi la campagna>> ? mi chiese lei quasi a bruciapelo.
All'improvviso, come per incanto, capii quale era il motivo di quel disagio, di quel fastidio, di quella insoddisfazione che ancora mi possedeva. Avevo passato tutto il tempo a camminare con Michele parlando di calcio, di bocce, di festival di Sanremo ma avevo ignorato, dimenticato, trascurato la natura che stava ai lati della strada. Mi ero completamente disinteressato di lei. Non avevo ascoltato i suoni, non avevo osservato i suoi colori . Non avevo guardato il cielo, non avevo notato che le pesche sugli alberi avevano assunto quel color porpora di quando diventate mature, che molte rose erano sbocciate e che uccelli festosi allietavano i rami e le foglie coi loro cinguettii. Non mi ero accorto che tanti chicchi verdi si erano già tinti di blu ,come accade nei giorni che precedono l'autunno, e che su una pietra assolata una lucertola sveglia stava assaporando felice i teneri raggi di quell'ultima fetta d'estate.
 

Dicembre
Era stata una buona idea, ho pensato, quella di andare ad ascoltare il Coro di voci della chiesa del paese. Da molto tempo, infatti, non ricordavo un'emozione così forte, una sensazione piacevole come quella che si prova quando si sta accanto al focolare e fuori è molto freddo o quando si incontra un amico che non si vedeva da anni .Il concerto era durato un'ora, volata via come un soffio di vento. Forse era stata la vicinanza del Natale a rendere l'atmosfera ancora più mistica, magica, quasi surreale; un'atmosfera che aveva avvolto, come un mantello, il mio corpo e forse anche l'anima. Se non ci fosse la musica continuavo a pensare tornando verso casa, il mondo sarebbe certamente meno bello e tra me e me già pregustavo il prossimo concerto a cui avevo deciso di partecipare per l'inizio del nuovo anno. Le giornate festive del Natale mi avevano fatto quasi dimenticare il mio successivo importante appuntamento ma l'ultimo giorno dell'anno avevo cominciato ad entrare in agitazione e ad immaginare quello che sarebbe potuto succedere il giorno dopo nel Teatro Comunale dove era in programma il Concerto di Capodanno. Il depliant che mi avevano consegnato assieme al biglietto d'ingresso illustrava dettagliatamente il programma, molto nutrito, fatto di musiche di Ludwig van Beethoven, Giacomo Puccini, Gaetano Donizetti e Giuseppe Verdi. I musicisti venivano da Praga e il direttore d'orchestra era indiano.
Come era facile prevedere, fu una mattinata incantevole non soltanto per me, ma naturalmente per tutto il pubblico presente. Ovazioni ed applausi scroscianti che raggiunsero il culmine dopo l'esecuzione della Bohème di Puccini e della Traviata di Giuseppe Verdi. L'emozione da me provata era stata molto più forte e coinvolgente rispetto a quella provata pochi giorni prima nella chiesetta del paese ma la gioia era stata uguale, grande, quasi incontenibile, simile a quella che si prova negli anniversari e nelle feste di famiglia.
La capacità dell'uomo di produrre musica, poesia, pittura e di gioire delle cose, anche quando non portano vantaggi o utilità economici, la partecipazione dell'anima alle bellezze del creato sono, ho pensato, alzandomi dalla poltrona e continuando ad applaudire, uno di quei motivi che danno un significato e un senso al nostro esistere e che mettono l'essere umano al centro dell'armonia del mondo.
 

 Golden Gate
Ero già mentalmente pronto a gustarmi la partita in TV, seduto sulla mia comoda poltrona, quando squillò il mio cellulare e sul display apparve il nome di Carlo.
