Poesie di Davide Vaccino


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Davide Vaccino

Cavaliere della Poesia, è nato a Vercelli nel 1970 e attualmente risiede ad Albano Vercellese. Ha iniziato a scrivere i primi versi intorno agli anni ’80, ma la sua carriera artistica si è concretizzata professionalmente soltanto a metà degli anni ’90. Nel 1996 Davide Vaccino ha pubblicato il romanzo gotico “Frammenti di Pazzia” (2 ristampe), vincitore del Premio Internazionale “A. Manzoni” e del “Trofeo delle Nazioni”. Tornato al suo primo amore, la poesia, Davide Vaccino si è classificato nel 1997 al primo posto al Premio Artistico “Città di Cava” e ha vinto nel 1998 il Premio “Cultura Europea”. Nel 1999, il suo secondo libro: “Benvenuti nel Crepuscolo” (poesie, 3 ristampe) si è aggiudicato il Premio “Regioni Duemila”; mentre il suo terzo lavoro, “Passaggi” (versi e racconti, edizione limitata) è stato insignito del Premio Internazionale “Alba del Terzo Millennio”. Vaccino ha ricevuto finora oltre 60 premi e riconoscimenti in Italia e all’estero e appare inoltre su una quarantina di Antologie regolarmente presentate al Salone del Libro di Torino. Un sondaggio condotto dal quotidiano “La Stampa” lo ha indicato fra i quattro personaggi Vercellesi più conosciuti.


Ebbene, morii
Quando morii,
non ebbi l'idea
di che fosse l'Assenza:
forse la non presenza,
il non rimpianto
oppure il disincanto
da ciò che fu illusione;
un arrivo? Una partenza?
Oppure il rinvio
verso un'altra occasione?
È proprio laggiù,
nelle catacombe dell'anima,
fra le croci e le tombe,
nei pertugi segreti
dell'erebo
che le ombre parvero
indursi verso la luce,
ambiziose come sussurri:
silenzi violati da me
mentre morii.

Ebbene, morii,
ma non fu una volta soltanto,
ma un milione di volte:
una filza infinita di porte
e per dischiuderle,
neppure una chiave,
ché talvolta il passaggio
da un ardore ad un altro
non è che il presagio
d'un amore incompiuto,
sentimento svenduto
recitando un rosario
di fasulle orazioni,
mere intenzioni
di posporre alla fine
l'insensato miraggio di chi,
quando fui vivo,
mi uccise ogni giorno
e poi volse le spalle
quando morii.
-Dalla raccolta Le Catacombe dell'Anima,
Ed. Il Foglio, 2006-

Moderno Chisciotte
Sto qui cavalcando,
moderno Don Chisciotte,
per la mia Dulcinea,
esattamente agli opposti
d'un'ingiusta realtà,
sotto un sole
che squaglierebbe il cervello
a chi n'avesse uno.

Trasformo locande in castelli
e mulini in giganti
vagheggiando un sogno infattibile,
mentre duchi e duchesse
si beffano della mia follia.
Affonda la lancia,
oh Cavaliere della Bianca Luna:
io nulla rinnego.

Ah, Sancio, la Libertà…
-Dalla Raccolta "Le Catacombe dell'Anima", 2006-

Con gli occhi di un risorto
Se non vuoi dir che io sia vero
puoi dir di me che sono Inganno;
se vuoi negar che sia insincero,
puoi chiamarmi Confessione,
ma la delusione è esser vani:
che vuol dire accondiscendenza?
Eppure c'è chi pensa
che vi sia reale orgoglio
star nel mezzo di sconfitta e gloria.
Con gli occhi di un risorto
osservo Madre Verità
avvolta tutta intorno,
come l'aria che respiro,
da pura Vanità.

Vita, cosa sei?
Vita… cosa sei?
Forse un anelito torrido
come gli aliséi?
Oppure un rivolo, mai arido,
d'acqua diafana e calma,
benedetta dal Signore,
per sedare l'alidore
dell'assetata alma?
S'ode una bronzea campana
tintinnare tinnula,
e ci si bea al suo tinnìo,
ché pare d'ascoltare
cinquecento cherubini
dal vociar giocondo,
che danzando tondo a tondo,
con sorrisi ragazzini,
rifulgon più del Sole.
Vita… cosa sei?
Non certo la linea abbozzata
da fanciulli pellegrini
nel tratteggio di due date,
ma un fuggevole interludio
fra Mistero e Verità:
un passaggio transitorio
al di là dell'odio
e dell'umana vanità.
Perciò, campana scura,
con tripudio devi clangore
e che il tuo piglio sia a martello;
noi, quaggiù, con l'occhio terso,
non abbiamo più paura:
intoneremo senza piangere,
il tuo gaudioso ritornello,
con lo sguardo in su riverso
a quel turchino manto,
oltre il quale s'alza un canto
che ha sapor d'alba infinita,
poiché Lassù è la Vera Vita.
(Davide Vaccino)

NOTA: questa poesia è stata letta, e poi donata,
a Sua Santità Giovanni Paolo II, in occasione della benedizione, a Roma, della "campana della vita",
realizzata dall'associazione "Raggi di Sole" di Vercelli
 in memoria di  tutti coloro che, per malattia o per incidente, sono morti in giovane età. La campana
ora si trova presso la chiesa di San Pietro Apostolo,
nel quartiere dell'Aravecchia a Vercelli e la prima domenica di ogni mese, i suoi rintocchi ricordano
chi se n'è andato troppo presto.   

Esistere 2003
Un balzo ad occhi chiusi
in un pozzo senza fondo:
amplessi d’angoscia
e baci di tenebra;
palpiti, fremiti e freddo;
sgomento…
Sfumata eclissi di brame;
dolente Via Crucis
verso il martirio,
fra voci-non voci
ed oscure chimere;
tormento…
Questa è la vita:
vero dolore
in un mondo ch’è farsa;
sentirsi virgulto di salice,
mentre, intorno,
tutto è vento.

Pregando a Ground Zero
(N.Y. U.S.A.)
Disegnaci a china,
oh Maestro Divino,
or che la Nebbia
ci confonde col Nulla,
e che l’Inferno
si combina col Gelo:
che possa “Amen
vergarsi “Mai Più”.

Infiniti Riflussi
Infiniti riflussi,
verso la vespertina quiete,
conducono, ancora,
la psiche mia vagabonda,
per eterni pensieri
creduti dispersi
nelle balze del tempo,
a sfregiare il presente
con torture passate
e oggi risorte.
Angosce,
ossessioni e paure
tornano, vive,
a marciare
al fianco e dentro di me,
povero spirito:
scorata anima
e stanca d’amare.

È La Mia Vita
Fisso quel vuoto
che ho tutt’intorno,
e vedo soltanto
pagine sporche
di un passato
tracciato con mano
troppo leggera,
con tanti errori
d’ortografia.
Segni rossi
come il dolore
rigano fogli ricolmi
di pensieri sbagliati:
è la mia vita,
quella che ho scritto;
disperati monologhi
fra brevi silenzi
e sprazzi fugaci
di debole gioia;
fiumi di lacrime
raccolti in disordine
in centinaia di otri
- tutti i miei versi -
da gettare nel mare,
per confondere il pianto
con l’acqua salata.

Notte Horror… Lontana
Il freddo del Primo Novembre
aveva scaldato il tuo cuore,
ed io ti tenevo la mano, ricordi?
Rammento il tuo imbarazzo
ed il rossore che tinteggiava
le tue gote lisce d’aspirante
ragazza matura
: è così che dicevi?
Suspiria ti faceva paura,
ma io ti tenevo la mano,
e tu la stringevi un poco più forte
ad ogni colpo di scena,
o quando la musica s’andava infittendo
d’ansiosi, angosciosi presagi
che poi svaporavano
in turbinii di fumo…
Quello, antico amor mio,
era il tempo dei sedici anni:
un gaio tassello di vita
dipinto d’un colore diverso
ora alquanto sbiadito…
Oggi, si trema non più
per un film dell’orrore,
ma quando qualcosa t’inquieta,
chissà… chi ti tiene la mano?

Un Biglietto per il Paradiso
Agnes aveva un passaporto
e sulla bocca un bel sorriso:
un battello l’attendeva in porto,
con un biglietto per il Paradiso.

La felicità costava un milione,
le promise una persona,
ed un viaggio su un gommone,
l’avrebbe condotta da Valona
verso il tacco di un Vecchio Stivale,
dove avrebbe vissuto una vita normale.

Agnes indossava il cappotto
che le avevano donato i suoi nonni,
come bagaglio un vecchio fagotto
ed il candore dei suoi diciott’anni.

Le vennero sottratti i documenti;
venne rubato il suo unico fiore;
vennero uccisi i suoi sentimenti;
venne affidata a un protettore:
la verginità, un pastrano e un bagaglio
furono il prezzo per arrivare in Italia…

Agnes, ora passeggia senza sorriso
svendendo agli altri il suo Paradiso.

