Racconti di Rosa Maria Armentano


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Rosa Maria Armentano

Rosa Maria Armentano, è nata a Castrovillari (CS) il 28 Maggio 1955 e vive e lavora nel suo paese di origine. Dopo il diploma ha frequentato l'Università di Bari laureandosi in Lingue e Letterature straniere e attualmente è docente di Lingua e Letteratura Inglese presso l'Istituto IPSSAR di Castrovillari. Ha sviluppato la passione per la lettura fin da adolescente, mentre frequentava ancora le scuole medie, raccogliendo in un diario tutte le sue composizioni che sono accompagnate da una profonda sensibilità rivolta all'auto riflessione sul mistero della vita e sulle sofferenze umane, in parte maturate da alcune esperienze personali, negativamente vissute. Questa ricerca introspettiva si è perfezionata in età più matura con la scrittura che le ha permesso di comunicare e di esprimere meglio il proprio vissuto interiore. Scrivere è stata quasi una terapia per liberarsi dalle angosce ma anche per socializzare sentimenti, emozioni, riflessioni, ricordi, filtrati dalla propria esperienza intima sviluppando, attraverso la poesia e la narrativa, uno stile diretto, immediato e semplice, perché vicino al quotidiano soffrire e amare del genere umano. La poesia è diventata, pertanto, esplosione di un egocentrismo teso a scrutarsi interiormente per comprendere coerenze ed incoerenze dell'esistenza considerando sempre che la vita è amore e che, per questo, deve essere accettata e vissuta con fede e speranza. A partire dal 2005 ha partecipato a diversi bandi letterari nazionali e internazionali conseguendo una segnalazione di merito al Bando Internazionale "Insieme nel Mondo" del 2007 di Savona ed è stata inserita nella terna dei migliori autori scelti a far parte della Antologia Letteraria del concorso; finalista nel 2007 al premio internazionale "Elsa Morante" di Roma per inediti; "Menzione D'Onore al 12° Premio Letterario Internazionale "Trofeo Penna D'Autore" del 2007 di Torino ed una Segnalazione nella Sezione Narrativa al 4° Bando Letterario Europeo di Poesia e Narrativa 2008 Città di Montieri (GR).
Nel frattempo ha continuato la sua attività artistica producendo nuovi elaborati poetici e partecipando a concorsi nazionali ed internazionali sia con poesie singole, sia con silloge di poesie ed anche con brevi racconti.
Nel 2008 ha pubblicato il suo primo volume di poesie “La voce del cuore” per i tipi delle edizioni Libellula di Tricase (LE)
Ultima sua fatica il presente romanzo, quasi autobiografico, dal titolo “Il racconto della mia terra”, con introduzione di Ines Ferrante, edito dalla Casa Editrice Leonida di Reggio Calabria.

 

Leggi le poesie di Rosa Maria

La terra di nessuno
Nel cielo infinito, dal colore azzurro tenue, l'aria mite si concentra e su su,
laddove lo sguardo da terra coglie il mutare del tempo. Solo qualche scia di volo oppure l'arco colorato dell'arcobaleno creano uno scenario che lascia la mente di un bimbo fantasticare. Spesso questo cielo sereno si oscura e qualche turbamento accade, allora si iniziano a vedere le masse dal colore grigiastro che di varia forma e di varia intensità si raggruppano, si spezzano e sembrano muoversi nella medesima direzione avendo un aspetto diverso anche se simile nella loro natura, proprio come gli esseri terrestri visti dall'alto … tutti uguali, tanto da sembrare piccoli puntini appena visibili che si perdono nell'immensità dei colori e degli spazi ….
Nel contrasto dell'aria e della sua temperatura, vengono a formarsi delle marionette colorate che danno al cielo uno scenario nuovo con colori diversi che spesso preannunciano un mutare del tempo. Io, da bambina, dietro i vetri della finestra della mia cameretta, amavo guardare e osservare quasi con guardo fisso lo spostamento di queste masse. Mio padre allora diceva che il tempo sarebbe peggiorato e quindi non potevo uscire per giocare e correre all'aria aperta come amavo fare. Quell'immagine comunque mi affascinava perché fissandola, mi sembrava di vedere un qualcosa di sovrannaturale… pensavo ad un essere paradisiaco che si incarnava e dava forma a dei volti che sembravano mi sorridessero. Io, felice pensavo che qualcuno lassù stesse proteggendo la mia persona e che un angelo del Signore fosse presente dietro una nuvola.
La mia fantasia correva e l'immaginazione seguiva con attenzione i racconti dei miei nonni, che seduti davanti al caminetto durante l'inverno, quando fuori pioveva o nevicava, mi raccontavano. Ricordo che mia madre sferruzzava per fare dei maglioni di lana per me, mia nonna era intenta a mantenere acceso il camino con un ceppo più grosso su cui poggiavano i pezzi di legna più piccoli. Mio nonno in quelle serate invernali, amava raccontare le storie del suo passato di soldato che aveva dovuto affrontare la durezza di due guerre mondiali; oppure per tenere un clima più armonioso, si inventava delle storielle che mi incuriosivano insieme agli altri nipotini che erano lì attenti nell'ascolto. Ricordo, una in particolare, che parlava di una nuvola e di una terra lontana dove mio nonno era stato a combattere durante la I guerra mondiale. Questa terra era rimasta ancora "la terra di nessuno".
Un giovane soldato parte dal suo Paese insieme ad altri giovani per andare a combattere in una terra lontana, un Paese allora colonia dello Stato Italiano.
Non immaginavano di trovare una terra arsa dal sole con gente dalla pelle scura, donne e bambini con pochi indumenti addosso, un modo di vivere molto misero con scarso cibo e tanta mancanza di igiene; case fatte di terriccio e senza servizi igienici e senza acqua; solo dei pozzi sparsi erano la fonte dove prendere acqua per le primarie necessità. Purtroppo il compito di questi soldati era quello di ostacolare quei popoli e quegli eserciti pronti a difendere la loro terra, povera per i poveri ma ricca di materie prime, spesso usate e sfruttate dai Paesi colonizzatori. Quei soldati soffrivano il caldo e la sporcizia, poca acqua da bere, poco cibo e tanto sudore. A loro di quella gente, abituata a vivere in quelle misere condizioni, poco importava; mentre i bambini malnutriti, facevano tanta tenerezza. Sole, tanto sole, mentre si aspettava che l'acqua cadesse dal cielo sempre chiaro con quella luce che stentava ad abbassarsi all'imbrunire.
I soldati compresero come quella parte della terra, fosse dimenticata dalla natura e la causa di quella povertà era proprio la mancanza di acqua. Le donne, portavano cesti che riempivano con acqua dai pochi pozzi sparsi e anche una sola goccia era un bene prezioso. Molta gente si trovava, forse da secoli, a vivere in quelle tristi condizioni e nulla potevano fare per cambiare le sorti della loro esistenza. Poche le piante che si sviluppavano su quelle terre arse dal sole e pochi i frutti per cibare quei piccoli bimbi negri che nulla sapevano di quante ricchezze e velleità esistevano in altre terre lontane…
A volte qualche soldato prendeva la propria borraccia e faceva bere qualche sorso ai bambini, ma anche essi non potevano fare di più.
La guerra portava distruzione laddove la vita era già precaria. I Governi continuavano ad armare anche i ragazzi più giovani e gli stranieri dovevano combattere per rispondere al loro dovere di soldati che lottano per la Patria.
Mio nonno, continua a raccontare la storia di un miracolo della natura, forse una storia vera, forse una leggenda…
Un giorno, una nuvola si distaccò dal suo gruppo e seguendo una luce lontana vide una lunga distesa di terra dal colore rossastro, sembrava un fiume che scorreva su un letto dorato, si incuriosì e andò verso quella direzione. Man mano che si avvicinava, scoprì la terra bruciata dal sole e un fumo intenso si innalzava dal suolo creando un grande polverone che schiarendosi, apriva una immagine triste … Tante piccole gocce, come di rugiada, solcavano il viso di tanti piccoli esseri che piangendo chiedevano al mondo un disperato aiuto. La nuvola, sentiva che il Signore soffriva per la malvagità umana e comprese che era giunto il momento di fare qualcosa di utile per dare aiuto a quella gente. Con un soffio, seguito dalla luce viva del fulmine a ciel sereno si aprì, raccolse tutti i suoi elementi e si sciolse in una pioggia sottile e duratura. Inondò quella terra, dandole quel vigore di vita di cui ogni pianta ha bisogno, mentre l'acqua cadeva, tutti gli esseri, accolsero con grande gioia quell'evento inopinato. Tutti, grandi e piccini correvano felici sotto la pioggia che puliva i loro corpi. Con le bocche aperte sorbivano
quelle gocce che erano un vero miracolo della natura, colmando lentamente l'arsura che soffocava le loro gole secche. Gli uomini sulla terra smisero di sparare e guardarono quel cielo che pur mantenendo un colore terso, mandava giù la manna che nessuno mai avrebbe atteso. Il miracolo della nuvola aveva fatto comprendere agli uomini l'inutilità della violenza e la necessità di soddisfare i bisogni primari attraverso la pace, che da sola colma la sete del vivere.


