Racconti di Mariagrazia Tumbarello


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Ricordi di scuola
Andare con la memoria negli anfratti del tempo significa abbandonare temporaneamente il contatto con il proprio se' presente e dirigere attenzione e coscienza su frammenti di vita vissuta che ci sono appartenuti e che hanno poi contribuito a formare l'io da cui momentaneamente ci si allontana.
Ricordare non e' mai operazione semplice ne' neutra: la nostra mente agisce filtrando momenti e sensazioni che, all'epoca degli eventi, abbiamo vissuto come particolarmente significativi o portatori di significato. Difficilmente ricorderemo cosa abbiamo consumato a pranzo quel dato giorno del 2001 se cio' non ha avuto, almeno nel contesto in cui il pranzo si e' svolto, un significato particolare sulla nostra coscienza: se in seguito alle pietanze io fossi stato colto da un malore tale da richiedere un immediato ricovero dovuto ad un'indigestione, e' piuttosto probabile che anche ad anni di distanza io conservi il preciso ricordo della qualita' del cibo ingerito, ricordo che si sgretolerebbe nell'incessante fluire del tempo se a quel pranzo non fosse seguito nulla di particolare.
Da quel 1978, anno in cui inizio' la mia avventura scolastica, sono ormai trascorsi trent'anni e ripescare nel fondo della mia coscienza gli eventi che vi sono trattenuti e' complicato ed emozionante insieme: come il vento erode le particelle superficiali delle pietre su cui soffia lasciando intoccate le zone dure e antiche di cui sono costituite, cosi' la memoria spazza via momenti e sensazioni poco pregnanti e rimanda nitide immagini di quel che piu' ci ha toccato.
Quel preciso attimo in cui varcai la porta della scuola elementare privata accompagnata da mia mamma e' come lo vivessi ora: i miei sei anni non mi consentivano di vivere quell'esperienza di passaggio cosi' delicato con la consapevolezza dovuta, che solo l'esperienza e la maturita' acquisite nel tempo le hanno saputo imprimere.
Non ho un preciso ricordo di come fossi abbigliata, agli aspetti pratici provvedeva allora, come fino a poco tempo fa, mia mamma, sopperendo alla mia congenita e quasi assoluta mancanza di attitudine in tal senso, con cui fin dalla piu' tenera eta' ho imparato a convivere.
La mia indole di bambina poco pratica e la propensione a fantasticare avrebbero avuto sul corso degli eventi futuri e nella mia formazione personale un peso decisivo e fondamentale: si sarebbe rivelata ben presto elemento di ostacolo al raggiungimento di mete desiderate e contemporanemente strumento privilegiato di affermazione della mia identita'.
Non ho dimenticato, invece, il profumo dei fiori che esalava dai vasi posti all'esterno delle aule, la sensazione della pelle bagnata dall'acqua quando, nei giorni di pioggia in ritardo sull'orario di entrata scolastica, la mamma mi lasciava a pochi passi dal cancello di scuola ed io trafelata gioivo nel sentir scorrere su di me le gocce di pioggia che mi lasciavo scivolare addosso.
Nemmeno scordo l'aroma delle brioche fresche del panificio all'angolo della via, meta preferita degli alunni della scuola che facevano a gara per assicurarsi un posto in prima fila; ben impressa in me la gara d'eleganza in cui le bimbe piu' carine e benestanti si impegnavano sulla strada da casa a scuola, passerella privilegiata di agi da ostentare.
Poi ci sono le aule, le decorazioni dei soffitti eseguite ad arte per rimarcare il senso della tradizione religiosa che traspirava da ogni dove, il saluto affettato delle suore sul sagrato d'entrata, la malinconia che prendeva l'anima quando la mamma si allontanava con un cenno del capo.
Conservate nei labirinti della memoria le immagini, solo lievemente sfuocate dal tempo, dei primi compagni di classe: ancor oggi rimbalzano nella mia coscienza con la potenza di un tuono associate ad alcune loro caratteristiche che si ergono imponenti come cattedrali nel deserto: e allora ecco Carlo lo sdolcinato, Marta la decisa, Roberta la bella...
