Poesie di Reno Bromuro


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Reno Bromuro poeta, scrittore, commediografo nato a Paduli (BN). A sedici anni rappresenta la sua prima commedia, nel 1957 fonda a Napoli il «Centro Sperimentale per un Teatro neorealista», inizia il cammino per la totalità del teatro, basato sull’attore, unificando la globalità scenica. Ha rappresentato trentacinque commedie. Oggi è critico ufficiale di «Poeticamente» e continua il discorso sul teatro «unificato» dove l’attore è il perno dell’opera.
Ha pubblicato libri di poesia, saggistica, teatro, e il manuale di Educazione Teatrale per la scuola media.


Leggi i saggi e i racconti di Reno

Sessant'anni, oggi
Sessant'anni oggi il tuo onomastico
sulla scalinata del "Petraio" ti cinsi le spalle
camminando più lenti di una lumaca.
Continuavi a ridere e ridere. Il tuo riso era
lo scorrere di un ruscello appena nato.

Mi piaceva il profumo di non ancora donna
i tuoi occhi brillanti come splende il Sole.
Improvvisamente ti costrinsi a fermarti
e guardarmi negli occhi, o ero io che volevo
specchiarmi nei tuoi sì luminosi e ridenti?

Ti cinsi il collo con le braccia a cerchio
rilegai un filo di perle da quattro soldi
- di più non potevo -
Poi attirato come calamita dalla tua bocca
pura come quella di un neonato
ti baciai con tutta la passione della gioventù.

Piangesti lacrime senza fondo
perché me lo hai rubato singhiozzavi
avrei voluto tagliarmi la testa
ma come avrei fatto a raccontarlo oggi?

Oggi, il tuo onomastico l'ho festeggiato
da solo davanti al computer
nello schermo c'è il tuo volto
e nel cuore il rimpianto di quelle perle
che mi fecero rubare il tuo primo bacio:
le lacrime mi bruciano ancora l'anima.

Dimenticato e solo
Dimenticato e solo
come il morto sole di Cefeo
giaci, mio cuore, ora che le coppe
delle mani sono rimaste vuote
dell'ovale tanto caro;
ora che la bocca serve solo
per parlare e aiutarti a vegetare.

Vegeti come prima di incontrare
le orme dei suoi piedi impressi
sulla roccia e cominciavi a vivere
sperando un domani bello come
la vita di chi la vive intensamente.
-Da Dove vai, uomo?-  

Quando ti accorgerai
Quando ti accorgerai di non avermi amato
come avresti dovuto, vorrei esserci
per poterti cullare come nell’infanzia

per darti i baci che non hai voluto
per dirti le cose che non hai ascoltato:

asciugarti le lacrime coi baci
più ardenti e arretrati e leggere
sul volto, finalmente, la serenità
«quella» che hai sempre rifiutato.

Quando capirai il mondo che hai perduto
vorrei esserci per crearlo e donartelo
anche se mai l’hai voluto e non ho capito.

La notte
E’ giunta la notte,
e tutto dorme d’intorno:
anche il vento.
Sosta l’umano lavoro,
tace l’umano travaglio.
Trapunto di stelle,
stende il suo manto la notte
sulla laguna di lacrime.
Che vale ch’io vegli?
Ma datemi l’oblio…

Freddi contatti sterili
Freddi contatti sterili
inespressive stalattiti gementi
di fronte all'incongruenza
magmatica di sempre.

Fredde espressioni di occhi allucinati
allucinanti occhi di bimbo che dal colore
dei fiori hanno imparato a conoscere il cielo.

L'Arcobaleno il bambino non lo cerca
lo trova in una "palla di sapone"
cogli occhi ridenti delle prime scoperte.

Contatti, sterili e freddi disperdono
come il vento le nubi gioia
di uomo bambino che vive
nella città stanca e addormentata
sotto stelle diffidenti.

Contatti freddi come sterili pensieri
sono gli incontri delle navicelle con le stelle
pensieri sterili e freddi le tue parole.

Solo il riso gaio di un bambino
fa rivivere il Creato in una “palla di sapone”.

Maggio
Scialba e ridente vanità femmina
imita della natura la rosa
imprime nel fondo squallore
al fossile cuore.

L'ago e la zappa s'arenano.
Affila falce stancamente
ansioso attende che sole
frutto nel solco maturi.

Femmina scialba imita
dalla natura la rosa.

Solo stanca campana a sera
annulla pallida vanità.
Del Creato trovo l'immensità
(Da Il vaso di cristallo – edizione A.I.A. 1982)

Gennaio
Vestito di gala candido, puro,
festa. Povera gente
con la zolla soffre e gioisce

Rincorse di bambini sulla neve
orme nere festanti
per strade che parlano di romanità.

Risate scoppi di gioia repressa.

Calore d'infante sprigionano
gli occhi non miei. La Befana
- magra non per avarizia -
riporta eco di gioia non goduta.

Il vestito di gala si scioglie
e non per i raggi del sole.
Nell'aria la gioia infantile
si confonde col canto degli angeli.

La Befana, magra non per avarizia
si ferma sulla porta di casa.
I bambini che abitano quella casa
non sanno ridere, ma per amore
gioiscono.
Sono gli uomini che domani
leniranno il tuo dolore.

Guardi le orme nere, festanti
sorridi e lasci cadere il bastone.
(da "Il vestito più bello" - "Il vaso di cristallo" -
"Canti per un anno")

Febbraio
Che dicono, febbraio,
i giorni interminabili
le notte eterne?

Tace la zappa e il bidente.

Trenodìa!

Scoppietta il camino
stanca pipa.
Giorni interminabili
non a me
notti eterne al mio cuore.

Braccia stanche di far niente
muscoli atrofizzati.

L'ago sposa ossido di ferro
non sapore di pane.

Camminare
Camminare a piedi nudi sull'erba
quando è tutta impregnata di pioggia.
Rotolarsi sul prato all'alba e
bere rugiada permettendo al sole
di asciugarla sulle tue labbra.

Provare ogni giorno emozioni nuove e lottare.
Combattere per una società che possa
gustare la gioia di farsi asciugare gocce di vita
sulla bocca da un sole caldo e genuino.

Camminare nel fango dei sobborghi
con i piedi portare lontano
quel fango e combattere. Lottare
anche quando ti mancano le forze
e costruire una società fatta
di uomini coraggiosi che camminino
felici s'una strada splendida di bene.

Camminare dove il marcio è cancrena
e lottare. Battersi per estirparlo
e vedere finalmente l'uomo sereno.

Accanirsi per non leggere più
negli occhi dell'uomo la paura.
Pugnare per una società
in cui l'uomo è veramente Uomo.
- Da "Il vaso di cristallo" edizioni A.I.A. 1972 Roma -

Nelle ombre del crepuscolo
Nelle ombre del crepuscolo
sei tutta intera come ti vedo.
Nelle ombre che s'accorciano e allungano
sei tutta mia soltanto, come io ti voglio.

Labbra rosse e dolci come melagrano
in un eterno sorriso di beatitudine:
morbide come la serenità
pronte ad accarezzare le mie.

Seni radiosi come coppe di sole
fianchi come anfore greche,
tutta intera come albero forte,
vibrante come foglia bel salda.

Nell'ombra del crepuscolo sei tutta mia
margherita infinita dai petali bianchi
e dal pistillo odoroso di sole e d'amore.
- Da «Senza levatrice» - Albatros Editrice Roma 1983 -

Il ginocchio spolpato
Il ginocchio si è spolpato e ha messo in luce
un teschio che si lamenta, come un cane
in una notte di luna piena.
Di quella polpa s'ingozza un gatto randagio
piscia la luna e cade un fiore dal melo:
era il frutto a te destinato.

Milioni di capelli in piatto nascondono
i pensieri del teschio rinsecchito
nel ginocchio spolpato. Piange un bambino,
lascialo piangere e volta pagina, che serve
asciugargliele? Quando avrà smesso di piangere,
quando non avrà più lacrime, il teschio
si rivestirà della sua carne e il ginocchio
non avrà ragione di lamentarsi
come un cane in una notte di luna piena.

Solo l'amore sarà morto.
- Da «Camminare Cantando» Edizioni A.I.A. Roma 1983-

Ad Anna
Oggi è il tuo nome, Anna.

L'usignuolo del bosco manda,
nell'aria cheta della notte estiva,
il solitario canto a te soltanto:
pura e dolce amante del poeta.

La scienza ti è amica
il sogno è la tua vita
ma ti confini nella realtà
accessibile ai tuoi sensi.

Queste tue doti, Anna,
colmano l'anima di bene.
Ché della poesia, amore,
la cara amante sei.

Il volto dolce e perfetto rigato
di lagrime caste,
irradia quello del poeta.
Il corpo tremante di passione
nelle sue braccia sprigiona
miracolo che uomo lo fanno.

Nell'aria calma della notte estiva
l'usignuolo bagnandosi di pioggia
di luna, libera il suo canto
per dire al mondo il bene,
l'infinita bontà e l'amore
sincero del poeta per te, Anna.

Se non lo fa l'amore
Nemmeno l'amore riesce a tamponare
il sangue che a fiotti cola dall'anima.
Nemmeno l'amore riesce a consolare
il cuore lacrimante per la morte che s'avvicina:
tutto tace come solitario cimitero
senza tombe imbellettate per il due novembre.
Un suono vorrei, fosse anche di piffero
una voce vorrei fosse anche stonata
Tutto è più silenzioso di un cimitero spoglio
in cui i corpi inesistenti fanno tacere
le ossa rimaste ancora a raccontare tra loro
la vita vissuta,
                     i guai passati,
                                        le gioie provate.

Qualcuno, per favore, fermi questo sangue che scorre
come fiume in piena
                             come diga divelta
                                                   come bugia raccontata.
Se non la fa chi ha pianto con te
nell'attesa di un raggio di sole
come pretendi che sia l'amore a tamponare
la ferita aperta nell'anima,
il passante che ti vede arrancare
che ascolta il tuo rantolo e ti vede morire:
ti guarda impaurito e scappa via?

Fate risorgere l'amore, per favore
solo così potrò ancora cantare
solo così potrò ancora sperare
di non vedere mercanti fuori i cimiteri
che il due novembre rubano la pace
ai morti, senza rendersi conto
che sono essi stessi cadaveri deambulanti.
- Musica bruciata - Edizioni A.I.A. "Poesia della Vita" - Roma

Lungo spiagge deserte isolate
Lungo spiagge isolate, prive anche
dell'acuto gracchiare dei Gabbiani,
va l'amore mio verso il punto bianco
baciato dalla luna sullo scoglio,
al centro del mare, anch'egli solo
nel gelido e freddo raggio lunare.

Lungo spiagge separate e deserte vanno
i fantasmi dei miei pensieri alla ricerca
di quel punto bianco sullo scoglio
e della mia donna infreddolita e sola.

I pensieri camminano e si confondono
con la risacca. Il Gabbiano è sempre
solo sullo scoglio al centro del mare.
La spiaggia e più deserta di sempre
e il pulsare del cuore è più forte
mentre corro incontro a te con le braccia
aperte come il Gabbiano le ali,
quando vola incontro alla luna,
ormai preso d'amore per la sua freddezza.
- Da "Senza levatrice" - Albatros Editrice - Roma 1983 -

Questo sentimento
Questo sentimento limpido che ci unisce
è il grande mistero dell'amore insaziabile:
questa sete eterna di te,
simbolo dei sensi terreni.

Con te ho bevuto il soffio della vita
dalle tue calde labbra si scioglie
l'ardore che dona brividi al cuore.

Questo sentimento insondabile
sfida le profondità del cielo
e più ardente voluttà scorre
lungo le rughe profonde dell'anima
alla ricerca dell'amore il godimento.

Solo le tue labbra tenere e rosa
possono dissetare questo cuore
assetato di purezza
combattente per la vita.

Se combattesse di meno
saprebbe il sapore vero
della tua bocca, conoscerebbe
i battiti del tuo cuore
e a loro si abbandonerebbe.

Come uccelli migratori
Come uccelli migratori andiamo
e ritorniamo cerchiamo il sole,
disperatamente il nostro sole.

Pedissequamente aggiornati
cosciente peculiarità
non lasciamo le abitudini;
imprimiamo profonde orme nell'aria
- sempre più incrostata -
con fatica dimenticata.

Noi uccelli senz'ali voliamo
per godere nel nido di ieri
quelli che avremmo voluto
essere: noi, semplicemente.

Quando il cielo si tinge di rosa
Quando il cielo si tinge di rosa Paduli,
si sveglia cosciente passata gloria romana.
L'uomo al lavoro spinge senza misura,
anch'egli consapevole onore non suo,
ma vita vive in fatica smisurata e stentata.

