La terra di nessuno
Nel cielo infinito, dal colore azzurro tenue, l'aria mite si concentra e
su su,
laddove lo sguardo da terra coglie il mutare del tempo. Solo qualche scia
di volo oppure l'arco colorato dell'arcobaleno creano uno scenario che
lascia la mente di un bimbo fantasticare. Spesso questo cielo sereno si
oscura e qualche turbamento accade, allora si iniziano a vedere le masse
dal colore grigiastro che di varia forma e di varia intensità si
raggruppano, si spezzano e sembrano muoversi nella medesima direzione
avendo un aspetto diverso anche se simile nella loro natura, proprio come
gli esseri terrestri visti dall'alto … tutti uguali, tanto da sembrare
piccoli puntini appena visibili che si perdono nell'immensità dei colori e
degli spazi ….
Nel contrasto dell'aria e della sua temperatura, vengono a formarsi delle
marionette colorate che danno al cielo uno scenario nuovo con colori
diversi che spesso preannunciano un mutare del tempo. Io, da bambina,
dietro i vetri della finestra della mia cameretta, amavo guardare e
osservare quasi con guardo fisso lo spostamento di queste masse. Mio padre
allora diceva che il tempo sarebbe peggiorato e quindi non potevo uscire
per giocare e correre all'aria aperta come amavo fare. Quell'immagine
comunque mi affascinava perché fissandola, mi sembrava di vedere un
qualcosa di sovrannaturale… pensavo ad un essere paradisiaco che si
incarnava e dava forma a dei volti che sembravano mi sorridessero. Io,
felice pensavo che qualcuno lassù stesse proteggendo la mia persona e che
un angelo del Signore fosse presente dietro una nuvola.
La mia fantasia correva e l'immaginazione seguiva con attenzione i
racconti dei miei nonni, che seduti davanti al caminetto durante
l'inverno, quando fuori pioveva o nevicava, mi raccontavano. Ricordo che
mia madre sferruzzava per fare dei maglioni di lana per me, mia nonna era
intenta a mantenere acceso il camino con un ceppo più grosso su cui
poggiavano i pezzi di legna più piccoli. Mio nonno in quelle serate
invernali, amava raccontare le storie del suo passato di soldato che aveva
dovuto affrontare la durezza di due guerre mondiali; oppure per tenere un
clima più armonioso, si inventava delle storielle che mi incuriosivano
insieme agli altri nipotini che erano lì attenti nell'ascolto. Ricordo,
una in particolare, che parlava di una nuvola e di una terra lontana dove
mio nonno era stato a combattere durante la I guerra mondiale. Questa
terra era rimasta ancora "la terra di nessuno".
Un giovane soldato parte dal suo Paese insieme ad altri giovani per andare
a combattere in una terra lontana, un Paese allora colonia dello Stato
Italiano.
Non immaginavano di trovare una terra arsa dal sole con gente dalla pelle
scura, donne e bambini con pochi indumenti addosso, un modo di vivere
molto misero con scarso cibo e tanta mancanza di igiene; case fatte di
terriccio e senza servizi igienici e senza acqua; solo dei pozzi sparsi
erano la fonte dove prendere acqua per le primarie necessità. Purtroppo il
compito di questi soldati era quello di ostacolare quei popoli e quegli
eserciti pronti a difendere la loro terra, povera per i poveri ma ricca di
materie prime, spesso usate e sfruttate dai Paesi colonizzatori. Quei
soldati soffrivano il caldo e la sporcizia, poca acqua da bere, poco cibo
e tanto sudore. A loro di quella gente, abituata a vivere in quelle misere
condizioni, poco importava; mentre i bambini malnutriti, facevano tanta
tenerezza. Sole, tanto sole, mentre si aspettava che l'acqua cadesse dal
cielo sempre chiaro con quella luce che stentava ad abbassarsi
all'imbrunire.
I soldati compresero come quella parte della terra, fosse dimenticata
dalla natura e la causa di quella povertà era proprio la mancanza di
acqua. Le donne, portavano cesti che riempivano con acqua dai pochi pozzi
sparsi e anche una sola goccia era un bene prezioso. Molta gente si
trovava, forse da secoli, a vivere in quelle tristi condizioni e nulla
potevano fare per cambiare le sorti della loro esistenza. Poche le piante
che si sviluppavano su quelle terre arse dal sole e pochi i frutti per
cibare quei piccoli bimbi negri che nulla sapevano di quante ricchezze e
velleità esistevano in altre terre lontane…
A volte qualche soldato prendeva la propria borraccia e faceva bere
qualche sorso ai bambini, ma anche essi non potevano fare di più.
La guerra portava distruzione laddove la vita era già precaria. I Governi
continuavano ad armare anche i ragazzi più giovani e gli stranieri
dovevano combattere per rispondere al loro dovere di soldati che lottano
per la Patria.
Mio nonno, continua a raccontare la storia di un miracolo della natura,
forse una storia vera, forse una leggenda…
Un giorno, una nuvola si distaccò dal suo gruppo e seguendo una luce
lontana vide una lunga distesa di terra dal colore rossastro, sembrava un
fiume che scorreva su un letto dorato, si incuriosì e andò verso quella
direzione. Man mano che si avvicinava, scoprì la terra bruciata dal sole e
un fumo intenso si innalzava dal suolo creando un grande polverone che
schiarendosi, apriva una immagine triste … Tante piccole gocce, come di
rugiada, solcavano il viso di tanti piccoli esseri che piangendo
chiedevano al mondo un disperato aiuto. La nuvola, sentiva che il Signore
soffriva per la malvagità umana e comprese che era giunto il momento di
fare qualcosa di utile per dare aiuto a quella gente. Con un soffio,
seguito dalla luce viva del fulmine a ciel sereno si aprì, raccolse tutti
i suoi elementi e si sciolse in una pioggia sottile e duratura. Inondò
quella terra, dandole quel vigore di vita di cui ogni pianta ha bisogno,
mentre l'acqua cadeva, tutti gli esseri, accolsero con grande gioia
quell'evento inopinato. Tutti, grandi e piccini correvano felici sotto la
pioggia che puliva i loro corpi. Con le bocche aperte sorbivano
quelle gocce che erano un vero miracolo della natura, colmando lentamente
l'arsura che soffocava le loro gole secche. Gli uomini sulla terra smisero
di sparare e guardarono quel cielo che pur mantenendo un colore terso,
mandava giù la manna che nessuno mai avrebbe atteso. Il miracolo della
nuvola aveva fatto comprendere agli uomini l'inutilità della violenza e la
necessità di soddisfare i bisogni primari attraverso la pace, che da sola
colma la sete del vivere.
Racconti della mia terra 1
Vorrei aprire il mio cuore e raccontare tutto il mio vissuto, una storia,
come tante, per me è sempre originale e unica perché vissuta in prima
persona. Quando il periodo che si attraversa sembra sereno e la vita
sembra scorrere normale, allora si vive la quotidianità senza pensare al
domani, il presente assorbirà ogni attimo della giornata con i vari
impegni ed il tempo di fermarsi, riflettere, pensare…scorre la mente
divaga ed il corpo in movimento consente una leggerezza nel vivere. Se un
dubbio ci assale, se una sofferenza ci logora, allora la mente sembra
bloccarsi e così il corpo perde la sua elasticità. Voglio solo scrivere
appunto in uno di questi momenti di pausa, riflessione, qualcosa che
appartiene al mio passato, ma potrebbe essere una storia molto simile a
quella di un'altra donna e un'altra ancora….
Le generazioni cambiano e da quando avevo l'età della prima giovinezza ad
oggi i cambiamenti sono stati molti….ma osservo le giovani ragazze, che
mutamento di comportamenti! Le mode, i costumi, i valori, i rapporti
interpersonali, la morale, quante cose sono cambiate! Mi sento vecchia, di
un secolo, ma no…sono solo una persona di un altro mondo con i principi e
l'educazione che hanno calzato la mia giovinezza. Ma l'uomo, al fin mi
chiedo, può cambiare radicalmente la sua natura al cospetto di una società
diversa?
