Racconti di Silvio Canapè


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E il gatto?
Mi stiracchio avvolto dal caldo delle lenzuola e delle coperte.Emetto uno sbadiglio,lentamente e poi mi rigiro nel letto alla ricerca di qualche attimo ancora di sonno.
Sbadiglio ancora,sono avvolto da una pigrizia adulta; l'idea di mettere sul pavimento i piedi e le gambe,di scoprirmi perdendo contatto con questo tepore dolce e avvolgente quasi da grembo materno, mi fa rabbrividire.
Resto ancora al caldo,rannicchiato,assumo la posizione fetale, le ginocchia a toccarmi il petto ed il mento.
Questa è la posizione prediletta aumenta la sensazione del caldo e del benessere, disperde meno il calore.
Dio come si sta bene.Sento che per alcuni brevi istanti mi addormento,ma sono vigile,quasi sveglio.Penso di sognare,ma non sono sicuro.La stanza è calda,il buio è ancora fitto.pieno.Fuori, essendo mattino questo lo so,devono essere quasi le 7,il sole non c'è ancora,quindi è brutto tempo;il cielo sarà coperto di nuvole grige.Chi sà se piove?Non sento però il rumore della pioggia.Forse nevica! Siamo a dicembre.Tra poco è Natale.Quindi considerando il silenzio che è assoluto forse nevica.Adesso son già vestito.Sono inbacuccato dalla testa ai piedi;vesto di un giaccone di panno pesante, è blu, quello dei marinai. o pescatori, un maglione andracite con le trecce e sotto una camicia a quadretti di vari colori. Sul capo tengo un cappellino di lana anchesso blu, tutto calcato a coprirmi le orecchie a scanso di gelate.Porto pantaloni di velluto cinquecento righe,ruggine è il colore per rompere la monotonia del blu.Sono pantaloni pesanti e caldi.Ai piedi porto calzettoni di caldo cotone della marina militare, dice l'etichetta;per scarpe polacchine scamosciate ;i piedi sono al caldo e ben protetti.
Nel parco non c'è anima viva, non vedo nessuno.Ma è nètta la sensazione di non essere solo.
Stanotte è caduta molta neve, gli alberi sono arabescati di fiocchi e piccoli coni di ghiaccio.I vialetti sono tutti coperti di bianco candore.
Osservo le orme di piccoli uccelli, penso che appartengono ai passeri che sono stanziali e quindi non emigrano,continuano ad abitare il parco.In volo sopra gli alberi volteggia una colonia di cornacchie,il loro colore grigio scuro non li distingue dal colore di questo cielo mattutino.Due gazze,vestite di bianco e nero piumaggio,disegnano stanchi voli da un ramo ad un albero.
Là in fondo al parco sulla sponda destra che confina con l'inizio della collina si alza un velo di nebbia, è il fiume che lo produce continuando a scorrere lentamente.
Da quel velo intravedo l'acqua scura che attraversa ponti e poi prima del mare lambirà altre città.
Camminando lentamente attraverso il parco in compagnia del rumore molto attenuato delle mie polacchine a contatto della neve.Sul manto di neve ancora vergine lascio le mie impronte,guardandomi alle spalle posso osservarle chiaramente;così facendo controllo il cammino sin lì compiuto.I passi fatti sono tanti, un orma di scarpa dista dall'altra settanta centrimetri, quindi anche se non è importante ho percorso moti metri.Osservando le orme lasciate vedo che c'è simmetria. un ripetersi di passi costanti a guisa di marcetta o di pentagramma musicale.
Non è un cedere lineare ,il vialetto compie delle curve e poi si inerpica su di una piccola salita.Arrivato in cima senza il minimo sforzo continuo ad osservare quel disegno chiaro di passi già fatti,vedo con chiarezza il punto d'inizio e poi mi arresto dove io sto con davanti a me la neve ancora intatta non violentata da nessuno.
Tolgo le mani dai guanti, appena svestite sento il gelo che l'afferrano,una sesazione forte che mi provoca intensi brividi.La parte della faccia scoperta si è abituata al freddo,le mani no e subito diventano rosse e indirizzite.Le ricaccio nei guanti e subito sento che cominciano a sfrigolare ridiventando calde.
Da questa piccola altura domino una bella porzione di parco.Distinguo tra la nebbia che lentamente sale dal fiume, due ponti.Non c'è traffico.Ammirarli così con questa luce con la neve e la nebbia, sembrano due monumenti sospesi sull'acqua del fiume.La loro architettura,a due o a tre arcate,con i lampioni dalla luce fioca e biancastra,con l'angelo che sorregge l'eroe e la donna dal petto poderoso nell'atto di donarsi al ferito,mi trasmette una grande emozione di bello e fatato.Mi sento attratto da quella immagine sospesa,a lungo sto a guardare, osservo la lentezza della corrente,l'acqua che cammina e i ponti che silenziosamente si lasciano lambire.Mi stacco da quella visione, volgo lo sguardo tutto intorno,mi avvedo di fronte a me della sagoma del castello medievale, pocanzi non si vedeva.E' emerso dalla nebbia.E' il castello del "Borgo Medievale".Emerge come un isola,le torri le mura,i merli e le feritoie. Tutto è coperto di bianco.Sembra galleggiare il quel mare di nebbia che viene su dal fiume.Fa un freddo micidiale.
Mi lacrimano gli occhi sino ad appannarmi la vista.Non trovo il coraggio di svestire dai guanti le mie mani per essere più libero.Mi passo i guanti sugli occhi e anzichè asciugare le lacrime da freddo ottengo il risultato contrario:estendo il velo che si è formato sino al punto
che tutto scompare dalla mia vista.