La realta' degli eventi, quando filtrata nel ricordo, appare trasfigurata, eppure conserva tratti di verita' e genuinita'che la fanno apparire tal quale l'abbiamo vissuta e proprio in cio' risiede la potenza del ricordo: di amplificare, modificare l'evento pur facendone persistere i tratti essenziali che, come cattedrali nel deserto, prendono a autonomia e si fanno largo in noi.
Rivisitando la scuola elementare dell'epoca l'aspetto che piu' mi colpisce, oggi, e' la dimensione degli spazi, delle attrezzature, tutto ovviamente pensato e realizzato a portata di bimbo: ho di recente rivisto la lavagna di allora, per accedere alla quale avrei bisogno di inginocchiarmi, cosi' come dovrei rannicchiarmi su me stessa per sedermi alle sedie su cui eravamo: tutto desta una strana impressione, la sensazione che quegli strumenti non potevano essere pensati proprio per noi, che siamo oggi cosi' cambiati.
Perfino il linguaggio rivolto a bambini di quell'eta' suona oggi fuori luogo, zeppo di intercalari "E' chiaro per tutti? , di vibrazioni della voce falsate dall'apprendimento di tecniche didattiche, di sorrisi della maestra artefatti. Quando si e' fanciulli non si ha la tendenza alla critica, che verra' interiorizzata successivamente e vige indiscussa, come tacita regola universale, la formula dell"ipse dixit" di aristoteliana memoria, per cui anche le fesserie piu' palesi pronunciate da chi detiene autorita' sono inconfutabili: tutto cio' che trapelava dalle labbra della maestra suonava scontatamente ovvio, i comportamenti che solo con il trascorrere del tempo si e' potuto definire quantomeno balzani apparivano allora normali e indiscutibili.
Mi sovviene l'aula addobbata con la cartina geografica della nostra Penisola, l'imponente figura dell'insegnante cui bastava un cenno del volto per rimettere tutti in riga, la singolarita' di alcune compagne con il vezzo acerbo di mirarsi allo specchio durante le uscite per la quotidiana pulizia cui eravamo chiamate a determinati orari, l'inveterata abitudine ad un abbigliamento che pareva creato apposta per quella scuola e per le attese di chi la gestiva, la segreta aspirazione a primeggiare sulle compagne in tema di voti e apparenza esteriore.
Mi invitano ad un dolce sorriso le modalita' di presentazione delle prime regole grammaticali della nostra lingua: per dare concreto risalto ai primi rudimenti linguistici, la maestra aveva pensato di delegare l'ardito compito alle carrozze di un trenino rudimentale da lei creato e cosi' aveva caricato soggetto, predicato e espansioni varie sui vagoncini del mezzo di trasporto in legno massiccio; non meno simpatia mi crea il ricordo della trasmissione delle iniziali nozioni di aritmetica cosi' che tutto sembrasse un gioco, quasi un passatempo cui devolvere quelle ore della mattina, mentre solo dopo si scopri' che sull'estenuante alternarsi di frasette da decifrare e addizioni da svolgere si sarebbe rafforzato non solo il nostro sapere ma la nostra intera identita'.
Non densi di grandi palpitazioni o emozioni vibranti quei primi anni di scuola, come spesso, forse per una voluta ipocrisia che mira a dipingere il ricordo con tonalita' forzatamente emozionanti, si e' soliti descrivere quel primo impatto con il mondo del sapere.
Emozioni e sensazioni che hanno dominato, invece, il momento di passaggio alle scuole medie e al liceo: forti di una consapevolezza maturata nel tempo e delle esperienze vissute via via, quegli anni hanno ancor oggi il sapore dell'ebrezza, delle prime inclinazioni verso l'altro sesso, del piacere di far gruppo attorno ad un libro illustrato di storia, delle confidenze tra noi ragazzine, della complicita' talora solo apparente che ci accomunava di fronte a un insuccesso del compagno.