La bimba corre felice tra i campi e guardando i fiori e tutta la bellezza
del creato intorno corre e osserva la natura tutto le sembra un angolo di
Paradiso la vita è un dono meraviglioso. Una bimba cresciuta in un
ambiente familiare sereno, assapora ogni momento della giornata, ogni
piccolo avvenimento, ogni cosa possa essere oggetto di osservazione ed
interesse. Tornata a casa, ci sono i genitori amabili ad accoglierla, lei
riesce a cogliere l'affetto che unisce i membri della sua famigliola e
quest'affetto la spinge a sognare …
Una figura importante è quella della nonna. Una donna anziana, con abiti
lunghi ed una treccia raccolta sulla testa come una coroncina del rosario,
quella coroncina che la nonna porta sempre con sé come una reliquia sacra,
insieme ai libretti della chiesa con tutti i salmi e le preghiere, le
figurine dei santi che accompagnano attimo dopo attimo la vita di questa
piccola donna incurvata dagli anni e dalla fatica di una vita di lavoro
duro. Il paese dove la famiglia vive, è un piccolo paese di montagna, con
vicoli stretti, vecchie case alcune con dei grossi portoni con archi e
delle corti dove i bimbi si riuniscono per giocare soprattutto nelle
giornate fredde e piovose invernali. Il sole appare e scompare presto tra
quei vicoletti e quando il cielo si oscura, la pioggia scende come fili
argentati da nuvoloni grigi che oscurano la poca luce nei vicoli, sembra
all'improvviso faccia buio, l'acqua piovana scorre sulle strade di pietra
e si raccoglie intorno ai cunicoli ai bordi delle strade, dover camminare
è quasi un'impresa. Io bimba, stavo dentro, dietro i vetri delle finestre
osservavo questo scenario della natura e aspettavo con ansia il termine di
quelle tempeste che impedivano la mia uscita le mie lunghe passeggiate,
l'incontro con le mie amiche di gioco, il nostro correre su e giù quei
gradini che portavano da un vicolo all'altro; e quando nel cielo tutto
sembrava terminato, le nuvole lasciavano quel posto, la luce ritornava a
volte con i colori meravigliosi dell'arcobaleno, comunque i raggi del sole
schiarivano intorno ed il giorno continuava il suo tempo fino
all'imbrunire. Il tempo…scorreva veloce per il tempo dei giochi, delle
chiacchierate con le amiche, le facili risate che nascevano spontanee dai
piccoli ed ingenui scherzi, da frasi senza senso dette, da battute appena
spiritose, candide e pettegolezzi vari. L'età dell'infanzia e della prima
adolescenza, in un'epoca del dopoguerra quando il Paese si trasforma ed i
costumi si vanno modificando. In inverno, quando il cielo è chiaro e
l'aria diventa rigida, si preannuncia una notte in cui la neve copre
dapprima quei tetti bassi delle case, poi silenziosa, imbianca i vasi con
le piante sui davanzali delle finestre ed infine le strade di pietra
vedono i primi fiocchi sciogliersi e poi come un mantello bianco, man mano
che il tempo passa, nulla più è movimento, solo al mattino lo scenario è
un presepe vivente, con
tanto candore intorno e pochi rumori fuori…tutto sembra addormentarsi
sotto la coltre bianca e l'aria si fa più tiepida ed il cielo più chiaro
ed il vicoletto mostra solo orme di qualche passante che con stivaloni ha
attraversato la stradina perché comunque il fornaio di mattina presto, ha
già sfornato il pane fresco, il macellaio ha già preparato le carni da
tagliare, il calzolaio apre la sua bottega e qualche rumore dei suoi
arnesi si espande nella strada che vede pian piano gente che inizia a
muoversi per continuare le proprie attività perché la vita in questo paese
di montagna continua indisturbata dalla coltre bianca. Così anche il
mercato della frutta si riempie di gente che dai campi ha raccolto legumi
e prodotti che col freddo hanno mantenuto la loro freschezza. I bimbi,
amano stare fuori e giocare con le palle di neve, qualcuno si arrabbia e
urla perché ne viene colpito, mentre la gioia dei piccoli è tanta sia
perché nei giorni più freddi non vanno a scuola, sia perché i giochi nelle
strade danno loro una forte emozione. Emozione! Il senso ora comprendo di
quel periodo, tutto era un'emozione: l'età della fanciullezza,
spensierata, ma non solo quella; l'epoca in cui si viveva era piena di
sensazioni piacevoli, sentimenti sinceri e veri e tutto il mondo
circostante aveva il sapore della genuinità. Vivevo quei meravigliosi
giorni insieme alla mia nonna paterna che tante cose mi ha insegnato e
tanti ricordi mi ha lasciato. Dopo una giornata trascorsa fuori con le
compagne di giochi, o spazzare la neve sui gradini della scala esterna che
portava al pianerottolo del primo piano dove c'era solo una cucina con un
bel camino e un sottoscala dove c'era un letto per gli ospiti, un bagnetto
col water e un lavandino e poi la scala di legno che portava su al 2°
piano dove c'erano altre due camere da letto con un terrazzo pieno di vasi
con gerani e altri fiori che la nonna custodiva con amore; spesso
trascorrevo ore liete seduta su quel terrazzo leggendo e fantasticando,
mentre il suono della campana della chiesa vicina ed il canto degli
uccelli creavano una dolce melodia che riempivano di immensa pace il mio
animo. Nelle serate fredde e gelide, si stava sedute al camino, la nonna
riuniva la famiglia in preghiera prima della cena, poi si rimaneva a
raccontare delle storie. Lei mi volle raccontare un po' della sua vita ed
io l'ascoltavo con tanta gioia ed ammirazione, compresi quanta forza
reggeva dentro questa piccola donna, nata verso la fine del XIX secolo e
cresciuta nei periodi di enorme miseria, attraversando gli anni delle due
grandi guerre del secolo XX e tutte le dure conseguenze degli anni che
segnarono il corso della sua vita.
Castrovillari 15-02-2012
Racconti della mia terra 2
Pietro e Rocco tornarono ai loro impegni di lavoro ed Elisa riprese a
studiare con maggiore impegno e serenità ed io continuai a lavorare per la
famiglia, cucinare, lavare e fare il pane e la pasta fresca; sembrava che
tutto fosse tornato nell'ordine della quotidianità come prima di tutte
queste disgrazie ma il tempo era passato e molte cose erano nel frattempo
cambiate. Elisa sognava di terminare i suoi studi e sposare Pietro
rimanendo a vivere nel paesello di montagna continuando ad aiutare i
genitori nei lavori dei campi pur sperando in un lavoro più adeguato ai
suoi studi. Spesso col fidanzato andavano alle riunioni del gruppo folk
per partecipare alle feste di paese e quello era l'unico divertimento che
la coppia poteva permettersi. Il gruppo era comunque conosciuto e le
manifestazioni erano momenti di aggregazione sociale e diffusione
culturale. L'originalità dei costumi, ricchi di colori e ricami, le danze
e il ritmo brioso delle musiche permettevano al Gruppo di essere
apprezzato e gradito in ogni contesto al quale partecipava. Il costume
della donna era chiamato "pacchiana"ed era stato l' abito indossato nel
giorno del matrimonio dalle giovani contadine e dunque inserito nel
corredo matrimoniale. Interamente lavorato a mano,(trine, merletti, cotone
e seta) richiedeva anni ed anni di paziente ricamo, per il fatidico "sì"
dopodiché veniva usato soltanto in occasione delle grandi cerimonie e
tramandato gelosamente di generazione in generazione.
Mia nonna aveva custodito questo abito con cui si era sposata ed ora era
passato alla figlia.
Pietro era un bravo ballerino e sapeva cantare bene quelle canzoni
popolari che il direttore del gruppo folk ricercava da tempo. Una fra
queste divenne la canzone scelta e cantata spesso dal gruppo perché
scritta nel dialetto locale, s'intitola: "Civitaredda", è un componimento
lirico di decisa intonazione romantica, che riprende i vecchi motivi
tradizionali e si presenta come una ballata, in quanto, nell'arrangiamento
musicale, alle stanze cantate a solo, fanno riscontro "riprese" destinate
al coro.
Civitaredda mia, civitaredda
'u bbene chi tti vugghiu no' lu sai,
'a cchiù di n'annu fazzu 'a sentinedda,
'a cchiù di n'annu fazzu 'u va' ca vai.
'A quannu t'agghiu vistu alla finestra
'a quiddu jurnu chi spannìsi i panni,
stu coru pari 'na campana a festa
chi soni cumu fussi festa 'ngranna.
Non pigghiu cchiù ricittu, 'a cchiù di n'annu
'a cchiù di n'annu 'on pigghiu cchiù ricittu,
sempi 'nta 'ssa vanedda addimannannu
ma cchiù addimannu e cchiù mi vrusci mpittu.
'U sacciu,m'hanu dittu, c' 'on c'è dota
ca non c'èdota e non ci su ricchizzi,
tu sì na dota ,no' di guna vota,
ca li ricchizzi tui lli biddizzi.
M'è statu dittu puru ca si' ninna,
ma tu a l'ucchi mii sì na culonna,
ti vogghiu cresci ì, ti fazzu granna
t'aduru cumu fussi 'na Madonna.
Civitaredda mia , civitaredda,
'u bbene cchi tti vugghiu no' llu sai,
'a cchiù di n'annu fazzu 'a sintinedda,
'a cchiù di n'annu fazzu 'u va' ca vai.
__________________
A panza jè di piddicchia,
cchiù ci ni mindisi e cchiù si stinnicchia.
____________________
Essa fu scritta da un autore della cittadina calabrese: Gaetano Magnelli"
e musicata da un maestro della Scuola d'insegnamento della RAI. Anche mia
nonna conosceva il testo parola dopo parola e la cantava spesso mentre
lavorava accompagnata dalla voce più intonata di Elisa. Altri canti della
tradizione popolare calabrese erano proposti dal gruppo folk locale e tra
questi un componimento del grande poeta calabrese "Andrea Alfano". Si
tratta del testo che mia zia cantava alle rappresentazioni varie:"Core
mio":
Core miu,chi ssempi sbàttisi
sempi sempi 'nta 'stu pittu,
e non tròvisi ricittu,
core miu,dimmi picchì!
Dicimilu chi jè quissu:
stu dirloggiu di la vita,
(si tti fèrmisi è finita)
dicimilu oi,chi bo' di'!
Core miu,core miu,
t'addimmannu a ttutti l'ure,
jnt' 'a notte 'a jnt' 'u scuru
no mmi stancu 'i addimmannà...
Ma tu mancu sai risponni,
pure tu non sai lu veru:
core miu,si nnu misteru,
pure tu non sai parlà.
Racconti della mia terra 3
La carrozza con la baronessa si avvia e dopo più di un'ora arriva alle
porte del monastero, le suore non erano state avvisate ma conoscevano la
baronessa e quando la carrozza si ferma, lei scende e va a bussare
all'enorme portone, la madre superiore guarda dalla finestra e
riconoscendola, apre e le va incontro. Dapprima si meraviglia di quella
visita inaspettata, poi comprende quando sa che lei intende parlare con
la giovane Giovanna. A sua volta, la ragazza è sorpresa ma accetta di
incontrare la baronessa. L'incontro è sconcertante, entrambe hanno
imbarazzo ma la madre superiore le lascia da sole invitandole a parlare
nella sala riservata del convento, in un posto tranquillo e silenzioso
dove gli animi si aprono a quella confidenza quasi familiare dove sopra
ogni cosa c'è solo il Signore che vede e ascolta l'angoscia che
scaturisce dal cuore delle persone; un posto quasi mistico dove ogni
parola viene detta così come il cuore detta e ogni forma di pudore si
annulla perché vien fuori la verità delle cose. Giovanna s'inchina di
fronte alla madre dell'uomo che aveva amato e lei le prende una mano e
la fa alzare, mentre Giovanna si alza, un ciondolo pende dal suo collo
candido di fanciulla e Anna Mary d'impulso prende quel ciondolo in mano
e l'osserva, lei ha imbarazzo ma subito dice che non ha rubato quel
ciondolo, è stato un dono che suo figlio, il barone le aveva fatto
facendole credere che lui l'amava. Giovanna con le lacrime racconta di
come era iniziata la storia con il barone e di come lei giovane ingenua
aveva creduto nelle sue dichiarazioni d'amore, mentre lei si era davvero
innamorata di lui e ora quel figlio che doveva nascere, lei era
consapevole che era frutto del suo amore anche se non ricambiato: Mi
perdoni baronessa, sono una donna onesta, ho amato vostro figlio, non
perché fosse ricco ma perché aveva dei modi di galantuomo, mi aveva
fatto credere che raggiunta l'età, mi avrebbe sposato…ho creduto…ma
quando gli ho detto del figlio è cambiato con me e voleva che io
rifiutassi a mantenere questa gravidanza, per me il bambino è frutto del
mio amore e deve nascere io lavorerò, cercherò qualsiasi lavoro pur di
crescerlo col mio amore di madre, gli parlerò sempre bene del padre e
mai saprà tutta la verità, deve sapere che è nato perché voluto da
entrambi i genitori.