I ponti il parco il castello il fiume spariscono.Resto io solo
su questa piccola altura.Non riesco a percepire che tutto si è dissolto.Mi sento come sospeso nel gelo.
Struscio più forte i guanti sugli occhi e piano piano
tutto riprende forma.Quando riesco a distinguere ciò che mi circonda mi accorgo della presenza di un piccolo cadaverino.E' un passero morto.Ha le zampette per aria,il corpicino mezzo sepolto dalla neve,la testolina leggermente chinata verso la pancia.Gli occhi sono due piccoli forellini ghiacciati.Mi intenerisco.Mi sento improvvisamente triste.Tutta la bellezza del parco sotto la neve,alla vista di quel piccolo cadeverino sparisce.La nebbia continua a salire in modo considerevole dal fiume.
Mi guardo intorno con più attenzione,sono sempre solo,non c'è nessuno.O meglio ci sono io e il piccolo cadaverino.Povero passero.
Non so cosa fare.Con gesto automatico sfilo le mani dai guanti.Guardo ancora quei sei centrimetri di piume e di ossicine.Formulo un pensiero:"adesso lo ricopro tutto con la neve dandogli così una giusta sepoltura".Formulo ipotesi sulle cause eventuali della sua morte.La più banale e la più veritiera puo essere quella che è morto di freddo.La temperatura stanotte,stando ai bollettini è scesa sotto i dieci gradi.Povero passero non ha retto alla gelata di Natale.Mi sposto dalla postazione in cui mi trovo Le mani ricominciano a gelarsi ma resisto:devo seppellire il passero.Faccio un passo nella direzione del cadavere.In quel preciso istante sento un arruffarsi di pelo
ed un miagolio cagnesco;un suono nel silenzio da paura.
E'così che mi appare un gatto uscito dal nulla.Ha occhi gialli,pelo tigrato ritto,il posteriore compresa la coda inarcato come chi è pronto all'assalto finale.
Sono stato preso in contropiede,non avevo osservato bene il terreno intorno al cadaverino del passero.Adesso vedo altre impronte:sono quelle del gatto.Orme di gatto selvatico di parco cittadino.
Ai brividi di freddo si aggiungono quelli della paura che mi ha preso alla vista di quel pelo arruffato irto e pronto all'attacco.
Scelgo velocemente la ritirata.Il passero non è morto di freddo.E' stato assassinato dal gatto per procurarsi la prima colazione o il pasto.Ed ora la difende.
I buoni proposite di degna sepoltura se la danno a gambe insiene a me.

Mi sveglio con il cuore in gola, viaggia come una Ferrari sul rettilineo di Montecarlo.Mi siedo in mezzo al letto.Precipito i piedi nelle pantofole.Assumo la posizione eretta.Il cuore romba ancora sul rettilineo.Tiro su la tapparella,scosto le tende di pizzo bianco,fuori nevica dolcemente,un soriano con gli occhi gialli scivola lentamente miagolando tra lr case e la via.

Ora nona, suona suona ….
Abbiamo appena finito di cenare. Da poco sono passate le otto di sera. Mio padre, come avviene tutte le sere, o quasi si alza da tavola per primo, con la sua sigaretta, una "stop" e si dirige verso l'angolo della stanza da pranzo dove c'è una poltrona, la sua poltrona, accanto al mobile radio e grammofono.
E' un vero e proprio mobile di falegnameria d'arte; il legno è pregiato, mogano con innesti di palissandro, lucidato a mano.
Si apre con due porte e dentro racchiude il giradischi un Phonola 75 giri con braccio nero e puntine super sensibili. La radio una occhio magico Bacchini è moderna in quanto racchiude in se i due altoparlanti legati al grammofono. Radio e mobile giradischi fanno una bella coppia e rendono piacevole quell'angolo della stanza da pranzo. La sigaretta, tirata, accende una brace lucente e formando una nuvola di fumo azzurro accompagna mio padre nel percorso dal tavolo alla poltrona angolo radio. La sera continua a scendere, dalla finestra che da sulla via, si può osservare l'avanzare del buio che ai miei occhi ha un suo fascino particolare; i pochi lampioni emettono una fioca luce gialla che poco scalfigge la notte buia. Non c'è vento di mare questa sera. C'è una calma che appare inverosimile; gli stessi movimenti di mio padre verso l'angolo radio-poltrona mi paiono strascicati e in sopportabilmente lenti.
Arrivato alla poltrona, aspira una tirata di sigaretta più lunga, la "stop" si accorcia e grande velocità, si dimezza. Mi domando dove va tutto quel fumo e se non si brucia la bocca e il palato con la brace così vicina. Nuvole di fumo sempre azzurro gli escono dal naso e dalla bocca, sembra una locomotiva che traina vagoni di treno. Il fumo ha un suo particolare odore, tra il piacevole e il disgustoso. Non quali delle due sensazioni scegliere, vorrei fumare anch'io e al contempo ho un forte ripudio versa quella gestualità. Forse un giorno fumerò.
Allunga, mio padre, la mano destra e accende la radio, una luce tenue e gialla accende quall'angolo di casa; l'occhio al centro dello schermo radio, dove sono segnate tutte le frequenze si vitalizia e riflette di luce propria.
I primi, sibili, rumori e suoni non si fanno attendere. Mia madre, mai ferma, sparecchia la tavola di pentole piatti e bicchieri, non tutti i bicchieri, quello di mio padre per usanza rimane sul tavolo nudo di tovaglia, per un eventuale ultimo sorso di vino da bere ascoltando la radio.
La radio viene sintonizzata su una frequenza non italiana, si sentono chiaramente scandire, da una bella voce maschia queste due cose: "Qui radio Praga sono le ore 8 e 30 della sera". "Qui radio Praga trasmettiamo "la voce dei lavoratori"".