Mazinga
Contemplo il soffitto
e m’affanno nel letto:
vagheggio un remoto
Natale bambino,
e fra dolci, pastelli,
castelli di Lego,
pacchetti o fagotti
dai mille colori,
ai piedi dell’Albero,
grande e possente,
vedo Mazinga.
Mia madre e mio padre
osservano e dicono:
«Guarda Mazinga,
è quasi più alto di te!
»
Ridono.

Contemplo il soffitto
e m’affanno nel letto;
non dormo; sbuffo; mi alzo,
poi scendo in cantina;
fra i ragni e la polvere,
in un angolo buio,
sciupato e fragile,
riposa Mazinga.
Sorrido… gli chiedo:
«Ma davvero è già Oggi?»

Morte di una Poetessa
(ad Amelia Rosselli, poetessa, morta suicida)

C'era un mondo da stringere forte,
e schegge di vita da catturare;
verdi prati su cui danzare,
e un violino; e un pianoforte.

C'era un cuore un po' ferito;
un po' malato; un po' deluso,
e un pensiero tanto astruso
che non venne mai capito.

Soli...
non lo siamo un po’ tutti?


C'era un angelo, che per volare,
usava i versi, e non le ali,
e lunghi silenzi, troppo uguali,
erano un lago in cui nuotare.

C'era un cielo, tutt’intorno,
tanto viola da far paura,
e una notte, tanto scura,
che mai più si fece giorno.

Soli...
non lo siamo un po’ tutti?


E tu, che cogliesti, come fiori,
l’emozioni dei viventi,
perché celasti la tua mente
dietro all'ombra dei dolori?

Credi a me e a tutti noi,
che viviamo di poesia:
vorremmo tutti fuggir via,
ché siam poeti, non eroi,

e se scriviamo di paesaggi
luminosi come Soli,
è perché abbiam coraggio,
ancor, di vivere da soli.

Notturno… sognandoti
(acrostico)
Adoro
Lune
Enigmatiche
Sussurrarmi,
Sornione,
Irreali
Alchimie:

Misteriose,
Arcane
Ninfe
Cantano,
Invidiose,
Notturni
Inni.

Ruvidi Cilici e Abluzioni di Cenere
Ruvidi cilici…
Baleni fulgenti,
nell’algida notte
perenne, sobillano
l’agonia di stelle
morte e silenti.
Abluzioni di cenere…
Come prigioni,
le coscienze, plagiate,
reggono dogmi
dissipati in inganni
vaporosi d’eoni.
Con fragore pestifero,
dopo migliaia di ere,
risorge, nel cielo, Lucifero:
oh, risveglio dolcissimo,
in un’Alba Priméva
dal sapore antichissimo…

Di Uno Sguardo Rubato
Informe, delizioso,
frettoloso
insetto di vento;
lamento

selvaggio,
occulto miraggio;
sentimento
eccitato di pentimento

fragrante d’orgoglio
- puerile
senile… -
mormorante: «Ti voglio».

Alice all'Inferno
Voci, venute dal nulla,
cantavano vecchie canzoni
e una Regina muoveva la culla
regalando nuove illusioni
ad Alice, caduta all’Inferno…

Era nel cuore degli Abissi
che si celavano i suoi desideri?
E poi quanti doni, solo promessi,
le erano parsi veri e sinceri,
e destinati a durare in eterno…

Ma il pozzo era alquanto profondo,
o lei vi scendeva assai lentamente,
nel tentar di raggiungere il fondo
di quel regno presunto, fatto di niente,
per non tornare a rivedere l’esterno…

Alice… ora dov’è lo Stregatto?
Bevi ancora un tè con il Bruco?
E il Coniglio? E il Cappellaio Matto?
Li hai tutti sepolti in un buco
freddo e buio come l’inverno?

Una Bestia bianca, oggi ti artiglia,
e nei tuoi occhi non c’è più meraviglia…

Una Bella Poesia
(alla memoria di Dario Bellezza, poeta, morto di Aids)

«Una Bella Poesia m’avrebbe salvato»,
asserì, sconfortato, un poeta malato,
sorridendo nel dirlo e celando il rancore
verso quel tarlo assassino d’amore.

Frattanto, nel cielo, garrivan le rondini
in una primavera pittata di carmini.

L’affranto stupore dell’uomo stizzito
eccedeva al dolore del corpo ferito:
la mente frullava, insieme agli uccelli,
ed egli sognava, ancor, sogni belli
nel fondo d’un cuore ormai avvizzito
d’ex pecora nera, ora di lupo smarrito,
ma la penna gemeva, sugli ultimi versi,
ch’egli, lasso, stendeva, d’amori diversi,
lasciando fuggire, digerita dal Fato,
la Bella Poesia che l’avrebbe salvato.

Gente Perduta
Gente, perduta in mesti o prematuri
tramonti, feroci e struggenti
di malinconia, e poi ritrovata
scavando nella fossa dei ricordi,
poiché la memoria e la fede
sono miniere traboccanti d’oro.

Anche per chi, come noi,
è un veterano della sofferenza
e del rimpianto, la speranza
non è mai vana, giacché sappiamo
che la solitudine è soltanto
laddove c’è il silenzio,
e che se la vita è una lotta
strepitante contro se stessi,
la morte è nient’altro che un saluto
gridato più forte degli altri:
un congedo da un mondo
variegato di cause ed effetti,
ed un punto d'arrivo
verso la Vera Coscienza.

Gente, perduta e poi ritrovata,
perché veleggiando nei mari
furiosi dell’esistenza,
l’Infinito non è che una sfera,
per cui navigando, indifferentemente,
ci si allontana… e ci si raggiunge.

Non Vivere
(ad Alina)

Francesina color cappuccino,
sei dolce e tuttavia un po’ acida
quando eludi la ressa
con aristocratica incuria
per poi parlarmi per ore
del tuo desiderio di un villaggio globale
sorseggiando un flute di Champagne
sulle note di una fuga di Bach
o citando Rimbaud;
tu sei così come sei: troppo lontana
dai rissosi bistrot frequentati da me,
che spesso t’irrido, anzi, mi beo,
qualora, accigliata, mi dici:
«Mettez donc vos lunettes»,
allorché gli occhi chiusi li tieni
un po’ anche tu…
contraddirsi è l’arte più franca,
in questo frenetico divenire d’istanti
che romanticamente ami chiamare
- con molta più poesia di me -
non vivere, ma «Respirer le jour».

Misticismo MMIII
Orologio d’ogni vita;
cuore pulsante
al di sopra del cielo:
ialino è il tuo manto
che regge le stelle
senza pur, tuttavia,
il loro lustro velare.
Antica luce di pace;
perpetuo, incorporeo,
compagno ed amico;
eterna sublime certezza:
vicina carezza
distante dal tatto.
Chiudere gli occhi,
sedare i pensieri;
morire? Sognare?
Volar fra le braccia tue,
ansiose, senza timore:
vorrei essere Uno con Te;
essere Spirito Santo;
essere Amore.

Quelli Fortunati
Quelli fortunati,
sono diversi da me:
negli occhi lucenti hanno un lago tranquillo
che rispecchia il sereno d’un cuore, nel petto,
che non pulsa impazzito per le attese tradite.

Quelli fortunati,
sono diversi da me:
il loro passo è veloce, non si voltano mai,
e nei pensieri hanno stelle sfolgoranti di luce
che gli attizzano i visi di quiete infinita.

Quelli fortunati,
sono diversi da me:
hanno fra loro un’intesa che fomenta bei sogni
e una pace, nell'animo loro, che li preserva dai ricordi
di lunghe giornate sofferte rincorrendo utopie.

Quelli fortunati,
sono diversi da me:
affollano i viali del mondo con una donna a braccetto
e uno stipendio sicuro alla fine del mese,
ciarlando d'amore e scambiandosi baci.

Quelli fortunati…
si sono accontentati.

Visione dell’Ultimo Giorno
Lande vaste e desolate,
mi pare quasi di vedere,
ed infiniti orizzonti
abbracciare terra e mare:
oggi la Bianca Colomba
è tornata a volare
sui deserti lordi
dell’umano rancore,
assassino
dei nostri figli e fratelli,
e spiegando le ali ricopre
d’un misericordioso
sudario
i corpi straziati
di madri e di padri
che non sono più tali,
giacché più nessuno
è rimasto per piangerli,
se non Ella stessa,
con fiotti di lacrime amare
dal purpureo colore
del Martire Sangue
che da ora, in eterno,
l’incorona Sovrana
d’un regno di polvere:
Regina di un mondo
- un mondo silente -
senza ritorno
e ricordo.

Compleanno 32
(8 Settembre 2002)
Un quarto di secolo
e poi sett’anni ancora
d’occasioni improbabili
e tentativi gettati
in nebbia e fumo;
d’amari amori traditori
e d’altri sognati soltanto;
di burrascosi pensieri
e d’inquietudine profonda,
fra troppi sorrisi d'angelo
che spesso ho fatto piangere
e non ho meritato mai.
Rimpiango gli abbracci
che mille volte ho respinto,
e tutti quei baci
che non ho ricambiato,
o quelle parole taciute
che nessuno ha mai colto,
giacché abortite nelle torbide acque
del mio egoismo meschino.