Il primo suono della campanella in prima media fu affrontato nuovamente con la mamma, presenza viva nei ricordi di sempre e fu segnato da una spiccata ansia per le aspettative di cui era ammantato quel balzo scolastico che mi faceva sentire grande. Miriadi di frammenti di ricordo scheggiano il mio presente e solo uno sforzo mirato mi permette di assemblarli un poco piu' ordinatamente di quanto non si presentino, flutti anomali in perenne agitazione a rovistare nella mia mente.
E allora diro' dell'insegnante di musica, unica in tutta la citta' a non averci imposto l'insegnamento di uno strumento musicale ma ad aver propeso per il caos piu' assoluto ed incontrollato, del terrore vero che ci coglieva all'ingresso della professoressa di matematica cui tributavamo in pubblico attenzione e riverenza e nel privato improperi e accuse che oggi ritengo immeritati, della sensazione sbiadita che il tempo mi rimanda dell'altrettanto inconsistente figura dell'insegnante di francese, cui devo molto quanto ad apprendimento linguistico, nulla sul lato umano e delle relazioni personali.
Eravamo gia' la perfetta sintesi della perversa logica che governa l'esistenza: in un attimo da agnelli divenivamo lupi, con una repentinita' da lasciarmi oggi stupita: dottor Jeckill e Mister Hide fusi in un'impari lotta, la nostra anima pronta all'occasione a farsi tenera e docile con i determinati e a riversare il proprio sadismo sui mansueti: scoprii negli anni a venire che quell'innata tendenza dell'essere umano altro non era che un iniziale, maldestro tentativo di sopravvivere in societa' a spese del piu' debole da un lato, ingraziandosi il favore del piu' determinato dall'altro.
Ero piuttosto brava a scuola, per tutti ero "la secchiona", fortunatamente ero riuscita a ritagliarmi anche un'immagine di simpatia e di generosita' verso i meno abili nelle discipline scolastiche: confesso onestamente che ancor oggi non so affermare con sicurezza se quell'immagine di ragazzina simpatica, oltre che discretamente intelligente, fosse un inconscio tentativo da parte mia per realizzare una concreta, vincente sintesi di caratteristiche umane, senza le quali la sopravvivenza in un gruppo adolescenziale diviene complicata se non impossibile. Simpatica e sollecita per tornaconto personale o per inclinazione naturale che fosse, sapevo di risultare gradita in siffatta veste e cio' non faceva che rinforzare il mio striminzito ego, disponendolo a procedere lungo il medesimo cammino negli anni seguenti.
Dopo un suggerimento andato a buon fine in occasione di una verifica o di un'interrogazione di un compagno ero sinceramente soddisfatta poiche' sentivo in cuor mio di aver incassato io, per conto del destinatario dell'aiuto, un ulteriore merito scolastico....forse, rifletto ora, non di bonta' disinteressata si trattava ma di puro atto di egoismo fatto passare per generosita', che solo la riflessione in anni di maturita'e' riuscita abilmente a smascherare.
A quegli anni risalgono i pensieri, le gioie e le amarezza che gli albori dell'adolescenza creano e sviluppano: il ragazzo dell'aula accanto che faceva battere il cuore a tambur battente, qualche lieve incomprensione con i genitori che affliggeva le giornate, i piccoli progetti della domenica da trascorrere con le amiche, apparente quadretto idilliaco che non deve indurre all'errore di leggere la mia adolescenza come un periodo privo di blande trasgressioni o come viatico verso una vocazione monastica che non era propria del mio animo.
Anch'io coltivavo i miei momenti di solitudine e di pensieri solo miei e i pensieri degli adolescenti credo fossero, allora, dello stesso tono di quelli di oggi.
Ho ancora in me il senso di volutta' con cui avevo accolto i primi approcci alla lettura, che allora come oggi e' il mio quotidiano percorso verso il mondo, il conosciuto e lo sconosciuto.
Mi conferisce un enorme piacere addentrarmi nei meandri infiniti delle parole, nelle selvagge amenita' dei pensieri e dei percorsi della mente....da ragazzina leggevo piu' per imposizione che per vero piacere, ma oggi sono infinitamente grata a quell'obbligo senza il quale non sarebbe sorto l'immenso piacere che avverto ora quando mi accosto alla lettura.