Case bianche, piccole, piatte
rimangono sotto sole cocente.

Bambini in giro vizioso,
cani all'ombra sembrano dormire;
sinfonie di cicale, in strade deserte;
schiene curve in lunghi solchi
dei campi, sotto sole rovente.
In squallide stanze altre schiene curve,
sudore gocciola su libri,
non aperti a primavera: germina genio.

Il cielo a sera s'arrossa,
popola strade antiche piede stanco
come contro i Sanniti vittorioso
«Forche caudine» ai romani.

Paduli s'addormenta
e sogna quel tempo.

Ricorda eroi sconosciuti
nomi che non dicono
ma fecero la storia:
uomini sacri alle madri.

Forse tu, già non avevi volto
Non ricordo il volto
forse già non l’avevi quando
percorrevi il marciapiedi
della stazione di Varsavia
lungo il binario dove
un attimo solo si fermavano i treni
che portavano la “ JULIA “ in Russia.
Forse tu, già non avevi volto
ma la tua voce rintrona
come un’eco interminabile
dentro il mio petto: pane, pane!
Forse tu già non avevi volto
ma l’eco dei passi stanchi
che trascinavi su stecchini
- che una volta erano state gambe belle,
tornite, lunghe – martellano nel mio cervello
come la tua voce nel mio petto.
E gli stracci che a malapena
coprivano il tuo scheletro
negli occhi mi porto
come una bandiera
vessillo di giustizia, di libertà
e d’amore per la mia battaglia:
vessillo di sacrificio per te
piccola ebrea senza più volto
che percorrevi il marciapiedi
della stazione di Varsavia
- perché vivere ancora volevi –
lungo il binario dove
si fermò un attimo
il treno che trasportava
i ragazzi della “JULIA”.
Avrei voluto darti cibo e vestiti
piccola ebrea senza più sembianze
ma quei ragazzi avevano fame
tanta fame come te
ed io non c’ero.
Un soldato mi ha parlato di te
un soldato che quel giorno ha pianto
e avrebbe voluto
con le sue lacrime dissetarti
col suo corpo sfamarti
col suo sangue cancellare
il marchio giallo che portavi al polso.
- Da «Camminare Cantando»
Edizioni A.I.A. Poesia della Vita 1989 -

I miei passi lentamente vanno
I miei passi lentamente vanno
quasi a voler conficcare il piede
nel duro selciato che parla di passato.

Dolore e dolore e lacrime e sangue
da prima della croce e dopo speranze.

Incredibile speranza:
Resurrezione sul sangue versato!

Pur'oggi la terra è concimata
dall'umano sangue e la croce
non ha più ragione d'esistere.

Intanto continuiamo ad innalzarla
ad ogni nostro pensiero per sentirci vivi
nella sfacciata viltà di sempre.

Talvolta
Talvolta
negli orrori notturni senza fine
mi trovo ad accarezzare il corpo
e il gelo delle mani anchilosate
pare l'abbraccio di mille serpenti.

Le tue mani sapevano di sole!

In ogni piccola parte della mia pelle
è impresso il marchio della tua bocca.

Negli orrori di queste notti
interminabili, accompagnate
nemmeno da un alito di vento,
solo ricordi senza fantasmi cerco
mentre le tue mani sono attaccate
ad un albero senza più radici

Ho visto il sole sorgere sul mare
Ho visto il sole sorgere sul mare
mano di bimbo desiderosa lo coglieva:
i monumenti, polverosi di storia,
hanno avuto un brivido lungo.

L'uomo ha tremato nella deflagrazione
e molte mamme hanno pianto.

Un padre nel rosa violaceo del mattino
ha visto il figlio giocare col sole e
i suoi anni hanno tremato dinanzi
all'indifferenza del bimbo alla storia
e prima di riudire la detonazione
i monumenti si sono coperti il volto
come Cesare, mentre un padre
e un figlio estranei buttano via la vita
per non essersi capiti e non volevano.
- Da Musica bruciata -

Il giovinetto dell’Acquario
E tu, che dispensi il canto
Pervaso di dolcezza,
nel segno dell’Acquario passi
con l’anfora stellata.
Disseta l’arsura degli uomini
Che mai si smorza,
fa che possano attingere
alla tua limpida fonte
la luce dell’eternità.

Vega
Dalla tua Lira
nella notte fredda si spande
la musica dolce della vita
nel rosso vibrante di Marte
e il borbottio rutilante di Giove.
La melodia manifesta la protezione
che mi offri perché riesca
ad affermare la mia liberalità.
Tu canti o Vega
ma chi ascolta il mio pianto?
Un cielo nuvoloso.

La Spica
La Spica nel suo colore bianco
Festosa si sente,
perché stanotte ha visto
la Vergine spigolatrice
vagare pei cieli
vestita di purezza
e fermarsi a mezzogiorno
per attingere acqua limpida di fonte.
Vergine,
in te si rispecchia
l’Infinito…

Hamal
Combatti a testa bassa
le ingiustizie correndo
incontro all’avventura
se questa non è facile.
Pur amando regole e solitudine
cerchi nel tuo rifugio
l’altrui consolazione.
Viva Hamal preparo giocando col sole
la mèsse del bene e dell’amore

Donna selvaggia e travolgente
la tua fedeltà mi commuove
per questo ti canto e ti ammiro.

Ottobre
Dovunque foglie morte
nella sinfonia del vento.
Ma se due esseri ebri di gioia
lasciano la loro impronta
sugli aghi morti dei pini,
il cielo d’improvviso si schiarisce
e Diana affacciandosi sorride.

Il canto dell’usignuolo
Venivi all’approdo con Sirio
e il nostro canto d’amore
traboccava nel cielo.
Ora in quel nido
son solo,
come l’usignuolo del bosco,
ma senza il suo canto,
che sa sempre
ridonargli l’amore.

La fontana
Con una nuova speranza
ritorno in quel sentiero di bosco
accanto alla fontana.
Un giorno, chini sull’acqua,
ti dissi “Amo quella ch’è in fondo”,
e tu sorridesti confusa.
Ora più nulla resta del sorriso,
più nulla resta delle mie parole.
Ma la fontana è là,
con una nuova speranza.

L’uomo del lago
Più che il buio selvame
del Lago d’Averno
mi attrassero gli occhi dell’uomo
che si offriva per guida.
E bramai che in quel luogo
Egli ritrovasse la pace
per un miracolo
sprizzato dalle mie mani.
Ma il suo male
era come il mio
senza convalescenza.

Rosa
Sei tanto bella, Rosa,
sei la rosa più splendida
degli umani roseti.
Felice il tuo giardino,
nel tuo fulgore stupendo.
Io t’ho amato, ma oggi
penso che solo è bene
goderti nel mistero
della Bellezza pura.
Ma tanto bella, Rosa
ti sogno qualche volta
anche pietosa e buona…

Virginia
Sul roseto trionfante
ti vidi e volli coglierti,
fanciulla dal gelido nome
verginale.
Ti ebbi così,
ma al volger d’un anno
non più rosa
ma carnale camelia
senza profumo ti ritrovai.
Ed oggi per te
ogni roseto mentisce,
intristisce ogni cuore.

Notte di luna
Cheta e misteriosa,
la luna sorride nel cielo,
mentre io parlo di lei,
e intanto par che la rosa
fra le mie mani appassita
riprenda forza e consenta.
Io parlo ancora di lei
alla sorella luna:
chi sa che un giorno non torni
a rallegrarmi la vita…

Meditazione
Tra un punto di cucito ed una rima
passo la vita, indifferente al mondo:
chi mi sa leggere dentro,
chi può vedermi nel cuore?
E qui, mentre la brezza
mi porta effluvi tetri di sobborgo,
medito: un tempo anch’io
respirai la purezza
d’un cielo ubriaco di verde,
fra gli ulivi di lontane colline.
Ero fanciullo, allora,
né ancora la vita mi aveva deluso,
mettendomi un ago fra le mani.
Ma con nel cuore un poco
di poesia sognante,
anche l’ago si dilegua talvolta,
l’ago amaro destino di vita.

Desiderio appagato
Mi dico: “Eccoti, infine,
nella bramata campagna,
sotto l’ombra d’un folto pergolato.
Canta, poeta, stringi fra le braccia
Il mondo intero: intona
anche l’inno dell’amore”.
Taccio: di dentro solo
Un’eco di sorriso:
l’attimo della gioia
è spesso senza canto.

Lettera
Amico insperato, ascoltami,
ho solo vent’anni.
Ma, te ne prego, non dirmi
ch’io son della vita alle soglie.
Amico insperato, la vita
m’è sfiorita in cuore a vent’anni:
nell’anima ho rughe profonde
pel pane che non mi bastò,
per la luce che non ebbi.
Se ti dicono, amico insperato,
che il sole splende per tutti,
smentisci la stolta menzogna:
nella mia vita non c’è stato sole.
Forse domani, se tu
non sparirai alla mia sete,
dirò che vedo l’aurora.

Due tombe
Fra tante tombe
ne cerco due,
le tombe a me più care,
due persone da amare
oltre la vita.
Io cerco voi, don Franco,
io cerco te, Enrico.
Trovare le vostre tombe,
muovere la gelida pietra,
ritrovarvi compiacenti e buoni,
sorridenti come un tempo…
Ma presto torno indietro:
le vostre tombe sono in me,
la vostra, don Franco,
la tua Enrico,
e solo in me voi vivrete,
finché io pure vivrò.

Il mio regno
Talvolta mi creo
nell’orrore notturno
angosciosi silenziosi,
medicina sperata
per placare l’insonne nemico.
E la luna,
amante dell’anima,
si circonfonde di rosso torpore.
Così si placa l’anima.

Canto di sera
Quando giunge la sera,
d’inverno o di primavera,
il cuore mio comincia a cantare.
E nella silenziosa pace
dà un addio alla malinconia:
cantando si sente felice,
perché il suo pianto
nel canto
si fa gioia sommessa.

Napoli
Note arabescate
sullo sfondo azzurro del mare,
poeti che sognano
un mondo che domani
abbia un sorriso e una lacrima
per gli affanni di tutti.

Malinconia
Ogni uccello torna al nido,
e talvolta anche alla gabbia:
ma io non tornerò.
Lasciamo dimenticare,
lasciami immergere il capo
nell’acqua dell’oblio.
Se ritornassi, un’ombra
ti troveresti avanti:
solo Dio può far morire
e poi chiamar dal sepolcro.

La vita
Sappilo, amore:
è solo un fiore, la vita,
dallo stelo sottile
che al primo vento un po’ forte
si spezza.
Vale soltanto, amore,
nel timore del nulla in agguato
tenersi per mano…

Non ci sarà più sole
Dicevi: “A primavera
avremo tanto sole…”
Ma venne la primavera,
e fu freddo ed ombra;
e ne vennero altre,
ma ombra e freddo ancora.
Amore, eri tu quella
che potevi donarmi
luce e calore:
ma con le tue vane promesse
il sole fu vana speranza.
E torni pure aprile:
io non me ne avvedrò:
non ci sarà più sole.

Quando sei arrivato
Quando sei arrivato non ho sentito
la gaiezza che ad ogni fine anno
riempie l’aria di respiri felici, poi…
col passar dei giorni sei diventato
forte e baldanzosamente hai fatto
avvertire l’alito della morte
moltiplicando i campi di battaglia,
nel vento l’azione terroristica:
siamo rimasti a guardare dopo
tacita ribellione rassegnata.

Ci dovevi lasciare ed hai voluto
mollarci un ricordo indelebile
nei secoli a venire con lacrime copiose
dolore lancinante, bambini senza casa
e soli a guardarsi intorno e vedere
quel mucchio di carne abbandonato
in una fossa comune per non avere
altro regalo, che impunemente
si erge come un’alta montagna.
Hai strappato una parte di terra e,
falciato vite con baldanza spietata
come falce miete grano dorato.

E’ stato il tuo addio, abbiamo chinato
il capo, ma non ci hai rotto le ossa
non ci sperare, perché nei cuori ancora
sopravvive limpida la gioia di donare
che non fa sentire il morso doloroso
del distacco: addio bisestile anno
che hai lasciato la scia come gli sci sulla neve
come la falciatrice nel campo dorato di grano

Grido di gioia
O notte!
             O stelle
                        o luna
                                  o silenzio notturno:
ascoltate!

Ascoltate il mio grido di gioia.
O usignuolo che accompagni il canto
tuo al mio, ascolta.

Ascolta la lieta novella.

