Racconti di Graziano Capparelli


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Teo (1a puntata)
Una scarica di violenti pugni si abbatteva sul viso di Teo con forza e precisione
La sua reazione era inesistente.
Pensava solo a ripararsi agitando le braccia scompostamente davanti a se, non un solo suo colpo arrivava sul viso dell'altro che invece continuava come un pugile che si allena su di un sacco.
Teo sperava che quella tortura finisse in un modo o nell'altro, sperava in un miracolo e il miracolo avvenne.
Vito, frappose le sue grosse spalle tra lui e l'energumeno che lo stava picchiando e lo trascinò via, Teo ne fu contento.
Rimase per un po' lì nell'angolo della classe dove era stato costretto, a toccarsi il labbro sanguinante e l'occhio tumefatto sotto gli sguardi compassionevoli dei compagni.
Gli facevano male i colpi ricevuti ma alla stessa maniera gli dispiaceva la figura fatta di fronte a tutti di chi non sa difendersi nemmeno un po'.
Cosa fare adesso, i compagni lo guardavano aspettando la sua reazione.
-Se lo riaffronto mi massacra-, pensò Teo.
Era stato già abbastanza fortunato che era intervenuto Vito, così per salvare in parte la faccia in tutti i sensi decise che era meglio ammettere la sconfitta e andare a complimentarsi col vincitore, come se lui fosse stato un grande campione battuto da uno migliore.
Andò allora verso Claudio, gli tese la mano destra mentre con la sinistra si toccava il mento e disse:
"Complimenti, però hai un destro che dovrebbe essere proibito".
Claudio lo guardò con una faccia schifata, accennò di si con la testa gli diede la mano di sfuggita e tornò ad occuparsi delle sue cose.
Era stato il primo il primo duro impatto con la nuova realtà, una realtà fatta di un grande complesso gestito da preti dove numerosi ragazzi per lo più provenienti dalla città studiavano a basso costo.
Teo invece proveniva da un piccolo paese agricolo, tutto casa e chiesa, educato all'onesta e al rispetto non sopportava l'idea di essere stato derubato del giornaletto che suo padre gli aveva comperato, forse per distrarlo un po' quando lo aveva accompagnato là.
Gli sembrava di avere tradito la fiducia del suo genitore essendoselo fatto portar via, era stata colpa sua, poca attenzione.
Glielo avevano sfilato dalla tasca posteriore dei pantaloni, Claudio probabilmente e lui non solo non era stato capace di farselo restituire ma ci aveva preso pure le botte sopra.
Ora aveva fatto sua la massima che conosceva e non aveva mai ammesso " Se non puoi vincere alleati con lui".
Claudio veniva dalla grande città.
Era ripetente.
Completamente ateo, era cresciuto a dosi massicce di anticristogamico, scherzando dicevano di lui i compagni.
Era figlio di genitori separati non sopportava nessun tipo di disciplina specie quella dei preti.
Bacherozzi nullafacenti e parassiti, diceva.
Bestemmiava in modo orribile e la facilità e l'abilità con la quale manovrava i pugni che Teo aveva così ben sperimentato la dicevano lunga sulla sua infanzia.
Calava la sera sul S. Martino e sul viso sempre più pesto di Teo, una sera d'ottobre serena e stellata, una bella sera che accentuava in lui la malinconia per la sua casa per i suoi affetti, per qualcuno che se non fosse stato così lontano avrebbe sicuramente impedito quello scempio, per qualcuno che sicuramente avrebbe preso le sue difese.
Mentre Teo si curava le ferite immaginava la sua mamma sfaccendare intorno alla stufa economica a legna, il padre che aspettava la cena, stanco del lavoro, allungato sulla sdraio mentre suo fratello più piccolo giocherellava sulle sue ginocchia.
Loro si, al sicuro lontano da individui dai pugni facili.

"Avanti in fila per due" disse don Matteo, era rimasto sulla porta aspettando d'essere obbedito.
Costui era il prete cui il gruppo di Teo era stato assegnato.
Altezza media, robusto e abbastanza giovane rispetto agli altri preti anche se una leggera canizie cominciava appena ad apparire sulle sue tempie.
I capelli erano corti a spazzola con una curiosa scanalatura ricavata sul taglio che ne distingueva l'appartenenza all'ordine religioso, l'equivalente della più nota chierica.
Due occhi neri attenti e indagatori denunciavano un'abitudine consolidata a scrutare l'anima del prossimo.
Teo si guardò intorno spaesato.
"Che succede? dove andiamo?"
"Che ne so io" rispose spazientito il suo compagno di banco.
"Vuoi sapere dove andiamo?" ancora Claudio, "Te lo dico io dove andiamo"
"Dove?"
"Andiamo a raccontare i cazzi nostri ad un altro" e così dicendo sputò in un angolo dell'aula.
-I c…nostri ad un altro- Teo non pronunciava mai parolacce e nemmeno osava pensarle ma Claudio lo aveva detto così chiaro che gli riecheggiavano in testa insieme al loro oscuro significato.
Dieci minuti dopo entravano in chiesa.
La chiesa aveva una sola navata ma era abbastanza ampia da ospitare ai lati dell'altare maggiore altre due cappelle più piccole.
Vi si poteva accedere dal portone principale ma anche da due porticine laterali che mettevano in comunicazione la zona nuova con quella vecchia ed evitavano di passare all'esterno.
Sul lato sinistro era sistemata una statua del patrono del collegio, sulla destra una della madonna dalle fattezze umane molto realistiche.
Era vestita di bianco e azzurro ed era raffigurata mentre con i piedi nudi schiacciava la testa di un serpente, rappresentante il peccato.
Don Matteo disse che, come consuetudine, il sabato era il giorno dedicato alle confessioni e che il padre priore aveva espresso il desiderio che il giorno dopo durante la santa messa della domenica tutti facessero la comunione.
Enumerò tutti i comandamenti, soffermandosi in particolare sul sesto, esortando i ragazzi a non deteriorare le loro forze giovanili con atti contrari al volere di Dio.
Questi atti, disse, sarebbero stati puniti con severità essendo particolarmente odiosi agli occhi del Signore.
Inveì poi contro la società senza valori e senza morale dove:
"I letti dei genitori si prestano ai peccati dei figli " gridò spalancando gli occhi e alzando la voce e l'indice verso il soffitto.
Detto ciò stette un poco in silenzio, scrutò gli occhi di ognuno come per scoprire chi era stato a fare una cosa come quella, poi prese posto in uno dei due confessionali ai lati della navata, nell'altro prese posto un vecchio frate.
Dalla parte del vecchio frate si allinearono molti ragazzi mentre don Matteo rimaneva disoccupato.


Il professore di chimica era un tipo alto con gli occhi chiari e i capelli biondi tagliati cortissimi.
Era sempre troppo serio.
Faceva veramente paura con il suo sguardo torvo e l'espressione della faccia severa.
Per di più chimica era una materia veramente ostica per tutti e lui lo sapeva.
Aprì il registro in un silenzio irreale, ora scorreva i nomi con gli occhi.
Il cuore di Teo si era fermato, non pulsava più ma la sua mente era ancora lucida.
Pregò mentalmente -Dio, per favore, fai scomparire il mio nome dal registro-.
Il professore alzò leggermente lo sguardo restando curvo con le braccia appoggiate sulla cattedra.
"Io lo so" disse "che state tremando, e che sperate che non vi chiami, so anche che state pensando che forse vi salvate perché in solo quaranta minuti non posso interrogarvi tutti"
Stava leggendo i pensieri di Teo.
"Invece posso, non ci credete vero?"
"Allora, vediamo lei" disse rivolto a quello del primo banco:
"Quant'è un Angstrom?" scena muta.
"Due"
"Lei, quant'è un Angstrom" seconda scena muta.
"Due"
Terza, quarta, quinta scena muta.
Teo si sforzava di ricordare qualcosa ma quel nome gli era completamente sconosciuto.
Vito fece in tempo a sbirciare un testo poco prima che toccasse a Teo rispondere "Uno per dieci alla meno otto centimetri" rispose.
Il professore annuì leggermente con la testa, sempre con lo sguardo torvo, aspettò qualche secondo,
Teo respirò ma quello continuò proprio con lui:
"Allora lei mi definisca il chetone", anche Teo ebbe il suo bel due, ora era dispiaciuto ma molto più tranquillo, l'incubo era finito, malamente ma era finito.
Quell'ora lui l'avrebbe voluta cancellare, aspettava invece con ansia la successiva.
C'era, infatti, inglese, non che Teo l'avesse in gran simpatia quella materia ma la prof era giovane e carina.
Era anche una delle poche presenze femminili se si escludevano alcune vecchie professoresse con gli occhiali e poche donne che facevano le pulizie e che erano agli occhi di Teo, contro ogni tentazione.
Anzi a volte Teo pensava che forse don Matteo le aveva scelte apposta.
La professoressa d'inglese invece era anche dolce con quella voce da gattina resa ancor più miagolesca dalla quella lingua.
Era una biondina deliziosa, indossava anche una discreta ma sconvolgente minigonna e aveva due gambette snelle che emergevano da un paio di stivaletti bianchi.
Teo se n'era innamorato fin dal primo giorno come anche tutti gli altri e faceva fatica ad immaginarsela come gli ripeteva Claudio a gambe aperte mentre ecc. ecc. no lei no, non era possibile.
Eppure non lo diceva più solo Claudio, anzi se lo diceva lui era meno credibile per via della volgarità infinita con la quale si esprimeva ma se lo dicevano anche quelli più educati ed in modo serio doveva essere vero, oppure no, lei era sempre al di sopra di quelle sozzure.
"Ma guarda" gli disse Claudio una volta, "che quelle puttane, le donne, vanno cercando solo questo"
Si toccò con entrambe le mani in mezzo alle gambe e continuò quasi urlando "questo è tutto nella vita, questo e la fica".

Massimiliano era soprannominato "il profugo" perché era nato in Libia da genitori italiani che si erano trasferiti là ma poi il governo era stato preso da un dittatore che li aveva scacciati.
Ora diceva a Teo:
"Vedi com'è rosso il viso del prof di fisica"
"E' allora? " rispondeva Teo
"E' andato a scopare con quella d'inglese"
"Ma vaa, saranno stati via mezz'ora neanche" replicava ancora Teo.
" Guarda che si può farlo anche in cinque minuti" diceva ancora il profugo.
-si può fare in cinque minuti? ma non ci vuole una notte intera? pensava Teo badando a non mostrarsi sorpreso -Però forse il profugo aveva ragione, cinque minuti bastavano, allora era possibile!-
Però era senz'altro più bello farlo con una notte intera a disposizione, si disse Teo, che non con una sveltina come l'aveva chiamata il profugo.
Le uniche esperienze di Teo in materia erano alcuni pezzetti di film visti nell'unica televisione che c'era al suo paese, si trovava alle Acli e nel cinema parrocchiale che al massimo proiettava film come "Marcellino pane e vino" o la vita di Bernardette Soubirous.
Alle Acli lui ci era andato qualche volta e li aveva visti in piedi tra una testa e l'altra, in bianco e nero e con la nebbia.
Spesso quando c'era qualche scena audace Teo veniva rimproverato di essere lì ed era mandato a casa.
Anche nel cinema parrocchiale Teo ricordava di avere visto qualche raro film d'amore dove di solito si vedevano due adulti l'uno nelle braccia dell'altro quindi la scena sfumava spesso su un cielo notturno e poi diventava giorno, sicché Teo pensava che per fare quella cosa lì, ci volesse una notte intera.

Don Gino il prete del paese gestiva la sala , ve n'era anche un' altra ma don Gino diceva che andare lì equivaleva a pagarsi il biglietto di sola andata per la littorina direttissima per l'inferno.
Questa sala lui l'aveva inserita nel suo "indice" personale perché diceva che proiettava film amorali.
In questo don Gino e don Matteo sarebbero andati d'accordo.
Diceva che uno si sarebbe dannato l'anima per tutta l'eternità.
Con la sua logica Teo si chiedeva se fosse esistita anche la mezza eternità.
Una volta, ricordava, gli amici ce lo avevano trascinato, di nascosto dei genitori e lui aveva avuto paura di prendere la littorina che si sarebbe fermata solo alla stazione Satana.
In questo Teo pensava che non era cambiato nulla, solo che adesso a dirgli la stessa cosa era un altro prete.
A differenza di don Matteo, ricordava Teo, Don Gino oltre al sesso, aveva un'altra ossessione, i comunisti.
Predicando dall'altare esortava i fedeli a non lasciarsi contagiare dal "cancro del materialismo comunista".
Teo non comprendeva appieno il significato di quelle frasi ma riconosceva i simboli di quella terribile malattia contagiosa che erano stampati su una insegna di legno vicino ad una bandiera rossa su una porta non distante da casa sua.
Teo ne era terrorizzato, se venivano quelli dicevano molti, si sarebbero presi tutto, col falcetto gli avrebbero tagliato le gambe e col martello gli avrebbero spaccato la testa per ficcarglici dentro il tarlo del materialismo comunista.
Perciò quando Teo era costretto a passare davanti a quel covo passava sul lato opposto della strada e correva.
Questa era stata l'infanzia di Teo.

