Poesie di Antonio Teni


Home page  Lettura   Poeti del sito   Racconti   Narratori del sito   Antologia   Autori   Biografie  Guida   Metrica   Figure retoriche

 

e-mail: antonio.teni@libero.it  
sito web: www.antonioteni.blogspot.com 
 

L’isola del mattino
Non senti?...Ascolta:
deliri d’ovvietà e poi…
deflagra il nulla!

Per noi, in un limbo di secoli
sparsi e spersi,
una clessidra appena
d’indicibili eden
da non dimenticare!

Noi, ineluttabilmente spersi
nei silenzi eloquenti della storia
dei tanti eroi non-coronati
eppure nati... ma all’appello
nessuna croce manca…

Ricordi quel progettare viaggi
per lontane terre in mondi nuovi?
per pacifici oceani e fiumi azzurri
e capi di buona speranza
da doppiare?

Si svegliò il porto:
salpammo in strepitar di voci…
un volo mattutino di pensieri
e fu da subito isola di notte!

E sulla buia strada
che al mattin conduce
il formicolar delle accidiose luci
giammai ricolma
la lontananza dalle materne stelle…

Quasi allucinato proposito d’ubriaco
che gocce pensi di contar
sull’ umido ciglio del serpeggiante fosso
per alfin giungere
al soliloquio immane
dell’argenteo liquido
del mare…

E non riman che il sogno
d’un filo di vento dipanato
dalla matassa di respiri
del creato tutto
per cucirmi addosso l’aulente tunica
di un’altra primavera!

Sospesa è l’aria a un fremito di foglie…
poi…un tonfo…
e in un remoto crocevia di nebulose
una meteora cade…

Come implume ala,
da arcano nido, una meteora
cade…

E l’inquietudine sento
d’un naufragio d’onde
sulla mia bianca riva…
e vergine freschezza
insieme sento
di ancor voragine di vita…

Sì, libidine ancor sento
di ritrovarmi alba
di me stesso!

Poeta
Guarda laggiù, Poeta!
Sì,quaggiù,
sulle macerie fumanti
di un paese sventrato…

Là ,dove il mare gettava
e reti ancor getta
all’azzurro di sopra
si piange.

Là,pennellate di bianco
spumeggiano
e sempre spumeggeranno
sui nostri cuori
spiegati al vento…

O Poeta… o rara conchiglia
di azzurri profondi
per le orecchie del tempo!

A Sandro Sermenghi e a Diego Cocolo, Il Gabbiano
io, fratello di cuore.

Di ariosi ricordi mi sfoglio
Profondo d’ombra
di ariosi ricordi mi sfoglio
in uno sbadiglio di luce
dell’indolente buia vita.

Eppure… quasi un tepore di gelsomini
quasi un’ antica nenia di lucciole
in questa vergine sera!

Ed io, leggero, colline valico
di favolosi giorni…
io libera-pianura
per coglier senza rantolo di dita,
intera, una radura bianca
di sorrisi…

E i chiusi spazi da spalancare
anelo…
ed ogni angolo smussare
e ogni artefatta verticalità
al suolo radere
per offrire nuovi orizzonti
agli occhi sgombri.

E vento ancora sentirmi
ad ogni latitudine
in ogni moltitudine!

Ma intanto, metallica risuona
dei grigi burocrati ligi
la voce:
_Quante rughe conta il suo viso?
Può il suo bagaglio mostrare
di sue pregresse fatiche?_

Come se solo nascere ieri l’altro
equivalesse ad essere…
come se nutrir la dignità
un diritto non fosse
del vedere la luce…

Ma in fondo non si raschian
che secoli di povertà di cuore
o di comoda indifferenza…

E il ritmo ci consuma
di quest’ossessivo bolero
che gelide onde effonde alle fronde
di crepuscolari selve…

Scrutandoci ancora in un’opacità di specchi
senza capir che lo sconfino d’ un volo di falchi
tutti conduce al confino
in uno sfondo di mondo
a ogni virgulto alieno
di possibile verde.

Ma sino all’impetrato ritorno del sole
in piedi io attendo…
E intanto di ariosi ricordi mi sfoglio
di luce soffuso!

Non chiedo altro
Ah le nostre vite…
l’un l’altra agglutinate
nel calco delle generazioni
come foglie
che paradigmi sono
di ogni garrula fremente primavera
e di ogni muto tremebondo autunno.