La commedia che ella ispirò
ha avuto fortuna.
Amico notturno che accompagni
il tuo al mio canto
                         sia lieto
                                    sia triste
                                               'stanotte
                                                        gioisci con me.

O notte,
             o stelle,
                         o silenzio notturno,
                                              ascoltate
                                              ascoltate
tramandate questo grido di gioia.

Amico insperato lontano non sai
ma possa il silenzio, nella pace
notturna portarti il grido di gioia
di un'anima aperta a bere il sole.
Gioisci, stanotte alla lieta novella
e se domani qualcuno dirà
che il sole splende per tutti
                                 annuisci e sorridi.
Per chi ha fede - rispondi -
il sole certamente risplenderà.

Perché vieni nel sonno?
Perché vieni nel sonno e mi guardi
in silenzio, con espressione neutra?
Non capisco che cosa mi vuoi dire
ma lo intuisco per il tuo pensiero:
devo portare a termine il lavoro?

Ma c'è l'amore che lievita, come
pasta trabocca e corre veloce
all'Uomo perché anch'egli lo rafforzi;
c'è la persona che è sola e piange
sulle proprie sventure, senza freno;
c'è il bambino che vorrebbe il padre
che uno in toga nera (vestito a lutto
da sempre) che crea continua morte
ma solo per l'infanzia e rafforza
l'arroganza di certe donne che
mamma non sono e non saranno mai.

Ho capito, sai, il tuo silenzio!

Non parli ma sento il grido spietato contro
i grafomani che umiliano la cultura,
questo è il tuo dolore contro il mio silenzio.

Ma io non taccio!
E' la sorte che mi ha chiuso la bocca
bloccato la penna intinta nella
verità sentita, rivoluzionato
la tastiera che non risponde al richiamo
della mia volontà;
ed io, amico mio, non ho più forze.

La maschera sul volto
Che strano, anche l’amore ha fatto
un discorso sulla maschera;
ha detto che finalmente l’ho gettata
per presentarmi a lui com’ero nato:
avvolto nella luce della gioia.

Chissà se indossassi ora
la maschera della felicità
l’amore tanto desiderato
potrebbe ritornare e farmi
sentire bambino cullato dal bene.
Allora, forse, sentirò sul volto
ormai rugoso e stanco, la vera
maschera della felicità, incollata
e quando deciderei di toglierla
il mio viso non avrà più penne
scavate, ma sarà ridente
come quando incontrai il vero amore
come quando tremai al primo bacio
e non avrò bisogno della maschera
perché felicità sarà stampata sul viso.
Allora contento mi guarderò
allo specchio per rivedere la faccia
del bambino e il suo candido sorriso.

Quante volte abbiamo fatto l’amore
rubando dal cielo anche le stelle per far luce
ai nostri abbandoni, mai frenetici ma tutti
come fosse stato l’ultimo abbraccio.

Quante volte abbiamo parlato
di sogni, di speranze nascoste
anche a noi stessi timorosi d’un inganno.

Quante volte ci siamo bagnati nell’acqua
dolce del «lago della serenità», ridenti
per la gioia di avere ciò che volevamo.

Quante volte mi sono nascosto dietro
il tuo sorriso beato per dar pace al cuore
Quante volte! Quante volte. Quante volte…

Poi sorgeva il sole e illuminava il cielo
non c’eri più; preso dalla disperazione
dovevo riconoscere ch’era stata la Luna
a prendermi in giro, d’accordo con Morfeo,
nella notte, mentre dormivo sonni d’attesa.

A lei che ama dipingere
Il sole riflette sulle tele quello
che hai racchiuso nel tuo spirito
splendido e luminoso, aperto e raggiante
di luce rara, che affascina e rapisce
fa sognare ad occhi aperti e
veglio per goderlo fino in fondo
come un vinello genuino
che lascia la bocca colma di sapori
e l'anima inebriata di bellezza.

L'incanto dell'ingresso al Palazzo del tesoro!
La magia del vaso di fiori che galleggia nell'aria
tanto è rispettata la prospettiva;
il mare arioso, la neve che riscalda,
la ballerina che descrive la dolcezza
e la falce di luna che acconsente e strizza l'occhio
alla superba forza del fiero sguardo del Cavallo.
Tutto m'inebria! E pensare che mi stava
succhiando la più cupa tristezza.

Ho sentito il tuo respiro
Ho sentito il tuo respiro avvolgermi l’anima
e confusi uno nell’altra, come i venti del Sud
ci hanno sollevato e fatto volare
abbiamo aleggiato e raccolto stelle.

Algol ci ha raccontato il suo dolore
noi sapevamo del coraggio di Perseo,
e del suo tormento fatto coperta
per correre e parlare a Cassiopea;
però abbiamo incontrato Andromeda
che ha narrato la sua paura e rideva.

Rideva come sapevi ridere solo tu, ieri!
E’ molto tempo che non sento la cascata
le Pleiadi magnanime riscaldano il cuore
che con l’anima è avvolto nel tuo respiro.

Ho sentito il tuo respiro avvolgermi
mentre calava la luna e la prima stella
del mattino si affacciava prepotente
e competeva la sua luce col Sole nascente.
Hai riso, sussurrando: «chi vincerà?»
Il nostro amore ho risposto; ed ho sentito
La cascata musicale e la tua voce

Mi manchi, amore
Mi manchi, Amore.
Non mi lasciare solo chiuso
in questa paura che stringe
come una morsa.

Questa paura che
incalza e annerisce mente e aria
non mi lasciare mentre la nuvola
fuligginosa avanza
e la polvere del calcinaccio
giunge fino al cielo:
i lamenti si fanno spaventosi
sono grida di dolore e pianto
di bambini impauriti.

Venisse almeno la pioggia
così non vedresti il sangue
che è fuoriuscito
dal mio cuore lacerato
eppure grida ancora
con la forza di sempre: vieni
amore mio, mi manchi tanto.

Preghiera 3
Dio, fa che le nubi coprano il rosso del cielo
fa che il cuore non venga spremuto e trovi
nei cuori la serenità agognata e la Pace
in terra come facesti cantare duemil’anni fa
dall’esercito di Angeli che scortava tuo Figlio
che veniva al mondo.
Signore fa che si avveri
e il cielo torni azzurro come l’hai creato.

Un mese fa
Un mese fa dalla Croce di Nassiriya
pioveva sangue sulle teste degli orfani
sul petto desideroso di un bacio
delle vedove, sui corpi senza vita
dei padri e dei mariti
avviati davanti a Dio
a perorare il bene delle mogli, dei figli
e delle madri straziate.

Un mese fa questo accadeva a Nassiriya!

Voglio ricordare quella croce moltiplicata
Voglio raccogliere il sangue che pioveva,
voglio darlo in premio agli orfani bambini
in modo che quando cercano il loro papà
lo sentiranno vicino e quando la vedova
più forte sentirà la mancanza
possa annullare la solitudine
e ritrovare la Pace attesa,
la Pace desiderata… la Pace!

Silenzio di pace
Natale festa di gioia e di serenità
per la buona volontà degli uomini.

Le nubi hanno risucchiato il canto
distrutto la voce e l’intenzione:
tutto tace. Neanche gli zampognari
fanno più sentir la loro voce.

Ieri è stato calpestato dal progresso
ha cancellato tradizioni e amore
eppure il cuore grida ancora Pace
senza voce, ma l’eco si ripete
nel silenzio che regna tutt’intorno
perché anche il silenzio, a volte, è
più potente della tromba di Gerico;
ma non voglio tacere,
voglio che il mio canto
entri di prepotenza nel cuore degli
uomini perché è silenzio di Pace.

Fratelli insorgete
Fratelli insorgete, il cielo s’annera
ritorna paurosa la triste tempesta
che settant’anni fa versò tanto sangue
e poi ancora e ancora sangue lasciando
passare anche i morti infornati.

Insorgete fratelli, io tremo ho paura
mi date la mano? Non voglio più nero
ch’è segno di lutto, alzatele altissime
le barricate, issateci sopra un bel tricolore
non arma per fuoco che uccide e non piana.

Fratelli insorgete, scacciate le nubi
che tolgono l’aria, fan tremare gli alberi
che cantavano in coro con me: insorgete
finché ancora il sole possiamo vedere.

Allontaniamo, fratelli, il manto di lutto
che sta per tornare prepotente e feroce:
non bastan la scuola, giustizia affossata
vogliono l’Italia ancora affamata.

Insorgete fratelli, issatel alte
le barricate e in cima mettete
il bel Tricolore e cantate
cantate con voce tonante
sono italiano e voglio il mio canto
non quello ch’impone chi vuol farci schiavi
una volta son stato adesso non più.

Issiamo fratelli l’altissimo monte
che sopra vi sventoli il bel tricolore
allontaniamo fratelli il nero dal cielo
il nero funereo ch’è segnale di morte.

Pregiudizio formale
- A tutti gli innamorati, specialmente a coloro che sono innamorati dell'AMORE.-

Quando nella tua vecchia
ricorderai i versi che ti ho scritto,
i versi che al telefono ti recitavo,
i versi che su di un nastro registravo,
allora la mia adolescenza sarà finita
e disperatamente piangerò l'amore:
quell'amore che ho sempre donato
quell'amore che non ho mai goduto.

Le mie mani anchilosate dalla penna
cercheranno di carezzare il tuo corpo
- ma non potranno stringerlo -
allora amore saprò,
allora amore saprai,
allora amore sapremo
tutta la grandezza
di una gioia passata, sprecata, uccisa
da un formale pregiudizio sociale
sciocco, insulso, inutile.

Allora, dicevo,
non avremo lacrime bastanti
per scrostare le nostre anime.
Non ci saranno,
rami robusti per raddrizzare
le dita anchilosate
e i tuoi seni si sentiranno tristi
per non essersi lasciati carezzare.

Allora i tuoi occhi capiranno
di aver intravisto, solo intravisto
la primavera e si faranno opachi
per nascondere visioni soltanto sognate.

Allora, in me, in te
vivranno l'amore e la pena.
L'amore che vuotai come in un'anfora,
nella tua vita e la pena griderà il suo lamento
nell'anima mia, per non aver trovato la forza
di rubarti, strapparti, al pregiudizio formale.

Allora, mia cara,
vedremo la morte
sui tuoi seni avvizziti
nelle mie mani vuote.

Allora sarà troppo tardi
e anche se mi chiamerai
e anche se ti chiamerò
ci sarà sempre il tuo seno avvizzito,
come un fiore non colto a primavera;
ci saranno sempre le mie mani inutili
ormai, che hanno pensato solo a scrivere,
a gridare al mondo intero che
per un formale pregiudizio sociale
non abbiamo raccolto il fiore più bello della vita
quando il sole era splendido e sincero a primavera.

Allora, mia cara, non basteranno
le acque di tutta la terra
per lavare la nostra colpa.
(Da «Senza levatrice» - Edizioni Albatros - Roma 1983)

Ti avevano marchiata
Ti avevano marchiata come un armento
stuprata, violentata, seviziata, affamata:
senza più nulla di umano
ti avevano buttata sulla
strada come bestia immonda.

Ti aggiravi con le tue compagne
vincendo il fetore di Peonie
su covoni di rifiuti
in cerca di qualcosa
meno fomentata dai vermi
per sopravvivere un altro giorno.
Ma se ti vedeva un «nazista»
anche quello ti veniva negato.

Che cosa ho fatto in tua difesa
quel giorno? Ed ora? ...
Ora ho messo la mia penna
al tuo servizio;
la mia fede per la libertà
il mio cuore per un mondo giusto
l'anima mia per un domani in cui
l'uomo sia veramente tale
per onorare il tuo sacrificio
ricordare il tuo dolore
per il trionfo della croce.

Prigionieri
Il vento non sa la paura
che mette ai bambini quando
soffia furioso nella lunga notte.
Il bambino crede che il vento lo sa.

Che ci fa un Condor sulla scogliera?

La nave
nella baia dondola alla deriva
che ci fa un Condor sulla scogliera?
Un Gabbiano sull'albero di maestra
guarda fisso sul ponte dove un Albatro
si dimena. Guarda il Gabbiano
su dall'albero di maestra!

Un altro Condor sulla scogliera!

II Gabbiano si dondola
con la nave
e l'Albatro si dimena
sulla nave sono morti tutti.

Le ali del Gabbiano sono d'oro
e l'Albatro si dimena sul ponte
tre Condor sulla scogliera.

Tre condor sulla scogliera?

Perché il vento non sa la paura
che mette ai bambini quando
soffia furioso nella lunga notte?
Il bambino crede che il vento lo sa
e grida.

Il Gabbiano cade dall'albero di maestra
l'Albatro non si dimena più
- le sue grandi ali lo hanno perduto -
sulla nave sono tutti morti.

