Poesie di Marco Betti


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I morti di Sogna
Tardo cedendo il dì all'odiata luna
fisa nel ciel biancastra e solitaria
l'ultimo stral vermiglio mesto abbruna
ed avida ogni forma ingolla l'aria;
spinge la vecchia il refe nella cruna
amando la sua terra originaria
a cui la sola morte l'accomuna
e la sua etade quasi centenaria.
A le pietre ella pensa deturpate
dai rudi roghi e dallo scorso tempo
a quelle salme ormai dimenticate
sole dormienti nello scarno campo
né mai più da tant'anni confortate
e che lei sola piange nottetempo.

Poesia
Oltre le lenti dei tuoi neri occhiali
gli occhi tuoi vedo d'una tinta fosca
e le tue palpebre sinuosa cali
e mi par quasi ch'io non ti conosca
mentre distratta colle mani il mento
lisci pensosa. Fermo il movimento
delle tue lunghe gambe accavallate
e delle gote il tremolare lento
e dei capelli al vento le ballate
e il mio silenzio che ti guarda scuro
questuando un gesto di giustizia puro.
Taci perché pensi e sei più forte.
Sembra la Luna un lume di carburo
intermittente tra le nubi assorte,
mentre ti tinge di pallor la fronte,
a carezzar la groppa al quieto monte
alto, solenne anch'esso pure nero
del nero che s'addice all'Acheronte.
Nero stillante dal tuo abbraccio fiero
forte sicuro e certo sempiterno
e teco io verrò giù nell'inferno.

La passeggiata

I
A quest'ora quell'anno t'attendevo
sbuffando inferocito alla fermata
schiacciando lo scalin su cui sedevo
aspettando quantomeno una chiamata:
ben tre volte passò il cinquantasette
due volte il tre e cinque il diciassette
anche un uomo due volte dal portone
ove stavo appoggiato speranzoso
nella strada decine di persone
e il cellulare ancora silenzioso;
ma tu niente! Nemmen l'ombra più chiara
e già ti battezzavo bidonara.
"Aspettate qualcun da queste scale?"
Domandommi il portiere alle mie spalle
"No signore nessun da queste scale
ma una donna dal tram che conta balle
e che aspetto da un'ora e un pezzettino.
Volete che vi liberi il gradino?"
"State pure quanto vi pare e piace
ma lasciate da parte ogni speranza
la donna che ritarda e che anche tace
lo fa per misurarvi in temperanza
o forse per veder quanto l'amate
o per farvi capir che non gli andate"
"Vi ringrazio dell'alto insegnamento
ma non credo che il caso mi si addica
non c'è più da provarlo il sentimento
c'è da trovar sol chi ci benedica
si va avanti ormai da più di un anno
con tanta gioia in cuore e senza affanno".

II
A quest'ora quell'anno t'attendevo
sbuffando inferocito alla fermata
schiacciando lo scalin su cui sedevo
aspettando quantomeno una chiamata:
finalmente scendesti imbellettata
ma con l'aria un tantino contrariata.
"C'era uno sul bus che si strusciava
mi metteva le mani dappertutto
e d'intorno la gente s'infischiava
era basso puzzava ed era brutto.
È da molto che aspetti? Ho fatto tardi
mi ero messa a leggere il Leopardi
ed il tempo è volato come un merlo
e il telefono spento... te l'ho detto?
E il caffè ancora devo berlo
ma quel tizio sul bus m'ha fatto effetto
era un porco vigliacco un sudicione
oh ma guarda in vetrina che maglione!
Me lo compri? S'abbina alla perlina
e a quel grande cappotto di cammello
che t'ho fatto comprare ier mattina
l'ho provato vedessi com'è bello
mancherebbe però anche una borsetta...
dove corri? Ma hai sempre tanta fretta;
mia sorella si sposerà ad agosto
me l'ha detto la portiera ieri sera
par che i fogli e la casa sian già a posto...
guarda là bella quella gonna nera
dimmi perché non mi rispondi mai"
"Perché il tempo per farlo non lo dai".