Immediatamente dopo arriva la musica che conosco bene e pur controllandomi mi trasmette dei grandi brividi, è "L'INNO DEI LAVORATORI", che oramai conosco a memoria.
Mia madre sempre più in silenzio continua ad accudire la stanza e la cucina. A volte per giornate intere non sento la sua voce, non sono preoccupato so che è così, è tanto dolce e anche un po' timida; poi parte dal principio fermo che vi sono delle cose che bisogna assolutamente fare e che vanno fatte senza perdersi in inutili chiacchiere. C'è una precisa divisione dei compiti da rispettare: mio padre lavora fuori, lei, mia madre, lavora in casa. Quindi quando c'è da fare c'è da fare.
Ascolto seppure un po' disattendo le notizie di radio Praga. Parla di lotte di lavoratori in città lontane, dell'Italia del nord: Torino, Milano. Una notizia particolare attira la mia attenzione e parla di una zona del Veneto dove i contadini poveri, quelli senza terra, quindi braccianti, che vendono le loro braccia, per poter campare, stanno effettuando un durissimo sciopero al contrario. Non capisco bene cosa significa "sciopero al contrario" per capire di più mi avvicino all'angolo radio-poltrona di mio padre. Ma la voce di radio Praga cambia argomento e annuncia un duro intervento alla Camera dei deputati in Roma dell'On. Giuseppe Di Vittorio Segretario Generale della CGIL sulla povertà in Italia, sulla condizione della classe operaia e dei contadini e braccianti tra i più poveri tra i poveri.
Peccato, non sono riuscito a comprendere cosa significa fare uno sciopero al contrario. Prendo il dizionario Giotto, ma trovo solo sciopero. "Smettere di lavorare, lottare per qualcosa". Sciopero al contrario non è menzionato. Resto con la mia ignoranza, e a dire il vero non ne faccio una malattia. E' solo curiosità.
La testa comincia a mettermi dinnanzi un altro pensiero. Alle 9 di questa sera, riesco a vedere Rodolfa che in Chiesa sta seguendo un corso serale per insegnare catechismo. Non mi piace, molto questa cosa, ma non gliel'ho detto, mi interessa molto di più il fatto che ci si può vedere, seppure per pochi minuti, di sera, una volta alla settima per tutta la durata del corso. Speriamo che duri a lungo!!!
Devo adesso convincere mia madre a farmi uscire; le nove si stanno avvicinando velocemente e non voglio perdere neppure un minuto lontano da Rodolfa. Radio Praga neppure la sento più. Non so cosa inventarmi per uscire. L'unica è dire la verità; mamma queste cose le capisce, non mi dirà di no. A passi lenti vado verso la cucina dove sta lavando i piatti e tutto il resto. Faccio un respiro profondo e metto su la faccia della domenica innocente e determinata. Senza respirare, tiro fuori un "mamma vado incontro a Rodolfa che esce dal corso di catechismo. Non ti preoccupare non ci metto molto".
"A quest'ora vuoi uscire e mi dici che Rodolfa alla sua età va ancora a catechismo? Ouè bello a chi la vuoi dare a bere?"
Non so se sta scherzando o fa sul serio. Certo quel tono non è il suo è troppo duro. Vado in panico e le nove avanzano inesorabilmente.
"Mamma non sto scherzando, Rodolfa non va a catechismo per fare la prima comunione, non ti avrei mai raccontato una bugia che non sta ne in cielo ne in terra. Fa un corso di catechismo per insegnarlo agli altri e finisce alle 9. Visto che è tardi ed è già tanto buio l'accompagno a casa. Tutto qui!, Ti prego fammi uscire mamma!!". "Ma guarda questo, è diventato tutto rosso trema pure!! Dai non esagerare ho capito vai pure e mi raccomando torna presto".
Avuto il permesso mi dirigo a capicollo verso la porta d'uscita. Scendo le scale a precipizio, non c'è un secondo da perdere. La voce della radio mi accompagna verso il portone d'uscita.
Ora il programma è cambiato, non più Radio Praga di casa mia ma un programma serale di canzoni italiane con l'orchestra di Cinico Angelini. Canzoni italiane contrapposte ad un altro programma radiofonico che trasmette canzoni napoletane. L'annunciatrice comunica che la prossima canzone sarà "Borgo Antico" cantata da Claudio Villa. Sono all'uscita, sento ancora la voce del "reuccio" . "Ora nona suona suona". I rintocchi dell'orologio collocato sul campanile segnano le 9: prima dell'ultimo rintocco sarò alla porta d'uscita della chiesa.

Solo un sogno?
Lentamente il sole si è inabissato, le ombre della sera coprono tutto, alberi, case; le nuvole in cielo la fanno da padrone e sono nere e piene di pioggia. Qualche goccia comincia a cadere, bagnando qua e là il selciato.
Gli alberi d'arancio del viale si muovono con un sincronismo inaspettato, il movimento è ora rotatorio ora inclinato, stendono tutt'intorno ombre da paura: non c'è anima viva per tutta la strada.
Il silenzio copre tutto. Arriva ogni tanto alle mie orecchie il rumore delle onde che si infrangono sugli scogli.
Una voce, una canzone esce da una finestra probabilmente lasciata aperta per distrazione. Questa voce la conosco è Sergio Bruni, la "voce di Napoli". Canta "ciel e Surrient ncopp a stu vend d'o mare, nu brigantino ca fa servizio a Gaeta" ….
"Me sonn e nuttat d'argient" ….
E' proprio la canzone adatta per questa serata da lupi.
Non so dove andare. Ho solo voglia di andare, camminare, scaricare a terra tutte le tensioni che ho dentro. Vorrei spaccare il mondo, ho una rabbia repressa che non so come sfogare. E cammino, continuo a camminare senza una meta, senza un obbiettivo preciso.