Si fece di nuovo sera al S. Martino ed i ragazzi si avviarono come al solito in fila per due verso la chiesa per il consueto rosario prima della cena.
Nel primo mistero glorioso si contempla…. recitava don Matteo mentre Claudio inventava sottovoce una contemplazione erotica blasfema e sacrilega parallela a quella di don Matteo.
Teo sentiva, avrebbe voluto tapparsi le orecchie ma non lo faceva per via del prete, lo avrebbe visto e avrebbe dovuto giustificarsi, domandava allora mentalmente perdono a Dio per quello che usciva dalla bocca di Claudio ed arrivava alle sue orecchie ed insisteva su questo punto per far capire bene al Signore che non era colpa sua.
Poi ci ripensava, pensava alle scene che aveva sentito descrivere cercava di scacciarle dalla mente perché sapeva che erano peccato mortale e perché gli procuravano turbamento ma quelle si ripresentavano ancor più insistentemente.

Il refettorio si trovava al piano interrato.
I gradini per accedervi erano bisunti e logori, la luce era bassa come tutte le luci del S Martino.
Mentre scendevano Teo ricevette una violenta spinta che lo costrinse a fare i gradini quattro a quattro ed a finire contro il muro per fortuna senza conseguenze.
Si girò stringendo i pugni e cercando d'individuare il responsabile ma quelli passavano in gruppo ridendo e fingendo di ignorarlo.
Teo dovette soffocare la sua rabbia.
Il locale aveva il soffitto alto, in mezzo ad una parete vi era una specie di cattedra rialzata sulla quale prendeva posto il prete che leggeva mentre i ragazzi mangiavano, leggeva con una verga in mano.
Di tanto in tanto interrompeva la lettura per invitare al silenzio, un invito perentorio.
Molto più spesso abbandonava il breviario aperto in mezzo alla cattedra e scendeva con la verga nella mano destra battendosela leggermente sulla sinistra e camminando in mezzo al refettorio.
Nessuno era al sicuro.
Teo vide Alfio preso da dietro per il colletto della camicia mentre mangiava, fu strattonato ad alzarsi le posate caddero sul pavimento la sedia si rovesciò, Teo lo vide ricevere due sonori ceffoni, Alfio si tirava indietro e si riparava con le mani ma il prete era più grosso e forte.
Picchiava duro, anche con la verga insegnando agli altri che quello è ciò che meritava chi contravveniva alle regole e andava a fumare dietro il muretto del campo di calcio.
Alfio non fu la sola vittima né quella sera né le altre.
-Meno male che io non fumo- pensò Teo.
La sera seguente altri pugni e schiaffi a chi aveva osato farsi tagliare i capelli alla moda dal barbiere.
"Stronzo bacherozzo se tocca me lo ammazzo" sibilò Claudio, estraendo dalla tasca un coltello serramanico con la lama lucida che scattava in fuori premendo un pulsante e mostrandolo agli altri sotto il tavolo.
-Dio santo con chi me l'ero andata a prendere - pensò ancora Teo. - Mi è andata bene-
La sera successiva un violento scapaccione si abbatté improvvisamente anche su di lui colpevole di aver scritto a casa di non potere farlo spesso per mancanza di francobolli perché la rivendita interna era quasi sempre chiusa.
Il prete disse che non era vero che questa era un'accusa falsa e allungò a Teo un altro scapaccione.
In effetti, il botteghino, una stanzetta di tre metri per tre con qualche cioccolata stantia, un po' di caramelle e qualche francobollo era aperto per un'ora al giorno per circa duemila ragazzi.
Teo aveva voglia di piangere più per la vergogna dello scapaccione ricevuto sotto gli occhi di tutti che per il dolore ma trattenne le lacrime.
Il prete leggeva la posta in entrata e in uscita.


"Tu quanti ne hai trovati?"
"Due"
"Io tre"
"ma io due in un solo fagiolo"
"Guardate qua c'è tutta la famiglia"
Ormai il trambusto si era sparso per tutto il refettorio.
Nella minestra insieme con i fagioli galleggiavano dei vermi ormai lessati dalla cottura.
"Non esagerate e state calmi", sono vermi piccoli" minimizzò il prete, "sono come quelli della pasta, non fanno male a nessuno e soprattutto è inutile che lo raccontiate ai vostri genitori".
"E il formaggio rancido, e i gli spaghetti ai capelli"
"Succede nelle migliori famiglie" rispose il prete.
"Succederà a casa tua bacherozzo" bisbigliò ancora Claudio.
Alcuni ragazzi si arrangiarono con le scatolette di carne che avevano portato loro genitori previdenti ma Teo ne era sprovvisto e quella sera saltò la cena a piedi pari.
Antonio e Fabrizio sedevano vicini nel refettorio, erano amici per la pelle e spesso ignoravano gli esagerati inviti al silenzio del prete così un giorno questi decise di separarli, ordinò ad uno dei due di cambiare tavolo, Fabrizio fu costretto ad obbedire.
Di mala voglia scambiò il suo posto con un altro di un tavolo a fianco, allora i suoi vecchi compagni per solidarietà si alzarono tutti per aiutarlo nel trasloco, chi portava la forchetta chi il bicchiere chi il vassoio poi Fabrizio tornò indietro abbracciò l'amico, lo baciò due volte sulle guance, baciò ed abbracciò tutti gli altri compagni di tavolo allo stesso modo, si asciugò lungamente gli occhi con il viso atteggiato ad una smorfia di autentico dolore e si allontanò di un metro agitando il fazzoletto.
Quella volta sorrisero tutti anche don Matteo.

Giovanni faceva l'assistente, un ragazzo più grande che era stato investito di una piccola autorità per aiutare a mantenere la disciplina.
Giovanni saltò giù dal porticato che era rialzato rispetto ad un ampio piazzale nel quale dopo lo studio i ragazzi si allineavano in fila come al solito.
Quella sera si decise che il primo e l'ultimo che fossero saltati giù dal porticato per mettersi in fila sarebbero stati eletti i più stupidi della classe.
Gli altri erano gia pronti mentre la prima B di Teo tergiversava sotto il porticato ignorando gli appelli di Giovanni.
"Teo anche tu?"
"ehmmm"
"Ma che vi è preso stasera?" continuò Giovanni, "Perché non venite giù?"
Nessuno voleva scendere, ma nessuno voleva allontanarsi dal ciglio del gradino perché anche l'ultimo avrebbe ricevuto l'ignominioso riconoscimento.
D'un tratto apparve Don Matteo con la solita verga questa volta nascosta dritta dietro la schiena, squadrò i ragazzi ancora sotto il porticato con aria severa e disse interrogativamente:
"Mbhè, Cos'è 'sta storia, perché non siete ancora in fila?"
"Bacchettate in vista" fece Vito
Teo voleva saltare perché le bacchettate lo terrorizzavano ma poi i compagni lo avrebbero sbeffeggiato.
All'improvviso Teo vide Agostino e Pino alle spalle del prete prendere la rincorsa abbracciati e spingere violentemente Angelo giù dal gradino.
Dopo di lui tutti gli altri saltarono immediatamente Teo in mezzo agli altri.
Insieme ad Angelo anche Annibale era risultato il più stupido.
Quella sera Agostino e Pino per cena ricevettero due sonore vergate su ogni palmo delle mani e la domenica successiva non si sarebbe usciti perché Angelo cadendo si era fatto male ad un ginocchio.
Angelo era un ragazzo del sud buono e riservato, per questo aveva legato con Teo.
Abituato a lavori pesanti fin da piccolo, Teo lo aveva capito quando gli aveva stretto la mano dura come un pezzo di legno.
Si esprimeva nel suo dialetto e ignorava il significato di alcune parole che i "cittadini" gli rivolgevano.
Guardarono insieme sul vocabolario il significato di "abulico" parola con la quale qualche saccente lo aveva definito.
Teo lo rincuorò, gli disse che non era abulico era solo troppo buono.
Quando Don Matteo sturava le latrine lo faceva con i puniti e con Angelo.
Quando c'era bisogno di un favore si chiedeva ad Angelo.
Quando c'era da buttare giù qualcuno dal porticato ovviamente si buttava giù Angelo.
Quando c'era da prendere in giro qualcuno spesso per il suo dialetto, si prendeva in giro Angelo.
Lui sopportava tutto e difficilmente reagiva ma un giorno il professore di fisica con il culto della personalità ed un passato da pugile gli disse in classe davanti a tutti:
"Angelo, so che ti fai prendere in giro, io al posto tuo non glielo permetterei li inviterei al campo sportivo uno ad uno e lì…"fece un gesto con la mano aperta.
Questa esortazione fu come la molla carica di un fucile ad aria compressa , nell'animo di Angelo, bastava premere il grilletto per far partire il proiettile.


E il proiettile partì.
Vi era un'ora di ricreazione tra le due ore di studio del pomeriggio e le due serali.
Fu durante quest'ora mentre Teo e Angelo giocavano a scacchi che la molla scattò.
Si avvicinò Agostino, uno dei responsabili del suo ginocchio ancora malconcio.
"E allora quand'è che ci vediamo al campo sportivo"disse sghignazzando "Cuor di leone"
e con una spinta alla scacchiera rovesciò tutti gli scacchi.
Teo vide una cosa che non aveva mai visto, un lampo di furore negli occhi di Angelo, vide esplodere le energie represse di angherie subite chissà per quanto tempo, vide una belva scavalcare agilmente il banco e lanciarsi come una furia su Agostino il quale cadde sotto il peso di Angelo.
Agostino aveva fama di duro ma in quel momento sorpreso dalla inaspettata reazione subiva
sdraiato con le spalle sul pavimento ed Angelo sopra di lui.
Intervennero i compagni a separarli.
Naturalmente Agostino lo minacciò che la cosa non sarebbe finita lì ma Angelo fin quando restò in collegio non fu preso in giro mai più.