A sentire quelle parole la baronessa sentì dentro una profonda tenerezza
per la ragazza e comprese che diceva la verità, le stava confidando dei
sentimenti sinceri, quel ciondolo era segno che lei non mentiva, il
figlio l'aveva sottratto alla madre per darlo ad una giovane che lui non
rispettava mentre il padre l'aveva dato a lei come segno del suo amore.
Comprese quanto fosse sofferente e umiliante per la giovane la
situazione in cui si era trovata, l'abbracciò e le disse: Ti ho
conosciuto come brava cameriera, ora ti conosco come donna vera con
sentimenti sinceri e coraggio e ti apprezzo…vedrai che non sarai sola ad
affrontare questa situazione…tu hai in grembo un mio nipotino che è
quanto di più meraviglioso possa io avere in questo momento di sconforto
e di solitudine…cara ragazza vivi con serenità questa gravidanza perché
possa nascere un bimbo sano e non temere nulla, ho già perdonato…ho
compreso gli errori di mio figlio e ora prego Dio perché io possa
rimediare al male fatto. Nel dirle queste parole, l'abbraccia con
affetto e con immensa commozione.
Voci sommesse…
La mia vita iniziò in un vivaio, era un campo tutto colorato e profumato
di tante piantine e fiori ed io mi affacciavo su un vaso e ogni giorno
veniva qualcuno per curarci, dandoci acqua e cibo sufficiente per crescere
bene.
Il mio corpo cresceva con un tronco bello diritto e tante braccia che si
allungavano intorno. Con l'aria tepida della primavera, anche le prime
foglie spuntarono e divenivo sempre più bello e forte da sentirmi un
principe nel giardino di un palazzo reale.
Intorno vedevo altre piante come me e anche di forma diversa dalla mia, ma
tutte erano belle e continuavano a crescere, spesso qualcuna veniva messa
su un grosso mezzo e portata via poi non tornava più nel nostro giardino.
Fu così anche per me…un giorno arrivò un camion, scesero due individui mi
guardarono e decisero di portarmi via; lasciai quel giardino colorato e mi
portarono in un campo immenso, c'erano altre piante e tutte più grandi di
me. Queste piante erano sparse ed io ero sola in un angolo più sperduto
del campo.
Sentivo il piacere dell'acqua piovana che penetrava nel terreno e
alimentava le mie radici, mi nutrivo come tutte le piante di acqua e altri
nutrimenti che sono nel terreno.
Ci volle molto tempo perché il mio corpo divenisse sempre più robusto e la
mia chioma sempre più ampia e frondosa ma gustavo il passare del tempo e
delle stagioni perché sentivo di respirare l'aria dai vari profumi che la
natura sprigiona a seconda della stagione, e poco soffrivo la solitudine
di quel luogo. Infatti, come i miei rami si irrobustirono, vidi molti
uccelli che si posavano su di essi e vi facevano i loro nidi per i
piccolini ed il loro cinguettare, era una dolce melodia che teneva il
respiro del mio animo sollevato. Erano uccelli di varia forma: fringuelli,
cornacchie, cinciallegre ed altri e lungo il mio tronco, si fermavano
altri animali come scoiattoli, ghiri e vi sostavano anche lunghi periodi
di tempo; mentre ai piedi, sul terreno intorno, nascevano varie piantine
selvatiche, colorate e profumate. Sentivo che la mia presenza era
importante in quel posto, non solo per gli animaletti che trovavano
rifugio sui miei rami e sul mio tronco ma, man mano che crescevo, riuscivo
a portare un'ampia ombra che nelle ore calde estive, era di gran sollievo
a tutti quegli individui che passavano di lì e ansanti e sudaticci, di
ritorno dai campi di lavoro, sostavano seduti ai piedi del mio corpo
vigoroso. Parlavano e bevevano, ma dapprima non comprendevo il loro
linguaggio, so che lasciavano buste e carte lì a terra che poi il vento
portava via. Erano per la maggior parte dei contadini che andavano nei
terreni vicini al mio e lì piantavano altri alberi da frutto, vedevo nelle
giornate della stagione calda, delle spighe di grano dorate e ondeggiare,
mosse dal vento leggero e formavano uno spettacolo bello e poi tanto verde
intorno ; ero felice di trovarmi in quel posto. Ma io ero diventato
l'albero più alto e robusto e così divenni un angolo di rifugio di chi
cercava sollievo dalla calura estiva. Un giorno si avvicina a me una
figura agile, dal corpo gentile, un vestito che copriva delle gambe
sottili e ben modellate, il vento sollevava con facilità il lembo della
gonna tutta scampanata e colorata con disegni floreali; aveva un volto
molto fresco e giovane, uno sguardo innocente e le correvano sulle spalle
e sulla fronte dei riccioli dal colore dorato come le spighe di grano.
Seguiva altri individui che portavano grossi cesti colmi di frutta e lei
ne portava uno più piccolo e con gran fatica. Tutti però cantavano con
gioia, e quelle voci si spandevano nello spazio intorno come il suono
dell'eco. Lei si appoggiò sul dorso del mio tronco e riposò qualche attimo
mentre gli altri si fermarono e le fecero segno di proseguire.
La sera, le stesse persone, passavano di nuovo vicino a me e sentivo DELLE
VOCI SOMMESSE, si avvertiva la stanchezza di una giornata dura di lavoro
nei campi, il loro passo era lento e faticoso, mentre si affrettavano di
ritornare nelle loro abitazioni non molto distanti dal posto in cui mi
trovavo io.
Ogni mattina e ogni sera sentivo le loro voci a volte parlottare, altre
volte: sbraitare, cantare, dialogare e parlucchiare nella lingua del
villaggio; i loro passi, a volte affrettati, altre volte affaticati e
lenti; portavano cesti e fagotti con cibo e bibite e spesso si fermarono
per mangiare; ma capii che tutti si conoscevano, erano tutti amici e
compagni di lavoro, appartenevano ad una stessa comunità.
Tra loro c'era anche un giovane, alto e magro, anche lui con dei ricci
sulla fronte e dietro le orecchie, ma erano di colore scuro come il
carbone; aveva un passo veloce, lavorava con grande energia. Spesso
animava le conversazioni e parlava con tono fermo e deciso e comprendevo
uno stato di ribellione senza risposta.
Una sera, prima del rientro a casa, questo bel giovane si avvicinò al mio
tronco e si fermò, dopo breve tempo, arrivò la ragazza dai capelli dorati
e si strinsero in un forte abbraccio. Quel loro primo incontro durò brevi
attimi perché subito dopo sopraggiunsero gli altri e loro si scostarono
subito, ma i loro sguardi s'incrociarono pieni di significato. Il giorno
seguente, erano le prime ore del pomeriggio, una giornata mite
primaverile, vidi arrivare entrambi i ragazzi insieme e si gettarono a
terra ai piedi del mio tronco, si abbracciarono e compresi dai loro
movimenti che si amavano teneramente, nella loro voce sentivo molta
commozione, percepivo la gioia dei loro sguardi e un sentimento di volersi
bene dal totale abbandono della ragazza tra le braccia di lui. Il mondo
intorno si fermava, solo il cinguettare degli uccelli, rompeva
quell'incantesimo in cui i due giovani erano immersi.
Ormai, ogni giorno quasi alla stessa ora, i due giovani arrivavano e si
fermavano nello stesso posto dove le foglie avevano formato un letto
soffice e accogliente per una coppia così giovane e innamorata; il tempo
della loro sosta era breve perché poi arrivavano gli altri e dandosi
l'ultimo bacio si allontanavano, ciascuno proseguiva il cammino seguendo
direzioni diverse a seconda delle proprietà di loro pertinenza e comunque
mostrando dei rapporti di buon vicinato e di sostegno gli uni con gli
altri.
La coppia mantenne questo rapporto tra loro segreto agli altri per diverso
tempo, finché un giorno li vidi passare con gesto affettuoso e seguivano
le altre persone con tranquillità. Si fermarono sotto i miei rami e risero
tutti felici. Si abbracciavano senza più nascondersi agli occhi degli
altri e nelle giornate calde, continuavano a fermarsi da soli sotto il mio
tronco con la passione di sempre. Sentivo il calore dei loro abbracci e la
gioia dei loro cuori, partecipavo ai loro sentimenti con la mia ombra, la
frescura e il dolce canto dei miei ospiti uccelli; comprendevo il
significato delle loro voci sommesse ricche di parole intense d'amore e di
passione eterna e anche il mio corpo sentivo sempre forte, vigoroso e
giovane.
Un giorno attendevo il loro passare, ma nessuno attraversò il viale e
altri giorni passarono senza che io vedessi né i giovani e neanche tutti
gli altri che ogni giorno si erano recati al lavoro; iniziai a sentirmi
triste ma ancora non comprendevo cosa fosse successo. Ecco allora, come il
rumore dei tuoni, vidi balenare in cielo delle luci improvvise, sentii dei
colpi violenti e un fumo si sprigionò come se la terra avesse rovesciato
tutto il fuoco nascosto nelle sue viscere. Il posto di nuovo si animò, ma
questa volta non erano più gli allegri contadini che si recavano nei campi
a lavorare cantando o ansimando dalle loro fatiche; gli individui ora
indossavano strani vestiti uguali e muniti di fucili e altri oggetti che
gettati in aria, scoppiavano con rumori assordanti e l'aria intorno non
era più respirabile neanche per una pianta come me.
Le voci dei passanti erano concitate, allarmate, impaurite; essi non erano
più uniti, ma si allontanavano gli uni dagli altri e correvano in
direzioni diverse, gli animi erano esasperati sospinti da un odio feroce
che spingeva alla violenza, un odio forse creato da altri e in tale
ferocia realtà erano stati sospinti persone che avevano condiviso una vita
tranquilla. L'odio tra persone che ormai avevano dimenticato di avere
condiviso tante piccole gioie e tante fatiche per sostentare le loro
famiglie; ora si scambiavano insulti e spesso del sangue copriva il
terreno e corpi feriti, percossi, doloranti, esanimi formavano il nuovo
scenario di quel posto; ancor peggio vedere corpi di bimbi trascinati
senza pietà; volti di donne travolti, il loro corpo nudo a terra affranto
dalle violenze subite, lamenti, sporcizia e sollevarsi di polvere con aria
irrespirabile. Questo spettacolo abnorme appariva un'astrusità senza
risposta,
da quanto potevo comprendere, era scoppiata una guerra civile. Dei
conflitti etnici che mettevano l'individuo contro il proprio fratello,
l'uomo contro il proprio amico, ogni rapporto umano scomposto e violato da
apparenti leggi di contrasti etnici, ma sostanzialmente solo vittime di
contrasti di altra natura: lotta per il potere; interessi economici,
sociali che interessano gli Stati a più alti livelli.
