Racconti di Acquaviva


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Leggi le poesie di Acquaviva

Cronache dai bassifondi dell'immensita'
Non erano proprio le sue giornate migliori. Leggere non era cosa sua, un'impresa improbabile. Scrivere? Ancor più difficile. La sua mente semplicemente si bloccava, e sentiva salire da qualche zona d'ombra dentro di sé un odore d'aceto misto ad aglio putrefatto. Il miasmo si collocava proprio tra la gola e lo sterno.
Felice talvolta sentiva proprio che quel nodo non scendeva giù né voleva saperne di salire su ed uscirsene. Poi si metteva a fantasticare sull’aspetto del “bubbone”. Che potesse trattarsi del famoso rospo che si era piazzato proprio lì, presso alcune delle sue frattaglie e se ne andava a spasso a suo piacimento? Ora verso lo stomaco, più tardi in su verso la gola, e via dicendo. Ma di andar via? Niente, non ne voleva sapere. Doveva prendersela con qualcuno. Felice provava una voglia matta di dirgliene di tutti i colori ai suoi contemporanei. Odiava i borghesi, ma proprio perché temeva di scogere in lui gli stessi difetti di quelli.
Erano così pieni di belle maniere posticce, di apparenze spacciate per verità, di false sicurezze con sullo sfondo inibizioni e paure terribili. E poi desideri, tanti desideri e pulsioni inconfessate perché ritenute inconfessabili secondo la cosiddetta morale corrente. L’ossequio alla tradizione, le feste comandate, la coazione a ripetere rituali senza vita, senz’anima. E che dire delle dottrine? Quanta dottrina, a destra e a manca e al centro... del petto.Un buco slabbrato. Idde caotiche e superficiali. Labbra burrose che emettevano vanità a buon mercato, e cattiverie, facilonerie imbecilli e il solito colore, tanto colore. Come poteva essere seducente il colore del…nulla!!! E Felice diventava così facilmente infelice. Ma poiché era un uomo buono, e così incoerentemente “borghese” e riservato e rispettoso degli altri e delle loro manchevolezze, debolezze e quant’altro, ogni qualvolta stava per profferire le più fantasiose parolacce verso i suoi simili si tratteneva, diventava paonazzo, cominciava a vibrare intimamente e…niente. Il rospo si faceva sentire, si agitava fino provocargli conati di vomito. Pensava a se stesso e ai suoi molti scheletri nell’armadio, alle travi nei propri occhi, tutti e due, e si rendeva conto che non aveva l’autorità per ricacciare nelle bocche altrui tutte le parole che ascoltava oppure che leggeva. Certe volte, delle vere e proprie cavolate, assurdità a buon mercato e quel cicaleccio che se non fosse già profano per conto proprio dovrebbe dirsi, con buona ragione, assai più che blasfemo. Il cianciare per sentito dire, la ripetizione convinta di bla bla bla tanto per riempire il vuoto dello spazio e della mente. Il vero borghese ha paura del silenzio. Il vero borghese non ama perder tempo perché il tempo è denaro. Il denaro è la vera religione la cui meta è la salvezza del corpo, a cui si mescola un po’ d’anima, il cui emblema è il superfluo, tanto per illudersi di insaporire un po’ le cose.
Felice si calmava dopo un po’, cercava di smaltire la bile, il cui livello rischiava di salire oltre il limite della tracimazione, avvelenando solo se stesso. Riconduceva a fatica la mente a una parvenza d’ordine, uscita per un attimo fuori dal suo naturale alveo. Si sedeva sulla sua sedia di ottimo PVC, fuori al balconcino, e si lasciava andare con sperimentata indolenza all’accensione del suo terzo e ultimo “Toscano” della giornata. Solo allora gli pareva di approssimarsi ad un brandello della sua personale verità, che per il resto gli sfuggiva da ogni parte, disperdendosi in mille rivoli. La sua bocca faceva giochi di fumo e con il fumo salivano alti anche i suoi pensieri. Poi tutto si perdeva in nuvolette azzurrognole dissipate da un impertinente venticello settentrionale.

I tornanti si avvicendavano veloci uno dopo l’altro, in rapida successione, su quella strada dal fondo reso viscido dal gelido piovasco di un inverno appena iniziato. Fabio aveva fretta, la voglia di casa troppo forte dopo dodici ore passate in azienda. Nicoletta invece era stanca, ma serena e placida, sprofondata mollemente sul sedile del passeggero. Non aveva alcuna fretta, Nicoletta. Da tanto viaggiavano insieme, e lei aveva capito poco alla volta che quello era il momento più bello della giornata. Cinquanta minuti di macchina, settanta km d’asfalto, seppur percorsi di corsa, da casa all’ufficio, altrettanti dall’ufficio a casa, sola sola con quel bell’uomo appena più giovane di lei di un paio d’anni. Affascinante, se non proprio bello, colto, gentile, premuroso, talvolta. Sapeva di esserne attratta. Si, forse innamorata. Altrimenti per quale altro motivo a quarantacinque anni il cuore tornava a palpitarle come alla prima cotta mai dichiarata? Nessuno l'aveva mai filata, e lei se n'era fatta una ragione. Aveva imparato a tenere a posto il suo cuore. La riunione dei capi-area quella sera sembrava non terminare mai, e lei aveva atteso pazientemente, perché non guidava…problemi di vista…ed anche un indice mancante, ricordo del suo primo lavoro, nella fabbrica di pomodori pelati e succhi di frutta del suo paese. Una frullatrice le aveva tranciato di netto il dito della mano destra, portandoselo via insieme alla polpa matura delle pesche quasi fradice. Ma ottime per i succhi di frutta. L’ultima bottiglia poi, insaporito dal suo dito maciullato doveva essere squisita. Chissà se avevano pensato di bloccare tutto, almeno!?! Lei era svenuta due secondi dopo il fattaccio, e non poteva giurare che l’avessero fatto. Ma tutto questo sarebbe stata ancora poca cosa. Non era bella, ma neppure brutta. Insomma, era…come dire? Si sentiva insignificante, sciatta, non aveva alcuna stima di se stessa, non si prendeva troppa cura di sé. Nemmeno era necessario per il lavoro che svolgeva, trovato in qualità d’invalida civile, e grazie ai buoni uffici di un suo zio. Era impiegata nell’archivio di un’importante azienda farmaceutica. E questo era tutto. Anzi, no. Aveva una voce non propriamente suadente, anzi decisamente roca, e non era stato il fumo, che nemmeno aveva mai provato a fumare. Un danno alle corde vocali: da piccola aveva cercato di dissetarsi con un goccio di candeggina; l'avevano fermata in tempo, in tempo almeno prima che sbagliasse completamente...candeggio…Si sa: “la fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo”.
Ad un tratto, lui un po' per rompere il silenzio, un po' per stanchezza, se ne uscì con questa sorta di pensiero ad alta voce: - ma tu guarda 'sto disgraziato, il direttore, il capo dei capi!...Ma è questa l'ora di far terminare le sue riunioni del cavolo? I suoi cosiddetti brainstormings? Nicolè, è quasi mezzanotte, ti rendi conto?!... Che poi ti mette pure in difficoltà, 'sto stro... A quest'ora in giro con una donna in macchina, che se non ci provi passi pure per ...insomma...si capisce! E rise, rise forte, Fabio. Come a dire: - ti è piaciuta la battuta? Si voltò verso di lei, cercando d'indovinarne il sorriso.Nicoletta si fece piccola piccola, ancor più piccola di quel che era. E arrossì, di un rossore che sembrava volesse incendiare la penombra umida della notte. Non riuscì a trattenere quella parola, una sola, che spontanea si precipitò sulle sue labbra, e che voleva dire tutto, per lei: << I n f a t t i >>.
Fabio la guardò, ma nella semioscurità non la vide, la cercava a bocca aperta, gli occhi sgranati... Cavolo! Ma perché aveva parlato? Perché non la smetteva una volta per tutte di dire cretinate!?! Imbecille, e mannaggia la stanchezza. Si strinse nelle spalle e rimase muto, a disagio, per tutto il resto del viaggio. Nicoletta ebbe un brivido di freddo, poi pianse in silenzio, inghiottendo le lacrime, per tutto il resto del viaggio.