Tra i tanti ragazzi che animavano la vita collegiale ve n'era uno che chiamavano l'Atomico, correva voce che fosse un mezzo scienziato pazzo.
Il suo orologio segnava sempre un'ora diversa da quella vera per conoscere la quale bisognava eseguire un complicatissimo calcolo mentale.
Dunque, gli spiegò una volta l'Atomico, si prendeva la stramba ora che segnava il suo orologio, si moltiplicava per due elevato alla meno qualcosa che sapeva solo lui, se ne estraeva la radice quadrata si correggeva il risultato per tenere conto della variazione dell'inclinazione dell'asse terrestre moltiplicandolo per …e poi Teo non lo aveva seguito più.
-Costui è da ricovero- pensò
L'atomico però era bravo a scuola, in elettronica poi non aveva rivali.
Gli piacevano due cose, tutta la scienza e le ragazze.
Il suo grido di battaglia era:
"Femina scopanda est" che con quel poco di latino che aveva masticato alle medie, lui aveva parafrasato da "Cartago delenda est".
Erano tutti fissati col sesso, pensò Teo quando lo conobbe la prima volta, anche lo scienziato pazzo.
Era un individuo molto particolare.
Raccontava agli altri, che lo ascoltavano affascinati, di come a casa sua avesse costruito una radio a valvole ricetrasmittente che si collegava con amici dell'etere, era radioamatore ma non registrato bensì libero.
Diceva che le ragazze nel linguaggio Q dei radioamatori si chiamavano I grecoL.
Nella vigna di casa sua aveva lanciato un missile che si era autocostruito e che aveva raggiunto la quota di mille metri e stava facendo esperimenti per un carburante più potente.
Aveva anche costruito delle piccole bombe non per fare del male, ma solo per la curiosità di sapere come funzionavano certe reazioni chimiche.
Un giorno dimostrò la sua abilità.
Chiese agli altri di reperire un po' di zucchero e una scatolina di pastiglie per il mal di gola, "quelle al clorato di potassio" disse, il primo che usciva le poteva comperare in farmacia, unica avvertenza fingere un vero mal di gola altrimenti i farmacisti si sarebbero rifiutati di venderle immaginando l'uso diverso che se ne poteva fare.
Così mescolò i due elementi finemente tritati e poi gli diede fuoco in classe da una certa distanza.
I ragazzi osservavano incuriositi.
Vi fu una violenta fiammata, l'Atomico stesso fece un balzo all'indietro, il muro si era annerito.
La stima per la pazzia dell'atomico aumentò.
Ora tutti sapevano come costruire una piccola bomba.
Un'altra volta diede appuntamento a tutti dietro il campo sportivo là dove molti, sfidando le ire del prete, andavano a fumare.
C'era un terreno sabbioso e cretoso leggermente scosceso.
L'atomico disse di procurare una scatoletta di carne vuota, un chiodo ed una bottiglia d'acqua,
incuriositi i compagni procurarono il necessario per l'esperimento.
Giunsero sul posto convenuto l'atomico scelse il punto giusto poi scavò una piccola buca aiutandosi con un coltello da contadino che aveva sempre con se.
Versò l'acqua nella piccola buca più volte fino a quando la terra stessa ne fu pregna e non l'assorbì più.
Prese poi la scatoletta vi fece un buco sul fondo servendosi del chiodo ed di un sasso, poi la rovesciò sulla buca piena d'acqua ma prima vi fece cadere dentro un pezzo di quello che a Teo sembrava sapone che aveva estratto da una tasca.
Ne pressò bene i bordi con altra creta per ottenere una tenuta stagna ma lasciò libero il foro.
Prese poi la lunga canna che aveva strappato da un vicino canneto ne aprì l'estremità più sottile e vi incastrò un foglio di giornale appallottolato.
Prese poi l'accendino a benzina che faceva parte, come il coltello, della sua attrezzatura portatile,
gli diede fuoco, fece allontanare gli altri e lui si avvicinò carponi allungando la canna con la fiamma fin quando non fu sul foro.
I ragazzi guardavano sempre più incuriositi, dopo qualche secondo che sembrava che non accadesse niente si udì un bel botto secco, la scatoletta di carme partì a razzo con una traiettoria leggermente inclinata, raggiunse una decina di metri d'altezza e ricadde in mezzo all'erba.
I ragazzi erano stupefatti, era vero allora che aveva lanciato missili.
L'atomico spiegò poi che quello che a loro sembrava sapone era carburo di calcio, una sostanza che si poteva trovare anche dal droghiere e che mescolata con l'acqua formava acetilene la quale poi esplodeva a contatto col fuoco.
- Ma davvero? Questa roba si poteva trovare dal droghiere, le bombe dal farmacista.
Teo stava scoprendo un mondo di cose interessanti mai conosciute ed ora vedeva con occhi diversi il professore di chimica , sicuramente lui tutte quelle cose le conosceva.
Però se li avesse visti don Matteo ci avrebbe pensato lui a spedirli in orbita come la scatoletta senza carburo ma a furia di calci nel sedere.
Si affrettarono a rientrare.
Il meglio però doveva ancora venire.
l'Atomico pur con gli scarsi mezzi a disposizione era riuscito a modificare due radio a transistor, ne aveva ricavato una trasmittente ed una ricevente, con una portata di qualche metro.
I ragazzi ne approfittarono subito per prendere in giro i più ingenui.
Con una scusa portavano il malcapitato in un 'aula mentre c'era la radio accesa, dall'aula vicina poi
interrompevano la musica e trasmettevano un finto giornale radio dove di solito in un episodio di cronaca nera inserivano nome e cognome della vittima e poi dicevano che era ricercato dai carabinieri.
Molti furono coloro che caddero nel tranello con tutte le scarpe prima che l'abilità dell'Atomico fosse nota a tutti, nessuno pensava possibile manomettere le radio a quel modo, ma l'Atomico non per nulla era l'Atomico.
Conoscendo queste capacità Teo gli chiese allora come fosse possibile imprimere il proprio nome sul calibro che usavano nelle lavorazioni meccaniche, come quello del professore, affinché potesse riconoscerlo e non potesse essere cancellato.
L'Atomico disse che non era niente di più facile bastavano due fili da collegare ad una presa di corrente.
Teo procurò i due fili facendoseli portare da casa e si mise al lavoro insieme a lui.
All'inizio sembrava possibile fin quando una fiammata più forte delle altre fece scomparire la luce da mezzo collegio.
L'Atomico e Teo si spaventarono, tutti cercavano il motivo del corto circuito anche il prete.
Fecero sparire l'attrezzatura ma qualcun altro li aveva visti se avesse parlato quella sera avrebbero assaggiato la terribile verga don Matteo.
Dopo circa due mesi di scuola, l'Atomico scomparve.
A chi lo cercava fu risposto che sarebbe tornato presto.

Teo se ne stava in ginocchio su una seggiola appoggiato con i gomiti sul banco a lavorare ad un problema di matematica con quello davanti quando all'improvviso avvertì qualcuno alle sue spalle che cercava di infilare un dito nel suo ano.
Scattò in piedi ma quello scappò rimando e scimmiottando i cinesi:
"Geloso di culo, flocio di siculo".
Teo era preso dallo scoramento e dalla voglia di tornare a casa sua.
Aveva cercato di capire tutte le motivazioni con le quali il padre lo aveva indotto ad accettare quella sistemazione ma episodi come questo gli facevano pensare che forse non ne valeva la pena e non era giusto, -cosa poi?-
Perché non poteva stare a casa come sua fratello, come sua sorella, perché doveva stare lì.
-Per studiare è ovvio- si rispondeva da solo.
La riservatezza di Teo era fonte di grande disagio e di vera e propria sofferenza fisica.
La mattina durante le lezioni quando Teo chiedeva di uscire per andare in quello che il professore di fisica chiamava "quel luogo là" rifiutandosi di chiamarlo bagno, Teo non ne trovava mai uno frequentabile
Le tazze erano alla turca, ce n'erano otto ma quattro o cinque erano solitamente piene fino all'orlo di acqua putrida, nauseabonda con cartacce galleggianti, schifose persino da guardare.
Qualche altra era vuota ma aveva residui di sterco umano attaccati fin sulle pareti.
L'unica possibile a patto di tenersi abilmente equidistante dalle pareti e dalla porta aveva il chiavistello rotto.
C' erano altri bagni nello stabile ma tutti nelle stesse condizioni se non peggiori.
Il pavimento antistante a mosaico era perennemente bagnato e tappezzato ci cicche di sigaretta.
L'ambiente tutto era pieno di fumo.
-Aveva ragione il professore a chiamarlo "quel luogo là".-
Teo tornava in classe senza essersi potuto liberare e così aspettava la sera per andare nei bagni della camerata più puliti ma la sera era ancora molto lontana.
Così Teo sopportava, sopportava.

Faceva freddissimo quella mattina di Gennaio, in terra stazionava neve e ghiaccio
I ragazzi si recavano a colazione come al solito in fila per due, ridevano e scherzavano, ci sarebbe stata lezione tra poco e Teo ben preparato contava di prendere un bel voto per poterlo raccontare ai suoi la domenica quando sarebbero venuti a trovarlo, sarebbero stati contenti, perciò era allegro e saltellava come tutti per scaldarsi un po', nemmeno gli sembrava di essere più in un collegio. La neve aveva alterato l'estetica del luogo e ne aveva ovattato i rumori.
L'assistente maggiore, un prete senza tonaca pazzo, un signore che in cambio di quel lavoro riceveva vitto e alloggio, non era mai allegro e di ciò si vantava.
All'improvviso colpì con un sonoro schiaffo il primo che capitò, senza un motivo apparente, forse perché era stata lanciata una palla di neve, poi lo colpì ancora con pugni e calci, senza più controllarsi perché quello aveva osato accennare ad un gesto di reazione, gli torse un braccio dietro la schiena e lo trascinò via intimando loro di stare zitti e fermi in fila " Senza battere i piedi" urlò congestionato.
Tutti si guardarono in faccia allibiti qualcuno bisbigliò un'imprecazione al suo indirizzo, per sua fortuna così piano da non poter essere udita da lui.
Teo aveva perduto l'allegria ed era rientrato in collegio.


"Avanti spogliatevi e preparatevi per la doccia " disse il prete aprendo la camerata.
Si spogliarono indossarono il pigiama come facevano una volta alla settimana.
Teo si coprì con l'asciugamano anche la testa e con le ciabatte ai piedi insieme agli altri uscì all'esterno incontro all'inverno gelido.
Fecero un ampio giro sotto il porticato cercando di affrettare il passo per via del freddo.
Le docce infatti si trovavano nell'altro lato dello stabile, anch'esse come la mensa in un piano seminterrato.
Vi si accedeva attraverso una stretta e sudicia scala.
Li , se era il caso, e lo era spesso, si aspettava che finisse il turno precedente.
Il vapore che saliva dalle docce creava una specie di nebbia che insieme agli schiamazzi dei più irrequieti rendeva l'ambiente infernale.
Teo badava che non gli pestassero i piedi praticamente nudi come era successo l'ultima volta, che non lo colpissero con l'asciugamano usato a mo' di frusta come la volta precedente ancora, che non… Teo sognava il bagno di casa sua.
L'ultima volta che avevano fatto la doccia si era dovuto prima prosciugare il locale intero dall'allagamento che ci era stato la notte a causa di un temporale.
A questo avevano provveduto gli stessi ragazzi e don Matteo.
Questi si era rimboccata la tonaca e con un secchio raccoglieva l'acqua che i ragazzi con un passa mano gettavano all'esterno.
Teo ricordava che il secchio con l'acqua dopo le prime volte era diventato pesantissimo.
Questa volta l'allagamento non c'era.
Era il loro turno.
Su una panca di legno i ragazzi lasciavano la biancheria.
Teo era imbarazzato ogni volta perché lì doveva liberarsi completamente del pigiama e anche delle mutandine come facevano tutti gli altri per di più davanti al prete.
Teo stava attento ad approfittare del fatto che almeno il prete voltasse le spalle ma anche a non tergiversare troppo e a fingere noncuranza altrimenti i compagni lo avrebbero schernito.
Il prete intanto manovrava i rubinetti delle docce e guardava divertito.
Claudio, Vito erano perfettamente a loro agio nudi come vermi.
Teo nudo si sbrigò ad entrare nella prima cabina vuota.
Ve ne erano una decina, tutte senza porta.
Dal soffitto pendeva una cipolla e sotto i piedi vi era una pedana di legno resa viscida dall'uso e dal tempo.
Mentre il primo si scottava, l'ultimo della fila urlava "è gelata", il prete all'esterno s'ingegnava per regolare il flusso dell'acqua ma dopo un po' gli urli s'invertivano.
Il percorso di ritorno, se possibile, era peggiore di quello di andata perché ora i ragazzi avevano anche i capelli bagnati ed era possibile asciugarli soltanto in camerata.

Enrico era ripetente due volte e perciò ben più grande degli altri, in più aveva un fisico alto asciutto, faceva molto sport ed era muscoloso, insomma non arrivava a diciott'anni ma ne dimostrava ben di più, era pure biondo e belloccio benché la sue movenze fossero giudicate da tutti un po' effeminate, ma forse era solo invidia nei suoi confronti.
Dunque si era giunti agli inizi della primavera e di tanto in tanto il prete faceva pulire a fondo le aule della scuola.
Si portavamo fuori tutti i banchi, la cattedra, gli armadietti e poi si spazzavano i pavimenti e si lavavano.
Quel giorno Teo era addetto alle pulizie interne, tutti gli altri pulivano i banchi nel cortile era una specie di piccola festa.
Enrico entrò in aula, erano soli, cominciò a fargli i complimenti per come scopava bene, disse che gli pareva proprio una brava donnicciola di casa.
Teo fece finta di nulla e continuò a spazzare.
Enrico gli si avvicinò gli diede un buffetto e gli disse:
"E dai, non si può scherzare".
Teo non disse nulla e lui continuò con una piccola spinta.
"E dai" continuava
"E sorridi" .
Oltre le spintine adesso si erano aggiunti anche dei piccoli gesti di solletico su tutto il corpo , Teo si difendeva dal solletico con le sue braccine esili, ma lui era più veloce e adesso non si limitava alle parti superiori del corpo, adesso, ogni tanto qualche solletico arrivava anche alle parti basse del corpo anzi a Teo non sembrava più nemmeno tanto solletico.
Fece per sgusciare ma lui lo costrinse in un angolo, e bloccò ogni suo tentativo di fuga con un braccio intorno alla vita.
Lo aveva preso da dietro.
Teo si divincolava, Enrico gli alitava forte sul collo, un alito caldo, respirava affannosamente, ogni tentativo di Teo di sottrarsi alla sua poderosa stretta era vano, il suo braccio robusto e nerboruto era enormemente più forte di Teo, lo sollevava da terra.
Teo avvertì chiaramente il suo suo sesso duro contro il fondo della sua schiena , non strillava, non ne era mai stato capace, e poi cercava di battersi come un uomo, non come un bambino che chiama la mamma.

