Racconti di Maria Grazia Armone


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Leggi le poesie di Maria Grazia

Amici della pagina azzurra il mio dolore è nella lettera di Ryehaneh Jabbar.

"Cara Shole, oggi ho appreso che è arrivato il mio turno di affrontare la Qisas (la legge del taglione del regime ndr). Mi sento ferita, perché non mi avevi detto che sono arrivata all’ultima pagina del libro della mia vita. Non pensi che dovrei saperlo? Non sai quanto mi vergogno per la tua tristezza. Perché non mi hai dato la possibilità di baciare la tua mano e quella di papà?

Il mondo mi ha permesso di vivere fino a 19 anni. Quella notte fatale avrei dovuto essere uccisa. Il mio corpo sarebbe stato gettato in un qualche angolo della città e, dopo qualche giorno, la polizia ti avrebbe portata all’obitorio per identificare il mio cadavere, e avresti appreso anche che ero stata stuprata. L’assassino non sarebbe mai stato trovato poiché noi non godiamo della loro ricchezza e del loro potere. E poi avresti continuato la tua vita nel dolore e nella vergogna, e un paio di anni dopo saresti morta per questa sofferenza, e sarebbe finita così.

Ma a causa di quel colpo maledetto la storia è cambiata. Il mio corpo non è stato gettato via, ma nella fossa della prigione di Evin e nelle sue celle di isolamento e ora in questo carcere-tomba di Shahr-e Ray. Ma non vacillare di fronte al destino e non ti lamentare. Sai bene che la morte non è la fine della vita.

Mi hai insegnato che veniamo al mondo per fare esperienza e per imparare una lezione, e che ogni nascita porta con sé una responsabilità. Ho imparato che a volte bisogna combattere. Mi ricordo quando mi dicesti che l’uomo che conduceva la vettura aveva protestato contro l’uomo che mi stava frustando, ma quest’ultimo ha colpito l’altro con la frusta sulla testa e sul volto, causandone alla fine la morte. Sei stata tu a insegnarmi che bisogna perseverare, anche fino alla morte, per i valori.

Ci hai insegnato andando a scuola ad essere delle signore di fronte alle liti e alle lamentele. Ti ricordi quanto hai influenzato il modo in cui ci comportiamo? La tua esperienza però è sbagliata. Quando l’incidente è avvenuto, le cose che avevo imparato non mi sono servite. Quando sono apparsa in corte, agli occhi della gente sembravo una assassina a sangue freddo e una criminale senza scrupoli. Non ho versato lacrime, non ho supplicato nessuno. Non ho cercato di piangere fino a perdere la testa, perché confidavo nella legge.

Ma sono stata incriminata per indifferenza di fronte ad un crimine. Vedi, non ho ucciso mai nemmeno le zanzare e gettavo fuori gli scarafaggi prendendoli per le antenne. Ora sono colpevole di omicidio premeditato. Il mio trattamento degli animali e’ stato interpretato come un comportamento da ragazzo e il giudice non si e’ nemmeno preoccupato di considerate il fatto che, al tempo dell’incidente, avevo le unghie lunghe e laccate.

Quanto ero ottimista ad aspettarmi giustizia dai giudici! Il giudice non ha mai nemmeno menzionato che le mie mani non sono dure come quelle di un atleta o un pugile. E questo paese che tu mi hai insegnata ad amare non mi ha mai voluta, e nessuno mi ha appoggiata anche sotto i colpi dell’uomo che mi interrogava e piangevo e sentivo le parole più volgari. Quando ho rimosso da me stessa l’ultimo segno di bellezza, rasandomi i capelli, sono stata premiata con 11 giorni di isolamento.

Cara Shole, non piangere per quello che senti. Il primo giorno che nell’ufficio della polizia un agente anziano e non sposato mi ha colpita per via delle mie unghie, ho capito che la bellezza non e’ fatta per questi tempi. La bellezza dell’aspetto, la bellezza dei pensieri e dei desideri, la bella calligafria, la bellezza degli occhi e di una visione, e persino la bellezza di una voce piacevole.

Mia cara madre, il mio modo di pensare e cambiato e tu non sei responsabile. Le mie parole sono senza fine e le darò a qualcuno in modo che quando sarò impiccata senza la tua presenza e senza che io lo sappia, ti verranno consegnate. Ti lascio queste parole come eredità.

Comunque, prima della mia morte, voglio qualcosa da te e ti chiedo di realizzare questa richiesta con tutte le tue forze e tutti i tuoi mezzi. Infatti, e’ la sola cosa che voglio dal mondo, da questo paese e da te. So che hai bisogno di tempo per questo. Per questo ti dirò questa parte del mio testamento per prima. Per favore non piangere e ascolta. Voglio che tu vada in tribunale e presenti la mia richiesta. Non posso scrivere questa lettera dall’interno della prigione con l’approvazione delle autorità, perciò ancora una volta dovrai soffrire per causa mia. E’ la sola cosa per cui, anche se tu dovessi supplicarli, non mi arrabbierei – anche se ti ho detto molte volte di non supplicarli per salvarmi dalla forca.

Mia buona madre, cara Shole, più cara a me della mia stessa vita, non voglio marcire sottoterra. Non voglio che i miei occhi o il mio cuore giovane diventino polvere. Supplicali perché subito dopo la mia impiccagione, il mio cuore, i reni, gli occhi, le ossa e qualunque altra cosa possa essere trapiantata venga sottratta al mio corpo e donata a qualcuno che ne ha bisogno. Non voglio che sappiano il mio nome, che mi comprino un bouquet di fiori e nemmeno che preghino per me. Ti dico dal profondo del cuore che non voglio che ci sia una tomba dove tu andrai a piangere e soffrire. Non voglio che tu indossi abiti scuri per me. Fai del tuo meglio per dimenticare i miei giorni difficili. Lascia che il vento mi porti via.

Il mondo non ci ama. Non voleva il mio destino. E adesso sto cedendo e sto abbracciando la morte. Perché nel tribunale di Dio incriminerò gli ispettori, l’ispettore Shamlou, il giudice, i giudici della Corte suprema che mi hanno colpita quando ero sveglia e non hanno smesso di abusare di me. Nel tribunale del creatore accuserò il dottor Farvandi, e Qassem Shabani e tutti coloro che per ignoranza o menzogna mi hanno tradita e hanno calpestato i miei diritti.

Cara Shole dal cuore d’oro, nell’altro mondo siamo io e te gli accusatori e loro sono gli imputati. Vediamo quel che vuole Dio. Io avrei voluto abbracciarti fino alla morte. Ti voglio bene".

Intervista con la Morte
L'ho incontrata, di sfuggita e in circostanze in cui ho provato molto dolore, lei sa che la temo, per gli altri e per me, ne ho quasi fatto un'ossessione così si decide a ricevermi.
Non mi sento a mio agio con lei, ha un aspetto sempre diverso, e può anche essere dolce, compassionevole, pietosa, ardita, sensuale e molto misteriosa.
Vuole mettermi a mio agio perciò si presenta come una donna comune, che mi concede un appuntamento, e anche se non porta la polso l'orologio conosce il valore del suo tempo.
Sembro una scolaretta al suo cospetto ed è così, ma lei mi guarda negli occhi, io non vedo i suoi, si gira verso di me, strano profuma di spighe e di lavanda, e mi apostrofa:
"Chi pensi di essere, per chiedermi di portarti via come vuoi tu? "
"Sono io a decidere il tempo, il luogo e il modo tutto il problema sta nell'accogliermi per il grande salto".
"Apprezzo la tua curiosità ma non andare oltre oppure ascoltami bene!"- si siede e mi invita a fare altrettanto.
Non posso fare a meno di esprimere un giudizio su di lei, certo è volitiva, ma d'altronde con il suo potere chi non lo sarebbe, e poi è una donna di gran classe.
Sorride, mi legge nel pensiero, sono così trasparenti i miei pensieri?
Da intervistatrice passo ad intervistata.
Mi offre da bere e, tanto se sono sua ospite qualche rischio lo devo correre!
"E'solo una tisana di erbe, ti rilasserà, anche perché ne hai bisogno, non sai come sei arrivata, ma per te è una gran fatica."
"Non sono solo io ad aver il potere più grande, ti sbagli, non hai tenuto conto di mia sorella, la gemella: Vita.
Vita lavora nei posti più impensati ed inattesi, è una che soffre molto ma è gagliarda- "Non diresti così?"

Annuisco, la tisana è la cosa più buona che mai bevuto, sgrano gli occhi e lei mi dice che mi faceva più perspicace, certo che Vita è Morte sono sorelle e gemelle.
"Spesso ci troviamo insieme, lottiamo, abbiamo un destino di guerriere.
"E' un scontro continuo, spesso lei cerca di sottrarmi qualcosa che è mio, io faccio lo stesso".
"Una totale divergenza di opinioni, anche lei non è poi quello di cui si parla così bene.
"Molte persone soffrono, non provano più niente per lei, Vita li incita come può a tirare avanti, ma molti ammalati soffrono e mi chiamano, ci sono anziani dimenticati da Vita, bambini che sopravvivono ad atrocità incredibili, gente che sta bene e non capisce il valore di vita e mi viene a cercare "
"Voi persone siete strane, nei vostri sentimenti inneggiate a Vita e basta una piccola ferita per venire a cercarmi.
Molte persone piene di Vita, sono talmente saturi da cercarmi come un'amante a cui concedono tutto."
Ha una conversazione fluida, mi precede nelle domande, le chiedo se vanno d'accordo con la sorella Vita.
Sorride: in maniera molto composta mi chiede - " Tu vai d'accordo con la tua immagine?"-
Mi sembra una domanda non pertinente, in effetti devo confessarle che ho un rapporto molto schizofrenico con me stessa, a volte mi piaccio un po' di più, quasi sempre quando mi vedo allo specchio mi sento estranea.
"E' esattamente quello che provo per Vita, io lo specchio non lo guardo mai, lo vedo negli occhi di chi sta per seguirmi, del dubbio che li attanaglia."
"Non sai quanta gente si è offesa con me perché non li vogliono, mi cercano in tutti i modi, quando li respingo molti si attaccano alla vita, altri si lasciano vivere ed ogni tanto ritornano a cercarmi, ma non è vero.
Solo loro a non voler stare né con me né con Vita".
"Altri si dimenticano che io esisto, e riattaccano a Vita, dicono loro, si attaccano al benessere materiale, ma hanno mille ansie, vogliono cambiare il corso delle vite degli altri e poi in pieno delirio di onnipotenza vado incontro a loro e li trovo tremanti, vogliono corrompermi, piangono, hanno mostrato una faccia non loro, ma a me non possono morire."
"Altre volte siamo insieme io e Vita e nella legge del kaos che governa l'Universo perfetto, teniamo la mano alla stessa persona, Vita lentamente lascia la mano e la persona si aggrappa alla mia".
"Ti ho dedicato troppo tempo, di quello che per voi umani è importante, però sappi che verrò a prenderti, so già la data di scadenza e non potrai prorogarla neanche per un istante hai capito che anche Vita deve correre dove è necessario, non perderti nulla"
"Vattene dolcemente e questa volta senza voltarti, potresti essere sorpresa da ciò che vedresti, questa è la terza ed ultima volta e non te lo perdonerei. Ti cerco io, quando è il momento di non separarci mai più"
-Da Le interviste impossibili-

Dialogo con Afrodisia.
Guida la mia mano stanca, amica!
La mani che tenne stretta la mia quando cominciai a camminare.
Quando, per alzarmi incespicavo sui miei passi e dopo una caduta
ti inginocchiavi lontana da me … con le braccia aperte e le mani tese.
Non mi hai mai tirato su con le braccia, mi hai dato il coraggio di alzarmi
col tuo sorriso, col tuo incoraggiamento.
Io smettevo di piangere e guardavo il mondo, il mondo troppo grande per me nel quale vedevo il bagliore del tuo sorriso.
Un mondo troppo grande, un mondo troppo stretto!
La magia del tuo amore gli dava le proporzioni adatte a me.
La mia governante anziana, la mia compagna di giochi, la mia dama, la mia sirena: colei che mi allattò del suo amore, mi tenne in piedi e quando fui in grado di camminare me ne andai senza guardarla.
Quando si è giovani o si è vecchi si è impazienti, c'è fretta chi deve mordere la vita e chi poco tempo per farlo.
Torno a casa ho bisogno di te dei tuoi silenzi e del tuo canto.
Ho bisogno di riascoltare le tue ninna-nanne.
Sono caduta ancora!
Non c'è bisogno di dirlo a chi mi amò più di se stessa!
Ancora oggi sono la bambina più brava rialzarsi, e a guardare il mondo da un altro punto di vista … il mio.
Riconoscendo il pericolo di ciò che mi aveva fatto cadere ma senza aver paura?
Allora perché stanotte ho avuto incubi? Allora perché ho fatto il brutto sogno?