III
Tanto parlasti e non dicesti niente.
Cominciammo così la passeggiata
dal palazzone della Rinascente
per finire la gita all'Annunziata
badando bene a non saltar vetrine
nella stradella leggermente accline
mantenendo precisi la mandritta
con un passo da lenta processione
che s'adeguava alla tua bocca fitta
di parole e più larga di un balcone
e quelle mani poi sempre distese
ad indicar tue innumeri pretese.
Io ti guardavo sai parecchio muto
mentre sognavi le tue vane storie
chiedendomi perché fosse accaduto
invan scavando nelle mie memorie
per capire che cosa mi colpì
quando venisti a casa mia quel dì.
Sarà stato il silenzio mascherato
o quelle gote tanto rubiconde
o forse quel profumo mozzafiato
o quelle chiome lunghe e tanto bionde
o quel gran seno forse un po' invadente
che m'offuscò da subito la mente.
Ahi sciagura quel giorno! Che disdetta!
Ad ogni pie' sospinto un lagrimone
pensando a quella sera maledetta
e a quelle dissocievoli persone
e a quella gentildonna sopratutto
che mi ti presentò come un gran frutto
acerbo dico oggi ed anche ieri
neanche se tenuta sotto paglia
per lunghi giorni o mesi od anni intieri
saresti scevra già di ribaldaglia
e maledico ancor quella carezza
con cui tu mi tenesti alla cavezza.
Pover'uomo distrutto ed acciaccato
dalle lusinghe d'una giovincella
stupidamente invero abbindolato
dal celere voltar d'una gonnella
ma chi è maschio ce l'ha come destino
di far sempre la fine del cretino.

C'è una casa sul colle
e una strada tortuosa
nella vigna di sotto.
Tu scendi da quella
nelle tue vesti leggere
come una ninfa
circonfusa di luce cerulea
all'alba di un giorno ordinario.
T'attendo alla svolta del pino,
sotto le frasche sopite
dal ciangottar del fiume,
come una volta;
una volta mille volte scorsa
più dei minuti nel tempo
e mai uguale a sé stessa.
Oggi è una volta immota
lambita dalla guazza leggera
come il tuo candido passo
tra i pampini verdi,
come la pallida morte
circonfusa di livida luce
vestita di sudici cenci.
Oggi è una volta per sempre
è la tua volta e la morte
è la mia volta e l'attesa
sul greto sassoso e riarso
è la tua volta e il silenzio
supplito dall'urlo del vento
è la mia volta e una voce
ghermita e sedata dal tempo.

I
Ci vieni al tavolino del caffè,
da questo vate dall'umore ircino
che tanto anela di parlar con te,
vestita di quell'abito turchino
che ben s'intona a quei cernecchi neri
che tanto mi colpirono avantieri?

O devo forse chiedere il permesso
a quel figuro tutto rileccato
che come un'ombra ti cammina appresso?
Chissà in che detersivo l'hai trovato
quel ceffo tanto lungo quanto secco
che pare un busto di princisbecco.

O reci forse le mie stravaganze
che tanto t'irritarono avantieri
riguardo a quelle nostre discordanze
su quanto siano ladri i petrolieri
sull'energia pulita e sul metano
e sui crucci del popolo africano?

D'altre cose potremmo disquisire
se solo ti volessi avvicinare
a questo vate che vuol tanto dire
e che è già rotto allo scribacchiare
e che ti sogna tutti i giorni un poco
e che t'aspetta sempre in questo loco.

Ma per poco avantieri mi mangiavi
se sol m'appropinquavo alla tua destra,
a quel tuo sgherro in ver ti lamentavi
e arcigna gl'indicavi la finestra:
io m'impaurii, l'ammetto, è naturale
da quel tuo gesto un po' dittatoriale.

II
Lo scherano, stimato per cretino
non solo nel paese ma ben lungi,
che ti segue, fedele soldatino,
e col quale la notte ti congiungi
mi guardava scortese e tanto bieco,
da quel cantuccio dove stava teco

esplorandosi il naso celermente
invan cercando di capire un poco
le chiacchiere di tutta quella gente:
giacché intelletto deve averne poco
e cognizion del mondo ancora meno
credendo che a Parigi fosse il Reno;

e tu impettita circonfondi boria
vantandoti d'averlo per marito
e facendone causa d'una gloria
che nessuno mai t'ha conferito.
Non sarà per il grande capitale
che sposasti quel buffo vegetale?