Unico testimone, il mare.
Dal parabrezza, piantato contro lo specchio verdazzurro del mare appena increspato di spuma bianca e pulita, i raggi del sole s’insinuavano complici, illuminandole gli occhi meravigliosamente chiari. Tanto belli da gareggiare, nel mattino dorato, con il colore intenso delle onde. Alberto aveva svoltato all’improvviso nella stradina sterrata che portava sulla spiaggia e ora, confuso, attendeva apparentemente calmo che Aurora rialzasse le palpebre delicate, socchiuse appena come a nascondere il sottile imbarazzo che ancora rivelava un timido sforzo per non piangere. Inutile tentativo di un'ultima vana difesa contro il desiderio e la paura di ciò che stava irreparabilmente per accadere. Le labbra si schiusero un poco come a cercare una risposta a una domanda muta. Una parola che desse un senso, fornisse una spiegazione a quel loro ritrovarsi lì, da soli, in tale situazione. Non ci fu tempo per nulla. Né parole né pensieri, tantomeno per un'estrema fuga. Il primo bacio fu lieve come un fiocco d’ovatta spinto via dal vento. Sorpresi e stupiti, quel primo contatto dovette apparire loro un po’ inconsistente rispetto alla forza del loro desiderio troppo a lungo represso. Il secondo fu di fuoco, passionale e intenso come doveva essere. Una vertigine. Uno stordimento. Bruciante come un bicchiere di vino generoso e forte mandato giù con la voluttà del goloso mai pago del suo piacere. E le labbra restarono avvinghiate a lungo, mentre le mani andavano dappertutto nell’ansia di abbracciare, contenere e trattenere per sempre, la fonte di tanta accalorata bellezza.
Seppure avessero voluto fermarsi, ormai non era più il tempo. La giacca dell’elegante tailleur bianco di Aurora si scostò appena, proprio nel punto dove descriveva la “V” resa ancor più splendida da un magnifico seno abbronzato e morbido, come tutta la pelle naturalmente setosa e vellutata. Una goccia di sudore le scese dal collo per tuffarsi proprio lì, mentre la testa le scivolava all’indietro mostrando il bel collo liscio. Lui con avidità lasciò che i sensi lo guidassero; la sua lingua raccolse quel nettare salato e intinto del profumo fresco e rugiadoso di lei. Poi si protese, fremendo, nell’incavo delizioso tra le spalle e la gola che così generosamente gli si offriva. Aurora gli prese il viso tra le mani e gli spinse la bocca tra i seni ben disegnati e sodi. Un vergognoso mugolio di piacere le soffocava i gemiti. Se avesse potuto avrebbe urlato, ma non se ne sentiva capace. Intanto il desiderio di lui era giunto al culmine, e lei lo aveva sentito attraverso i calzoni. Lo aiutò a svestirsi, poi toccò a lei. L’amplesso fu breve ma vigoroso e totale. <<Bellissimo>> disse Aurora, Alberto fece finta di crederle, prima di afflosciarsi estenuato e soddisfatto sul suo petto. Per un attimo Alberto pensò a sua moglie e avvertì un pugno nello stomaco…Anche la mente di Aurora corse al marito e ai figli… Rimasero un po’ a guardare il mare con la sensazione di farne parte, prima che la tristezza, mescolandosi alla gioia, potesse rubar loro il cuore.