Che ci fanno quattro Condor sulla scogliera?
Stanno respirando fetore di Peonie!

I giorni della gioventù
Non è vero che i giorni della gioventù
sono andati perduti o non vissuti
non è vero. Ancor oggi li senti
vivi, mentre perdutamente solo
con dolore n’avverti la mancanza.

Non è vero che i giorni dell’amore
non sono stati vissuti ché vivono ancora
come “il fuoco sotto la cenere” del poeta
e il cuore non batte come gli altri cuori
ma all’andata e al ritorno dice amore… mio…
amore… mio…, amore… mio…, amore… mio…

Che giorni sono stati, i nostri incontri!
Che gioventù vissuta allegramente
come bambini in gioco “a chiapparella”
felici di trovarci avvinti come viticci
che giorni sono stati i nostri giorni!

Sotto questo cielo carico di radionuclidi
viviamo i giorni con la nostalgia
nell’attesa del giorno che verrà
sicuramente senza che vedessimo
per un attimo rivivere nella realtà
i giorni più belli della nostra vita.

Abbiamo cercato entrambi oltre l’amore
nel ventre ardente d’amore di una donna
e nella spada che trafigge i corpi, assetati
come beduini, il gagliardetto della Pace
ma non i nostri giorni palpitanti, invece
c’è stato il fuoco più violento come
nel corpo aggrovigliato di una femmina
o nei baci appassionati di un uomo
che sta morendo agli angoli della bocca
della donna che ama. Ma i nostri giorni?
Sono davvero finiti i giorni dell’amore?

Intanto continuiamo a vivere la nostalgia
dei nostri carichi giorni d’amore certi
che un giorno troveremo, finalmente,
la tanto desiderata Pace sulla Terra.

Luglio
Speranza gioiosa con fiore di carne
cuore traboccante porti tra le braccia
il domani, a me tristezza e delusione.

Attesa d'affanno vagheggiata
svuota massimamente il cuore
che chiuso in solitudine vede
un mulo due piedi e un pallone.

Ragioni coi piedi come luglio
come tutti in quest'aria putrida
che uccide, affossa, distrugge.

Lungo le rive del Tammaro, all'ombra
dei pioppi fossi rimasto ad ascoltare
l'"a solo" delle cicale, l'arpeggio
delle acque, e dissetarmi alla fonte
nascosta tra i lecci, vicino al mulino
in compagnia dei pesci a rincorre sogni.

Ma venisti e Greppia sorrise
illuminando l'intera nebulosa.

Più bello parve il Tirreno
quella luminosa sera del due.
Tu risvegliavi sogni più arditi,
per un attimo lungo le rive
del Tammaro ritornò mio cuore.

Ma come luglio
torrido afoso accecante sei
nemmeno la fonte tra i lecci
potrà dissetarmi.

Potresti riportarmi lungo le rive
del Tammaro, tra pioppi e lecci
per disseppellire fanciullezza,
se lasciassi la sfera
e adoperassi il cervello.

Aprile
Aprile, uggioso aprile,
novello amore sotto grigio cielo.
Abbraccio carnale eterno
nove aprile ritorna
d'amore lo scheletro.

Povero stanco amore
chi può resuscitare?
Lasso cuore desideroso
tomba solitaria e gelosa.

Come aprile rigermina la vita
a me vita venne nel rigoglio
della natura vita di mia vita
rubasti. Ora accogli spoglie
d'amore: il mio.

Sotto plumbeo cielo
uggiosa, eterna lagna
aprile,
ripeti
rinnovi
vita che natura beve.
A me, morte fanciulla nel cuore.

Che bello sarebbe stato...
Che bello sarebbe stato il nostro amore
se la civetta non avesse cantato
se il gufo non avesse illuminato
la gallina chiacchiera che annunciava
le uova e queste non c'erano: burla.

La civetta cantava senza voglia
il gufo aveva le pile scariche
solo la gallina continuava la sua
canzone ma la seconda volta la luna
s'arrabbiò e illuminò a giorno le bugie
e il mio cuore smise di soffrire.

Così credeva; invece la gallina proseguiva
aveva imparato a memoria le parole del gufo
gli sbadigli degli orgasmi mancati della civetta
vestita di nero con la corona bianca
che ripete all'infinito solo a chi crede.

Che bello sarebbe stato il nostro amore
se la gallina avesse avuto cervello
se la civetta non avesse cantato tutta notte
se il gufo fosse rimasto nascosto per cercare
cibo: che bello sarebbe stato il nostro amore!

Grazie
In questa notte di tormento
un usignuolo ha cantato.
Signore, avevo dimenticato
la sua voce.
Un'allodola, del sole
annunciato il ritorno.
Il sole, Signore!
Primavera, odore
di biancospini
profumo d'amore.
Mio buon Gesù,
dolce Santo e Martire per noi
hai asciugato le mie lacrime.
Chiesi solo il suo perdono
e anche la mano mi tende.
Grazie mio Santo Martire,
per questa bontà.

Riscoprire il sapore del bene
mi fa sentire bambino
e mi ritrovo a Paduli
in un tripudio di biancospini
tra purezza e colori puliti.
Grazie, mio Santo Martire,
di questa gioia non meritata.

Ritornano col sole tutti i sogni
ma merito,
gran Santo, tutta questa bontà?

Agosto
Agosto,
congiungi la sposa al Padre,
al Figlio Martire per noi,
mentre Angeli cantano Osanna
cori festanti al mio cuore.

Sposa, Madre e Sorella passasti,
al cielo assurgendo, per l'anima
inoltrandoti pei meandri, crepacci,
ferite, mano leggera posasti.
Nel fondo mettesti pargolo ricciuto:
Gianpiero, Lia già c'era e in compagnia.

Non sete, non tremitio d'invidia
al labbro che non conobbe sorriso.

Notti deliranti senza stelle
luna, anima senza luce, scavata
da solchi profondi, trenodìa
per il chiesto e non avuto
sposa dell'anima, prima.

Improvvisamente
congiungendoti al Padre e Sposo e Figlio
passasti o Vergine sui solchi dell'anima
posasti mano lieve impercettibile.
Risorsi agosto,
tra le braccia eternamente
stretti finché vita m'è data
Gianpiero, gli atri già c'erano.
- Da Il Vaso di cristallo - Edizione A.I.A. "Poesia della vita" - Roma -

Applausi
Parlare d'amore lottare per l'amore vivere
era l'unico sogno sola speranza di realizzazione.
Per un applauso chinavo la testa sorridente
e tu piangevi. Piangevi perché per te era

                                           il mio dolore più profondo.

Parlai d'amore diedi l'anima all'amore
ma l'amore? È rimasto l'applauso.

Mi ribello a questi applausi
e divento uomo. Mi sento uomo
e grido basta. Cambierò il mondo
l'uomo sarà tale ho l'amore con me.

L'amore che mi farà suonare
in una sola volta tutte le sinfonie
di Wagner e di Beethoven; il "Clown"
non farà più ridere e tu avrai
mai più voglia di piangere.
Prima le tue lacrime purificavano
l'uomo e quando suonerà la tromba
di Gerico mi troverai in piedi
pronto a fronteggiare il male
solo allora non sentirai l'applauso
perché sarà improvviso e fragoroso
tanto da distruggere il mondo.

L'amore camminerà silenzioso
perché un cipresso non muore mai.
- da Camminare cantando - Edizioni A.I.A.
"Poesia della vita" -

Voluttà
Rossore di viso
tremore
di labbra dischiuse.

Pallore di viso
fremere
del corpo flessuoso.

Pudore di luna
gemere
di erba in germoglio
rossore di sesso
a contatto di carne.

E le stelle feriscono
il turgido seno.     

Se m'addormento
Se m'addormento svegliami
se non mi sveglierai troverai
al tuo fianco il cuore freddo.
Ma tu mi sveglierai.

E' triste questa notte di ansia e di paura,
non un grillo canta sotto la luna,
anche le cicale tacciono.
Sull'albero giovinetto ancora
un usignuolo tenta il suo canto
ma è subito silenzio.

La città nuova abitata da spettri
robotizzati è una tomba enorme.
Solo un cane guaisce in lontananza
e il battito fremente del mio cuore.

Un usignuolo tenta il suo canto
ma è subito silenzio.
Il respiro non muove una fronda
una folata di vento vorrei.

Se m'addormento svegliami
non lasciare che il cuore
diventi freddo.


Basta la mia paura!   

E' stato bellissimo
E' stato bellissimo rotolarsi nel prato
come bambini in gioco d'amore:
è venuta la Luna, ci ha coperti
col suo manto d'argento e noi
siamo diventati adulti stretti in abbraccio
uniti come il frutto all'albero
come gli astri al cielo
e come gli amanti all'amore
abbiamo goduto fino all'alba e il Sole
ha baciato i corpi spogli
come appena nati
ha riscaldato il cuore,
benedetto le anime
unite l'una all'altra come volevamo.

Il desiderio appagato ci ha fatto sorridere
al giorno nascente ed abbiamo cantato
l'inno eterno degli Angeli e degli Astri.    

Ci siamo bevuto il cervello
Ci siamo bevuto il cervello
hai mormorato tra un colpo al cuore
e la gran paura che toglie il respiro:
ci siamo bevuti il cervello!

Eppure il cervello c’è ancora perché
questa notte l’ho passata in bianco
t’ho inseguita per i Campi Elisi,
ho corso sostando a Rue de Boulogne
ansante ti ho aspettato a Montmartre.

Solo!
Con il cervello in fiamme e cuore in panne
ho atteso, fino al sorgere del sole,
anche sulla Scalinata di Trinità dei Monti,
ma solo l’astro m’ha fatto compagnia
ché le nubi si son rubate la tua immagine
celandola gelose del tuo tentennamento:
Paura!
La paura di amare ti ha fatto fuggire
e continui ad ignorare il mondo assetato
di te, di noi, dell’amore che fuggi.

Ci siamo bevuti il cervello, è vero
perché non troviamo il coraggio
di dire al mondo che l’amore
solamente l’amore può dare
Pace sicura e fratellanza ed io volevo Te
come portabandiera di questo bel dono
che il Signore ha dato agli uomini, ma tu?…    

In questa bella domenica di maggio
In questa bella domenica di maggio
il pianto dell’anima dell’amico
che ha fatto del corpo poesia
come scalpello nel marmo
penetrati in me: assetato di bene:
                        graffiti nel tempo.
Oggi col pianto doloroso rimbalzano
come onde nell’etere, i suoi versi:
osanna al bene di Cristo ché il male
è quello che vive fuori del corpo.

Attraverso il telefono gocce calde di sangue
come lacrime di bimbo desideroso di correre
è sceso nell’anima mia il suo grido d’amore
come piedi incerti in prati vergini e profumati.

Amico, già troppe lacrime germogliano
e quelle del Poeta
sono diluvi per la sorda umanità: taci!
Il tuo male è come il mio
senza convalescenza.   

‘A figlia ‘e Donna Rosa
Comme le piace ‘e se tené purposa,
a Carmelina, ‘a figlia ‘e donna Rosa.
Quanno cammina tutta se quartea
L’uommene ‘a guardano, essa se recrea.

Quanno se ferma, ‘mposta ‘o piette ‘nanze
se ‘mposta ‘mmiez’a via, senza crianza
‘nu giovane ‘a guarde e tira ‘nu suspiro:
“cademe ‘mbraccia oj né comm’a nu piro!”

‘Na sera camminava pe’ palazzine
facette sospirà pur’e’ spazzine:
“quanto si bella, Carmelina mia,
pe’ nu sorriso tujo, che faciarria.

P’avé ‘nu vaso a te, bella Carmela,
attraversarria ‘o mare senza vela
e po’ venesse ‘ncopp’addu ‘onna Rosa:
“Signò, Carmela vosta è la mia sposa!”

I’ ‘esse pur’America pe’ terra
a costo e fa venì ancora ‘na guerra;
e mentre cammenasse ‘ncopp’o mare
io cantarria: “Carmè ti voglio amare!”

Ma Carmelina a chesto nun ce penza
È ‘na guagliona e nun tene coscienza
Perciò quanno cammina se quartea,
si n’ommo ‘a guarda tanto se recrea!.  

Quell'amore turbinoso
Quell'amore turbinoso come un "ghibli"
mi accendeva l'anima, bruciava i sensi
palpitare il corpo tremante e l'anima
incendiata dava gioia e sofferenza, ieri.

Quell'amore era tutta la vita, ma era ieri.
Oggi solo tormento senza speranza.
- Da Musica bruciata -   

Confuso tra i cipressi
Confuso tra cipressi silenziosi,
cipresso amante di chiari tramonti
dolcemente non mi ribello al vento
foriero di cose rapite porta
da un ramo all'altro raggi di luna.