"Meno male che non ho cresciuto una santa!"- sospira Afrodisia-
E mi raccontò di una ragazza che un giorno chiese alla sciamana come fare a trovare l'anima gemella.
La sciamana rispose che è la ricerca più difficile, più difficile della Cerca del Sacro Graal, perché per trovare l'anima gemella occorre prima trovare la nostra anima.
Allora le raccontai che non avevo mai riconosciuto la sirena che viveva dentro di me.
"Affinché tu sappia che non sei sola in questo percorso, e nulla è lasciato al caso e non sei lasciata a te stessa: sappi guardare nell'apertura del mare.
Il mare quello spazio di Luce dove tu ritrovi te stessa ogni volta che lo guardi!
Guarda quel mare e sappiti Sirena, non conchiglia abbandonata sulla spiaggia.
Hai scelto, in questa esistenza, nascendo di portare amore: Portalo!
Amata!
In ogni esistenza c'è un'onda da percorrere, quell'onda va cavalcata per raggiungere la successiva.
Tu hai permesso alla Paura di farti restare ferma a guardare le onde che si susseguono ad una ad una per paura di non farcela, perché qualcuno ti disse un giorno, all'orecchio, che non saresti riuscita.
Guarda dentro il tuo cuore, lì risiede tutto.
Pesca da lì ed avrai lo strumento per cavalcare l'onda".
Non piangere perché ogni lacrima che verserai sarà per me fonte di preoccupazione.

Prigioniera.
La prigioniera viveva nella torre più alta dell'orrendo castello e non osava neppure affacciarsi. Le pareti della torre dove era reclusa erano piene di specchi deformanti e amplificatori di suoni.
Dentro la torre tutte le pareti erano rivestite di specchi.
Chiunque si fosse visto allo specchio sarebbe rimasto inorridito perché vedeva di se stesso solo immagini distorte ed echi di rimproveri della propria coscienza.
Era una tortura perenne.
Il giudice che l'aveva condannata ed il crudele architetto che aveva costruito la prigione, altri non erano che se stessa!
Un giorno, la prigioniera, in preda all'angoscia , pensò di farla finita e come impazzita,urlando si scagliò contro uno specchio.
Lo frantumò e poi ne frantumò un altro ancora e così via; dietro gli specchi in frantumi vide i fili dei microfoni nascosti: nessuna eco indesiderata avrebbe più risuonato nelle sue orecchie.
Il silenzio prese il sopravvento ma lei, che non vi era più abituata, ebbe paura. Stava accadendo qualcosa di strano.
Alzò gli occhi ed ebbe l'impressione che la torre si sgretolasse; infatti le mura avevano grosse crepe ed attraverso esse vide il cielo…il cielo!
Quando acquietò i battiti del cuore sentì una melodia fatta dal cinguettio degli uccelli e cominciò ad avviarsi verso l'uscita incurante delle lacrime che solcano il suo viso.
Ce l'aveva fatta !
Era tutta sporca perché aveva dovuto scavare con le mani, togliere ragnatele, attraversare tanti tunnel ma adesso era fuori.
Era troppo stanca per capire cosa provasse.
Sdraiata sul prato, mentre riprendeva fiato, si guardò intorno e guardò anche dentro se stessa.
La mia anima è veramente così bella?
Si scrutava stupita e meravigliata pensava: sono un brutto anatroccolo con l'anima di cigno.
Pensieri belli e delicati,come nuvole rosa all'orizzonte, sgorgavano dal suo cuore.
La paura e la crudeltà, che si era inflitta da sola, non avevano avvelenato i suoi sentimenti.
Insieme alla torre erano spariti: il giudice, l'architetto e l'inquisitore.
Vedeva se stessa bambina che guardava il mondo con occhi curiosi, che sorrideva felice e tendeva le mani a chi voleva prenderla in braccio.
Dentro di lei si era svegliato il guerriero e questi, fiero nella sua splendente armatura non avrebbe permesso a nessuno di fare del male alla bambina.
Nessuno avrebbe osato far male alla piccola principessa.
Sparito il giudice che ne aveva condannato la spontaneità, nessuno avrebbe più imprigionato l'entusiasmo della bambina per farne una vittima.
Pensava a tutto questo quando vide uscire dal suo cuore usciva un arcobaleno di colori con il quale avrebbe potuto illuminare il mondo intero.
Aveva incontrato la propria forza interiore, aveva una nuova consapevolezza, non avrebbe più fatto male a se stessa.
Capì che il buio e la prigionia in cui era vissuta offrono sempre una via di fuga basta guardarsi dentro: la prigionia è l'altra faccia della libertà ed il buio è solo il rovescio della luce.

Come Jo.
Era l'alba dell'inverno dell'anima.
Era un'alba nitida, fredda, velata di rosa ma all'orizzonte si vedevano dense nuvole.
I colori del cielo erano splendidi ma presto sarebbe arrivata la bufera, il cielo si accese di rosso, mutò in viola e d'improvviso tutto diventò buio.
Una timida ed inesperta contadina aveva lasciato per anni la sua povera anima alla mercé delle intemperie.
Povera anima!
Faceva proprio una gran pena: ridotta a brandelli, scossa dal vento, bagnata e infangata dalla pioggia, incartapecorita e arsa dal torrido sole in estate.
La contadina con le sue ruvide mani raccolse quello che restava della sua anima e la portò nella capanna.
Qualcosa avrebbe pur fatto.
Con l'anima in mano, provando un gran senso di pena, l'accarezzò, le canto le ninnananne, antiche e quelle nuove da lei inventate, la cullò e cercò di placarla.
Il vento spirava forte e fuori infuriava la tempesta, la povera donna sperava di sciogliere il gelo con le sue calde lacrime.
Che può fare una contadina ignorante quando crede che la sua anima è morta?
Si guardò intorno e prima che la neve diventasse gelo scavò una buca.
Straziata dal dolore seppellì la povera anima, come un seme nel grembo della terra.
Tornò a casa trascinandosi, non sapeva di trovarsi nel regno di Afrodisia.
Madre Terra accolse l'anima nel suo grembo ed intanto le stagioni passavano.
L'inverno era stato duro, la neve aveva sepolto tutto e quando le giornate cominciarono ad allungarsi il sole cominciò a sciogliere il gelo, le lastre di ghiaccio diventarono ruscelli e l'acqua cominciò a scorrere.
"Malgrado tutto la vita continua" diceva a se stessa la povera contadina, per farsi coraggio .
Guardò fuori dalla capanna e spiava con curiosità i fiori, le piante rinate.
Così facendo si avviò lì dove aveva seppellito la sua anima.
Man mano che si avvicinava fu attratta dalla luce iridescente di un arcobaleno e vide il fiore più bello e profumato che avesse mai visto in esso riconobbe la sua anima non più abbandonata, ma rifiorita e più bella che mai. Allora che la contadina comprese che non ci sono ferite che non possono essere curate dall'amore.

(a Giovanni, volevo diventare scrittrice ma non vivere l'esperienza di Jo, di Piccole Donne)

Arianna
D’estate, quando la macchia mediterranea perdeva i suoi colori, nelle più calde giornate d’agosto il sole saliva lentamente dal mare e si scioglieva dal suo tenero abbraccio i tingendosi d’oro e d’argento.
Questo accadeva assai prima che il sole, stanco ed ormai vecchio, cominciasse a sentire gli acciacchi del tempo, cosicché a malapena arrivava a scaldare il cuore degli uomini, infatti negli ultimi anni riusciva solo a sbiadire i colori della vita.
In questa atmosfera, boccheggianti per l’afa e rotolandoci nelle nostre illusioni, vivevamo nell’ozio quegli interminabili pomeriggi estivi intenti a far politica da caffè e fu così che un giorno arrivò Arianna.
Non era la prima volta che si avvicinava a noi, tuttavia aveva un modo così particolare di rendersi anonima che non la notai fino a quel pomeriggio in cui si sedette accanto a me lisciandosi la gonna in attesa che le cose cambiassero........
Arianna aveva solo sei anni ed un’aria assente che la faceva sembrare un po’ sciocca, forse perché la vita l’aveva resa malconcia ed intristita, ma aveva radicata in se una forte speranza.
Viveva con i nonni e con loro divideva una miseria dignitosa fatta di lunghi silenzi e abitucci fuori moda; nonostante la tenera età Arianna doveva avere una forza non comune perché li aiutava a portare una croce pesante fatta di vergogna e delusione di cui lei era il risultato.
Tornai indietro nel tempo e ricordai i nonni: erano quasi impazziti quando la loro unica figlia li aveva abbandonati per seguire l’istinto e con esso l’amore che aveva trovato in un uomo sposato, da cui fu presto abbandonata.
Golosamente i pettegoli assaporavano la ventata di novità, il nuovo argomento di conversazione; per qualcuno tutto ciò fu anche un modo come un altro per sconfiggere la noia di giornate sempre uguali.
Per i nonni furono tempi molto tristi: rinunce, delusioni, un tentativo di suicidio e poi nacque Arianna e non si seppe altro, la mamma sembrò svanire nel nulla.
Non essendoci altro da fare la nonna la tenne con sé. Arianna non perse mai la speranza di avere una famiglia vera, arrivò persino a raccontare bugie a chi le chiedeva notizie della madre.
Nessuno avrebbe mai sospettato che la nonna, una vecchietta dall’apparenza mite potesse essere così vendicativa, covare nei confronti della vita un rancore acido dopo aver puntato tutto sulla figlia adesso stravedere per la nipote. Prendendosela con il destino ripeteva con la piccola tutti gli errori già commessi con la figlia; sembrava non capire quanto le due si somigliassero.
Non pensai più ad Arianna sino alla sera in cui la vidi nella piazza del paese intenta a giocare a nascondino con la sua solitudine guardata a vista dai nonni; di tanto in tanto la chiamavano, lei correva da loro che la abbracciavano stretta quasi avessero timore di perderla.
Fu in quel momento che mi resi conto che i nonni sapevano che la somiglianza tra Arianna e la madre non era solo fisica e temevano il giorno in cui tutto sarebbe ricominciato daccapo; quando la vita avrebbe bussato alla porta e Arianna si sarebbe lasciata prendere per mano e condurre via.