Racconti della mia terra 1
Vorrei aprire il mio cuore e raccontare tutto il mio vissuto, una storia, come tante, per me è sempre originale e unica perché vissuta in prima persona. Quando il periodo che si attraversa sembra sereno e la vita sembra scorrere normale, allora si vive la quotidianità senza pensare al domani, il presente assorbirà ogni attimo della giornata con i vari impegni ed il tempo di fermarsi, riflettere, pensare…scorre la mente divaga ed il corpo in movimento consente una leggerezza nel vivere. Se un dubbio ci assale, se una sofferenza ci logora, allora la mente sembra bloccarsi e così il corpo perde la sua elasticità. Voglio solo scrivere appunto in uno di questi momenti di pausa, riflessione, qualcosa che appartiene al mio passato, ma potrebbe essere una storia molto simile a quella di un'altra donna e un'altra ancora….
Le generazioni cambiano e da quando avevo l'età della prima giovinezza ad oggi i cambiamenti sono stati molti….ma osservo le giovani ragazze, che mutamento di comportamenti! Le mode, i costumi, i valori, i rapporti interpersonali, la morale, quante cose sono cambiate! Mi sento vecchia, di un secolo, ma no…sono solo una persona di un altro mondo con i principi e l'educazione che hanno calzato la mia giovinezza. Ma l'uomo, al fin mi chiedo, può cambiare radicalmente la sua natura al cospetto di una società diversa?
La bimba corre felice tra i campi e guardando i fiori e tutta la bellezza del creato intorno corre e osserva la natura tutto le sembra un angolo di Paradiso la vita è un dono meraviglioso. Una bimba cresciuta in un ambiente familiare sereno, assapora ogni momento della giornata, ogni piccolo avvenimento, ogni cosa possa essere oggetto di osservazione ed interesse. Tornata a casa, ci sono i genitori amabili ad accoglierla, lei riesce a cogliere l'affetto che unisce i membri della sua famigliola e quest'affetto la spinge a sognare …
Una figura importante è quella della nonna. Una donna anziana, con abiti lunghi ed una treccia raccolta sulla testa come una coroncina del rosario, quella coroncina che la nonna porta sempre con sé come una reliquia sacra, insieme ai libretti della chiesa con tutti i salmi e le preghiere, le figurine dei santi che accompagnano attimo dopo attimo la vita di questa piccola donna incurvata dagli anni e dalla fatica di una vita di lavoro duro. Il paese dove la famiglia vive, è un piccolo paese di montagna, con vicoli stretti, vecchie case alcune con dei grossi portoni con archi e
delle corti dove i bimbi si riuniscono per giocare soprattutto nelle giornate fredde e piovose invernali. Il sole appare e scompare presto tra quei vicoletti e quando il cielo si oscura, la pioggia scende come fili argentati da nuvoloni grigi che oscurano la poca luce nei vicoli, sembra all'improvviso faccia buio, l'acqua piovana scorre sulle strade di pietra e si raccoglie intorno ai cunicoli ai bordi delle strade, dover camminare è quasi un'impresa. Io bimba, stavo dentro, dietro i vetri delle finestre osservavo questo scenario della natura e aspettavo con ansia il termine di quelle tempeste che impedivano la mia uscita le mie lunghe passeggiate, l'incontro con le mie amiche di gioco, il nostro correre su e giù quei gradini che portavano da un vicolo all'altro; e quando nel cielo tutto sembrava terminato, le nuvole lasciavano quel posto, la luce ritornava a volte con i colori meravigliosi dell'arcobaleno, comunque i raggi del sole schiarivano intorno ed il giorno continuava il suo tempo fino all'imbrunire. Il tempo…scorreva veloce per il tempo dei giochi, delle chiacchierate con le amiche, le facili risate che nascevano spontanee dai piccoli ed ingenui scherzi, da frasi senza senso dette, da battute appena spiritose, candide e pettegolezzi vari. L'età dell'infanzia e della prima adolescenza, in un'epoca del dopoguerra quando il Paese si trasforma ed i costumi si vanno modificando. In inverno, quando il cielo è chiaro e l'aria diventa rigida, si preannuncia una notte in cui la neve copre dapprima quei tetti bassi delle case, poi silenziosa, imbianca i vasi con le piante sui davanzali delle finestre ed infine le strade di pietra vedono i primi fiocchi sciogliersi e poi come un mantello bianco, man mano che il tempo passa, nulla più è movimento, solo al mattino lo scenario è un presepe vivente, con
tanto candore intorno e pochi rumori fuori…tutto sembra addormentarsi sotto la coltre bianca e l'aria si fa più tiepida ed il cielo più chiaro ed il vicoletto mostra solo orme di qualche passante che con stivaloni ha attraversato la stradina perché comunque il fornaio di mattina presto, ha già sfornato il pane fresco, il macellaio ha già preparato le carni da tagliare, il calzolaio apre la sua bottega e qualche rumore dei suoi arnesi si espande nella strada che vede pian piano gente che inizia a muoversi per continuare le proprie attività perché la vita in questo paese di montagna continua indisturbata dalla coltre bianca. Così anche il mercato della frutta si riempie di gente che dai campi ha raccolto legumi e prodotti che col freddo hanno mantenuto la loro freschezza. I bimbi, amano stare fuori e giocare con le palle di neve, qualcuno si arrabbia e urla perché ne viene colpito, mentre la gioia dei piccoli è tanta sia perché nei giorni più freddi non vanno a scuola, sia perché i giochi nelle strade danno loro una forte emozione. Emozione! Il senso ora comprendo di quel periodo, tutto era un'emozione: l'età della fanciullezza, spensierata, ma non solo quella; l'epoca in cui si viveva era piena di sensazioni piacevoli, sentimenti sinceri e veri e tutto il mondo circostante aveva il sapore della genuinità. Vivevo quei meravigliosi giorni insieme alla mia nonna paterna che tante cose mi ha insegnato e tanti ricordi mi ha lasciato. Dopo una giornata trascorsa fuori con le compagne di giochi, o spazzare la neve sui gradini della scala esterna che portava al pianerottolo del primo piano dove c'era solo una cucina con un bel camino e un sottoscala dove c'era un letto per gli ospiti, un bagnetto col water e un lavandino e poi la scala di legno che portava su al 2° piano dove c'erano altre due camere da letto con un terrazzo pieno di vasi con gerani e altri fiori che la nonna custodiva con amore; spesso trascorrevo ore liete seduta su quel terrazzo leggendo e fantasticando, mentre il suono della campana della chiesa vicina ed il canto degli uccelli creavano una dolce melodia che riempivano di immensa pace il mio animo. Nelle serate fredde e gelide, si stava sedute al camino, la nonna riuniva la famiglia in preghiera prima della cena, poi si rimaneva a raccontare delle storie. Lei mi volle raccontare un po' della sua vita ed io l'ascoltavo con tanta gioia ed ammirazione, compresi quanta forza reggeva dentro questa piccola donna, nata verso la fine del XIX secolo e cresciuta nei periodi di enorme miseria, attraversando gli anni delle due grandi guerre del secolo XX e tutte le dure conseguenze degli anni che segnarono il corso della sua vita.
Castrovillari 15-02-2012
 

Racconti della mia terra 2
Pietro e Rocco tornarono ai loro impegni di lavoro ed Elisa riprese a studiare con maggiore impegno e serenità ed io continuai a lavorare per la famiglia, cucinare, lavare e fare il pane e la pasta fresca; sembrava che tutto fosse tornato nell'ordine della quotidianità come prima di tutte queste disgrazie ma il tempo era passato e molte cose erano nel frattempo cambiate. Elisa sognava di terminare i suoi studi e sposare Pietro rimanendo a vivere nel paesello di montagna continuando ad aiutare i genitori nei lavori dei campi pur sperando in un lavoro più adeguato ai suoi studi. Spesso col fidanzato andavano alle riunioni del gruppo folk per partecipare alle feste di paese e quello era l'unico divertimento che la coppia poteva permettersi. Il gruppo era comunque conosciuto e le manifestazioni erano momenti di aggregazione sociale e diffusione culturale. L'originalità dei costumi, ricchi di colori e ricami, le danze e il ritmo brioso delle musiche permettevano al Gruppo di essere apprezzato e gradito in ogni contesto al quale partecipava. Il costume della donna era chiamato "pacchiana"ed era stato l' abito indossato nel giorno del matrimonio dalle giovani contadine e dunque inserito nel corredo matrimoniale. Interamente lavorato a mano,(trine, merletti, cotone e seta) richiedeva anni ed anni di paziente ricamo, per il fatidico "sì" dopodiché veniva usato soltanto in occasione delle grandi cerimonie e tramandato gelosamente di generazione in generazione.
Mia nonna aveva custodito questo abito con cui si era sposata ed ora era passato alla figlia.
Pietro era un bravo ballerino e sapeva cantare bene quelle canzoni popolari che il direttore del gruppo folk ricercava da tempo. Una fra queste divenne la canzone scelta e cantata spesso dal gruppo perché scritta nel dialetto locale, s'intitola: "Civitaredda", è un componimento lirico di decisa intonazione romantica, che riprende i vecchi motivi tradizionali e si presenta come una ballata, in quanto, nell'arrangiamento musicale, alle stanze cantate a solo, fanno riscontro "riprese" destinate al coro.
Civitaredda mia, civitaredda
'u bbene chi tti vugghiu no' lu sai,
'a cchiù di n'annu fazzu 'a sentinedda,
'a cchiù di n'annu fazzu 'u va' ca vai.

'A quannu t'agghiu vistu alla finestra
'a quiddu jurnu chi spannìsi i panni,
stu coru pari 'na campana a festa
chi soni cumu fussi festa 'ngranna.

Non pigghiu cchiù ricittu, 'a cchiù di n'annu
'a cchiù di n'annu 'on pigghiu cchiù ricittu,
sempi 'nta 'ssa vanedda addimannannu
ma cchiù addimannu e cchiù mi vrusci mpittu.

'U sacciu,m'hanu dittu, c' 'on c'è dota
ca non c'èdota e non ci su ricchizzi,
tu sì na dota ,no' di guna vota,
ca li ricchizzi tui lli biddizzi.

M'è statu dittu puru ca si' ninna,
ma tu a l'ucchi mii sì na culonna,
ti vogghiu cresci ì, ti fazzu granna
t'aduru cumu fussi 'na Madonna.

Civitaredda mia , civitaredda,
'u bbene cchi tti vugghiu no' llu sai,
'a cchiù di n'annu fazzu 'a sintinedda,
'a cchiù di n'annu fazzu 'u va' ca vai.
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A panza jè di piddicchia,
cchiù ci ni mindisi e cchiù si stinnicchia.
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Essa fu scritta da un autore della cittadina calabrese: Gaetano Magnelli" e musicata da un maestro della Scuola d'insegnamento della RAI. Anche mia nonna conosceva il testo parola dopo parola e la cantava spesso mentre lavorava accompagnata dalla voce più intonata di Elisa. Altri canti della tradizione popolare calabrese erano proposti dal gruppo folk locale e tra questi un componimento del grande poeta calabrese "Andrea Alfano". Si tratta del testo che mia zia cantava alle rappresentazioni varie:"Core mio":
Core miu,chi ssempi sbàttisi
sempi sempi 'nta 'stu pittu,
e non tròvisi ricittu,
core miu,dimmi picchì!

Dicimilu chi jè quissu:
stu dirloggiu di la vita,
(si tti fèrmisi è finita)
dicimilu oi,chi bo' di'!

Core miu,core miu,
t'addimmannu a ttutti l'ure,
jnt' 'a notte 'a jnt' 'u scuru
no mmi stancu 'i addimmannà...

Ma tu mancu sai risponni,
pure tu non sai lu veru:
core miu,si nnu misteru,
pure tu non sai parlà.