Fazzoletto sventolante in lontananza
ramo baciato dal vento si dondola,
riporta alla mente infanzia remota,
come corso d'acqua pura e tranquilla.

Sotto un cielo di seta verde, rosa e gialla
fiammeggiante come la tua chioma, corro
verso il ruscello mentre una stella ammicca.

Lunghe file di cipressi tacciono nella notte
solo la tua voce e quella del vento giocano
col rumore dei passi stanchi sul selciato.
All'alba solo un raggio di sole
duellerà come sciabola allegra.

Allora il tuo canto
come quello dell'Allodola
riempirà le valli
e le acque tranquille del ruscello
annunceranno
il nostro amore al mondo.

Come cipresso
amante di chiari tramonti,
correrò da te
come l'assetato alla fonte,
come il beduino all'oasi
come la neve alla montagna
come l'allegria al sole
come la notte all'alba
come l'aurora all'amore.

Amore mio affamato di giustizia
assetato di calde carezze
come una gattina infreddolita
nascosto in una fila di cipressi.
- Da "Taccuino" -   

Lacrime di pietra
Lacrime di pietra seppelliscono speranze
coprono le promesse e i bei ricordi
ma non riescono a nascondere la menzogna
all'ombra dell'albero dell'ipocrisia.

Lacrime di pietra mi illudono.

Mi sento più pesante e mi lascio
sprofondare nel mare, senza vita;
annientare nel deserto della verità.
- Da «Poesie sparse» -   

Mi giunge dall’infinito
Mi giunge dall’infinito:
spazio senza confini
la tua parola che come nuvola
m’avvolge e ridona fiato
speranza di vita nuova
all’esistenza grama che vivo.

Mi cingi con braccia di velluto rosato
mi baci con bocca pura e verginale
ti abbandoni col corpo senza forza
e siamo noi. Noi con anima esultante
a viaggiare da uno spazio all’altro
rincorrendo le parole che diciamo
Paghi di questo sicuro andare
sereni ci addormentiamo
fiduciosi che domani, ancora
le parole s’inseguiranno per dar vita
ad un corpo che vitale non è più
con il tuo che pulsa d’eternità.   

Fomelhaut
Hai il letto nelle spumose onde
e vivi in cielo nel regno dell’amore.
Fomelhaut, il tuo volto
muta come l’iride,
se ti circondi d’un velo
sull’orizzonte d’estate.
E penso che forse
la letizia che mi fugge
vive sulla tua bocca celeste.   

Al morto Sole di Cefeo
Anche tu, morto Sole di Cefeo,
un giorno rifulgesti di splendore.
Ora ti conosce solo il dotto:
altri non sa.
Anch’io un giorno risplendetti
agli occhi di una donna.
Ora chi conosce il mio penare?
E’ simile il mio cuore
al morto Sole di Cefeo.

Antares
Nella notte nebulosa
udii la tua voce cantare
in un rosso fulgore di gioia
accompagnata dal coro delle tue stelle:
"La mia spada
ha battuto Orione".
Oh, con essa vorrei tu tagliassi
corde e legami di neri pensieri
per cullare gli uomini
in un letto di stelle.  

La greppia
Greppia divina e vergine
come il frutto dell’Eden,
illumina ancora una volta
il mio cammino,
fa che ancora una volta
il labbro mio si schiuda al sorriso.
Greppia,
tranquillo ammasso del Cancro,
passa come la brezza del mattino d’aprile,
fonte di verginità,
datrice di purezza.

Aldebaran
Aldebaran, di tutto il tuo splendore
s’illuminano il Toro furioso
e le timide Pleiadi.
So che dal seno tuo
rigermina la vita del mondo,
risuscita la morte.
Con te dovunque
canta la giovinezza.  

Invocazione
Oh, guardare le stelle
da questo remoto pendio!
Rimirare Cassiopea
che inarca il carro dell’Orsa,
Orione potente,
Ercole gigante dal ramo d’ulivo,
e il celeste Bifolco.
Oh grandezza di Dio
fa che i miei nemici ed io
camminiamo fianco a fianco,
come Castore e Polluce,
in quest’arido luogo d’inganni!  

Pentimento
La prima stella della sera
si fa vedere nel cielo
e in me scende il timore:
il timore del bimbo
che prima di addormentarsi
vuol esser certo che altri
l’accolga al risveglio.
Ho paura d’addormentarmi
nel sonno senza sogni.
Ieri avrei forse voluto,
oggi non voglio più:
ho respirato l’effluvio
del suo sperato ritorno.  

Preghiera
Tutto quel che m’è dato
è tuo gratuito dono,
ed io l’accetto, Signore,
deciso a non ribellarmi.
Ma come è grande quel peso
d’ansiosi tormenti!
Ed è pur sempre un dono
che solleva me indegno
al dolore che pare la via
al tuo Regno.  

Contrasto
Hai giocato col mio cuore,
che per te ha riso e ha pianto.
Ora non posso più:
addio, amore mio.
Ma t’ho chiamato “amore”
e dunque ancora,
se per mano mi prendi,
ti seguirò come ieri,
anche verso l’abisso.  

Come il vento
Col tredici del sesto mese
sei anni di già.
Sei anni, amore, sei
granelli della nostra polvere
mortale…
Come il vento si porta
gli aghi morti dei pini
- ed esso solo sa dove – ,
così la passione
ci trascinò sei anni.
Ora mi guardi, stanca
non so di che,
e mi chiedi se tanto
tempo potrà tornare.
Ma chi ritorna indietro,
povero stanco amore?  

Il tempo dell’aurora
Tu guardi al rosso di sera,
e sei nel fiore dell’adolescenza…
Fa ch’io ti prenda per mano
E ti aiuti a passare la notte:
attenderemo il tempo dell’Aurora.  

Chi sei?
Sei venuta sulla mia strada
e ti sei messa al mio fianco.
Qualcuno lungo il cammino
ha sussurrato: “E’ un angelo”.
Ed io ho scosso il capo:
chi tu sia non so,
ma non sei certo un angelo:
l’angelo non accende desideri,
ed io, sappilo, attendo
la prima svolta a ponente,
sì, attendo, quella svolta,
per dirti ciò che nessuno
ha mai pensato d’un angelo.  

Suono di campane
Così vicino era Paduli,
che se io salendo
avessi steso la mano,
fra sassi e polvericcio
avrei potuto toccarlo.
Una gioia trionfante
mi prese alla gola:
sentivo di lontano
le campane di Pasqua.
E fui nel borgo
già prima di entrarvi,
e ancora mia madre
mi conduceva per mano
ad ammirare fra gli incensi
il Cristo risorto
in una festa di biancospini.
Mi scaldava la mano di Mamma,
mi carezzava il fiato di aprile:
così entravo a Paduli,
prima di entrarvi.  

Aurora
L’ultima stella impallidisce
e il cielo lentamente si colora
all’oriente d’un tenero rosa.
Il sole ritorna,
il sole torna a splendere,
splende più caldo il sole:
come risorge l’anima,
che al primo tramonto
si credeva perduta.
Anima, hai ritrovato l’Aurora,
e l’hai chiusa nel cuore,
novello dono di Dio.    

Assenso
E così sia!
Ringraziate pure il Signore
di questo nuovo giorno trascorso,
di questo pane morso,
del poco vino bevuto,
del molto che invano chiedeste,
del poco che vi fu provveduto,
della facoltà che vi è data
di chiedere ancora domani.
S’allunghino le vostre mani,
bambini malaticci e rassegnati,
al pomo della povera mensa:
ringraziate di tutto dispensa
del poco che vi diede,
pregate.   

Canto di notte
Tutte le sere,
a mezzanotte,
sale dalla strada un canto.
“Un canto nella notte”
penso fra me.
E mi chiedo ogni sera
chi mi porti tanta pace col canto.
Suvvia, cantore:
la luna è già scesa oltre Baia:
cantore, è tardi, riposa:
anche troppo presto
verrà la luce,
tornerà l’affanno.   

Notturno
Voci rivenditori
Malinconiche e tristi,
luci multicolori,
cuori innamorati in attesa,
nottambuli viandanti
per le strade illuminate
dalla splendida luna.   

Signorina Felicita
Ho conosciuto quella del poeta,
la quasi brutta, priva di lusinghe:
te, non t’ho mai veduta
se non nelle parole delle madri,
che nuora ti sognarono.
Signorina Felicita,
par che vederti in volto
sia privilegio raro:
io non vorrei sciuparti
neppure in sogno: resta
nel tuo giardino chiuso:
forse verrò a vederti,
quando pel cuore
amareggiato e stanco
vorrò l’amor d’un simbolo sublime,
fuor della vita, esangue.  

Sulla bilancia della giustizia
Sulla bilancia della giustizia
ho messo i nostri corpi di amanti poveri
che hanno tanta luce da donare.
Il piatto pendeva dalla parte opposta.
                                            E questa è giustizia?

Dall'altra parte bidoni ricolmi d'immondizie
e di cadaveri mascherati da uomini. La luna
non ha sputato nemmeno un piccolo raggio.
                                            E questa è giustizia?

Quanta miseria c'è al palazzo della giustizia!
Ecco perché non mi lamento
tu e io siamo i più ricchi del mondo.

Dalla bilancia della giustizia
ho tolto i nostri corpi di amanti poveri
e vi ho messo la casa che hai sognato
la casa che ogni giorno sogno.

Il piatto pendeva dalla parte opposta,
dove bidoni ricolmi di sterco erano
mascherati da uomini, case vuote
abitate nemmeno da spettri.
Uomini avvolti in una coperta di fango
nascondono la loro volontà.
Noi sfiancati ma non domi,
grattiamo il fango con le unghie
e intoniamo la canzone fatta di parole d'amore.   

Inno alla pace
          Ai fedeli «Fanti dell’Arma» martiri a Nassiryia

«Fedele nei secoli», giurasti
e lo sei stato anche quando il barbaro
ti ha squarciato le membra;
anche con la bocca piena di polvere
le braccia hai teso per aiutare
chi sanguinava e pregava come te.

Hai scritto la frase del tuo giuramento
col sangue innocente gridando Pace.
In te, Giovane, che hai vissuto
nella terra nemica per affermarla
la Patria ha creduto e ti si è affidata:
l’hai difesa con la tua vita e ora
con Dio parli del bene che il barbaro calpesta.

In coro, diciotto, davanti al tribunale
dei Tribunali avete rinnovato il giuramento
e gli Angeli hanno intonato l’antico canto:
«Pace in terra agli uomini di buona volontà!»

Per voi, martiri del giuramento divino
non piango lacrime di rabbia
siete con me per ricordare un Uomo
che tanto tempo fa, attraversò
a piedi l’arido deserto per affermare
Quella Pace che avete difeso
la Pace che gli uomini vogliono
la Pace che vive nelle grotte
separata dalla volontà di chi l’ama.

Voi l’avete amata e dato la vita
noi, fratelli, così vi ricorderemo
«Fedeli nei secoli», dalla nascita.   

La donna del lago
Nata magicamente da un fascio di luce
la mia donna balla nuda sulle sponde di un lago
E la sua pelle d’alabastro sotto la pioggia di luna
che i raggi del sole imprigionati al tramonto
dalle acque, le avvolgono il corpo;
lo striano di luce rossa ondeggiante sull’acqua
e lei inebriata danza l’amore
soltanto per le stelle assetate.

L’acqua del lago è sempre più calma
mentre la donna mia, le braccia aperte
al cielo, nella notte, fa una doccia di luna;
poi si tuffa nelle acque sempre più calme.

La sua bellezza fa impazzire gli astri
fa tumultuare il dolorante cuore
che non sa gridare a piena voce
tutto l’amore che invade l’essere.

Canta il mio cuore come un fanciullo
al primo incontro d’amore, mentre
la pelle d’alabastro si stria di rosso:
è il sole che le acque hanno imprigionato
per essere donato a chi sa amare davvero.

Donna che pulsi d’amore ma immobile stai
come la statua della felicità vestita di luna
avvolta nelle onde del riflesso del sole
imprigionato dalle calme acque di un lago:
pura messaggera di vero sentimento.    

Altre croci affondano nel cuore
Altre croci affondano nel cuore
più di quelle inchiodate lungo la via Appia
più di quelle disseminate nel gelo della steppa
più di quelle appuntate sul petto dei carnefici.
Altre croci dilaniano il mio cuore.

Altra fame soffoca lo stomaco
più di quella sparsa da Hitler
più di quella sofferta alle porte dei forni
più di quella invocata prima della morte.
Altra fame soffoca lo stomaco.