Tornando a casa.
Scendevo giù per il sentiero molto lentamente, mi sentivo debole.
Ero salita sulla vetta della montagna per riprendermi la mia anima ed avevo giurato a me stessa che non avrei mai più ucciso i miei sogni.
L'esperienza del guerriero che depone le armi perché trova in sé la scintilla dell'Infinito aveva messo a dura prova il mio corpo ed aveva cambiato la mia visione del mondo.
Camminavo di notte, sopra di me una falce di luna ed un cielo pulsante di stelle, volevo raggiungere la mia casa.
Tuttavia la stanchezza aveva creato un sovraccarico di energia e non riuscivo a dormire.
Presi una coperta, uscii all'aperto, appoggiai la schiena contro un albero e rimasi a contemplare la notte.
Mi ero talmente isolata da non accorgermi che la Solitudine veniva sedersi a fianco a me; fumava in silenzio e mi guardava.
Contemplando il lago sentivo scorrere la linfa vitale dell'albero a cui ero appoggiata e questa riusciva a darmi forza ed energia.
I miei sensi erano all'erta. Fiutavo nell'aria qualcosa che non comprendevo, il mio istinto di sopravvivenza mi metteva in guardia contro i Mutanti.
Avevo paura! I Mutanti hanno l'aspetto e le caratteristiche dell'essere umano ma cambiano quando non riescono a trovare la loro via.
Non riuscendo a produrre un'energia propria si nutrono di quella altrui.
In genere questi esseri non hanno tratto nessuna esperienza dal dolore, hanno rancore contro il mondo, sono ambiziosi e carichi di odio e cercano la felicità nel potere sugli altri.
Quando un Mutante ha compiuto la sua opera lascia dietro di sé dei corpi che sono gusci vuoti ai quali è stata risucchiata tutta l'energia interiore fino a disseccarla.
Nella lotta per liberarmi, avevo percorso il Sentiero che arriva fino alla montagna, ero tornata con estrema fatica.
Nella mia anima c'erano dei grossi lividi.
La mia fragilità veniva fuori adesso, volevo guarire ed avendo paura del contagio mi isolavo dal mondo.
La mia anima stava germogliando le cresceva un sottilissimo involucro con i colori dell'arcobaleno.
Avevo bisogno di comprensione ma preferivo starmene isolata.
Tornai a casa e mi buttai sul letto; la Solitudine fedele, come un cane mi seguiva.
Io cercavo di prendere sonno, la Solitudine si sedette sulla poltrona e svogliatamente sfogliava un libro.
Mi ero rilassata, in casa c'era un dolce tepore e tutto quello che mi occorreva.
Avevo costruito la casa secondo i miei desideri: una mansarda, la mia camera da letto, avevo un piccolo ingresso tutto a vetri, un enorme soggiorno con un camino in pietra, una cucina spaziosa ed un piano seminterrato che era la mia officina laboratorio.
Potevo ritenermi soddisfatta di ciò che avevo ma ero inquieta.
Dopo aver cercato una risposta alle mie domande, capii che volevo qualcosa che non era possibile avere.
Tanto per fare qualcosa accesi il fuoco, mi piaceva il crepitio della fiamma del camino, potevo stare per ore a contemplarla.
Ciondolai per casa, poi andai in cucina a prepararmi qualcosa da mangiare.
Con la coda dell'occhio vidi la Solitudine uscire …. intanto qualcuno nel soggiorno
riattizzava il fuoco del camino.
Mi avvicinai con cautela e vidi Giovanni.
Avevo mille domande da fargli, erano quasi tre anni che non lo vedevo, volevo rimproverarlo di essersene andato senza dirmi nulla, volevo raccontargli tante cose e volevo che mi abbracciasse.
Lui era sempre uguale e diverso, ormai un angelo, mi guardava negli occhi e non parlava.
Non parlavo nemmeno io ….. tutte le cose che volevo dirgli non avevano più importanza.
Nei suoi occhi vidi tante cose, la Luce che aveva conosciuto, l'immensità della sua esperienza, la bellezza dell'immenso salto nel mondo parallelo.
Mi comunicava tutto questo attraverso il riflesso della Luce che lui aveva visto.
Non era necessario che io gli raccontassi qualcosa che lui già non sapesse.
Nel bene e nel male tutto era così piccolo a questo mondo!
Mi fece vedere un mondo parallelo ed uguale a questo.
Un mondo dove regnava l'Amore Cosmico.
Nessuno attraverso l'amore si sarebbe mai allontanato veramente.
Noi potevamo scegliere di bruciare tutto in questa esistenza o diventare strumenti dell'Amore.
L'aria intorno a me vibrava per l'intensità di ciò che il mio cuore comprendeva.
Il suo corpo emanava una Luce molto intensa, distolsi lo sguardo solo per un istante e
non lo vidi più.
"Sono nella porta a fianco"…. mi parve di sentire.

Il gioco delle tre carte.
(E che ci'ho li santini truccati?)

Stavo vedendo per l'ennesima volta il film "I Carabinieri"- con Montesano e Verdone-
e mi ritorni in mente tu.
Giovanni!
Mi spieghi perché adesso che la mia vista si è abbassata, ho una visione più chiara dei
ricordi?
Invecchiando si ricorda di più il passato e tu, eri un discobolo, hai giocato a calcio con
i tuoi amici ma nessuno mi aveva detto che eri così bravo a dribblare.
Ho sempre pensato che tu con le tua angosce, con la tua fame di conoscenza, con il tuo essere
sempre protettivo con gli altri, con i tuoi psicofarmaci sempre sotto mano, fossi il più debole fra noi tre fratelli.
Sono passati sei anni dalla tua morte, pensa che avevo tolto dalla mia memoria il giorno 10 giugno, il giorno della tua
partenza ed ora mi ritrovo a ridere e pensando che mi stai contagiando troppe cose.
Il bisogno di ridere, il divertimento, la comunicazione, l'amore, il bisogno di dare : tutto quello che dà un senso alla vita.
Ma come facevi a divertirti e divertire gli altri con la morte che ti prendeva a braccetto?
Non riesco più a piangere, rido solo perché Pinocchio eri da vivo e Pinocchio resti da morto.
Eravamo al mercato a Torino, ti abbiamo perso d'occhio solo un istante e ti troviamo con un capannello di persone intorno tutti messi a guardarti e pronti a puntare dove giocavi tu al gioco delle tre carte.
Tu al centro dell'attenzione, in mezzo a imbroglioni di mestiere, vecchi babbei pronti a giocarsi la pensione ed
un transessuale che faceva da esca per attirare i polli.
Ci giriamo preoccupati, Carmelo ed io, e la folla si avvicinava come se tu fossi il suonatore del flauto magico.
Oddio, ho pensato, andiamo a salvarlo si sta giocando con il Gatto e la Volpe le monete d'oro che non ha.
Corriamo a salvarti prima che tu seppellisca i miei soldi nel campo del Miracoli ed in vece volevi solo divertirti.
Avevi sbancato i truffatori al gioco delle tre carte. In un minuto solo tu avevi vinto un milione di lire.
I vecchi volevano la loro vincita, i due compari dovevano pagarti o perdevano la clientela, già spennata, e tu col
tuo bisogno di essere sempre attore hai dato un calcio alla morte e te la ridevi,
Ma che diavolo avevi fatto?
Oh no gasp!
Mi sono ricordata che durante il servizio di leva avevi imparato molto bene il gioco delle tre carte.
Il tuo amico ti aveva insegnato così bene che scommettevate col maresciallo le licenze per malattia.
Giocavi a botta sicura, vi siete giocati una colite, una influenza broncopolmonare, una gastrite;
insomma giorni di licenza contro il povero maresciallo invaso dal demone del gioco.
Ecco perché ,in questa occasione, hai sfoderato le tue arti da maestro e li hai presi in giro
perché sapevi i trucchi del mestiere.
Come è andata a finire?
Quelli non avrebbero pagato ma volevi la tua soddisfazione da maestro.
E' finita a strette di mano non hai reclamato un soldo ma te ne sei andato fra gli applausi di una folla derubata
ma impazzita dalla tua competenza di truffatore o grande giocatore fortunato.
Bella esperienza,Giovanni, non lo fare più. Anzi ora che ci ripenso ti dico fallo ancora!
Chissà le risate che si faranno gli angeli!
Anche tu potevi fare il truffatore; il veggente, come hai fatto col tabaccaio distratto,
non ti ha notato, parlava del debutto della sua band.
Tu col la tua faccia da culo dopo aver sentito i suoi discorsi mi hai comprato le sigarette e gli hai predetto un grande
futuro in campo artistico, musicale nella fattispecie, gli hai detto che lo attendeva un grande futuro da percussionista.
Lo hai incoraggiato a seguire le sue ispirazioni in campo musicale, gli hai detto che eri a Torino non per curare la tua
Malattia, ma per presiedere ad un congresso sui fenomeni paranormali; lui non ha aspettato altro.
Ti ha creduto, gli hai detto il nome della sua band, lo hai motivato e quando lui ti faceva domande, dopo mezz'ora in cui
hai giocato a vaticinare il suo futuro gli hai detto che eri un comune avventore che voleva solo giocare e che aveva ascoltato i suoi discorsi.
Il punto non è questo, il punto è che quando tu te ne sei andato quello ha venduto la tabaccheria si è dedicato alla musica
ed ora tiene concerti jazz con la sua band.
Ma tu come facevi a divertirti con la morte che ti alitava sul collo?
Avevi paura piangevi, ma non perdevi occasione per farti conoscere e amare.
E che ci'ho li santini truccati ?
Evidentemente si se anche la morte ridacchiava insieme a te e si divertiva.
L'ho vista asciugarsi le lacrime dalle risate, tenersi la pancia e guardarti dicendo questo me lo porto.
Soffrirà molto il distacco ma continuerà a rimanere vivo se è stato amato.
Sulla tua performance da parroco innamorato di una donna, per la quale vuole lasciare l'abito talare
e la tua confessione fatta al tuo amico vice-sindaco di un comune vicino al nostro ne parlerò un'altra
volta, so solo che non solo non ti ha riconosciuto, ma che ti ha accolto con la dovuta deferenza
e ti ha anche fatto il baciamano, quando si è accorto della tua burla, il tempo necessario per mettere
in atto il tuo piano hai dovuto correre intorno al tavolo inseguito dalla tua vittima che brandiva la sua scarpa in mano.
Tu sei mio fratello, sei un bravo ragazzo ma, tolta l'innegabile onestà di mamma, sei anche un gran figlio di puttana.

Ciao Mare.

Farneticazioni.
(dedicato a chi mi ha insultato per autocelebrarsi)