Il vento aumenta a vista d'occhio, gli alberi oramai si piegano sino all'inverosimile, non mi spiego come fanno a ritornare nella posizione originale per poi sotto la furia della tempesta ripiegarsi ancora.
Le ombre aumentano e corrono come impazzite; come da pazzi mi pare la corsa della luna piena che ogni tanto fa capolino dalle nuvole nere.
Ormai piove a dirotto, sono bagnato sino alle ossa e le scarpe fanno rumorosamente ciach ciach, ed è questo rumore l'unica mia compagnia.
Non sento più la voce di Sergio Bruni, il disco deve essere arrivato alla fine oppure hanno chiuso le finestre visto che piove forte e a stravento. Devo aver camminato molto, sono in discesa e vado verso il porto. Guardo verso l'alto le insegne dei grandi alberghi e delle case, sono fredde e viola, tra i grandi scroscii d'acqua formano strani giochi e sembrano fantasmi. Un traghetto è in difficoltà, non pare intenzionato a raggiungere le acque che non sono sicure del porto; cavalloni alti metri si abbattono sull'unica banchina.
La sirena della capitaneria di porto suona a singhiozzo e sembra un anima in pena; è straziante come l'urlo di una gatta in calore.
Questo suono annuncia l'impraticabilità del porto, il traghetto deve trovare acque più sicure se ve ne sono. Penso che forse farà rotta su Castellamare porto più grande e meglio attrezzato. Si deve ballare molto a bordo del traghetto, chi sà i pendolari a bordo cosa pensano e come stanno. Dove passeranno la nottata? Oramai zuppo d'acqua dalla testa ai piedi sono arrivato al porto, le mareggiate sono forti e incazzate, una mi raggiunge in pieno ma non noto nessuna differenza se non che quella del mare è una acqua più pesante.
Ho il cuore in gola. Il battito è irregolare e precipitato. Mi sento soffocare ma so che questo non accadrà, sono ben cosciente di poter controllare tutto.
Un solo pensiero nella testa, un interrogativo: perché? perché?
Mi martella, sempre più forte: è il classico chiodo fisso.
Lo so ho sbagliato io, non dovevo reagire così per una cazzata. Ma anche tu alla prima critica cosa fai ti alzi e te ne vai? "Non mi puoi trattare così". "Non c'è ragione per una reazione così esagerata".
Sbatti la porta. Lasci vuoto e freddo dietro di te. Mai sono rimasto così solo.
Non mi posso perdonare di non averti impedito di allontanarmi, non averti rincorso chiedendoti umilmente scusa per poi abbracciarti e baciarti teneramente tenendoti stretta a me e poi dopo magari chiarito l'equivoco abbracciarti ancora e fare l'amore. Tu, io, come sempre noi.
Non ho fatto quello che dovevo, sono un vigliacco, uno stronzo. Ed ora? Dove sei ora?
L'acqua continua a scendere di rinforzo, il vento aumenta, il traghetto balla maledettamente come balla il cuore nel mio petto.
Sono angosciato, ho paura, tu non sei neanche vestita adeguatamente.
Dove sei! Come stai? Sto cercando sono solo, nessuno mi sente.
Il vento urla, la sirena urla, io urlo, il mare urla. Dove sei? Dove sei?
Un gatto nero corre veloce, cerca una casa, una sicurezza, una mano che lo asciughi; i gatti non amano l'acqua e quello è un peluche senza centrifuga.
Un'onda più alta delle altre mi colpisce in pieno, vengo spinto a terra, vedo tanta acqua da riempire un otre, finalmente, mi dico, è venuta la mia ora, volgo lo sguardo al cielo ma non vedo niente, sento solo acqua da tutti i lati. E' questo morire?
Una voce mi chiama, la sento lontana, tenera e dolce, mi chiama per nome e mi passa dolcemente una mano sulla fronte bagnata sì, ma di sudore. La voce ora è più vicina, la distinguo, è sicura mi tranquillizza: "amore mio sei qui, hai fatto un brutto sogno, è tutto passato: guarda fuori che bel sole che c'è!" …..

La baita
Il sentiero che porta alla baita, diventata punto di appoggio della 3° Brigata Garibaldi si fa sempre più rapido e stretto. Il bosco di abeti e qualche pino sempre verde è fittissimo. Chi non conosce il pascolo alto non sa dell'esistenza della baita con annessa stalla. L'alpeggio viene ancora sfruttato da Marghè che arrivano in estate con le loro mucche dalla bassa valle. A volte dicono arrivano quassù anche dalla provincia granda, da Cuneo. Un ruscello a disegnare volute d'acqua, scorre lentamente; l'acqua è fredda, da ghiacciaio, ed ha un colore verde intenso. I Marghè, vicino alla baita hanno costruito, utilizzando un tronco d'albero, scavato con l'accetta, un abbeveratoio con la cannella che da acqua da bere e serve alla brigata per lavarsi loro e i panni che portano addosso. La baita e la stalla sono stati trasformati alla bisogna. Il gruppo di uomini comandati da Battista Bantia, molti di loro ex soldati, sbandati dopo l'8 settembre 1943, hanno lavorato per rendere agibile la struttura, pulendola alla meglio e attrezzandola per viverci, cioè dormire e mangiare. Al centro della baita è stato ripristinato un vecchio camino e funziona a pieno regime, bruciando tronchi di legna recuperata per scaldare e cucinare. A turno si fanno guardie armate. Una sentinella è posta in basso a 20 minuti di cammino, sacrificio necessario e condiviso da tutti allo scopo di evitare brutte sorprese e rastrellamenti tedeschi e delle camicie nere. Dall'angolo destro del pianoro, verso là dove finisce la stalla, ad occhio nudo si possono vedere le luci di Susa.Di giorno con un po' di vento arrivano quassù i rintocchi del campanile del duomo.