La stessa voce si leva fino al cielo
più forte di quella dell'eccidio di Erode
più tonante di quella degli spagnoli nel trentasei
più potente di quella dei bambini del quaranta.
La stessa voce si leva fino al cielo.

Aridità ha investito gli occhi dell'uomo
più del ruscello disseccato e spoglio
più del fiume senza flora
più del deserto sconfinato d'Africa
- ora tormentato da cingoli e fiamme -
solo sangue irrora la terra e gli occhi.
Dio trema. Mentre una nuvola nera ammantella il globo
la voce vigorosa dei bambini esige la vita.

Un tiepido raggio di sole assale la terra
e le croci che sbranano il mio cuore
si conficcano violente nel cervello putrefatto
di chi nascosto come talpa ordisce la guerra.

Il tempo della vita
E’ migliorato il tempo della vita
ridammi i giorni; però se con i baci
cogliessimo di questi la misura
sarei nato tra le labbra tue, amore.

In te ogni giorno mio
avrei perduto e speso.

E’ misurato il tempo della vita
e dei ricordi più non conta il tempo;
ma se avessi perduto un solo bacio
dell’amore non avrei saputo nulla;
perciò voglio chiamare col suo nome
anche la più inconfessata gioia
ché rimarrebbe la sola musica
che tutti udrebbero per magia di vita:
miracolo delle segrete sillabe d’amore!

Bello sarebbe anima mia
morire agli angoli della tua bocca
mi sentirei scivolare in Paradiso
come dal fiore la rugiada.

Di questo amore
Di quest’amore che si rinnova ogni giorno,
come il tempo ad ogni stagione, ho parlato
all’albero solitario piantato sull’Everest,
nel punto più alto, nascosto dalle nubi.

A lui soltanto ho parlato perché sa
che all’amore non ho mai mentito,
come lui costante alle nuvole
io alla mia donna che con me ha visto
quest’amore rafforzarsi e diventare
come Sansone forte anche contro le «belve»
come Ercole invincibile anche contro l’ipocrisia.

L’albero è contento, anch’io lo sono
perché questo sentimento nato in silenzio
ora grida la sua gioia dalla cima
e l’eco lo ripete al mondo intero.

Chissà che non lo sentano anche i potenti
E la smettano di pensare alla guerra
agli attentati terroristici che seminano morte
come il contadino la terra arata di fresco.

All’albero solitario in cima all’Everest
ho raccontato la storia di un amore
cresciuto giorno dopo giorno
e spera di vedere nel tempo a venire
quest’amore sognato e vissuto
intensamente senza remore fiorire
sulla bocca di tutti, profumato e vivo
come l’albero in cima all’Everest
nascosto dalle nuvole perché nessuno
possa contaminarlo o danneggiarlo.

Mi chiedi
Mi chiedi
quando
non ci saranno più guerre?

Quando l'uomo
cesserà di essere
animale razionale.

Quando l'uomo
non farà più parole.

Quando l'uomo
dimenticherà
la sua intelligenza
e ti stringerà la mano:
mano putrefatta
callosa
purificata
dalle sue lacrime.

Tu non c’eri...
Tu non c’eri in Somalia
quando nell’ospedale militare
dopo solo due giorni nacque
una bambina africana
di nazionalità italiana.
Tu non c’eri!

Tu non c’eri a Peja
quando i nostri soldati ricucivano
carni lacerate da mine antiuomo
sistemavano protesi ai piccoli
perché ritornassero a giocare
tu, non c’eri.

Tu non c’eri a Zaho in Iraq
nel millenovecentonovantuno
quando i nostri ragazzi
ventiquattro ore su ventiquattro
soccorrevano i bimbi dilaniati
dalle armi americane
e dalle loro stesse mine
tu non c’eri.

Tu non c’eri in Afghanistan
quando i missili scoppiavano
nelle grotte del monte sperando
di trovare chi non è degno di vita
e gli italiani ragazzi abituati
al divertimento si prodigavano
perché i bambini imparassero
la parola PACE
tu non c’eri.

Tu non c’eri a Nassiriya
quando un camion ha sfondato
l’entrata per far penetrare
un’auto colma di tritolo
falciando giovani vite abituate
all’altruismo perciò cantavano
tu non c’eri.

Tu non ci sei nemmeno a San Paolo
mentre il vescovo officia la messa
no, tu non c’eri e non ci sei perché
sai parlare solo chiuso in una grotta
scavata nel cervello allora, taci,
ascolta e impara ad essere uomo
che compie il suo dovere,
ma tu non ci sei…
non ci sarai mai!

Mi piacque il tuo canto
Mi piacque subito il tuo canto
perché la tua voce melodiosa
somigliava alla mia: parlava d’amore.

Anche tu vedevi le lacrime di smog
che scendevano dalle statue
e radionuclidi che cadevano dal cielo.

Anche a te piaceva sedersi a tavolino
con un bicchiere di vino d'avanti e parlare
col Signore delle cose del mondo.

E poi… nel tuo canto sicuro e pulito
c’era il pianto del sole del Sud
e dei fichidindia che perdevano il sapore.

Questo sole che da Astro si trasfigurava
in essere vivente è il canto tuo
che stringe il cuore in una morsa.

Subito mi piacque il tuo canto
e lo rivolsi a tutti perché sapessero.

Ora ti credo di fronte al Signore
seduto a quel tavolo che avevi immaginato
e con lui parli delle Maddalene
del mondo frustate a sangue
da aguzzini senz’anima e provvedete
per la libertà perduta, per la salvezza.

Assenso
E così sia!
Ringraziate pure il Signore
Di questo nuovo giorno trascorso,
di questo pane morso,
del poco vino bevuto,
del molto che invano chiedeste,
del poco che vi fu provveduto,
della facoltà che vi è data
di chiedere ancora domani.

S’allunghino le vostre mani,
bambini malaticci e rassegnati,
al pomo della povera mensa:
ringraziate di tutto dispensa
del poco che vi diede,
pregate.

Per millenni
Lì, dinanzi a me,
nell'aureola dell'amore.
Io dinanzi a te
nel profumo della felicità.

La tua immagine sulla parete
spia ogni mio movimento
la mia fa lo stesso assaporando
                              la tua libertà.

Tu mi ami!
Ti amo come si può amare
il giorno
                       il sole
                                  la vita.

Ci inseguiamo sul quadrante
come le lancette di un orologio
                                per secoli.

E' mezzanotte
le lancette si sono inceppate
finalmente
la tua immagine sovrapposta alla mia
i tuoi occhi limpidi e puliti
si sono fermati nel mio sguardo:
"E' stato messo il punto
al nostro silenzioso discorso".
La tua arte
avrà un altro significato
parlerà un'altra lingua
ma per me?...

Rimarrò fedele come un cane
aspetterò che mi buttino le ossa
per celarle, seppellirle
e con esse sotterrarmi anch'io
aspettandoti.

T'ho rincorso per millenni
ti seguirò giorno dopo giorno
ti attenderò dopo la morte.

Ho fatto un sogno 'stanotte
Che strano sogno ho sognato,
amore mio,
camminavano ancora sul viottolo;
ai lati prati lussureggianti
e profumati,
il sole non bruciava la pelle e tu
mi stringevi la mano più forte;
non tremava come ieri, al pensiero
che bruciavano foreste rigogliose
i fiumi popolati di pesci morti
gli alberi avvelenati reclinavano
il capo e, con voce flebile,
chiedevano aiuto piangendo.

Che strano sogno ho sognato, stanotte;
sui viottoli di terra battuta camminavano
uomini ridenti, mano nella mano e noi
abbiamo riso con loro e cantato a voce piena
il giro, girotondo felici di vivere ancora.

Le foreste non eran state bruciate
gli alberi e i fiori si parlavan d'amore
e gli uomini?… Mano nella mano
cantavano in coro un'unica canzone.

Il lamento dell’allodola
Com’è lamentoso
il canto dell’Allodola stamani.
C’è un correre sfrenato di nuvole
come se fuggissero il dolore
o facessero a gara
per accaparrarsi le lacrime che
scivolano lente lungo le rughe
dell’anima assetata
d’amore e di pace.

E’ lamentoso il canto dell’Allodola
come me che odoro il tradimento
penetrare nel cervello e rimanerci
attaccato come radice alla terra.

E’ solo pianto inconsolabile
quello dell’Allodola, stamani
e i miei pensieri navigano
nelle lacrime che nelle rughe
dell’anima hanno formato un rio
come vorrei perdermi anch’io
in quel rio per non pensare
al susseguirsi dei tradimenti
all’inseguirsi degli inganni
all’espandersi della menzogna.

Ma l’Allodola non può ascoltare!
- Da Musica Bruciata - A.I.A. «Poesia della Vita» -

A Paola e Pierina
Non eri sulla via di Damasco ma di lui sapesti
e desiderasti (e lo desideri con tutte le tue forze)
di trovare la Luce che rinsavì Paolo di Tarso.

Ti guardi intorno per sapere il vero
intanto cerchi e doni tanto amore
a chi la mano tende per sopravvivere.

Quanto sei bella Paola!
Avvolta nella nube illuminata dal Sole
e ti ci bei per gli altri
mai per te stessa, e voli, a mani tese
spiegando l’ali, verso chi ha bisogno
di un tuo sguardo una buona parola.

E tu che inviti alla Comunione
col Signore forte Pierina
cammini in costante cambiamento;

scopri e racconti giorno dopo giorno
la realtà nelle parole di Gesù.

C’insegni senza parlare che la verità
arriva sempre perché si apprezzi
la grandezza di Dio e la Sua giustizia.

Quanto vorrei, Pierina, camminare
Mettendo i piedi dove lasci l'orme.

Il silenzio
T’ho amato più di quanto ti amasse
Pasternak, e nel groviglio di voci
non ti trovavo mai, disperavo
di conoscerti un giorno, ma invano.

Da una settimana a me sei venuto
ed è stato come un pugno nel cuore:
adesso che non volevo, ti presenti
e non hai il coraggio di raccogliere
il sangue del cuore che il pugno
ha provocato lasciando irreversibile
colata di sangue dalla ferita aperta.

E dire che nel sessantuno t’implorai
quando s’udirono spari nel Vietnam.
T’implorai quando quintali di fuoco
caddero su Hanoi nel sessantanove.

T’invocai quando fratelli a vicenda
si uccidevano credendo di avere
una fede
un ideale;
ma tu non m’ascoltasti e veloce
passasti tormentandomi la mente
e l’anima ulcerata dal dolore
sempre crescente come un fiume in piena

Oggi senza dir niente ho avvertito
il vuoto. M’hai stretto nella coperta
asonorizzata ed ho paura:
nessuno tamponerà la ferita
sanguinante di un povero cuore.

T’ho tanto desiderato, follemente
T’ho invocato con mille preghiere
T’ho implorato come imploro Dio

E tu silenzio pauroso solo ora
vieni a me per farmi dannare
sotto questa campana che tace
come il cuore mio sanguinante
mai vorrebbe che fosse: solo Amore
potrebbe ridarmi quello che ho perduto
potrebbe riportarmi l’amore che voglio.

Il sole che mi offrivi
Non sapevo che il sole che mi offrivi
era sorto in un giorno buio
eppure lo presi e mi rotolai
contento di bagnarmi di rugiada.

L’umidità penetrò nella pelle
e le ossa cominciaron a far cric
le sentivo scricchiolare anche
quando ti baciavo ardentemente
e m’avvolgevi con morbide braccia
avvinghiato rotolavamo sull’erba
rugiada battesimo quotidiano
ma il sole che offrivi, era d’amore
nato per miracolo delle tue mani
in un buio giorno in cui il sole
aveva dimenticato il suo mandato.

E’ rimasto a farmi compagnia
almeno lui questo sole scioperante
che ha disertato il giorno dell’amore
e le mie ossa scricchiolano da far paura
chissà se riuscirò a far lavorare
le mani anchilosate dall’artrosi
che se non avessero inventato
il computer non saprei come fare
per dirti ancora il bene che ti voglio.

In questa bella domenica
In questa bella domenica d'agosto
il pianto dell’anima dell’amico
che ha fatto del corpo poesia
come scalpello nel marmo
penetrati in me: assetato di bene:
graffiti nel tempo.

Oggi col pianto doloroso rimbalzano
come onde nell’etere, i suoi versi:
osanna al bene di Cristo ché il male
è quello che vive fuori del corpo.

Attraverso il telefono gocce calde di sangue
come lacrime di bimbo desideroso di correre
è sceso nell’anima mia il suo grido d’amore
come piedi incerti in prati vergini e profumati.