Racconti della mia terra 3
La carrozza con la baronessa si avvia e dopo più di un'ora arriva alle porte del monastero, le suore non erano state avvisate ma conoscevano la baronessa e quando la carrozza si ferma, lei scende e va a bussare all'enorme portone, la madre superiore guarda dalla finestra e riconoscendola, apre e le va incontro. Dapprima si meraviglia di quella visita inaspettata, poi comprende quando sa che lei intende parlare con la giovane Giovanna. A sua volta, la ragazza è sorpresa ma accetta di incontrare la baronessa. L'incontro è sconcertante, entrambe hanno imbarazzo ma la madre superiore le lascia da sole invitandole a parlare nella sala riservata del convento, in un posto tranquillo e silenzioso dove gli animi si aprono a quella confidenza quasi familiare dove sopra ogni cosa c'è solo il Signore che vede e ascolta l'angoscia che scaturisce dal cuore delle persone; un posto quasi mistico dove ogni parola viene detta così come il cuore detta e ogni forma di pudore si annulla perché vien fuori la verità delle cose. Giovanna s'inchina di fronte alla madre dell'uomo che aveva amato e lei le prende una mano e la fa alzare, mentre Giovanna si alza, un ciondolo pende dal suo collo candido di fanciulla e Anna Mary d'impulso prende quel ciondolo in mano e l'osserva, lei ha imbarazzo ma subito dice che non ha rubato quel ciondolo, è stato un dono che suo figlio, il barone le aveva fatto facendole credere che lui l'amava. Giovanna con le lacrime racconta di come era iniziata la storia con il barone e di come lei giovane ingenua aveva creduto nelle sue dichiarazioni d'amore, mentre lei si era davvero innamorata di lui e ora quel figlio che doveva nascere, lei era consapevole che era frutto del suo amore anche se non ricambiato: Mi perdoni baronessa, sono una donna onesta, ho amato vostro figlio, non perché fosse ricco ma perché aveva dei modi di galantuomo, mi aveva fatto credere che raggiunta l'età, mi avrebbe sposato…ho creduto…ma quando gli ho detto del figlio è cambiato con me e voleva che io rifiutassi a mantenere questa gravidanza, per me il bambino è frutto del mio amore e deve nascere io lavorerò, cercherò qualsiasi lavoro pur di crescerlo col mio amore di madre, gli parlerò sempre bene del padre e mai saprà tutta la verità, deve sapere che è nato perché voluto da entrambi i genitori.
A sentire quelle parole la baronessa sentì dentro una profonda tenerezza per la ragazza e comprese che diceva la verità, le stava confidando dei sentimenti sinceri, quel ciondolo era segno che lei non mentiva, il figlio l'aveva sottratto alla madre per darlo ad una giovane che lui non rispettava mentre il padre l'aveva dato a lei come segno del suo amore. Comprese quanto fosse sofferente e umiliante per la giovane la situazione in cui si era trovata, l'abbracciò e le disse: Ti ho conosciuto come brava cameriera, ora ti conosco come donna vera con sentimenti sinceri e coraggio e ti apprezzo…vedrai che non sarai sola ad affrontare questa situazione…tu hai in grembo un mio nipotino che è quanto di più meraviglioso possa io avere in questo momento di sconforto e di solitudine…cara ragazza vivi con serenità questa gravidanza perché possa nascere un bimbo sano e non temere nulla, ho già perdonato…ho compreso gli errori di mio figlio e ora prego Dio perché io possa rimediare al male fatto. Nel dirle queste parole, l'abbraccia con affetto e con immensa commozione.
 

Voci sommesse…
La mia vita iniziò in un vivaio, era un campo tutto colorato e profumato di tante piantine e fiori ed io mi affacciavo su un vaso e ogni giorno veniva qualcuno per curarci, dandoci acqua e cibo sufficiente per crescere bene.
Il mio corpo cresceva con un tronco bello diritto e tante braccia che si allungavano intorno. Con l'aria tepida della primavera, anche le prime foglie spuntarono e divenivo sempre più bello e forte da sentirmi un principe nel giardino di un palazzo reale.
Intorno vedevo altre piante come me e anche di forma diversa dalla mia, ma tutte erano belle e continuavano a crescere, spesso qualcuna veniva messa su un grosso mezzo e portata via poi non tornava più nel nostro giardino.
Fu così anche per me…un giorno arrivò un camion, scesero due individui mi guardarono e decisero di portarmi via; lasciai quel giardino colorato e mi portarono in un campo immenso, c'erano altre piante e tutte più grandi di me. Queste piante erano sparse ed io ero sola in un angolo più sperduto del campo.
Sentivo il piacere dell'acqua piovana che penetrava nel terreno e alimentava le mie radici, mi nutrivo come tutte le piante di acqua e altri nutrimenti che sono nel terreno.
Ci volle molto tempo perché il mio corpo divenisse sempre più robusto e la mia chioma sempre più ampia e frondosa ma gustavo il passare del tempo e delle stagioni perché sentivo di respirare l'aria dai vari profumi che la natura sprigiona a seconda della stagione, e poco soffrivo la solitudine di quel luogo. Infatti, come i miei rami si irrobustirono, vidi molti uccelli che si posavano su di essi e vi facevano i loro nidi per i piccolini ed il loro cinguettare, era una dolce melodia che teneva il respiro del mio animo sollevato. Erano uccelli di varia forma: fringuelli, cornacchie, cinciallegre ed altri e lungo il mio tronco, si fermavano altri animali come scoiattoli, ghiri e vi sostavano anche lunghi periodi di tempo; mentre ai piedi, sul terreno intorno, nascevano varie piantine selvatiche, colorate e profumate. Sentivo che la mia presenza era importante in quel posto, non solo per gli animaletti che trovavano rifugio sui miei rami e sul mio tronco ma, man mano che crescevo, riuscivo a portare un'ampia ombra che nelle ore calde estive, era di gran sollievo a tutti quegli individui che passavano di lì e ansanti e sudaticci, di ritorno dai campi di lavoro, sostavano seduti ai piedi del mio corpo vigoroso. Parlavano e bevevano, ma dapprima non comprendevo il loro linguaggio, so che lasciavano buste e carte lì a terra che poi il vento portava via. Erano per la maggior parte dei contadini che andavano nei terreni vicini al mio e lì piantavano altri alberi da frutto, vedevo nelle giornate della stagione calda, delle spighe di grano dorate e ondeggiare, mosse dal vento leggero e formavano uno spettacolo bello e poi tanto verde intorno ; ero felice di trovarmi in quel posto. Ma io ero diventato l'albero più alto e robusto e così divenni un angolo di rifugio di chi cercava sollievo dalla calura estiva. Un giorno si avvicina a me una figura agile, dal corpo gentile, un vestito che copriva delle gambe sottili e ben modellate, il vento sollevava con facilità il lembo della gonna tutta scampanata e colorata con disegni floreali; aveva un volto molto fresco e giovane, uno sguardo innocente e le correvano sulle spalle e sulla fronte dei riccioli dal colore dorato come le spighe di grano. Seguiva altri individui che portavano grossi cesti colmi di frutta e lei ne portava uno più piccolo e con gran fatica. Tutti però cantavano con gioia, e quelle voci si spandevano nello spazio intorno come il suono dell'eco. Lei si appoggiò sul dorso del mio tronco e riposò qualche attimo mentre gli altri si fermarono e le fecero segno di proseguire.
La sera, le stesse persone, passavano di nuovo vicino a me e sentivo DELLE VOCI SOMMESSE, si avvertiva la stanchezza di una giornata dura di lavoro nei campi, il loro passo era lento e faticoso, mentre si affrettavano di ritornare nelle loro abitazioni non molto distanti dal posto in cui mi trovavo io.
Ogni mattina e ogni sera sentivo le loro voci a volte parlottare, altre volte: sbraitare, cantare, dialogare e parlucchiare nella lingua del villaggio; i loro passi, a volte affrettati, altre volte affaticati e lenti; portavano cesti e fagotti con cibo e bibite e spesso si fermarono per mangiare; ma capii che tutti si conoscevano, erano tutti amici e compagni di lavoro, appartenevano ad una stessa comunità.
Tra loro c'era anche un giovane, alto e magro, anche lui con dei ricci sulla fronte e dietro le orecchie, ma erano di colore scuro come il carbone; aveva un passo veloce, lavorava con grande energia. Spesso animava le conversazioni e parlava con tono fermo e deciso e comprendevo uno stato di ribellione senza risposta.
Una sera, prima del rientro a casa, questo bel giovane si avvicinò al mio tronco e si fermò, dopo breve tempo, arrivò la ragazza dai capelli dorati e si strinsero in un forte abbraccio. Quel loro primo incontro durò brevi attimi perché subito dopo sopraggiunsero gli altri e loro si scostarono subito, ma i loro sguardi s'incrociarono pieni di significato. Il giorno seguente, erano le prime ore del pomeriggio, una giornata mite primaverile, vidi arrivare entrambi i ragazzi insieme e si gettarono a terra ai piedi del mio tronco, si abbracciarono e compresi dai loro movimenti che si amavano teneramente, nella loro voce sentivo molta commozione, percepivo la gioia dei loro sguardi e un sentimento di volersi bene dal totale abbandono della ragazza tra le braccia di lui. Il mondo intorno si fermava, solo il cinguettare degli uccelli, rompeva quell'incantesimo in cui i due giovani erano immersi.
Ormai, ogni giorno quasi alla stessa ora, i due giovani arrivavano e si fermavano nello stesso posto dove le foglie avevano formato un letto soffice e accogliente per una coppia così giovane e innamorata; il tempo della loro sosta era breve perché poi arrivavano gli altri e dandosi l'ultimo bacio si allontanavano, ciascuno proseguiva il cammino seguendo direzioni diverse a seconda delle proprietà di loro pertinenza e comunque mostrando dei rapporti di buon vicinato e di sostegno gli uni con gli altri.
La coppia mantenne questo rapporto tra loro segreto agli altri per diverso tempo, finché un giorno li vidi passare con gesto affettuoso e seguivano le altre persone con tranquillità. Si fermarono sotto i miei rami e risero tutti felici. Si abbracciavano senza più nascondersi agli occhi degli altri e nelle giornate calde, continuavano a fermarsi da soli sotto il mio tronco con la passione di sempre. Sentivo il calore dei loro abbracci e la gioia dei loro cuori, partecipavo ai loro sentimenti con la mia ombra, la frescura e il dolce canto dei miei ospiti uccelli; comprendevo il significato delle loro voci sommesse ricche di parole intense d'amore e di passione eterna e anche il mio corpo sentivo sempre forte, vigoroso e giovane.

