| Ho ucciso un uomo Ho ucciso un uomo, il mio pensiero
 mentre la musica batte incessante
 e corro tra le fila d’auto
 scomposte sul viale.
 
 Il suo sangue ora impregna le mie mani
 ed il cuore mi sale in gola;
 l’ ho ucciso finalmente e,
 il suo cuore è esploso all’affondo
 mortale della mia lama.
 
 L’ho fatto finalmente non mi importunerà più!
 Diceva che la vita mia gli apparteneva, diceva.
 Rideva di me, delle mie parole
 Dei miei tormenti. Ora non c’è più !
 
 Possiamo ballare, su alzati e cingi la mia vita
 prendi le mie mani
 segui i miei passi, gira, piroetta
 spingi i tuoi seni sul mio petto
 senti il leggero turgore, è la vita finalmente
 l’ho ripresa, è qui con me, come
 il tuo corpo avvinto.
 
 Dammi un bicchiere, che sia colmo.
 Brindiamo, ho ucciso un uomo
 l’ho cancellato dalla mia vita,
 ha abbandonato la tortura, ho trovato la pace, infine.
 
 Su, danza, sposta i piedi, segui i miei,
 è la mia festa, oggi, esplodiamo
 c’è gioia, quell’uomo è morto sai,
 ho il suo sangue rappreso sulle mie mani.
 Ma ora baciami, senti il mio desiderio, sentimi !
 
 Senti il mio cuore, senti come batte forte,
 è felice, dammi quei fiori, fammi sentire
 il profumo della vita. Ah, quel sangue mi ha
 fatto bene, su bevi i miei baci !
 
 ah, quel sangue non è sporco
 quel sangue mi purifica, mi lievita dentro
 annienta le paure, le angosce. Sono io ora,
 un uomo libero !
 
 alzati, su, anche tutti voi, balliamo
 è la festa della mia liberazione.
 Dai, sentite la musica, balliamo, ballate !
 Su, che il bicchiere sia pieno
 Che salga dentro questa immensa sensazione
 Di onnipotenza. Ah infine …
 13 maggio 2012
 
       
        
      
      
      
      
      
      
      
      
Il vino triste Ho parlato a lungo col fusto degli alberi,
 ho raccontato delle notti passate ad amare le donne
 che alla festa nel borgo
 si accompagnavano al mio vino festoso.
 La più bella, mi ha raccontato dell’amore che aveva
 per quell’aviatore, troppo preso
 dal cielo per scendere a terra a godere di lei
 ed era solo per quello che le piacevano le mie mani nervose
 perché, diceva, ero un uomo
 e sapevo godere la vita e le donne.
 Ma godere e sentire l’altro nome dell’uomo
 mi aveva ferito perché io non ho mai volato
 nel cielo, se non quella volta che andato
 a maroda, ero caduto dal ramo
 e, per un tempo infinito avevo sperato
 di non giungere mai alla terra velata di notte.
 Ma il dolore del tonfo mi aveva lasciato
 il ricordo che meglio era non volare
 e stare sempre con i piedi per terra.
 Ed ora lei mi chiamava con il nome dell’altro
 ed io che pure ero ubriaco mi ero adombrato
 chiudendo la patta nervoso e pensando
 che mai una donna aveva goduto gridando il mio nome.
 E che mai nessuna mi aveva voluto davvero
 se non per l’allegria del vino che avevo offerto la sera.
 Sul tronco dell’albero, la mano ha sentito
 una ferita leggera, e l’occhio malfermo
 su un cuore tatuato ha visto il mio nome
 e un nome di donna, ch’io non conosco.
 E un sorriso si è formato, un attimo prima
 che la mente mi desse l’arcano responso ch’io
 non ero quel nome, e il conato di vomito
 chiudesse la mia alba ben poco gioiosa.
 21 maggio 2012
 Desert rose , un addio La barca scivola lenta scuotendo i corpi pesanti,
 la donna immobile sulla prua, osserva
 il velo lucente del fiume, mentr’io la vedo
 nelle vesti leggere che scoprono i piccoli seni.
 Il gabbiano che quasi le sfiora i capelli
 la rivolge a me, e lei con un muto sorriso
 guarda oltre i miei occhi che non rispondono
 fissando i legni del fondo.
 La sigaretta, rappresa tra le labbra disegna
 tracce imperfette come i pensieri confusi.
 Nel canneto io spingo la prua, scuotendo i germani
 dalla cova tranquilla e lei è lesta a tastare
 la terra e balzare felina. La giovinezza l’aiuta
 e l’umore che traspare dal corpo mi pare
 foriero di un temporale.
 Non attende la mano che pure le porgo
 ma s’infila tra le canne gelose
 nel luogo che anch’io conosco.
 Alla radura si ferma e mi attende, posando
 Il piede in modo che m’indigna.
 Ora vuole parlare, lo so.
 Ha preparato la scena, mentre io prolungo
 l’attesa cogliendo da terra la bestiola
 dalla corazza dura, che lesta nasconde la testa
 alla mia mano che pure vezzeggia.
 Ecco, mi dico, potessi anch’io nascondere
 il capo e sentire il silenzio.
 Ma l’attesa è finita, e i suoi occhi indagano
 se il mio cuore sa ciò che la sua bocca dirà.
 Ma porto il dito alle labbra e la faccio
 tacere.
 So già tutto le dico con gli occhi
 e lei risponde muta
 che tutto è finito; del sogno vissuto
 si è perso il sorriso, ed ora la storia
 ha finito la trama. La vita è davanti
 nella sua giovinezza, mentre capisco
 che sono un uomo distratto che neppure ha
 avvertito che era giunto al traguardo.
 
 22 maggio 2012
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