Amico, già troppe lacrime germogliano
e quelle del Poeta
sono diluvi per la sorda umanità: taci!

Il tuo male è come il mio
Senza convalescenza.

Come passano lenti…
Come passano lenti i giorni della vita
quando da solo stai per affrontare
una prova che fortifichi l’esistere:
come passano lenti i giorni della vita.

Uguali sono l’ore del pensiero
non scuote il tempo la pioggia
non le interessa il pallido sole
che prepotente filtra tra le nubi.

Eterno il momento dell’attesa
senza tempo il dolore che serra la gola
la paura che toglie la parola.

Come passano lenti i momenti di vita
i giorni si fanno eterni e tu
non osi alzare gli occhi al cielo
perché l’azzurro cancellerebbe il tempo.

 

Occhi che non capivano

1
Oggi è il mio primo giorno di scuola ¹
fino a maggio scorso sono andato all'asilo;
piangevo sempre, volevo bene a suor Anna
e suor Anna era fuggita con un bersagliere.

¹ Poesie scritte a sei anni

2
A "Valle d'Asino" ho costruito
intrecciando carpini e rovi
una capanna: è là che vado
quando ho voglia di piangere.

3
A scuola mi hanno dato una camicia nera,
un fez, un pantaloncino grigio-verde.
Mia madre quando ha visto il pacco, ha detto:
"Almeno hai vestito decente per la festa!"
Sono scappato a Valle d'Asino:
preferisco andare in giro nudo.

4
Sono andato a comprare le sigarette
mezza lira per dieci "popolari".
Dal tabbaccaio c'era "Finuccio"
un poco traballante. Due in divisa
l'hanno preso di forza
insieme ad altri due
l'hanno legato su una sedia
gli hanno messo un imbuto in bocca
hanno travasato una bottiglia...
Quando è uscito, traballava tanto
si contorceva e "loro" ridevano...
"Questo facciamo a chi non è con noi!"
Sono ritornato senza sigarette!

Mio nonno si è arrabbiato
e non per le sigarette.

5
Mi hanno cambiato classe
e faccio la seconda elementare.

Siamo due uomini
e ventiquattro donne.

Ci sono due gemelle assai carine
Angelina, la più bella e Vincenzina.
Io piango, voglio la Signora Ricci ².
E' entrata la maestra, quella nuova;
è giovane, bella e bionda come il grano.
«Mi chiamo Mafalda», ci dice!
Quanto e bella. Dio, quanto è bella!
Ha gli occhi azzurri, puliti,
di cristallo marino e sulla bocca
la bella primavera di Paduli.
Non piango più, non voglio
ritornare dalla Ricci.

² La maestra con la quale avevo sostenuto gli esami di   prima classe per essere promosso in seconda

6
La signorina Mafalda ha diviso
le gemelle, veramente belle;
Angelina è seduta accanto a me.

18
Sono andato a Napoli ¹

e per la prima volta
ho visto anche il nemico:
nel treno, per le strade, nelle case.

Sono ritornato a Paduli di corsa.

¹ In occasione dei funerali del marito di zia Adelina, la sorella di mia madre: era il 26 settembre 1941

7
Il segretario politico ha comandato
a mio nonno di andare alla sfilata:
è l'anniversario della «marcia».
Il nonno si è alzato in piedi
a testa alta, piantato come una quercia
gli ha risposto: «Tiene 'e 'ppigne,
accideme, faje primma!» ³
³
Hai i pinoli nel cervello, uccidimi, fai prima

8
Per la prima volta, stamattina, (1)
sono stato punito duramente:
non ho fatto i compiti assegnati.
Nel quaderno, invece, hanno trovato
un foglio scritto in fretta che diceva:
«Angela, ti prego, per favore;
non toccarmi la mano di nascosto
voglio imparare e non capisco niente.
Tra le righe del libro i tuoi begli occhi
brillano nel vuoto delle O;
il foglio del quaderno, troppo bianco,
è illuminato e abbaglia il tuo sorriso;
nel cucchiaio dell'olio di merluzzo
vedo il tuo volto bello più dall'alba
in un giorno pulito a primavera
».
Sono rimasto due ore inginocchiato
sui ceci duri, dietro la lavagna.
A casa, mio padre, mi ha fatto la testa
piena di bitorzoli, a furia di cazzotti.
1) Scritta nell'aprile del 1939. Papà era ritornato, per una breve licenza, cosa che gli bastò per generare mio fratello Nino - nato il 26 gennaio 1940 - e farmi conoscere le sue mani.

9
Per non prendere botte, sai che faccio?
Scrivo di nascosto, sotto il letto;
salgo in soffitta e nascondo, le mie cose,
nel vuoto della camera d'aria
di una vecchia bicicletta in disuso.

10
Angelina mi ha tradito
è andata con Idillio
a far l'amore, per una macedonia,
sotto il ponte fuori da «scarrafone¹».
 ¹ località di Paduli

11
Stanotte ho pregato il Signore
di far morire i vecchi più ricchi

voglio guadagnare qualche soldo
perché andar via voglio da Paduli.

16
Nessuno mi vuol preparare
gli esami d'ammissione a sostenere.
Gianni mi incoraggia
e s'offre d'aiutarmi.
Penso lo faccia perché gli piace zia.

17
Sono cinque giorni che Gianni
m'insegna la sintassi,
ma d'italiano non si parla mai.
Mi parla della rivoluzione francese,
di quella americana e quella russa;
del diritto dell'uomo sacro a ognuno,
di libertà con la elle maiuscola:
si paragona ad un cardellino in gabbia
cui hanno tagliato la lingua e tarpato le ali.
Voglio bene a Gianni
anche se lui lo fa solo per mia zia.

19
Gli amici mi hanno detto
di aver visto Gianni e mia zia
nella grotta dietro il «Convento»
fare all'amore, nudi sulla terra.

Sono scappato a Valle d'Asino
vorrei morire e piango.

20
Sono andato col nonno giù in cantina,
sotto una coperta, su una botte
c'era un apparecchio radio,
tre persone con gli occhi accesi
parlano col nonno sottovoce:
Sono sbarcati in Sicilia. "Ndò-ndò-ndò

ndò-ndò-ndò: qui radio Londra..."

Il nonno m'accarezza dolcemente.

24
Ma sarà dato onore a noi bambini
come coloro che han sofferto e soffrono
o rimarranno emarginati nel tempo
come i vili che han fuggito la guerra?

25
Mi han detto che domani
conoscerò un poeta!
Un poeta? Ma si può vedere un poeta?
Allora se domani - l'ha detto la maestra –
vedrò un poeta, se voglio posso
anche vedere gli angeli e parlargli?

27
Ho parlato, oggi, e per la prima volta
con Maria, la sorella di Michele.
Piangeva, l'ho rassicurata e Umbertino
ha detto: perché non vi fidanzate?

Le ho dato un bacio
e come pegno d'amore
le ho donato una fìbbia
strappata dalla cinghia di papa.

Non voglio lasciare Paduli.

Piedi arrossati
Piedi arrossati dal freddo
giorni di guerra, i miei.
Compagno di giochi
nelle sere estive
introvabile d'inverno.

Faceva il calzolaio
aveva sedici anni
chiamato alle armi

lo mandarono in Russia.

Quando ritornerò
terminerò le scarpe:
piedi arrossati
scalzi rimasti
d'inverno
i miei.

Una croce
per i ragazzi della Julia!

Chi vi porta un Fiore?

Il Vento.

28
Ad Apice un treno carico di vitto
dicono per le strade di Paduli;
siamo corsi pieni di speranza.
I treni sono tre nella stazione
la gente più di mille e scalmanati
m'intrufolo nel «Silos»: c'è riso e grano.
Dalle mani di un uomo sfugge un sacco
cade sulla testa di una donna
era gravida, il peso l'ha schiacciata.
Di corsa sono fuori accanto al treno
come una talpa cammino tra le gambe
delle mille e più persone,
allungo le mani senza vedere
mi accorgo di aver preso delle scarpe.
Tre paia di scarpe ed esco fuori
me le guardo e sono assai contento.
Due mani sporche di sangue
ma vuote, di forza sul mio viso,
cado per terra, ho le mani stanche
mentre un ricognitore americano
a bassa quota fa fuggire tutti.
Corro accanto al treno, sono solo
il carro è pieno di noci e nocciole
afferro un sacco, chiamo a squarciagola:
portiamo a casa tredici sacchi di nocciole.
Il mio si straccia, perdo il contenuto
ritorno indietro deciso ad arraffar
pur'io qualcosa, prendo del tabacco
e torno a casa. Mio nonno quando
ha visto il tabacco ha detto:
«trincene un pò, almeno fumo».

31
Sfamate, vi prego, chi ha fame di giustizia
dissetate, vi prego, chi ha sete di libertà
consolate, vi prego, chi ha bisogno di conforto
ognuno vive per se, Dio per tutti.

Ma Dio, Dio dov'è? S'è scordato
dei bambini, Dio s'è scordato
che esistono anche i bambini
e la guerra, per loro, è un gioco
terribile, troppo crudele?

Ma Dio, Dio dov'è? E' occupato
a cercare i caduti nel deserto libico
a riscaldare i ragazzi della Julia
perduti nella landa della Steppa.

37
Al «Carpino», la comare Immacolata
m'ha dato un pezzo di pane
un pezzo di pane fresco e profumato,
un fiasco d'olio d'oliva e dei fagioli.

Peppino come un vero ometto
si portava il fiasco d'olio d'oliva
io sulle spalle Nino e sotto il braccio
il tesoro più immenso del mondo:
sono venti giorni che a casa mia
si è perduto il sapore del pane.

Camminavo allegro e spedito
rivedere anelavo il sorriso
negli occhi quasi spenti di mia madre.
Un gran boato e Peppino scaraventato
a lato della strada, per soccorrerlo
lascio il tesoro grande che come ruota
rotola pel pendio e va a fermarsi
nell'acqua puzzolente di cloaca.

Prendo la pagnotta, la lavo
e riprendo il cammino verso casa.

A casa, mia madre non c'è.
M'han detto è rifugiata nella grotta.

Nella grotta, mia madre non c'è.
M'han detto è alla Fontana Terra.

E' buio ormai, mamma mia dov'è?

Peppino piange, Nino vuole il pane.
Ho paura e piango più di loro
però non sanno che sto piangendo anch'io.

Ritorno a casa e mamma ci aspettava.
Abbiamo mangiato il pane lavato,
quel pane fetente, fece ammalare Nino.

14 Settembre 1943
Interminabile colonna di carne
lungo le rive del Tammaro
in quei giorni di settembre.
Corpi, anime sozze
di pidocchi
di vergogna

occhi che non capivano
cercavano occhi vergognosi.

Uno, ai piedi di una vite
in mano, un grappolo d'uva:
- Non voglio tornare a casa! -
e piangeva.

Fetore di pelle:
non pidocchi giganti
mangiano giovane carne
non mia;

vergogna morde l'anima:
eravamo duemila

due soltanto ci hanno disarmato:
non voglio vedere mio padre!

Occhi che non capivano
cercavano occhi vergognosi.

Dritto, sulla collina
si staglia verso il cielo
come accusatore:
uomo in grigio-verde
armato fino ai denti.

Stupore, meraviglia,
domande che s’intrecciano
risposte non avute...
Michele era armato

non sapeva perché.
Fedele al giuramento
era tornato a casa
ai padulesi non più
da ebete, da eroe.

Occhi, che non capivano cercavano
tra carne putrefatta dai pidocchi
propria carne pieni di speranza.

Un grido che sapeva
di prima liceo,
una parola petrarchesca
scosse lo stupore, l'apatia:
«Italia mia
vengo a vendicar
l'altrui vergogna!
»

Ancora imberbe, armato di bastone
corse per lo scosceso pendio: gridò!.

Una scarica di mitra!...

Il volto di fanciullo
gli occhi innocenti
aperti verso il cielo
il corpo inerte
ai piedi dell'ulivo
sembrano dire: BASTA!

Occhi che non capivano, i miei,
cercavano non vergogna...

Piansero, piangono
e gridano: basta.

21
Non sono andato più a studiare
e Gianni viene sempre da mio nonno.
E' giunto a Paduli un altro confinato.
Gianni mi guarda ed ha paura.
Mi ha ricordato la rivoluzione francese
il diritto dell'uomo e la libertà perduta.

22
Nell'aria c'è festa ¹
corrono per le strade
donne scalmanate, gridando:
«è caduto, è caduto!»

Il nonno affacciato alla finestra
non sorride, però dice: era ora!
¹ 25 luglio 1943: anche a Paduli si vede e si sente la guerra, fino ad ora rimasta solo notizia stampata o radiofonica.