E l’inquieta quiete notturna
all’ignoto aprirsi del nulla
accordo silente
col pensier vellicando
dell’infinito la pelle.

E di fiumane dell’umano elucubrare
Il corso intendo
per non cadere alfin
in smisurato botro
di silenzio…

Imberbe di speranze sempre
ma corroso dall’ acqua
dell’ indefesso illudermi
contemplando vado
i mille riflessi del sole
nella pozza dell’esule occhio
stanco d’ essere
cielo perduto…

Fervente artigiano
del mio sopravvivere
corazzato per resister
all’ allettamento delle strade facili
aspetto le fibrillanti luci
di quest’ostello blu
per respirare…

Poi, di ginestre un fresco alitare
che le nubi d’angoscia
sospinga lontano.

E indomito un fuoco attizzo
delle mie tante giovinezze
da esumare sempre
per ogni futuro palpito del cielo
su ancora nuovi slanci errante
e su sussulti di occhi
mai velati.

E altro non chiedo
che di fluire appena in un tramonto
e un biglietto di solo andata
imploro
nel pendolino del vento
per il paese dell’estate
azzurro…

Dal davanzal dell’anima
fiorito e arioso
non chiedo che bellezza
a questa vita!

Prendi il mio cuore e portalo lontano
O Musica di ogni azzurra rinascita
che fendi le pareti
del nostro castello di vento
portami lontano
in quel tuo sogno di note
dove le corde vibrano
di smisurati orizzonti
ed eteree ninfe sono le nebbie
che leggere danzano
  a glauche vette abbracciate!

Portami o musica
ad ascoltar storie di cieli
dalle parole di pioggia
e dalle trame sempre nuove
narrate dalla voce
della luce.

O triste musica di requiem
per le rimosse zolle
del mio angosciato cuore
e di ogni vita
quando  edifica immani città
di silenzi 
  lo strepito convulso
del potere…

E intensamente aneli
di là da una siepe
e oltre ogni grata
lontani  monti azzurri
da varcare
almen  con il pensiero
che  in pianure s’apre
di libertà infinita!

Portami o musica
in una lontananza di spazi
ove, tra cristalli di ghiacci,
respirino abeti l’inverno
di tutte le tasche vuote
ma dalle mani piene di doni
di un Natale sincero…

Proprio là, sotto un soffice manto  di cirri
che i confini dilatino di un mondo
che candido  si vorrebbe
di candore dell’anima…

Però, ogni volta, ti conduce
un corteo di delusioni
diafani e cocenti fantasmi
per le pure solitudini himalayane!

Sì, ogni giorno, uomini vanno
bisacce e zaini sulle spalle
lungo  verdi  ruscelli
a cercar l’oro di un’acqua
limpida di sorgenti
e mai bevuta
che la sete lenisca di lingue
arse da impalpabili ,struggenti miraggi
e che poi, lucidamente,
assaporano la morte
in orbite profonde
di vendemmie.

E vagando si va tra i più vaghi svaghi
per divagar il pensiero
dal tempo che passa…

E poi, nel silenzio della notti,
a ritroso, va il film della tua vita
o fantastichi il copione
  di storie romanzate
che vorremmo bello sempre
ad ogni nuova alba
per noi.

E intanto clamore senti
di carcasse di lussuose città
per galleggianti vacanze
che nei freddi abissi del mare
e in ogni oceano di dolore
fluttuano vacanti
di sorrisi…

E così affondano ogni cento anni
segreti sogni
e parole innocenti
strappate a tutte le orecchie del mondo
ma eco inudibile
o indecifrabile
da ricercatori di testimonianze
troppo  impegnati a trovare
interessanti tasselli di vita
o immaginar  fittizi amori
per storie da proporre
ai grandi produttori
di colossali tragedie
per incassi record al botteghino.

Eppure sempre
in ogni naufragio di questo nostro viaggio
su ogni possibile rotta
un piccolo angelo
gli occhi sbarrati
e al fuggente sole aggrappati
con la parola mamma
ghiacciatasi  in gola
scivola tra le gelidi labbra
del mare d’inverno
e  un padre disperato
dai  venerati occhi
si lascia afferrare
con lei scivolando
tra le fluide, algali braccia
dei sommersi e bui secoli.

E poi, perduto nei labirinti
delle presunte verità,
c’e qualcuno che prende una lancia
  se non per uccider i morenti
per non affogar lui stesso
  se non nei gorghi
della coscienza…

Prendi o musica
il mio e il cuor d’ ogni uomo
che speri di bere
dai verdi e freschi ruscelli 
e  lontano conducilo  dal fango
che insozza le mani
e offusca il chiaro orizzonte!

