Poesie di Alfredo M. Barbagallo


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Pesato, contato, diviso
Mane, Thecel, Phares,
Pesato, Contato, Diviso,
scrisse il tremendo dito di Dio
sulle mura della cadente Babilonia ignara,
Mane, Thecel, Phares,
ed io non sono migliore degli altri,
accoccolato sull’orlo del covone,
attendo che il grano sia spezzato e venduto.
Ma cosa mai pensiamo di ottenere
in queste liti morenti
indicando il fratello con la gobba;
chi è malvagio è solo più sfortunato
chi è malvagio ha più bisogno di Dio,
e se io, io, sto con il giudizio appuntito
sono più peccatore di chiunque.
Oh, quanto ci vuole poco a dire “ Hai sbagliato,
guarda come sono ridotto a tua causa…”
quanto poco, quanto poco…
Solo ieri stringevo le tue mani
mentre il cuore per te mi saliva alla gola
e le tue febbri di freddo annunciavano il male antico
oh, come tutto è sfumato lontano
come la coda rovinata di un perverso aquilone
ed ora io sono un minatore invecchiato
un grande nido sporco e maltolto.
Quanto sei lontana, piccola Piazza mia
mai più potrò rivederti
ed il banchetto delle poesie ventenni
dove sarà adesso?

Pesato, Contato, Diviso,
io non avrei voluto questo
e tu nemmeno
e nessuno, nessuno, lo voleva,
muore, Babilonia cadente
ed io, io sono il peggiore
se ho sostituito il dito supremo
con il mio condannante gesticolare.
Sia chiaro ad ogni verità
ad ognuno che indaga l’onesto
il problema non è mai, mai, mai, mai, mai
avere ragione
ma scusare la colpa dell’altro
perché la sua gobba di errori umani
fa ombra sul nostro orrido vivere.
Guarda sempre, lo dico a me stesso,
ciò che tu stesso combini
e se l’altro aggredisce il fienile
vuol dire che Dio punisce il tuo male.
Solo il piccolo passero è da tutti amato
ma muore di freddo fuori dai balconi;
e tu, borioso dadaista
hai meritato il tuo destino.
Un piccolo pubblico osserva muto
mentre la mia e tua conversazione si spegne
e solinghi ci inchiniamo
ad un applauso che non arriva.
Poesie,
ultimo ponte verso il mio passato,
io vi saluto, o figlie mie.

Cos’è poesia ?
Cos’è poesia?
Forse l’afferrare minuto
tra piccole mani indicibili
di rami, muschi, infiorate;
o la stesura di parole gentili
in originali tappeti sonori
a lenire la ferita vitale
a consolare, ricreare, originare;
ciò è santità o finezza
ma non poesia.

Allora l’emergere dell’odio
per chi usurpa la vita in inganno e disgusto
per chi fa del male una professione quotidiana
da consegnare a chierichetti solerti,
la condanna di ciò, no, non è poesia,
è giustizia e monito, ricordo e folgore
ma non poesia.

Allora il discorrere minuto
come piccoli dialoghi di befane fannullone
sedute di fronte al fuoco con scaldini roventi
discorrere piano di mariti fuggiti o travolti
no, esso è il conversare inutile
di scintille di camini vuoti
ed un esile trascorrere il tempo,
esso non è poesia.

Poesia è morte
mascherata, medioevale, meravigliosa,
truccata, elevata, solenne,
poesia è morte
che copriamo col fragore delle nostre risa
con oggetti acquistati per il nulla più schietto;
poesia è morte
se vogliamo essere veri
e vivere senza paura ciò che ci resta;
poesia è morte,
o non siamo poeti.

Non in una penna mai conosciuta
ma nel gorgoglio di noi stessi.

A Piergiorgio Welby
Non pietà distratta, non pietà guerriera,
non pietà adultera o corsara,
non pietà meschina o immatura;
io non La nomino al passato, non posso farlo,
io non Le do del tu come si farebbe
con un amico triste o allegro nei bar del mondo;
qui non eravamo ad esibire idee
ma in una vita che Lei ci ha mostrato,
in ciò che di noi resta
quando il metallo per vivere lo prendiamo da fuori,
quando la richiesta è muta e sovrana
quando un popolo intero
sopra la mente ferma un attimo
il suo correre potente e vitale,
mentre un vecchio angelo paterno
dal lungo candido crine
Le terge la fronte.

E quindi io non Le dico “ mi ha colpito”
non le dico, con gli altri, “ esiste Iddio”
non le dico, “ Lei è stato, Lei sarà “
io le dico, dal mio fosso al suo trono
dove il suo destino, mutevole coerenza,
lo ha condotto contro ogni volontà,
Le dico,
Lei non è SOLTANTO un uomo
Lei è un VERO uomo.