Sei libero stasera? Vuoi venire al cinema con me ? Anche se quella telefonata
aveva scombussolato il mio programma, risposi subito di si. Carlo era ed è un mio caro amico e non volevo rifiutare l'invito. Non potevo dire di no. Per giunta lui era in momento difficile e non volevo procurargli un dispiacere. Da poco più di una settimana si era lasciato con Donatella, la ragazza che aveva frequentato per quasi un anno. Lei non è una ragazza bellissima ma è simpatica,allegra, intelligente, dolce. Erano state proprio queste qualità che lo avevano attratto durante i loro incontri al corso di scrittura creativa. Ma poi gelosia ed incomprensioni,come talvolta accade, avevano fatto concludere il loro rapporto d'amore. Avevo accettato l'invito di Carlo senza neanche chiedere il titolo del film. Ci sarei andato anche se si fosse
trattato di un film per bambini o fosse stato sconsigliato agli ultrasessantenni. L'importante, in quel momento, era stare vicino al mio amico. Non mi ero mai propriamente trovato in una situazione simile alla sua ma riuscivo ugualmente a immaginare il turbamento che gli aveva procurato quell' esperienza andata male. Come concordato passò a prendermi dopo mezz'ora e con la sua macchina raggiungemmo in breve il cinema Ariston.
Durante il tragitto non parlai di Donatella per non turbarlo prima di un momento che voleva e doveva essere un momento di tranquillità e di svago. Anche lui fece la stessa cosa e parlò soltanto dell'ultimo libro che aveva letto. C'era abbastanza gente in sala ma non il pienone dei sabato sera per cui scegliemmo senza difficoltà il posto da noi preferito. Il film si svolgeva nella città di S. Francisco, in California. Si trattava per fortuna di un film giallo, il genere che più mi piace. Rimasi attento tutto il tempo e la trama era così avvincente che, per non perdere nulla, rimandai all'intervallo la mia breve visita alla toilette. Carlo era rilassato ,sembrava contento. In sala regnava un religioso silenzio. Ti piace? gli chiesi. Molto, rispose abbozzando un sorriso. Alla fine, soddisfatti e contenti, riprendemmo la strada di casa. In macchina convenimmo che la scena più bella era stata quella in cui l'attrice principale si era tuffata, come per suicidarsi, nella Baia di S. Francisco, nel tratto di mare situato vicino al Golden Gate Bridge, il ponte che sovrasta lo stretto che collega la stessa Baia con l'Oceano Pacifico. Il tentativo della donna non era riuscito per il pronto intervento di un uomo innamorato che l'aveva seguita di nascosto. Un gesto simile,in genere, provoca tristezza e malinconia nello spettatore ma la fine nebbia che aleggiava sul ponte della Baia aveva qualcosa di misterioso e di surreale che rendeva la scena
non solo affascinante ma anche molto gradevole. Grazie , mi disse mentre scendevo dall'auto. Figurati risposi. Grazie a te per avermi preso e riportato a casa con la tua macchina. Ci sentiamo domani continuò. Buona notte.
Entrato a casa, andai subito a vedere come si era conclusa la partita di calcio che non avevo potuto vedere. Era finita in pareggio, zero a zero. Nessuno sconfitto, almeno lì.
 

Ciao Toto', come stai? Antonio si voltò di scatto ma non vide nessuno .Chi lo aveva chiamato Totò? Da dove era venuta quella voce e soprattutto perchè , dopo 40 anni che tutti lo chiamavano Antonio , qualcuno adesso lo aveva chiamato Totò, cio è col vezzeggiativo che gli veniva dato da bambino? Si guardò nuovamente intorno ma era solo. Gli balenò allora nella mente l'idea che quella voce potesse essere giunta dall'aldilà. Forse era suo padre che voleva ricordargli un anniversario di morte e sollecitarlo a portargli un mazzo di fiori . Forse era lo zio Giuseppe che voleva ringraziarlo per la partecipazione al suo recente funerale . Non sapeva darsi una spiegazione. Quell' improvviso e imprevisto saluto lo aveva scosso abbastanza . In cuor suo sperava che tutto fosse solamente frutto dell' immaginazione ma si rendeva conto che era una possibilità molto remota. La voce era stata abbastanza forte e chiara. Erano appena le 10 di un dolce sabato mattina. Nonostante fosse una giornata bellissima Antonio, a quel punto, confuso e nervoso, voleva tornare a casa. Non voleva più recarsi nel vicino Supermercato per comprare un nuovo cellulare, come aveva programmato già da qualche settimana.