Ti prego, non farlo. Ti voglio bene.
La porta del bagno si aprì e si richiuse seccamente, producendo un tonfo sordo e rapido che lui conosceva bene. La chiave nella toppa girò con metallica violenza.
Angelo non aveva visto nulla, ma sentiva tutto. Cercava di non far caso all'orribile discussione che stava avvenendo. Era stanco. E aveva paura dei litigi. Lui cercava di evitarli, sempre, anche con i cosiddetti amici. Preferiva passare per uno senza midollo spinale. E ci riusciva bene, purtroppo per lui. Ma chiudersi in bagno, a chiave, no. Non lo sopportava. Il ragazzo si alzò di scatto. Le gambe gli tremavano. Il respiro corto dell’ansia peggiore. Paura. Temeva di capire, di sapere già. E lui non voleva capire, non voleva sapere, non avrebbe voluto essere lì a provare ciò che stava provando, molte volte sperimentato. Si affacciò timidamente sulla soglia della sua stanza. Dalla cucina giungevano rumori di tazze e bicchieri spostati nel lavandino. Un uomo, in quel momento gli parve potesse essere chiunque, bofonchiava parole incomprensibili ed oscure, tra i denti. Maledizioni terribili che lo toccavano al cuore, e gli procuravano dolore, angoscia, persino paura. Angelo non voleva urlare, benché gli sforzi per trattenersi fossero tra i più penosi. Si avvicinò alla porta serrata, on il pensiero della tragedia, sempre solo immaginata in estenuanti visioni notturne, che ormai da tempo gli prendeva lo stomaco e ne faceva brandelli. Faceva uno sforzo immane per scacciare quel pensiero già ossessivo fin dal suo primo sorgere. Il panico non era quasi più controllabile, e tuttavia resisteva.
Allungò lentamente la mano fino al pomello, l’abbassò deciso anche a romperlo se necessario. Provò inutilmente ad aprire (già sapeva, ma era così che doveva fare)…Una, due tre volte…a lungo. Nessun rumore dall’interno…Allora, non ce la fece più e cominciò ad urlare: << MAMMA APRI, per favore, apri soltanto…giuro che non ti costringerò ad uscire né a far nulla che tu non voglia…apri solo ti prego, voglio solo guardarti…ho paura, mi fai paura, mi fate paura…tutti e due>>. Dall’interno giunse un suono soffocato di voce incrinata, incomprensibile, rotta dal pianto: - Angelo mio stai tranquillo…non è nulla…sono solo un po’ stanca, la crisi, la solita crisi che ogni tanto mi prende alla testa fra poco andrà via e aprirò la porta. Un deja vu.
- No. Tu mi farai il piacere di aprire subito…voglio vederti…poi mi allontanerò, se tu vorrai davvero… - Ora si udivano distintamente i singhiozzi e si percepivano le lacrime, solide, cadere nella vasca da bagno vuota…come vuota gli appariva quella vita. La porta rimaneva chiusa come a serrare il dolore di un’intera esistenza, storia di lacrime e d’incomprensioni, frutto immaturo ed immeritato, di un amore che era stato bello ed acerbo, come acerbe e bloccate in sboccio dal gelo rimangono per sempre alcune personalità. Bellissime in se stesse; mute ed avare nel contatto reciproco.
- MAMMA non fare pazzie ti prego – disse Angelo mentre la sua schiena scivolava afflosciandosi, come svuotata, lungo la porta a vetri - passerà vedrai, passerà... non è nulla…tu sei “solo” un po’ giù, stanca, e papà non è cattivo…soltanto non comprende, non sa comprendere, non è in grado…MALEDIZIONE a voi, maledizione a me che sono nato.
-MAMMA ti prego, voglio solo vederti, non farò e non dirò nulla, ma vieni fuori. Non puoi farmi questo, non puoi rovinarti così.
Angelo si abbandonò al dolore che lo invadeva con le sue spire calde e soffocanti...Solo allora si accorse di essere nudo e senza alcuna difesa. E pianse, pianse, appoggiato seduto contro quella porta che sembrava assurdamente volergli impedire per sempre una vita serena, la felicità…l’amore.

Cercando la pagina perfetta...
I racconti di Saverio cominciavano a somigliare sempre più a...a un... si, a un diario. Un diario spaccato aperto. Pagine strane, pagine monche, pagine fiacche, pagine rancide...ma anche assurde, alle volte ridicole, altre senza senso...alla ricerca di un pezzetto di sè...della Pagina sapiente.
Comunque, vuoi o non vuoi, la prima è sempre...
Pagina bianca -
Voglio parlare, cosa dirò? - Voglio guardarti - Pagina bianca voglio sporcarti - Pagina bianca sei bella nel tuo candore - Voglio toccarti, pagina bianca - Voglio una bocca, pagina bianca - voglio sfiorare le tue labbra. Forse ti farò violenza, ma non il male. Amo le tue fibre eteree e così l’intreccio saldo tanto solido da contenere tutte le dolcezze, come tutto il dolore del mondo, e le storie, e le gioie, e le pene di quest’atomo-mondo sperduto nell’universo. Povera, confusa navicella che ci porta tutti, apparentemente senza meta – Pagina stupida.
Pagina piatta - E allora mi viene da dirti: corri in mio soccorso, vieni in mio aiuto. Anche stanotte, in deliquio, mi sono avvoltolato nel mio piscio. Dopo, ho vomitato sangue e il latte con i biscotti... Che schifo…Che male. Dentro, sempre e solo dentro. Il dolore fisico non lo sento, sembro anestetizzato. Non capisco, non connetto. Vivo all’ombra della tua assenza, anima mia. – Pagina interna.
Pagina sola - Da giorni nessuno bussa alla mia porta. Qualcuno mi ha cercato. Timidamente. Troppo delicatamente. Non ho potuto aprire. Serrata la bocca dello stomaco.
Non potevo alzarmi ad aprire. A terra contratto immobile ventre piatto molle. Io verme di terra. Attorno solo viscidume. Quel qualcuno ha bussato con tocchi troppo timidi,quasi paurosi: ha tirato diritto. Pagina goffa.
Altri giorni sono passati, ho udito tutti i rumori della vita intorno a me. Poi ho perduto il tempo. Quanti giorni così? nel mio puzzo e nella casa in sfacelo. Nessuno che osasse sfondare la porta. Un trillo. Nessuna risposta: e via. Ho pensato al buon samaritano. Oggi dovrebbe saper sfondare porte, aprire vie d’accesso, allungare orecchie, sfondare finestrini d'auto chiusi, bloccati, per lo smog, per non vedere non sentire non udire...Samaria dovrebbe imparare a perdere tempo (quello vero), essere sentinella del dolore... sembra non sappia più farlo. Dicono che il tempo (quello cattivo) lo perda soprattutto chi ce l'ha...
Sono solo… e non sono mai stato nemmeno io buon samaritano, almeno non lo ricordo. Troppo egoismo? Forse. No, troppo rispetto, troppa paura di bucare sfere troppo tonde, vite troppo intime e private, troppo private, perfette chissà, solo in apparenza. Pagina imbecille.
Pagina scarna: trattengo il respiro - Pagina stronza - allungo le dita - Pagina vuota - non sento la pelle - Pagina decadente - se non ti sento non mi sento - Pagina stupida - Ti cerco, ci sei, m’acceco il cuore e ti spero - Pagina languida - Mi muore il senso - Pagina dannata - Dove sei adesso, dove? - Pagina liquida – Anche in momenti come questo non dispero - Pagina plumbea - Anima si svuota, forse si perde…
- Pagina tace.