Prendi il mio sguardo
o spirito di Saffo
e portalo lontano
dove il vento arpeggi arcobaleni…
   ché tanto pur per i sordi
ad ogni grido dell’anima
ma non al tintinnar dei soldi
la campana della sera
nell’illanguidir del giorno
suonerà…

Per mio Padre
O solitudine,
Tua e mia solitudine,
vuota di tutti i soli
e di ogni onda e ogni riva
che ivi amammo
là sulla nostra prora che
ali bianche avea
e che allora
avrei detto dolce
di ritorni!

Inobliabile amaro ritornello
che sempre carezza i lidi
di quel paese che tu chiami
dorata memoria!

O solitudine di pioggia incessante
sulle gronde del cuore…
pluviale acqua da raccogliere
in catini di infinita nostalgia.

E tu la cerchi nell’aria
che più non respiri…
e ne domandi al vento
che pinete sonava
e ancora canzoni fischietta
di sabbie lontane.

O solitudine di solitari
con carte sbiadite
al solerte pensiero…

E notizie ne chiedi
a quelle cose di pessimo gusto
ma intatte nel tempo
e che di Lei
il fervido tocco sentirono!

Noi, fuori da limpide acque
che fluttuare felici
ci videro!

Solitudine come di steppe
ove diacci silenzi
invischiano cortecce
di anni inerti.

O brama di voce amata
come di tastiere
che aspettino d’esser sfiorate
da pallidi Chopin!

Solitudine di stanze
ove polvere affresca
spirali di indicibili malinconie.


E Tu e noi, Padre,
corolle gualcite
svaporiamo
su immani rocce
di silenzio…

O finitudine di soli
nicchia di meridiane ombre
ove raccoglier nel cavo delle mani
(stanche di sentir fra dita
il pensier fuggir
dalle tempie)
iridescenti lacrime
da appender come gemme
alle glaciali braccia
delle sere senza fine
che fiatan sulla nuca
di chi attende.

Nostalgia di un cielo troppo breve
per dir io c’ero!

Valzer senza rive di fiumi blu
in balere ove le note mulinano
avvinte a foglie vinte
da autunnali lotterie.

Soldatini di stagno siamo
incantati dalla triste danza
di una ballerina di carillon…
ma quanto ancora vorremmo
del Suo verde profumo
vestirci
e al collo legare il foulard
dei Suoi placidi occhi
di azzurra acqua di vita
per noi…


Soli in ogni latitudine…
e intanto il tamburo
echeggia e riecheggia
in ogni infinito giro
di spaziotempo…

E quel poco
che alla speranza avanza
è già abbastanza!

Credici o Padre mio
Tu che appaghi il senso
del mio destarmi!

Credici ché di là dagli occhi
noi vedremo
e di là dalle mani
stringeremo
e oltre le orecchie e le nari del mondo
di Lei ancora il sorriso
c’ inonderà!

Perché grido degli occhi noi siamo
all’inafferrabile poesia della vita
che mai s’estingue!

E quand’anche fossimo ciechi
se entrando in una stanza
e sentendo sulle ginocchia
gli spigoli di quei crepuscolari oggetti
dire non potremmo
che il buio è nulla!

Ma ora, Padre,
non c’è muro o bastione
del vivere l’oggi
che sempre affiorar non lasci
l’ebbrezza di quelle inobliabili sere
degl’ inverni fuori
e dei sapori dentro…

Che non ci dica
che bellezza era
la dolce armonia che ci cullava
e che carezza era
la voce che al mattino
ci destava!

Metropolis
Un sentiero di neve vorrei
per affondare
del mio cuore i passi
e nelle orme
ritrovarmici!

Ogni giorno di gelido soffio
sulle macerie di questa guerra
da mistificatori della felicità
ai poveri di spirito
dichiarata
di più ferisce
il respiro dell’anima
delle asfissianti canicole
sui muri di calce
delle cappelle…

E sono cartoline illustrate
oramai
i miei paesaggi di vento
e di ilari canti…

Davanti agli occhi
frenetiche sagome
in accessoriate lamiere
imprecano al cielo.

Una cascina senza tetto
tra verdi voci e braccia di paglia
io cerco!

Un soffice belare
per biondi campi
che di agresti odori parli…
e un murmure di chiara fonte
ondeggi fioco
dal sonno al sogno.