Un giorno attendevo il loro passare, ma nessuno attraversò il viale e altri giorni passarono senza che io vedessi né i giovani e neanche tutti gli altri che ogni giorno si erano recati al lavoro; iniziai a sentirmi triste ma ancora non comprendevo cosa fosse successo. Ecco allora, come il rumore dei tuoni, vidi balenare in cielo delle luci improvvise, sentii dei colpi violenti e un fumo si sprigionò come se la terra avesse rovesciato tutto il fuoco nascosto nelle sue viscere. Il posto di nuovo si animò, ma questa volta non erano più gli allegri contadini che si recavano nei campi a lavorare cantando o ansimando dalle loro fatiche; gli individui ora indossavano strani vestiti uguali e muniti di fucili e altri oggetti che gettati in aria, scoppiavano con rumori assordanti e l'aria intorno non era più respirabile neanche per una pianta come me.
Le voci dei passanti erano concitate, allarmate, impaurite; essi non erano più uniti, ma si allontanavano gli uni dagli altri e correvano in direzioni diverse, gli animi erano esasperati sospinti da un odio feroce che spingeva alla violenza, un odio forse creato da altri e in tale ferocia realtà erano stati sospinti persone che avevano condiviso una vita tranquilla. L'odio tra persone che ormai avevano dimenticato di avere condiviso tante piccole gioie e tante fatiche per sostentare le loro famiglie; ora si scambiavano insulti e spesso del sangue copriva il terreno e corpi feriti, percossi, doloranti, esanimi formavano il nuovo scenario di quel posto; ancor peggio vedere corpi di bimbi trascinati senza pietà; volti di donne travolti, il loro corpo nudo a terra affranto dalle violenze subite, lamenti, sporcizia e sollevarsi di polvere con aria irrespirabile. Questo spettacolo abnorme appariva un'astrusità senza risposta,
da quanto potevo comprendere, era scoppiata una guerra civile. Dei conflitti etnici che mettevano l'individuo contro il proprio fratello, l'uomo contro il proprio amico, ogni rapporto umano scomposto e violato da apparenti leggi di contrasti etnici, ma sostanzialmente solo vittime di contrasti di altra natura: lotta per il potere; interessi economici, sociali che interessano gli Stati a più alti livelli.
Passò molto tempo e un giorno vidi apparire la ragazza dagli occhi turchini, si avvicinò al mio tronco, mi abbracciò e piangeva; si voltava intorno con tanta paura e compresi che cercava il suo amato.
Intanto quel campo era stato modificato,
avevano messo tutt'intorno del filo spinato che separava i vari territori in modo che nessuno potesse superare i limiti di confine.
Qualche giorno dopo, la mia sorpresa fu grande quando vidi arrivare anche il giovane innamorato. Era molto cambiato, aveva un aspetto molto più invecchiato, con barba e capelli lunghi, ancora più magro. Indossava la divisa di militare e avvicinandosi a me, era tutto impaurito, si guardava attorno per non farsi scorgere; questa volta, aveva davvero paura più di tutte le volte che all'inizio incontrava ai miei piedi la sua ragazza. Cercò nel mio tronco uno spazio vuoto, con un coltellino scavò fino a formare un cuore ( non sentii nessun dolore, ma sapevo che ero custode del segreto più bello) vi mise un foglio di carta, e corse subito via. Compresi che si trattava di un messaggio importante e mi sentivo di custodire un grande segreto.
Venne l'alba seguente, c'era nel campo una relativa calma e così ritornò la ragazza, cercò tra i miei rami e lungo il mio tronco, e finalmente trovò quel foglio, lo raccolse in fretta e corse via.
Fu così che di sera tardi, quando il tramonto calava e le luci si attutivano, vedevo a volte il giovane che portava il suo messaggio che veniva poi preso dalla ragazza nel giorno seguente verso l'alba e vi poneva un altro; erano i messaggi dei loro cuori e scorgevo l'ansia e la paura di entrambi nell'avvicinarsi al mio tronco. Questo scambio di messaggi durò per diverso tempo, finché un giorno
i due giovani decisero d'incontrarsi. Era un pomeriggio di una giornata calda e vidi arrivare prima il giovane e poi la sua donna. Si abbracciarono con tale enfasi come mai prima, scoppiarono in un pianto misto di gioia e di dolore, si sussurrarono parole ricche di commozione, sentimenti, ricordi, fatti, eventi e gli abbracci erano interminabili, le loro voci sommesse, singhiozzanti ed infine caddero ai miei piedi avvolti e uniti dalla passione dell'amore.
Ora questa scena si svolgeva frequente, e nella stessa ora, un'ora poco frequentata col grande caldo della stagione estiva, ed i due giovani si univano in un abbraccio d'amore e di speranza. Però non potevano più rendere il loro amore aperto agli altri, ai loro parenti, ai loro ex-compagni di lavoro, a nessuno perché ormai la divisione etnica aveva reso tutti quegli individui, nemici gli uni verso gli altri e anche le loro famiglie non potevano più unirsi ed il giovane doveva combattere contro chi un tempo aveva trascorso gli anni della fanciullezza di comune accordo.
Questa triste realtà, non offuscava i sentimenti dei due giovani i quali speravano che al più presto quanto stesse accadendo potesse cessare.
Trascorse il periodo della stagione calda e seguì un periodo in cui nessuno dei due tornò, forse lui andò a combattere in posti più lontani.
Iniziava una stagione più fredda, i miei rami incominciarono a perdere molte foglie, ma il mio corpo era sempre bello e conservavo nel tronco la forma del cuore e lì trovarono rifugio alcuni uccelli infreddoliti.
Aspettavo il ritorno dei due giovani, e una sera eccolo arrivare guardingo, infilò nel mio cuore un foglio e corse via. Anche la ragazza, era qualche volta nel frattempo venuta a cercare qualche suo messaggio e non trovandolo, sentivo che piangeva e correva via spaventata.
Tanto speravo che tutta quella tragedia umana finisse e che io potevo ritornare ad essere l'albero che rinfrancava i cuori in cerca di amore e di pace.
Venne l'inverno con le sue giornate fredde e buie, dopo che la ragazza prese un ultimo messaggio, nell'ora tardi della sera, all'imbrunire, vedo scorgere il corpo della giovane ragazza e subito la raggiunse l'innamorato. Ero contento di vederli ancora stretti, abbracciati e felici sotto il mio enorme tronco, ma all'improvviso succede inopinatamente l'evento più scabroso di quanto avevo finora visto.
Due figure, le ombre di due individui avanzano e si avvicinano alla ragazza, il giovane si fa avanti, la protegge con le sue braccia e urla verso questi individui, compresi che fece dei nomi che lui conosceva ma uno di loro prende un fucile e spara, il colpo ferisce il giovane che si accascia a terra mentre la ragazza, molto agile corre via di corsa. Vedo scorrere il sangue da un braccio, nulla potevo fare, solo la luna illuminava quel corpo dolorante.
Passò poco tempo e vidi arrivare la giovane con altri due individui e scorsi nei loro volti quelli che seguivano la ragazza nel tempo di pace quando lei andava a lavorare nei campi e compresi che erano appartenenti alla sua famiglia; dapprima bendarono la ferita, poi presero in braccio il giovane, lo adagiarono su un carretto e lo portarono via con la ragazza che gli teneva la mano.
Passò molto tempo, non sapevo più nulla della loro storia, soffrivo perché continuavo a vedere ancora scene di violenza.
Trascorse tutto il periodo freddo e venne di nuovo la stagione calda e stranamente, mi accorsi che iniziarono a passare di lì individui che ora parlavano in modo più tranquillo, non vidi più scene di sangue, quel filo spinato venne tolto e sembrò che l'aria fosse più pulita da respirare.
Molto tempo trascorse, non saprei dire se mesi o anni, ma venne un bel giorno in cui il sole scaldava ancora quella terra e l'aria profumata della primavera si sentiva, come il canto degli uccelli e un'atmosfera di tranquillità aleggiava come un presagio che qualcosa era cambiato e che l'odio fosse cessato.
Il mio cuore era ancora aperto ai nidi degli uccelli, al battito delle loro ali, ma anche al ricordo di un segreto che aveva conservato lì un ultimo messaggio.
Un bel giorno, la sorpresa che ebbi fu tale da farmi sentire gonfiare tutto. I giovani di cui serbavo il segreto di un amore nato e forse pensavo finito quella brutta sera, si avvicinarono a me, erano abbracciati e tranquilli, corsero verso il mio cuore e sorrisero quando lei mettendo dentro la sua mano gentile, trasse fuori prima un fringuello piccolo e poi un foglio.
Sedettero ai piedi del mio tronco e lessero l'ultimo messaggio che lui aveva lasciato alla sua ragazza:"Amore mio, i tempi sono duri e la guerra ingiusta e crudele ha voluto separare noi e le nostre famiglie, costretto ad arruolarmi per servire uno Stato assurdo, senza più leggi, senza più libertà, senza più rispetto per i propri fratelli, dove la dignità umana è stata del tutto annullata, mia unica speranza è che il nostro amore possa sempre rinforzarsi e rimanere nei nostri cuori e tra le nostre famiglie che invece lo Stato ha voluto dividere. Spero che questa crudeltà finisca presto e che gli animi si calmino e noi potremo realizzare il nostro sogno d'amore con un matrimonio che ci unisca per sempre, nel nome di Dio che ci ha donato la vita e unito i nostri cuori con sentimenti sinceri, ed io prego affinché ogni guerra nel mondo possa cessare e la gioia unisca per sempre noi ed il mondo intero. Ti amo con il cuore, tuo per sempre …Daniel".
Mentre lui leggeva, le lacrime coprivano il bel volto di lei, erano lacrime miste di gioia e di ricordi tristi, così conobbi anche la fine della loro storia che adesso ripetevano come fosse un racconto appartenuto ad altri.
Quella sera quando due individui volevano violentare la ragazza, il fidanzato aveva riconosciuto nei loro volti, due ex compagni di lavoro e aveva fatto i loro nomi che lei udì bene, dopo avergli sparato, essi fuggirono. La ragazza intanto corse dai genitori, raccontò l'accaduto e loro compresero che dovevano portare immediatamente il loro aiuto al giovane e con un carretto con cui lavoravano nei campi trainato da un cavallo arrivarono all'albero, presero Daniel, lo portarono nella cantina della loro casa che era situata dietro la stalla dove avevano mucche, pecore e altri animali e tutta la famiglia cercò di dare le cure possibili chiedendo l'aiuto di un medico che lavorava in grande riservatezza perché il giovane era un soldato e avrebbe rischiato l'esecuzione immediata nel caso fosse stato ritrovato, mentre per ora risultava tra i dispersi. Era inverno, faceva molto freddo e la neve aveva coperto quel posto e bisognava spalare la neve che ostruiva l'ingresso alla cantina. Mancavano le coperte, inoltre non si poteva accendere il fuoco per evitare che il fumo attirasse l'attenzione dei passanti o dei vicini che erano ora non più amici ma nemici di confine e per timore che il freddo potesse uccidere quel corpo debole che aveva perso molto sangue, di notte, la famiglia, composta da: madre, padre, un fratello e la ragazza, finirono col dormire tutti vicini su un pagliericcio e quasi addossati l'uno all'altro insieme a Daniel per tenergli il corpo caldo e presto di mattina ritornavano ai loro lavori, mentre rimaneva solo la ragazza con lui e gli dava da bere il latte fresco delle loro mucche. Ci vollero mesi perché il corpo del giovane ritornasse a ritrovare energia e la ferita si rimarginasse, lei fu sempre vicino al suo innamorato. Questo tempo servì anche perché questa inutile e assurda guerra iniziò a cessare ed i capi che avevano fomentato gli animi, furono catturati e la popolazione civile comprese le vere ragioni di tutte le violenze subite e si iniziò quindi a lavorare per la ricostruzione del Paese.
Il sole ritornò a risplendere, l'aria si rischiarò, gli animi si distesero, la vita ritornò ad una quasi normalità nella volontà di ricostruire i beni materiali ma soprattutto alleviare le ferite fisiche, morali, psicologiche che gente comune aveva subito e che molto lentamente le ferite si rimarginano, mentre le cicatrici rimangono come segno indelebile di quanto ormai è successo e la storia non potrà mai cancellare.
I due giovani continuarono ad amarsi e progettarono il matrimonio come suggello del loro sogno d'amore e Dio benedisse la coppia.
L'albero rimase un simbolo importante e spesso, nelle giornate calde, ritornavano lì e continuavano a scrivere dei messaggi che mettevano nel cuore e poi leggevano subito ad alta voce, ora le loro voci non erano più sommesse, ma volevano quasi urlare al mondo le sofferenze vissute e la gioia ritrovata.
Non ci sono odio, guerre, cattiveria, malvagità che potranno mai uccidere il cuore di chi ama, perché l'amore è l'unica forza vincente della vita.