Si tratta di un piacere anche fisico, quando leggo e' come se mi innamorassi, ogni libro e' come un amante che mi accarezza, che mi mostra luoghi sconosciuti, che mi indica i sentieri dell'anima e del cuore ancora celati alla mia conoscenza; e allo stesso modo amavo e amo la scrittura, il fluire copioso che sgorga dentro di me pronto a farsi lettera, le mie emozioni gettate sopra il foglio, le bizzarrie che mi percorrono che si addensano e si fondono in pensieri ordinati.
Se non amassi leggere non amerei nemmeno scrivere e viceversa, considerazione piu' emotiva che logica ma alla cui ovvieta' sono spinta piu' dalla ragione che non dal cuore.
I miei genitori ebbero la fortuna, o la capacita' o entrambi di avere una figlia cui non dovettero imporre quasi nulla che gia' lei non compisse di sua spontanea volonta': e' indubbio che la frizione tra figli e genitori ha percorso trasversalmente ogni epoca ed ogni latitudine, con sfumature cangianti su un medesimo sfondo di sfida costante, ma io seppi assorbire questa delicata fase senza contraccolpi di particolare entita'.
Quando si creavano momenti di tensione, cercavamo di superarli in un clima di reciproca fiducia, consapevoli ognuno del ruolo e dei relativi compiti e responsabilita' cui eravamo chiamati.
Essere genitori era complicato allora quasi quanto lo e' oggi, ma la differenza sostanziale, a parte il notevole cambiamento delle dinamiche sociali che rendono ogni epoca unica e irripetibile, sta nel rispetto che allora si tributava ai ruoli che ognuno era chiamato a rivestire.
Il genitore sapeva che doveva essere genitore fino in fondo, con gli annessi e connessi che si confanno a questo status: doveva dirigere la famiglia, accompagnare i figli nelle loro scelte, suggerire e anche vietare, forti della consapevolezza che non esiste forma di educazione che non passi per il terreno impervio dell'obbligo e della proibizione.
Senza il senso e la pratica dell'obbligo e del divieto vivremmo nella piu' totale anarchia, privi di direzione, affondati in un'esistenza senza mete, annoiati dal nulla, insopportabili perfino a noi stessi.
Ultimo giorno di scuola con attesa dei risultati degli esami finali, classico rituale di fine anno che mi vedra' impegnata nei successivi 5 di liceo. Baci e abbracci di rito con la promessa di rivederci nell'immediato futuro, promessa che sapevamo avremmo infranto lungo l'alternarsi di fortune e vicissitudini che la vita sempre presenta.
L'estate scorre in un lampo, regalando un riposo mitigato dall'apprensione per l'attesa del nuovo, temutissimo, ordine di scuola: il liceo, vituperato, amato e odiato, riposto nei meandri dell'anima di milioni di uomini che li' sono metaforicamente nati, vissuti e periti.
La mamma questa volta non c'era a confortare la mia fragile insicurezza all'ingresso di settembre nella nuova scuola, sarebbe stato quantomeno imbarazzante presentarsi tra quelle ragazzine sveglie e abbigliate da adulte con mamma al seguito.
La voce roboante della Preside annunciava la ripartizione nelle sezioni cui eravamo assegnati, salire le scale non mi era mai parso cosi' estenuante e infinitamente complicato, raggiunsi l'aula e subito il mio sguardo sui volti dei presenti, teso a carpire intenzioni, sfumature di carattere e tendenza media del quoziente intellettivo, mi fece presagire una discreta possibilita' di riuscita scolastica, che' nessuno mi parve avere l'aria di chi si danna sui libri o di chi consacra la propria vita alle pur vibranti note del sapere filosofico o storico.
Deduzione che si rivelo' corretta, di novelli Einstein in quella classe nemmeno l'ombra, e cio' mi permise di mantenere viva la mia immagine di ragazza studiosa e per giunta pure gradita a tutti: compresi pero' che l'energia necessaria a realizzare questo compito era spropositata rispetto ai benefici che ne avrei tratto e allora mi impegnai maggiormente sul solo versante dell'impegno scolastico, che non manco' di regalarmi discrete soddisfazioni.