Giorno 11 giugno sono partita da Torino verso Firenze,
avevo ricevuto un invito per partecipare ad un dibattito fra
scrittori ed editori.
Se non fosse stato per Franca, sorella di cuore e di affinità,
sarei andata incontro ad una delle giornate più tediose ed
insignificanti della mia vita.
Mi sono sentita tradita!
Mi sento tradita da persone che non conosco.
Gente di scarso tatto, poca cultura, zero in convilialità
ed educazione.
Esseri cosi pieni di sé che aveva bisogno di un paniere
Per ficcarci dentro tutto il resto.
Non eravamo neanche ad un mercato del bestiame.
Di solito il contadino che guadagna duramente prima di acquistare
un capo di bestiame si degna di guardarlo.
Come mi sono sentita io?
Meno di un capo di bestiame da macellare!
L'affare era già avvenuto.
La Banca aveva pagato, le sovvenzioni erano arrivate, chi può
Valutare come sono andate le cose?
All'auditorium gli editori sbandieravano la loro onestà, però non
guardavano in faccia nessuno.
Loro sono gli EDITORI!
Credevo che per una elementare forma di educazione occorresse almeno
rivolgersi al pubblico.
Invece non è così che funziona.
A tavola è stato un tormento, in un tavolo per sei persone si giocava tre contro
tre.
Potevo avere anche sei orecchie a corona sulla mia testa, nessuno ha avuto la buona creanza
di dare una benché minima apparenza di quello che si chiama convivialità.
Ho pensato addirittura di non aver messo il deodorante, che magari puzzassi
troppo perché non è possibile essere così palloni gonfiati.
Ho ascoltato i discorsi di questi scrittori famosi: il festival dell'ipocrisia!
E mi sono detta caro John Steinbeck, amico mio!
Compagno di solitudine dei giorni di prigionia di mio padre, ( ragazzo mandato in guerra
prigioniero per sette lunghi anni) ho imparato la lezione sui mostri tratta dalla Valle dell'Eden
e voglio continuare nelle mie farneticazioni.
Capita spesso che nella vita di tutti i giorni ci siano dei black-out comunicativi; perché?
Quando il bambino comincia ad esprimersi parte dalla lallazione
per cercare di comunicare.
Gli adulti o non lo aiutano e fanno dei versi inverosimili- tali da confondere il bambino-
o peggio ancora qualche pediatra nazista ha consigliato ai genitori, alle neo-mamme, di
non dare da bere o da mangiare ignorando, il bisogno fisico del bambino, fino a quando
non riesce a dire in maniera chiara: acqua, pappa, pipì e popò.
Dalla costrizione cosa può scaturire?
Una balbuzie dell'anima e persino un mutismo.
Gli artistici chiedono aiuto col loro silenzio, i balbuzienti hanno paura della derisione e
non parlano.
E se avessero dei problemi gli adulti?
E se la mancanza di comunicazione fosse la figlia di una sordità da parte di chi ascolta?
E' tutto possibile se rivolgo lo sguardo solo a chi ritengo meritevole di ascolto perché io
sto su un altro piano?
Gabriel Gargia Marquez , zio Gabo, nella sua lettera di commiato agli amici, nella consapevolezza
di essere una marionetta di stoffa, dice che un uomo ha diritto di guardare in dall'alto in basso un
altro uomo solo quando si china a tendergli la mano per aiutarlo a rialzarsi.
Gabo ha detto, anche, che ci sono uomini che amano stare in cima alla vetta e guardarsi intorno
senza capire che è molto più bello risalire la scarpata.
Allora il dono di comunicare è una cosa che bisogna usare con estrema delicatezza ed umiltà.
Ascoltare per sentirsi vicini ad una umanità splendida perché è anonima.
Una umanità che non si auto-celebra.
Per ciò chiedo ai comunicatori di aprire l'orecchio del cuore e scoprire la bellezza di ciò che ci
accomuna.
A chi decanta le proprie lodi da vivo consiglio di usare le parole, con cui si auto-proclamato
con vari titoli ed appellativi, come proprio epitaffio da scrivere sulla lapide.
Se c'è ancora dentro di voi una piccola luce usatela per vivere.
Non saranno le vostre lodi a riportarvi in vita.
Se avete già un cammino tracciato avventuratevi in un sentiero non battuto.
Siate uguali a quello che avete sognato di essere e permettete agli altri di fare
altrettanto.
Io so che avete messo a tacere anime che potrebbero illuminare il vostro cammino.
Rischiarare la via col confronto, rispetto per chi ha un'anima timida e balbuziente per
la vostra derisione.
Potreste divertirvi, incoraggiare persone insicure da cui potreste ricevere Luce, arricchimento,
comunicazione, e persino un nuovo modo di guardare alla vita.
Non sprecate la vita di un uomo, non lo fate marcire in silenzio ( tratto da "Ubriaco di Vita"- Giovanni Armone).
Aprite l'anima e da un torrente ingarbugliato di parole potrete scoprire il torrente dei sentimenti.
Io mi tengo le mie farneticazioni.

Lettera a Liù.
10 Giugno 2006-06

Stavo iniziando col dirti carissima Liù e sapevo che ti saresti rotolata per
terra dalla risate, tu e quell'altra stronza di Nadia.
Perciò esordisco con una domanda molto diretta: in quanto tempo si prescrive un reato grave?
Potrei darmi una risposta giuridica, ma voglio saperlo proprio da te.
Si tratta di un reato non previsto dal codice penale, ma dal codice di amore e di amicizia che ha unito come un atomo te, Nadia e me.
Liù, il canto, Nadia la musica ed io la poesia, come ci definisti quel fine settimana, a casa di Nadia.
Molte persone ci hanno visto come bestie da circo, perché trovavano l'esistenza di un legame cosi forte fra tre ragazze così diverse ma con una cosa in comune eravamo artiste di strada e affamate di vita.
Questi sono legami celesti, ci incontreremo ancora in un'altra dimensione e ci riconosceremo al volo.
Ti ho già scritto come mio angelo, nel corso sul percorso dell'artista, quello sperimentato da Katya nel corso Creatività.
Adesso voglio dirti che non è passato giorno in cui non mi sono sentita vigliacca dopo quella sera, quindici anni fa, ti ho visto in TV, su Rai Due.
Una trasmissione serale, molto ascoltata, tu stavi dicendo tranquillamente che stavi morendo, il tuo male era ormai all'ultimo stadio, AIDS conclamato.
Non riuscivo a staccare gli occhi dal video.
Ho incontrato il tuo sguardo, i tuoi occhi azzurri come due zaffiri australiani.
Ho capito che stavi parlando a noi due: La Musica e la Poesia.
Serenamente ci stavi dando l'ultimo saluto e ci stavi dicendo ancora di non fare la tua fine.
Mi sono tormentata per tanto tempo, avevo trovato l'indirizzo di tuo fratello ed avrei potuto trovarti, incontrarti, abbracciarti.
Ho condiviso la scelta di spiritualità che ti ha sostenuto negli ultimi giorni del tuo duro cammino.
Tu che mi conosci sai che quando abbraccio un'idea, quando una scelta a mia,
mi farei bruciare sul rogo per amore della verità e perdonerei chi appicca il fuoco.
Per questo non mi sono mai sentita lontana da te e sono certa che sai già quanto ti ho pensato e come ti sento vicina nei momento più duri della mia esistenza.
In qualche momento ce l'ho avuto con te: quando mi sentita ed abbandonata da te; tuttavia so che mi hai sostenuto.
Il caso volle che quando ti invitai per la prima volta in casa mia tu mi fosti vicina.
Proprio quella volta che volevo farti conoscere i miei ….. morì papà.
Hai aspettato pochi giorni e lo hai conosciuto: morto in ospedale.
Perché proprio tu vicina a me in quel momento? Perché tu, che avevi bisogno di aiuto, ti sei trovata ad aiutarmi?
Nadia si è sentita in colpa, ma come faceva a starmi vicina se anche lei stava vivendo un momento molto difficile? Oltre ai suoi casini anche suo padre stava male.
Te ne sei andata via a 28 anni e mi hai lasciato il ricordo della complicità, dell'amore e della tua giovinezza.
Lo sai che adesso saresti anche tu a invecchiare? Quando uno conosce troppi morti sta diventando vecchio.
Forse tu sei diventata più vecchia già a diciassette anni quando è morto il tuo bambino.
Non si mai pronti alla morte di un figlio, e me ne parlavi sempre. Mi ricordo di lui ma non ricordo se potevi avere una sua foto.
No! Non credo proprio, che tu avessi foto del bimbo morto dopo una settimana di vita.
Nessuno fra quelli che ti hanno conosciuto sapevano quanto fosse forte il tuo istinto materno.
Tu avevi già deciso che non avresti avuto una lunga esistenza ma volevi che noi continuassimo a vivere e ad essere felici.
Sto continuando a vivere, ho passato parecchi anni della mia esistenza a ballare sui carboni accesi.
Sto ritrovando la voglia di vivere, di essere me stessa.
Tutti gli aspetti del mio essere donna; se non so chi sono so cosa voglio e cosa devo fare: una patetica Gelsomina, ( Fortunella di Fellini) artista di strada.
Artista di una strada impervia, che cerca la propria via fra i più derelitti, con i suoi tre quarti di nobiltà, riconosciuti da qualcuno solo per la sua fragile e vulnerabile umanità.
Cara Liù, quando ti vidi per l'ultima volta ti chiamavamo con un nome che non ti mai appartenuto: Adelaide.
Il nome che hanno scritto sul tuo certificato di morte.
Per questo Liù è ancora viva con la sua vita che preme il piede sullo l'accelleratore .
Fammi sentire ancora il tuo canto.
Cantami il Manichino di Gino Paoli. Cantami le canzone di Piero Ciampi.

Maria Grazia con tutti i suoi colori.

Marta.
Marta non era particolarmente bella ma era molto attraente.
Aveva un certo non so ché che attirava i maschi; forse per i
suoi occhi color ambra, forse per le sue movenze feline,
per l'alone di mistero che la circondava ….
Probabilmente non si sentiva ancora pronta per l'amore,
dietro la sua fierezza si nascondeva un cuore fragile ed insicuro,
perciò usciva molto di rado.
Era quasi infastidita dai suoi corteggiatori, fino a che non incontrò
Spartaco.
Fu una grande storia d'amore.
Spartaco era cresciuto per strada, dormiva dove capitava, aveva fatto tante
esperienze ed aveva una voce che incantava.
Marta lo aveva già sentito cantare, una sera si affacciò e vide
Spartaco.
Si era arrampicato sul tetto, aveva scavalcato i balconi ed era
sulla sua terrazza fermo davanti a lei .
I loro sguardi si incrociarono e fu amore a prima vista.
Marta si era innamorata.
Marta non capiva più nulla, viveva per lui e Spartaco, gatto di strada diventò,
il suo amante.
Qualche tempo dopo Marta cominciò ad arrotondarsi, cambiò umore ….
era incinta.
Aspettava un figlio, Spartaco era pazzo di gioia, la baciava, si insediò a casa di Marta
perché voleva starle più vicino lei soffriva, diventò aggressiva, non voleva averlo vicino.
Si trascinava dietro la sua pancia enorme, passavano le settimane e non c'erano novità.
Una sera di settembre la sentirono urlare, il dolore le trafiggeva tutto il corpo, i suoi umani
chiamarono un dottore e questo disse che Marta aveva poche speranze di vita, la sua creatura le
era morta in grembo: setticemia, bisognava operarla al più presto.
Spartaco era solo col suo dolore, aveva paura ad avvicinarsi a lei; a lei che stava morendo.
Le urla di dolore di Spartaco straziavano tutti.
Marta era morta per colpa sua.
Dovevano portarla via e continuava a leccarla, le baciava gli occhi, non voleva staccarsi da lei
non aveva più motivo per vivere.
Scappò via per qualche giorno, quando ritornò era irriconoscibile, il pelo sporco, macchiato di sangue
e lo videro avviarsi con sicurezza nel giardino, sentiva ancora l'odore della sua Marta, si buttò sulla terra
dove l'avevano sepolta e pochi giorni dopo morì.   

Angeli a Torino.
Non mi raccapezzavo !
Era tutto diverso da come lo avevo immaginato! Troppo grigio quell'ambiente, troppo dolore!
Non so perché quella chiesa aveva lasciato una buona energia dentro di me, erano le persone … gente che agiva per il sociale, gruppi che andavano a trovare detenuti, la raccolta di cibo per i senza tetti che arrivano tardi al dormitorio, dopo la chiusura delle mense, un insieme di cose di cui si parlava che mi faceva star bene.
Poi viene un momento in cui la riserva della tua forza, della tua energia va in rosso … e ti fermi per mancanza di energia.
Mi avvio verso la chiesa, credevo che la spiritualità, l'amore espresso nei canti con gioia fosse circoscritto dentro le mura di quell'edificio invece trovo la porta chiusa e seduti sui gradini un ragazzo nord-africano e una barbona con le sue borse.
Di solito quando c'è caldo e l'asfalto brucia è anche un posto fresco e ventilato, purtroppo lo è di più in inverno quando la temperatura è sotto lo zero.
Quella strana coppia di sfingi quando non litiga é fantastica.
Mi sono seduta sui gradini in mezzo a loro e guardavo fisso davanti a me.
La mia stanchezza parlava per me; tiro fuori le sigarette e fumiamo in silenzio.
Viviamo vite diverse, abbiamo tante diversità che la radice quadrata comune è il solo fatto che siamo persone sedute insieme.
Ognuno con la propria storia, la barbona ha la pelle rugosa, di età indefinibile con la vita dentro quattro borse di plastica.
Il giovane marocchino ha la sua scatola con fazzolettini, accendini, braccialetti ed altre cose.
Quasi sempre gli ho dato qualche soldo.
Mio malgrado non riesco a fermare le lacrime che scendono da sole e tiro su col naso.
Il ragazzo mi porge i fazzolettini e la vecchia signora mi guarda con i suoi occhi chiari
allunga una mano e mi sfiora i capelli.
Sorrido fra le lacrime, la guardo, vedo un 'anima che mi ha donato amore: tutto quello che può dare.
Il ragazzo mi regala un bracciale di filo colorato, me lo lega al polso io sto meglio ho ricevuto la carità da due mendicanti o da due angeli?  