Si fece però coraggio e ricominciò a camminare dirigendosi verso il negozio prescelto girando spesso la testa indietro col rischio di farsi venire un brutto torcicollo. Sperava di vedere qualche persona a lui conosciuta che potesse fargli risolvere l'enigma e nello stesso tempo intendeva anche controllare di non essere seguito da qualche malintenzionato. Dopo circa 5 minuti giunse Supermercato e , superata velocemente l'entrata, si diresse a passo svelto verso il reparto di elettronica. L'idea di entrare presto in possesso di un nuovo telefonino sicuramente più moderno e più completo , munito di numerosi giochi,di radio,funzione tv, fotocamera digitale, suoneria polifonica con lettore multimediale e in grado di inviare e ricevere E-mail , lo aveva per cosi dire rapito e distolto da quanto era accaduto poco prima. Parlava con l'addetto del negozio chiedendo delucidazioni e ascoltava attentamente le risposte tecniche dello stesso impiegato chinando la testa in segno di assenso ogni qualvolta comprendeva perfettamente ciò che gli veniva detto. Dopo aver deciso quale cellulare comprare , Antonio si avviò verso la cassa. Teneva il cellulare ultrasottile sul palmo della mano come fosse un pulcino bagnato e lo trattava con molta attenzione e cura ,con quella dolcezza che si presta ad un oggetto appena acquistato o ad un regalo appena ricevuto. Il sorriso sulle labbra era lo specchio della sua contentezza e questa sensazione le rimase anche dopo aver pagato un conto leggermente superiore alle sue intenzioni . Ritirato lo scontrino comprensivo di garanzia uscì dal negozio con la stessa fretta con cui era entrato senza guardare neanche di sfuggita gli oggetti degli altri reparti , soddisfatto e quasi orgoglioso dell'ottimo acquisto .
Varcata la soglia, improvvisamente , gli tornò alla mente quel "Ciao Totò, come stai?" Cominciò a passare in rassegna nella mente le figure delle persone, più vicine a lui , che lo chiamavano ancora Totò con l'intenzione , se mai fossero state poche, di mettersi eventualmente in contatto con loro per tentare di esorcizzare in qualche maniera quanto le era capitato.
Antonio era un tipo pragmatico, legato alla realtà. credeva solo a ciò che toccava o vedeva. Era come San Tommaso. Non aveva mai creduto agli Ufo, al Paranormale,ai numeri del lotto dati e ricevuti nei sogni,agli oroscopi in cui Venere entra in Sagittario o i Gemelli nel Cancro. Credeva nei prestigiatori solo perché sapeva che nei loro giochi c'è si il trucco ma,in fondo, tutto è dimostrabile. Quel saluto ascoltato prima non solo lo aveva turbato ma le aveva dato anche enormemente fastidio. Lo considerava un' indebita intromissione nella sua sfera personale, un' ingerenza nel suo intimo passato , l'invadente intrusione di una persona o di qualcosa che non sapeva ancora decifrare e che involontariamente stava imprigionando la sua mente. Accompagnato da questo ginepraio di pensieri si avviava verso casa. Un abbaiare di cani attirò la sua attenzione. Nel grande parco di fronte a lui c'era un raduno cinofilo. Si avvicinò curiosamente e fu attratto piacevolmente dalla moltitudine di cani che partecipa all'evento. C'erano bassotti a pelo corto,volpini,levrieri a pelo lungo, terrier di varie taglie ,pechinesi, insomma cani di tantissime razze .Fra gli spettatori,accompagnato dal suo padrone,anche un meticcio che protestava abbaiando, per non essere stato ammesso alla gara .
Antonio guardò l'orologio. Mancavano 10 minuti alle 12. Pensò di fermarsi ancora un momento per assistere alla dimostrazione tecnica dei cani del Nucleo Carabinieri. Improvvisamente fu attratto dalla presenza di un robusto cane nero, abbastanza alto e con la coda corta. Anche se non era un esperto di cani, ne sapeva tuttavia abbastanza per capire che si trattava di un Rottweiler . Il cane si avvicinava con un'andatura dapprima dinoccolata ma poi sempre più lesta e con la chiara intenzione di azzannarlo. Era arrivato a pochi centimetri da lui quando si senti un forte urlo. Antonio ,spaventatissimo, si era svegliato dal brutto sogno. In un solo momento era terminato l'incubo.