Basisco di fronte al mutamento
che la materia induce nella gente
facendo dei principî acciaccamento
trattandoli alla stregua d'un bel niente
come fossero stracci che van poco
da dismettere e gettar nel foco.

III
Ricordi quella notte sulle scale
del comune a ricercar le stelle
con quell'ansia parecchio maniacale
che tutte ci parevan meno belle
l'una dell'altra e sempre quella dopo
era più bella e affine al nostro scopo?

L'alba giungendo ci trovò quietati
da quel fastello di lanterne ignote
e noi cocciuti dal vegliar sfibrati
continuammo le nostre ciarle vote
di sogni, d'avvenir, di scorse gesta
ch'eran solo castelli in cartapesta.

Desideravo un'altra notte uguale,
ti dissi di tornare quella sera
ma tu con garbo tanto inusuale
e quel tuo sguardo cupo da pantera
mi prendesti la mano e sillabasti
la frase colla quale mi lasciasti

in quella guazza solo, ammutolito,
a digerir la tetra novità
di chi sarebbe stato tuo marito
come una bestia in cattività
senz'altro mitigar che l'illusione
d'arrivare ad un'altra conclusione.

Ma fui tradito dal mio stesso sogno.
Avvennero le nozze in pompa magna
e digiuno rimase il mio bisogno,
che ancor oggi nel mio cuor ristagna,
d'averti meco giorno dopo giorno
finché alla terra non farò ritorno.

IV
Era settembre ma col sol di luglio
e lieto andavo alla nuova scuola
dal tren cullato col suo dolce ruglio
gridando coi compagni a squarciagola;
non lontano sedevi ed incurante
di quel nostro vociare esorbitante.

Mi piacesti per quella pelle chiara,
pei capelli tanto lunghi e neri,
per quell' aria da timida scolara
e per quegl'occhi che parean sinceri.
Ti raggiunsi (tu l'aria trasognata)
ma tu scappasti celere e indignata.

Mi rimisi al mio posto muto e mesto
chiedendomi perché ti ripugnai
non ebbi certo un contegno molesto
né ti offesi né ti maltrattai
ma soltanto con molta deferenza
ti chiesi il nome e un po' di confidenza.

Ritornasti pentita. Ti ricordi?
Sotto la pensilina quella sera
aspettando su quei sedili lordi
il treno del ritorno. E la bufera
imperversava a noi d'intorno sorda
e di quei nostri discorsi ingorda.

Cominciammo così quell'avventura
che si protrasse fino a quella notte
passata sulla scala tanto dura
del municipio tra le stelle chiotte
a raccontarci tanti desideri
che tu sapevi già non veritieri.

V
Ci vieni al tavolino del caffè,
da questo vate dall'umore ircino
che tanto anela di parlar con te,
ricominciando ancor da quel gradino
il tempo cancellando dalla mente
come non fosse già successo niente?

O temi forse la mia vicinanza
che sempre in quegl'anni ricercavi
quando ancora avevamo una speranza
quando ancora ogni giorno mi chiamavi?
La tua voce vorrei sentire ancora
i tuoi occhi guardare come allora.

Forse è giusto però che non ritorni
altrimenti che cosa scriverei?
Senza i futuri lunghi tristi giorni
l'ispirazione dove troverei?
È il destino malconcio del poeta
di non aver mai vita lunga e lieta.

Tace la notte.
Silenzio strano
né dolce né amaro;
è un silenzio vuoto,
è un buio lontano
nascosto chissà dove
tagliente come una spada;
è un dolore vermiglio
non come il sangue:
più rosso e più fondo.
E tu lontano.
Ipocondriaca notte
vestita di mestizia
scialba matrigna
serpe velenosa.
Oniriche visioni attendo
che scioglieranno sé stesse
nell’alba foriera di novelle
o forse iettatrice.


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