Una storia comune
Sono nato in un giardino incantato, succhiavo dalle mammelle con tutti i miei fratellini e la nostra madre era esausta ma si fermava per darci il suo latte e poi correva via in cerca di cibo. Un mucchio di foglie cadute da un albero enorme, aveva fatto il nostro giaciglio e tutti insieme aspettavamo il ritorno per succhiare altro latte. L'albero con tutti i suoi rami e foglie, copriva quel letto morbido, creava una frescura ed il calore così intenso di una giornata d'estate era alleviato da questo ondeggiare di rami e foglie che un vento leggero spostava e ombreggiava quel posto dove noi sette piccoli cuccioli eravamo quasi incollati l'uno all'altro, forse spauriti da ogni piccolo rumore e da quegli attimi interminabili in cui mancava il calore e la protezione che solo la nostra madre ci dava.
Il tepore dell'aria, il profumo della terra quando qualcuno innaffiava il terreno con dei zampilli sparsi qui e lì ed il buon sapore di latte fresco era tutto ciò che nutriva le nostre prime giornate di vita e pian piano i nostri minuscoli corpi incominciavano a crescere e la nostra madre era sempre più stremata e affamata, lei portava qualche osso o qualche pezzo di cibo raccolto vicino i cassoni dell'immondizia e li nascondeva per conservare del cibo nei giorni in cui non riusciva a trovare nulla. Noi le correvamo dietro felici e lei era sempre guardinga, attenta a che nessuno si potesse avvicinare a noi, c'era solo una piccola mano che accarezzava i nostri corpi e lei permetteva per pochi attimi e poi il piccolo correva subito via.
Dopo qualche tempo, due di noi, si distesero a terra per non più rialzarsi, altri due furono presi da mani larghe e portati via, la nostra madre incominciò a venire sempre più di rado e così mi ritrovai da solo su una terra quasi sempre bagnata ora che l'estate era terminata e le piogge autunnali iniziavano ad intorbidare l'aria ed inzuppare il terreno.
Adesso sentivo il bisogno del cibo e la fame era sempre in agguato, iniziai a spostarmi come faceva mia madre per cercare qualcosa da mettere in bocca e calmare i morsi allo stomaco. Riuscivo a vedere il paesaggio che mi circondava, pensavo di essere ancora nel giardino incantato…; tanti alberi enormi, tanta erba e piante e tanti oggetti si affacciavano alla mia vista e tutto sembrava così bello, ma la fame accecava spesso la vista e curvo guardavo ed annaspavo sul terreno gli odori che potevano darmi un tozzo di cibo e un po' di energia per potermi spostare. Pian piano anche il mio corpo cresceva e incominciai a muovermi tra sentieri erbosi, viottoli dei prati, arrivai in strade più larghe con tanti rumori, mi infilavo tra le gambe di esseri diversi da me e tutti incuranti della mia presenza, grossi oggetti che correvano come matti lasciando un fumo nero e maleodorante, cercavo di seguire questo movimento senza capire dove mi avrebbe portato; cercavo solo un po' di cibo e per questo mi fermavo vicino agli esseri che mangiavano comodamente seduti ma che a me non degnavano neppure uno sguardo, di rado qualcuno gettava in terra un pezzetto del loro cibo e correvo a mangiare se in bocca riuscivo a masticare.
Tra questi esseri alti molto più di me, io preferivo quelli più bassi con le gambe meno lunghe perché erano gli unici a voltarsi a guardarmi e farmi gesti con mani piccole, venivano poi tirati via con forza dagli altri più alti ed io muovevo la coda perché qualcuno si era accorto che anch'io esistevo, ma poi li perdevo per strada. Quando mi avvicinavo per mostrare la mia gioia, questi piccoli esseri, erano sgridati e allontanati da me e spesso i più grandi mi lanciavano sassi e pedate per farmi allontanare ed io capivo di disturbare e correvo via spaventato. La paura sola mi accompagnava lungo le strade che percorrevo senza una meta; abbaiare era la mia sola arma di difesa e così riuscivo a fare allontanare chi mi guardava con sentimento ostile. La pioggia cadeva ed io inzuppato correvo, correvo…; il freddo invernale si affacciava ed io col mio pelo cercavo ristoro sotto le foglie degli alberi che mi davano riparo e sicurezza, rannicchiato nel buio di notti gelide, umide dove solo lo scrosciare della pioggia
mi accompagnava nei giri di strade tra i cassonetti dell'immondizia, alla ricerca incostante di cibo. Di giorno, ricominciava il tran tram, rumori e movimento, sguardi di odio e pedate da chi per sbaglio avevo sfiorato una gamba. Nel mio girovagare, molte scene accadevano davanti ai miei occhi, guardavo e passavo inosservato e molte cose accadevano ed io ero uno spettatore innocuo ed un testimone omertoso. Ricordo di una notte fredda, nel buio qualche luce fissa balenava da due cerchi enormi, si avvicinarono queste gambe lunghe, si avviarono verso un essere con la voce più sottile, la presero e le saltarono addosso, lei urlava, io corsi a queste urla e abbaiavo per dare forza alle sue urla , ma una gamba lunga con vocione dura mi schiacciò con un piede la testa, prese un oggetto duro e mi bastonò fino a stordirmi, quando riaprii gli occhi, sentivo un lamento con la voce sottile, c'era del sangue a terra e poi le gambe lunghe afferrarono quel corpo sofferente e lo trascinarono verso quei cerchi luminosi e lo portarono via ed io rimasi a ringhiare ma tutto era tornato nel silenzio e nel buio di una notte senza stelle. Altre notti, girovagando vicino ad un posto dove c'era tanto movimento, vedevo su pietre piatte, esseri con dei sacchi enormi e dentro quei sacchi c'erano tanti oggetti, essi, si stendevano sulle pietre piatte e dormivano sotto le stelle, ma qualcuno di loro, quando si alzava e mi scorgeva lì vicino che guardavo, allungava le mani per farmi una carezza, mi gettavano qualche mollica di pane che mangiavo con gusto e allora io ero pronto a leccare queste gambe che mi avevano dato una carezza. Non erano le voci cattive che davano pestate con i piedi, ma dormivano sotto le stelle come me, e mangiavano quel che trovavano o quello che veniva loro dato, come me, e sentivo che io e loro ci potevamo capire, perché la vita ci aveva riservato lo stesso destino. Poi di giorno quei posti divenivano affollati ed io ero costretto a spostarmi e nella corsa da un posto all'altro, un brutto giorno qualcosa di terribile accadde: un oggetto grosso con due luci enormi davanti e due più piccole dietro, correva così forte e pur essendo io non più piccolo da non poter essere visto, chi stava seduto in questo mostro, mi corse dietro e superandomi, schiacciò la mia zampa posteriore ed io avvertii un grande dolore che mi fece ringhiare, il mio era un lamento ma nessuno si fermò, nessuno voleva vedere il sangue che colava dalla mia zampa, nessuno volle darmi neppure un po' di acqua da bere o un tozzo di pane da mangiare. Mi rannicchiai per il freddo, la fame, il dolore e capii che la mia vita era segnata per sempre. Fu allora che si fermò un altro compagno mio simile e dopo avermi leccato tutta una notte la zampa penzoloni, mi feci coraggio ed iniziai piano a muovermi insieme a lui. Lui era un po' diverso da me, aveva il pelo di colore più chiaro, ma era sicuro più di me nel muoversi tra gli esseri grandi e capii che lui conosceva gli esseri dalle gambe lunghe perché era appartenuto ad uno di loro tutto il periodo della sua giovinezza e nel nostro linguaggio, mi raccontò la sua storia molto diversa dalla mia. Quando era nato, stette poco tempo con la sua mamma e poi venne un individuo con un oggetto strano che rivolto verso il cielo, emetteva dei suoni violenti, uno scoppio e colpiva altri individui piccoli che volteggiavano sospesi in aria e subito dopo essere stati colpiti da questi scoppi, cadevano a terra e lui, pronto ed agile, correva a prenderli e allora il suo padrone per rendergli il favore, gli dava da mangiare; e così, lui seguiva il suo padrone che di giorno lo portava su per i boschi, su sentieri irti o in aperta campagna ed il suo compito era proprio di afferrare questi esseri colpiti e di portarli al suo padrone che se li gettava sulle spalle e li portava poi a casa. Di notte, dormiva intorno alla casa del suo padrone e quando vedeva qualcuno che non conosceva, lui abbaiava e quindi il padrone lo teneva con sé volentieri. Gli anni passarono, un giorno il suo padrone uscì di casa, lui attese tutto il giorno ed i giorni seguenti, ma lui non tornò e gli altri che stavano in casa, gli fecero capire che doveva allontanarsi da quel posto perché ormai la sua presenza lì non era più di utilità a nessuno. Iniziò anche lui a muoversi in cerca di cibo ed ora eravamo in due a spostarci insieme. Un giorno ci fermammo in un posto dove qualcuno si accorse di noi e ci portò del cibo e fummo contenti, ma c'erano altri esseri come noi e loro avevano un padrone, noi ci avvicinavamo sempre con grande paura e quando ci davano qualcosa da mangiare, si rimaneva in quel posto. Forse eravamo giunti di nuovo nel giardino incantato dove qualcuno pensava anche a noi. Il mio amico correva agile e andava anche in altri posti che lui conosceva, mentre io con la mia zampa dolorante, cercai di fermarmi e di spostarmi di poco dal posto dove ci veniva dato del cibo e anche una carezza. C'era lì anche una bella cagnetta, lei aveva la sua padrona che la curava molto, ma poi guardava anche me e accarezzava anche la mia testa, e c'era anche un'altra amica "gamba lunga" che ci portava cibo e poi andava subito via perché non voleva che la seguissimo fino alla sua casa dove altre gambe lunghe non accettavano la nostra presenza, ma mi guardava e mi parlava con tanta tranquillità ed io non volevo perderla di vista. Un giorno il mio amico andò via e non fece più ritorno, qualcuno lo aveva bastonato e la paura lo allontanò per sempre da quel posto. Passò del tempo, ed il caldo si faceva sentire, ora cercavo più da bere che il cibo, la padrona della cagnetta, mi dava acqua in una ciotola e l'altra sua amica, mi portavo del cibo ed io incominciavo a sentirmi più tranquillo. Vivevo sempre tra l'erba, sentivo pungere il corpo da tanti piccoli individui che mi davano fastidio ma resistevo a rimanere in quel posto dove sentivo che qualcuno si interessava a me. Faceva troppo caldo ed un giorno aspettavo che qualcuno veniva a portami l'acqua, ma passò quel giorno e anche altri giorni e non vidi né la padrona della cagnetta con cui avevo passato dei giorni insieme felice a correre davanti la sua casa, e neppure la persona che mi portava il cibo e mi accarezzava e così mi sentii di nuovo abbandonato ed il bisogno mi spinse ad andare via da lì e camminai con la zampa sempre più gonfia e dolorante su una strada che scottava e pungeva . Mi fermai laddove molte persone stavano sedute a mangiare e qualcuno lasciava per terra qualche pezzetto di pane colorato che mangiavo volentieri; cercavo una carezza che nessuno più mi dava e seguivo i bimbi che soli si voltavano a guardarmi ma le loro madri, li tiravano via da me per paura mentre io felice scodinzolavo ad ogni sguardo che mi veniva dato. Ma il cibo era scarso e mancava l'acqua e la zampa non mi faceva più camminare e neanche più potevo tornare nel posto dove avevo trascorso del tempo tranquillo; ormai il mio corpo era sporco e magro, mi muovevo con grande fatica e la mia vita non interessava più a nessuno, così la mia sorte.
Era una sera calda e stavo accucciato, mi sentivo debole, avevo paura di chi si avvicinava a me ed abbaiavo, ero triste e sofferente e la fame e la sete mi rendevano inquieto, ma nessuno si voltava e nessuno sapeva che io soffrivo, quando all'improvviso sentii il fischio, lo riconobbi, era il fischio della padrona della mia cagnetta, mi alzai di scatto, la vidi e subito le corsi alle gambe e la leccai, lei era con l'altra sua amica, mi accarezzarono, mi presero e mi portarono dentro la macchina, tremavo ancora impaurito, era la prima volta che stavo in un oggetto che si muoveva ma la mano che mi accarezzava e mi tranquillizzava e così fui portato nel posto dove c'era la cagnetta ed ebbi cibo ed acqua in quantità. La zampa fu avvolta e vi fu messo acqua che mi alleviava il grande dolore, e quella sera non mi spostai da quel posto. Passai la notte sveglio, aspettavo la luce per vedere le persone che mi avevano preso e loro tornarono da me dandomi cibo ed acqua, ma ciò che mi rendeva più felice erano le carezze e la presenza della cagnetta che usciva da casa e mi baciava sul muso ed insieme correvamo dietro a chi non era di nostra conoscenza, chi voleva allontanarci e non ci amava, il nostro fiuto ci faceva capire chi ci sopportava e chi invece ci voleva vedere morti e la nostra difesa era abbaiare; a volte si abbaiava però anche per fare festa a chi ci curava, capii così che gli esseri dalle gambe lunghe erano diversi tra loro: c'era chi sapeva amare e dare calore, e chi mostrava tanta ostilità da volere annullare la nostra presenza; ma capii che anche tra loro c'è l'amore ed il bene, e forte, esiste l'odio ed il male.
Il mio habitat divenne un angolo di giardino dove fu messa una cuccia per me e perché io potessi abituarmi a non avere paura di entrare in quel posto chiuso, la mia padrona che ormai amavo tanto, mi portava del cibo e lo gettava là dentro ed io entrai poco alla volta in quella casetta e rimanevo lì solo pochi attimi e quando era maltempo, trovavo rifugio sotto un albero e da lì potevo vedere la mia cagnetta che chiusa nel recinto si sporgeva fino all'inferriata e ci scambiavamo i nostri baci col desiderio di continuare a correre insieme.
Vi ho detto il mio nome? So che mi chiamano "Chicco" la persona che ha cura di me, e "Chicca" è il nome con cui chiamano la mia cagnetta. Sono ancora un cane che corre con tre zampe, una la terrò sempre sollevata, ma sento che la mia padrona mi accetta anche così. La mia, è una storia comune, il cui finale non sempre è fortunato. Solo chi sa amare, può dare anche a noi il calore che tutti cerchiamo.