Stanchezza...mortale
Non c'era alcun pensiero nella sua mente tranne l'impulso di alzare la Beretta M92 che già stringeva nella mano destra e puntare.Con flemma, lentamente come in un rito mille volte compiuto.Così fece. Anche l'altro,esattamente gli stessi movimenti,senza una parola.Il braccio del prof. Massimo Silenzio (suo padre avevo voluto segnarlo a vita chiamandolo così,con imbecille forse amara ironia)adesso era sospeso in aria,non un muscolo vibrava.Solo un'immensa calma e tanta determinazione.Proprio come agiva anche la figura che gli si stagliava di fronte.Solo allora il cervello cominciò a ruminare.Gli era venuto di rivivere chiaramente quel che aveva fatto durante il giorno, in particolare in mattinata.Come gli accadeva da qualche tempo si era svegliato stanchissimo,nonostante avesse dormito più di otto ore.Aveva provato ad alzarsi, la mente confusa, le gambe non lo reggevano, dolori alle spalle, i polsi flosci in qualunque posizione li mettesse.Cercò di non dire nulla a sua moglie,per pudore,per orgoglio,per non rovinarle la giornata,per tanti motivi che non riusciva a confessarsi.Con uno sforzo immane era riuscito a raggiungere il bagno.Fece tutto ciò che un uomo normalmente fa di mattina appena alzato.Salutò.Aprì la porta e uscì.Mise in moto il suo catorcio e,dopo qualche centinaio di metri,lo colse con orribile violenza il tremore.Uno scuotimento interiore che attendeva solo il momento buono per manifestarsi lo colpì all'improvviso,ma non impreparato.Conosceva bene quella sorta di convulsione interna, solo a lui nota, invisibile all'esterno per chiunque: lo prendeva in tutto il corpo,soprattutto cuore,gola e mente.Si sentiva soffocare, la mente in un disordine pazzesco. Temeva la follia più della stessa morte.Era stufo di sopportare quella violenza che si protraeva come un'offesa alla sua intelligenza, alla voglia di sapere, di capire che da sempre aveva eletto a suo mestiere.Forse non era cosa per lui? Il Professore.Da studente, mai amata la scuola, una noia insopportabile.Mai stimato troppo i suoi proff.Gli piaceva interessarsi di tutto, in piena libertà.Uno schifo le interrogazioni.L'essere esaminati.Ne comprendeva la necessità, in un sistema del tipo in cui si ritrovava a vivere,ma quanto gli piaceva leggere e leggere e leggere senza verifiche,senza necessità di parole,senza dire a nessuno quel che accadeva in lui.Della sua gioia di apprendere.Mica per caso si chiamava Massimo Silenzio?!? Maledetto il giorno in cui si era laureato in filosofia. Maledetto il giorno in cui aveva accettato d'insegnare. Non gliene fregava nulla d'insegnare agli altri, di spiegare. In cuor suo sentiva di non essere un "maestro". Egli non era rimasto altro che un discepolo, e tale voleva essere. Che gl'importava di dare spiegazioni quando lui stesso si dibatteva ancora tra mille domande senza risposta? Sempre i soliti pensieri, comunque. Era ora di dire basta. Si era stancato sempre più, con il tempo. Come lo aveva estenuato quell'uomo di fronte con la pistola nella mano opposta alla sua. Lo aveva riconosciuto benissimo, anche nel chiaro-scuro. La sua mente tornò a lui senza pensieri. Il colpo esplose come una scudisciata, ma forte, nella notte taciturna. Fece in tempo a veder arrivare la pallottola sparata nello stesso istante verso di lui, come al rallentatore, pronto ad attingerlo.Fu un attimo e si dissolse in corsa, mentre era in rotta di collisione con il suo proiettile, in migliaia di piccoli frammenti insieme al pesante e grande specchio nella sua stanza. Un attimo dopo appoggiò il ferro ancora caldo dove il dolore sembrava premere più forte...

L'importanza della luce. E la bolletta?
Se quest'anima stanca sprigiona una luce soffusa che sùbito si sperde nel vasto crepuscolo, non è tua la colpa, amore mio. Se di colpe dobbiamo trattare - semmai è del tempo ignaro, che infiacchisce il mio corpo e della noia che uccide il mio spirito.
Quella Luce - Se solo non l'avessi mai avuta tanto vivida da irradiare il mondo intero, ora non potrei rimpiangerla così tanto; ma un giorno l'ebbi, e vissi l'infinito o potei crederlo. Poi scomparve all'improvviso come un soffio su una candela fumigante, e solo un vago chiarore ora m'accompagna.

Da qualche giorno, ormai, mi sto appellando al mio diritto di non sapere...Tanto, ho avuto sempre l'impressione netta di non sapere nulla, ma soprattutto in certi "infiniti istanti", e Socrate c'entra davvero poco...Credo di non aver mai saputo veramente nulla. Mi dispiace. Spesso la gente "normale" pensa di sapere delle cose, alcuni molte...altri fanno finta di sentirsi ignoranti. Una maschera, una delle tante del vasto repertorio. In realtà non sa veramente nulla, o quasi, di ciò di cui parla...E così anch'io posso nominare Eliot, facendo finta di sapere... Ma stasera, almeno solo per stasera, vorrei solo occuparmi di quale sia la differenza tra Coca-cola e Pepsi...Che anche questo io ignoro...e non me ne importa un accidente di saperlo.
Quanto riesco ad essere insopportabile a me stesso, lo sai no?...Bleah!!!

In ogni caso: la mia barca è sempre pronta...il mio cielo interiore è grigio, anche se la volta è perfettamente chiara e trasparente come cristallo purissimo...e laggiù s'intravede una tenue luce. Io vado, anche se dubito sia "quella". Avverto una presenza sopra di me...Ma forse è solo fantasia. Io parto. Ci provo a sciogliere la vela. Compiuto il periplo conto di tornare...se dio vorrà...

Una volta ancora ho singulti di pensiero vagante, sobriamente ubriaco...Domani, forse, a Dio piacendo, tornerò a far finta di sapere qualcosa, se non tutto, modestamente. Ma stasera, no. Sorry.
Buonanotte...pessima notte.

Dal diario di un mio caro amico, "più intimo a me di me stesso":
[...] Voglio dire, capitano - fece con voce flebile, appena percettibile, Tristan il nostromo - se continuo ad esistere, non è in virtù di un folle amore per la vita, anche se la morte non l'amo e non la venero...E' solo perché sono troppo vigliacco per farla finita...e perché comunque vada la fine mi viene incontro che la invochi oppure no.
Sono stanco, molto stanco...Dentro. Come sono comuni, banali, mille volte lette, dette, ascoltate, queste miserevoli parole?!? Scongiurate!...Eppure quando ti riguardano, hanno un suono tutto particolare...un tonfo...un rimbombo nella testa...Ti ostini a non poter accettare che è finita...Ma è così... Non occorre altro che qualcuno bussi alla porta della tua piccola barca...- Sei pronto a sciogliere le vele? -...No...per carità. Cioé, sì...In verità non lo so, non ne sono sicuro...Ma davvero, talvolta, penso che l'unico gesto veramente coerente, veramente nobile, il solo necessario, sarebbe...sciogliere le vele...Andare. Anticipare ciò che in ogni caso avverrà...che te ne accorga o meno...Consapevole o no!...Chiudo così, capitano...Vorrei poter dire addio...ma ancora non ho rubato nulla di prezioso da portar via. Addio: non ho fatto mia abbastanza questa espressione, come si dice tra persone colte? Ah, sì! Mi pare si dica: interiorizzato, introiettato, sì questo...Addio, perché no?
In fondo cos'è la vita, la mia vita: pagine di un libro vuoto che, strappate anzitempo, volano via da una finestra attirate dal vento...Ma, ahimé, temo che dire addio sia un'arte, richiede una scienza...E io non conosco ancora la scienza degli addii."
Aurevoir