Troppa gente è fuggita lontano
prima che aprissi il mio cuore,
mentre ai miei cari ho elargito
null’altro che gelo,
per pura viltà.

Oggi il Nulla
- tutto ciò che possiedo -
mi bisbiglia all’orecchio
«Non voltarti indietro:
potresti avere paura
».

Destino
Incespicando puoi cadere
disteso a terra e fermarti,
rassegnandoti a vedere
il mondo intero sfiorarti
e camminare indifferente
senza stare ad aspettarti,
in un viavai di gente
che non t’aiuta a rialzarti.

Puoi bramare il successo;
puoi berciare: «Io voglio
tutto e lo voglio adesso!
»
gremendoti d’orgoglio,
per aver mille servitori
obbedienti ai tuoi voleri,
o per quei fasulli amori
che hai pagato come veri.

Non importa dove siedi
- nel fango o in poltrona -
è quando t’ergi in piedi
che diventi una persona
sprezzante del capestro
che ti ha legato al collo
con inclemente estro
Colui che ha il controllo
di tutto ciò ch’è stato:
Sua Gravità il Fato.

Pulvis et Cinis
Noi miriamo all’Eldorado
sostenendoci a un bastone
che chiamiamo Religione,
illudendoci vi sia un guado
che conduca all’altra sponda
di questa vita invereconda.

Non vi sono altre strade
al di là dei grossi massi
che sbarrano i sentieri
delle squallide contrade
calpestate a lenti passi
zoppicanti eppure fieri.

L’umanità è una scoria,
lasciata al suo destino,
tracotante sol di boria
d’esser simile al Divino,
ma siamo solo polvere:
materia evanescente;
noi siamo solo cenere…
noi, non siamo niente.

Disincanto
Statiche passioni,
foriere, soltanto,
d’emozioni vaghe
e bizzarre: la mia mente
è un mare in burrasca
che bagna l’incerto futuro
con cascate di bruni pensieri.

Il mondo è un oceano di nulla.

Affacciato all’Universo,
guardo la vita
fissarmi negli occhi
e fuggire.

Eravamo Bambini
La bici
un poco
pencolava
minacciando
ginocchia sbucciate
sul sentiero imperfetto
incorniciato d’estese risaie,
e le ruote,
dubbiose,
tracciavano rivi sottili
di polvere adusta
ma profumata di campagna,
al tuo incedere,
assorta,
in smaliziati pensieri,
concedendo
ai miei occhi
centimetri
di nivea pelle
segreta
- tanto vergine
da sedurmi
-
svelata
dai tuoi calzoncini
nello slancio
di pedalate birbanti:
Dio mio, com’eri candida!
Gl’infiniti garriti
delle rondini
in cielo;
il click-clack
dei lignei zoccoli
che avvolgevano
i tuoi piedi gentili,
come un vecchio orologio
ammattito
scandivano
i sussulti del cuore;
il dolce sentore
di quel groppo in gola
che procura un’apnea
d’amore,
e i lunghi rifugi
dentro i tuoi sguardi;
i sorrisi maliardi
e tuttavia innocenti,
confusi
fra mozze sbirciate
falsamente nascoste
da vera vergogna
e imbarazzante, vermiglio
pudore:
c’era qualcosa ch’ardeva
nell’aria campestre,
bruciandoci l’anima,
e noi,
non sapevamo
dargli un nome…

Io Non So
Sensazioni chiaroscure
accendono e spengono,
abbracciano e lasciano,
il mio essere uomo:
non so quel che mi resta
da dare,
né quel che ho ancora
da prendere;
un fuoco ghiacciato
mi reclude in un limbo
d’incertezze e misteri,
ed io non so cosa fare:
non so se rifugiarmi
nell’odio;
non so se pretendere
amore.
Ricordo,
di quand’ero fanciullo,
i pensieri innocenti
e le corse nei prati:
il bello d’essere al mondo
senza domandarsi perché.
Non so se legarmi
al passato;
non so se temere
il futuro:
il presente
è soltanto illusione,
uno specchio che mente
riflettendo chimere
e mostrando
spudorate bugie:
lo fisso e lui pare dirmi:
«Guarda, sei vivo!».
Chino lo sguardo.
Rispondo: «Non so…»

Io Stringo
Stringo, e stringo, e stringo,
e poi stringo ancora,
sempre più forte, la falce
di quelle condanne
meschine che tu
vorresti farmi scontare.
Stringo, e poi stringo,
e poi stringo, digrignando
le fauci come una fiera,
alle accuse insensate
ed ai tuoi inutili inganni;
taccio orgoglioso,
ti scruto e poi godo
della mia disperazione,
nell'udire oscene parole
d'offesa brillarti negli occhi
con lampi di gelosia malsana.
Ormai tu non sei più
ciò che andavo sognando...
e dunque lascia che s'abbatta
su di me questa lama lucente:
il mio sangue sarà una lacrima
rosso rubino.

Le Voci dei Morti
Le sento fra gli scrosci
d’acqua piovana
sulla terra molle
dei camposanti
e fra le foglie ingiallite
dei cipressi, in autunno.
Le odo, fredde e gelate,
sussurrare il passato,
come fosse una fiaba,
oscena e grottesca,
da narrare ai bambini
per non farli dormire,
ché il sonno, talvolta,
può essere eterno,
e può condurre lontano.
Sono le voci dei morti:
brandelli di ricordi
riportati alla mente
dal vento d’ottobre;
antichi lumi rossastri,
scorti in notti rapite
da pensierosa nostalgia.

Piove
...e lacrime
inumidiscono
il mio risveglio
come pioggia
sulla terra ghiacciata
nel mese di dicembre:
inverno ed inferno
d'ogni mia emozione;
gocce d'amare sconfitte;
piccole stille
di malinconia.
Dai vetri appannati,
cristalli trasparenti
riflettono angosce:
io guardo di fuori
e quello che vedo
mi martella lo spirito,
ticchettando
decadenti note
di fradicia tristezza.
Si... piove...
piove ancora...
e bagna di dentro.

Io Sono
Io sono
la radice dei sogni,
l’amante di Calliope
che si strugge
- e distrugge -
nell’ebbrezza dell’arte:
ars mea, vita tua,
oh, Mondo distratto!

Io sono
il vello del Cosmo,
ctonio, terreno e celeste,
l’orda ruggente
- legio bellicosa -
antagonista del Nulla:
mors mea, ars tua,
oh, Volgo vigliacco!

La Signora
Velata, la Signora,
si muove trafelata
nella Segreta Ora
confondendo le sue orme
con le notturne forme.

Nascosta, la Signora,
fra le selvose fronde,
di scuro le colora,
dal buio incoronata
e del silenzio infatuata.

Dietro labbra inesistenti,
sorride la Signora,
mostrando tutti i denti;
il suo mantello è viola
e l’aspetto esangue:
c’è chi dice che consola
come ardita meretrice,
la sua ronca mietitrice,
ma questa è una menzogna:
pur spoglia di vergogna,
se ci sfiora, la Signora,
o c’ignora o s’innamora.

Io Sono (parte II)
Del vento gitano,
Io sono
lo spurio cantore,
giocatore
di certezze e d’azzardi:
vi sorrido o derido?

Fra sospetto e anarchia,
Io sono
ansia e terrore,
voce
di soprano e tenore
che sussurra e vi urla:

«Io sono e sarò,
per sempre, Crepuscolo:
non è mio dovere
dovere invecchiare!
»

Avevo
Avevo esplorato con te
uno scorcio di passione
pensando che fosse infinito
ed alieno dal concetto di tempo.
Avevo marchiato col fuoco
le lettere del tuo nome amato
sulla porta aperta del mio cuore
credendo che quel giuramento
reggesse per sempre, e scordando
l’incoerenza del pensare «Io credevo...»

Non siamo come la sabbia
smossa dal vento di settembre?


Avevo stipato i nostri sorrisi
in un luogo sicuro e segreto,
celato all'interno di me,
- quelli altrui ignorando -:
tanto, chi erano gli altri, senza di te?
Erano i giorni in cui “io” ero “noi due”,
e il sole splendeva brillando
nei tuoi occhi soltanto…
Com’è distante quel nono mese dell’anno:
quant’è vicino, oggi, il rimpianto…

Riposo Soldato!
(a un amico)

Assolato giorno di pioggia
in un’estate ch’è tomba
d’un’epoca:
non c’è filo di vento
e s’è spento pure un sospiro.
Addio, compagno dei giochi
di carte; antica memoria
dei tempi di guerra;
testimone, distante,
d’esperienze e tragedie
vissute cinquanta e più anni
prima di me, combattendo
anche per la mia libertà.
Riposo, soldato!
La tromba,
sta intonando Il Silenzio

Ritorno da Sarajevo
(versione rivisitata)

Domandami
il perché delle angosce,
poi chiedimi
a chi rivolgo, stanotte,
i miei infausti pensieri.
Vedrai: pur tu tremerai
al crepitare dell’altero fuoco
delle ombre che scorgo
confuse, dipinte
dentro i miei occhi
al tormentato ritorno
da un viaggio nei sensi.
Ho un cielo nel cuore
che ha viso di morte,
il cui sorriso è una gabbia
che costringe, me uomo,
alla vita, e la sera si muta
in un macabro spettro
divorante, silente,
i miei ricordi di bimbo,
salvando, soltanto,
quel desiderio, depresso,
di pace spezzata
che vedo riflesso
nei miei sogni di vetro.