Il sogno di Piotr.
Vagavo smarrita; l'ombra della mia anima arrancava dietro di me.
Era stanca di seguirmi, mi ha detto anche lei che si sentiva trascurata; ero molto in difetto, sapevo che quando l'anima ti parla ha qualcosa da dirti.
E' la parte più tua, ha diritto di dirti come sta e non puoi barare con lei, io la portavo a spasso da anni e ora avvertivo le sue resistenze.
Era una bella notte, rischiarata dalla luce della luna.
La piazza era quasi deserta, non sapevo dove mi trovavo; né come avessi fatto ad arrivare fin li.
Certo è che ero stanca; dovevo dar atto alla mia anima che ho sempre cercato di ostacolarmi nelle imprese che mi accingevo a fare; per dire non ce la faccio, non sono all'altezza.
Mi creavo alibi morali, ma non ero contenta di vivere con un alibi inventato da me; era una continua guerra con me stessa.
Esaurivo le mie energie, pensavo che un progetto o un sogno fossero dei lussi che non potevo permettermi.
Avevo fatto dei tagli paurosi: niente tempo per me, se il tempo determina il valore delle cose io non mi attribuivo nessun valore o ero così presuntuosa da pensare che potevo farne a meno.
Il massimo della mia programmazione non andava al di là di impegni di lavoro, doveri, responsabilità e paure vecchie, nuove voglia di autodistruzione.
Diventavo sempre più stanca di una vita tracciata.
Una vita tracciata può essere tollerata ma non è degna di essere vissuta.
Non riuscivo a liberami del senso di sconfitta.
Sentivo tutto il male che mi stavo facendo: in nome di cose a cui ho creduto l'amore e l'amicizia ma mi erano costate parecchio; avevo perso me stessa.
Pensavo che non potesse esistere altro modo di vivere però sentivo sulla mia carne i morsi dei miei demoni divoratori, sentivo colare il mio sangue.
Chi ama non può essere distruttivo con l'amato.
Molte volte non dato ascolto al cuore perché credevo mi ingannasse, gli ho sempre chiesto le prove e sono puntualmente arrivate e mi hanno fatto vedere come può soffrire il cuore.
Parlo di lui come se fosse un tiranno ma è la parte più importante di me
mi ha aperto orizzonti nuovi, mi ha fatto vedere come a recuperare un sogno.
Quando hai ritrovato il tuo cuore tutto diventa abbondante, puoi fare dei regali a te stessa e anche agli altri.

Dovevo vedere fino a che punto riuscivo ad andare; nel mio stato d'animo non potevo permettermi di sacrificare me stessa, i miei sogni in nome della sacralità che io attribuivo a sentimenti nobili come i rapporti d'amore e amicizia.
Per la prima volta ho voluto amarmi ed essermi amica.
Capita che in nome dell'amicizia e dell'amore ti circondi di persone che vogliono omologarti.
Persone con cui vivi, mangi, dormi che non chiedono mai come stai?
O gente che ti vede spegnere dentro ed non nasconde un sorriso di soddisfazione.
E' una reazione umana indotta dal mancato interesse che mostri verso te stessa.
Parlo di interesse non di tornaconto, il tornaconto è calcolo, un investimento non affettivo è l'aspettativa calcolata di un rientro.
L'interesse è il sincero sentimento a comprendere i bisogni, a condividere pezzi di vita, percorsi di dolore, di gioia, di complicità, di scoperte.
Quando ti accorgi che esisti che sei pronta a ritenere un fenomeno naturale pensare a se stessi senza sentirsi in colpa è come se un movimento tellurico sconvolgesse te e gli altri: nasci in quel momento.
Acquisti una diversa visibilità, hai una faccia tua, una tua dimensione e potresti far paura.
Per fare branco i tuoi compagni di sbronza non celebreranno mai la tua sobrietà, anzi potresti subire violente aggressioni che farebbero molto male sulla nuova pelle.
Occorre usare un'alta protezione contro le scottature causate da chi si è nutrito della tua creatività; personalmente non mi sarei più offerta in pranzo ai cannibali.
Con garbo, per chi mi conosce è tutto da ridere, ma ho comunque una mia etica.
Ho evitato chi dispensava consigli per il mio bene, quel tipo di consiglio che mette in dubbio la tua autostima, il tuo modo di essere, la tua creatività.
Per vivere viene il momento in cui sei obbligato a scaricarti di fardelli che in fondo non ho mai voluto tenere.
La mia Rabbia è stata uno dei carichi più grossi, la mia era una rabbia ormai patologica e autodistruttiva.
Mi sentivo stanca … Stanca di essere donna! E' difficilissimo essere donna.
Ma ero sicura di essere donna?
Incazzatura per la mia insicurezza quindi di nuovo Rabbia.
Così venne il giorno in cui dovetti guardarla in faccia e, la scaricai come un autostoppista che ti chiede un passaggio e prova a rapinarti.
"..ffanculo le ho detto; tu sei arrivata!" .
L'ho fatta scendere.

Sono ripartita ridendo e scuotendo la testa.
Mi godevo la scena, La Rabbia che per tutta la vita ha avuto il sopravvento su di me adesso era sola e piangeva, le detto di andare altrove … non eravamo più compatibili.
Così scaricata questa indesiderata ospite ripartii senza nemmeno guardare indietro.
E feci malissimo perché la mia macchina era rimasta dall'altra parte di un'alta e stretta gola montuosa.
Non c'erano altre strade e così mi trovo ad attraversare un sentiero a me ignoto: una voce di donna mi chiama e senza capire bene cosa fare le dico ci sto!
Ma ci sto a cosa? A qualunque cosa!
So che voglio fidarmi.
Entro in un luogo accogliente, le stanze non sono molto riscaldate ma è un luogo pieno di energia.
Il caldo viene dai colori che sei donne, ognuna di loro un volto diverso della Dea Madre, esprime con i colori più belli.
Come quelli dell'arcobaleno che è magico, come i colori dei chakra, così la Dea ha tutta una faccia umana, femminile, spirituale, sensuale, guerriero, bambina, matta, fata che immediatamente vengo attratta nel gruppo a cambio faccia, sono una sciamana.
Come vivono questi momenti ?
Ci sono in discussione progetti di vita, ci sono problemi da affrontare. Ma non sono persone estranee a me.
Sono la parte che mi manca, tutte insieme componiamo il collage più bello, noi siamo tessere in continua danza, sento cosa vuol dire accoglienza.
E' duro il lavoro da fare? Non lo so! So che ci muoveremo un passo per volta.
So che da questo confronto riesco a vedere il mondo da un'ottica a cui non avevo pensato.
Ho sempre immaginato la grata come qualcosa di verticale che dovevo scalare ed invece posso vederla in orizzontale come una rete di protezione.
E' strabiliante scoprire un orizzonte più grande, un orizzonte limitato da una siepe da cui non si vedeva nulla fece immaginare l'infinito a Leopardi.
Ecco che un sogno può essere condiviso.
Insieme posiamo costruire il ponte.
Esattamente un ponte come quelli che si trovano tra le gole delle cordigliere delle Ande.
Se non costruisci il ponte del Perdono perdi una strada che serve a tutti.
Privi te stesso di una possibilità ad attraversare quel ponte potrebbe un giorno potrebbe essere la tua unica strada della tua salvezza.
E poi possiamo attraversarlo un collaudo per avere fiducia nella nostra capacità creativa un o di stima un atto di fiducia o meglio di fede.

Roba da morire di paura, ero già sul ponte che oscillava paurosamente , io evitavo di guardare sotto, avrei voluto mettermi carponi, ma ogni movimento doveva essere consapevole e sicuro.
Sudavo, ho urlato, parlavo con la sponda che dovevo attraversare e le dicevo- "Avvicinati"- tutto dettato dalla grande paura del vuoto.
Avevo paura di morire? Pensai al lato comico della situazione : nessuno poteva ritenermi capace correre tanto rischio se morivo non sarebbero mai venuti a cercarmi qui.
Il luogo era protetto e noto solo a noi.
Dovevo cavarmela da sola. Ognuna di noi se non metteva se stessa alla prova comprometteva il coraggio delle altre.
Pensiamo ad arrivare, mi dicevo da sola, attraverso il ponte del Perdono e .. mi tuffo sull'altro versante.
Mi sento tremare e poi il lancio nel vuoto.
Ce lo fattaaaaaaa !
L'eco mi riportava indietro la mia voce.
Sono esausta e felice la mia adrenalina è al massimo.
Quando abbiamo attraversato il ponte le sopravvissute eravamo tutte una cosa sola.
Una cosa indimenticabile.
Mi sento in grado di fare tutto, posso ripartire.
Sono ripartita ridendo e mi godevo la scena: come un film al rallentatore.
Non mi ero accorta che di avere una nuova ospite con me.
Avevo chiuso con le sicura.
Guidavo distesa, più leggera, vedevo le stelle in quella notte molto calma.
Una leggera brezza allargava tutti i miei sensi: sentivo gli odori, i suoni impercettibili delle sinfonie che cantano le stelle, avevo le mani un po' fredde perché improvvisamente il vento aumentò ed io sentivo pulsare il mio stomaco.
Sembrava che avessi un altro cuore nello stomaco: tanto le aumentavano le pulsazioni.
Il vento cominciò a soffiare la brezza diventò un vento fortissimo.
Mi fermai perché non volevo guidare con quel tornado che sembrava dirigersi dritto verso di me.
Accostai vicino ad un sentiero e sentii entrare dentro la Speranza.
Con lei entrò il tornado, lo fece accoccolare ai suoi piedi come un cucciolo e mi guardò.
Era proprio bella!
La Speranza non è timida è molto forte, franca e coraggiosa.

Mi guardava sorniona … aveva molto stile proprio perché cosi diretta ma pronta
ed attenta a rispettare i miei sentimenti.
"Ti aspettato a lungo sai?" Solo allora ebbi il coraggio di guardarla in faccia.
Caspita quanto mi piaceva questa donna!
Lei mi sorrise, mi scompigliò i capelli e mi offrì una sigaretta. Il suo silenzio non era pesante, era un silenzio fatto per darmi il tempo di riflettere su quello che mi era accaduto, era il tempo di riavermi dallo stupore di sapere che una sensazione così importante mi avesse atteso per quasi cinquanta anni, che somigliasse tanto a quello che avevo sognato di essere, che mi fosse amica ….
Non avevo bisogno di parlare era lei che sceglieva con cura le risposte da darmi, per farmi abituare a questa nuova sensazione.
Fece uscite dalla bocca una voluta di fumo e mi disse che noi due ci somigliavamo più di quanto io potessi immaginare; per questo da scommettitrice avrei capito, perché lei aveva scelto me e mi aveva aspettato.
Nel mondo delle sensazioni il tempo ha una durata diversa viaggia ad una velocità multipla di qualsiasi unità di misura noi possiamo immaginare.
E' la forma- pensiero che determina l'unità di misura.
La fede fa superare ogni ostacolo di spazio, di tempo … devi solo credere in quello che fai.
Avere un riferimento spirituale come Grande Creatore e Creatrice da cui tu discendi.
Questa è l'originalità del pensiero creativo.
Speranza era venuta a prendermi perché ero io ad averla cercata e avremmo fatto
grandi di cose.
Mi è capitato così di rado di piangere di gioia che scoppiai in lacrime! Avevo bisogno di tutto questo da così tanto tempo che ero felice di vivere questo momento.
Avevo vissuto esperienze così forti che dovevo fermarmi.
Cosi quella notte sentii il bisogno di fermarmi al primo posto che mi ispirasse.
Non ho letto il nome del paese.
Parlerei di dettagli che il mio stato d'animo non voleva nemmeno prendere in considerazione.
Ero lì, sola, in un paesino di frontiera, nella piazza, la sigaretta accesa, qualche gatto randagio e una bellissima fontana ottagonale in pietra.
Dalla piazza partiva un labirinto di stradine … mi sono avvicinai alla
fontana e non ero più sola!
E' una notte magica dissi tra me, non gustavo questo benessere da mai.
Ero una gatta che lecca tra le sue zampine le emozioni ed é molto concentrata.
Non mi ero accorta che un vecchio, del quale non riuscivo a vedere il volto,
se non quando iniziò a parlare.