Oggi mio figlio è tornato dalla sua breve vacanza nell'isola della Sardegna dove vivono i parenti di suo padre, mi ha raccontato di quello che ha visto lì e soprattutto delle sue impressioni di un modo di vivere che secondo lui è ancora molto diverso da qui dove abitiamo noi. Il paese piccolo in cui è stato, le donne che fanno tutti i lavori domestici e lavorano nei campi, le vecchiette con i vestiti lunghi fino ai piedi e un foulard che copre il capo; sotto l'abitazione c'è la stalla con l'asino con cui uomini e donne si recano nei campi per viottoli di campagna senza asfalto ma con la terra rossa e fangosa e poi mi faceva osservare la figura dell'uomo che come parla tutta la famiglia sta ai suoi piedi perché è il capo-famiglia e quello che dice è sacrosanto….
Questo suo Souvenir mi ha ancora di più riportato con la mente ai miei ricordi passati, quand'ero bambina e trascorrevo tutta l'estate al paese dei miei nonni. Il paese era piccolo, sembrava un presepe vivente con le case tutte di pietre e mura senza cemento, viste dal "faro" sembravano tutte arrampicate una sull'altra su due colli che costituivano l'unica base di divisione. Le strade del paese erano di pietra, quasi tutte le case avevano le scale all' esterno e sui piccoli pianerottoli si raccoglievano le donne che passavano il tempo chiacchierando e facendo i vari lavori di cucito o di ricamo per i corredi delle figlie: lavori con l'uncinetto, con i ferri, ricami vari, oppure raccoglievano i mazzetti di camomilla che avevano raccolto al mattino presto nei campi, i mazzetti di origano che l'indomani avrebbero venduto al mercato del paese e tanti altri lavoretti che servivano sia per provvedere al futuro dei figli e sia per la sopravvivenza stessa della famiglia. Noi bambine giocavamo felici sulle scalette sedute e i giochi erano semplici, come prendere delle pietre e lanciarle in aria e chi riusciva a mantenere il gioco vinceva la partita; c'era il gioco delle noci che venivano messe in fila e con una pietra chi riusciva a farne cadere di più era vincente, ora forse si potrebbe considerare il gioco delle bocce; e poi il nascondino, nascondersi e quasi perdersi in quei violetti, su e giù per quei rossi gradini che portavano a un vicolo all'altro del paese e correre per prima al muro di chi doveva contare e poi venire a cerarci e dire "sono arrivata per prima" e quanti altri ricordi dell'infanzia trascorsa per molto tempo al paese di montagna dai nonni. Già e i nonni quali ricordi ti hanno lasciato?
Il mio nonno non lo dimentico facilmente, con un cappello in testa e un grosso mantello detto "la kappa" tutto nero con cui si copriva in inverno quando il tempo era cattivo e lì nel paesello di montagna tutto s'imbiancava. Lui andava volentieri in campagna col suo somarello e a sera quando tornava a casa stanco ma contento, sedeva sui gradini della casa e passava il tempo a chiacchierare allegramente con gli amici del vicinato e poi gli veniva chiesto di cantare quelle canzoni che ancora oggi ricordo con piacere qualche strofa e il motivo allegro: Una era la canzone "du' ciucciu" che diceva pressappoco così: Quannu m'è morta mujierma nun ebbi dispiaceri, ma mo cche murtu u ciucciu ii oo ii oo, ciucciu bellu di stu coru, cumi ti vojji amà….Traduco: "Quando è morta mia moglie, non ebbi dispiaceri, ma ora che è morto il mio asino, ciucciu (asino) bello del mio cuore, come ti voglio amare!"
E la gente del vicinato si raccoglieva in armonia ed io con la mia cugina più piccola di me ridevamo e ballavamo, mentre la nonna era occupata a fare il pane fresco o qualche altro piatto per la cena. Il nonno aveva un carattere allegro e gioviale e molto affettuoso con i nipoti a cui spesso regalava dei soldi per un gelato e poi spesso, specialmente in inverno quando fuori c'era tanta neve che si era costretti a stare in casa davanti al camino, raccontava del suo passato, quando aveva combattuto durante la prima guerra mondiale ed era stato prigioniero in Africa, ma ciò che appassionava me era il suo parlare l'americano perché era stato negli USA come emigrato dopo il periodo di grande crisi successivo alla "grande guerra".
E come era bello vedere il nonno che ritornava dai campi seduto sull'asinello e salire per quei gradini tutti di pietra che era la "scorciatoia" per arrivare prima a casa, un posto che nel dialetto paesano era chiamato "U' SCARNAZZU". Appena saliva quei gradini e con l'asino era vicino casa, io e mia cugina gli chiedevamo di portarci a fare un giro sedute sull'asino e lui ci accontentava. Certo, come è cambiata la vita nell'arco di pochi anni. La fanciullezza scorreva tranquilla in seno ad una famiglia non ricca ma davvero felice con dei nonni e dei genitori veramente eccezionali. I miei genitori si volevano tanto bene che io ne ero gelosa, soprattutto di mio padre, era un bell'uomo e tanto buono e gentile e di una onestà unica. Cresciuto in una famiglia di contadini, a venti anni era stato chiamato a servire lo Stato che era appena entrato in guerra, la II guerra mondiale. Lui fu prima soldato semplice, poi bersagliere e poi carabiniere, combatté su vari fronti e in diversi Stati e i ricordi di quegli anni così duri sono sempre rimasti impressi nella mente di mio padre e quando nelle sere d'inverno ci riunivamo attorno al camino, lui non faceva altro che ripetere tutte le sue dure esperienze di quegli anni e faceva poi il confronto con la vita di oggi, la società che si avviava verso il nuovo millennio con un cambiamento totale di vivere e tutto un modo nuovo di vedere la vita e i valori che le vecchie generazioni hanno cercato di tramandare. Mio padre è sempre stato una persona eccezionale ai miei occhi. Ha lavorato tanto e duramente per mantenere con onestà la famiglia, facendo lavori vari e tornava a casa stanco ma sempre con il sorriso e la tranquillità, il suo modo di guardare alla vita con ottimismo mi ha spesso aiutato nei momenti duri che l'età più matura mi ha riservato. Lui esprimeva così la sua semplice filosofia della vita, con queste parole:"Ogni giorno che passa è un giorno nuovo e tutto può modificarsi" e così esprimeva la speranza che il giorno dopo fosse sempre un giorno migliore. Queste sue parole hanno incoraggiato me a vivere quando poi tutti i sogni della fanciullezza hanno lasciato posto alla realtà diversa e ostile in cui mi sono lasciata trascinare negli anni successivi.
Gli anni della fanciullezza passavano lieti, in inverno rimanevo al paese in cui sono nata perché lì andavo a scuola, stavo con mia madre e il mio gatto, mentre mio padre lavorava nei paesi di montagna dove tagliava con gli altri operai i tronchi degli alberi. Mio padre ritornava a casa ogni quindici giorni e quando c'era la neve, non poteva rientrare e rimaneva nelle casette di legno , i capannoni dove dormivano gli operai, per diversi giorni fino a quando si poteva prendere il bus che lo avrebbe riportato in paese. Ogni volta che ritornava a casa per me era festa, lui mi coccolava e mi portava sempre qualche oggetto che mi piaceva, ricordo in particolare un pianoforte piccolo e una fisarmonica con cui passavo molto tempo cercando di apprendere qualcosa da un libro di musica che avevo comprato sapendo che io amavo la musica ma che non potevo permettermi il lusso di andare in una scuola di musica.
Mia madre, una donna di bassa statura ma con un carattere forte e dominante, anche lei aveva vissuto un'infanzia piuttosto difficile perché aveva perso il padre quando era una ragazzina e la famiglia composta tutta da cinque figli tutti molto piccoli d'età quando il padre era venuto a mancare, ha dovuto lavorare nei campi insieme a sua madre per provvedere alle necessità della famiglia essendo lei la figlia maggiore. Ha così fortificato il suo carattere fin da giovane e quando ha conosciuto mio padre è stato per lei l'incontro più fortunato della sua vita. Era molto religiosa, e così tutte le sere mi portava in chiesa e poi in casa tutte le sere sedute vicino al camino recitavamo il rosario, spesso mi raccontava della sua fanciullezza dura e di come mio padre finalmente le aveva cambiato la vita. Spesso andavo con lei in campagna a piedi e camminavo tanto, non potevamo permetterci il lusso di comprare una macchina, aiutavo i miei genitori nei lavori dei campi, vendemmiare era una festa e poi raccogliere la cicoria selvatica e le altre verdure che la sera a casa mia madre cucinava in una pentola annerita dal fumo del camino. E poi amavo tanto leggere la sera prima di andare a letto e mi piaceva leggere di tutto, anche pagine di giornali con cui i negozianti allora avvolgevano quasi tutto quello che si comprava persino la pasta. Leggevo molti libri che andavo a prendere nella biblioteca comunale e soprattutto "romanzi" che illuminavano la mia fantasia e mi facevano sognare un avvenire romantico e felice con "un principe azzurro" che avrebbe amato il mio carattere che sentivo essere dolce e altruista, la mia fede in Dio, i miei sentimenti di ragazza che cresceva con dei modelli di vita semplici e sinceri. Sentivo dentro una forte fede e un senso profondo di amore per la vita, la natura, gli animali ma soprattutto ricordo di avere sempre amato i più poveri di me e quando i nonni o i genitori mi davano dei soldi, piuttosto che spenderli per me, li conservavo per darli a tutte le persone che incontravo per strada chiedendo l'elemosina e pensavo che così crescendo, la vita mi avrebbe riservato dei momenti felici .