Ora sentiva il suo dito medio che tentava di penetrarlo attraverso la stoffa dei pantaloni e delle mutandine, e c'era anche riuscito per un po', avrebbe sicuramente lacerato la stoffa se alcuni rumori di voci e passi che si avvicinavano non lo avessero fatto desistere dall'insano proposito.
Enrico era rosso in faccia, respirava forte e lo guardava.
Teo vedeva una specie di animale insoddisfatto con gli occhi rossi e lucidi.
Abbassò il capo per nascondere le lacrime mentre Enrico gli diceva: "mica ti sarai offeso?"
Teo non rispose scappò all'esterno a lavare i banchi con gli altri.
In seguito Teo evitò sempre qualsiasi rapporto con lui.
Avrebbe voluto raccontare a qualcuno la sua avventura ma a chi?
Al prete? Enrico si sarebbe difeso dicendo magari che era stata colpa sua, col risultato alquanto probabile che avrebbe castigato, magari anche con la verga, tutti e due perché avevano offeso Dio con il loro comportamento.
Ai suoi compagni sicuramente no, perché aveva paura che lo prendessero in giro col solito ritornello col quale lo avevano già canzonato.
Ai suoi genitori? Neanche a pensarci , a casa sua non era mai volata nemmeno una parola sconveniente, era più facile sentir parlare il prete in chiesa di sesso che suo padre a casa, così Teo si tenne il suo segreto.
Ben presto però il vizietto di Enrico era sulla bocca di tutti, evidentemente qualche altra vittima era stata più loquace di Teo.
"Se la fa anche coi preti" era una frase ricorrente.
Nessuno sapeva se fosse vero o no ma Enrico era il solo che avesse sempre soldi in tasca.

Venne la domenica, vennero i suoi genitori come quelli di molti altri.
La mamma lo baciò e lo accarezzò a lungo ripetendogli "come stai"
Teo rispondeva sempre "bene"
E lei "ma ti sei smagrito"
"ma no, è l'impressione, sono questi pantaloni larghi".
" Ma ti fanno mangiare?"
" Certo"
"E' buono? "
" Si ma', è buonissimo"
"E gli amici" disse il padre, "ti sei fatto degli amici
"Certo sono tutti molto buoni con me".
Teo pensò che anche se dette a fin di bene queste bugie andavano confessate il prossimo sabato.
Suo fratello correva per il prato antistante il collegio mentre sua sorella lo inseguiva allegramente,
Teo li osservò si divertivano spensieratamente, poi loro non sarebbero dovuti rientrare tra quelle mura, lui si.
Prima di lasciarlo presero la sua biancheria sporca gliene lasciarono di pulita insieme ad una torta, un salame, alcune scatolette di carne, e una grossa busta di fave "per te ed i tuoi amici" dissero.
Poi si salutarono la mamma lo baciò di nuovo più volte, poi baciò il fratello piccolo, la sorella ed infine il padre.
Teo aveva le lacrime agli occhi ma non voleva farsi notare così mentre il padre si avvicinava lui finse di stringere i lacci delle scarpe, prima una poi l'altra ma poi doveva alzare il viso,
tornò sulla prima quando il padre commentò "Questi antipatici lacci eh."
Teo deglutì e lo abbracciò rapidamente gettando il viso oltre la sua spalla.
Lui disse "E' già maggio tra poco la scuola finisce e torni a casa".
"Certo"
La vecchia seicento stentò un poco a partire quasi interpretando i pensieri di Teo ma poi si mise in moto.
Teo la guardò allontanarsi, vide suo fratello e sua sorella agitare la manine dal vetro posteriore, al sicuro protetti da quell'involucro di lamiera e vicini ai loro affetti.
La seguì con lo sguardo fin quando diventò piccola e poi scomparve dietro una curva.
Teo restò ancora un po' a guardare la scia di fumo che aveva lasciato.

L'aula di scuola fungeva anche da soggiorno, da luogo di ritrovo e così Teo portò le fave e le altre cose in classe le appoggiò sul banco le avrebbe divise con i compagni di tavolo quella sera stessa a cena.
Dunque era iniziato il mese di maggio.
La novità era che quel mese, diceva don Matteo era dedicato alla madonna, era detto il mese Mariano appunto.
Oltre il solito rosario ed il tantum ergo serale adesso si era aggiunta una preghiera particolare alla madonna.
Prima di questa però don Matteo leggeva sempre una piccola storia diversa ogni sera, era un racconto che a Teo piaceva.
Una volta lesse che in un villaggio senza luogo e senza tempo, un uomo dissoluto che stava molto male aveva presagito di morire, preso dal rimorso per i suoi peccati si era raccomandato alla madonna e costei gli aveva dato la forza per alzarsi e andare a confessarsi.
Il prete del villaggio svegliato in piena notte non voleva acconsentire diceva all'uomo di aspettare l'indomani che sarebbe stato lo stesso ma l'uomo aveva insistito e così il prete indossata la sacra stola l'aveva confessato.
L'uomo era morto appena tornato a casa ma si era presentato al cospetto di Dio con l'anima pulita
Grazie alla madonna.
Altre volte erano storie di santi che avevano combattuto un bruttissimo mostro che poi era il demonio e avevano vinto la battaglia con l'aiuto della madre celeste e del crocefisso che tenevano nella mano.
Il prete insisteva poi sul fatto che il diavolo non sempre si presentava sotto forma di orribile mostro
ma a volte anche con sembianze molto aggraziate per far cadere facilmente in tentazione.
Teo pensò alla prof d'inglese, che fosse il diavolo mascherato?
Una di quelle storie raccontava di tal Domenico un ragazzo santo che pur nel gioco non dimenticava mai di salutare la sua amica Madonna.
Di quando in quando diceva dunque don Matteo, passava in chiesa e si rivolgeva alla statua , parlava con lei e poi la salutava solitamente con "ave Maria".
Così avvenne che una sera Domenico, avendo salutato Maria al solito modo, fece per uscire dalla chiesa quando la statua rispose :"Ave Domenico".
Don Matteo aveva spalancato gli occhi e fatto una pausa.
Un brivido aveva percorso la schiena di Teo.
Poi tutti erano andati a cena.
Pioveva a dirotto.

"Teo, e le fave?" era Giovanni
"Le ho lasciate in classe"
"Bravo!"
"E adesso?"
"Valle a prender fa svelto"
" E se mi vede don Matteo?"
"Non ti preoccupare ti copro io,passa all'interno, fuori piove."
Teo Salì la bisunta scala del refettorio, due gradini alla volta, imboccò un corridoio semibuio poi una porticina e cominciò a trasalire, il suo passo si faceva meno certo, il suo cuore accelerava, non si vedeva anima viva, e già stavano tutti a mangiare, preti compresi.
I lampi illuminavano sinistramente il lungo corridoio dalle finestre semiovali e le distorte e rapide proiezioni delle inferriate sulla parete opposta erano stimoli formidabili alla sua fantasia per creare orrendi mostri infernali evocati dai racconti di don Matteo.
Lì vincevano sempre i santi ma Teo non si sentiva un santo tuttavia si fece il segno della croce più volte.
Al rumore che ne seguiva , Teo chiudeva gli occhi e si raccomandava l'anima.
Proseguì ma d'un tratto un pensiero lo fulminò come uno di quei lampi, avrebbe dovuto attraversare la chiesa, no, la chiesa no, basta voleva tornare indietro, ma poi cosa avrebbe raccontato ai compagni che aspettavano? all'assistente, a Claudio, che aveva avuto paura? Lo avrebbero deriso per l'eternità.
-Accidenti alle fave- pensò, -accidenti a loro, ma perché me le hanno le portate!-
Ci doveva andare, si fece animo.
Quando però la fioca illuminazione delle rare lampade ad incandescenza sparì del tutto in seguito ad un fortissimo tuono, si appoggiò al muro, aspettando che tornasse la luce o di morire.
-Se passa qualcuno che come me per qualche altra ragione sta andando da qualche altra parte e mi sfiora- pensò- ci resto secco e forse anche lui-.
Provò a chiamare un nome insensato, uscì solo una specie di rantolo che peggiorò la situazione.
Non morì, quando gli occhi si furono abituati al buio pesto si accorse che proprio così non era.
Da una porta chiusa filtrava un sottile e debole filo di luce così guidato si diresse verso di essa la aprì era in chiesa.
Quattro candele spandevano una tenue luce rossastra e tremolante, tremavano le ombre dei banchi per terra, tremava l'ombra della madonna sul muro, tremava lui senza potersi controllare.
Sarebbe stato un grave peccato di superbia, come don Matteo non si dimenticava mai di ripetere, attraversare la chiesa senza genuflettersi e salutare con devozione, ma in quel momento
ricordando il racconto di Domenico, Teo pensò:
"E se la Madonna mi risponde?, se mi risponde?"
-Ma poi se anche dovesse accadere, perché averne paura,- si disse, - in fin dei conti è la madonna, mica il diavolo e lei è buona.
-Si però.._
Pregò ancora una volta Dio ma poi pensò che forse era inutile, Lei, la Madonna, faceva parte della famiglia e se avesse voluto parlargli l'avrebbe spuntata Lei non certo Teo con la sua preghiera.
-Pensieri ridicoli- si disse.
Fece una rapida mezza genuflessione evitando di guardare la statua e sgattaiolò via.
Era adesso dall'altro lato della costruzione, la luce per fortuna, era tornata.
Quella era la parte più nuova del S. Martino, le lampade erano al neon, le finestre non sapevano di convento, tornò al tavolo, passando all'esterno, non pioveva più, non sapevano i suoi compagni quanto gli era costato andare a prender le fave, ma Giovanni scherzò sul suo colorito pallido.

Le orecchie di Teo non erano proprio aderenti alla testa e le loro dimensioni non passavano inosservate.
Con il taglio di capelli imposto poi…
Così erano spesso prese di mira dai compagni che nell'intervallo tra l'ingresso di un professore e l'altro non trovavano di meglio per ingannare il tempo che schioccargli dei colpi secchi con il dito medio della mano caricato a mo' di molla contro il pollice.
Teo quindi si girò di scatto con una mano sull'orecchio colpito ma come al solito il responsabile si nascondeva abilmente tra gli altri fingendo indifferenza..
Teo dopo la lezione ricevuta da Claudio aveva paura di sbagliare prendendosela magari con chi non c'entrava niente così rivolto a tutti disse "cretini", ma quelli continuarono a sghignazzare tra di loro e allora Teo gridò "Stronzi".
Si sorprese, Teo aveva detto una parolaccia, Teo.
Era venuta spontanea.
Ora si sarebbe dovuto confessare altrimenti se fosse morto improvvisamente, come quello del racconto, sarebbe andato all'inferno.
Forse proprio all'inferno no, perché una parolaccia era un peccato veniale ma comunque due o trecento anni di purgatorio non glieli avrebbe tolti nessuno.
Teo era angosciato.
Poi prese a ragionare:
-Ma se io vado in purgatorio per una parolaccia Claudio dove andrà?-
-Oppure quanti secoli di purgatorio dovrà scontare?-
Però continuava la riflessione questi grandi peccatori spesso si pentivano e alla fine diventavano pure santi come era accaduto a Jacopone da Todi che oltretutto, gli aveva raccontato il prete, aveva anche scritto un bellissimo "stabat mater".
Teo non si sentiva cattivo ma nemmeno tanto buono.
Gli sembrò allora che anche nella grande cattiveria c'era però il segno di un carattere deciso,
allo stesso modo che in una grande bontà.
Lui non era né l'uno né l'altro.
-Chi sarò mai io-si disse.
-Un padre Cristoforo o un don Abbondio- a rifletterci bene si sentiva più simile a quest'ultimo anche se faticava ad ammetterlo.   