O ariose cadenze del cielo
che indoravano allora
il grano del mio andare!


Ma ancora ascolto
l’ascosa linfa della bellezza
che il ventaglio dell’amore
da discese all’inferno
consunto
rianima di selve sonore!

Selve penetrate un tempo
dal fuoco fiero
d’ indomite giovinezze dell’anima…


E sempre
nell’umido sottobosco
di squallide periferie
ambigui figuri
misere spoglie calpestano
di lor malgrado nati
per solo vivere
di morte…

Per ogni stanco giorno,alfin,
calde,sul grembo della sera,
alitano stelle
e degli ulivi
foglie d’argento
respirano placide!

Indefinibile calma…
ieratica pace di un evo fanciullo
con singhiozzo di grilli
e trepide voci
di viali campestri!

Distanti anni luce
ascoltano orecchi
silenzi di torri muschiose
dal vento corsaro
arrochiti.

Intanto, non lontano,
sul tenebroso asfalto
stride la vita…

Non senti
dei motori il rombo?
Non vedi
come si snoda la fila
dei terribili occhi fiammeggianti?

O i nostri trafelati giorni!

Corri a perdifiato
e sdrucciola la dolce vita
fra le dita dell’ ordinaria storia!

Invasata nell’umano affaccendarsi
avvinghiata a cellulari appigli
anonima folla sfarfalla
e folleggia…

Esonda, s’accalca e si sperde
per infimi eldorado
fra luci impazzite di nobili gas
e assordanti fragori
come di scalmanate baccanti.

Noi,tarantolati senza orizzonti
schiavi della futuristica barbarie
noi…povere spugne
di liquami tecnologici!

Per quale perduto paradiso lottiamo?
Quale la meta del nostro infinito vagare?

Qui, in un lembo di terra, che odora di luna,
si confonde il mio respiro
con quello degli argentati ulivi…
e il sangue scorrere io sento
inarrestabile
nelle vene dell’universo!

Dove finimmo?
Dicembre.
L’ora dei silenzi
aggrappati alla vita d’una fiamma
che invasata danza
su carboni ardenti.

Luccicano i campi
ai baci del gelo
in ogni solco gravido di nevi.

Un segno (o un sogno?) cercano
meduse illividite
che carche stive
di fu pregiato carico
adorano
in acquei musei
di tetri fondali?

Le pure trasparenze
amavo un tempo
che le caverne colman
delle solitudini!

Quando inventariando fossili
di epoche larvali
nell’ecografo delle trascorse vite
con impercettibile polline di suono
il battito ascoltavo
del mio petto!

e di brughiere da venti corteggiate
profumo di voci di tormenta
su profili di rocce sussurranti
sentivo…
mazzolini cogliendo
di fresche romantiche lune
da nerborute braccia sollevato
di fieri uragani tenebrosi…

E pelaghi formicolanti di luci
fra gli anfratti effondevano del cuore
che mai in quegli anni
fu pianura…

Guarda!
Balena il vento su le argentee lance
che falangi plumbee
del notturno cielo
scaglian su paesi
sfrattati dai ricordi…

Dove finimmo?
Cosa rimase tra le perdute case
se non dello stantio il tanfo
il sentore degli ammuffiti sottoscala
e il rancido sapore dell’assenza…

Nulla di nuovo sotto il cielo
Per quante lune ancora?

Resterà un palpebrare
o un ultimo guizzo
al viandante nel sole
per graffiar nembi
e al miracolo assistere
dell’acqua zampillare?

E dissetare bocche
dalla sabbia inaridite
dei logorroici ectoplasmi di professione
e dalla voluttà dei re Mida
per vocazione…

Quelli che nelle aie dei loro poderi
covoni ammucchiano
di lodevoli ma false intenzioni
di vacui propositi e fondati sproloqui
nell’ indefessa ricerca
del proprio potere
che speranze consuma
nel cuore del cielo.

Avena e fieno
per gli altrui bisogni
basteranno a rifocillare
chi,sino alla tende di luce
delle beduine stelle,
trascinarsi dovrà!

Vedi…
ancora e sempre trabocca l’anfora
del male di vivere
e lo stillicidio continua
per un diverso colore dell’uomo…
e poi non si coglie
l’incanto dell’arcobaleno
dopo la tempesta!