Quegli anni furono decisivi per la mia formazione culturale e la mia complessiva crescita interiore e contribuirono totalmente alle scelte di vita che maturai in seguito; a quell'eta' non c'e' ne' tempo, ne' desiderio, ne' capacita' per l'approfondimento, per andare oltre il mero dato oggettivo e concreto, per cui anche gli studi potenzialmente piu' gratificanti vengono ridotti a stanco e abusato rituale di formule poco significative e slegate dal contesto in cui andrebbero a giusto titolo inserite. Non e' retorico affermare che studiare Platone per conoscerne vita e pensiero non ha alcun valore se tale operazione non e' accompagnata da una riflessione sul contesto storico, culturale in cui egli visse e sull'influenza che il pensiero, sempre, ha avuto come motore e guida di avvenimenti e rivoluzioni di varia natura; arduo obiettivo in eta' adolescenziale, difficilmente comprensibile e attuabile quando il primo pensiero e' quello di raggiungere la sufficienza nella materia e evitare un'estate sui libri a rovistare nei vagheggiamenti degli antichi ai quali, per quanto affascinanti, vengono in media preferite le calde, vuote estati stesi a bruciare corpo e mente in sconosciuti lidi attorniati da sconosciuti esseri.
Riassumere in poche righe anni di studio e di esperienze non e' semplice, si puo' pero' sollecitare la mente ad indugiare sulle impressioni, sul sottofondo che ha caratterizzato quegli anni ed un mirato sforzo di recupero in tal senso consegna alla memoria immagini di volta in volta nitide o sbiadite, fotografie di passaggio nella mente che tento di acchiappare e di stringere a me, ben consapevole che cio' che e' finito e' finito e nessuna operazione di salvataggio potra' mai restituire altro che il ricordo.
La nostalgia per la giovinezza ormai sepolta e per la spensieratezza che percorreva gli istanti della vita di allora si sovrappone alla miseria dell'oggi in una spirale di cui a volte fatico a definire il confine tanto l'intreccio e' denso e allora evito di dipanare la matassa perche' scoprire il nerbo vivo potrebbe farmi piu' male che non vivere con frammenti di ricordi vaganti e confusi. Lo sforzo di mantenere tutto com'e' non frena l'autonomo crearsi di suggestivi quadretti dalle tonalita' via via diverse in base all'angolatura con cui mi si presentano: il portone d'entrata che mi pareva quello dell'Inferno di Dante, tanto me lo figuravo con riverenza mista a timore, imponente e misteriosa forza che ancor oggi agita i miei sonni, l'impettito avanzare dell'insegnante di matematica soggetto preferito delle nostre canzonature senza vera malizia, il sorriso finto della bidella che ci richiamava all'ordine sulle scale, la sua accoglienza la mattina, scarmigliata e sonnolenta ad affrontare l'ennesima frustrazione giornaliera, i compiti in classe su cui lasciavamo lacrime e sudore, il prof di lettere maestoso e misteriosamente e profondamente coinvolto nelle quotidiane incombenze lavorative, discettava di Dante e Petrarca con una vorace passione che invogliava a condividerne, almeno in parte, la smisurata dedizione.
E poi, immancabile, la pausa delle 11:00, che si colorava di confidenze, pettegolezzi,a stornare con una riserva di spontaneita' le ore trascorse con il volto teso sui libri; il consueto appostamento lungo i corridoi nell'attesa del ragazzo dell'aula accanto cadenzava i blandi ritmi di quelle brevi pause e forniva occasione di fitte e inconcludenti discussioni tra noi ragazze che si rivelavano nefaste per la concentrazione delle ore seguenti, quando il dovere, nuovamente, ci richiamava all'ordine.