Teo (2a puntata)
C'erano molti ragazzi che si ritenevano esperti in fatto di sesso, quasi tutti quelli che venivano dalla città.
Tony, diminutivo di Tonino era uno di questi .
A differenza di tutti gli altri però Tony era figlio di ex circensi e lo dimostrava.
In classe bastava spostare un poco i banchi che era capace di eseguire un salto mortale senza appoggiare le mani in terra.
Allo stesso modo congiungeva i palmi delle mani uno contro l'altro, incrociava le dita come uno che prega ma non normalmente, bensì tenendo le braccia ritorte, si portava le mani verso il viso ed infilava la testa tra di esse senza aprirle.
Tutti provavano ad imitarlo, nessuno ci riusciva.
Per questo suo vivere in un ambiente così diverso da quello della maggior parte di tutti lui raccontava di aver avuto modo di assistere non visto a quelle che a Teo sembravano assurde storie di scopate.
Ogni sera prima di dormire deliziava tutti.
I particolari erano abbondantissimi.
A Teo, che nonostante tutto, mostrava un certo scetticismo o non apprezzava, un giorno disse prendendolo per le spalle e urlandogli in faccia:
" Tu non hai capito un cazzo, nella vita la cosa più importante è la fregna, ricordatelo, la fregna".
Teo pensò di cancellarlo dalla cerchia delle sue conoscenze ma non era possibile vivendo in simbiosi a quel modo.
Se ne andò in bagno per i bisogni prima della notte e qui la parola che Tony gli aveva vomitato addosso gli riecheggiavano nel cervello.
Teo non l'aveva mia pronunciata ma quella volta con il cuore che gli batteva forte provò a ripeterla a voce leggermente alta in modo però da poter essere udita solo dalle sue stesse orecchie.
Quella parola che Tony aveva scandito così bene a pochi centimetri da lui
aveva un significato oscuro e potente.
Forse per gli altri abituati ad ascoltarla fin da piccoli era una parolaccia come le altre ma per Teo no.
La ripeté una, due tre volte ogni volta era più sconvolgente, l'aveva già sentita ma ne stava scoprendo la magia quella sera
Una parola che evocava scenari proibiti che gli procuravano energie insospettate, sentiva il sangue affluire copioso tutto da una parte, la sentiva gonfiarsi prepotente.
Quella parola reclamava soddisfazione per porre fine al suo terribile dolcissimo incubo.
Teo si lasciò ricattare.
-Ora altro che purgatorio-.

Dormì malissimo quella notte.
Era angosciato per il solito motivo, se fosse morto questa volta non si sarebbe trattato più di qualche secolo di purgatorio ma ora si trattava dell'eternità, per l'eternità tra le fiamme dell'inferno, infilzato dai forconi - ma che sciocchezze-
Senza una goccia di acqua per l'eternità.
Si svegliò sudato e assetato si alzò, la tenue luce sulla porta dei bagni lo guidò fino ad un rubinetto lo apri bevve abbondantemente, si sbruffò la faccia con un po' d'acqua e tornò a letto.
I cattivi pensieri, frutto di una coscienza sporca, ricominciarono.
-sciocchezze- pensò ancora, si ma anche l'innominato all'inizio pensava che fossero delle sciocchezze poi però si era convertito pensando e se è vero?, e se c'è il castigo dopo la morte?
Teo si sentiva come l'innominato dei promessi sposi che stava studiando.
Se era così allora uno avrebbe dovuto vivere sempre con un prete al fianco per confessarsi immediatamente almeno dopo un peccato mortale!
-Ma così- si sorprese a pensare Teo, -la confessione non sarebbe stata valida, perché uno si era fatto un calcolo e la confessione non era uno smacchiatore dell'anima- come diceva don Matteo.
Non c'era via d'uscita o forse no, una ancora restava, era la contrizione vera, il vero pentimento richiesto a Dio con animo sincero, senza calcolo, all'ultimo momento.
Teo cercò di fare atto di contrizione come meglio poteva, incrociò le dita delle mani sotto le lenzuola ma non era l'ultimo momento si disse e sperò.
Claudio diceva che i preti si erano aggiustati le cose come a loro meglio faceva comodo.
In effetti se era così avevano pensato proprio a tutto.
A Teo sfuggiva però il motivo di tutto questo, perché avrebbero dovuto inventare tutte quelle storie.
La religione era una cosa seria mica una storia.
Gli antichi adoravano il sole, diceva il padre priore, perché erano dei poveri ignoranti, noi invece oggi sappiamo che il sole è solo un astro e che la vera religione è questa , che l'unico Dio è il nostro, quello della santa chiesa cattolica apostolica romana.
A Teo sembravano parole sacrosante ma Claudio ribatteva che noi ritenevamo stupidi gli antichi che adoravano il sole che vedevano chiaramente, che li scaldava, e li illuminava e intelligenti noi che adoravamo uno che non si era mai visto.
A Teo questo ragionamento, se lasciava da parte le numerose parolacce e le orribili bestemmie col quale Claudio lo condiva abbondantemente, non sembrava tanto sbagliato.
Però intanto l'angoscia pur se attenuata restava ancora in sua compagnia.

Il giorno seguente, come nel caso di Claudio, Teo cercò di farsi amico Tony.
Fece leva sulla sua vanità e a lui si rivolse per sapere cos'era un preservativo.
"E' una sostanza" disse Tony " Che si mette proprio lì sopra e evita che la donna sia fecondata"
Teo notò che aveva usato termini meno espliciti, forse perché glielo aveva chiesto gentilmente come uno scolaro chiede al maestro ed il maestro non può rispondere volgarmente.
Non capì bene però che tipo di sostanza fosse ma se lo aveva detto Tony, oppure gli aveva risparmiato la parola, come anche l'altra, perché doveva essere una sostanza schifosa, come tutte le cose che avevano attinenza col sesso, forse avevano ragione i preti..
Preso dal suo ruolo d'insegnante Tony gli spiegò anche il significato di cornuto questa volta la spiegazione apparve a Teo più chiara di quella del preservativo.

Seduto sempre più angosciato, in un angolo della sala ricreativa, in attesa del sabato per confessarsi e nella speranza di non morire nel frattempo Teo seguiva con lo sguardo l'alternarsi regolare della pallina di ping pong.
Aspettava di nuovo il suo turno per giocare.
A Teo il ping pong, che aveva conosciuto lì per la prima volta piaceva molto
ma quando era il suo turno lo facevano fuori dopo pochi colpi per cappotto.
Ma come era possibile rifletteva, i suoi compagni " cittadini" che lui aveva in cuor suo sempre disprezzato sapevano fare tutto, erano bravi a ping pong , lo battevano facilmente a scacchi, un gioco anche quello imparato lì, erano bravi a bigliardino, al calcio, a scuola, in fatto di sesso poi erano dei maestri.
Teo cominciò a pensare di non valere niente, non erano da disprezzare, era gente dalla quale imparare.
Venne finalmente il sabato l'occasione buona per dare una pulita all'anima.
Teo si fece l'esame di coscienza ma non ve n'era bisogno, ci pensava da una settimana.
Se ci fosse stato solo don Matteo probabilmente Teo non si sarebbe mai più confessato, quello avrebbe voluto sapere come, dove, quando, con chi, quante volte e poi dopo fuori del confessionale lo avrebbe guardato negli occhi e lui si sarebbe vergognato.
Si diresse dunque dal vecchio frate che essendo un vecchio forse poco capiva di queste cose, ragionava Teo.
Il vecchio frate domandò a Teo come, dove, quando, con chi e quante volte poi lo assolse dicendogli di chiedere perdono a Dio per queste mancanze.
"Mancanze?", aveva detto proprio mancanze, come mancanze, la mancanza, non poteva fare a meno di ragionare Teo, non gli sembrava una cosa tanto grave, Don Matteo quelle azioni non le avrebbe di certo definite mancanze.
Allora si disse Teo sta a vedere che quello che è peccato mortale per uno non lo è per l'altro
ma allora, allora… che avesse ragione Claudio.
Restava da vedere chi aveva ragione tra Don Matteo o il vecchio Frate?


Si era sentito strano una mattina, non sapeva perché, si era recato in infermeria dove era sempre presente un infermiere ma non un medico.
Costui aveva a disposizione un grosso barattolo di vetro simile a quelli della marmellata, pieno di innominate pastiglie bianche e poi bende, cerotti e disinfettanti locali.
Prescrisse a Teo la sola cosa che fosse autorizzato a prescrivere, due pastiglie bianche, panacea di tutti i mali.
Non ebbero alcun effetto.
La mattina seguente Teo non appena cercò di alzarsi dal letto vi ricadde pesantemente sopra semisvenuto.
Accorse il prete chiamato dai suoi compagni gli mise una mano sulla fronte e stranamente gentile disse a Teo di non alzarsi o sarebbe svenuto di nuovo.
Di solito don Matteo non credeva ai malori dei suoi ragazzi ma quella volta ci credette non solo ma dopo un paio d'ore arrivò persino il medico condotto del vicino paese.
Teo era preoccupato se era venuto anche il medico doveva essere una cosa grave.
Orecchioni sentenziò una malattia infettiva, bisognava assolutamente evitare il contagio con gli altri.
Teo fu isolato in una stanzetta dell'infermeria insieme ad altri tre ragazzi con la stessa malattia.
A parte il fatto che quando ingoiava qualcosa gli doleva terribilmente sotto le orecchie per il resto nella stanzetta si stava molto meglio che nel resto del collegio.
I pazienti erano trattati con riguardo per ordine del medico, il bagno era lindo e non aveva quella schifosa tazza alla turca.
Don Matteo non poteva entrare perché erano infettivi gli unici autorizzati erano l'infermiere e il medico.
Il dottore veniva ogni giorno e disse loro di fare attenzione e di riferire subito se per caso avessero avuto male allo scroto.
-allo scroto?-
"Insomma se vi fanno male le palline" disse toccandosi un poco il dottore, "ditelo subito"
"Perché ", domandò Teo "è pericoloso"
"Può diventarlo"
Non bastavano le ossessioni sessuali ora Teo doveva toccarsi anche per questioni mediche.
La situazione si stava complicando, ora pensava alla morte come molto più probabile ed il fatto di essere trattato con riguardo gli sembrava aumentasse questa probabilità.
Non aveva paura di morire ma era terrorizzato dal farlo non in grazia di Dio e bastava poco per non essere in grazia di Dio a volte anche solo il pensiero diceva don Matteo e pensieri di un certo genere si affollano nei cervelli dei ragazzi come mosche sul miele a niente serve scacciarli.
Pensò di chiamare il prete per confessarsi di nuovo, ma non sarebbe potuto nemmeno entrare!
Non gli rimaneva che la solita contrizione profonda.
Faceva atto di contrizione profonda ogni sera.
Per passare il tempo e non rimanere arretrati con gli studi avevano i libri di scuola ma restavano quasi sempre chiusi anche perché un ragazzo ammalato si era fatto portare dalla mamma una valigia di giornaletti di eroi del west.
A Teo piacevano molto e li leggeva avidamente uno dopo l'altro.
La notte Teo febricitante sognava Pecos Bill che ferito sulla riva del fiume veniva soccorso da "luna splendente" figlia bellissima del capo tribù dei Seminole mentre i coyotes ululavano alla luna.
Nel delirio Teo ormai era Pecos Bill, la luna cui ululavano i coyote era il lampadario a palla della stanzetta, il fiume Pecos il bicchiere dell'acqua sul comodino, "luna spendente" la prof d'inglese.