Passò molto tempo e un giorno vidi apparire la ragazza dagli occhi
turchini, si avvicinò al mio tronco, mi abbracciò e piangeva; si voltava
intorno con tanta paura e compresi che cercava il suo amato.
Intanto quel campo era stato modificato,
avevano messo tutt'intorno del filo spinato che separava i vari territori
in modo che nessuno potesse superare i limiti di confine.
Qualche giorno dopo, la mia sorpresa fu grande quando vidi arrivare anche
il giovane innamorato. Era molto cambiato, aveva un aspetto molto più
invecchiato, con barba e capelli lunghi, ancora più magro. Indossava la
divisa di militare e avvicinandosi a me, era tutto impaurito, si guardava
attorno per non farsi scorgere; questa volta, aveva davvero paura più di
tutte le volte che all'inizio incontrava ai miei piedi la sua ragazza.
Cercò nel mio tronco uno spazio vuoto, con un coltellino scavò fino a
formare un cuore ( non sentii nessun dolore, ma sapevo che ero custode del
segreto più bello) vi mise un foglio di carta, e corse subito via.
Compresi che si trattava di un messaggio importante e mi sentivo di
custodire un grande segreto.
Venne l'alba seguente, c'era nel campo una relativa calma e così ritornò
la ragazza, cercò tra i miei rami e lungo il mio tronco, e finalmente
trovò quel foglio, lo raccolse in fretta e corse via.
Fu così che di sera tardi, quando il tramonto calava e le luci si
attutivano, vedevo a volte il giovane che portava il suo messaggio che
veniva poi preso dalla ragazza nel giorno seguente verso l'alba e vi
poneva un altro; erano i messaggi dei loro cuori e scorgevo l'ansia e la
paura di entrambi nell'avvicinarsi al mio tronco. Questo scambio di
messaggi durò per diverso tempo, finché un giorno
i due giovani decisero d'incontrarsi. Era un pomeriggio di una giornata
calda e vidi arrivare prima il giovane e poi la sua donna. Si
abbracciarono con tale enfasi come mai prima, scoppiarono in un pianto
misto di gioia e di dolore, si sussurrarono parole ricche di commozione,
sentimenti, ricordi, fatti, eventi e gli abbracci erano interminabili, le
loro voci sommesse, singhiozzanti ed infine caddero ai miei piedi avvolti
e uniti dalla passione dell'amore.
Ora questa scena si svolgeva frequente, e nella stessa ora, un'ora poco
frequentata col grande caldo della stagione estiva, ed i due giovani si
univano in un abbraccio d'amore e di speranza. Però non potevano più
rendere il loro amore aperto agli altri, ai loro parenti, ai loro
ex-compagni di lavoro, a nessuno perché ormai la divisione etnica aveva
reso tutti quegli individui, nemici gli uni verso gli altri e anche le
loro famiglie non potevano più unirsi ed il giovane doveva combattere
contro chi un tempo aveva trascorso gli anni della fanciullezza di comune
accordo.
Questa triste realtà, non offuscava i sentimenti dei due giovani i quali
speravano che al più presto quanto stesse accadendo potesse cessare.
Trascorse il periodo della stagione calda e seguì un periodo in cui
nessuno dei due tornò, forse lui andò a combattere in posti più lontani.
Iniziava una stagione più fredda, i miei rami incominciarono a perdere
molte foglie, ma il mio corpo era sempre bello e conservavo nel tronco la
forma del cuore e lì trovarono rifugio alcuni uccelli infreddoliti.
Aspettavo il ritorno dei due giovani, e una sera eccolo arrivare
guardingo, infilò nel mio cuore un foglio e corse via. Anche la ragazza,
era qualche volta nel frattempo venuta a cercare qualche suo messaggio e
non trovandolo, sentivo che piangeva e correva via spaventata.
Tanto speravo che tutta quella tragedia umana finisse e che io potevo
ritornare ad essere l'albero che rinfrancava i cuori in cerca di amore e
di pace.
Venne l'inverno con le sue giornate fredde e buie, dopo che la ragazza
prese un ultimo messaggio, nell'ora tardi della sera, all'imbrunire, vedo
scorgere il corpo della giovane ragazza e subito la raggiunse
l'innamorato. Ero contento di vederli ancora stretti, abbracciati e felici
sotto il mio enorme tronco, ma all'improvviso succede inopinatamente
l'evento più scabroso di quanto avevo finora visto.
Due figure, le ombre di due individui avanzano e si avvicinano alla
ragazza, il giovane si fa avanti, la protegge con le sue braccia e urla
verso questi individui, compresi che fece dei nomi che lui conosceva ma
uno di loro prende un fucile e spara, il colpo ferisce il giovane che si
accascia a terra mentre la ragazza, molto agile corre via di corsa. Vedo
scorrere il sangue da un braccio, nulla potevo fare, solo la luna
illuminava quel corpo dolorante.
Passò poco tempo e vidi arrivare la giovane con altri due individui e
scorsi nei loro volti quelli che seguivano la ragazza nel tempo di pace
quando lei andava a lavorare nei campi e compresi che erano appartenenti
alla sua famiglia; dapprima bendarono la ferita, poi presero in braccio il
giovane, lo adagiarono su un carretto e lo portarono via con la ragazza
che gli teneva la mano.
Passò molto tempo, non sapevo più nulla della loro storia, soffrivo perché
continuavo a vedere ancora scene di violenza.
Trascorse tutto il periodo freddo e venne di nuovo la stagione calda e
stranamente, mi accorsi che iniziarono a passare di lì individui che ora
parlavano in modo più tranquillo, non vidi più scene di sangue, quel filo
spinato venne tolto e sembrò che l'aria fosse più pulita da respirare.
Molto tempo trascorse, non saprei dire se mesi o anni, ma venne un bel
giorno in cui il sole scaldava ancora quella terra e l'aria profumata
della primavera si sentiva, come il canto degli uccelli e un'atmosfera di
tranquillità aleggiava come un presagio che qualcosa era cambiato e che
l'odio fosse cessato.
Il mio cuore era ancora aperto ai nidi degli uccelli, al battito delle
loro ali, ma anche al ricordo di un segreto che aveva conservato lì un
ultimo messaggio.
Un bel giorno, la sorpresa che ebbi fu tale da farmi sentire gonfiare
tutto. I giovani di cui serbavo il segreto di un amore nato e forse
pensavo finito quella brutta sera, si avvicinarono a me, erano abbracciati
e tranquilli, corsero verso il mio cuore e sorrisero quando lei mettendo
dentro la sua mano gentile, trasse fuori prima un fringuello piccolo e poi
un foglio.
Sedettero ai piedi del mio tronco e lessero l'ultimo messaggio che lui
aveva lasciato alla sua ragazza:"Amore mio, i tempi sono duri e la guerra
ingiusta e crudele ha voluto separare noi e le nostre famiglie, costretto
ad arruolarmi per servire uno Stato assurdo, senza più leggi, senza più
libertà, senza più rispetto per i propri fratelli, dove la dignità umana è
stata del tutto annullata, mia unica speranza è che il nostro amore possa
sempre rinforzarsi e rimanere nei nostri cuori e tra le nostre famiglie
che invece lo Stato ha voluto dividere. Spero che questa crudeltà finisca
presto e che gli animi si calmino e noi potremo realizzare il nostro sogno
d'amore con un matrimonio che ci unisca per sempre, nel nome di Dio che ci
ha donato la vita e unito i nostri cuori con sentimenti sinceri, ed io
prego affinché ogni guerra nel mondo possa cessare e la gioia unisca per
sempre noi ed il mondo intero. Ti amo con il cuore, tuo per sempre
…Daniel".
Mentre lui leggeva, le lacrime coprivano il bel volto di lei, erano
lacrime miste di gioia e di ricordi tristi, così conobbi anche la fine
della loro storia che adesso ripetevano come fosse un racconto appartenuto
ad altri.
Quella sera quando due individui volevano violentare la ragazza, il
fidanzato aveva riconosciuto nei loro volti, due ex compagni di lavoro e
aveva fatto i loro nomi che lei udì bene, dopo avergli sparato, essi
fuggirono. La ragazza intanto corse dai genitori, raccontò l'accaduto e
loro compresero che dovevano portare immediatamente il loro aiuto al
giovane e con un carretto con cui lavoravano nei campi trainato da un
cavallo arrivarono all'albero, presero Daniel, lo portarono nella cantina
della loro casa che era situata dietro la stalla dove avevano mucche,
pecore e altri animali e tutta la famiglia cercò di dare le cure possibili
chiedendo l'aiuto di un medico che lavorava in grande riservatezza perché
il giovane era un soldato e avrebbe rischiato l'esecuzione immediata nel
caso fosse stato ritrovato, mentre per ora risultava tra i dispersi. Era
inverno, faceva molto freddo e la neve aveva coperto quel posto e
bisognava spalare la neve che ostruiva l'ingresso alla cantina. Mancavano
le coperte, inoltre non si poteva accendere il fuoco per evitare che il
fumo attirasse l'attenzione dei passanti o dei vicini che erano ora non
più amici ma nemici di confine e per timore che il freddo potesse uccidere
quel corpo debole che aveva perso molto sangue, di notte, la famiglia,
composta da: madre, padre, un fratello e la ragazza, finirono col dormire
tutti vicini su un pagliericcio e quasi addossati l'uno all'altro insieme
a Daniel per tenergli il corpo caldo e presto di mattina ritornavano ai
loro lavori, mentre rimaneva solo la ragazza con lui e gli dava da bere il
latte fresco delle loro mucche. Ci vollero mesi perché il corpo del
giovane ritornasse a ritrovare energia e la ferita si rimarginasse, lei fu
sempre vicino al suo innamorato. Questo tempo servì anche perché questa
inutile e assurda guerra iniziò a cessare ed i capi che avevano fomentato
gli animi, furono catturati e la popolazione civile comprese le vere
ragioni di tutte le violenze subite e si iniziò quindi a lavorare per la
ricostruzione del Paese.
Il sole ritornò a risplendere, l'aria si rischiarò, gli animi si
distesero, la vita ritornò ad una quasi normalità nella volontà di
ricostruire i beni materiali ma soprattutto alleviare le ferite fisiche,
morali, psicologiche che gente comune aveva subito e che molto lentamente
le ferite si rimarginano, mentre le cicatrici rimangono come segno
indelebile di quanto ormai è successo e la storia non potrà mai
cancellare.