Sì, lo So…
(versione rivisitata)

Si, lo so che stai dormendo,
ma vedrai che non ti sveglio
perché forse stai sognando
un posto in cui si vive meglio.

Sì, lo so che gli occhi chiusi
li tiene chi non ha coraggio,
ma fa niente: un po’ delusi
lo siamo tutti in questo viaggio

che qualcuno chiama Vita.
Sì, lo so che i guai, ad aggirarli,
non si fa bella figura,
però so anche che affrontarli

induce il cuore alla paura.
Sì, lo so che vuoi che io ti dica
che sei audace, forte e fiera,
ma è una grandissima fatica
parlar chiaro verso la frontiera

che qualcuno chiama Morte.
Perciò dormi, amor, riposa,
io ti veglio, ma non ti desterò:
nel velo bianco, tuo, di sposa
i miei rimpianti avvolgerò.

Sonetto per una Bambina
Mamma è fuori, stamattina:
è uscita e non s’è accorta
che ha lasciato oltre la porta
l’uomo nero e la bambina.

«Ti voglio bene» lui le dice,
e le chiede di giocare,
ma lei cerca di scappare
ché quei giochi non capisce

e le procurano dolore…
«Presto mamma tornerà»,
piange, involta nel terrore,

nell’udire: «Vieni qua:
non temere, dolce amore,
fai felice il tuo papà…
»

Andando in Cafarnao
Vieni:
andremo a vedere
quanto costa un sorriso
di notte; se vuoi
spegneremo le luci
per guardarlo brillare
e cadere
come si fa con le stelle
quand'è San Lorenzo,
ed anche i nostri cuori,
forse, faranno scintille
per qualche momento;
oppure,
pagheremo di più,
per farlo durare...
vieni,
che andiamo a sognare
un amore sincero
by night.

Desiderio
Vorrei camminare,
baciato da un sole garbato,
per calli cingenti
distese di riso e di grano,
rinvenendo l’arcaica
saviezza degli avi
nel tempo del loro
eminente vigore;
poi soffermarmi e mirarli
innalzarsi a più alto lignaggio
di quello d’un re,
giacché, pur contadini,
furono essi i veraci sovrani
di questa madida terra
benedetta dal loro sudore…
Bramerei incocciarli
lungo gli agri poderi
- i visi abbronzati;
gli occhi infossati -
e riscoprire l’incanto
che strega e che lega
tali anime alla campagna
(che sia l’Amore per Dio?)
afferrando il nesso sublime
fra Fede e Natura.

Tutto è Gelo
Questa vita è tutta gelo,
e non v’è né focolare,
o astri, su nel cielo,
che la possan riscaldare.

Tutto è gelo in questo mondo:
ad ogni istante muor l’amore,
ma l’assurdo è che in fondo
per troppo amor spesso si muore.

Poesia ruffiana
E' mezzanotte e trentatre,
e non è una rima cercata:
è che sto pensando a te
da quando t’ho incontrata,
stamattina, fuor di Messa,
rimpannucciata per la festa
da non parere più la stessa,
ed hai colmato la mia testa
d’un forte, caparbio timore:
ammalarmi, ancora, d’amore.

Eri bellissima...

Ma adesso sei splendida,
mentre mi lascio cullare
dalla tua essenza candida,
e dai baci che posso sognare
qualora sorprendo il tuo viso
rispecchiarsi nel mio cuore,
ridipingendolo d’un sorriso
che lo ritempra di mite calore
e d’un trasporto devoto e arcano
che m’ispira ‘sto canto ruffiano.

Quando Rinasceremo
Quando rinasceremo,
c’incontreremo, quaggiù,
oltre i rivi d’argento,
con occhi più lindi
e ci guarderemo
con fresche intenzioni:
non più titubanze,
non più diffidenze,
né palpitazioni;
rinnovate emozioni,
impediranno all’amore
di soffocare se stesso
fra bivi – sentieri
e forme – pitture
dall’incerto colore,
e come gigli
dagli eburnei germogli
rifioriremo.
Se rinasceremo.

Ricordo di un’estate
La gioventù
era un'onda impazzita
in un oceano amico;
pensieri s’alzavano
silenziosi e sinceri:

sembra ieri…

E invece, bambina,
la tua corsa veloce;
il tuo allegro vociare;
il tuo ansioso respiro,
sono affogati
rapiti dal vento,
ma cari al mio cuore
più di me stesso,
tant’è che pensarti
riaccende l’amore
che ho per la vita;
che ho avuto per te.

E sarebbe un poema,
che vorrei dedicarti,
ma non sono capace:
il pensiero si ferma
incatenato al ricordo
di quel luogo incantato,
ancora una volta,
stregato,
a fissare quel sole,
a guardare quel mare;
ad osservare i gabbiani
continuare a volare;

e con triste ironia,
mi viene da ridere
nel vedere,
pur senza di te,
tutto il mondo vivere.

Prometeo
Tu rincorri sciamani
in un mondo di uomini;
insegui paradisi lontani
per fuggire i tuoi demoni.

Tu obbedisci a stregoni
che, mascherati da preti,
vomitano osceni sermoni
farciti d’oscuri segreti.

Tu persegui la luce
brancolando nel buio,
e m'addossi una croce
innalzandomi a Dio.

Ma io non sono un asceta:
coi tuoi sogni ci gioco;
sono solo un poeta:
un Ladro del Fuoco.

Era primavera
Il Suo profumo era Primavera,
quando mi amava, in gioventù.


È una presenza fissa della sera,
che sento seppure non ci sia più.
Reca un’illusione che mi par certezza
e come ai giorni verdi della pubertà
mi sfiora soavemente e mi carezza
per saziarmi di felicità.

Il Suo sorriso era Primavera,
e mi ha amato tanto, in gioventù
.

Mi consola quando l’anima dispera
sospirando per qualche sogno in più.
E a volta appare, fra i miei perché:
ombra che sa di eternità;
spirito che visse insieme a me
un lontano amore e la serenità.

Visione nata da preghiera;
angelo fra gli angeli, lassù:
il Suo respiro era Primavera;
quanto l’ho amata, in gioventù…

Il Diavolo Dentro Allo Specchio
Negli uggiosi giorni di pioggia,
- quando non so cosa fare -
osservo il mondo che ho asperso
coi miei pianti nascosti,
e nel vederlo affondare, penso:
«È un po’ colpa mia»,
ma non so se ci credo.

Nelle ferrigne sere d’autunno,
- quando non so cosa fare -
cerco nel mio spiccio passato
qualche frantume di vita,
col timor di recare alla luce
moleste emozioni confuse
che non vorrei più sfidare .

In ogni baleno di noia,
- quando non so cosa fare -
mi domando, dinanzi allo specchio:
«Come posso cambiare?»
e m’adiro al vedermi fissare
dal mio stesso piglio stuccato,
tanto che vorrei farlo a pezzi,
quel muso di vetro,
ma non so se rischiare.
Scruto, dunque, in occhi
di cristallo riflesso,
l’incerto miraggio
o l’errabondo barbaglio
di un po’ di letizia,
ma, con vampa impetuosa,
uno spettro di cinica bocca
beffarda e sguaiata, m’appare
tuonando: «A che serve sperare?
Non inventarti utopie e guarda,
in silenzio, i tuoi giorni passare».

Nel mio desolato deserto
- quando non so cosa fare -
cerco una stilla di forza
per continuare a lottare.

A un’amica lontana
Che gioia guardarti, Angelo Biondo,
brillii lucevano, sul tuo limpido volto,
in occhi di giada, in pace col mondo.

Che bello parlarti, gradevole fiore,
dei Poeti ogni Verso ti pareva rivolto,
giacché infondevi fragranze d’amore.

Al tuo fianco saggiai un sentore divino,
a te confessai i miei celati segreti,
mentre ignara, tu eri, del rio Destino
che rapita t’avrebbe negli anni più lieti
incupendo il tuo sguardo, ancora fanciulla,
esiliando i tuoi sogni in un orrido Nulla.

È brutta un’estate se ha colori slavati,
e triste il saper che mai più raggeranno,
così è aspro il ricordo dei giorni passati
se si deve accettar che non torneranno.

Che vuoto nell’anima, amica smarrita!
Che fredda la notte, farfallina avvizzita!
Che rabbia, nel cuor, nel vederti tradita
da Colei che amasti di più… dalla Vita.