Tirò un grossissimo respiro di sollievo e fu immensamente felice di ritrovarsi ancora sano e vegeto e per giunta, cosa per lui non da poco, senza la necessità di dover risolvere il mistero di quel saluto che l'aveva tormentato per tutta la durata del sogno. Di una sola cosa Antonio era dispiaciuto. Non aveva con se il nuovo fantastico cellulare
 

E' tornata la pioggia
La pioggia è finita, Stefano guarda il cielo. Ancora non sa che oggi incontrerà Giulia. Si apre il giaccone e prende il cellulare dalla tasca interna sinistra. Chiama il suo amico Francesco per avere notizia della mamma malata . Sì Stefano, mia mamma è ricoverata all'ospedale. Cosa le è
successo ? Ha una broncopolmonite e si trova nel reparto di Medicina ,al terzo piano. Posso andare a trovarla? Senz'altro risponde Francesco. Ci vediamo pomeriggio alle cinque davanti all'ingresso principale dell'Ospedale Civile. Stefano ,come tante persone, frequenta mal volentieri i luoghi dove la gente soffre ma in questo caso ha piacere di andare a trovare la cara signora Maria.
E' molto affezionato a lei .Quando studiava a casa loro, ai tempi del liceo, la mamma di Francesco spesso interrompeva momentaneamente i loro studi portando delle tazzine di caffè con fette di dolci che preparava lei stessa in cucina e che lasciavano nell'aria per diverse ore un gradevole profumo di vaniglia . Ancora adesso, nonostante siano passati molti anni, va ogni tanto a salutarla e a fare volentieri due chiacchiere con lei. Alle 5 di quel pomeriggio ,dopo aver posteggiato l'auto nel parcheggio esterno dell'ospedale, Stefano s'incammina verso l'ingresso principale .
Con grande sorpresa s'accorge,già da lontano, che vicino a Francesco c'e una donna . Gli sembra di conoscerla . Si stropiccia gli occhi e fa ancora qualche passo in avanti per vedere meglio e per essere sicuro di non sbagliarsi . No, non si sbaglia. E' Giulia , la ragazza con cui anni prima aveva condiviso sorrisi e carezze e che lui pensava fosse in quel momento a Londra. Grazie alla laurea in psicologia ottenuta col massimo dei voti e alla buona conoscenza della lingua inglese , lei aveva trovato lavoro in quella città come Direttrice di una Casa di Riposo. Proprio il suo trasferimento in Inghilterra era stata la causa della rottura del loro rapporto. Sapeva che Francesco era un amico di Giulia ma non avrebbe mai immaginato di trovarla li, con lui.
Due dolori in un solo momento; la grave malattia della signora Maria e il triste ricordo della fine dell'amore con Giulia.
Le sue mani cominciarono a tremare e gocce di sudore bagnarono la sua fronte. Anche l'anno prima, in occasione della morte del padre, aveva avuto lo stesso tipo di malessere. Pensò che non sarebbe stato in grado di affrontare due situazioni emotive così stressanti. Girò le spalle e come un ladro che teme di essere scoperto si allontanò senza mai voltarsi. Dopo aver percorso un centinaio di metri verso l'uscita aprì il giaccone, afferrò il cellulare con la mano ancora un po' tremante e chiamò Francesco . Andrò domani dalla tua mamma,disse. Non aspettarmi,scusami; mi hanno chiamato d'urgenza in ufficio. Hanno dimenticato di chiudere una finestra . E' tutto allagato …è tornata la pioggia.
 

Autobus
Paolo quella mattina lasciò l'auto dal suo meccanico di fiducia per un tagliando di controllo già programmato e prese l'autobus. Non gli era sembrato il caso di chiamare un taxi e spendere almeno 30 Euro dal momento che l'autobus n° 6 aveva una fermata proprio vicino l'officina e un'altra nei pressi dell'Agenzia di Viaggi "Globe" dove lui lavorava come vicedirettore.
Erano le 8 e mezzo di mattina e l'autobus era abbastanza pieno.
Come in tutti gli autobus delle grandi città c'erano uomini e donne di tutte le età , di ogni ceto sociale e anche di nazionalità diverse. Quello che attirò subito l'attenzione di Paolo fu la figura di
una giovane donna .La notò facilmente perché si era trovato per caso a reggersi in uno dei sostegni situato di fronte a lei. Non era molto alta ma sicuramente superava il metro e settanta .Era piuttosto magra ,aveva gli zigomi alti e sporgenti,il naso sottile, gli occhi grandi di colore celeste e i capelli scuri, scuri come la notte. Indossava un vestito semplice ma nello stesso tempo raffinato, leggermente scollato, di colore blu. Paolo calcolò che avrebbe potuto avere tra i 25 e i 30 anni, certamente qualcuno meno di lui .