E a morir si continua
per il fanatismo di sedicenti fedeli
che nel profondo l’anima oltraggia…

Ma tanto si ucciderebbe lo stesso
per differente forma o statura
o chissà…
per l’ inuguale lunghezza
dei sopraccigli!

Dissipando così
il tesoro della diversità
del nostro apparire
e profanando il tempio
dell’essere luce nel mondo.

Cinquemila e oltre
anni di civiltà
dalla ruota al grande collisore
e ancora sentir sulla pelle
che la povertà
è della ricchezza
l’imprescindibile involucro!

E ancora siamo il nostro sogno abortito…
ma non ci resta che il sogno
per non alzare
bandiera bianca!

Cerchio nell’eterno
Mi stringo al mutare del cielo
e fiore non colto mi sento
dal giorno che accanto mi passa
indifferente
come una sfinge…

Eppure… un lago di speranza
sempre tracima sul sahariano occhio!

E dalle mani dell’inverno
che di neve mi nutron
già pilucco
d’ambrosia l’acino…

Come un fuggiasco
a capofitto
oltre contorti e secchi rami
di spettrali alberi
mi getto…
aspettando che mi porti via l’estate
e la sua luce!

Sempre lo sguardo al cielo…
e sulle pagine delle stagioni
che mi orbitan sul capo
la certezza trovo
del ritorno dell’aria dolce
che fischia, nel flauto del tempo,
il notorio ritornello d’azzurro!

Fin quando linfa di luce
nei miei rami non scorrerà…
senza il bisogno d’ avere
più foglie e più fiori di altri
per esser degno considerato
e guardato…

Sì…quando nell’aria marzolina
nel cielo tremante di piogge
la primavera annuso
un verde succo di colli riassaporo…
certo che quel giorno
bisogno non avrò
e di occhi e orecchio e mani
né dell’ombra
per capir la luce.


Ma basterà quel che io sono
né un po’ di più
né un po’ di meno
di come fui o come sarò.

Semplicemente e solo
per esser di me stesso
cerchio nell'eterno!

Il pensiero di un profumo di viole

E prosegue la diaspora dei pensieri per le strade del cielo!

Incessante sulle tempie dell’anima
il loro gocciolio…
estenuante persino per le orecchie del mare
perduto da sempre
nel suo bianco soliloquio.

Pensieri che tante volte
sulle rocce del mondo
avrei scolpito
e che come tufo
puntualmente sfarinano
sui cigli delle stelle
che non mi dimorano…

Affastellando verdi propositi
ad ogni aprir di finestre
ma oscuro di piazze deserte
ad ogni serrar di portoni.

E ancora fuggono venti
dall’otre di Eolo
in un angolo posta
della mia zattera…
e sui fragili steli delle certezze
affilati incombono
come spade di Damocle…

E già il grande nord mi penetra
fino ai tropici
dei miei affetti più cari…
e so che l’equatoriale occhio
dei miei limpidi entusiasmi
lastre di ghiaccio
che il mio scafo insidiano
non scioglierà…

Intanto sale il brivido del sangue
dai bassifondi della coscienza
e si placa nel silenzio dei cipressi
cui la terra affida
celesti e fragranti ricordi…

E scoperchiando vado
di Pandora il vaso
per scoprire che tutti i mali del mondo
la quintessenza sono
di un torbido luccichio
d’arraffare ad ogni costo
solo per brillar
di luce propria!

Sino a quando non gemerà il silenzio
con suono di tromba e sventolio di bandiere…
e queruli i violini non parleranno
al fuggitivo cielo…
e solenni organi
nelle gotiche cattedrali
preghiere di strade
ai nostri passi straniere
non salmodieranno.

Sino a quando din don alla memoria
non singhiozzeranno campane
in un nido di stelle
vaghe da sempre
dei rari profumi di viole
nelle nari sentiti
dell’umida terra.

E non resta che il pensiero
del loro profumo…
e non resta che la fragranza
del loro pensiero!

Nella rete del tempo
Quanti stormi
l’orizzonte attraversarono
del secolare pensiero…
ad ali spiegate, in volo,
da mani nude!

Coriandoli avea
e polvere di meteore
su selvagge chiome
e febbrili propositi…

E levità avea di meduse
in spazi di blu
palpitanti!

Era il respiro delle pietre, l’uomo,
e il sogno segreto nelle crisalidi!