L'Idiota. Ancora lui.
Per Xavier comunicare in prima persona non era mai stato facile. Ci provava ma, ogni volta, si ritirava nella sua casetta alla periferia di se stesso con un senso di vuoto e di mancanza, una sottile amara inquietudine che sul momento gli provocava spaventevoli vertigini. Poi frustrazione, e poi ancora alla fine si sentiva stremato, smunto, come avesse fatto il giro del mondo in 80 secondi. E allora cadeva senza volontà in un sonno a metà tra il trasognato e l'allucinato. Nel cervello, il buco nero tirava fuori un vago rumore con un accento come di lavatrice scassata, troppo vecchia per farsela, ancora, un'altra giravolta. E non capiva, non capiva, come fosse possibile che avesse sempre torto quando interagiva con gli altri! Altri? Ma no, lei, lei. Si sarebbe scarnificato, dopo ogni contatto, qualunque contatto: del primo tipo, del secondo, del terzo, ecc. fino all'ultimo stadio. Non avrebbe mai voluto trovarsi nel luogo dov'era, non qui, non lì. Altrove. Sempre altrove. E Xavier si spaventava a morte di questo, perché gli dava la prova del suo essere fuori dalla realtà, sempre con i piedi sollevati da terra, oppure sempre troppo sotto, giù, a tre metri sotto terra.Il cilicio si era rotto da tempo, non faceva più effetto sulla pelle tutta callosa per antiche cicatrici; e il "gatto a nove code" nemmeno. Troppo consunto, sfilacciato, inservibile. Ma poi, ecché? Per caso il mondo girava intorno a lui? Era lui il nuovo messia venuto a sanare i mali dell'umanità? O forse anche solo dei pochi che avevano la dabbenaggine di ammirarlo, mai saputo per quale mistero? "Tu sei soltanto <<l'idiota>>, ricordalo spesso" gli ripeteva una vocina con oscura sadica voluttà. "E' in ciò la tua pace e la tua salvezza, insieme al tormento. Lascia scorrere tutto il resto. E se proprio non sarai capito, non fare l'incompreso, la vittima. Sono atteggiamenti non tuoi, non ti appartengono. Bisogna che ognuno percorra la propria strada fino all'ultimo; tu non sei il bambinaio di nessuno. Cura te stesso, e potrai guardare il mondo con gli occhi limpidi che ti ritrovi senza volerlo. Grazia sempre rinnovantesi, senza troppe preghiere, senza inutili salamelecchi.” Ma lei, lei... “Il raggio di sole della tua vita mostra di non volersi arrendere al tuo modo di essere. Forse non capisce! O non vuole! Ti accusa, non senti? Ti chiede che tipo di amore sia il tuo... E lo chiede proprio a te che ti affanni a ripetere che sai di essere meschino, povero di qualità, addirittura "uomo senza qualità", senza amore se non quello che ti fa sussultare il petto, ad esempio, per ogni rosa a novembre. Ah! Rose a novembre!?! Sei un pazzo, o uno scemo. Idiota. Non sei compreso. Non te ne accorgi? Nemmeno tu sai badare a te stesso. Non ti conosci, e vorresti capire gli altri, sanarli. No! Tu puoi ingannare te stesso, Xavier, non me. Tu sei quello che stamane cercava di alzarsi dal letto, senza forze. Hai fatto il caffé allungandolo con le tue lacrime senza perché. Quello che, per uscire dalla porta, non sapeva come fare; hai respirato senza fiato, con i polmoni mosci, non ti sei guardato allo specchio per timore di non riconoscerti. E quella tua mente vuota, vuota come il secchio abbandonato, pieno d'acqua un mese prima, nella vampa d'agosto...” - “Leggi cosa ti scrive la tua musa, il tuo angelo custode. Ah!Di tutti gl'inganni, l'amore è il più dolce e il più terribilmente stupido”.
Di chi era questa seconda voce? Xavier sapeva solo di non starci troppo con la testa, in certi momenti soprattutto, e tutti gli sforzi che faceva per connettere naufragavano sistematicamente contro gli scogli della sua miserabile realtà. La realtà? Si, questo è un altro capitolo, ben complesso. Alla prossima volta, forse.

E tu ridevi felice, perché lo sapevi
- Smettila. Tu non te ne accorgi: sei impossibile. Emetti giudizi sferzanti, e sottilmente vorresti costringere gli altri a
fare quello che tu desideri facciano!!!
Io? Ma no amore, no. Mi vergognerei di me stesso, se fosse così. Cos’è che ti autorizza a delegittimarmi così agli occhi di mia figlia? Si, lo so! Lo dico sempre che non sarò granché come padre, marito, uomo, però mi pare di capire che certe volte succede. Succede a tutti di accorgersi di non essere perfetti, e che la vita è più grande, è più complessa, ed anche più bella e saggia, per fortuna, dei nostri miserabili schemi, quelli in cui vorremmo rinchiuderci, per viltà, comodità, e non saprei che altro. Ed è vero: la comunicazione è difficile. Ma vedi, se qualcosa ho imparato dalla “mia malattia” (ma c’entrerà poi questo, per davvero?) è che risulta spesso molto complicato intenderci, non dico di no. Ma non impossibile. Io ti guardo, ti osservo, osservo quello che posso vedere dal mio limitato osservatorio. E anche se ho la malattia del dubbio, la chiamano pure "sindrome di Cartesio", dovrò pur credere a qualcosa di ciò che vedo nella mia realtà che non è la tua, né quella di nessun altro, no? Talvolta vedo che ciò che ho dentro non arriva a te, non va oltre me stesso. La vita che si agita in te, talvolta non supera la soglia della vita che è in me. D'accordo, lo dice Gibran, ricordi? Si, lui lo dice meglio. Ma se t’invito a sederti accanto a me - certo hai ragione - quando posso e voglio io, tu perché non siedi con me? Per cercare le mie vibrazioni, e io le tue, affinché qualcosa della vita che è in me possa incontrarsi con i suoni della vita che sono in te. Forse i nostri segni ci sono estranei, ma perché non sediamo quieti e non proviamo ad ascoltarci, ma veramente. Non come in un film che non ci appartenga. Ma io sono malato, si, hai ragione. Anche guarito, resto malato. Tanto malato da vedere ormai solo fantasmi attorno a me. Ho paura, temo,più malati di me. Ma ricorda: c’è stato un tempo in cui ho potuto amarti, e tu mi hai offerto la tua forza. Non eri forte, amore mio. Non lo eri… Poi ho dovuto aprire gli occhi, capire che nessuno lo è davvero, per se stesso. Ma per gli altri, si. Per gli altri. Siamo tutti un po’ sani e un po’ malati. Oscilliamo tra errore e virtù, conoscenza e ignoranza. Tutti sul confine. Se non ci tendiamo le mani, stretti fino all'abbandono, andiamo giù. Attenta. Attenta figlia mia. Salvati, prima che sia troppo tardi. Le mie braccia, guardale, guardale sempre, come facevi da piccola. Esse sono le stesse. Quelle grandi e forti e salde in cui ti rifugiavi con un goffo, simpatico tuffo morbido, volgendo il tuo sorriso beffardo al mostro di pezza perché, allora, in quel porto sicuro non poteva farti più nulla. E tu ridevi felice, perché lo sapevi.