Gli era venuta subito una gran voglia di attaccare discorso ma capiva che non era il caso.
C'erano diverse persone vicino a loro e avrebbero potuto giustamente pensare che lui fosse uno scocciatore,un maleducato,insomma un villano se non addirittura il complice di qualche borseggiatore. Mentre faceva mentalmente queste considerazioni s'accorse con grande stupore e altrettanto piacere che la ragazza gli sorrise. Poteva essere un sorriso di circostanza, un segno di timidezza, ma era pur sempre un sorriso. Avrebbe potuto farne a meno pensò, magari girarsi da un'altra parte facendo finta di guardare la strada e invece no, gli aveva sorriso e anche chiaramente. Forse la ragazza voleva giocare , voleva divertirsi a vedere la sua reazione . Per capire meglio che significato dare a quel sorriso pensò di attendere qualche secondo e mentre si compiaceva con se stesso per quella decisione , in verità anche per lui abbastanza normale,l'autobus si fermò. Non era stata una fermata come le solite ,era stata una fermata brusca, improvvisa che aveva fatto oscillare i passeggeri in avanti , poi indietro. Era stata una fermata obbligata. In quel momento, in via dell'Appennino dove l'autobus era giunto , decine di persone manifestavano con bandiere e altoparlanti per qualcosa che si capì poco dopo. Erano maschi e femmine, operai di una fabbrica di cappelli, che protestavano per la chiusura dello stabilimento e per aver perso il posto di lavoro.
Tutti i passeggeri avevano portato lo sguardo oltre i finestrini per vedere meglio cosa stesse succedendo . Anche la ragazza si era girata e proprio in quel momento Paolo si accorse che sul collo di lei, proprio sotto l'orecchio sinistro, c'era un piccolo tatuaggio. Era il disegno di una nota musicale,forse un sol in chiave di violino, che lui prima non aveva notato. Il disegno di una nota musicale non aveva per lui significati particolari anche se amava molto la musica ma ,a quella vista, il suo corpo fu istantaneamente percorso da un forte brivido. Era una cantante,una corista,una musicista ? Fu travolto dalla curiosità e decise in quel momento che avrebbe cercato in ogni modo di conoscere quella ragazza. L'autista ,dopo qualche minuto di sosta forzata, avvertì i viaggiatori che era stato bloccato il traffico e non poteva prevedere quanto ritardo si sarebbe accumulato per quella situazione. Continuò a maneggiare il microfono dicendo che per questo motivo,eccezionalmente, si sarebbe accostato vicino al marciapiede di destra e avrebbe permesso di scendere a chi lo avesse voluto.
Paolo seguì con lo sguardo la ragazza cercando di essere indifferente. In cuor suo sperava ardentemente che scendesse per poterle parlare, cosa che però fece subito. Dispiace disse, rivolgendosi a lei, assistere a queste scene; è molto triste vedere persone che perdono il posto di lavoro e che non hanno sicurezze per il loro futuro. E' vero , è vero rispose lei in tono quasi amichevole avviandosi verso la porta di uscita dell'autobus. Paolo la seguì subito. Era quello che stava aspettando e che desiderava. Scesero stando vicini e accodandosi alla piccola fila di persone che voleva uscire. Da che parte va ,chiese lei incrociando il suo sguardo ? Dalla stessa parte sua rispose lui sempre meno sorpreso. Mi chiamo Paolo aggiunse allungando la mano. Io Alena , Alena Petrova rispose lei e tra i rumori assordanti della folla s'incamminarono verso…
 

Ragazza che esce dal bar
Mi sembrava di avere già visto quella ragazza appena uscita dal "Caffè Massimiliano" che si muoveva con naturale scioltezza camminando con le cadenze di una ballerina. Era sicuramente un volto che avevo già incontrato anche se non riuscivo a focalizzare il momento,il luogo o la circostanza in cui l'avevo notato.