Edgarpò
(a Edgar Allan Poe)
Moristi povero,
fra i tremori della malattia,
come un cane randagio,
a Baltimora
- mi pare quasi di vederti -
lasciando
qualche manciata di segni
scarabocchiati su screziati fogli
odorosi di vino scadente
- forse lo stesso aceto
che fu dato da bere
a Gesù Crocifisso
-
ma quanta passione grondava,
proprio come da un costato ferito,
dalle gocce d’inchiostro
contenute nel tuo calamaio…
e quanta tristezza…
quanta mestizia riflessa,
deformemente ingigantita
dal fondo d’un bicchiere
proiettava in cinemascope
la fatuità della vita,
quarantasei anni prima
dei fratelli Lumière.
Tua è la sventura dei Grandi:
donare irruenti emozioni
col gelo del proprio dolore.

Omicidio di Stato
Li ho visti,
sopra un furgone,
sfilare tra i fischi
della popolazione,
a gruppi di venti,
la testa era china,
e gli occhi spenti:
vivevano in Cina.

Li hanno portati
fuori Pechino,
inginocchiati
- poco più che bambini -
il capo rasato,
- la testa era china -
gli hanno sparato:
vivevano in Cina.

Il sangue ha dipinto
di rosso quel prato:
lo Stato s’è spinto
a perpetrare reato;
con gli occhi spenti,
- la testa era china -
a gruppi di venti
li ha uccisi la Cina.

Un Lungo Cammino
Laddove il sole scalda il cuore,
un mio sogno arde d’impazienza
e l’estate smarrisce quel sapore
sapido di colpevole innocenza.

Io conosco l’amaro che resta
in bocca quando l’incanto cessa;
quando, terminata una festa,
si va diradando, piano, la ressa

e il desiderio annega nel pianto,
mentre la notte diventa mattino,
e la vita torna ad esser soltanto
un lungo, insidioso cammino:

passi avanti e pensieri a ritroso,
esuberanti flashback sibillini
di un passato quieto e gioioso;
ricordi distanti, tuttavia vicini,

di giochi d’adulti, eppure bambini,
mentre la strada era tutta in discesa,
prima che diversi e spietati destini
al nostro amore recassero offesa…

e ciò che resta di quei giorni passati
è un sentiero di memorie e ferite,
e castelli sospesi per aria, incantati,
ridotti a macerie dal tempo marcite;

carcasse d’ombre, malinconici avanzi
in cui spesso inciampo, pur di vederti,
ma che poi calpesto, tirando innanzi,
senza raggiungerti, senza riprenderti…

Nel Silenzio il Tuo Respiro
Quando i violini
dei demoni,
e le cetre degli angeli,
si sciolgono
nella discordante
e struggente armonia
d’un maestoso concerto,
ecco il nulla;
ecco il silenzio.
Si zittisce il canto
felice degli uccelli;
s'arresta
il germogliare dei fiori,
o il nascere e morire
del sole o delle genti;
si dissolvono le stagioni,
e il mondo si congeda
da ogni suo colore
affondando
in un torbido abisso
d’orribile quiete.
Il tuo solo respiro,
in questa notte
freddamente spaventosa,
come un languido orgasmo,
riempie quel vuoto
colmandolo di tutto.
Attizzandolo di vita.

In Delirio Scorta
In un notturno delirio ti scorgo,
e tu m’accogli amaramente,
mentre il capo chino ti porgo
e intanto mi dolgo miseramente.

Quindi mi fissi con aura mesta:
- scuri i tuoi occhi, bruna la testa -
dopodiché m’imponi d’alzarmi
con aspro cenno, senza parlarmi,

e t’accomiati, mia principessa,
figlia d’un Sogno ormai esiliato,
bramata ma infranta promessa,
oh, fior di speranza… essiccato.

Faccio il Poeta
Gli orrori della guerra,
i pregiudizi religiosi,
infangano la Terra
d’istinti bellicosi…
Olocausti fratricidi,
malattie e povertà,
assassini, suicidi
e bugiarde verità
umiliano la gente,
contagiano il Sistema
e minacciano il presente
come un tragico anatema;
in un circolo vizioso,
droga, mafia e corruzione
deturpano il glorioso
onor d’una Nazione…
Siamo solo uomini:
ecco l’alibi perfetto
per i nostri crimini.

E io che faccio? Il poeta:
piazzista d’emozioni,
falsissimo profeta
e venditore d’illusioni;
inventor dell’acqua calda,
accendino per il cuore,
curioso che vi guarda,
ruffiano e mentitore;
strana specie d’animale,
preda e predatore,
un po’ intellettuale
e un po’ calcolatore
che scrive per diletto
e per le persone sole;
il mio peggior difetto
è giocar con le parole,
mentre il mondo muore
in oceani d’indifferenza,
ed orfano d’amore…

Ma che ci posso fare,
se ho scelto di sognare?

Ciò che Vorrei
Chiudere gli occhi
è ciò che vorrei
in questi momenti
di buio sconforto
e divenire farfalla
che muore in un giorno,
non foglia che cade
e poi rinsecchisce
o fiore che sboccia
per poi appassire,
né acqua che bagna
o fuoco che brucia,
ma vita che vola
e sfiora la gente
senza fare rumore,
senza farsi sentire,
senza essere vista,
senza esser toccata:
un palpito lieve
che lambisce lo spirito,
dà un bacio all'anima
e poi se ne va.

Prigionieri di Questo Mondo
La vita è un refolo:
a chi chiedere, dunque,
il perché degli affanni?
A chi domandare calore?
Rendo alla notte gli amari terrori
scorti in parvenze spettrali
crepitanti in fiamme glaciali,
che s’imprimono a fuoco
nei miei ricordi, mentre rimpatrio
dal mondo dei morti a quello dei sensi.
Fantasmi ghignanti
stridono come catene
legando la speme di fuga
al desiderio d’esistenza,
sicché tutto si muta
in doloroso castigo: un flagello
che sferza, incrinando,
le innocenti speranze,
e come vento sussurra
ai prigionieri di questo mondo:
«L’Inferno può essere ovunque;
il Paradiso… chissà…
».

Tristitia
(filastrocca)

Verdi prati celano
alla nuda terra lacrime e sangue;
foglie soffici curano
le amare ferite d’un cuore che langue;
rossa linfa di rosa,
chiare stille di pianto:
è questa la vita preziosa?
È questa? Questa soltanto?
Rossa linfa di rosa,
chiare stille di pianto:
è questa la vita preziosa?
Dolore? Dolore e rimpianto?

Cineree nubi annebbiano
Le assolate giornate di primavera;
dorate, le stelle, mascherano
ogni afflizione la sera;
nel grigio la mente riposa
e un ago d’oro ne cuce l’incanto:
è dunque la vita preziosa
tutta racchiusa in un canto?
Nel grigio la mente riposa,
e un ago d’oro ne cuce l’incanto,
è dunque la vita preziosa
una triste illusione soltanto?

Lamento
Forse un giorno, dalla terra
rifiorran, fra le marce foglie,
queste mie corrotte spoglie
di soldato morto in guerra.

Forse a te, oh Patria cara,
fra le verdi valli amate,
tornerò, un dì d’estate,
col tricolore sulla bara,

per riposare in eterno,
figliol Tuo dimenticato,
sul caro suol materno,
io, angelo immolato
sugli altari dell’Inferno
per Tua gloria aver lottato.

Sonetto per Teresa
Cuore tenero fra cuori duri,
rosa bianca fra nere rose,
fra le gemme più preziose
diamante fosti fra i più puri.

Tu, pilastro della Chiesa,
casta sposa del Signore;
sommo simbolo d’amore,
Sorella nostra, suor Teresa,

dedicasti la tua vita
a lenir le altrui disgrazie
con paziente e pio zelo,

e con fede mai sopita
dispensasti materne grazie
prima in Terra, poi dal Cielo.

Diversamente Uguali
Uguali,
diversamente uguali,
siamo tu ed io,
isolati da invalicabili muri
eretti sull’assenza di parole.

Uguali,
diversamente uguali,
eppure ugualmente diversi,
ché mai suoneranno, per noi,
le trombe di Gerico.

Uomo a un Passo da Me
Io ti guardo ogni giorno, papà,
poco distante, a un passo da te,
ma tu sei sempre troppo più in là:
ci allontaniamo senza un perché.

Il tempo passa, ci credi papà?
E tu stai lì, ad un passo da me:
vorrei che venissi un poco più in qua,
ma forse non sai tuo figlio dov’è.

Vorrei gridare; farmi sentire:
farlo io quel passo in avanti;
vorrei chiamarti e farmi vedere;
vorrei sapere perché siamo distanti.

Quando non parlo, tu sei silente
e se io scappo non vuoi rincorrermi:
mi dici che fuggo e poi ti lamenti,
credendo che voglia solo nascondermi,
ma se mi fermo e ti fisso negli occhi,
tu abbassi la testa e un poco arrossisci:
penso che in fondo siamo due sciocchi,
ma non te lo dico, e tu non capisci.

26 Ottobre
Baciato di notte era il chiaro di luna,
sorridente nel cielo e sopra i sentieri;
era dritta la strada; paura? Nessuna,
in un cerchio di buio dai vaghi misteri.