I due giovani continuarono ad amarsi e progettarono il matrimonio come
suggello del loro sogno d'amore e Dio benedisse la coppia.
L'albero rimase un simbolo importante e spesso, nelle giornate calde,
ritornavano lì e continuavano a scrivere dei messaggi che mettevano nel
cuore e poi leggevano subito ad alta voce, ora le loro voci non erano più
sommesse, ma volevano quasi urlare al mondo le sofferenze vissute e la
gioia ritrovata.
Non ci sono odio, guerre, cattiveria, malvagità che potranno mai uccidere
il cuore di chi ama, perché l'amore è l'unica forza vincente della vita.
Una storia comune
Sono nato in un giardino incantato, succhiavo dalle mammelle con tutti i
miei fratellini e la nostra madre era esausta ma si fermava per darci il
suo latte e poi correva via in cerca di cibo. Un mucchio di foglie cadute
da un albero enorme, aveva fatto il nostro giaciglio e tutti insieme
aspettavamo il ritorno per succhiare altro latte. L'albero con tutti i
suoi rami e foglie, copriva quel letto morbido, creava una frescura ed il
calore così intenso di una giornata d'estate era alleviato da questo
ondeggiare di rami e foglie che un vento leggero spostava e ombreggiava
quel posto dove noi sette piccoli cuccioli eravamo quasi incollati l'uno
all'altro, forse spauriti da ogni piccolo rumore e da quegli attimi
interminabili in cui mancava il calore e la protezione che solo la nostra
madre ci dava.
Il tepore dell'aria, il profumo della terra quando qualcuno innaffiava il
terreno con dei zampilli sparsi qui e lì ed il buon sapore di latte fresco
era tutto ciò che nutriva le nostre prime giornate di vita e pian piano i
nostri minuscoli corpi incominciavano a crescere e la nostra madre era
sempre più stremata e affamata, lei portava qualche osso o qualche pezzo
di cibo raccolto vicino i cassoni dell'immondizia e li nascondeva per
conservare del cibo nei giorni in cui non riusciva a trovare nulla. Noi le
correvamo dietro felici e lei era sempre guardinga, attenta a che nessuno
si potesse avvicinare a noi, c'era solo una piccola mano che accarezzava i
nostri corpi e lei permetteva per pochi attimi e poi il piccolo correva
subito via.
Dopo qualche tempo, due di noi, si distesero a terra per non più
rialzarsi, altri due furono presi da mani larghe e portati via, la nostra
madre incominciò a venire sempre più di rado e così mi ritrovai da solo su
una terra quasi sempre bagnata ora che l'estate era terminata e le piogge
autunnali iniziavano ad intorbidare l'aria ed inzuppare il terreno.
Adesso sentivo il bisogno del cibo e la fame era sempre in agguato,
iniziai a spostarmi come faceva mia madre per cercare qualcosa da mettere
in bocca e calmare i morsi allo stomaco. Riuscivo a vedere il paesaggio
che mi circondava, pensavo di essere ancora nel giardino incantato…; tanti
alberi enormi, tanta erba e piante e tanti oggetti si affacciavano alla
mia vista e tutto sembrava così bello, ma la fame accecava spesso la vista
e curvo guardavo ed annaspavo sul terreno gli odori che potevano darmi un
tozzo di cibo e un po' di energia per potermi spostare. Pian piano anche
il mio corpo cresceva e incominciai a muovermi tra sentieri erbosi,
viottoli dei prati, arrivai in strade più larghe con tanti rumori, mi
infilavo tra le gambe di esseri diversi da me e tutti incuranti della mia
presenza, grossi oggetti che correvano come matti lasciando un fumo nero e
maleodorante, cercavo di seguire questo movimento senza capire dove mi
avrebbe portato; cercavo solo un po' di cibo e per questo mi fermavo
vicino agli esseri che mangiavano comodamente seduti ma che a me non
degnavano neppure uno sguardo, di rado qualcuno gettava in terra un
pezzetto del loro cibo e correvo a mangiare se in bocca riuscivo a
masticare.
Tra questi esseri alti molto più di me, io preferivo quelli più bassi con
le gambe meno lunghe perché erano gli unici a voltarsi a guardarmi e farmi
gesti con mani piccole, venivano poi tirati via con forza dagli altri più
alti ed io muovevo la coda perché qualcuno si era accorto che anch'io
esistevo, ma poi li perdevo per strada. Quando mi avvicinavo per mostrare
la mia gioia, questi piccoli esseri, erano sgridati e allontanati da me e
spesso i più grandi mi lanciavano sassi e pedate per farmi allontanare ed
io capivo di disturbare e correvo via spaventato. La paura sola mi
accompagnava lungo le strade che percorrevo senza una meta; abbaiare era
la mia sola arma di difesa e così riuscivo a fare allontanare chi mi
guardava con sentimento ostile. La pioggia cadeva ed io inzuppato correvo,
correvo…; il freddo invernale si affacciava ed io col mio pelo cercavo
ristoro sotto le foglie degli alberi che mi davano riparo e sicurezza,
rannicchiato nel buio di notti gelide, umide dove solo lo scrosciare della
pioggia
mi accompagnava nei giri di strade tra i cassonetti dell'immondizia, alla
ricerca incostante di cibo. Di giorno, ricominciava il tran tram, rumori e
movimento, sguardi di odio e pedate da chi per sbaglio avevo sfiorato una
gamba. Nel mio girovagare, molte scene accadevano davanti ai miei occhi,
guardavo e passavo inosservato e molte cose accadevano ed io ero uno
spettatore innocuo ed un testimone omertoso. Ricordo di una notte fredda,
nel buio qualche luce fissa balenava da due cerchi enormi, si avvicinarono
queste gambe lunghe, si avviarono verso un essere con la voce più sottile,
la presero e le saltarono addosso, lei urlava, io corsi a queste urla e
abbaiavo per dare forza alle sue urla , ma una gamba lunga con vocione
dura mi schiacciò con un piede la testa, prese un oggetto duro e mi
bastonò fino a stordirmi, quando riaprii gli occhi, sentivo un lamento con
la voce sottile, c'era del sangue a terra e poi le gambe lunghe
afferrarono quel corpo sofferente e lo trascinarono verso quei cerchi
luminosi e lo portarono via ed io rimasi a ringhiare ma tutto era tornato
nel silenzio e nel buio di una notte senza stelle. Altre notti,
girovagando vicino ad un posto dove c'era tanto movimento, vedevo su
pietre piatte, esseri con dei sacchi enormi e dentro quei sacchi c'erano
tanti oggetti, essi, si stendevano sulle pietre piatte e dormivano sotto
le stelle, ma qualcuno di loro, quando si alzava e mi scorgeva lì vicino
che guardavo, allungava le mani per farmi una carezza, mi gettavano
qualche mollica di pane che mangiavo con gusto e allora io ero pronto a
leccare queste gambe che mi avevano dato una carezza. Non erano le voci
cattive che davano pestate con i piedi, ma dormivano sotto le stelle come
me, e mangiavano quel che trovavano o quello che veniva loro dato, come
me, e sentivo che io e loro ci potevamo capire, perché la vita ci aveva
riservato lo stesso destino. Poi di giorno quei posti divenivano affollati
ed io ero costretto a spostarmi e nella corsa da un posto all'altro, un
brutto giorno qualcosa di terribile accadde: un oggetto grosso con due
luci enormi davanti e due più piccole dietro, correva così forte e pur
essendo io non più piccolo da non poter essere visto, chi stava seduto in
questo mostro, mi corse dietro e superandomi, schiacciò la mia zampa
posteriore ed io avvertii un grande dolore che mi fece ringhiare, il mio
era un lamento ma nessuno si fermò, nessuno voleva vedere il sangue che
colava dalla mia zampa, nessuno volle darmi neppure un po' di acqua da
bere o un tozzo di pane da mangiare. Mi rannicchiai per il freddo, la
fame, il dolore e capii che la mia vita era segnata per sempre. Fu allora
che si fermò un altro compagno mio simile e dopo avermi leccato tutta una
notte la zampa penzoloni, mi feci coraggio ed iniziai piano a muovermi
insieme a lui. Lui era un po' diverso da me, aveva il pelo di colore più
chiaro, ma era sicuro più di me nel muoversi tra gli esseri grandi e capii
che lui conosceva gli esseri dalle gambe lunghe perché era appartenuto ad
uno di loro tutto il periodo della sua giovinezza e nel nostro linguaggio,
mi raccontò la sua storia molto diversa dalla mia. Quando era nato, stette
poco tempo con la sua mamma e poi venne un individuo con un oggetto strano
che rivolto verso il cielo, emetteva dei suoni violenti, uno scoppio e
colpiva altri individui piccoli che volteggiavano sospesi in aria e subito
dopo essere stati colpiti da questi scoppi, cadevano a terra e lui, pronto
ed agile, correva a prenderli e allora il suo padrone per rendergli il
favore, gli dava da mangiare; e così, lui seguiva il suo padrone che di
giorno lo portava su per i boschi, su sentieri irti o in aperta campagna
ed il suo compito era proprio di afferrare questi esseri colpiti e di
portarli al suo padrone che se li gettava sulle spalle e li portava poi a
casa. Di notte, dormiva intorno alla casa del suo padrone e quando vedeva
qualcuno che non conosceva, lui abbaiava e quindi il padrone lo teneva con
sé volentieri. Gli anni passarono, un giorno il suo padrone uscì di casa,
lui attese tutto il giorno ed i giorni seguenti, ma lui non tornò e gli
altri che stavano in casa, gli fecero capire che doveva allontanarsi da
quel posto perché ormai la sua presenza lì non era più di utilità a
nessuno. Iniziò anche lui a muoversi in cerca di cibo ed ora eravamo in
due a spostarci insieme. Un giorno ci fermammo in un posto dove qualcuno
si accorse di noi e ci portò del cibo e fummo contenti, ma c'erano altri
esseri come noi e loro avevano un padrone, noi ci avvicinavamo sempre con
grande paura e quando ci davano qualcosa da mangiare, si rimaneva in quel
posto. Forse eravamo giunti di nuovo nel giardino incantato dove qualcuno
pensava anche a noi. Il mio amico correva agile e andava anche in altri
posti che lui conosceva, mentre io con la mia zampa dolorante, cercai di
fermarmi e di spostarmi di poco dal posto dove ci veniva dato del cibo e
anche una carezza. C'era lì anche una bella cagnetta, lei aveva la sua
padrona che la curava molto, ma poi guardava anche me e accarezzava anche
la mia testa, e c'era anche un'altra amica "gamba lunga" che ci portava
cibo e poi andava subito via perché non voleva che la seguissimo fino alla
sua casa dove altre gambe lunghe non accettavano la nostra presenza, ma mi
guardava e mi parlava con tanta tranquillità ed io non volevo perderla di
vista. Un giorno il mio amico andò via e non fece più ritorno, qualcuno lo
aveva bastonato e la paura lo allontanò per sempre da quel posto. Passò
del tempo, ed il caldo si faceva sentire, ora cercavo più da bere che il
cibo, la padrona della cagnetta, mi dava acqua in una ciotola e l'altra
sua amica, mi portavo del cibo ed io incominciavo a sentirmi più
tranquillo. Vivevo sempre tra l'erba, sentivo pungere il corpo da tanti
piccoli individui che mi davano fastidio ma resistevo a rimanere in quel
posto dove sentivo che qualcuno si interessava a me. Faceva troppo caldo
ed un giorno aspettavo che qualcuno veniva a portami l'acqua, ma passò
quel giorno e anche altri giorni e non vidi né la padrona della cagnetta
con cui avevo passato dei giorni insieme felice a correre davanti la sua
casa, e neppure la persona che mi portava il cibo e mi accarezzava e così
mi sentii di nuovo abbandonato ed il bisogno mi spinse ad andare via da lì
e camminai con la zampa sempre più gonfia e dolorante su una strada che
scottava e pungeva . Mi fermai laddove molte persone stavano sedute a
mangiare e qualcuno lasciava per terra qualche pezzetto di pane colorato
che mangiavo volentieri; cercavo una carezza che nessuno più mi dava e
seguivo i bimbi che soli si voltavano a guardarmi ma le loro madri, li
tiravano via da me per paura mentre io felice scodinzolavo ad ogni sguardo
che mi veniva dato. Ma il cibo era scarso e mancava l'acqua e la zampa non
mi faceva più camminare e neanche più potevo tornare nel posto dove avevo
trascorso del tempo tranquillo; ormai il mio corpo era sporco e magro, mi
muovevo con grande fatica e la mia vita non interessava più a nessuno,
così la mia sorte.