Dalla sua bocca sgorgavano parole che facevano avvicinare le persone … come nella favola del flauto magico.
Le sue parole erano una melodia!
Una musica che faceva vibrare le corde dell'anima,
non sapevo quanta importanza può avere l'anima quando si accorda
con quella degli altri e tu sei in armonia con te stesso.
Con un te stesso a te sconosciuto, un paese che non hai voluto mai visitare
perché hai paura di affrontare la tua guerra e vincerla, perché potrebbero piacerti
le cose che cose che non hai voluto vedere.
Su quello che ho detto e dirò non ho voluto riflettere in nessuna maniera.
Non voglio censure dalla ragione.
Non voglio vincoli perciò ho deciso di usare i miei sensi i sei sensi
soprattutto l'istinto a cui ho concesso poco.
So che ho dovuto affrontare le tenebre prima di vedere la luce, so che adesso
che la mia vista è più tenue ho perché sono fuori quella che sono dentro.
Capisco perché sono nata con un difetto congenito alla vista: ho un occhio pigro:
il sinistro ed una che guarda lontano: il destro.
Il lato sinistro prevale in me mi ha creato talvolta qualche difficoltà di inserimento.
Sono mancina non è nulla il mio emisfero dominante nel cervello è a destra.
Il mondo omologato ha cercato di cambiare la mia natura.
L'uso non naturale della mia mano, l'occhio, i colori, il mio totale disorientamento nel mondo concreto.
Non so leggere una cartina stradale, quando devo indicare a qualcuno dove si trova
la destra alzo la mano sinistra ed ho paura di perdermi con le cose che so.
E'abbastanza castrante quello che per me rappresenta la normalità ciò per gli altri è diverso: da "correggere".
Pian piano mi era passata la voglia di usare i colori, di pensare poco al mio corpo, la mia femminilità di cui ho avuto poca autostima?
Tutto quel che sono rappresenta una mancina che viene corretta per quanto mi riguarda è vero, sono stata corretta, ma non domata.
A tavola uso le posate al contrario, utilizzo il computer in modo che si adatti al mio mancinismo.
La mia creatività corretta, tentativi fisici da parte di mia nonna che si sentiva colpevole del fatto di aver messo al mondo sette figli tutti sani, tre dei quali erano mancini .
Dopo tanti anni quando pensavo che la gente fosse immune da certi pregiudizi mi è successo ancora di ricevere affettuosi consigli su come guarire da questa mia diversità soffrendo, di essere guardata come una mosca strana.

Ho riascoltato pregiudizi di allora, li ho rivissuti, ma io sono piacevolmente diversa.
Che importa se ho l'uso di entrambe le mani?
Se con le mani posso stendere su una tela bianca i colori di un paesaggio?
Se posso usare i colori addosso a me e vestirmi di Luce?
La Luce che secondo gli altri avrebbe potuto abbagliarmi e farmi male
era la luce della mia fotosintesi.
Ci sono voluti molti anni per scoprire quanto impegno hanno messo le persone per aiutarmi a sentirmi goffa, sgraziata, inidonea.
Sono cresciuta come una pianta anemica perché non riuscivo ad avere abbastanza luce interiore, fotosintesi necessaria a farmi crescere quanto dovevo.
Ho travato la quantità dentro di me la Luce rosata che spinge a sinistra
il turchese e si fondono in un tenero abbraccio: la vista del cuore!
Penso a come possano nascere catene di affetto e di amore da scintille del cuore
di quello che ti circondato nel passato.
Non sempre sono stata scartata, ha avuto ed ho persone che mi vogliono bene.
Nel mio passato c'è amicizia, amore, una famiglia.
Sulle cui origini hanno avuto tutti da parlare.
Molti con ammirazione, per lo stile, la generosità, la creatività di Giovanni, il mio nonno paterno, pasticciere e innamorato del suo lavoro, morto a causa di esso.
Non si muore facendo torte e pasticcini.
Sono volutamente ingarbugliati i fatti, i documenti e le date del suo decesso, la secretazione nel vedere la salma se non su autorizzazione del giudice, il suo seppellimento veloce, il certificato di morte redatto con una da data anteriore di due giorni rispetto a quella accertata dal giudice fa pensare che non si trattasse di infarto ma di morte per un corto circuito avvenuto nella fabbrica.
Aver visto il corpo carbonizzato, così confessò uno degli operai a mio zio, segretamente, per non perdere il lavoro in fabbrica fa pensare capire che un uomo che pieno dopo-guerra, quando si va alla ricostruzione sessanta anni fa va alla fabbrica del ghiaccio ed apre la maniglia della ghiacciaia,con l'acqua per terra è un morto pericoloso, tanto più se lascia una vedova e quattro figli.
Meglio fare finta di nulla.
Io anche avuto un passato fatto di amore, di comprensione, di legami del cuore che nessuna cosa può estinguere.
Perché vedo l'amore di cui sono circondata e lo ha visto anche il mio uomo.
Forte e debole come un uomo con le sue fragilità pronte ad abbattere il muro.
Il muro dell'ostilità su cui ha fatto breccia l'amore.

Amore dolce, forte maturo che ancora riesce a farci piangere e ridere.
L'amore con cui sono vissuta, le profezie dei vecchi compagni di partito.
Gente vecchia e giovane gente per bene e per male .
Un vecchio compagno di partito mi disse che non ero fatta per stare al paese
il mio destino sarebbe stato altrove.
Io, la donna che metteva avanti la propria semplicità, per evitare complicazioni,
ero uguale a tanti altri.
Tutte le persone che si ritengono semplici sono estremamente complicate, insicure,
hanno poca autostima, si giudicano parecchio e con poca indulgenza hanno poco tempo per se stesse.
Fermarmi e gustarmi il mio tempo é una cosa su cui avevo bisogno.
Dopo anni di aridità troppa acqua fa marcire le radici quindi dovevo bere a poco a poco.
Quando intraprendi un cammino non sai mai quello che si aspetta;
sedotta dalla magia della notte, attendevo qualcosa si speciale
L'aria carica di vibrazioni positive.
Infatti la comunanza di sensazioni con altre persone
mai conosciute non erano esperienze
a me solite.
Ho sempre pensato alle sensazioni come qualcosa da tenere per me, da condividere solo con persone che ti conoscono, ho accettato di non vedere cose che mi erano palesi, ho incontrato vampiri creativi, amici che esprimevano giudizi, mi faceva comodo evitare contrasti fino a quando non mi sentii triste ed oppressa.
Adesso mi trovavo con persone sconosciute, non parlavano la mia lingua
che mi comprendevano ed io parlavo con loro.
Ascoltare la voce del vecchio era un'esperienza mistica.
le finestre si illuminarono, uscirono persone dalle case.
C'era gente di ogni età … mi feci largo tra la folla ed ascoltai anch'io.
Ecco che quel vecchio con la voce baritonale ci raccontava la storia di Piotr.
Il suo saggio e vecchio amico gli aveva insegnato tante cose parlandogli della sua vita da fuggiasco.
Le parole scendevano dritte al cuore, l'aria era così carica di energia che anche la luna rallentò il suo giro per fermarsi ad ascoltare.
Piotr sapeva parlare al cuore della gente.
Non aveva mai rimproverato o deriso nessuno, non aveva mai elargito consigli eppure raccontava storie che arrivavano dritte al cuore di uomini e donne di tutte le età.

Raccontava l'amore.
Raccontava il suo percorso dai Balcani fino ai Pirenei, la sua fuga, l'aiuto e la compassione che aveva trovato nelle persone a cui aveva consegnato se stesso, il proprio cuore, con la stessa semplicità con la quale un bambino si butta fra le braccia della mamma.
Non ha mai detto cosa aveva perso lungo il percorso, si era liberato di tante cose inutili … "Un viandante deve avere il minimo del bagaglio se vuole fare tanta strada" -soleva dire- " e poi se ti porti dietro tutto non puoi avere la curiosità, il bisogno, l'umiltà per chiedere" … "La mia mente ha rimosso le porte chiuse, forse non ne ho mai incontrate, mi fermavo vicino a qualche porta socchiusa, da cui usciva uno spiraglio di luce. Chi non ha paura di essere derubato non chiude mai la porta del cuore, e trova sempre un angolo per ospitare e conoscere una persona che viene da lontano."
Si poteva sentire il respiro dei presenti ed il miagolio dei gatti in amore. Dai nostri cuori uscivano colori che andavano a costruire i più bei disegni colorati perché la storia di Piotr aprì le porte dei nostri cuori.
I sogni possono realizzarsi.
I sogni si realizzano se tu lo vuoi, quando lo vuoi!
Se non hai un sogno non sei libero. Ho cominciato a comprendere la libertà quando ero in prigione - proseguì l'uomo-
"Quando ero chiuso in una cella avevano imprigionato solo il mio corpo, la mia anima volava libera in mezzo alla pioggia, al sole, al vento, all'acqua, alla vita che mi aveva portato in cella."
E' un reato pensare non pensare, adeguarsi, lasciare che le cose scorrano come sempre cio è arginando il flusso dei nostri pensieri, con idee che non ci appartengono, con una vita di disperata rassegnazione.
E'reato pensare che tutti possano essere unici ed originali?
Il pensiero, la pace, la originalità di essere ognuno irripetibile questo è miracolo non un reato.
Il reato è la violenza psicologica e fisica.
Quando c'è armonia si espande il respiro dell'Universo e tutti i sensi si allargano
diventano una cosa sola e sfondano dei luoghi comuni, del1'apparire diventiamo solo quello che siamo, quello che vogliamo.
Cadono le maschere e diventiamo noi stessi il ponte dei nostri desideri, dei nostri sogni.
Non c'è pazzia: c'è libertà, c'è amore, condivisione, c'è il Divino che in noi.

Qualcosa che trascende la memoria, il calcolo, la convenienza, la furbizia, l'invidia…
tutte limitazioni dell'anima.
C'è un mondo uguale infinitamente grande e parallelo dove proiettiamo la parte di noi che anela a profondità o ad altezze strepitose.
Un mondo nel quale i nostri sogni vivono sono reali, diventano più facili da realizzare rispetto ad ogni cosa.
Basta crederci, nei sogni c'è quello che vorremmo, c'è un progetto, c'è un legame con noi che fa si che tutto diventa realizzabile solo se non li abbandoniamo.
Ci sono molti sogni orfani, cadaveri lungo la strada, o sogni bambini che ti cercano ti guardano per vedere se sei tu quello che li creati.
Io ho trovato diversi sogni, sono cresciuti con me e sono diventare creature vere.  

Perché gli uomini partirono alla ricerca del Sacro Graal.
Una ricerca che ha impegnato gli uomini di tante epoche
di tante generazioni; la ricerca che ha dato origine a guerre,
spargimenti di sangue ha fatto nascere sette segrete,
miti e leggende, speculazioni letterarie.
Il grande boom del "Codice da Vinci", per esempio.
L'uso maniacale della simbologia, molte volte fuori luogo.
Oggi ho avuto la grande rivelazione!
Furono gli uomini a partire per la ricerca del Sacro Graal,
furono gli uomini a far nascere sette segrete, a manipolare il
potere.
Più tardi coinvolsero qualche donna o come complice o come
persona erudita capace di fornire a loro le informazioni.
Ma non mi risulta che nessuna donna organizzò la ricerca
per arrivare al potere.
E' ovvio se nel terzo millennio l'uomo che può stabilire il
prezzo del petrolio, la vendita di armi, il destino degli altri paesi
non si sa vestire da solo; non riesce a trovare in un cassetto due
calzini uguali, quando si mette ai fornelli rivolta mezza casa
per bruciare due uova al tegamino o scongelare un piatto pronto;
se per il miglior ingegnere aereo - spaziale la lavatrice è ancora un
mondo ignoto non mi stupisco che dopo centinaia di secoli la ricerca
continui.
Se avessero chiesto ad una contadina qualsiasi, anche di qualche secolo
fa avrebbe placidamente risposto, sapeva dov'era il Sacro Graal,
allo stesso modo in cui sapeva dove poteva essere il paiolo di rame,
o quante galline aveva nel pollaio ed altre cose ovvie.
Io vecchia Cassandra in esilio, vi rispondo come la contadina del
settecento: il Sacro è dentro di noi.
Trovare noi stessi è la ricerca più difficile,
che ogni essere umano possa fare.
Quando ci accorgeremo che possiamo ed abbiamo il tempo
per la ricerca di noi stessi avremo trovato il tesoro: Sacro Graal.       