Carezze di vento rinfrescavano il viso
nel ritorno al grembo dal quale eri nata;
era troppo lontano – credevi – il Paradiso
e vicina, oramai, la tua meta agognata.

Un paese, una casa, e poi tuo fratello;
tua madre e tuo padre, i visi a te cari;
un mondo felice: il tuo posto era quello,
oltre la via crudele, illuminata dai fari.

Della tua breve vita i sogni infiniti;
i compagni, gli amici: quante parole!
Ci credi Ramona? Si sono smarriti
Prima del nascere d’un nuovo sole.

Infernet
«Non parlare e non agire:
non cercare di capire
…»

Videoconferenza del Nuovo Messia:
il dio-computer dall’alto ci spia.
Cybernazismo del Terzo Millennio,
razzi-cinismo al silicio e selenio.

«Non pensare di resistere:
non sognare di esistere…
»

Vendiamo l’anima al Grande Fratello,
e con un click ci spegniamo il cervello:
noi, pseudonessuno del lager globale,
siamo ghettoreclusi nella rete virtuale,

schiavi marchiati dalla maledizione
del moderno regime: l’evoluzione,
erede legittima della stregoneria;
www.inferno.gov: tecnocrazia.

Il Momento dei Ricordi
Chi non conosce quei giorni strani
in cui passeggiando, di sera, sul viale,
si prega s’affretti a venire un domani
che sia, magari, un po’ più normale
e il cuore si svuoti di ‘sta nostalgia
che accompagna senza far compagnia?

Spesso il silenzio ha la voce del tuono
e ognuno s’aggrappa a quello che può:
un viso, due occhi, un sorriso lontano,
o appoggiandosi a qualche ma o però,
e allora, da dentro, nasce un “magone
che fa tremar l’anima per l’emozione.

Com’è difficile camminare
e non voltarsi indietro…


Ci sono tesori perduti per strada:
memorie dorate, godute e smarrite;
destini troncati da una gelida spada
che pende spietata sulle nostre vite;
ci sono persone che non torneranno;
ci sono ferite che mai più guariranno,

e ci si domanda se mai ci sarà
un lieto fine, in questa esistenza
che pare una fiaba lasciata a metà,
priva di senso e di coerenza,
dove si nasce per poi morire,
e quando si vive si deve soffrire.

Com’è difficile camminare
e guardarsi avanti…
nel momento dei ricordi,
nel momento dei rimpianti…

Uno.1
"Uno"
è un uomo solingo
con muti pensieri
che gli cingono il cuore,
e furtivi ricordi
inzuppati
da storpie emozioni
che serrano, ancora,
le frodate lusinghe
d’amori illusori.
"Uno"
è un figlio del vento
che corre lontano
fuggendo da sé,
ma voltandosi, spesso,
verso un’aurora
raggiante di luci
distanti, sbiadite,
e volte a ponente
col fluire degli anni.
"Uno"
è un mezzo sorriso:
una risata mozzata
nell’istante più bello;
un dissennato monologo
camuffato in comizio:
lo scroscio che sfuma
del batter di mani
d’una folla sfibrata
in un brullo deserto.
"Uno"
ha soltanto i suoi sogni
come amici e compagni:
le voci che ode sono i suoi pianti
e le labbra che bacia
scenari dipinti
d’un mondo affranto
che congeda l’autunno
riverendo l’inverno
come un cupo destino,
(perché) "Uno"
teme quel gelo pungente
che sopisce il dolore
e rifugge la nebbia
che divora il suo viso
e lo muta in “Chiunque”;
egli è il suo solo padrone,
ed è "Uno" soltanto:
se per caso si perde,
non gli resta più nulla.

Rivelazione
Io sì!
Ho ancora l’audacia
di mangiare gli avanzi
lasciati
in balia delle mosche
dopo un banchetto
di mendichi
senza provare disgusto
o vergogna,
poiché ho provato gli eccessi
d’ogni Vizio e Virtù
e sono stato accattone fra i Re
ed Imperatore fra i più miserandi:
Redentore e Anticristo
in un Inferno di Angeli
condannati al Paradiso.
Ho bussato alla Porta
e ne ho varcata la Soglia
annientando la mia dignità,
dimorando in città-cimitero,
e percorrendo, andata e ritorno,
il tragitto tra Cielo ed Abisso,
svelando gli Arcani Passaggi
incastrati fra la Vita e la Morte.
Ho sorpreso Satana e Dio
incontrarsi in un luogo
ubicato nel mezzo
di Fine e Principio
e li ho uditi parlare
con la medesima Voce:
non c’è Salvezza
uguale per tutti;
non c’è Giustizia
in ogni Perdono,
né Malvagità
in ogni Peccato;
l’uomo è diverso dall’Uomo:
nessuno
è veramente Qualcuno
finché non si confronta
dinanzi al Non Ponderato,
denudandosi d’ogni fierezza,
per scoprire
che la Vera Equipollenza
è celata oltre se stessi.

Ultima Lacrima
(a Monica)

Graziosa e gentile farfalla,
nel burrascoso cielo sorpresa,
dall'etere azzurro rapita,
da gocce di pioggia ferita,
cascasti in un pozzo, indifesa,
annaspando per tenerti a galla...

ciascuno ha un proprio Destino
contro cui lottare ogni giorno;
ognuno percorre un cammino
verso una casa cui fare ritorno,

ma non tutti, però c'arriviamo,
ch'é facile, sin troppo, cadere
nelle tenebre d'un nero profondo,
derubati dai gai colori del mondo,
oltre la speme di gioire o godere
dei pochi amor per i quali viviamo.

Cloto fila la tela cantando serena
e Lachesi reggendole il fuso sorride
- il Fato mortale stringendosi al seno -
finché Atropo, crudele, i fili recide...

così, farfallina dalle ali bagnate,
in un pianto silente sei morta,
ma la brezza, commossa, ti porta
di nuovo in alto, con ali fatate.

Non Chiudere gli Occhi
Non chiudere gl’occhi:
ho bisogno di te
seduta al mio fianco
come un angel di Dio;
stanotte un demonio
ha violato i miei sogni;
non chiudere gl’occhi:
ho troppa paura.

Non chiudere gl’occhi:
come gemme preziose
li voglio ammirare
risplender d’amore
soltanto per me,
oh mia Vita e mia Luce,
non chiudere gl’occhi:
ho terrore del buio.

Non chiudere gl’occhi:
guardami ancora,
il tuo sorriso di madre
può ridarmi la gioia;
non fuggire lontano,
casa tua è il mio cuore:
un piccolo posto
per accogliere te.

V.S.S.T.P.S.A.
Vederti,
anche se non ci sei,
in quell'angolo buio,
che rischiari il mio cuore;
saperti,
sempre presente,
quando vorrei
che tu fossi vicina;
sentirti,
parlare e cantare,
quando la mente
ti vorrebbe ascoltare;
toccarti,
e poi carezzarti,
quando ho bisogno
di lasciarmi un po' andare;
pensarti,
la sera, nel letto,
quando il sonno
tarda a venire;
sognarti,
mentre sorridi,
e intanto mi chiedi:
«Posso restare?»;
averti,
al mio risveglio,
quando ho finito,
ormai di sognare.

Io che ti sento ancora
...ed io che ti sento ancora vicina,
sebbene tu sia... chissà dove sei?
Ti sento, celata in slavate memorie

umettate di fresche gocce di brina,
origliare curiosa nei pensieri miei,
traboccanti di pleonastiche storie

posticce: palliativi bizzarri e vani
per una ferita eternamente dolente
che smembra il desiderio di gioia,

trasportandomi in tempi lontani,
eppure più veri di questo presente
ridondante e slombante di noia.

Il buio
Benvenuti nel Crepuscolo
dell'amore per la vita
d'un uomo assai minuscolo:
una meteora impazzita
in un mondo ormai straniero,
ciarlatano e menzognero.
Saluti dal mio Inferno
d'aborti d'illusioni
divorate da un eterno
morire d'emozioni
e di speranze tutte rotte:
maledetta sia la notte
quando il Buio è solo mio...

In punto di morte
L'Eterno m'avvolge
in un Carnevale di forme:
orgia bizzarra
d'un decrepito sogno;
sorniona, la Notte,
m'osserva
con occhi di Luna
nella madreperlacea estasi
d'un incantamento di Grazie;
suadente m'accoglie
il Destino,
e mi bacia la Brezza, rapita,
seducendomi di malia:
oh, mite padrona...
eutanasia...