Era una sera calda e stavo accucciato, mi sentivo debole, avevo paura di
chi si avvicinava a me ed abbaiavo, ero triste e sofferente e la fame e la
sete mi rendevano inquieto, ma nessuno si voltava e nessuno sapeva che io
soffrivo, quando all'improvviso sentii il fischio, lo riconobbi, era il
fischio della padrona della mia cagnetta, mi alzai di scatto, la vidi e
subito le corsi alle gambe e la leccai, lei era con l'altra sua amica, mi
accarezzarono, mi presero e mi portarono dentro la macchina, tremavo
ancora impaurito, era la prima volta che stavo in un oggetto che si
muoveva ma la mano che mi accarezzava e mi tranquillizzava e così fui
portato nel posto dove c'era la cagnetta ed ebbi cibo ed acqua in
quantità. La zampa fu avvolta e vi fu messo acqua che mi alleviava il
grande dolore, e quella sera non mi spostai da quel posto. Passai la notte
sveglio, aspettavo la luce per vedere le persone che mi avevano preso e
loro tornarono da me dandomi cibo ed acqua, ma ciò che mi rendeva più
felice erano le carezze e la presenza della cagnetta che usciva da casa e
mi baciava sul muso ed insieme correvamo dietro a chi non era di nostra
conoscenza, chi voleva allontanarci e non ci amava, il nostro fiuto ci
faceva capire chi ci sopportava e chi invece ci voleva vedere morti e la
nostra difesa era abbaiare; a volte si abbaiava però anche per fare festa
a chi ci curava, capii così che gli esseri dalle gambe lunghe erano
diversi tra loro: c'era chi sapeva amare e dare calore, e chi mostrava
tanta ostilità da volere annullare la nostra presenza; ma capii che anche
tra loro c'è l'amore ed il bene, e forte, esiste l'odio ed il male.
Il mio habitat divenne un angolo di giardino dove fu messa una cuccia per
me e perché io potessi abituarmi a non avere paura di entrare in quel
posto chiuso, la mia padrona che ormai amavo tanto, mi portava del cibo e
lo gettava là dentro ed io entrai poco alla volta in quella casetta e
rimanevo lì solo pochi attimi e quando era maltempo, trovavo rifugio sotto
un albero e da lì potevo vedere la mia cagnetta che chiusa nel recinto si
sporgeva fino all'inferriata e ci scambiavamo i nostri baci col desiderio
di continuare a correre insieme.
Vi ho detto il mio nome? So che mi chiamano "Chicco" la persona che ha
cura di me, e "Chicca" è il nome con cui chiamano la mia cagnetta. Sono
ancora un cane che corre con tre zampe, una la terrò sempre sollevata, ma
sento che la mia padrona mi accetta anche così. La mia, è una storia
comune, il cui finale non sempre è fortunato. Solo chi sa amare, può dare
anche a noi il calore che tutti cerchiamo.
Oggi mio figlio è tornato dalla sua
breve vacanza nell'isola della Sardegna dove vivono i parenti di
suo padre, mi ha raccontato di quello che ha visto lì e soprattutto delle
sue impressioni di un modo di vivere che secondo lui è ancora molto
diverso da qui dove abitiamo noi. Il paese piccolo in cui è stato, le
donne che fanno tutti i lavori domestici e lavorano nei campi, le
vecchiette con i vestiti lunghi fino ai piedi e un foulard che copre il
capo; sotto l'abitazione c'è la stalla con l'asino con cui uomini e donne
si recano nei campi per viottoli di campagna senza asfalto ma con la terra
rossa e fangosa e poi mi faceva osservare la figura dell'uomo che come
parla tutta la famiglia sta ai suoi piedi perché è il capo-famiglia e
quello che dice è sacrosanto….
Questo suo Souvenir mi ha ancora di più riportato con la mente ai miei
ricordi passati, quand'ero bambina e trascorrevo tutta l'estate al paese
dei miei nonni. Il paese era piccolo, sembrava un presepe vivente con le
case tutte di pietre e mura senza cemento, viste dal "faro" sembravano
tutte arrampicate una sull'altra su due colli che costituivano l'unica
base di divisione. Le strade del paese erano di pietra, quasi tutte le
case avevano le scale all' esterno e sui piccoli pianerottoli si
raccoglievano le donne che passavano il tempo chiacchierando e facendo i
vari lavori di cucito o di ricamo per i corredi delle figlie: lavori con
l'uncinetto, con i ferri, ricami vari, oppure raccoglievano i mazzetti di
camomilla che avevano raccolto al mattino presto nei campi, i mazzetti di
origano che l'indomani avrebbero venduto al mercato del paese e tanti
altri lavoretti che servivano sia per provvedere al futuro dei figli e sia
per la sopravvivenza stessa della famiglia. Noi bambine giocavamo felici
sulle scalette sedute e i giochi erano semplici, come prendere delle
pietre e lanciarle in aria e chi riusciva a mantenere il gioco vinceva la
partita; c'era il gioco delle noci che venivano messe in fila e con una
pietra chi riusciva a farne cadere di più era vincente, ora forse si
potrebbe considerare il gioco delle bocce; e poi il nascondino,
nascondersi e quasi perdersi in quei violetti, su e giù per quei rossi
gradini che portavano a un vicolo all'altro del paese e correre per prima
al muro di chi doveva contare e poi venire a cerarci e dire "sono arrivata
per prima" e quanti altri ricordi dell'infanzia trascorsa per molto tempo
al paese di montagna dai nonni. Già e i nonni quali ricordi ti hanno
lasciato?
Il mio nonno non lo dimentico facilmente, con un cappello in testa e un
grosso mantello detto "la kappa" tutto nero con cui si copriva in inverno
quando il tempo era cattivo e lì nel paesello di montagna tutto
s'imbiancava. Lui andava volentieri in campagna col suo somarello e a sera
quando tornava a casa stanco ma contento, sedeva sui gradini della casa e
passava il tempo a chiacchierare allegramente con gli amici del vicinato e
poi gli veniva chiesto di cantare quelle canzoni che ancora oggi ricordo
con piacere qualche strofa e il motivo allegro: Una era la canzone "du'
ciucciu" che diceva pressappoco così: Quannu m'è morta mujierma nun ebbi
dispiaceri, ma mo cche murtu u ciucciu ii oo ii oo, ciucciu bellu di stu
coru, cumi ti vojji amà….Traduco: "Quando è morta mia moglie, non ebbi
dispiaceri, ma ora che è morto il mio asino, ciucciu (asino) bello del mio
cuore, come ti voglio amare!"
E la gente del vicinato si raccoglieva in armonia ed io con la mia cugina
più piccola di me ridevamo e ballavamo, mentre la nonna era occupata a
fare il pane fresco o qualche altro piatto per la cena. Il nonno aveva un
carattere allegro e gioviale e molto affettuoso con i nipoti a cui spesso
regalava dei soldi per un gelato e poi spesso, specialmente in inverno
quando fuori c'era tanta neve che si era costretti a stare in casa davanti
al camino, raccontava del suo passato, quando aveva combattuto durante la
prima guerra mondiale ed era stato prigioniero in Africa, ma ciò che
appassionava me era il suo parlare l'americano perché era stato negli USA
come emigrato dopo il periodo di grande crisi successivo alla "grande
guerra".
E come era bello vedere il nonno che ritornava dai campi seduto
sull'asinello e salire per quei gradini tutti di pietra che era la
"scorciatoia" per arrivare prima a casa, un posto che nel dialetto paesano
era chiamato "U' SCARNAZZU". Appena saliva quei gradini e con l'asino era
vicino casa, io e mia cugina gli chiedevamo di portarci a fare un giro
sedute sull'asino e lui ci accontentava. Certo, come è cambiata la vita
nell'arco di pochi anni. La fanciullezza scorreva tranquilla in seno ad
una famiglia non ricca ma davvero felice con dei nonni e dei genitori
veramente eccezionali. I miei genitori si volevano tanto bene che io ne
ero gelosa, soprattutto di mio padre, era un bell'uomo e tanto buono e
gentile e di una onestà unica. Cresciuto in una famiglia di contadini, a
venti anni era stato chiamato a servire lo Stato che era appena entrato in
guerra, la II guerra mondiale. Lui fu prima soldato semplice, poi
bersagliere e poi carabiniere, combatté su vari fronti e in diversi Stati
e i ricordi di quegli anni così duri sono sempre rimasti impressi nella
mente di mio padre e quando nelle sere d'inverno ci riunivamo attorno al
camino, lui non faceva altro che ripetere tutte le sue dure esperienze di
quegli anni e faceva poi il confronto con la vita di oggi, la società che
si avviava verso il nuovo millennio con un cambiamento totale di vivere e
tutto un modo nuovo di vedere la vita e i valori che le vecchie
generazioni hanno cercato di tramandare. Mio padre è sempre stato una
persona eccezionale ai miei occhi. Ha lavorato tanto e duramente per
mantenere con onestà la famiglia, facendo lavori vari e tornava a casa
stanco ma sempre con il sorriso e la tranquillità, il suo modo di guardare
alla vita con ottimismo mi ha spesso aiutato nei momenti duri che l'età
più matura mi ha riservato. Lui esprimeva così la sua semplice filosofia
della vita, con queste parole:"Ogni giorno che passa è un giorno nuovo e
tutto può modificarsi" e così esprimeva la speranza che il giorno dopo
fosse sempre un giorno migliore. Queste sue parole hanno incoraggiato me a
vivere quando poi tutti i sogni della fanciullezza hanno lasciato posto
alla realtà diversa e ostile in cui mi sono lasciata trascinare negli anni
successivi.