I lineamenti perfetti del viso,il colore verde degli occhi,i capelli biondissimi ,un'altezza superiore al metro e settanta e il corpo snello erano delle caratteristiche che non capita facilmente di vedere nella stessa persona. Osservandola da vicino mi sembrava di entrare e di essere rapito in un mondo fatto di fiabe e di fate a dispetto della polvere e dei sassi presenti nel marciapiede e dei rumori che provenivano dalla piazza vicina .Mentre ripercorrevo velocemente nella mente gli anni della mia gioventù per cercare di immaginare,come per gioco, a quale delle ragazze che avevo conosciuto potesse assomigliare, il mio cagnolino cominciò a tirare il guinzaglio. Era stufo di continuare a stare fermo lì senza che ci fosse per giunta un albero vicino per soddisfare le sue necessità fisiologiche . Improvvisamente ecco arrivare e fermarsi accanto a me un' automobile sportiva. Era Francesco , il mio vecchio barbiere che non vedevo da qualche anno e precisamente da quando con la famiglia era andato ad abitare nel paese vicino. Dopo avermi salutato affettuosamente mi chiese se avessi visto uscire sua figlia dal bar dove, aggiunse, lavorava come cameriera. Con la velocità di un fulmine ricordai allora di aver visto quella ragazza proprio la settimana prima quando insieme al mio amico Giacomo ero entrato in quel bar a prendere un caffè. Lei era la cameriera che ci aveva servito al tavolino. Risposi che avevo visto uscire sua figlia proprio un minuto prima e che mi pareva (ma io naturalmente ne ero sicuro) di averla vista girare l'angolo a destra.
Mi ringraziò e prosegui velocemente con la sua Alfa Romeo ed io, abbracciato al guinzaglio del mio amico fedele , ripresi il cammino lungo la strada di casa.
 

Sala d'attesa
C'erano diverse persone sedute nella sala d'attesa del pronto soccorso dell'Ospedale quando arrivai quella domenica mattina dello scorso dicembre per accompagnare ed assistere un'anziana amica di famiglia. Mentre assieme a mia moglie aspettavo che il personale sanitario mi chiamasse per darmi notizie di lei , un signore anziano attirò la mia attenzione . Mentre infatti nella sala d'attesa tutti avevano un atteggiamento pacato ,silenzioso, quasi religioso, quel signore anziano o per meglio dire vecchio, era invece molto vivace. Forse perché affetto da demenza senile , forse perché cercava di farsi coraggio o magari perché voleva intrattenere a modo suo i pazienti e i loro famigliari , certo è che il suo parlare a voce alta alternato a risate, a volte anche fragorose, aveva catturato l'attenzione di noi presenti , sempre più perplessi e increduli. In altre occasioni mi sarei alzato e avrei chiesto a quel signore di smetterla ,almeno con le risate, ma quella mattina rimasi zitto di fronte a quanto osservavo. In fondo, forse inconsciamente , capivo che quella scena aveva il potere di distrarmi dai miei pensieri cupi sulla salute della nostra amica e di allontanare , almeno per un po', il mio dolore per quello che temevo potesse presto succederle.
 

Il tempo stava finendo
Il tempo stava finendo e c'era una sola macchina parcheggiata. Era la sua .L'ispettore e gli altri due
poliziotti erano andati via . Era rimasto solo. Mancava un'ora all'ultimatum fissato dai rapitori per
pagare il riscatto di sua moglie. Doveva decidere in fretta. Sapeva che non poteva contattare i
sequestratori perché il suo telefono era sotto controllo ma la cosa più grave era non avere in
casa l'ingente somma di denaro che gli era stata richiesta . Era frastornato. Aveva trascorso una
giornata infernale tra telefonate dei rapitori e le visite frequenti del commissario di polizia.
La sua mente era confusa . Le ore della notte intanto correvano. Era sempre più buio.
Sperava in cuor suo che la moglie riuscisse a convincere i sequestratori a lasciarla
andare oppure che in qualche modo potesse scappare da dove era rinchiusa. Una
speranza vana , un'illusione. Vinto dalla stanchezza ,seduto sul divano, chiudeva momentaneamente
le palpebre sempre più gonfie e pesanti. Riuscì a dormire per quasi un'ora. Al mattino
l'ispettore venne a portargli la cattiva notizia. Prese allora dalla scrivania la foto della moglie
e la guardò a lungo. Accompagnò alla porta il poliziotto. Nella strada c'era il solito via vai. Apri
una bottiglia. Poi tutto si chiuse dietro le imposte di una finestra.