Atsef
Bianchi veli,
quasi impalpabili,
simili a strascichi
d'abiti nuziali,
roteano,
e s'alzano,
e planano
nel notturno, rispettoso
silenzio
spezzato dai sibili
violenti di Eolo,
tra vecchie lapidi
e croci corrose.
Giammai, occhio umano,
potrà osservare
l'eteree danze dei morti!
Oh, noi,
meschini e mortali;
fragili esseri
al di là della fossa;
poveri spiriti
prigionieri di corpi
ingombranti
e malati di vita...
giorno verrà
che pur noi balleremo,
simili ad ombre
nascoste nel buio,
sorridendo con ebeti
ghigni di morte
dei nostri antichi
visi terreni, esposti
in dipinti ingialliti,
entro decrepiti vetri
bagnati
di pioggia e di pianto.
Fiori di plastica
e biascicate preghiere
non ci consoleranno
del nostro destino,
mentre i vermi voraci,
le larve d'amori
consumeranno
con le nostre ambizioni
sepolte nel fango
e nel perpetuo oblio,
celate alla vista
di chiunque ci amò.

Invisibile
Occhi neri mi sfiorano
e poi mi attraversano
come se fossi dipinto di trasparenza…

Una dolce fragranza
m’incanta e poi passa:
vorrei fosse amore, la tua indifferenza…

Haiku n° 1

Una tomba -
giace, passo,
un fiore.

Haiku n° 2

Uomini –
gocce dagl’occhi
di Dio.

L'essenza
Vagabondare
fra una stella
e una croce:
la Vita!

Figlio della Guerra
Bambino fuggito nel vento,
ricordo i tuoi occhi innocenti,
bagnati di un vuoto sorriso,
istoriato, sul tuo pallido viso.
Bambino sfuggito all’amore
in essi vedo, ancor, con terrore
il dolore di cui è fatta la guerra,
specchiarsi nel sangue per terra.

Bambino eternamente bambino,
rinnegato figliol del destino;
la tua bocca, per sempre silente
racchiude il disdoro di gente
che giammai è stata bambina,
giacché ogni giorno cammina
calpestando la vita e la morte,
e giocandosi ai dadi la sorte.

Il Vampiro
(allegoria)
È una notte fredda e scura:
c’è un silenzio da paura;
fra le lapidi d’un cimitero
s’aggira, quatto, l’Uomo Nero.
Sulle spalle ha un mantello;
si trasforma in pipistrello;
ha in bocca zanne aguzze
e morde il collo alle ragazze;
rapisce i bimbi dalle culle,
succhia il sangue alle fanciulle;
il suo ghigno fa spavento,
il suo ansare è come il vento;
un ruggito è la sua voce;
odia il Segno della Croce;
teme l’acqua benedetta,
e chi lo vede fugge in fretta,
perdendo il suo coraggio
e precipitandosi al villaggio
trattenendo il respiro,
perché quello è un Vampiro.

Ma invece non è vero,
e chi lo dice è insincero:
lui è un vecchio un po’ sdentato
che fu, un tempo, innamorato;
il suo mantello è un tabarro,
e in gola ha un gran catarro;
si sorregge ad un bastone,
e se non saluta le persone
è perché è un uomo schivo,
sazio ormai d’essere vivo,
giacché ha perso moglie e figlia:
non ha più una famiglia;
la sua unica compagna,
in quel paese di campagna,
è la quiete del camposanto,
in cui si reca, ogni tanto,
quando il giorno muta in sera,
a recitare una preghiera
e deporre alcuni fiori
sull’avello dei suoi amori.

Guarda (e Dimmi che Vedi)
Guarda l’aurora
che accompagna
ogni alba,
e dimmi che vedi…
non v’è forse,
nel vermiglio gioioso,
una speranza?
Oppure,
in quella luce radiosa,
un sorriso?
Poi guarda il tramonto,
ed osserva il pigro
declinar dei colori:
il cupo rossore
che domina
quel cielo morente
che ha ceduto alla notte
tutto l’azzurro
mentre il sole,
spossato,
china il suo capo
congedando ogni lume.
Guarda,
e dimmi che vedi…
non è, quello,
il nostro destino?

Anche gli “Angeli” Crescono
Spesso ci sono lontani ricordi
d’una giovinezza andata smarrita
che, legati, restano ai bordi
d’ogni respiro e d’ogni vita
come le barche dei pescatori,
attraccate al molo in riva al mare:
stanno lì, per noi sognatori,
affinché possiamo sognare,
ma intanto, le visioni di ieri,
fra suoni ed accenti sussurrati,
ci mostrano antichi sentieri;
ci dicono che siamo cambiati…

Lo sai?
Anche gli “Angeli” crescono…


E le madri, con cuor rassegnato,
e coi capelli sempre più bianchi,
domandano a Dio se hanno sbagliato
- innalzando gli occhi un po’ stanchi -
con quei figli dai troppi silenzi:
lontani da esse, seppure vicini,
ignorando che spesso tirano innanzi
ma vorrebbero tornare bambini
anche forse per un giorno soltanto:
per rimediare a un errore passato;
per un domani senza il rimpianto
di quella vita che hanno bruciato…

Mamma mia, lo sai?
Anche gli “Angeli” crescono,
e spesso le ali si fanno pesanti,
ché non tutti, poi riescono,
a volare in alto; ad esser santi.

Anya
Anya
mi guarda negli occhi
e poi sorride,
di quel mio imbarazzo
un po' fuori luogo.

Anya
mi scruta
e poi sbotta:
«Qualcosa non va?»,
e non so più cosa dire.

Anya
- non so se ci pensa -
un po' gioca,
un po’ celia,
un po' flirta;
spesso sbadiglia
dei suoi passatempi
e vorrebbe fuggire
non troppo lontano:
soltanto due passi
un poco più in là.

Anya, la vedo,
coi giorni e coi mesi,
a tratti più donna,
e meno bambina,
ma per quanto cammini,
non conosce la strada:
l'avvolge quel mondo
rosa confetto,
che la prende per mano,
e la tiene con sé,
a troppi anni distante da me.

Tu Salvi la Mia Vita
Tu salvi la mia vita
quando le incompiute,
mie, emozioni,
annegano nel pianto,
e soltanto il vederti,
in certe sere troppo stanche,
apre gli occhi del mio cuore,
ché mai più vorrei dormire,
eppur sognarti ancora.

Tu salvi la mia vita,
quando il mondo,
mio, impazzisce,
ed io vorrei morire,
perché sto troppo male,
e la certezza muta in dubbio,
e la razionalità scompare,
mentre vorrei sparire io,
tuttavia, vivo ancora.

Tu salvi la mia vita,
quando sento pulsar forte
i miei dolori nelle vene,
e mi gira, tutta intorno,
una dimensione ormai
sfocata che non credo
sia più mia, proprio
mentre vorrei dirti:
«Ti prego, salvami la vita».

Strade grigie
E percorro, avanti e indietro,
senza meta, strade grigie,
permettendo ai miei pensieri
d’abbracciare strane idee
per arrossire, poi, di esse.
Tutto intorno è freddo e nulla;
l’erba è vizza ormai nei prati,
ma è lungo strade grigie
che il mio piede lascia il segno
fra i tormenti dell’inverno
ed i battiti del cuore
in un gioco senza nome
che mi avvolge di paure.
Cerco dunque, dentro il vento,
percorrendo strade grigie,
la tua voce, come l’orme
che imprimo sull’asfalto,
poi se odo il tuo respiro,
o ti scorgo da lontano,
la mia anima, sgomenta,
pone fine al suo cercare,
lasciando che il sentiero
marchi solo il tuo cammino
e accettando, rassegnata,
che la nebbia ti catturi.

Troppo presto scende la notte
(ai “Raggi di Sole”)

Talvolta,
lestamente si fa sera,
non solo sopra il mondo,
ma anche dentro i cuori,
e la tristezza
diviene un’arcigna padrona,
mentre le ombre del crepuscolo
sfumano in pensieri
sempre più cupi…
sempre più bui…
coprendosi di un manto
di tenebra.
Talora,
si fa tardi troppo presto,
e la notte ci sorprende
facendoci smarrire il sentiero
o la voglia stessa d’andare innanzi,
ma tra il male oscuro d’esistere
o un’esistenza oscura e malata,
tra la violenza del morire
e la serenità composta della morte,
la vita ci osserva in silenzio
ed è come gli astri del firmamento:
alcuni nati per rifulgere
nell’empireo,
ed altri destinati
ad essere stelle cadenti
che passano veloci
ma luminose,
lasciando un segno meraviglioso
in tutto il cielo, e poi svaniscono
ai nostri occhi, ma non si dimenticano,
così come perdere un figlio o una figlia,
un fratello o una sorella;
un padre o una madre;
un parente o un amico:
un qualsiasi sorriso, altro non è
che guadagnare un angelo
in Paradiso.

Una Tua Fotografia
Ho in mano
una tua fotografia
dove sorridi
e, decisa,
mi guardi:
occhi maliardi
donati ad un uomo
bisognoso
di vita.

Ho in mano
una tua fotografia
dove sorridi
e, pare,
mi guardi:
occhi bastardi
venduti a qualcuno
malato
di te.

 
‘Na Storia
(poesia scritta in dialetto di Albano V.se)

Lasè ch'av cünta 'na storia
an po’ bela e an po’ brüta,
che da denta la memoria,
ogna’ntant ‘n fo l’arbüta
‘na dispetusa sensasiun
che’n fa trëmi d’emusiun.