Minuscoli bagliori dialogano con me stesso.
Li vedo, lontano, lontano
minuscoli bagliori
sono blu, rossi, verdi, cinerini,
sono terra di siena, turchese e cremisi,
vermigli e smeraldosi.
Piccoli cerini sulle vesti degli eroi
attendono questo vecchio guerriero abbandonato?
Antibiotici fumanti leniscono un male
che tornerà subito più forte,
che da mesi sconfina e distrugge,
come un soldato d’acciaio;
no, non lo posso conoscere, ora,
ora che devo attendere questa primavera,
magari per morire,
morire coniugato.
Potrò raggiungerti, Lugano di sogno,
che avevo ipotizzato come un castello
nei miei progetti di amore trascorso,
potrò ora raggiungerti, tra mesi,
se il figlio ora adottato anche dal mio cuore
nel suo restio borgo transilvanico
potrà avere bisogno?
E tu, moglie ad aprile,
quanto vivrai con me, giocosamente,
quanto il rally del tuo osservare si porrà
limpido ed onesto
su di un uomo ferito e disperso?
Credevo in un mondo di dialogo, onestà e bene
credevo ci si potesse capire, comprendere,
bianchi, gialli, rossi, neri,
grandi, piccoli, poveri e benestanti,
ciò che mi resterà del vecchio mulino
è una risata crudele ed ostinata
su di un malato di mente alla finestra,
su di un suicida disperato,
ciò che mi resterà del vecchio mulino
è persona chiamata onesta e proba
che in ginocchio e lacrime chiede perdono
poi si alza, ed in silenzio notturno
pugnala a morte colui che ha perdonato,
simbolo mio ostinato del male che è nel mondo
e simbolo verace dell’inutile avanzare.

Cristo piccolo e povero nasce a Natale
osserva bene la cesta dei suoi doni,
accanto al pastorello, alla pecora ed al re,
quel saccotto di pelle sotto la mangiatoia;
sono già i trenta denari del suo destino,
bastone dell’inferno per chiunque sia malvagio;
e forse ora so cosa siano, quei minuscoli bagliori;
i riflessi di fiamme grandi, immense,
poggiate sotto i piedi dei tavoli ai cenoni.

Bambini senza un nome
“ L’avvenire dei nostri nipoti – dei miei e dei vostri – riposa nella edificazione di un mondo migliore”
( Franklyn D. Roosevelt ) “

Muti, silenziosi, straniti
due bambini si tengono per mano
non osano domandare, né pensare al di là
dei limiti che sanno di non potere scavalcare
essi sono tutti i bambini del mondo
e attenderanno invano
un gesto, un saluto, un dono
e osservano negli occhi, senza nulla dire,
i loro genitori incupiti e invecchiati.
Anche Attila nelle leggende antiche ama suo figlio
rispetta nelle fiamme create da Crimilde
ciò che dall’uomo ha vita;
solo i gangsters incipriati dei quartieri bene
delle grandi metropoli di attuale fango
sono capaci di svendere la fiducia di un bambino
solo i rinnegati insegnano a deludere
chi sino al giorno prima li aveva amati.
Abbandonare bambini per vendetta
è il nuovo sport nazionale
di vecchi corrotti
del nostro strano terremotato mondo
dai Babbi Natale rampicanti sui tetti come ladri
e dai Gesù Bambino nascosti in cantina.

Sei tu Signore il pane
Sei tu, Signore, il pane
cantava una vecchia, scura, chiesa
io malato entrai, sudando l’infinito
quando fame d’aria e di cielo tendevano il mio viso,
oh, povera scartina perduta,
oh, dove la poesia dei miei giorni ti ha lanciata via
come i tappi dei barili di birra
quando l’estate aggredisce la botte.
Tu eri accanto a me, ed io cantavo.

La casa del cane
Quel cane minuto,
espansivo, geniale, dorato, farsesco,
elementare di geniale animalità
viveva la sua casa
come dono divino;
dove antichi pirati avevano ammucchiato tesori
lui sereno si acciottolava al sole
voltandosi a fissare la mano sul guinzaglio
che gli dava pane, carezze, amore.

Tu, giardiniere medioevale, povero eroe toppato,
non avevi quella casa
il tuo cuore troppo grande poteva anche vivere
senza nessuna regola
né il tuo mantenimento interiore
delineava possibilità d’amore duraturo.

Un gruppo di mastini
ha incendiato il tuo corpo, di notte
corrompendo chi amavi,
terrorizzandolo con messaggi felpati
ed oggi, giardiniere, che resta di te,
se non ricordi ed idee?

Ma quel cane minuto mai ti morse
morì con disprezzo, sdegnando la mastineria ladrona
nei suoi sogni morenti c’eri tu, suo padre,
giardiniere povero;
e quando Dio, un giorno, distruggerà i malvagi,
tu recupererai il tuo amore intatto e verginale
che solo per un caso ti sfregiò a sangue.


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