Tre settimane dopo Teo usciva guarito dalla sua vacanza e ritornava nel duro ambiente giornaliero.
Le domeniche nelle quali non venivano a trovarli i genitori e se non erano stati puniti i ragazzi accompagnati dal prete uscivano per arrivare in paese.
La domenica non vi erano mezzi per raggiungerlo se non a piedi.
Non era molto distante ma sempre qualche ora per andare e qualche altra per tornare ci voleva.
Don Matteo però conosceva delle scorciatoie che passavano attraverso i campi e qui lo seguivano.
Attraversavano corsi d'acqua, si arrampicavano su grosse pietre camminavano sull'erba e sul fango
col vestito buono e le scarpe per la festa, però guadagnavano qualche ora.
In paese Don Matteo li lasciava liberi con un appuntamento per il ritorno per la stessa via e quindi prima che facesse buio.
Teo aveva ormai deciso d'imparare e così si avviò insieme a Claudio e Vito e il profugo.
Quest'ultimo si fermò al primo bar che incontrarono, entrò tracannò un bicchierino di Stcock 84 tutto d'un fiato poi uscì e disse che adesso potevano andare.
Al profugo piaceva molto l'alcol.
Passarono davanti ad un cantina salutò uno degli avventori e si fermò a parlare con lui.
"Conosce tutti i vecchietti della zona"
Commentò Claudio.
Il profugo disse che si sarebbe fermato con il suo amico e che li avrebbe raggiunti in collegio, Claudio Vito e Teo continuarono.
"Andiamo alle giostre" suggerì Vito.
La proposta fu accettata , Teo si divertiva un mondo sulle macchinine a scontro che non aveva mai visto prima.
Lui e Vito salirono su una, Claudio solo sull'altra ma tanto per distinguersi loro non entrarono completamente all'interno della macchinetta ma tenevano una gamba dentro e una fuori appoggiata sul predellino di gomma che riparava dall'impatto, questo dava loro un'aria più sportiva un'aria più vissuta che non aveva Teo, goffamente seduto all'interno.
Entrambi accesero subito un sigaretta.
Quando ci si scontrava Vito per aumentare la forza dell'impatto si gettava in avanti anche con il corpo.
Teo chiese di guidare Vito glielo concesse, girarono per parecchio poi scesero alla ricerca di un altro divertimento.
Teo era molto soddisfatto quella sera, per lui sarebbe potuto bastare ma i cittadini sembravano
irrequieti.
Cominciarono a bighellonare li intorno anzi ad allontanarsi fin quando su una stradina sterrata secondaria Teo vide un piccolo falò, imbruniva già.
Seduta su un tronco di legno vicino al piccolo fuoco vi era una giovane donna che fumava.
Aveva i capelli lunghi e la gonna corta, molto corta.
Teo pur nella sua abissale ignoranza in materia aveva capito, quelli puntavano dritti verso di lei.
Teo si arrestò
"Ma dove andate"disse
"Don Matteo ci aspetta tra poco in piazza"
"vaff…. Tu e Don Matteo, cammini o no?"
Teo era impietrito.
"O dico a te ci vieni o no?
Ancora una volta l'educazione di Teo, la sua timidezza lo stava inchiodando con i piedi in terra, se ne rese conto, una lotta furibonda si stava svolgendo nel suo animo.
Per quanto tempo ancora avrebbe continuato a fare il bambino?
Per quanto tempo ancora gli altri avrebbero dovuto fargli da balia?
Il tempo passava in fretta e Teo rinunciava a nuove esperienze.
Perché no, si chiese improvvisamente perché no!
Il suo corpo si mosse in avanti prima dei suoi pesanti piedi, rischiò di cadere, Teo ora seguiva i compagni.
Quelli si fermarono a parlare con la donna, Teo leggermente discosto sentì chiedere da lei
"Tre?"
"Tre" rispose Claudio.
Tre, oramai lo avevano incluso e adesso doveva solo andare avanti.
Aspettò il suo turno con la morte nel cuore sembrava dovesse andare al patibolo, se fosse fuggito non lo avrebbero più guardato in faccia, e poi perché fuggire quella era la realtà
diceva Claudio.
I miliardi di esseri umani che esistevano al mondo erano nati da quel gesto.
"Vai!" gli disse Vito finendo di ricomporsi.
Teo si avviò con passo malfermo col cuore che batteva all'impazzata verso un'auto ferma in mezzo a un campo.
Quando si avvicinò vide che era una vecchia auto senza ruote.
Lei aspettava all'interno, Teo si avvicinò all'altra portiera e rimase li fermo.
"bhè che aspetti? Entra."
Teo entrò.
"Quanti anni hai?" chiese lei
La sua voce non era da gattina come quella della prof.
"diciassette" bisbigliò, mentì Teo.
"E io dodici", disse quella con tono da presa in giro.
" Come ti chiami? "continuò lei che senza aspettare risposta aveva già preso a trafficare con la chiusura dei suoi pantaloni.
Teo si portò istintivamente una mano tra le gambe.
"Aho, vuoi o no? Non farmi perdere tempo sai che c'ho da lavorare io"
"Si, si… è solo che… è la prima volta"
" E Allora?"
Lei continuò con fare esperto ad aprire la chiusura dei pantaloni ad una statua di marmo.
Teo era seduto all'interno di quella vecchia auto fredda e senza ruote in mezzo ad una campagna sconosciuta, in lontananza vedeva le luci della giostra e ne sentiva la musica.
Dietro di loro ad una certa distanza aveva notato un'altra auto con qualcuno dentro che aspettava a fari spenti.
Il corpo di Teo era li ma il suo spirito era in vacanza e guardava dall'alto quella incredibile scena.
Qualcuno frugava nella sua intimità quella stessa intimità che cercava di nascondere agli occhi del prete durante le docce.
Tutto era di pietra in Teo tranne ciò che avrebbe dovuto esserlo.
Neanche la masturbazione a due dita praticata dalla sua occasionale compagna riusciva a produrre un qualche misero effetto.
" Senti bello" disse lei " io non posso perdere tempo con te"
Teo le chiese allora di coricarsi, quella acconsentì subito e reclinò il sedile, Teo si distese sopra di lei.
Ora era se possibile era ancora più incredibile, Teo era tra le gambe di una sconosciuta, sentiva il calore del suo corpo e Teo cominciava a tornare di carne.
Si sforzò di ricacciare indietro i soliti assillanti pensieri dell'inferno che a quel punto immaginava con le porte spalancate solo per lui con i diavoli che lo aspettavano con la banda e il tappeto rosso per spingerlo con i forconi verso il buco nero di una enorme maleodorante latrina turca piena di putridume che assomigliava tanto a quelle che Teo vedeva in "quel luogo là" ogni giorno.
Aveva raggiunto il suo viso, Teo pensò di baciarlo ma quella con gesto deciso gli spinse il viso da un lato e girò il suo dall'altro.
Se anche cominciava ad esserci una minima eccitazione con quel gesto era definitivamente scomparsa.
Teo capì che non era una ragazza come lui aveva sempre sognato, era una donna a pagamento era una professionista, non aveva niente a che fare con l'amore.
"Basta" fece Teo rialzandosi, stava acquistando un po' di sicurezza, stava ritrovando se stesso.
Anche lei si alzò ma era preoccupata dal fatto che Teo, non avendo concluso, non la pagasse.
Teo la rassicurò ed estrasse una banconota di cui lei non aveva resto, scese senza dir nulla e si allontanò.
Teo stette un po' a guardarla poi rassegnato disse mentalmente addio alla sua banconota, pensò di essere stato truffato poi vide dallo specchietto che quella si era avvicinata all'auto che stava dietro, qualcuno le stava cambiando i soldi, tornò da Teo gli diede il resto salì sull'altra auto e sparì.
Teo si trovò solo sotto le stelle che lo guardavano allibite.

"Teo gratias, ce l'hai fatta finalmente"
Era Vito.
"Come è andata?"
"Che mi perdevo!" mentì ancora Teo.
" Lo vedi e non ci volevi venire, dai retta ai maestri di vita"
Era tardissimo ormai, don Matteo si era sicuramente riavviato anzi forse era già arrivato.
Se avesse solo avuto sentore di ciò che avevano fatto i tre allora si che Teo avrebbe conosciuto l'inferno sulla terra.
Cercarono la scorciatoia per il ritorno ma in mezzo alla campagna non vi erano luci e il chiarore tenue delle stelle non bastava per riconoscerla.
Così i tre superarono una collinetta scesero dall'altra parte attraversarono un campo coltivato, il fango arrivava loro alle ginocchia, povere scarpe della festa, pensò Teo e i pantaloni buoni per i quali la mamma gli si era raccomandata.
Mentre Teo pensava ai suoi vestiti udì Claudio in una delle sue abituali espressioni
" …cazzo è quello?"
Quello era un qualcosa alto e grosso che veniva loro incontro, nell'oscurità della sera era indistinguibile.
Vito e Claudio cominciarono a correre seguiti da Teo, loro erano più veloci.
Anche in questo erano più bravi pensò Teo ma poi si disse di non pensare e di correre.
Che diavolo era quello? il diavolo, perché se no per quale diavolo di motivo si metteva la parola diavolo nella domanda? Teo era entrato nel labirinto dei pensieri, lo vedi si disse, il diavolo c'entrava sempre e ora stava andando a prendere lui dopo quello che aveva osato fare.
-Ma Che ragionamenti, corri Teo Corri-
Teo si rendeva conto che si stava facendo del male da solo, non poteva essere il diavolo era semplicemente un animale che era stato disturbato dal loro passaggio ma non poteva fare a meno di pensare a quelle cose ogni tanto.
Continuando a correre Teo si girava spesso per vedere a che punto era l'inseguitore, si era avvicinato, forse una mucca o un toro "cazzo se è un toro.." e ancora una volta nonostante la situazione si accorse che stava usando il vocabolario di Claudio.
-Ma tu guarda se devo pensare al vocabolario in un momento come questo-
Ora Teo aveva veramente paura, si sentiva infilzato dalle corna del toro, che forse erano i rebbi del forcone del diavolo, da un momento all'altro, le sentiva penetrargli nella schiena lacerargli le carni frantumargli la spina dorsale si vedeva lanciato in alto e poi si vedeva ricadere in terra completamente squassato.
Accelerò ma il terreno era sconnesso ed avvertì distintamente un acuto dolore ad una caviglia, una storta.
- Accidenti anche la storta adesso-
Costretto a rallentare avanzava ora zoppicando
- E' la fine ora mi raggiunge e mi infilza-
-Dio- pensò- perdona i miei peccati, l'ultimo, il più grave, commesso proprio stasera-.
Non aveva il tempo di fare la solita contrizione profonda.
-Dove cazzo sono gli altri due, mi hanno lasciato solo, maledetti-.
Teo zoppicando correva più che poteva senza saper bene in quale direzione, ogni passo era un dolore lancinante per via della caviglia ora non si sforzava nemmeno più di cercare di guardare dinanzi a se per evitare eventuali ostacoli ora avanzava e basta cercando di frapporre quanto più spazio possibile tra se e il mostro.
Teo sentì ad un certo punto la scarpa del piede dolente affondare su qualcosa di molto morbido, vi scivolò sopra , era finito sullo sterco di una mucca si era sporcato anche le mani nel tentativo di tenersi in piedi.
Ora perfino la giacca era sporca di sterco e puzzava, si rialzò, non aveva tempo di preoccuparsi per la giacca , aveva altro a cui pensare.
Il piede gli doleva come non mai, avrebbe dovuto fermarsi ma non era possibile il toro, la mucca o il diavolo in persona continuavano a rincorrerlo.
Cadde, si rialzò si era ferito la mani, cadde di nuovo, si rialzò ancora.
Finì nel fosso quello che avevano attraversato all'andata,"porc…" stava per bestemmiare, ci mancava solo questa per farlo finire decisamente in bocca a Lucifero
Nella sfortuna pensò però di essere sulla buona strada ma scivolò di nuovo su una roccia viscida ora era anche bagnato fradicio e indolenzito dalla botta, uscì sull'altra sponda , pensava di essere al sicuro ormai , quella cosa, qualunque cosa fosse non avrebbe attraversato il fosso.
Teo si sbagliava, la cosa aveva attraversato il fosso.
Terrorizzato stanco con il fiato grosso lo milza dolorante zoppicando e fradicio Teo fece appello a tutte le sue forze.
Riprese a correre fin quando andò a sbattere contro del filo spinato si era graffiato piuttosto seriamente, Teo recuperò un barlume di coscienza si rese conto che era una recinzione con attenzione cercò di passarvi in mezzo rapidamente, sentì i pantaloni impigliati che si laceravano nel tentativo di attraversarla tirò ormai senza più alcun rispetto né per il vestito né per se stesso avvertì chiaramente un altro acuto dolore su una gamba.
Teo era ora dall'altra parte della recinzione il toro si era fermato grazie a Dio.
"Teo, Teo"
Claudio e Vito ricomparivano
"Dove eri finito?, ma come ti sei ridotto?"
"Io? Voi mi avete lasciato solo alle prese con un mostro"
"Ma quale mostro era una mucca"
"Un toro"
"Una mucca"
Insomma poteva essere stata una cosa anche innocua ma lo spavento di Teo era stato reale.
Il collegio ormai appariva anche se ancora in lontananza.
Il pericolo del Toro era scampato ma restava Don Matteo se lo avesse visto in quello stato tornare a quell'ora … Teo immaginava già il bruciore delle bacchettate sulle mani dieci per palmo questa volta.
Arrivarono in collegio, Teo sostenuto dai compagni, era notte fonda ormai.
Il portone principale era socchiuso, lo spinsero delicatamente per non fare rumore e si avviarono verso la camerata, questa però era chiusa.
La camerata stava al primo piano e alcune finestre davano su un ballatoio.
Teo e gli altri erano rimasti chiusi fuori.
Avrebbero potuto bussare svegliare il prete e poi avrebbero dovuto giustificarsi non sarebbe stato facile ingannarlo raccontando frottole lo avrebbe capito subito, le conseguenze per tutti e tre sarebbero state devastanti.
Anche la mattina ci si sarebbe dovuti giustificare ma essi giudicarono che sarebbe stato più facile.
Restava il problema di come rientrare senza svegliare don Matteo.
Claudio propose di arrampicarsi sul ballatoio e poi entrare da una finestra, ma come Teo era zoppo
e già non era facile per uno che stava bene.
Si arrampicò Vito sostenuto per il primo tratto dagli altri due poi prosegui agilmente da solo.
Una volta sul ballatoio Vito bussò ad una finestra svegliando Tony e gli altri, insieme in silenzio presero un paio di lenzuola le legarono per formarne una più lunga e calarono la rudimentale fune dal ballatoio.
Non ci fosse stato Tony a spiegare loro come dovevano salire non ci sarebbero riusciti mai.
Tony annodò un lembo del lenzuolo in modo da ricavarne un asola dove infilare il piede poi disse loro di tenersi con le mani.
Sia Teo che Claudio vennero issati sul ballatoio e quindi in camerata attraverso la finestra aperta.
Il prete non si accorse di nulla.
Fortunatamente la mattina seguente Don Matteo dovette partire d'urgenza e fu sostituito per qualche giorno.
Teo si presentò a scuola indossando una scarpa ed una ciabatta che conteneva un caviglia gonfia.