Bantia quel giorno chiama a rapporto i suoi uomini. Deve comunicare informazioni ricevute da una staffetta inviata direttamente dal C.L.N. di Torino. Le notizie non sono proprio buone. D'altra parte si dice tra se Bantia, "alla macchia e in questa guerra notizie buone chissà quando ci saranno"! Tutti gli uomini disponibili saranno una ventina, lasciando gli altri ai compiti precedentemente assegnati, sono a rapporto. Senza mezzi termini Bantia arriva al sodo immediatamente " Il CLN di Torino ci informa che una parte consistente dell'esercito tedesco di stanza a Torino salirà la Valle Susa per tentare un passaggio in Svizzera e tornare in Germania per rafforzare il fronte interno contro l'avanzata dell'armata Rossa. Tutte le Brigate Partigiane presenti in Valle Susa e Chisone hanno l'ordine di bloccare con ogni mezzo, ripeto con ogni mezzo questo trasferimento.E' inutile che io spiego a voi quello che questo significa. Non ci mancherà di certo l'orgoglio e il coraggio. Ma non dobbiamo commettere errori. Proveremo, anche se è complicato e difficile a coordinarci con altre formazioni partigiane operanti in zona, sappiamo che chi si troverà più vicino al nemico dovrà agire all'istante senza attendere alcunché." Bantia disse tutto questo con uno sforzo immane, sapeva di essere soprattutto un uomo d'azione, parlare non era il suo forte, ma in una occasione straordinaria come quella scopriva le sue non indifferenti doti oratorie. Amava ripetersi "qui si vede l'operaio metalmeccanico specializzato". Cacciò immediatamente questi sciocchi e narcisisti pensieri dalla testa per tornare al rapporto con i sui uomini. Momenti di distrazione come questi erano imperdonabili. Riprese il filo del discorso, affermando di seguito che "il tempo a disposizione che abbiamo non è molto il passaggio dei tedeschi che viaggeranno su camion e treni, scortati dai repubblichini di Salò, è previsto per i prossimi tre o quattro giorni. In questo lasso di tempo dobbiamo fare 3 cose secondo me: studiare bene il terreno dell'azione facendo leva sulla sorpresa; guardare bene a ferrovia e la strada provinciale, studiare i ponti sulla Dora Riparia; armarci come si deve e recuperare armi ad effetto, bombe a mano, candelotti di dinamite, qualche arma pesante; e per ultimo avere sempre una via di fuga aperta e sicura per limitare, con obbiettivo zero, le eventuali perdite".

L'attesa
Ave Maria piena di grazia………
Prega per noi peccatori adesso e nell'ora della nostra morte e così sia.
Padre nostro che sei nei cieli ……….
Rimetti a noi i nostri debiti come li rimettiamo ai nostri debitori ………..

La voce delle donne, avanti negli anni, echeggiano sotto la volta della grande chiesa gotica che domina la città. A volte cerco rifugio nella pace che questo luogo dona. L'odore dell'incenso, il silenzio e la preghiera sono ristoratrici. I rumori restano fuori, il vocio delle genti, il rumore meccanico del traffico restano lontani.
Qui, tra l'odore dell'incenso e il raccoglimento aiutano a riflettere e ad aspettare. Non so se tutti quelli che vanno in chiesa provano quello che io provo ma mi sento più libero e leggero.
Dalle grandi vetrate gotiche, che raccontano la vita di Gesù a sinistra e quella di Santa Chiara a destra vedo il sole tramontare.
Un sole già di fine estate, siamo a settembre, che ci lascia prima, e lo immagino da qui, morire lentamente a mare, lasciando dolcemente gli ultimi raggi, soffermarsi sulle case e sul castello adagiato sul mare.
Il sole che tramonta e le preghiere che s' involano nella cattedrale sono un fatto difficile da cancellare.
Aspetto che arrivi Rodolfa. Abbiamo appuntamento qui come ogni giorno, usciti da scuola, oppure appena chiusi i libri, lasciando casa, per la nostra ora di libertà. E' la nostra ora di aria libera.
Questo è più vero per Rodolfa che per me. La madre di Rodolfa come tutte le madri delle ragazze, è particolarmente apprensiva e limitante. "Ma mamma esco". La mamma chiede "Dove vai"? "lo sai vado in chiesa! Mi devo trovare con le mie amiche e partecipare al rosario. Sai quanto don Antonio ci tiene". "Si tu vai in chiesa, non me la conti giusta"! "Chissà con chi ti vedi?".
"Mamma ti prego, ho 16 anni non sono più una bambina sono al Ginnasio, vado in chiesa per il rosario con le mie amiche"! " Va bè Rodo, torna presto! Se no chi lo sente tuo padre se non ti trova a casa". "Torno appena finito il rosario e prima che torni papà-sta tranquilla mamma".
Mi distraggo non seguo più le preghiere e l'avanzare delle ombre man mano che il sole muore a mare, guardo verso il portale centrale della grande chiesa sovrastato da un enorme organo a canne. Non vedo niente che avanza dal fondo della chiesa.
L'appuntamento è per le 5 e sono già le 5 e 5 minuti.
Mentre le voci delle preganti continuano a salire verso l'alto del soffitto della chiesa, come per magia inizia a suonare l'organo. All'inizio i suoni si diffondono dolcemente; l'organista muove le mani sulla tastiera sfiorandola appena. Accarezza lievemente i tasti. Man mano tra un accordo e l'altro l'intensità dei suoni aumenta. La partitura sacra, mi avvolge a tal punto che non mi accorgo e sono atterito, che Rodolfa è seduta accanto a me e mi guarda con occhi azzurri e lucenti.