Condanna a morte di Giovanni.
La condanna a morte di Giovanni era già fissata ma non sapevamo quando sarebbe avvenuta l'esecuzione.
Solo lui potrebbe dire cosa provò quando gli lessero condanna.
Io posso solo immaginare: gli attimi di gelo, strazio totale, l'impotenza il desiderio di fuggire e altri
sentimenti che affollavano la sua anima: i pensieri che urtavano impazzititi,
uscendo di corsa, popolarono la sua mente impazzita ed il cuore in tumulto.
Giovanni era da solo quando il giudice gli disse quando sarebbe avvenuta l'esecuzione.
Tutto avvenne in gran segreto dopo la lettura della condanna, fu lasciato libero.
A me arrivò una soffiata, quando seppi quello che era avvenuto mi si lacerò il cuore.
Quanto é lungo il tempo di un dolore?
I minuti sembrano un'eternità, ma il mio dolore era nulla in
confronto al suo.
Toccava a lui percorrere il braccio della morte.
Lui voleva stare da solo, non gli era facile concentrarsi per giocare la sua partita o pensare addirittura di arrendersi.
Giovanni ,condannato, si rifugiò presso la sua famiglia, viaggiò tutta la notte;
la notte più lunga della sua vita.
Attraversò l'Italia per arrivare al suo paese.
Notte insonne … non bastavano più i tranquillanti, l'anima spaccata in due soffriva per la vita che amava tanto e soffriva perché non sapeva quale maschera indossare per rendere meno gravoso il dolore alla sua famiglia.
Sul traghetto andò al bar, prese un caffè e si permise il lusso di sentire in bocca il gusto caldo,
dolce-amaro e fermò i suoi pensieri in un attimo.
Per quanto tempo ancora avrebbe goduto degli attimi che la morte gli regalava?
Calda serata di settembre la scia di spuma che lasciava la nave solcando il mare lo tentavano come
fecero le sirene con Ulisse guardò il mare, pensa che è facile avvicinansi all'angolo
più buio e …. in un istante tutto sarebbe finito.
Fissa le stelle che lo deridono con la loro sfacciata luminosità ; butta in acqua la cicca dell'ultima sigaretta e torna nella cabina.
Poteva impazzire aspettando, arrivò l'alba il sole si alzava il suo disco arancione
lui decide quale maschera indossare .
In un primo tempo pensò di bara con la sua famiglia, con gli amici …
Come può dirgli sono condannato a morte … "Vi amo oggi sono più consapevole di prima; vi ho sempre amati ma ora il vostro amore è l'unica cosa che mi fa resistere, so che dovrò morire e potrei uccidermi senza raccogliere le briciole di vita rimastami; ma non posso vivere senza il vostro amore"e non voglio deludervi.
Ho sfondato la porta del suo silenzio, gli strappato la maschera le l'ho fatto piangere, ho fatto esplodere tutta la sua fragilità fino a quando Giovanni urla il suo dolore.
Confessa alla sua famiglia che non c'era più niente da fare … é spacciato.
Ho pagato questa violenza, ma volevo che si sentisse amato anche se era braccato dalla morte.
Non avendo dove aspettarla cercammo di prendere tempo e lo convinsi a venire da noi.
Ci chiudemmo nella stessa cella.
La nostra era la condanna di chi spera in un atto di grazia e lui faceva finta di credere alle nostre
illusioni ci incoraggiava, ogni momento divenne una celebrazione alla vita.
Ogni pasto era una festa, ci insegnò a godere degli attimi, di apprezzare il presente.
Non riusciva a contenere le lacrime per ogni gesto d'amore.
L'amore è contagioso più lui dava più noi pensavamo al futuro distacco ma prendevamo e
davamo amore.
Odio che mi dice che ho fatto tanto per lui perché non sa quanto ho ricevuto, cosa ho ricevuto,
è tutto chiuso nel mio cuore e non ci sono parole che bastano.
Era un mondo a parte fatto di sofferenza e di amore, in quel mondo c'erano risate, complicità
amore e condivisione.
Noi tre, Giovanni, Carmelo ed io eravamo una cosa sola.
Un atomo inscindibile di amore.
Giovanni condannato ad andarsene mi contagiò la vita.
Mi infettò con i sentimenti e la creatività.
Quando morì una parte del mio cuore morì con lui.
Niente sarebbe stato più lo stesso ma in tutti i cambiamenti e le tempeste
della vita lui ci sarebbe stato, lui c'è.
Non esiste luogo che non possa essere raggiunto dall'amore.       

Azad
(Lettera a Kate)
Mondo gatto!
Ti volevo scrivere da tanto tempo, è vero che noi comunichiamo con le nostre sensazioni.
Solo durante la vacanza in Bretagna gli umani hanno capito che noi non abbiamo problemi di razza, lingua o religione.
Ti sei accorta che ci hanno persino imitati?
Gli abbiamo fatto riscoprire il gusto del gioco; anche loro si sono messi a giocare a nascondino come noi.
Però avevano difficoltà con la lingua.
Da te ho imparato molte cose: il gusto della libertà, la bellezza di stanare un topolino e il piacere di respirare l’aria frizzante delle fredde mattine della Cornovaglia francese.
Anch’io mi sono sentito molto contento quando ho potuto farti vedere i divertimenti casalinghi.
E’ bellissimo lanciarsi giù per le scale e fare a gara a chi arriva prima, srotolare la carta igienica e usarla per trascinarla in casa.
E’ bello dormire in un letto caldo e soffice dopo aver giocato a lottare.
Cara Kate gli uomini non sanno apprezzare le cose che hanno.
Più ne hanno e più ne vorrebbero …… mi fanno ridere studiano le lingue quando noi abbiamo una lingua universale .
Ma a che gli serve?
Loro non apprezzano le diversità; anzi, ne hanno paura.
Fanno le guerre ( dice la mia umana: Mare) ma non sono le zuffe che facciamo noi e poi ci riappacifichiamo.
Giocano ad ammazzarsi, ammazzano i loro cuccioli non perché sono malati, solo perché ogni razza è convinta di essere superiore alle altre.
Quando mi affaccio a guardare la Luna, amica di noi gatti Mare, la mia umana mi chiede:”Sei triste? A che pensi?”
Non posso spiegarle che nel nostro cuore non c’è memoria per i rancori, non abbiamo rimpianti e viviamo di presente.
La nostra storia ce la portiamo dentro.
Un grande Miaoooo
Azad    

Azad - Il mondo attraverso i miei occhi

(Azad)
Dove abito io, insieme ai miei due umani, c'è anche l'umana anziana, é tutto alla loro portata.
Dell'anziana mi prendo cura perché mi fa fare quello che voglio, e poi é così buffa.
Ma io riesco a fare lo stesso quel che voglio. Vivo con loro da quasi otto anni e li ho ben addomesticati. Mi fanno un po' di tenerezza perché non capiscono il mio linguaggio, ma io
capisco loro. Dentro il nostro habitat ci sono oggetti inutili per me ed altri che mi
fanno divertire. Hanno parecchi oggetti di legno a quattro zampe, con la spalliera, sui quali
appoggiano il loro corpo, sono bipedi! Di questi oggetti i miei preferiti sono quelli che visti da terra hanno il fondo impagliato e loro, che non sanno godersi le cose belle (non é colpa
loro, per essere degli umani apprendono facilmente). Le più belle sono impagliate. La corda dell'impagliatura, cosa fondamentale per tenersi in esercizio, emana un buon odore, bellissima per affilarsi le unghie l'hanno coperta con cuscini. Che furbi vero? Io mi allungo e graffio la corda da sotto li guardo e scappo.
Così li tengo in allenamento perché li faccio giocare, corrono per acchiapparmi.
Le altre cose di legno a quattro zampe che stanno dove hanno le altre camere ed hanno anch'esse la spalliera sono imbottite di stoffa morbida e li molte volte mi addormento li sopra. Non sono male da graffiare, ma la corda delle altre é molto più adatta ai miei gusti.
L'umana femmina é un po' più furba quando non vuole che mi eserciti su quegli oggetti li spruzza di un qualcosa di disgustoso, deodorante, Buah!
Io mi sono abituato ai loro odori e loro li coprono con i "profumi" tuttavia c'é rispetto delle nostre diversità. Riesco ad addormentarmi sul corpo morbido della femmina perché mi ama,
spesso mi dice, mi dispiace di capire poco della mia lingua ma l'amore non conosce limiti di razza perché noi ci siamo scelti. Allora allungo la zampa e non mi importa che non sia ricoperta di peli, che emani quello strano odore, mi stiro su di lei mi addormento facendo le fusa e i nostri cuori battono insieme.   

Memorie di un fantasma ignorante
(Storia di nonna Ursula)

Ho navantott’anni, ho visto cinque generazioni, i miei nipoti diventare nonni, ho vissuto due guerre, eppure tutto il mio mondo è stato quasi sempre rinchiuso nel cortile dove ho sempre vissuto.
Nella mia famiglia non si curano di quello che penso, parlano di me come se non ci fossi.
“Quando la nonna compirà cento anni faremo una grande festa verrà anche il sindaco …”
Io non ho fatto nessun patto col Padreterno!
Sono analfabeta, non ho mai potuto andare a scuola; mi sarebbe piaciuto ma mia madre mise al mondo il mio fratellino più piccolo quando avevo otto anni, poi ne vennero altri e dovetti aiutare la famiglia.
Ho sempre avuto un’anima da accudire.
Adesso vedo poco, ma mi sento più lucida di prima.
Guardo cosa sono diventate le mie figlie ed ho paura di loro: si scannano per la mia pensione. Potessero, venderebbero il mio scheletro già adesso, lo farebbero senza pensarci; loro e tutta la mia avida ed ipocrita discendenza.
Più passa il tempo e meglio mi trovo con i giovani.
Ho un nipote prediletto, l’ho cresciuto io; dormiva con me e il mio povero marito. Questo nipote e’ stato il mio vanto perché non aveva paura di niente.
Si arrampicava sugli alberi come un gatto quando era il tempo delle ciliegie; anche se bambino, lavorava nei campi.
Gli abbiamo insegnato la nostra semplicità contadina.
Il tempo veniva scandito dal lavoro: la raccolta dell’uva, delle castagne, delle mele, la nascita dei pulcini e così via.
Nel mio cuore una rotella dell’orologio si è fermata tanti anni fa con la morte di Nino.
A volte chiedo al Buon Dio se questi sono scherzi da fare ad una vecchia della mia età … sembrava ieri che il mio piccolo era ancora un bambino ed ora è diventato un uomo.
Un giorno di qualche anno fa arrivò a casa con una ragazza magra, con i pantaloni.
La ragazza è timida, fuma perché è a disagio, é una che studia, lui l’ha conosciuto all’Università.
Povera ragazza !
Non sa l’inferno che l’aspetta quando conoscerà bene mia figlia.
Mia figlia, abituata a comandare tutto e tutti, aveva già predisposto il futuro di mio nipote, dei suoi futuri figli e altro ….
Sono troppo vecchia per avere pregiudizi sui giovani; so solo che quando i due giovani sono insieme hanno una luce che li circonda, e io quasi cieca riesco a vederla.
Lui é di poche parole ma a me aveva già raccontato di lei.
Ho parlato con la ragazza, le ho detto che mi piace vederli quando si tengono per mano e che quando arriveranno le difficoltà nella vita dovranno affrontarle sempre così … tenendosi per mano.
La ragazza ha preso la mia mano tra le sue e mi detto:”Grazie Nonna”.
Ho deciso di raccontarle pian piano la storia della mia insignificante esistenza, perché sento che non mi dimenticherà mai; pur essendo una povera ignorante, conosco la vita e il dolore, mentre lei ha tutto il tempo per capirlo.
Forse la mia lunga esistenza potrà farle scoprire qualcosa che non si impara a scuola.
Mi piace il fatto che viene a cercarmi: é come i bambini che vogliono sentire le favole: si siede vicino a me per sentirmi raccontare.
Quante volte ho udito mia figlia chiamare: “ Dai, vieni a casa: la nonna capisce che le dai retta e non finisce più di raccontare!”
Ho anche visto la sua faccia magra, con questi occhi grandi guardarmi con tristezza quasi a chiedermi scusa della sgarbatezza dei nipoti; lei preferisce stare con me, non solo per sottrarsi agli interrogatori di mia figlia.
"Coraggio", le auguro in cuor mio, " non farti vincere da loro!" E soprattutto prego affinché lei non lasci mai mio nipote.
Sono giovani e potrebbero far naufragare il loro amore per stupidi litigi o incomprensioni fatti apposta per dividerli.
Invecchiare significa vedere fatti che si ripetono, ma continuare a sperare di non veder replicare dolori già vissuti.