"Maria dove vai?" Chiede la mamma. E la piccola correva felice su per la strada che portava al faro di un piccolo paese di montagna. E' un faro innalzato come memoriale negli anni della grande guerra e lì vicino c'è il piccolo cimitero e un viale di pini e lì a terra lungo il viale, dei grossi sassi, cioè dei pezzi di cemento su cui sono scritti i nomi di coloro che hanno sacrificato la loro vita per la patria.
E la piccola correva, mentre la mamma la seguiva sorridendo, lei amava leggere quei nomi e poi andava nel cimitero dove si fermava davanti la tomba del nonno e fissava quella foto della lapide e sorrideva a quel volto che le aveva sempre sorriso in vita. Aveva ormai capito che non avrebbe più rivisto il nonno, ma la mamma le aveva spiegato che il corpo del nonno era lì, sotto quel pezzetto di terra, ma la sua anima era già in un altro mondo, vicino al Padre buono che perdona le persone buone e coloro i quali hanno osservato le sue leggi e accoglie le loro anime nel suo Regno in cielo. E la bimba alzava gli occhi al cielo e pregava insieme alla mamma, ma non capiva perché la mamma aveva gli occhi bagnati di la crime e chiedeva:"Mamma perché piangi? Hai detto che il nonno sta bene, è in cielo e anche noi andremo in cielo un giorno quando il buon Padre ci chiama e lì stiamo di nuovo insieme al nonno." Sono ormai trascorsi molti anni da quando quella bimba correva e giocava sotto lo sguardo vigile e sereno della madre. Ora rivede il volto della madre, anche lei era più giovane, più allegra, quel volto fresco e sorridente aveva subito il cambiamento che il tempo e gli eventi della vita inevitabilmente hanno prodotto. Ora lei è meno giovane, il suo volto è ormai solcato da rughe, lo sguardo è quasi spento e il sorriso è forzato più che spontaneo e anche il timbro della voce è diverso come se anche le corde vocali avessero subito quella trasformazione stagionale e il tempo le avesse arrugginite in modo da produrre dei suoni più duri e comunque una voce meno sottile e dolce di prima. Il ricordo dell'infanzia è dolce e nostalgico. Quelle stradine, i vicoletti e tutti quei gradini da salire per arrivare a casa dei nonni, il punto più alto era proprio costituito dal faro che si trova su di una collina e da lì si può ammirare tutt'intorno il bel panorama di questo paese che si innalza su due colli sullo sfondo di una catena di monti e visto di sera dava l'impressione di un presepe con le luci qui e la e la luce del faro che girando intorno illuminava ora una parte ora un'altra parte del paese. E' proprio qui, in questo paese che Maria ha i suoi unici bei ricordi dell'infanzia. Ora ella è ferma, in piedi, lo sguardo fisso nel vuoto che la circonda, vano è il suo desiderio di sentire di nuovo quelle sensazioni di gioia che un tempo ormai trascorso non sa ridarle. Il sole posa i suoi raggi caldi su un corpo ancora giovane e fresco, ma una cupe nota di tristezza vela i suoi occhi, ella ancora vorrebbe sentire in se quella voglia di correre, correre, quel senso di libertà, di gioia, quel desiderio di sapere, conoscere ogni cosa che incuriosiva quella bambina; quel gioco di fantasia e realtà che le dava quel senso di gioia, di vita. Ora la realtà è diversa, per lei non esiste più libertà, è solo una lotta interiore ormai quel gioco di fantasia e realtà, le rimane la voglia di vivere, di lottare ma contro cosa? E si accorge che è proprio la realtà, la conoscenza di quelle cose che la incuriosivano da bambina che hanno ormai indebolito in lei la gioia di vivere, e ciò che la circonda non riesce più a creare in lei le sensazioni che una bella giornata di fine estate può produrre. Mentre è sola, sola con se stessa, il suo passato, intorno sente le voci dei bimbi che felici giocano nella strada assolata dove anche lei aveva corso e giocato con le sue amichette. Che momento di pace! Il ricordo di quei giorni calma il suo animo, ma improvvisamente appare il presente con la sua realtà amara e il senso di solitudine; un altro giorno è trascorso come tutti gli altri, il lavoro, lo studio e la stanchezza che di giorno in giorno sembra crescere sempre più. E' sera, Maria è sola nella sua stanza, i genitori ormai non riescono a stare in piedi oltre una certa ora, ma lei non ha sonno, i pensieri le affollano la mente, decide di scrivere qualcosa su dei fogli di un vecchio quaderno,chi sà! Forse scrivere serve a chiarire il pensiero. Forse, cercare soltanto di scrivere ciò che si sente, potrebbe aiutarci a capire qualcosa di più profondo che è in noi ma che difficilmente sale in superficie. E' solo un complesso di ricordi che volontariamente o meno affiorano in superficie, ma dietro questi ricordi ci sono sensazioni, stati d'animo, riflessioni che vivono in profondità e solo di tanto in tanto affiorano forse per paura di fare ancora del male. Eppure a questa età non dovrebbero esserci pensieri tristi, 25 anni, E' un'età bella, ma perché questo senso di solitudine se intorno, nel paese ci sono tanti amici, e poi tutti sono gentili e stimano questa ragazza sempre spontanea con tutti, sincera e altruista e poi onesta con dei principi morali e religiosi in cui ella crede consciamente e non per imposizione e poi tanta voglia di stare con gli altri. Per superare quell'eterno senso di solitudine che sempre l'accompagna, cosa fare? La mia mente è stanca, vorrei non pensare al presente, ma del passato solo l'infanzia dà ricordi sereni. L'anno scorso ero in un collegio, quanti ricordi… le amiche di stanza, quella vita movimentata avanti e indietro con il bus, andare in facoltà, poi la mensa e poi di nuovo il collegio e la stanchezza, la tensione hanno accompagnato questi duri anni di studio.
La vita è un complesso di ricordi i cui eventi rimangono alla memoria come intatti nelle loro sfumature e presenti nel momento in cui affiorano. La vita è un complesso di sensazioni, stati d'animo, sentimenti che vivono sommersi in un mondo interiore come in profondità e che difficilmente possono riaffiorare con la stessa intensità e chiarezza dei momenti in cui nascono. I ricordi del passato, dell'infanzia, dell'adolescenza e della prima giovinezza sono chiari, nitidi nei loro eventi e presenti alla memoria, ma più difficile è descrivere quegli stati d'animo che accompagnano quei ricordi. La vita al collegio era tranquilla, era quello un collegio universitario per ragazze, c'era la sala studio e anche la sala per la TV e di sera ci si riuniva per cenare o per chiacchierare o per vedere un film.
Caro ragazzo che mi tieni imprigionata da anni, non hai capito niente di me, quel che voglio nella vita è poco ma è l'immenso. Una vita semplice, senza ricchezze, non è il benessere materiale che produce il benessere spirituale, morale, sentimentale. E dentro ho tanto bisogno di calore, affetto, comprensione, stima, amore; le ricchezze del mio animo, del mio io, sono queste le ricchezze che colmano il mio profondo, Quello che voglio dagli altri ma soprattutto da te è questo sentimento d'amore, grande, puro, sincero. Sono una idealista, è questa la mia fregatura. La realtà è fatta di altro, forse non può realizzarsi una realtà migliore in cui credere? Perché soffrire a 25 anni? E' questo il momento del mio approccio alla vita, alla realtà, è come se solo ora fossi uscita dal grembo materno ed apro gli occhi per vedere ciò che mi circonda. Ma non è il volto felice e sorridente della mamma, è un volto diverso che mi guarda con ossessione, è la coscienza del tempo che passa e del tempo che è trascorso, come? Non è stata la vita del collegio che ha impedito a Maria di conoscere la realtà, non certo, perché anche lì Maria ha fatto le sue esperienze e ancora prima di entrare in quel collegio Maria ha avuto lo scontro più duro con la realtà. Ma allora perché solo ora le sembra di uscire dal grembo materno, è forse perché la realtà con cui viene ora a contatto è ancora più cruda, più chiara e più ombrosa di quella di prima. Ed è proprio il rapporto sentimentale con un ragazzo di poco più adulto di lei, e più realista di lei che adesso le fa prendere coscienza di questa realtà. Perché già nel rapporto a due non può instaurarsi una realtà diversa? Senza ipocrisia, menzogne, inganni, predominio, incomprensione, e poi ancora cosa sono il rispetto, la fiducia, la stima? E credere nella persona che si ama e poi rispetto della sua personalità, del suo essere, della sua fede, dei suoi principi, delle sue idee, del suo io. Non può esistere un simile amore? E' una donna che pensa, senza grandi ambizioni, e aspirazioni, è solo una donna che sogna e vorrebbe un rapporto concreto e reciproco.