Ora Teo guardava gli altri compagni dall'alto in basso.
Dall'alto della sua esperienza fallita ma questo lo sapeva solo lui.
Era stata comunque una esperienza interessante ed ora tutti visto che Claudio e Vito avevano raccontato in giro la loro avventura lo stimavano di più.
Teo rifletteva, quando era in grazia di Dio tutti pensavano che fosse un bamboccio, ora che era divenuto un gran peccatore quasi tutti lo guardavano come un eroe.
Mancava una cosa a Teo per trasformarsi definitivamente in un uomo Teo voleva una sigaretta.
Se aveva avuto una esperienza come quella di qualche sera prima, cosa voleva che fosse una sigaretta.
Lo disse a Vito e questi prontamente gliene offrì una, andarono a fumare in "quel luogo là" ora Teo era uno dei tanti che tenevano tra le mani una sigaretta.
Gliela accesero tossì, aspirò di nuovo e tossì ancora, si stropicciò gli occhi che il fumo aveva irritato
poi imparò a socchiuderli un po' e ad alzare il viso.
Prima che la sigaretta finisse Teo aveva assunto l'espressione di un gangster di altri tempi.

Tra qualche giorno sarebbe finita la scuola e con essa l'incubo di un intero anno.
Niente più interrogazioni, niente più batticuore col professore di chimica niente più professoressa d'inglese, questo a Teo dispiaceva molto, scampato il pericolo della verga di don Matteo.
Mentre Teo era immerso in simili pensieri entrò il profugo con un bottiglia di liquore in mano.
"Per festeggiare la fine dell'anno" disse, se ne versò un po' in un bicchiere poi si accese una sigaretta immergendone il filtro dentro l'alcol e portandosela alla bocca.
Bevve tutto d'un fiato e quindi ne offrì anche agli altri dicendo:
"Che ne sapete voi dei piaceri della vita"
Uno per uno bevvero tutti dallo stesso bicchiere, anche Teo, la bottiglia finì, gli occhi erano lucidi e i cuori allegri, l'aula satura di fumo.
Qualcuno fece volare una palla di carta, strappata dalla pagina di un quaderno.
Gli altri seguirono l'esempio e cominciarono a strappare le pagine dei quaderni per farne palline da lanciarsi addosso .
I quaderni non bastavano più, presi dalla euforia i ragazzi continuarono con i libri, ora non per farne palline ma semplicemente per il gusto di strapparli, strapparono le pagine una ad una, di tutti i libri che possedevano.
La classe ora era completamente invasa dalla carta e dal fumo, sembrava d'essere in un mondo fantastico.
A Teo sembrò anche che girasse
I ragazzi ridevano e cantavano:
"all'osteria numero mille, il mio cazzo fa scintille, fa scintille sulla legna figuriamoci sulla f…"
La porta si spalancò improvvisamente.
Il frastuono calò rapidamente man mano che i ragazzi guardavano gli occhi di fuoco di don Matteo.
Schiacciarono in terra le sigarette e stettero immobili.
Questi era apparso sulla porta e li osservava in silenzio osservava lo sfacelo.
Fece qualche passo in avanti guardandosi intorno con una smorfia di rabbia e di disgusto che gli si disegnava sul volto sempre più evidente.
Fece un gesto della mano davanti al viso come per scacciare il fumo, Vide la bottiglia vuota su un banco guardò l'etichetta e la rimise a posto delicatamente.
"Anche ubriaconi" mormorò
Ordinò con calma di pulire tutto.
Obbedirono, trovarono dei sacchi, raccolsero la carta, le cicche di sigaretta, spazzarono, mentre il prete li osservava in silenzio passeggiando lentamente in mezzo all'aula.
Quando ebbero finito Don Matteo li fece allineare addosso al muro uno vicino all'altro.
Poi alzò il viso respirò profondamente e da sotto la tonaca estrasse ciò che tutti avevano paventato, la terribile verga.
"Le mani , con le palme rivolte verso l'alto, forza".
Si avvicinò al primo che era il profugo e che stentava ad allungare la mano, poi obbedì, Teo sentì il sibilo e quindi lo schiocco.
Il profugo mandò un grido soffocato e si soffiò lungamente sulla mano fece per porgere l'altra ma il prete volle la stessa.
"No" implorava il profugo, "la stessa no."
"La stessa " insistette il prete.
A fatica il profugo porse la stessa mano ma la ritrasse quando la verga si stava per abbattere di nuovo su di essa.
Il prete era andato a vuoto ma disse di rimetterla di nuovo e se l'avesse ritratta ancora avrebbe aumentato la dose un bacchettata in più per ogni volta che lo mandava a vuoto.
Era terribile , pensava Teo, quell'uomo doveva essere un sadico.
Due vergate per ogni palma sulle mani di ognuno.
Quando fu il suo turno Teo pensò dapprima di raccomandarsi al prete ma poi i fumi dell'alcol gli diedero uno strano coraggio si sentì uomo e tese le mani stoicamente.
Gli bruciavano le palme come Teo non aveva mai immaginato e quello, pensò, doveva essere nulla rispetto alle fiamme eterne.

L'anno finì, non bene per Teo che ora braccia lungo i fianchi costernato guardava i quadri con il suo nome scritto in rosso.
Anche il profugo era scritto in rosso e così Claudio ed altri ma ciò non lo consolava.
Notò ad un certo punto il cognome dell'Atomico che prima non aveva notato abituato com'era a chiamarlo solo così, era scritto in blu.
Il suo risultato era promosso con una bellissima P chissà perché sembrava più bella delle altre P degli altri promossi.
-Ma come- si disse Teo,- l'Atomico ha abbandonato la scuola dopo due mesi ed è promosso?-
Era bravo, va bene, però aveva fatto solo due mesi mentre invece lui aveva sofferto nove mesi…
-Non è possibile, farò ricorso, solleverò un casino, è un'ingiustizia.-
Teo fece notare la cosa agli altri
Claudio disse che era raccomandato "Che schifo" aggiunse, sputando come al solito.
La storia dell'Atomico ormai era sulla bocca di tutti e così il professore di fisica venuto a conoscenza delle proteste invitò tutti in classe.
I ragazzi si ritrovarono lì che aspettavano spiegazioni.
"Ragazzi" cominciò, "so che siete sorpresi dalla promozione dell'Atomico, come lo chiamate voi, ma vi sono delle ragioni per le quali ciò è stato fatto".
-Voglio proprio sentire quali sono queste ragioni- pensò Teo con atteggiamento di sfida.
"Vedete ragazzi", proseguì il professore, "quelli di voi che non sono stati promossi ripeteranno l'anno, gli altri faranno la seconda, anche l'Atomico farà la seconda" si fermò un poco, poi aggiunse "insieme agli angeli".
Che significava? L'Atomico era morto? Non ancora ma aveva i giorni contati.
La leucemia lo stava uccidendo.
"Tutto quello che la scuola poteva fare è stato fatto, abbiamo ritenuto giusto regalargli un minimo di soddisfazione nella sua breve vita."
Vi fu un profondo silenzio Teo aveva un nodo alla gola che faticava a reprimere si sentiva scosso da dentro aveva voglia di piangere ma si tratteneva, si vergognava per ciò che aveva pensato.
Povero Atomico era così bravo, la natura sprecava così le sue risorse migliori.
Chissà se L'Atomico era in grazia di Dio.
Don Matteo se lo chiedeva sempre ad alta voce in chiesa ogni volta che il giornale riportava una disgrazia e sottintendeva sempre che poteva capitare anche a loro e che quindi dovevano essere sempre pronti.
Ora Teo pensava che il prete aveva ragione, chi mai avrebbe pensato che l'Atomico sarebbe morto di lì a poco?
Teo immaginò L'atomico dentro quell'orrida cassetta senza più le sua amate radio da smontare, senza più missili e bombe da sperimentare fermo immobile per l'eternità.
Prima o poi sarebbe toccato anche a lui, Teo ne era cosciente e allora si mise ad elucubrare,
aveva senso prendersela tanto se uno moriva un po' prima del previsto?
Lui aveva fissato questa previsione intorno agli ottanta anni, che per la verità gli sembravano lontanissimi ma che comunque sarebbero arrivati.
Erano tanti pensò e accidenti se c'era differenza tra l'andarsene a quindici o a ottanta ma di fronte all'eternità non avevano senso.
-Morire giovane-, pensava, -forse ha pure qualche vantaggio, poiché uno non se lo aspetta, non si ha tempo di avere paura che se invece uno arriva a settantanove anni l'ultimo lo vive con la morte nel cuore aspettando che arrivi davvero-..
Vito lo scosse dai suoi pensieri, la riunione si stava sciogliendo e lui lo voleva salutare , tornava a casa i suoi genitori erano venuti a prenderlo.
"Tu quando vai via" gli domandò Vito
" Forse domani, mio padre ha da fare non può venire subito."
Si salutarono commossi.

Teo restò ancora qualche giorno ormai parecchi suoi amici se ne erano andati e nel collegio non c'era più la rigida disciplina di quando c'era ancora la scuola.
Teo stanco depresso per il risultato negativo camminava solo sotto il portico, pensava a suo padre, alla fiducia che riponeva in lui e lui invece lo deludeva a quel modo.
Pensava dunque al da farsi, pensava ad una qualche giustificazione per i suoi.
Gli avrebbero domandato come era potuto accadere che non fosse riuscito a superare l'anno.
Pensò di dare la colpa a quella cretina di matematica che lo aveva preso in antipatia, a quella snob d'italiano che credeva d'aver capito tutto quando parlava di potere economico in mano alle classi dirigenti ma Teo sapeva la verità.
Erano state le cattive compagnie, quelle che don Matteo diceva sempre di evitare, lui non le aveva evitate, anzi ora gli pareva di averle quasi cercate.
Aveva voluto imparare no?
A furia di ragionare in questa maniera pian piano nel suo cervello si fece strada il pensiero del suicidio.
Raggiungere volontariamente l'atomico e non pensarci più.
Non avere più l'assillo di giustificarsi, non dover ricominciare il prossimo anno, quasi quasi…
La soluzione c'era, ma era un peccato forse peggiore di tutti.
Qui Teo era indeciso, il prete diceva che i peggiori peccati erano quelli sessuali ed aggiungeva peggio di peggio quelli sessuali contro natura.
In ogni caso pensò Teo, se doveva andare all'inferno per i peccati sessuali commessi, cosa sarebbe cambiato se si fosse ritrovato là anche per suicidio, l'inferno era l'inferno, non c'era un tempo in secoli da scontare in proporzione alla gravità dei peccati, mica si usciva, quindi poteva commettere tutti quelli che voleva, tanto la pena sarebbe stata eterna e terribile comunque.
Accantonato il ragionamento contabile Teo si mise a pensare in quale modo sarebbe potuto dipartire.