La dichiarazione d'amore
I tornanti si avvicendavano veloci uno dopo l’altro, in rapida successione, su quella strada dal fondo reso viscido dal gelido piovasco di un inverno appena iniziato. Fabio aveva fretta, la voglia di casa troppo forte dopo dodici ore passate in azienda. Nicoletta invece era stanca, ma serena e placida, sprofondata mollemente sul sedile del passeggero. Non aveva alcuna fretta, Nicoletta. Da tanto viaggiavano insieme, e lei aveva capito poco alla volta che quello era il momento più bello della giornata. Cinquanta minuti di macchina, settanta km d’asfalto, seppur percorsi di corsa, da casa all’ufficio, altrettanti dall’ufficio a casa, sola sola con quel bell’uomo appena più giovane di lei di un paio d’anni. Affascinante, se non proprio bello, colto, gentile, premuroso, talvolta. Sapeva di esserne attratta. Si, forse innamorata. Altrimenti per quale altro motivo a quarantacinque anni il cuore tornava a palpitarle come alla prima cotta mai dichiarata? Nessuno l'aveva mai filata, e lei se n'era fatta una ragione. Aveva imparato a tenere a posto il suo cuore. La riunione dei capi-area quella sera sembrava non terminare mai, e lei aveva atteso pazientemente, perché non guidava…problemi di vista…ed anche un indice mancante, ricordo del suo primo lavoro, nella fabbrica di pomodori pelati e succhi di frutta del suo paese. Una frullatrice le aveva tranciato di netto il dito della mano destra, portandoselo via insieme alla polpa matura delle pesche quasi fradice. Ma ottime per i succhi di frutta. L’ultima bottiglia poi, insaporito dal suo dito maciullato doveva essere squisita. Chissà se avevano pensato di bloccare tutto, almeno!?! Lei era svenuta due secondi dopo il fattaccio, e non poteva giurare che l’avessero fatto. Ma tutto questo sarebbe stata ancora poca cosa. Non era bella, ma neppure brutta. Insomma, era…come dire? Si sentiva insignificante, sciatta, non aveva alcuna stima di se stessa, non si prendeva troppa cura di sé. Nemmeno era necessario per il lavoro che svolgeva, trovato in qualità d’invalida civile, e grazie ai buoni uffici di un suo zio. Era impiegata nell’archivio di un’importante azienda farmaceutica. E questo era tutto. Anzi, no. Aveva una voce non propriamente suadente, anzi decisamente roca, e non era stato il fumo, che nemmeno aveva mai provato a fumare. Un danno alle corde vocali: da piccola aveva cercato di dissetarsi con un goccio di candeggina; l'avevano fermata in tempo, in tempo almeno prima che sbagliasse completamente...candeggio…Si sa: “la fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo”.
Ad un tratto, lui un po' per rompere il silenzio, un po' per stanchezza, se ne uscì con questa sorta di pensiero ad alta voce: - ma tu guarda 'sto disgraziato, il direttore, il capo dei capi!...Ma è questa l'ora di far terminare le sue riunioni del cavolo? I suoi cosiddetti brainstormings? Nicolè, è quasi mezzanotte, ti rendi conto?!... Che poi ti mette pure in difficoltà, 'sto stro... A quest'ora in giro con una donna in macchina, che se non ci provi passi pure per ...insomma...si capisce! E rise, rise forte, Fabio. Come a dire: - ti è piaciuta la battuta? Si voltò verso di lei, cercando d'indovinarne il sorriso.Nicoletta si fece piccola piccola, ancor più piccola di quel che era. E arrossì, di un rossore che sembrava volesse incendiare la penombra umida della notte. Non riuscì a trattenere quella parola, una sola, che spontanea si precipitò sulle sue labbra, e che volevo dire tutto, per lei: << I n f a t t i >>.
Fabio la guardò, ma nella semioscurità non la vide, la cercava a bocca aperta, gli occhi sgranati... Cavolo! Ma perché aveva parlato? Perché non la smetteva una volta per tutte di dire cretinate!?! Imbecille, e mannaggia la stanchezza. Si strinse nelle spalle e rimase muto, a disagio, per tutto il resto del viaggio. Nicoletta ebbe un brivido di freddo, poi pianse in silenzio, inghiottendo le lacrime, per tutto il resto del viaggio.