Villa Serena
(La lunga attesa)

Ormai da mesi, ogni giorno, mi reco in questo palazzo.
Quando il tempo è cattivo arrivo in macchina; quando l'aria è tiepida e il sole riscalda il paese e la campagna, preferisco arrivarci a piedi percorrendo una stradina stretta e tortuosa poco distante dal centro abitato.
I rumori del traffico cittadino, su quella strada, non si avvertono. Basta entrarvi e si avverte subito un profumo di campagna e la tranquillità esistente fa dimenticare il frastuono della città.
Intorno vi sorgono molte case con giardino, orti coltivati, alberi di ulivi e da frutta. A primavera, la fioritura degli alberi trasporta in una dimensione quasi celestiale.
Da un lato della strada lo sguardo può spingersi fino ad intravedere le abitazioni del paese e in alto, sulla collinetta, si erge maestosa la basilica del Santuario della "Madonna del Castello", che dalle mie parti è molto venerata dagli abitanti ed è anche considerata la protettrice del paese.
Quante volte da bambina, sono salita su per questa stradina, in compagnia di mia madre e delle sue amiche, e con altre mie compagne di infanzia? Non ricordo più quante!
Con immensa gioia in petto si entrava in questa chiesa per pregare ed ascoltare con devozione e fede le prediche dei frati e poi si elevavano molti canti in onore della Madonna.
Il giorno della festa, poi, la bellezza ornamentale della chiesa, lo scintillio dell'oro intorno all'Immagine sacra, il luccichio delle illuminazioni artificiali, con gli archi scintillanti di luci di vari colori, si stagliava ancora di più e ci eccitava.
In fondo alla piazza veniva sempre montato un palco sul quale avrebbe preso posto la banda e un'orchestrina. E questo avvenimento era molto atteso perché il paese veniva pervaso da una grande allegria che animava tutti, grandi e piccini.
E, poi, la gioia di possedere uno dei tanti palloncini colorati, che i venditori ambulanti promuovevano a gran voce, ci riempiva di infantile contentezza. Ci inebriavamo in quei colori e la gioia era tanta quando i palloncini scappavano di mano agli altri ragazzi o venivano volutamente liberati e si allontanavano in alto verso il cielo.
Con quale candore si restava ad osservarli e si attendeva di ascoltare il botto quando poi la pressione dell'atmosfera li faceva scoppiare.

Ricordo ancora oggi, lo sguardo attento di mia madre su di me, in mezzo a tanta gente che era lì per la festa. Io neppure l'avvertivo, ma la sua vicinanza mi dava sicurezza e tranquillità.
Mi muovevo contenta con il mio vestito nuovo e appariscente, che per l'occasione mia madre aveva cucito per me, e ricordo anche lei, ancora giovane, con il passo svelto, con i capelli raccolti dietro la testa, il suo tailleur che usava per le grandi occasioni, gli orecchini e la collana d'oro regalata da mio padre durante il fidanzamento. E poi osservavo anche mio padre, con la sua bontà e la sua dolcezza; e pensavo sempre dentro di me che il mio uomo avrebbe dovuto rassomigliare a lui.
Mia madre e le sue amiche chiacchieravano di cose che a noi bimbe non interessavano. Noi eravamo piene delle nostra spensieratezza e ogni volto, ogni luce, ogni immagine, era una curiosità da soddisfare, un colore nuovo che si aggiungeva ai tanti colori ed alle gioie della nostra fanciullezza.
Oggi cammino pensierosa per questa stessa stradina: il passato è ormai fuggito e la mia vita è tutta cambiata. Sono dolci ricordi lontani ma archiviati in un angolo di mente dove vengono conservati gli avvenimenti più belli e più cari che ogni tanto si rivisitano nei momenti di sconforto e di nostalgia.
Solo il profumo della terra è sempre uguale, sempre lo stesso, acutizzato dalla pioggia appena caduta.
Lentamente mi avvicino a questo edificio che sembra una grande villa; arrivo nel piazzale antistante dove sorge una fontana con una grande vasca dove dei pesci rossi sguazzano e si rincorrono. Sembrano finanche felici ed ignari della sofferenza che li circonda; almeno così io li percepisco.
All'entrata della villa una gran scritta mi accoglie: "Villa Serena".
Entro, guardo e mi fermo… "Villa Serena", commento dentro di me.
Gli sguardi degli ospiti sono rivolti tutti verso di me; sembra mi penetrino. Osservano me, una giovane donna che avanza con passo sicuro ed un volto in apparenza disteso e sereno. E mentre percorro l'atrio ed il corridoio che separa le camerate, alcuni mi riconoscono e mi porgono le mani, mi rivolgono un saluto caloroso, vogliono ed offrono un abbraccio ed un bacio affettuoso, cercano un sorriso…
Sono uomini e donne avanti con l'età che vivono di ricordi, desideri e sensazioni mai sopite, gioie e, soprattutto, dolori che la vita ha donato loro in abbondanza e che spesso vengono dimenticati per far posto a marginali attimi felicità, come la visita di qualcuno, che si colorano sui loro visi oscurando la tristezza dei loro sguardi e la pesantezza dei loro pensieri. E felici mi stendono la mano o mi fanno scivolare una carezza sul volto.
Questi visi che mi osservano a volte sembrano sereni, talvolta la sofferenza traspare in modo pesante. I loro sguardi ondeggiano e passano dalla vitalità all'impotenza e ad una depressione profonda.
Anche le loro voci si alzano confuse: alcune volte sono chiare, sonore, altre incomprensibili da capire ed interpretare, altre adirate; ed anche i loro gesti si alternano e passano da movimenti lenti e tranquilli a scatti violenti di rabbia incontenibile e di agitazione disperata.
Generalmente se ne stanno seduti nella lunga sala, con gli occhi persi nel vuoto o fissi verso l'ingresso quasi in attesa che arrivi qualcuno a portarli via da quel posto che li opprime.
Salgo al primo piano, attraverso il corridoio ed, infine, in fondo vi è la stanza di mia madre. Lei é immobile, assente, con il viso rabbuiato quasi a rimproverare al mondo di averla fatta nascere. Accanto al suo letto, vi è quello di un'altra giovane donna, anche lei immobile da molto tempo.
Non ci sono voci in questa stanza. Colgo solo lo sguardo di mia madre che segue con disinteresse i miei movimenti ed avverto ogni tanto un suo debole lamento.
Sono esseri umani che hanno avuto un vissuto brillante, persone dinamiche ed autoritarie, come mia madre, e che ora sono ridotte in una condizione di stato vegetativo e di impotenza.
La malattia ha trasformato il loro fisico ed i loro volti e chi li osserva non riesce a comprendere se sono ancora capaci di assimilare emozioni e dolori o se riescono a percepire la realtà della loro condizione fisica e morale.
E si rimane lì a pensare a quel corpo assente ed immobile, che non sei riuscito a gestire da sola nella tua abitazione per problemi fisici e di lavoro e che sei stata costretta quasi a scaricare in questo posto immondo, mentre ritornano in mente i ricordi di quell'essere un tempo pieno di giovinezza, che cantava, che rimproverava, che urlava, che consigliava e che adesso sembra un corpo che non é mai vissuto.
Rimane solo quel vuoto interiore, questa sconsolante condizione di impotenza, di chi è costretto a questo pellegrinaggio giornaliero.
Ed ogni giorno si vive nella speranza che questo martirio finisca al più presto per tutti e dall'altro, invece, si spera sempre e ci si augura che quel corpo inutile ed immoto continui a vivere per non dovere poi sopportare l'angoscia ed il dolore della perdita di un affetto al quale, comunque, si resta attaccati e che, per certi versi, sembra ti sostenga e ti aiuti a vivere anche in queste condizioni estreme.
Sono attimi lenti e penosi per chi deve vivere ed attendere il finale doloroso di questa lunga attesa.


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