Buttandosi sotto la prima macchina che passava, ma dove? li dentro non c'era una strada transitata, avrebbe dovuto raggiungere la statale e subito ma era lontana, e poi se non l'avessero preso bene sarebbe finito all'ospedale a soffrire le pene, allora si dell'inferno, per chissà quanto tempo.
Sarebbero andati a trovarlo tutti e gli avrebbero chiesto cosa mai gli fosse passato per la testa, prima si sarebbero sforzati di capirlo e poi se avesse avuto la sfortuna di guarire lo avrebbero pure rimproverato no, no, doveva trovare un altro modo.
Buttarsi a fiume, questo si, un bel salto e via, ma dove lo trovava un fiume?
Li vicino al massimo Teo aveva visto il fosso dove era caduto ma l'acqua arrivava si e no alle caviglie.
Avrebbe potuto fare l'autostop, per andare a cercarlo e poi magari l'automobilista gli avrebbe chiesto dove era diretto e lui magari gli avrebbe risposto "vado a buttarmi a fiume", quello non ci avrebbe creduto e magari avrebbe anche riso.
No e poi l'acqua in bocca non poter respirare, che mica sarebbe morto subito, no, e poi tutto bagnato, no pensò il fiume no, era pure sporco e freddo, sarebbe potuto morire anche avvelenato o peggio raffreddato, no.
Il gas ecco, un bel tubo del gas in bocca, due o tre belle tirate si sarebbe addormento e buonanotte, niente sangue, niente bagnato, si il gas era l'ideale, ma dove trovarlo il gas?"
Al S. Martino non c'era, forse nelle cucine, ma mica poteva andare in cucina e chiedere
"scusate mi fate attaccare un minuto al tubo del gas che poi tolgo il disturbo per sempre?"
-Miseriaccia-, pensò, -come è difficile morire-.
Il treno, il treno si , una stazioncina era a due passi dal S. Martino, titubante vi si avviò vi passò dinanzi, su un'anta della porta a vetri d'ingresso con un pennarello a mano c'era scritto:
"Sciopero fino a domani."
Avrebbe potuto buttarsi dalla finestra, questo era fattibile, ma non da quella della scuola perché stava al primo piano, al massimo si sarebbe rotto una gamba con le stesse conseguenze di quando pensava di gettarsi sotto un'automobile, però da quella della camerata, dal lato opposto a quello del ballatoio poteva, da quella parte risultava un quarto piano, un bel salto e non ci sarebbe stato nemmeno il tempo di ripensarci.
La sera stessa Teo si accorse che sotto le finestre c'erano tanti alberi pieni di foglie, non ci aveva mai fatto caso, che non gli avrebbero permesso di sfracellarsi bene come immaginava, anche questa idea era scartata.

L'indomani mattina era una bella giornata di Giugno inoltrato l'aria era calda.
Vennero i suoi genitori per riportarlo a casa, non fu proprio una festa ma furono molto comprensivi.
Lo abbracciarono, lo consolarono, non avevano bisogno di alcuna spiegazione.
Dissero che l'importante era che lui stesse bene al resto c'era rimedio.
Il rimedio era un altro anno al S. Martino.

Teo incontrò Vito
"Ciao, come stai? "
"rieccoci qui " disse Vito stringendogli la mano.
"Tu sei ancora più grosso dell'anno scorso" rispose Teo.
Ora Vito faceva la seconda.
"Siamo solo io e te o c'è qualcun altro dell'anno scorso?" continuò Teo.
"Mi sembra di aver visto qualcuno in mezzo alla confusione" disse Vito.
"Claudio?"
"No, ho saputo che ha cambiato scuola, adesso scusami, vado a sistemare le valigie ci vediamo dopo"
Teo era contento di aver incontrato qualcuno che conosceva, sarebbe iniziato un altro anno di preoccupazioni, di paure e di avventure ma stavolta non era proprio il primo impatto.
Dunque tornò la sera del sabato sul S. Martino.
Don Matteo fece la sua solita comparsa guardò quelli che già lo conoscevano accennò un leggero segno col capo e un risolino beffardo si dipinse sul suo volto poi disse:
"Forza, in fila per due"
Teo si senti toccare delicatamente un braccio si girò e un ragazzino con gli occhi grandi dall'aria spaesata gli domandò
"scusa dove andiamo?"
Teo lo fissò per un momento
"Come ti chiami?" gli chiese
"Giuseppe"
"Da dove vieni?"
"Da…….. un paese agricolo dell'entroterra"
Teo lo prese sottobraccio gentilmente e uscendo dall'aula gli disse:
"Vuoi sapere dove andiamo? Te lo dico io dove andiamo, andiamo a raccontare….."

Il quinto metacarpo
"E Sì".
Disse il dottore osservando la lastra che aveva incastrato sull'apposito schermo luminoso.
"L'osso del quinto metacarpo della mano destra è incrinato".
"E allora?"
"Allora lei dev'essere operato".
"Operato? Quando?"
"Subito".
Operato, io, non è possibile pensai, e poi a quest'ora saranno le sei di sera.
Ma come operato, adesso! ignudo, sdraiato sulla barella sotto quel grosso lampadario tondo per una cosa così piccola come il quinto metacarpo che è pure solo incrinato, ragionavo tra me.
"Venga".
Dove? Dove diavolo mi portava?
"Tolga la giacca tiri su la manica e appoggi il braccio qui sopra".
Il braccio? Ma mica mi sono rotto il braccio, non feci in tempo a pensarlo che l'infermiere lo stava già fissando ad una tavoletta così che dopo pochi minuti avevo una fasciatura lunga mezzo metro.
Mi sembrava esagerata.
Mi spedirono al secondo piano, dove avrei dovuto chiedere della caposala.
Mentre mi aggiravo nel corridoio tra persone in pigiama con volti più o meno dolenti venni apostrofato da una suora:
"Che fa lei qui così vestito?"
Feci un gesto come a dire e come dovrei essere.
"Si spogli che dev'essere operato".
E dagli, che ne sa questa! e poi come operato? Col bisturi?
Mica ho male allo stomaco.
E poi dove mi spoglio qui in mezzo al corridoio, ma tu guarda che mi doveva capitare.
"Su si sbrighi si metta il pigiama".
"Quale pigiama, non ce l'ho il pigiama, è successo tutto troppo in fretta!"
"Cosa?"
"Il dito rotto!".
"Tutti uguali, venite a farvi ricoverare senza pigiama" disse sbuffando,
"Allora prenda questo", mi porse un lenzuolo e mi accompagnò in una camerata.
Mi spogliai ma non fu per niente una cosa facile con un avambraccio legato ad una stecca, comunque con le mie peripezie portavo, se non altro, un po' di buonumore a tutti i pazienti che mi guardavano divertiti.
Rimasi con i soli slip, mi avvolsi nel lenzuolo e per evitare che si srotolasse ne appesi una parte sul braccio steccato, sembravo Giulio Cesare in tunica bianca.
Passava in quel momento un carrello, una donna distribuiva la cena, prima di andarsene chiese chi dovesse ancora mangiare. "io" dissi, quella mi guardò e rispose:
"Lei no, dev'essere operato".
Ancora? Sono tutti matti, possibile? Che vogliano operarmi per forza per prendersi i miei organi?
Mi venivano in mente tutti gli articoli di giornale letti a tal proposito.
Pensai anche che potevo scappare ma come, così conciato? Senza vestiti? Se li era portati via la suora.
Arrivò un monatto con la barella.
"Chi è quello con la mano rotta che dev'essere operato?"
"?"
"Sono io, ma forse c'è un errore, operato mi pare… "
"Sali qui" fece indicandomi la barella senza farmi finire di parlare.
"Ma no" dissi vengo a piedi, sembrandomi assurdo che uno giovane ed in ottima salute come me dovesse salire sul quel trespolo a ruote e per di più per andare ad operarsi, questa assurda cosa che si erano messi in testa.
Per un dito mignolo, adesso uno deve salire sulla barella e si deve addirittura operare.
Salii sulla barella, seduto e un po' rassegnato,
se proprio mi vogliono operare! Speriamo bene.
L'infermiere mi spinse in un ascensore e andammo in un piano superiore, aprì una porta e mi fece scendere solo quando arrivammo in un'ampia sala che avevo capito essere l'anticamera di quella operatoria.
Allora è vero, mi operano, non c'è più niente da fare, mi operano per davvero, mi vedevo squarciato, dal bisturi, dal collo fino alla vescica.
Ancora una volta pensai che avrei fatto in tempo a scappare ma poi il pensiero del disgraziato modo col quale mi ero procurato quella frattura mi fece pensare che fosse quasi giusto quello che mi stava accadendo, era una specie di punizione.
Notai allora su una seggiola un'altra persona che prima non avevo visto immerso com'ero nei miei angosciosi pensieri.
Costui aveva la barba lunga di un paio di giorni le guance scavate e i capelli brizzolati e scomposti.
Anche lui aveva un braccio fasciato come il mio.
"Anche lei si e rotta la mano?"
"Nts" fece con la bocca per dire no, io lo capii perché anche al mio paese a volte usavano la stessa espressione per esprimere disaccordo.
Poi continuò in mezzo dialetto "u bracc".
Avevo capito si era rotto un braccio.
"E dev'essere operato anche lei?"
Fece si con la testa aggiungendo un mugugno che non so riscrivere.
Io ero già più sollevato, mal comune…
Gli domandai se avesse paura dell'operazione, mi rispose di nuovo con "nts" perché c'era già passato, l'anno prima infatti si era rotto l'altro braccio.
Faceva il muratore.
"Allora se ci sei già passato puoi dirmi se fa male?"
Si diventa subito amici nella disgrazia.
"No, te da gust". Disse ironicamente.
Questa volta avrei voluto non capire e invece purtroppo ero un esperto in quella specie di dialetto.
Così per niente tranquillo entrai, mi fecero sdraiare sotto il grosso lampadario tondo come avevo temuto.
Ora ero lì ignudo indifeso coperto solo da un leggero lenzuolo circondato da molti macchinari.
Entrò quello che, dai modi di fare, doveva essere il dottore accompagnato da un infermiere.
Questi preparò una grossa siringa sotto il mio sguardo preoccupato e col cuore a cento, la porse al dottore che intanto guardava la lastra.
Il dottore prese la siringa e la infilò nella parte carnosa della mano in prossimità del quinto metacarpo, poi dopo aver iniettato il liquido staccò il corpo della siringa lasciando l'ago infilato nella carne.
A quella vista la mia tensione era diventata così forte che non mi accorgevo più di non tenere la mano appoggiata sul lettino, la tenevo infatti sollevata a mezz'aria il dottore mi richiamò imperiosamente e m'invitò a stare calmo.
Era una parola, non mi doleva, era la paura che mi dolesse che mi faceva star male.
Mentre mi sforzavo vanamente di stare calmo, la porta si aprì di nuovo, io potevo vederla benissimo.
Entrò la fata dei bambini buoni, lineamenti dolci come quelli di una madonna, bionda dai capelli lunghi che s'indovinavano anche sotto il copricapo, corpo snello, gambe lunghe e sexy anche con quelle asessuate calze bianche, un camice stretto rendeva evidenti i suoi fianchi tondi e le natiche morbide.
Si avvicinò al tavolo operatorio, appoggiò la sue mani sulla parte alta della mia coscia vicino l'inguine, e iniziò a parlare con gli altri due come se io non esistessi, però io c'ero eccome, avvertivo il calore di quel contatto, un calore che si propagava rapidamente per tutto il corpo e saliva fino al viso.
Lei sembrava essersi appoggiata ad un pezzo di legno ora massaggiava anche lentamente la parte continuando a parlare tranquillamente con l'infermiere ed il dottore.
Com'erano belli, Lei alta con il seno dritto, loro pure lineamenti regolari e vestiti con il camice lindo.
Io lì sdraiato nudo mi sentivo piccolo, brutto e meschino.
Intanto il calore si stava trasformando in un fuoco e non tardava a fare i suoi primi effetti.
Il più imbarazzante fu il sollevarsi prepotente e inevitabile del lenzuolo vicino alla sua mano, il piccolo slip era completamente fuori gioco.
Nessuno sembrò farci caso ma io per cercare di nascondere quello spettacolo vergognoso alla loro vista mi posi un poco di fianco, fui però subito ripreso dal dottore con un altro imperioso: "Stai fermo".
Non osai più muovermi ero come congelato in orizzontale, lui in verticale.
Potevo solo pensare e questo feci, mi sforzai di richiamare alla mente tutte le cose più tristi e prima ancora dei miei cari morti, chissà perché, mi vennero in mente i miei voti scolastici.
Non c'era niente da fare, il fuoco bruciava qualsiasi pensiero negativo ed il lenzuolo continuava a formare una specie di monte simile ad un vulcano sopra una pianura, questa similitudine mi portava a pensare con terrore speriamo che non erutti.
Non seppi mai se fu un esperimento del medico o degli infermieri, so solo che funzionò meglio di qualsiasi anestesia, mi ritrovai infatti completamente fasciato e aggiustato senza essermene neanche accorto.
Uscendo dalla sala incontrai il muratore che entrava e gli dissi:
"avevi proprio ragione, te da gust veramente".
Lui sorrise, io tornai a casa con l'insana voglia di rompermi, il quarto metacarpo.


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