Ho sempre amato studiare, era ed e' per me un vero piacere inerpicarmi sulle vie del sapere, studiare e' per me come viaggiare, mi figuravo ogni materia scolastica come una nazione da scoprire, da interpellare, ognuna con i propri paesaggi, le proprie leggi, i propri ritmi. Studiare equivale a viaggiare perche' sono entrambi percorsi senza fine, che' se anche vivessimo 200 anni e il nostro tempo fosse interamente dedicato allo studio e al viaggio, non potremmo ragionevolmente affermare senza tema d'essere smentiti di sapere tutto o di aver esplorato l'intero universo in ogni suo piu' remoto anfratto. Occorre, dunque, rassegnarsi: la qualifica di ignorante ce la meritiamo tutti, e i dotti, quelli veri, ne sono tanto piu' consapevoli in quanto proprio l'impegno profuso a raggiungere risultati di eccellenza li ha resi edotti della sconfinata vastita' di cui il sapere si compone. La differenza tra un ignorante non colto e un ignorante dotato di una certa cultura risiede nella mancata consapevolezza del primo di non sapere (come farebbe a sapere di non sapere se al sapere non si e' mai avvicinato e non sa dei suoi infiniti percorsi!?) e nella dolorosa accettazione del secondo di non poter mai pervenire ad uno stato di assoluta conoscenza.
I ricordi di ieri rivisitati con gli occhi di oggi determinano un necessario storpiamento della visuale percettiva, per cui immagino che situazioni vissute e filtrate dalla nostra coscienza in passato siano percepite dal nostro io attuale con una consapevolezza mutata dal mutare di noi stessi nel tempo: e' allora probabile che l'insegnante preferita in quegli anni sulla base di principi validi all'epoca del giudizio, sarebbe oggi valutata diversamente venendo a mutare le nostre convinzioni e i criteri di giudizio.
Sara' allora questo inevitabile errore percettivo che impone alla mia coscienza considerazioni degli anni di scuola come anni irripetibilmente densi di tutto, colmi di gioia grondante da ogni poro del mio essere? Probabile, allora, che gli istanti che vivo attualmente assurgano ad un giudizio altrettanto lusinghiero e insindacabilmente positivo tra qualche anno allorquando, in un medesimo percorso di rivisitazione del passato, io saro' condotta a considerarli come i migliori della mia vita, quando ora non posso, ahime', che sentirne sulla pelle l'agonia e la nausea che solo sanno, ora, donarmi.

Lui
Quando, il giorno del mio trentesimo compleanno, mi giunse in dono un cagnolino senza razza dell'eta' di tre mesi, capii subito che la mia vita avrebbe subito un repentino mutamento: allora non potei intuire a quale cambiamento faccia oggi riferimento, ma il tempo che trascorse diede ragione a quell'immediata illuminazione.
Confesso che non fu amore a prima vista, come so che va di moda affermare a sottolineare una non sempre sincera sintonia tra uomini ed animali che non e' detto scatti da subito o addirittura che scatti mai; nemmeno dire che desideravo da sempre un cagnolino risponde a verita', che' altrimenti avrei potuto benissimo procurarmelo senza attendere per trent'anni un atto di generosita' , per giunta inatteso, dei miei amici.
Quel giorno restai a casa dal lavoro concedendomi una giornata da celebrare al triste evento della fine del terzo decennio della mia vita. La mia occupazione di segretaria commerciale non era stata propriamente una scelta, ma un ripiego dopo anni di inutili tentativi di inserirmi nel mondo dell'editoria, sogno e speranza dei miei anni di giovinezza. La mia vera passione era ed e' la scrittura, ma la fortuna non mi assistette mai nella frenetica e incompiuta ricerca di soddisfare le mie acerbe velleita' di scrittrice.
Dopo la laurea in Letterature straniere, avvertii il bisogno di rendermi economicamente indipendente dalla mia famiglia e siccome i sogni servono piu' a gratificare lo spirito e l'anima di chi li coltiva ma non a soddisfarne bisogni pratici ed immediati, decisi di accantonare momentaneamente l'idea di dedicare sforzi e illusioni alla scrittura e mettermi alla ricerca di un posto di lavoro che mi permettesse di mantenermi. In breve fui assunta presso una ditta come corrispondente commerciale con paesi esteri: dopotutto non avrei potuto desiderare di meglio o di diverso visto che gli studi delle lingue straniere da me intrapresi avevano trovato una applicazione concreta e immediata all'interno di quella ditta, per giunta non distante dalla mia abitazione. Non potevo dar torto a chi mi reputava fortunata e con la logica finii per cedere alla convinzione che si', dopotutto, quel lavoro mi concedeva cio' per cui mi ero affannata nel tentativo di accaparramelo: uno stipendio adeguato e tempo sufficiente da dedicare alla mia passione di scrivere.