Gli anni della fanciullezza passavano lieti, in inverno rimanevo al paese
in cui sono nata perché lì andavo a scuola, stavo con mia madre e il mio
gatto, mentre mio padre lavorava nei paesi di montagna dove tagliava con
gli altri operai i tronchi degli alberi. Mio padre ritornava a casa ogni
quindici giorni e quando c'era la neve, non poteva rientrare e rimaneva
nelle casette di legno , i capannoni dove dormivano gli operai, per
diversi giorni fino a quando si poteva prendere il bus che lo avrebbe
riportato in paese. Ogni volta che ritornava a casa per me era festa, lui
mi coccolava e mi portava sempre qualche oggetto che mi piaceva, ricordo
in particolare un pianoforte piccolo e una fisarmonica con cui passavo
molto tempo cercando di apprendere qualcosa da un libro di musica che
avevo comprato sapendo che io amavo la musica ma che non potevo
permettermi il lusso di andare in una scuola di musica.
Mia madre, una donna di bassa statura ma con un carattere forte e
dominante, anche lei aveva vissuto un'infanzia piuttosto difficile perché
aveva perso il padre quando era una ragazzina e la famiglia composta tutta
da cinque figli tutti molto piccoli d'età quando il padre era venuto a
mancare, ha dovuto lavorare nei campi insieme a sua madre per provvedere
alle necessità della famiglia essendo lei la figlia maggiore. Ha così
fortificato il suo carattere fin da giovane e quando ha conosciuto mio
padre è stato per lei l'incontro più fortunato della sua vita. Era molto
religiosa, e così tutte le sere mi portava in chiesa e poi in casa tutte
le sere sedute vicino al camino recitavamo il rosario, spesso mi
raccontava della sua fanciullezza dura e di come mio padre finalmente le
aveva cambiato la vita. Spesso andavo con lei in campagna a piedi e
camminavo tanto, non potevamo permetterci il lusso di comprare una
macchina, aiutavo i miei genitori nei lavori dei campi, vendemmiare era
una festa e poi raccogliere la cicoria selvatica e le altre verdure che la
sera a casa mia madre cucinava in una pentola annerita dal fumo del
camino. E poi amavo tanto leggere la sera prima di andare a letto e mi
piaceva leggere di tutto, anche pagine di giornali con cui i negozianti
allora avvolgevano quasi tutto quello che si comprava persino la pasta.
Leggevo molti libri che andavo a prendere nella biblioteca comunale e
soprattutto "romanzi" che illuminavano la mia fantasia e mi facevano
sognare un avvenire romantico e felice con "un principe azzurro" che
avrebbe amato il mio carattere che sentivo essere dolce e altruista, la
mia fede in Dio, i miei sentimenti di ragazza che cresceva con dei modelli
di vita semplici e sinceri. Sentivo dentro una forte fede e un senso
profondo di amore per la vita, la natura, gli animali ma soprattutto
ricordo di avere sempre amato i più poveri di me e quando i nonni o i
genitori mi davano dei soldi, piuttosto che spenderli per me, li
conservavo per darli a tutte le persone che incontravo per strada
chiedendo l'elemosina e pensavo che così crescendo, la vita mi avrebbe
riservato dei momenti felici .
"Maria dove vai?" Chiede la mamma. E la piccola correva felice su per la
strada che portava al faro di un piccolo paese di montagna. E' un faro
innalzato come memoriale negli anni della grande guerra e lì vicino c'è il
piccolo cimitero e un viale di pini e lì a terra lungo il viale, dei
grossi sassi, cioè dei pezzi di cemento su cui sono scritti i nomi di
coloro che hanno sacrificato la loro vita per la patria.
E la piccola correva, mentre la mamma la seguiva sorridendo, lei amava
leggere quei nomi e poi andava nel cimitero dove si fermava davanti la
tomba del nonno e fissava quella foto della lapide e sorrideva a quel
volto che le aveva sempre sorriso in vita. Aveva ormai capito che non
avrebbe più rivisto il nonno, ma la mamma le aveva spiegato che il corpo
del nonno era lì, sotto quel pezzetto di terra, ma la sua anima era già in
un altro mondo, vicino al Padre buono che perdona le persone buone e
coloro i quali hanno osservato le sue leggi e accoglie le loro anime nel
suo Regno in cielo. E la bimba alzava gli occhi al cielo e pregava insieme
alla mamma, ma non capiva perché la mamma aveva gli occhi bagnati di la
crime e chiedeva:"Mamma perché piangi? Hai detto che il nonno sta bene, è
in cielo e anche noi andremo in cielo un giorno quando il buon Padre ci
chiama e lì stiamo di nuovo insieme al nonno." Sono ormai trascorsi molti
anni da quando quella bimba correva e giocava sotto lo sguardo vigile e
sereno della madre. Ora rivede il volto della madre, anche lei era più
giovane, più allegra, quel volto fresco e sorridente aveva subito il
cambiamento che il tempo e gli eventi della vita inevitabilmente hanno
prodotto. Ora lei è meno giovane, il suo volto è ormai solcato da rughe,
lo sguardo è quasi spento e il sorriso è forzato più che spontaneo e anche
il timbro della voce è diverso come se anche le corde vocali avessero
subito quella trasformazione stagionale e il tempo le avesse arrugginite
in modo da produrre dei suoni più duri e comunque una voce meno sottile e
dolce di prima. Il ricordo dell'infanzia è dolce e nostalgico. Quelle
stradine, i vicoletti e tutti quei gradini da salire per arrivare a casa
dei nonni, il punto più alto era proprio costituito dal faro che si trova
su di una collina e da lì si può ammirare tutt'intorno il bel panorama di
questo paese che si innalza su due colli sullo sfondo di una catena di
monti e visto di sera dava l'impressione di un presepe con le luci qui e
la e la luce del faro che girando intorno illuminava ora una parte ora
un'altra parte del paese. E' proprio qui, in questo paese che Maria ha i
suoi unici bei ricordi dell'infanzia. Ora ella è ferma, in piedi, lo
sguardo fisso nel vuoto che la circonda, vano è il suo desiderio di
sentire di nuovo quelle sensazioni di gioia che un tempo ormai trascorso
non sa ridarle. Il sole posa i suoi raggi caldi su un corpo ancora giovane
e fresco, ma una cupe nota di tristezza vela i suoi occhi, ella ancora
vorrebbe sentire in se quella voglia di correre, correre, quel senso di
libertà, di gioia, quel desiderio di sapere, conoscere ogni cosa che
incuriosiva quella bambina; quel gioco di fantasia e realtà che le dava
quel senso di gioia, di vita. Ora la realtà è diversa, per lei non esiste
più libertà, è solo una lotta interiore ormai quel gioco di fantasia e
realtà, le rimane la voglia di vivere, di lottare ma contro cosa? E si
accorge che è proprio la realtà, la conoscenza di quelle cose che la
incuriosivano da bambina che hanno ormai indebolito in lei la gioia di
vivere, e ciò che la circonda non riesce più a creare in lei le sensazioni
che una bella giornata di fine estate può produrre. Mentre è sola, sola
con se stessa, il suo passato, intorno sente le voci dei bimbi che felici
giocano nella strada assolata dove anche lei aveva corso e giocato con le
sue amichette. Che momento di pace! Il ricordo di quei giorni calma il suo
animo, ma improvvisamente appare il presente con la sua realtà amara e il
senso di solitudine; un altro giorno è trascorso come tutti gli altri, il
lavoro, lo studio e la stanchezza che di giorno in giorno sembra crescere
sempre più. E' sera, Maria è sola nella sua stanza, i genitori ormai non
riescono a stare in piedi oltre una certa ora, ma lei non ha sonno, i
pensieri le affollano la mente, decide di scrivere qualcosa su dei fogli
di un vecchio quaderno,chi sà! Forse scrivere serve a chiarire il
pensiero. Forse, cercare soltanto di scrivere ciò che si sente, potrebbe
aiutarci a capire qualcosa di più profondo che è in noi ma che
difficilmente sale in superficie. E' solo un complesso di ricordi che
volontariamente o meno affiorano in superficie, ma dietro questi ricordi
ci sono sensazioni, stati d'animo, riflessioni che vivono in profondità e
solo di tanto in tanto affiorano forse per paura di fare ancora del male.
Eppure a questa età non dovrebbero esserci pensieri tristi, 25 anni, E'
un'età bella, ma perché questo senso di solitudine se intorno, nel paese
ci sono tanti amici, e poi tutti sono gentili e stimano questa ragazza
sempre spontanea con tutti, sincera e altruista e poi onesta con dei
principi morali e religiosi in cui ella crede consciamente e non per
imposizione e poi tanta voglia di stare con gli altri. Per superare
quell'eterno senso di solitudine che sempre l'accompagna, cosa fare? La
mia mente è stanca, vorrei non pensare al presente, ma del passato solo
l'infanzia dà ricordi sereni. L'anno scorso ero in un collegio, quanti
ricordi… le amiche di stanza, quella vita movimentata avanti e indietro
con il bus, andare in facoltà, poi la mensa e poi di nuovo il collegio e
la stanchezza, la tensione hanno accompagnato questi duri anni di studio.
La vita è un complesso di ricordi i cui eventi rimangono alla memoria come
intatti nelle loro sfumature e presenti nel momento in cui affiorano. La
vita è un complesso di sensazioni, stati d'animo, sentimenti che vivono
sommersi in un mondo interiore come in profondità e che difficilmente
possono riaffiorare con la stessa intensità e chiarezza dei momenti in cui
nascono. I ricordi del passato, dell'infanzia, dell'adolescenza e della
prima giovinezza sono chiari, nitidi nei loro eventi e presenti alla
memoria, ma più difficile è descrivere quegli stati d'animo che
accompagnano quei ricordi. La vita al collegio era tranquilla, era quello
un collegio universitario per ragazze, c'era la sala studio e anche la
sala per la TV e di sera ci si riuniva per cenare o per chiacchierare o
per vedere un film.