23
Son venti giorni che il pane non c'è
e chi ce l'ha lo conserva fino ad ammuffire
e se lo divide con parsimonia quaresimale:
sono venti giorni eterni che non mastico pane.
Seduto sulle scale al centro della via
grido, strepito, piango; chiedo il pane.
Mio nonno mi redarguisce: «non è bello,
il coraggio di un uomo finisce qua?
»
Seduto sulle scale al centro della via
grido, strepito; chiedo un pezzo di pane
non per me, per i miei fratellini.

26
Ho visto il poeta. Ma è un uomo!
Allora anche le mie sono poesie?
Ma che begli occhi profondi ha il poeta
e il suo sorriso... Ed il suo volto?...
Dio, come splende! Ha il sole in fronte.
Mi ha fatto recitare una poesia
in piedi sul banco e m'ha baciato.
Sono andato di corsa sul soffitto
quando ero alla mèta son caduto:
quattro punti sotto il mento
per tre giorni non ho mangiato.

Sotto l’albero
Aspetto qui, sotto l'albero
che venga il mio amore
che venga il mio bene.

Ieri mi ha dato un bacio ed è fuggita.

Ma perché non viene?
Si sta vestendo di nero!

Rose di sangue
sommergono corpo
non mio.
Sotto montagne di neve
corpo glabro
di fanciullo ancora
giace.
Candore al cuore
sua vita
fiumi di lacrime
al mio amore,
occhi innocenti.
Amore non sei sola!
Ti contorci nel dolore
come l'ulivo
e non piangi più.
Le labbra senza suono
dicono parole terribili.
Intorno a te
per tuo fratello in Russia
per tuo padre in Africa
coro di lamenti
torrenti di lacrime.

29
Il bagliore delle fiamme
oscura il rosso del tramonto.
Le voci si susseguono alle voci
le madri chiamano i figli
i figli le madri perdute
nella corsa affannosa alla salvezza!

Salvezza?...
Il ricovero è poi una salvezza?!

Mia madre alla finestra
guarda quello scempio
e piange in silenzio.
Inginocchiato ai suoi piedi
imploro di mettersi in salvo.

Mi scompiglia i capelli, senza parlare,
abbozza un tenero sorriso,
mentre uno schianto terribile
ci faceva ballare a saltelli.
Le bombe hanno colpito il «Silos»
c'erano trecento persone
convinte di essere al sicuro.

Avevo undici anni un mese
e dieci giorni: ieri.

30
Chi soccorrerà domani, mia madre:
donna del soldato che per tenere
in vita i figli di chi padre non è
e non per sua volontà
ha logorato gli occhi
incallite le mani affusolate
invizzito la sua bellezza
in ore d'ansia e di paura
nelle lunghe notti senza sonno
nelle eterne giornate di fame?

Chi soccorrerà domani mia madre
se mio padre non dovesse ritornare?

32
In questa notte di sussulti e di bagliori
di boati infernali, di rombanti aerei,
di grida di dolore e di spavento
ho tanta paura che domani
non saprò più amare nessuno.

Ho paura di non sapere amare
più nessuno perché mia madre
sono tre notti che piange e non dorme.

33
Cinque coperte sono pronte
pronte per ogni evenienza:
mia madre le ha preparate
per farci dormire tranquilli
mentre lei veglia nella notte
illuminata dai razzi
e dai bagliori dell'incendio.

38
Il giorno dopo andai a rubar fave
in un appezzamento vasto assai
quando alla fine del solco mi drizzai
un uomo con la falce mi prese pei capelli
sgusciai come un'anguilla e corsi via
caddi, mi rialzai; dal naso sangue a fiotti
però correvo. Giunto sotto Portanova
lui era là ad attendermi. Col peso caro
delle fave, aggirai l'ostacolo ed a casa
stava parlando già col nonno mio.

Il nonno m'ha dato uno schiaffo
mi ha ammonito, non si fa.

Quando l'uomo, soddisfatto è andato
via il nonno guardandomi negli occhi
ha domandato: «quanti chili saranno?»

39
Sono ritornato alla cantina
ad ascoltar la radio clandestina.
Dice è stato firmato l'armistizio
un coro di voci dei presenti,
Dio cosa succederà!

Il Monco

Eri già

a metà strada da casa
una raffica
il braccio cadde
ai tuoi piedi.

Gridai

non so quali frasi
e corsi incontro al nemico.

Scattasti come una molla
divenne clava
il braccio
e nero di lividi
facesti
l'incauto nemico:

Così ti ricordo.

42
Uno dei tredici nemici è venuto in paese
e andato alla caserma dei carabinieri
il maresciallo l'ha sbattuto fuori:
è un ragazzo e non ha la barba!

Seduto sullo scalino di una casa
piange il nemico ancora imberbe.
Mi vede, mi afferra un braccio
gli occhi colmi di lacrime
implora un vestito, un vestito di papa!

Era ieri. Oggi alla «Centriera»
mentre andava verso Benevento
un caccia americano l'ha falciato.

L'hanno sepolto a Paduli
si chiamava Franz.

44
Sette chilometri di uomini
laceri, sporchi, scherzano
bruciando giganteschi pidocchi.

Li sfamiamo con noccioline e vino.

In mezzo c'è Gennaro, evviva evviva
il primo amico che ritorna a casa.

Ho undici anni due mesi
e undici giorni, io.

A Portanova, al tramonto
A Portanova, al tramonto
dove il colle domina la valle
ci riunivamo.
Quella sera

Luigi Reparata ci disse:
«Parto. Vado marinaio...»
La cartolina rosa
mostrò orgoglioso
occhi raggianti:
primavera del quarantuno
quella sera!

Imberbe divenuto uomo
su racconti di eroi.

Lo rivedemmo passati tre mesi
lo sapemmo imbarcato sul «Giulio Cesare»!

Sua vita le lacrime della madre
su mani callose abituate
al rastrello

erba cattiva estirpare:
sano frumento non suo.

Suo volto occhi aridi cercano
inconsolato cuore
suo corpo glabro.

Eroe, giaci, dove?

Sulle mani callose
scrosci di lacrime
cuore inconsolato
tua madre.

Forse hai pianto prima di morire
imberbe divenuto uomo
su racconti di eroi.

45
Uomini passano, a migliaia,
aggirano il nemico, per far ritorno a casa.
Sporchi, laceri, increduli
per terra seduti come mendicanti.

I camini di Paduli fumano tutti
in ogni casa preparano minestra
e pastasciutta. Un paracadutista,
catanese, trema ha la febbre alta:
un braccio e in cancrena
e non vuole fermarsi.
Un colpo in testa, a pugno chiuso,
non lo fanno mangiare, lo portano
dal medico condotto che gli recide
il braccio. Rimane a Paduli un bel tempo.

Mio nonno scrive lettere e non parla
lettere che rimangono mute, come lui.

46
Ritornano i reduci e mio padre?
l'hanno preso i nemici hanno detto;
una delle lettere ha parlato...
mio nonno lavora con più rabbia.

Il passerotto è ritornato alla finestra
il nonno piange ed è la prima volta.

47
Mamma ricama e vede sempre meno
ha preteso a saldo del lavoro
solo grano o farina e le patate.
Il grano si deve macinare
il mulino è fermo, manca la corrente.
Aiutato da Peppino, con coraggio
andiamo a macinare alla «Palata».

E' voluminoso il sacco dopo macinato
uno con l'asino ci aiuta e porta la farina
fino alla «Taverna» ed è ancora lontano
da casa. Peppino, faccia tosta, impertinente
dai - dice - coraggio, cosi domani
mangeremo pane.

Abbiamo trainato il sacco nella polvere
quando siamo giunti a casa mamma
giuliva ci è venuta incontro.

Quando è andata per impastare e farci
un pò di pasta fatta in casa
ha impastato terra con le sue lacrime.

48
Da due anni, mio nonno non parla
lavora con rabbia e scrive lettere...
Mio padre, perché non ritorna?
E zio Giovanni dove si è perduto?
Mio nonno scrive lettere e non parla!

Mi chiedi
Mi chiedi
quando
non ci saranno più guerre?

Quando l'uomo
cesserà di essere
animale razionale.

Quando l'uomo
non farà più parole.

Quando l'uomo
dimenticherà
la sua intelligenza
e ti stringerà la mano:
mano putrefatta
callosa
purificata
dalle sue lacrime.

Un fitto bisbigliare
Un fitto bisbigliare m'ha svegliato
è notte fonda ed ogni tetto è bianco.
Sospiri, singhiozzi e poi...
due labbra, lievi, mi sfiorano la fronte:
«Ben tornato papa! Dove sei stato?»

Ho tredici anni cinque mesi ventun giorni!

E' tutto sporco, la barba incolta
e ai piedi scarpe che non hanno suole.
Un suono di campane e lui in ginocchio
è nato il Redentore Gesù Cristo!

Un correre
Un correre, un bisbiglio frettoloso
nell'alba radiosa è primavera
il nonno giacca in bocca
scarpe slacciate corre per le scale
abbottonandosi la patta dei calzoni.

«E' ritornato! - dice - E' ritornato!
il cuccioletto e ritornato a casa!»

Pasqua giuliva, odor di biancospini!

Isola dove nave
Isola dove nave non approda

lambita
disgregata
dai marosi: mia vita.

Tromba marina
sommerge
quel lembo di terra
mia vita.

Guardo a Oriente
nel giorno che nasce
scruto...
bramo orme venire
all'approdo:
speranza di vita.

Segreto rimane
Segreto rimane
agli uomini
tuo ardimento.

Medaglie al valore
croci di guerra...

Ti rimandarono a casa.
Ora muori di fame.

A te non baciò la gloria
Oh, no! A te non baciò in fronte
la gloria.

Il tuo giorno non finì
sul campo di battaglia
e mai codardo fosti.

Era il dieci
di quel lontano
eterno, presente
settembre.

Ella non ti volle
a Tobruck
non ti baciò
in Egitto

e non ti abbracciò
a Tripoli.

Ti attese sulla ferrovia
(sentivi l'odore di casa)
sotto la galleria:
...nelle pupille immobili
impressi i volti amati.

Pane verde
Giorno d'inverno, il sole ride
si corre per le strade allegramente
i reduci ora passano sporadici
qualcuno gioca con noi a nascondina.

Le massaie sono elettrizzate
dopo mesi, si chiamano allegre
gridano gioiose, accendi il forno;
anche mia madre è affaccendata
Lina l'aiuta, sta impastando il pane.

Peppino mi porta la notizia, con candore
per le strade, però, c'è uno strano odore.
Mi precipito al forno la bocca colma
d'acquolina: «un po’ di pizza, mamma,
un po’ di pizza»
. Questa è farina
che non conosciamo, il pane si è attaccato
dentro il forno. - Ma perché odora di piselli? -

Proviamo a metter sotto le foglie di cavolo.

E' mezza giornata che aspetto e finalmente
mamma candida come la madonna
ci porge il pane tanto faticato:
è verde e puzza.

Per la prima volta ho bestemmiato.

Sono tornato a casa a tarda sera
stanco, ribelle, affamato;
mamma con calma certosina
mi porge il piatto per mangiare.

Ma!... E' polvere di piselli puzzolente
la stessa di cui era fatto il pane:

ho scaraventato il piatto dalla finestra
ho rotto anche il vetro e mamma piange.

Terrorizzato mi sono rifugiato
sotto la mia capanna a Valle d'Asino.

Le favole che conosco
Non saprò mai narrarti favole
Non conosco le fiabe
che tu vorresti ti narrassi.

Conosco le favole
di mostri d'acciaio
morte salvazione
portano

mimetizzate foglie
fiori primaverili
d'autunno
odio
amore

occhi lucidi tremanti
sorrisi, mani tese.

Le favole che conosco
sono queste
non t'interessano.

Improvviso
Improvviso
inesorabile

come acqua gelata sulla pelle
arrossata dal sole di luglio
giunse il tuo male.
Ti fummo vicino.
Volesti che il medico
parlasse in tua presenza:
il medico non parlò!

Seguisti
il suo sguardo
come il viandante
i nostri
ansiosi:
nel Sahara
speranza d'acqua.

Un triste sorriso
sulle tue labbra esangui
aleggiò:
e fu il silenzio.

Con quel triste sorriso
finiva
la tua vita
in quel silenzio
ti riconciliasti con Dio.

Dopo sorridesti ancora
ma era sempre silenzio

Canto di notte

Cantore notturno
che mi porti le note
di un antico verso
in questa notte di nostalgia:
non cantare quel verso.

Devo tornare? Ritornerò!


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