Un brevissimo racconto...di classe
Mattino presto; saranno le cinque. No! Le quattro e mezza...
Da qualche parte nel condominio una rete cigola. Magari è qualcuno "colto" da sindrome da risveglio anticipato, come me. No, come me, non posso dirlo. D'accordo, l'amore non ha età e neppure orari, evidentemente...Però il pensiero corre, e la mente vuole, pretende d'immaginare che il primo caffé abbia già fatto effetto. Vuoi vedere che lo hanno dolcificato con il Viagra? Già: ma, se del caso, trattasi di quello blu o di quello rosa?...o di entrambi? Oddio! Già mi galoppano le fantasie da risveglio indotto, coatto, pensiero già sull'ossessivo-andantino-allegro...E sì ch'è così presto!?!
Uff...beati loro! Ma che dico?
Tra poco sarò in cattedra (capirai...) Preghierina lieve lieve: Signore fa che stamattina, G. del primo banco non pretenda di togliersi le scarpe, come ha chiesto ieri. Aveva le bolle sotto ai piedi, povero fanciullo, per via della partita di pallavolo (regolarmente persa dai "miei" ragazzi, con conseguente crisi depressiva)...Alla domanda mia subito velenosa, viso viola, sorriso isterico simil paresi facciale che lascia scoperti ben ventiquattro lucidissimi denti (...24, si...ecch'è, a voi si vedono tutti tutti, quando ridete?), a tutta gengiva, radici comprese:
- G., visto che fai tanto lo spiritoso, l'ultimo argomento di storia affrontato, qual è...???
- Ah, come... prof? Boh? E chi se lo ricorda? Nun tengo memoria...Io mi "scordo" pure che mangio la mattina...
- P., per favore, vuoi rinfrescargli tu il cespuglio sotto il quale, dice lui, ci sarebbe un "cervello che pulsa"??? (sic: non pensa, pulsa).
- Si prof...ehm...si è parlato di Destra Storica e di Sinistra Storica...ma non quelle di oggi...Eggià! Che scemo...so' storiche!?!
- Grazie. Fermati qui. Bene, G., sentito? Allora?
- Aaaahhh, si prof, certamente...e io chissà che "mi pensavo che fosse"...Le scarpe di Napoleone, no??? Eeeehhh: ...e più storiche di quelle dove le andiamo a trovare?!?
Con aria ispirata, a questo punto, G. prorompe a declamare:
- Dall'Alpi alle piramidi, dal Marzapane al Rene, fu vera foia? Ai postumi l'artica tendenza...
La classe esulta e gode...mentre si diffonde, fulminante, l'ilarità generale: anzi, una vera pandemia di ...riso "scotto".

Torno in me stesso, comunque perso nei miei pensieri, ricordi di un prof ormai d'annata. Cerco di consolarmi: l'anno passato andò peggio, forse, poiché non credo di saper quantificare il peggio...Il medesimo alunno G., da me richiesto su chi fosse Isaac Newton, rispose candidamente e apparentemente senza dolo: "Eh, prof, chesta 'a saccio...Isacco Niuton è quello che ha scoperto la legge della "Gravidanza Universale..." e da quel momento la mela fu considerata il frutto del peccato e l'aumento demografico una piaga inguaribile, aggiunsi io per stare al gioco (?).
Evvivaaa...!!!
E intanto quella benedetta rete cigola ancora. Che non sia ciò che rimane dell'ingranaggio grippato del mio cerebro? Newton, la mela, Napoleone, la legge della mobilità relativa delle masse!?! Mah.
Cordialmente

Un racconto di Natale di-verso per un di-verso sentire.
DIO parlò e disse:
-Dove sei? Dove sei nel tuo mondo? Dei giorni e degli anni a te assegnati ne sono già trascorsi molti: nel frattempo tu fin dove sei arrivato nel tuo mondo?
Ecco sono già 46 anni che sei in vita. dove ti trovi?
All'udire il numero esatto dei suoi anni, il comandante si controllò a stento [...], ma il cuore gli tremava.
- Dove sei, adesso, uomo...Dove ti sei nascosto?
- Perché?
- Perché non sei stato te stesso?
- Ma non ti accorgi che ogni qualvolta provi a lasciare il povero eremo del tuo niente, spazio infinito a te assegnato, non comprendi e non sei compreso? Perché ti ostini, uomo di dura cervice? Ti è stato rivelato molto, molto ti è stato donato, ma tu rifiuti ciò che hai e ciò che sei...Se non ti accogli e riconosci tu. Se ti nascondi a te stesso, come puoi pretendere che gli altri lo facciano? Non sei comunicabile. Sei solo, amico mio...figlio degenere.
Sei stato di nuovo soppesato, valutato... e trovato mancante!
A te, si proprio a te, torno a chiedere: DOVE SEI? Nascondedoti a me, ti nascondi a te stesso, lo sai e non vuoi com-prenderlo...Povero uomo.
-Ti avverto: Va' verso te stesso, chiunque tu sia, trova te stesso, raggiungi il tuo destino, risali alla fonte...Non hai infinite possibilità...Questa è l'unica strada...la tua strada...Riprendi il tuo cammino, quello che è solo tuo, non di altri....essi hanno già il loro affanno...ma tu se vuoi, puoi essere compagno...se vuoi. Non aver paura del povero nulla che sei.
- "Ma Signore non mi sento ancora pronto. Domani, forse, vuoi? Domani forse sarò pronto...Non oggi, oggi no. Dammi ancora un po' di tempo...Io mi sento sicuro solo nel mio rifugio, dove nessuno può vedermi. Io temo gli altri...Tutte le volte che provo a scendere nel mondo...Mi accorgo di non sentirmi a mio agio; dopo un po' mi stanco; e credo che anche gli altri si stanchino di me. Ho vissuto troppo tempo da solo...Mi sono disabituato agli uomini...Mi chiamano pazzo, stupido, incapace...E io, io credo che abbiano ragione loro...Non servo a NULLA...Lasciami stare...Consentimi di vivere...VIVERE?...come mi è concesso...Non oggi, domani...forse".
- Povero uomo, figlio...Come ti sei perduto! Perduto!!! Ti sentirai mai pronto?
- Hai ancora una possibilità: scegli la tua via...senza precludere a nessuno di scegliersi la propria, non esiste una via unica; sarebbe sterile imitazione; ripetizione di ciò che altri hanno sperimentato; non sarebbe IL TUO esperimento.
- Nel mondo futuro, se ci credi veramente, ma tu non credi - oh si, so bene che NON CREDI - non ti si chiederà perché non sei stato questo o quello,,, bensì: "Perché non sei stato te stesso?" -
- Adesso va'...va'. Lekh-lekha, ma anche Lekhi-lakh - Va' verso te stesso......Se puoi. Il tuo povero nulla è tutto ciò che possiedi, lì c'è tutto ciò che occorre al tuo cammino.
- "Signore, ma perché me stesso? Perché: solo per me stesso?"
- Santa Pazienza, quanto sei ottuso, non so chi mi trattenga dal fulminarti, IMPIASTRO... Non per te! Ma per gli altri, per il mondo.
- Stai attento, figliolo, bada al tuo cammino. Non so se tornerò ancora a parlare con te. Attento a te stesso.
- "No Signore non andartene di nuovo - Prima mi sono nascosto perché avevo paura di te - Ma ora non più. Resta. Ho bisogno di TE."
- CHI ti ha fatto conoscere la paura, CHI? Sia meledetto...-
- "Signore...Signore...ti prego non andare via...Dove dovrò venire a cercarti? Non ho capito bene...Non...ho...capito."
SILENZIO      