Caro ragazzo che mi tieni imprigionata da anni, non hai capito niente di
me, quel che voglio nella vita è poco ma è l'immenso. Una vita semplice,
senza ricchezze, non è il benessere materiale che produce il benessere
spirituale, morale, sentimentale. E dentro ho tanto bisogno di calore,
affetto, comprensione, stima, amore; le ricchezze del mio animo, del mio
io, sono queste le ricchezze che colmano il mio profondo, Quello che
voglio dagli altri ma soprattutto da te è questo sentimento d'amore,
grande, puro, sincero. Sono una idealista, è questa la mia fregatura. La
realtà è fatta di altro, forse non può realizzarsi una realtà migliore in
cui credere? Perché soffrire a 25 anni? E' questo il momento del mio
approccio alla vita, alla realtà, è come se solo ora fossi uscita dal
grembo materno ed apro gli occhi per vedere ciò che mi circonda. Ma non è
il volto felice e sorridente della mamma, è un volto diverso che mi guarda
con ossessione, è la coscienza del tempo che passa e del tempo che è
trascorso, come? Non è stata la vita del collegio che ha impedito a Maria
di conoscere la realtà, non certo, perché anche lì Maria ha fatto le sue
esperienze e ancora prima di entrare in quel collegio Maria ha avuto lo
scontro più duro con la realtà. Ma allora perché solo ora le sembra di
uscire dal grembo materno, è forse perché la realtà con cui viene ora a
contatto è ancora più cruda, più chiara e più ombrosa di quella di prima.
Ed è proprio il rapporto sentimentale con un ragazzo di poco più adulto di
lei, e più realista di lei che adesso le fa prendere coscienza di questa
realtà. Perché già nel rapporto a due non può instaurarsi una realtà
diversa? Senza ipocrisia, menzogne, inganni, predominio, incomprensione, e
poi ancora cosa sono il rispetto, la fiducia, la stima? E credere nella
persona che si ama e poi rispetto della sua personalità, del suo essere,
della sua fede, dei suoi principi, delle sue idee, del suo io. Non può
esistere un simile amore? E' una donna che pensa, senza grandi ambizioni,
e aspirazioni, è solo una donna che sogna e vorrebbe un rapporto concreto
e reciproco.
Villa Serena
(La lunga attesa)
Ormai da mesi, ogni giorno, mi reco in questo palazzo.
Quando il tempo è cattivo arrivo in macchina; quando l'aria è tiepida e il
sole riscalda il paese e la campagna, preferisco arrivarci a piedi
percorrendo una stradina stretta e tortuosa poco distante dal centro
abitato.
I rumori del traffico cittadino, su quella strada, non si avvertono. Basta
entrarvi e si avverte subito un profumo di campagna e la tranquillità
esistente fa dimenticare il frastuono della città.
Intorno vi sorgono molte case con giardino, orti coltivati, alberi di
ulivi e da frutta. A primavera, la fioritura degli alberi trasporta in una
dimensione quasi celestiale.
Da un lato della strada lo sguardo può spingersi fino ad intravedere le
abitazioni del paese e in alto, sulla collinetta, si erge maestosa la
basilica del Santuario della "Madonna del Castello", che dalle mie parti è
molto venerata dagli abitanti ed è anche considerata la protettrice del
paese.
Quante volte da bambina, sono salita su per questa stradina, in compagnia
di mia madre e delle sue amiche, e con altre mie compagne di infanzia? Non
ricordo più quante!
Con immensa gioia in petto si entrava in questa chiesa per pregare ed
ascoltare con devozione e fede le prediche dei frati e poi si elevavano
molti canti in onore della Madonna.
Il giorno della festa, poi, la bellezza ornamentale della chiesa, lo
scintillio dell'oro intorno all'Immagine sacra, il luccichio delle
illuminazioni artificiali, con gli archi scintillanti di luci di vari
colori, si stagliava ancora di più e ci eccitava.
In fondo alla piazza veniva sempre montato un palco sul quale avrebbe
preso posto la banda e un'orchestrina. E questo avvenimento era molto
atteso perché il paese veniva pervaso da una grande allegria che animava
tutti, grandi e piccini.
E, poi, la gioia di possedere uno dei tanti palloncini colorati, che i
venditori ambulanti promuovevano a gran voce, ci riempiva di infantile
contentezza. Ci inebriavamo in quei colori e la gioia era tanta quando i
palloncini scappavano di mano agli altri ragazzi o venivano volutamente
liberati e si allontanavano in alto verso il cielo.
Con quale candore si restava ad osservarli e si attendeva di ascoltare il
botto quando poi la pressione dell'atmosfera li faceva scoppiare.
Ricordo ancora oggi, lo sguardo attento di mia madre su di me, in mezzo a
tanta gente che era lì per la festa. Io neppure l'avvertivo, ma la sua
vicinanza mi dava sicurezza e tranquillità.
Mi muovevo contenta con il mio vestito nuovo e appariscente, che per
l'occasione mia madre aveva cucito per me, e ricordo anche lei, ancora
giovane, con il passo svelto, con i capelli raccolti dietro la testa, il
suo tailleur che usava per le grandi occasioni, gli orecchini e la collana
d'oro regalata da mio padre durante il fidanzamento. E poi osservavo anche
mio padre, con la sua bontà e la sua dolcezza; e pensavo sempre dentro di
me che il mio uomo avrebbe dovuto rassomigliare a lui.
Mia madre e le sue amiche chiacchieravano di cose che a noi bimbe non
interessavano. Noi eravamo piene delle nostra spensieratezza e ogni volto,
ogni luce, ogni immagine, era una curiosità da soddisfare, un colore nuovo
che si aggiungeva ai tanti colori ed alle gioie della nostra fanciullezza.
Oggi cammino pensierosa per questa stessa stradina: il passato è ormai
fuggito e la mia vita è tutta cambiata. Sono dolci ricordi lontani ma
archiviati in un angolo di mente dove vengono conservati gli avvenimenti
più belli e più cari che ogni tanto si rivisitano nei momenti di sconforto
e di nostalgia.
Solo il profumo della terra è sempre uguale, sempre lo stesso, acutizzato
dalla pioggia appena caduta.
Lentamente mi avvicino a questo edificio che sembra una grande villa;
arrivo nel piazzale antistante dove sorge una fontana con una grande vasca
dove dei pesci rossi sguazzano e si rincorrono. Sembrano finanche felici
ed ignari della sofferenza che li circonda; almeno così io li percepisco.
All'entrata della villa una gran scritta mi accoglie: "Villa Serena".
Entro, guardo e mi fermo… "Villa Serena", commento dentro di me.
Gli sguardi degli ospiti sono rivolti tutti verso di me; sembra mi
penetrino. Osservano me, una giovane donna che avanza con passo sicuro ed
un volto in apparenza disteso e sereno. E mentre percorro l'atrio ed il
corridoio che separa le camerate, alcuni mi riconoscono e mi porgono le
mani, mi rivolgono un saluto caloroso, vogliono ed offrono un abbraccio ed
un bacio affettuoso, cercano un sorriso…
Sono uomini e donne avanti con l'età che vivono di ricordi, desideri e
sensazioni mai sopite, gioie e, soprattutto, dolori che la vita ha donato
loro in abbondanza e che spesso vengono dimenticati per far posto a
marginali attimi felicità, come la visita di qualcuno, che si colorano sui
loro visi oscurando la tristezza dei loro sguardi e la pesantezza dei loro
pensieri. E felici mi stendono la mano o mi fanno scivolare una carezza
sul volto.
Questi visi che mi osservano a volte sembrano sereni, talvolta la
sofferenza traspare in modo pesante. I loro sguardi ondeggiano e passano
dalla vitalità all'impotenza e ad una depressione profonda.
Anche le loro voci si alzano confuse: alcune volte sono chiare, sonore,
altre incomprensibili da capire ed interpretare, altre adirate; ed anche i
loro gesti si alternano e passano da movimenti lenti e tranquilli a scatti
violenti di rabbia incontenibile e di agitazione disperata.
Generalmente se ne stanno seduti nella lunga sala, con gli occhi persi nel
vuoto o fissi verso l'ingresso quasi in attesa che arrivi qualcuno a
portarli via da quel posto che li opprime.
Salgo al primo piano, attraverso il corridoio ed, infine, in fondo vi è la
stanza di mia madre. Lei é immobile, assente, con il viso rabbuiato quasi
a rimproverare al mondo di averla fatta nascere. Accanto al suo letto, vi
è quello di un'altra giovane donna, anche lei immobile da molto tempo.
Non ci sono voci in questa stanza. Colgo solo lo sguardo di mia madre che
segue con disinteresse i miei movimenti ed avverto ogni tanto un suo
debole lamento.
Sono esseri umani che hanno avuto un vissuto brillante, persone dinamiche
ed autoritarie, come mia madre, e che ora sono ridotte in una condizione
di stato vegetativo e di impotenza.
La malattia ha trasformato il loro fisico ed i loro volti e chi li osserva
non riesce a comprendere se sono ancora capaci di assimilare emozioni e
dolori o se riescono a percepire la realtà della loro condizione fisica e
morale.
E si rimane lì a pensare a quel corpo assente ed immobile, che non sei
riuscito a gestire da sola nella tua abitazione per problemi fisici e di
lavoro e che sei stata costretta quasi a scaricare in questo posto
immondo, mentre ritornano in mente i ricordi di quell'essere un tempo
pieno di giovinezza, che cantava, che rimproverava, che urlava, che
consigliava e che adesso sembra un corpo che non é mai vissuto.
Rimane solo quel vuoto interiore, questa sconsolante condizione di
impotenza, di chi è costretto a questo pellegrinaggio giornaliero.
Ed ogni giorno si vive nella speranza che questo martirio finisca al più
presto per tutti e dall'altro, invece, si spera sempre e ci si augura che
quel corpo inutile ed immoto continui a vivere per non dovere poi
sopportare l'angoscia ed il dolore della perdita di un affetto al quale,
comunque, si resta attaccati e che, per certi versi, sembra ti sostenga e
ti aiuti a vivere anche in queste condizioni estreme.
Sono attimi lenti e penosi per chi deve vivere ed attendere il finale
doloroso di questa lunga attesa. |