"Scusami non ti ho sentito. Sai l'organo" " Si l'organo, chi sa a chi pensavi ?" " Ma no, credimi mi sono appena girato per vedere se arrivavi, ma la musica mi ha rapito e distratto."
"Non peggiorare le cose, la musica ti rapisce e ti scordi di me?" "Bel tipo che sei!"
"Ma dai Rodò credimi, scusami perdonami - Aspettavo te e solo te!"
La dolcezza e l'amore di Rodolfa sono unici. Mi guarda con gli occhi più belli che mai, un gran sorriso gli echeggia sul viso, mettendo in mostra lo smalto bianchissimo dei denti. Ora sì rapito e incredulo la guardo, mi perdo in quegli occhi e quel sorriso mentre la sento bisbigliare" Mi vuoi sempre bene?." L'emozione è tanta che ho paura di mettermi a piangere; oddio trattengo a forza due lacrime che senza sentire ragioni vogliono uscire e segnarmi il viso. Mi urlo dentro, non deve avvenire sarebbe un'imperdonabile debolezza, una tempesta di sentimenti mi squarcia l'anima e il corpo, trattengo, lotto, trattengo ancora. Poi mi decido:" Rodolfa, amore mio, ti amo!" Lo dico in un sol fiato con lo strozzo in gola accostandomi a lei scivolando sullo scranno. Vorrei fare mille cose ma non faccio niente tranne che stringergli la mano nella mia nascondendo il mio tremore. Le ombre oramai hanno abbracciato tutte e tre le navate della grande chiesa gotica, i ceri oscillando danno un po' di luce e fanno muovere le ombre, le voci delle donne che pregano recitando il rosario si sono attenuate. Il tempo passa velocemente e con Rodolfa non ci siamo detti ancora molto. Il silenzio è amico della tempesta. Oggi dovevamo parlare, raccontarci di noi, e forse dopo scambiarci una carezza e un bacio. Ma in chiesa no! In chiesa non si può guardiamo l'altare centrale rapiti dal silenzio e dalle ombre. L'organo diffonde la musica sacra di Bach, le note si adagiano sui ceri che coronano le nicchie con i santi. Seguito dallo struscio della veste lunga con un passo leggero si avvicina al nostro scranno Don Antonio priore della parrocchia " ei voi due sempre insieme"! " Sia lodato Gesù Cristo don Antonio diciamo insieme Rodolfa ed io"! " Sempre sia lodato" ". Ci risponde. " Lo sapete bene, che mi fa piacere vedervi qui". " Va tutto bene ? anche a casa? Mi raccomando vogliatevi bene e non fate tardi. Onorate sempre il Padre e la Madre, non fateli mai arrabbiare. L'armonia è il sale della vita e tiene insieme le famiglia e la comunità." Con queste ultime parole Don Antonio si allontana da noi dirigendosi verso la sacrestia, accompagnato dallo struscio della sua veste lunga e nera, sempre con passo leggero e spirituale.
L'ora avanza, usciamo dalla chiesa, la strada è poco illuminata, i negozi di frutta e verdura cominciano a ritirare la loro mercanzia tenuta esposta per tutto il giorno.
La panetteria - salumeria ha già tirato giù una delle due serrande, alcuni clienti sono ancora dentro per comprare il necessario per la cena.
Camminiamo mano nella mano, sentiamo una energia positiva che reciprocamente ci trasmettiamo.
Rallentiamo il passo scambiandoci affettuosi e casti baci d'amore.
L'età, l'amore, l'attrazione fisica vorrebbe altro, ma non si può.
Una grande luna splende nel cielo, dal mare arrivano grandi nuvoloni neri, il tempo qui da noi cambia in fretta, colpa delle correnti del golfo.
Non ci lasceremmo mai, ma si è fatto tardi, bisogna andare a casa.
Onorare il padre e la madre ha detto Don Antonio. E poi quella cosa sull'armonia che fa stare bene tutti.
E noi che adesso ci lasciamo e stiamo male quale armonia esiste per noi?
Questo è l'interrogativo della notte?
"A domani Rodò", dico sfiorandogli le labbra dolcissime. "Ciao," mi sussurra sotto voce e adesso sia la sua che la mia mano tremano".
Rodolfa entra nel portone volgendomi ancora uno sguardo, poi sparisce.
Resto solo, il buio è totale. La luna piena a gran velocità rincorre le nuvole nere; prime gocce di pioggia bagnano i basoli annunciando l'autunno.

La vita nuova
L'afa dei primi giorni di Luglio attanagliava Torino.
Le case avevano tutte le finestre aperte allo scopo di provocare quel tanto di brezza per rinfrescare le lenzuola del letto e le persone che tentavano di dormire. Queste notti torinesi sono pesanti in particolare per tutti quelli che avevano ripreso a lavorare nella normalità o quasi e si avvicendavano nei turni di lavoro. Il primo turno alla FIAT e nella stragrande maggioranza dell'industria cominciava alle 6 del mattino con bollatura della cartolina.
Di solito, con i primi tram o con i camion messi a disposizione dall'esercito americano per arrivare nei luoghi di lavoro, almeno 20 minuti prima dell'inizio del turno bisognava alzarsi alle 4,30 e in quelle notti afose si dormiva veramente poco.
Bastia abitava in Barriera di Milano, in una casa con ringhiera, il cesso sul ballatoio in comune, ma aveva l'acqua corrente in casa. Due stanze e un cucinino abitabile. Arredato alla bello e meglio con quello che si era salvato dalla guerra. La moglie, Maria Alliodo molto graziosa e gracile, capelli castano chiaro, con occhi verdi molto intensi, espressione determinata e forte faceva la sartina in casa e aiutava il gruppo della costituente Unione Donne Italiane sezione di Torino.