Il 5 giugno 2002, per ritornare a bomba, nel mezzo di un'ordinata e minuziosa pianificazione della giornata che si sarebbe svolta tra amici convenuti per i rituali auguri alla novella trentenne, la sorpresa: un pacco enorme semi aperto con un fiocco altrettanto gigante rosa e verde e un ciuffo che spuntava in fuori....-che pazzi- esclamai tra me e me alla vista di quel cucciolo tremante e con gli occhi impauriti, frutto probabilmente della sua giovane vita trascorsa in strada senza amore e calore. Abitavo in casa da sola da ormai un pezzo e immaginavo le difficolta' che mi si sarebbero presentate a dover badare a quell'esserino, che si rivelo' ben presto refrattario ad ogni regola che cercai di imporgli per garantirmi una vita il piu' simile a quella che trascorsi fino a quando Lui, questo il nome da me scelto al mio nuovo compagno, vi si insinuo' . Nessuna regola imposta mi garanti' il ritorno alla tranquilla apatia che avvolgeva le mie serate di fronte alla televisione, dopo ore ed ore al telefono in ditta a contattare e concludere contratti con clienti nevrotici e invadenti. Lui concentrava tutta la mia attenzione su di se' costringendomi a levatacce mattutine per il passeggio, obbligandomi a rivoluzionare il mio tempo e il mio spazio per fargli debitamente posto.
Figuratevi, al mio risveglio, lo stato in cui versavano gli indumenti che incautamente lasciavo incustoditi tra divano e letto, regolarmente presi di mira e minacciati dalla forza mascellare del mio nuovo compagno, per non dire della rivoluzione cui Lui si era da subito impegnato in casa, alla perenne ricerca di oggetti da frantumare e di mobili su cui posare le sue stanche membra. Goccia che fa traboccare il vaso: un mattino, vestita di tutto punto per l'atteso appuntamento annuale con i dirigenti della ditta principale nostra acquirente, sull'uscio del portone in uscita da casa, mi accorgo di uno strappo al centro del sontuoso abito pensato per l'occasione....immediata la contromisura di riparare al danno subito da Lui, con uno sguardo fisso all'orologio a voler accertare la possibilita' del rimedio. In un lampo mi rivesto e giu' di nuovo per le scale dove Lui mi sta amorevolmente aspettando....la coda penzoloni sull'ultimo gradino mi regala l'atto di chiusura di quella giornata memorabile: vi inciampo con tutto il mio peso e in un istante sono bella e riversa sul pavimento....gli immediati soccorsi dei vicini non mi consentono di giungere all'appuntamento di lavoro in tempo debito ad affrontare i clienti attesi da un anno.I giorni seguenti, contrassegnati da negligenze di varia natura, accelerano il mio allontanamento dalla ditta, ufficialmente sancito poco prima dell'arrivo di Natale. Lui, ignaro di tutto, resiste fedelmente al mio fianco e io mi arrabatto alla disperata ricerca di un decente posto di lavoro con cui dignitosamente far fronte alle mie giornate. I preparativi, piu' mesti del solito, per il sopraggiungere delle feste, sono bruscamente interrotti dalla telefonata di una casa editrice milanese che mi annuncia il ricevimento di un mio manoscritto risultato gradito e prospettandomi la possibilita' di pubblicazione. Non ricordo di aver ultimamente spedito alcunche', ma l'arcano e' presto svelato: nella fretta di concludere la mia esperienza di lavoro nella ditta, dimenticai un CD con alcuni miei scritti; la dirigente che aveva provveduto al mio licenziamento, probabilmente per tacitare la coscienza che le rimordeva, aveva pensato di farlo pervenire ad alcune case editrici della zona...ora eccomi qui, con il contratto dell'agenzia in una mano e, adagiato sull'altra, Lui che scodinzola soddisfatto per l'inconsapevole impresa.


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