Una sera d’estate le aprii il mio cuore:
- Sono un fantasma che cammina, sono diventata un' ombra che non ha più ombra e non vedo l’ora di andarmene: voglio stare vicina a mio marito e mio figlio … Era proprio una notte come questa quella che non dimenticherò mai. Quella notte divenni mamma di cinquanta ragazzi.
Ti ho già raccontato che avevo un altro figlio, e che fu mandato in Russia durante la guerra? Forse non sai che Nino riposa qua nel cimitero del paese e che ho fatto di tutto per farlo tornare a casa. -
Mi sono fermata per un attimo.
- Hai fatto bene ad andare a scuola. - le ho detto - quando arrivavano le poche lettere di Nino, dovevo trovare qualcuno che me le leggesse. Poi mi portavo nel petto quei tesori.
Avrei voluto leggere e rileggere le sue parole per sentirlo più vicino, ma una volta lette, nessuno voleva rileggermele.
Io non mi sarei mai stancata di risentire quello che mi aveva scritto mio figlio. -
Sospirai. La ragazza mi guardava attenta..
- Così imparai ad usare la memoria e, quando mi leggevano le lettere, io fissavo attenta le parole. Così le ricordavo una a una. Ogni tanto mi ripetevo quello che mi aveva scritto, cercando di immaginare il suo Inferno. -
Le stelle quella sera sembravano più luminose del solito. Continuai:
- Non mi rassegnavo, sai, poteva essere fra quelli che erano riusciti a scappare. Forse una notte avrebbe bussato alla porta e lo avrei abbracciato forte. -
Sentivo il ricordo del mio affanno:
- Le notizie arrivavano da altri paesi vicini e non erano buone.
Le mie notti erano piene di speranza. Parlavo con la Vergine Maria per chiederle la grazia di farmi rivedere mio figlio; le parlavo da madre a madre. Forse sbagliavo, ma nelle mie suppliche trovavo quel poco di conforto che nessuno poteva darmi. -
La giovane aveva occhi grandi: ora luccicavano nel buio. Ripresi:
- La guerra finì. Prima sbarcarono gli americani; ci furono altri morti. Ma di Nino nessuna notizia.
Un giorno un mio lontano cugino venne da un paese vicino con una lettera di suo figlio. La lettera aveva impiegato sei mesi per arrivare da lui e così venni a sapere che Nino era in Italia. -
A quel ricordo il cuore mi si strinse, lacrime scendevano quasi a mia insaputa lungo le mie vecchie rughe.
- Stava morendo! Il figlio di mio cugino Bastiano lo aveva visto: Nino aveva preso la tubercolosi, era in fin di vita!
Rimasi sconvolta, ma la candela della speranza non mi abbandonò: forse Nino era morto, ma forse si sarebbe ripreso, lo avrei rivisto. -
La ragazza pendeva dal mio racconto, la sentivo vibrare con me.
- Mio figlio era in un ospedale di Trieste, ripresi, pesava trenta chili e c’erano poche speranze che arrivasse a casa vivo.
Solo se fosse riuscito a riprendersi, avrebbe potuto affrontare il viaggio fino in Sicilia.
Io lo pensavo intensamente, quasi a inviargli energia attraverso il vento che soffiava sullo stretto, al di là del mare, delle montagne ... fin lassù, al Nord, a quel letto bianco d'ospedale, al suo cuore stanco. -
La ragazza accettò il mio silenzio, poi lo interruppe:
- E poi? Si salvò? -
- Passarono altri mesi interminabili e Nino fu portato a Catania all’ospedale militare, ma non me lo facevano vedere, perché era contagioso. Allora, un giorno, mi decisi: misi in borsa quanto mi serviva, presi la corriera da sola, ed andai a trovarlo.
Non era facile per me cavarmela in una grande città, ma una madre sa trovare le strade che per altri sono più difficili.
In ospedale c’era un dottore duro, aspro, che non voleva farmi vedere mio figlio e di fronte alle mie insistenze urlava forte contro di me.
Mentre urlava " Sei solo una contadina ignorante, una montanara cocciuta", picchiava forte col pugno sul tavolo. Io stavo in silenzio e lo guardavo negli occhi.
- Cosa pensi di potergli dare che lui non abbia qui? La sua è una malattia contagiosa: volete morire tutti tisici? -
- Non ho altri figli, mentii, posso occuparmi di lui: ho una piccola stanza staccata dalla casa, Nino dormirà lì e avrà sua madre vicina. -
Il medico mi guardava severo, non sembrava commuoversi alla mia preghiera:
- Non è possibile donna, tu hai la testa di un mulo, ma dovrai capire le mie ragioni. -
Girò le spalle e se ne andò urlando.
E’ vero che sono una contadina cocciuta, non mi ha mai fatto paura la fatica; il mio povero cuore ha sopportato tanti dolori. Anche questa volta non mi sarei arresa.
Mi guardai intorno e chiesi ad un infermiere dove erano i ragazzi tornati dalla Russia. L’uomo mi indicò una camerata con la porta chiusa da cui uscivano gemiti e lamenti da Purgatorio.
Mi nascosi nel gabinetto tutto il giorno e, quando sentii che andavano via ( lasciavano solo un infermiere di guardia), io aprii la porta ed entrai. -
- Che coraggio, nonna! -
Sorrisi. Poi ripresi seria vinta dai ricordi:
- Sai, quello che avevo ascoltato dietro la porta era niente. Sapessi quello che mi apparve!
Erano degli scheletri di ragazzi che chiamavano la mamma.
Li guardai uno per uno.
Un giovane allungò la mano e mi disse:
- Portami a casa! - Gli asciugai il sudore, lo accarezzai e andai avanti. Gli occhi avidi, il cuore in ansia, cercavo Nino. Ma non lo vedevo. Finalmente mi avvicinai ad un letto che sembrava vuoto: c'era Nino! Non si vedeva neanche la forma del suo corpo. Avevo fatto fatica a riconoscerlo, ma l’avevo trovato.
Nino mi riconobbe e scoppiò a piangere, sentii trambusto, mi nascosi sotto il suo letto e passai sotto il suo letto il resto di quella notte. -
Mi fermai al ricordo di quella notte. La ragazza taceva in attesa. Ripresi:
- Cominciò ad apparire un leggero chiarore; dal mio fagotto tirai fuori i pantaloni, le calze, la camicia. E lo vestii.
Povero figlio mio!
Il suo corpo era scosso da tremiti; bastava un piccolo sforzo o un’emozione a farlo tremare.
Lo abbracciai forte e gli dissi :
-Coraggio Ninuzzo, sangue mio, ti porto a casa e non ti lascio più. -
Uscimmo di nascosto. Io lo sorreggevo. Arrivammo fino alla corriera e lo portai a casa.
Prima di arrivare in paese fu preso da un’altra scossa di tremiti. Io lo stringevo fra le braccia; pian piano si calmò.
Lo tenni nella stanzetta da solo, lo imboccavo come un bambino; la notte dormivo con lui. -
La ragazza mi guarda con ammirazione:
- Ma non avevi paura che ti cercassero? -
- Nessuno venne a cercarci, ma passai le prime settimane nel terrore che me lo riprendessero.
Tre mesi dopo Nino moriva fra le mie braccia. Aveva solo ventitre anni.

Ho continuato a vivere e ringrazio Dio per avermi fatto godere gli ultimi mesi della vita di mio figlio vicino a lui.
Non c’è notte in cui non prego per lui e per quei ragazzi che avevano bisogno di conforto e amore.
Sono passati tanti anni, quella casetta si è ingrandita: è la casa di tua suocera. Quando l‘hanno buttata giù per ricostruirla ho chiesto al tuo ragazzo, l’unico dei nipoti che mi avrebbe capito, di non bruciare le cose di Nino che avevo conservato. Poche cose: le lastre dei suoi polmoni, qualche paio di pantaloni ... Volevo che quel poco che rimaneva di lui stesse nelle fondamenta della casa che stavano per costruire.
In qualche modo Nino doveva continuare ad esserci.
I muratori demolivano la casa e sentii mia nipote, la figlia dell’altra mia figlia, dire al tuo fidanzato di non darmi retta.
Lui, è cresciuto montanaro, testardo come me ( non riesco a trattenere un sorriso pieno di orgoglio)!
Infatti, mio nipote venne a cercarmi, mi prese per mano e mi disse:
- Dammi le cose di zio Nino. - poi scavò un fosso e le seppellì..
Dopo hanno buttato sopra la colata di cemento.
Quando morirò qualcuno dimenticherà questo fatto, o altri ne parleranno come i desideri di una vecchia bizzosa. Che mi importa?
Io sento che Nino mi è ancora più vicino.
Alla mia età si apprezzano tante piccole cose: é bello avere qualcuno che ti ascolta e forse un giorno potrà ricordarsi di questa storia.      

Donne al volante.
In una strada nebbiosa, che popola i miei sogni, a ridosso di un grattacielo, alto due piani, c'è una viuzza dimenticata dal sole dove la pioggia ha cancellato i colori delle case, che, sembravano vecchie quanto il tempo.
Nella strada vi sono anonime botteghe e le luci tremolanti oscillano sotto forti raffiche di vento.
E' una fredda serata di gennaio, le feste sono appena finite e la tristezza è d'obbligo.
Tutti hanno riposto l'allegria insieme agli alberi di Natale ed ai presepi.
La gente cammina frettolosa e malinconica pensando al nuovo anno da affrontare e all'inverno particolarmente gelido.
In quest'atmosfera sonnolenta, invidio la solitudine rassegnata della piccola donna vestita di nero.
Nella sua dignità vedovile sembra estraniata dal mondo; sembra aver cura solo del suo piccolo mondo.
La vedo muoversi dalla vetrina; é paziente ed operosa come una formichina.
La signora Sara fa scorrere sui vestiti ancora imbastiti il suo ferro da stiro, da cui si sprigionano nuvole di fumo, nella stanza piena di manichini e modelli ancora imbastiti, ritagli di stoffa, pizzi e merletti.
Una ragazza seduta sul banco le racconta qualcosa; Sara la segue, con scarso interesse, emergendo distrattamente dai suoi pensieri e con un sorriso triste sembra scusarsi.
La signora Sara è sempre dello stesso umore; non si fa scoraggiare da montagne di lavoro da fare.
Trascorre le sue serate tutte allo stesso modo; ogni sera é così uguale alle altre che sembrano riflettersi allo specchio, sono i bambini e i rimpianti a tenerle compagnia.
C'è qualcosa di là del suo sguardo che si perde nel vuoto: c'è lei; sempre lei che innaffia i ricordi con lacrime mai versate.
Si rivede adolescente pensare alla vita e sognare l'amore e sospira, involontariamente, pensando ai suoi sogni di ragazza.
Sara, la quarta di una nidiata di sei figli, align=center>

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