Era quasi l'alba quando Bastia si svegliò di soprassalto più sudato del dovuto. Il fiato grosso e gli occhi spalancati. L'urlo aveva lacerato la stanza svegliando malamente Maria che prima di capire cosa stava succedendo ci mise non poco tempo. Seduti entrambi in mezzo al letto si guardarono con espressione preoccupata. Ci fu un lungo attimo di silenzio. Bantia continuava a respirare con affanno, grosse gocce di sudore freddo gli imperlavano la fronte e il viso; la canottiera si poteva strizzare tanto era bagnata. Fu Maria che cominciò a parlare. Lo fece con molta lentezza e tanta dolcezza. Bantia è stato nuovamente quel brutto sogno? Adesso calmati, prova a respirare lentamente, scendo e vado a prenderti un bicchiere d'acqua fresca. L'acqua qui in barriera è buona lo sai. Dicono che arriva dalla Pian della Mussa. Continuava a parlare anche se era consapevole di dire qualche cavolata. L'obbiettivo che aveva era del tutto chiaro, distrarre i pensieri di Bantia, in quanto era l'unico vero rimedio per farlo riprendere, per rasserenarlo.
Tornò verso il letto con un bicchiere colmo d'acqua che per effetto della calura persistente sembrava trasudasse. Si accostò con fare dolce, quasi materno verso il letto, e porse al suo uomo il bicchiere tenendogli la mano e sollecitandolo a portarsi il bicchiere alla bocca. Bantia bevve lentamente, aveva qualche timore che l'acqua potesse non essere trangugiata; un sorso piccolo per volta sempre accudito amorevolmente da Maria. L'acqua fece l'effetto desiderato, insieme alla presenza tranquillizzante di Maria. Il respiro di Bantia tornò normale, il colorito del viso riprese tonalità più rosee rispetto al pallore che si era intravisto qualche attimo prima. Bantia con occhi amorevoli guardava adesso Maria. Ci fu ancora silenzio fra i due. Poi Battista Bantia prese delicatamente, tra le sue grandi mani, mani di partigiano combattente, comandante della Brigata Garibaldi operante in Val di Susa e Chisone, le piccole delicate e diafane mani di Mari. Quel contatto, trasmise sicurezza e amore. I due corpi si cercarono con tenerezza ed anche con naturalezza. Si amavano da molti anni anche se si erano da poco messi a vivere insieme senza essere sposati ne in chiesa, ne con il rito civile. L'abbraccio fu intenso e anche commovente, ogni volta Maria scopriva in quell'uomo dall'apparente durezza, tanta dolcezza e tanto amore. In quei momenti Maria si sentiva felice e timida, non aveva il coraggio di guardare Bantia negli occhi, si preoccupava che nell'infinita dolcezza dell'uomo potesse chi sà scoprire qualche lacrima. Una simile eventuale scoperta, pensava, avrebbe ridotto l'importanza e la virilità del comandante Bantia.
Il tempo scorreva lento, un tempo afoso e lento gli alberi del viale erano pietrificati, non si muoveva foglia; un merlo cominciò a fischiettare. Molti passeri in coro fecero anch'essi sentire il loro cinguettio. Erano tutti segnali che annunciavano la prima estate libera, Maria e Battista lo capivano bene e la gustavano a tutto cuore. La guerra prima e la guerra di liberazione poi aveva interrotto qualsiasi legame con la natura. Il ritorno alla libertà, seppure non ancora consolidato, significava anche riscoprire la bellezza di vivente un canto d'uccello in un'alba limpida a Torino.
Si strinsero ancora di più, entrambi con gli stessi pensieri e fecero l'amore, intensamente con grande trasporto e delicatezza. Si amavano, avevano bisogno l'uno dell'altro e lo dimostravano sempre con semplicità in ogni momento."Ora mi devo sbrigare, fece con voce sostenuta Bantia, dando ancora un bacio caldo e appassionato, sulle labbra di Maria.
Maria non lo rifiutò, anzi con quella malizia tutta femminile, con addosso solo la camicia leggerissima e trasparente, il seno ancora caldo e turgido premuto appositamente sul petto di Bantia, premette le sue labbra su quelle del suo uomo. Le bocche si strinsero al desiderio ancora forte, dell'una e dell'altro. "Maria ti prego, devo andare," sussurrò debolmente Bantia. "Adesso lasciami lavare, se no a Mirafiori arrivo domani. Lo sai in ufficio ho molto da fare. Ho la riunione del Comitato di gestione sul reintegro in Fiat dei Compagni partigiani. La Fiat resiste. Devo essere forte e deciso. Teniamoci qualche cartuccia per stasera. Scusami Maria ma devo proprio andare".
Seppure con malavoglia, ma sempre con dolcezza e con il verde degli occhi intrinsi di pagliuzze d'oro, Maria mollò la presa. Diede ancora un bacio a Bantia ripetendo con voce canzonatoria
" Vabbè teniamoci qualche cartuccia per questa sera". In quello stesso momento un lampo si fa strada nella mente di Bantia, una sferzata inaspettata che lo fa rabbrividire in quanto assolutamente inaspettata. Una voce lo assale, chiedendogli, "Bantia non godere troppo di questa nuova e tranquilla realtà con la tua Maria, a casa tua a Torino, con il lavoro alla FIAT; potresti dimenticare tutti coloro che hanno sacrificato la vita per permettere tutto questo e tu non devi dimenticare". Il sogno, anche da sveglio l'incubo ritorna.