Agosto per me è un mese tosto
Chissà perché le notti di agosto, ormai da molti anni, mi giocano sempre lo stesso scherzo. "Alle dieci e mezza, non oltre, sarò a letto a dormire", mi dico convinto. E invece no! Mi ritrovo sul terrazzino di casa, come sempre, a fumare l'ennesimo mezzo Toscano della giornata.
I pensieri, impalpabile serpentone, se ne vanno, immancabilmente e sempre troppo velocemente, dietro le ampie volute delle nuvolette di fumo che il venticello della sera costringe a virare, ad un certo punto, verso la luna, instancabile compagna di poeti e sognatori. Anche stasera essa è di fronte a me, o meglio, sono io che non mi sottraggo a lei. Pare un occhio che mi scruta e scava dentro. E le idee, sparpagliate, rissose, vi si perdono come risucchiate da un non so che di magico, di mistico e…di perverso. Del resto la luna, lo so bene, è sempre stato il mio astro. Dunque ancora una volta le sono di fronte, un po' spostata alla mia destra. Sento le mie labbra cotte e rigonfie a causa del sigaro che, con mio disappunto, va consumandosi troppo presto. Un giorno o l'altro mi beccherò un bel tumore, se non ai polmoni, alla bocca, alla gola o…al cervello. Mah, quello poi…mi servisse realmente a pensare!!! Continuo a rimuginare, ossessivamente alla foto che oggi mia madre ha tirato fuori da uno dei mucchi di album, sempre gli stessi, mai messi in ordine, con le foto recenti accostate, una sull'altra, a quelle di vent'anni prima, alle altre di cinquanta o di un secolo fa. Accanto a me c'è Annarita. La sua mano è mollemente adagiata sotto il mio braccio destro, sullo sfondo si staglia uno dei torrioni del Maschio Angioino. La data apposta sul retro indica il 13 marzo 1979.
Mi rivedo, senza vanità, bellissimo nei miei 19 anni, alto e slanciato (allora non mi vedevo così)…e lei, sontuosa nel suo giovanile, superbo splendore.
Un fotografo ambulante, uno di quelli che ho sempre pensato ci dormissero pure nel prato di fronte a quel simbolo maestoso di Napoli, ci si era parato davanti, convincendoci a fargli scattare un fotogramma: "siete troppo belli, state veramente bene insieme, per cent'anni, per cent'anni". Annarita dopo quella sera l'ho rivista, non visto, circa tre anni fa, a distanza di più di vent'anni, di sfuggita, attraversando in macchina il viale della nostra piccola città di provincia, mentre si affaccendava a sorreggere un bambino, suo figlio? Ed ora la sua immagine dolcissima, l'avevo tra le mie mani. Quel tredici marzo del '79, aveva litigato con il suo ragazzo di allora. Mi aveva raccontato delle sue pene e della sua voglia di farla finita con lui. Si erano fidanzati troppo presto, quando avevano dodici, tredici anni. Ad un tratto, cercando di fissare i miei occhi chiari un po' sfuggenti per l'imbarazzo di trovarsela davanti, mi disse:" tu sei diverso, sei così dolce e tenero. Perché non ti ho incontrato prima di lui. Però, forse, si può ancora rimediare". Lo aveva detto con una dolcezza, una spontaneità ed un candore che mi sembrò, allora, contenere tutta la naturalità dell'universo. Io non ricordo più cosa ho farfugliato. Sono sempre stato un campione di timidezza. Avrei voluto dire: < Si. Con te mi sentirei un re, il "signore" di questo castello la cui ombra ci abbraccia in una complice intimità che non andrebbe sprecata>. Oggi mi sarebbe facile poggiare le mie labbra appena socchiuse sulle sue e rimanerci per un tempo infinito. Credo, invece, di aver tirato fuori un bel sermoncino da seminarista del tipo:" Ma sai, è solo un momento, ti passerà, potresti pentirtene, e poi sono dieci anni che stai con B., ti rendi conto? Inoltre, anche se non siamo proprio amici con B., mi sembrerebbe, di fargli una carognata. Lo stimo. E penso che anche lui…Ti passerà".
Insomma ho glissato, mi sono avvoltolato in discorsi di rappacificazione e di buonismo, come sempre ho fatto in occasioni consimili. Che vigliacco! Ipocrita! Sepolcro imbiancato!
Più tardi, la foto. Questa foto, che me la riporta alla mente più bella che mai. La guardo ancora e mi dico: "che imbecille". Oggi ho 42 anni, una moglie che mi adora e che merita molto più di quello che io le do, alla quale non riuscirei mai a fare del male, due monelli che mi occupano le giornate ed il tempo che io vorrei dedicare alla lettura. E invece mi ritorna in mente lei, e tutte le altre donne della cui compagnia non ho goduto, sfuggendo. Impedendomi di vivere rapporti veri, conoscenze profonde. Ancora ipocrisia borghese o sana razionale moralità di stampo vagamente cattolicheggiante. Ancora ipocrisia dite voi? E se fosse proprio così? Che decadenza, quanta miseria!!! Che faccio - la cerco, Annarita? Magari con la scusa di fare una rimpatriata? Si ricorderà ancora di me? Immodestamente, sono sicuro di si. E se mi manda a quel paese… E se mi ci mandassi da solo a quel paese che conosco benissimo, giacché lo frequento spesso?

Ad un tratto mi prende il panico. Scandaloso!!! Ma che dico? Di certo so che B. non è mai diventato suo marito e, se non erro, deve essersi pure separata dal marito. Che cosa farà? Come vive? Dove? E poi, la mia razionale prudenza dove è finita? Che mi succede? Possibile che i quarant'anni siano così pericolosi?

AAAh!!! Troppe domande. Non se ne esce. E se il problema non fosse Annarita, ma Anna, Mariangela, Anny, Pina, Patrizia..e tutte le altre? E' meglio andare a dormire.
Sono un marito ed un padre di famiglia, da tutti considerato un modello. Da tutti tranne che dal mio ME. Lui mi conosce bene. Perfino quando studiavo (o facevo finta?) teologia e filosofia morale non mi ha mai preso sul serio. Volevo farmi frate... Mi ha sempre sbeffeggiato. Ed anche ora, che cerco di fare lo scrittore, mentre mi atteggio a poeta maledetto che i maledetti veri giustamente ripudiano, lo sento che sghignazza laggiù, in qualche riposto lembo d'anima e mi sfotte: lascia perdere, tu non sei buono per certe cose, sei un povero borghese, prigioniero di te stesso. Lascia perdere, finisci il tuo ennesimo "Toscano", aspetta che l'ultima voluta si dilegui attorno alla "tua" luna, e poi, con la lingua che ti brucia, il cuore esalato e la mente anch'essa in fumo, spegni il computer e vattene a letto. Buonanotte.


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