 

Sincerità
Sinceramente, con tutta sincerità, voglio essere sincero, vi parlo con assoluta sincerità ,vi garantisco la sincerità di questo vino, apprezzo la tua sincerità, non dubito della tua sincerità, ti rispondo con sincerità …e cosi via. Questa parola viene da sempre usata senza pensare alla grandezza e alla purezza del suo significato.
Sembra una parola frivola, leggera, creata apposta per il titolo di una canzonetta o per il saggio delle bambine di una scuola di danza. Quell'accento finale sulla a permette di fare rime con facilità, felicità, semplicità, serenità o, se si vuole, anche con banalità, golosità ,rapidità . Questo forse è uno dei motivi per cui si usa con disinvoltura, quasi con noncuranza.
Per me non è cosi. Preferisco fare la rima con parole come onestà, maternità, serietà e anche fedeltà.
Sincerità è una di quelle parole che racchiude dentro di sè valori inestimabili. La sincerità è la base di tutto, di ogni rapporto .Essere sinceri vuol dire in un certo senso essere limpidi, puri, vuol dire rispettare il prossimo, i più deboli, le persone indifese che credono in te. Essere sinceri vuol dire non ingannare nessuno, vuole anche dire essere fedeli a un giuramento , a una promessa, a un ideale.
La sincerità ha lo stesso valore dell'amicizia, dell' affetto, del perdono o dell'amore. Sono parole
di grande potenza che racchiudono mondi vastissimi e speranze e sono le strutture portanti della nostra stessa vita. Spesso si fanno corsi per imparare ad usare il computer ,per studiare una nuova lingua, per cucinare meglio. Accanto a questi corsi io credo che bisognerebbe anche organizzarne altri per imparare a conoscere il vero significato delle parole, per poterle usare meglio, per evitare così di giocare coi sentimenti propri e del prossimo e per non tradire la fiducia degli altri verso noi stessi .
Immagino che qualcuno potrà pensare che io sia un romantico idealista ma, in questa occasione, CON TUTTA SINCERITA', mi è piaciuto esporre un modesto punto di vista.

Io penso che prima di utilizzare questa parola bisognerebbe fermarsi un momento e rendersi conto di quanto sia grave usarla in malafede. Bisognerebbe trattarla come un bambino appena nato ,come un uccello che ha fame, come un vecchio che stenta a camminare.
 

Le mie estati a Stromboli
Arrivavamo partendo da Milazzo, paese dove abitava Vito. C'era un traghetto con linea diretta e un altro, per così dire accelerato, come i treni di una volta, che si fermava in quasi tutte le isole. Noi prendevamo quest'ultimo. Una volta sbarcati andavamo a montare la tenda che diventava cosi la nostra casa per tutto il periodo della vacanza.
La prima emozione era guardare il mare, un mare con la M maiuscola,un mare cristallino che difficilmente si vede in altri luoghi. La caratteristica principale dell'isola era "iddu", il vulcano perennemente attivo e meta di visitatori che si avventuravano per osservarlo da vicino accompagnati da guide esperte.
Godevo di una tranquillità assoluta passeggiando su distese di sabbia nera fiancheggiata dal mare trasparente. Dimenticavo l'esistenza dei partiti politici,della televisione ,delle squadre di calcio e persino della pioggia. Aspettavo l'ora del pranzo per mangiare un piatto di pesce fresco e bere un buon bicchiere di Malvasia ma il mio principale desiderio e quello di Vito e Renzo era di fare amicizia con una delle tante ragazze del Nord presenti nell'isola con cui andare a ballare la sera fino a tarda notte nel Dancing "la Nassa". Era situato sulla spiaggia e si poteva arrivare semplicemente seguendo il suono della musica ad alto volume. Dieci giorni di vacanza e di gioia in un luogo che sembrava appartenere ad un altro tempo e poi il ritorno allo studio per gli ultimissimi esami. Ci rivedremo il prossimo ferragosto mi disse ad alta voce Vittoria, una delle ragazze napoletane che avevano la tenda vicino alla nostra quando vide che stavo per lasciare l'isola. Ci puoi contare, risposi sorridendo.


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