Un momento di smarrimento totale avvolge Bantia e pur, senza nulla far capire a Maria, avviandosi al lavoro comincia a ricordare di quando era in montagna a combattere per la pace e la libertà.

Il primo appuntamento
Rosetta si convinse ad accettare l'invito di Giovannino Guerra ad andare alla festa del "fronte della gioventù" che si svolgeva alla sera nel Parco Michelotti lungo il Po.
Per poter partecipare alla festa " della nostra gioventù " come sosteneva il commissario Capo del C.V.L. Battista BANTIA Rosetta, CHIESE DI POTER USCIRE alle 17, un'ora prima. Voleva farsi carina. Voleva lavarsi i capelli asciugarli e stirarsi il vestitino di cotone leggero confezionato dalla mamma, sarta provetta del quartiere. Il permesso gli fu concesso; alle 17 e pochi minuti consegno il foglio al guardiano della porta centrale di Mirafiori. Non vedeva l'ora di arrivare a casa. Era in preda ad una piacevole agitazione. Il cuore gli batteva a mille. Lo sentiva battere così forte che si preoccupava che potessero sentirlo anche gli altri. Gli occhi di Rosetta brillavano più del solito. I pomelli della faccia erano di un vivace rosso fuoco. Il viaggio in tram fu molto lento ma finalmente arrivò. Salì le scale di casa in fretta. La madre aveva già preparato l'acqua calda per il bagno totale. Al centro della stanza, che serviva anche da cucina, faceva bella mostra di se, una tinozza colma d'acqua calda.
Rosetta un po' si vergognava di quella condizione; l'abitazione era senza servizi. Il cesso era sul ballatoio in un angolo della ringhiera e in comune. Ma poi pensando, si riteneva fortunata. Altre persone stavano peggio. Molto peggio. I disastri dei bombardamenti su Torino si vedevano, si toccavano con mano. Mentre si spogliava per immergersi nella tinozza, affinché l'acqua non diventasse troppo tiepida, pensò che era meglio non lamentarsi. " Mamma comincia a lavorare e a cucire qualche vestito, io un posto a Mirafiori c'è l'ho. Altri invece non hanno lavoro e non hanno casa. "E allora Rosetta"; "basta con la malinconia e la tristezza". Stasera si balla alla festa della gioventù. Riacquistò sicurezza in se e nell'avvenire. La guerra era finita. Torino è libera come l'Italia. L'avvenire è dei giovani. L'avvenire è di Rosetta.
La madre l'aiutò a lavarsi. Si commosse nel vedere la figlia così cresciuta e bella. Un corpo ben fatto, non molto alta, ma neppure bassa; il seno di misura giusta, sodo. I capezzoli rossi e turgidi. Il vitino stretto anticipava le curve del sedere. Di sottecchi la madre guardò il ventre piatto e liscio e insaponando la schiena della figlia fissò lo sguardo sul pube, perfetto a suo dire. " Anch'io a vent'anni ero bella come te", pensò fra sé, senza comunicarlo alla figlia.
Il bagno caldo, seppure in quelle condizioni, calmò Rosetta, le diede sollievo e la rese più sicura. Si asciugò ben bene. Un ferro caldo venne utile per stirare i e asciugare i capelli. Finita la toilette Rosetta si mirò allo specchio dell'armadio di noce nazionale, 5 ante situate nella camera da letto della mamma. Si meravigliò essa stessa del risultato ottenuto, poteva dirsi bella, cosa che fece esibendo uno smagliante sorriso. Un ultimo tocco, qualche goccia di acqua di colonia "gallet" , un bacio frettoloso alla mamma e poi via di filato per le scale.
" Mamma non ti preoccupare - non stare sveglia ad aspettarmi, non faccio tardi. Sono alla festa della gioventù. Omise il fronte della gioventù.
Troppo complicato per la mamma e poi non c'era tempo per spiegare.
Il sole calava dolcemente dietro i monti della Valle di Lanzo. L'aria primaverile era frizzante non faceva più tanto caldo. Gli ultimi raggi si inoltravano tra gli alberi, disegnando sulle case, toccate dalla guerra, figure strambe e armoniose al tempo stesso.
Il cielo rimaneva fortemente azzurro. Sui grandi viali della città, cominciavano a vedersi i primi tram carichi di persone che tornavano a casa. Qualche automobile privata già circolava. Camion militari e jeep americane o del CLN (Comitato Liberazione Nazionale) costituivano il traffico maggiore. Le panetterie erano aperte e vendevano il primo pane bianco senza tessera, dopo molti anni di rinuncia. La città era ancora ferita, ma le ferite si rimarginano. Non sanguinare più è già una buona notizia. Un primo concreto risultato della pace. Giovannino Guerra con la macchina FIAT 1100 in uso per il C.V.L. (Corpo volontario liberazione). Mirafiori era già in attesa posteggiato sul viale Vigevano. Stava seduto al volante con i due finestrini aperti, fumava una "torcia" confezionata a mano : cartina e trinciato forte, una fortuna averli. Rosetta sbucò dal portone guardandosi intorno; nel vederla così bella a Giovannino gli andò storto una boccata di fumo si strozzò quasi; tossì fortemente per recuperare il respiro, la faccia divenne un carboncino acceso, rosso da far paura.
Rosetta si avvicinava alla macchina mentre Giovannino scendeva. Nel vederlo in quello stato chiese : "ti senti bene Giovanni?" "Te lo dico io di non fumare quelle schifezze di torce che ti fai ad solo."
La portinaia dello stabile donna grezza e impicciona, piccola d'altezza ma larga di fianchi fece capolino sul portone abbandonando la guardiola e per non perdere il vizio si mise a spiare Rosetta, non si mosse dal portone se non quando al macchina della FIAT, sbuffando, partì dolcemente.


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