L’è ‘na storia tanme tanti,
che chisà’n quant ien sà vivì,
ma che püra l’è ‘mpurtanta
perché l’è capitami a mi,
ch’i cardiva luntan al temp
par lasé quaidün par semp.

Le iava gnanc trant’agn,
e l’eva biunda, granda e bèla,
ma, vistija o’n custum da bagn,
par mi l’eva tanme na surela:
parché i völ savei chi l’è ch’al dis
che om e dona ai pödu nen esi amis.

A capitava da s-ciaresi
an dì sì e l’aut… e l’aut l’istes,
da satesi e pö cüntesi
i nosi gati per sing uri o anca ses,
e par tüc ai me problemi,
‘i cardrji? La sava cunsulemi
disend ‘nu mechi an quaic parola:
«L’è tüt lì?». Pö la ghignava,
e l’arsunsiva: «Che papamola!»,
an dava an basin e ’n salütava,
e ‘vlü giür, me cara gent,
ch’indava cà tüt cuntent.

An meis ad dicembar, an brüt dì,
l’è cunfidami che i-ava cul mal
catif che l’a-cminsa cun la “c”
e che l’eva da recuveresi l‘uspidal.
J-u vardala’nti öc e j-u piansì
parché i vuliva nen pardila;
l’è rispundimi: «L’è tüt lì?»,
e pö ghignant: «Papamola,
a-t bütré mai an po’ d’curagi?»
L’è basami e l’è'ndà par al so viagi.

Sensa Rima
(Poesia scritta in dialetto di Albano V.se)

I vurria che ai me öc
ai ghigneisu ansema la me buca,
ma i sun nu mechi n’angial drucà dal ciel.

I vurria che l’ura,
quant la cambìa da sular
la füisa da bun n’ura legal.

I vurria ch’ai gueri as cumbatijsu
nu mechi discütend a paroli, e’i finijsu
strinsendsi ‘na man tanme quand i sevu masnà.

I vurria scampè
sensa fé tribülé e mori
cun la certësa da veji vivì.

I vurria ‘gni sgnur
püsé che’d sold, d’antiligensa,
par feglia vëghi ‘n quaic “prufisur”.

I vurria… i vurria….
i vurria scrivi ‘na bela puisia,
ma’s mund l’è co ca l’è: sensa rima.


Masnà (dialetto di Albano Vercellese)
Ti e mi, dùi masnà:

i-asmiavu balé, l’erba e l’aria,
ad-zùra al sipàri d’in ciel travasà
denta rusi blö ciar, tanme l’istà;
e ‘n verd gracidé an ciamava,
sü cui a-spec d’ava quasi ‘n sëca,
an mes ai canëti ed ai tavan.

Ti e mi: dùi masnà,
an t’in magic dopdisnà:


sensa mür, l’eva la campagna,
e ‘l vent l’asmijava slunghé ‘n bràs
par dislighé cul fioc fiurà dai tò cavei;
ai vulavu, sturn d’üsei,
tanme foij vagabundi,
vers ai prà macià ‘d sufiùn.

Ti e mi: dùi masnà,
an t’in magic dopdisnà:
cirigùn marcavu sërc durà.


Ma na vira pardì i-ali,
ai resta nu mechi ai sogn
che quaidün al sent d’aubsogn
da pisché an-tla nostalgia,
per pö sprüsé a riva
an quaic lacrima ‘d rimpiant.

Ti e mi: dùi masnà,
an t’in magic dopdisnà:
cirigun marcavu sërc durà;
‘na strà sterà e végi bici:
‘sla lengua, paroli mai dici.


Tra memoria e puisìa
(dialetto di Albano Vercellese)

La memoria l’è tanme an muschìn:
la vola nuiùsa, pö’s posa e la mord,
ed ecco che sübit, an més ai sagrìn,
tanme an focu as visca an ricord.

L’è an pensièr ch’al fa’n po’ tenerësa:
tanme la foto, da végia, ad me nona
satà, cun la ghigna macià da strachësa,
e i-öc ch-ai pregu: «Oh, cara Madona!»

Pö, quand cula fiama s’a-smorsa,
tüt la smija pü nen tanme prüma:
a-ié sempi quaicos che s’a-sforsa
da sorti pian dal gris ad-la brüma.

Parëc a t’è tì: an cit ciar luntan,
mé prüma murùsa, mé simpatia,
che tüta rusa t’an piavi per man
e pö, sutvùs: «Andùma fé Puisìa?»

Vari vers i’avrù scric, da cui dì!
Rimi alegri o scarabòc ad tristësa,
ma pü nienti a fa rima cun tì,
che dal mé cör t’è stac principësa…

Che fin t’é fac, Puitësa?

Una Storia.
(Traduzione)

Lasciate che vi narri una storia
un po’ bella e un po’ brutta,
che da dentro i miei ricordi
ogni tanto fa fiorire
una dispettosa sensazione
che mi fa tremare d’emozione.

E’ una storia come tante,
che chissà quanti han già vissuto,
ma che, tuttavia è per me importante
poiché l’ho sperimentata
quando credevo lontani i tempi
per lasciare qualcuno per sempre.

Lei non aveva neanche trent’anni,
ed era bionda, alta e bella,
ma, che fosse vestita o in costume da bagno,
era come una sorella:
perché vorrei sapere chi è che dice
che uomo e donna non possono essere amici.

Capitava di vederci
un giorno si e l’altro… e l’altro pure,
di sederci e poi raccontarci
i nostri crucci per cinque o sei ore,
e per ogni mio problema,
ci credereste? Lei sapeva consolarmi
soltanto dicendo poche parole:
«Tutto qui?». Poi rideva,
e aggiungeva «Che pappamolla!»,
mi dava un bacetto e mi salutava,
e vi giuro, cara gente,
che andavo a casa tutto contento.

In un mese di dicembre, un brutto giorno,
mi ha confidato di avere quel male
crudele che comincia con la lettera “c”
e che doveva ricoverarsi in ospedale.
Io l’ho guardata negli occhi e ho pianto
perché non volevo perderla;
lei mi ha risposto: «Tutto qui?»,
e poi ridendo: «Pappamolle,
quando metterai un po’ di coraggio?».
Mi ha baciato e s'è avviata per il suo viaggio.

Senza Rima.
(Traduzione)

Vorrei che i miei occhi
ridessero insieme alla mia bocca
ma non sono che un angelo precipitato dal Cielo.

Vorrei che l’ora
quando muta da solare
divenisse davvero un’ora legale.

Vorrei che le guerre si combattessero
soltanto discutendo a parole, e finissero
con una stretta di mano come quando si era bambini.

Vorrei campare
senza troppe tribolazioni e morire
con la certezza d’essere stato vivo.

Vorrei arricchirmi
più che di soldi, d’intelligenza
per fargliela vedere a certi “professori”.

Vorrei… vorrei…
vorrei scrivere una bella poesia,
ma questo mondo è quel che è: senza rima.


Bambini
Tu ed io, due bambini:

sembravano ballare, l’erba e l’aria,
sopra il sipario d’un cielo travasato
dentro rogge azzurre, come l’estate;
e un verde gracidare ci chiamava
su quegli specchi d’acqua quasi in secca,
in mezzo alle canne ed ai tafani.

Tu ed io: due bambini
in un magico pomeriggio:


senza muri, era la campagna,
e il vento sembrava allungare un braccio
per slegare quel fiocco fiorato dai tuoi capelli;
volavano, stormi d’uccelli,
come foglie vagabonde,
verso i prati macchiati di soffioni.

Tu ed io: due bambini
in un magico pomeriggio:
libellule segnavano cerchi dorati.

Ma una volta perdute le ali,
restano soltanto i sogni
che qualcuno sente il bisogno
di ripescare nella nostalgia,
per poi spruzzare a riva
qualche lacrima di rimpianto.

Tu ed io: due bambini
in un magico pomeriggio:
libellule segnavano cerchi dorati;
una strada sterrata e vecchie biciclette:
sulla lingua, parole mai dette.


Tra memoria e poesia
(Traduzione in italiano)

La memoria è come una zanzara:
vola noiosa, poi si posa e punge,
ed ecco che subito, fra le preoccupazioni,
come un fiammifero si accende un ricordo.

È un pensiero che fa un po’ tenerezza:
come la foto, da anziana, di mia nonna
seduta, con il viso segnato dalla stanchezza
e gli occhi imploranti: «Oh, cara Madonna!»

Poi, quando quella fiamma si spegne,
tutto non sembra più come prima:
c’è sempre un qualcosa che si sforza
di uscire piano dal grigio dell’oblio.

Così sei tu: un piccolo lume lontano,
mia prima fidanzata, la mia simpatia,
che tutta rossa mi prendevi per mano
e poi, sottovoce: «Andiamo a far Poesia?»

Quanti versi avrò scritto, da quel giorno!
Rime allegre o scarabocchi di tristezza,
ma non c’è più niente che fa rime con te,
che del mio cuore fosti la principessa…

Che fine hai fatto, Poetessa?


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