Ma poi sbattè le ali, Pegaso,
e annaspò il pensiero
invischiato nel rauco fiato
delle chimere…
e nell’occhio spiritato della notte
vuota di pleniluni
le costellazioni contò
dei primigeni galoppi
tra le folgori…

Ma uno stagno, dalle sabbie infide,
sermoni gracidava
al superbo avventore
di un perduto eden
che mortal si rivide
e poi sparve
nell’ordito del tempo…

Il torbido sopra il ponte
Più di qualcuno è andato.
Ogni minuto
in qualche offeso e vilipeso
cantuccio del cuore
un nastro di lutto
e una ghirlanda alla memoria
si dice…
in questo giardino di non morti
e di non vivi.

Dove passò l’auto blu
col suo prezioso carico
di chincaglierie e vuotaggini
da propinare agli astanti del domani
un uomo sopravvissuto al suo ieri
vendeva ricordi
di caldi abbracci
allo scorrere del blu
sotto il ponte.

Nell’ ora degli addii
Infreddolita dall’alito brumoso dei lampioni
balbettanti sull’ oscuro occhieggiar
della sonnambula notte
l’aria di perla
rabbrividendo
il suo bavero alzava
di eteree nubi…

E in un casto canto
del tintinnar di stelle svaporanti
adamantino sorgeva il mattino!

Bianca scivolava la vela dell’alba
da quel nero di cielo laggiù…

Da petali freschi di luna
un’acqua ancora stillava…
e il nomade vento
che il viso s’era bagnato
nel mare che urla
alla boreale scogliera
l’ombra del biancospino
ad increspar correva…

Un guizzo e un levarsi d’ali
dai giunchi del mio sospirato fiume
e di secche foglie
un mulinar silente
nel granir di soliloqui della mente
mi dissero ch’era l’autunno…
l’ora del distacco
e degli addii!

Elisa dormiva
e sognava l’estate…
dormiva l’estate sognando
un fresco e polposo
sorriso di bimba!

Nostalgie della terra
Scialba sorgeva l’alba
tra le macerie di una guerra
patita sugli stomaci vuoti
nelle sterrate viuzze
percorse da carri
di un paese ignaro
di luci e vetrine.

Qui,dove l’odore intenso del mosto
intonacava le case,
era lo sguaiato canto delle donne
con le schiene piegate
e il viso tra i pampini
che il vento della sera
ripeteva alle finestre
delle povere dimore
dove candele
rischiaravan l’ombra
della frugale cena.

La campana del pio convento di padri
pennellava il cielo delle domeniche
di buoni propositi
e di fervidi fedeli
nella solenne chiesa
che a memoria ripetevano
preci in latino.

Quanti secoli fa?
forse solo una manciata di lustri!

E mio nonno
dopo la messa
nell’attesa del desinare festivo
sedeva
ascoltando la radio vetusta.

D’un tratto…
il rombo dei motori nella via…
e l’impostata voce
che nel televisore
annuncia il listino delle borse
che scendono da levante a occidente…
e la notizia dell’ultimo miracolo
di un telefonino…
che cammina da solo!

Oh,dove sono quei giorni felici
di sudicie mani di terra
fichi mangiando
sotto l’albero amico?

Per i tuoi occhi sognanti
Donarti vorrei
per i tuoi occhi sognanti
di tenera bambina
dell’autunno la dolcezza
sulle dipinte colline del Vermont!

Laggiù tu sentiresti i larici cantare
e gli aceri mormorare
e i ciliegi sussurrare
e i tigli sospirare….

Laggiù la sinfonia ascolteresti
del cader delle foglie
a mille a mille
in un planare lento
di colori…

E un valzer fievole
d’ arcobaleni che si sciolgon
lì, sulle danzanti colline
nel ciel d’ottobre
sentiresti…

Nel nebbioso mattino
o nella tacita sera fumante
tutto è un nevicar leggero
nella solenne aria
di toni dorati e porpora e viola
di bruni colori
e giallo-aranciati!

Si spogliano rami
di querce e betulle
e tutta la flora decidua
nei boschi, di notte fatati,
e nelle fruscianti radure
del dolce, sonoro Vermont!

Che suono di foglie
nell’aria di un luogo lontano….
che parla di verdi memorie
e sgocciola vita e colori!

Sull’erba bagnata di sogno
di secche frasche
un tappeto crepita
al trapestio dei miei pensieri
che poi s’involano
con l’alito muschioso del mattino.


E tu, mio fresco germoglio,
sul ramo mio ignudo
invano un riflesso
nell’acque silvane
tu, cercheresti!

Quell’acqua di laghi o ruscelli
che pare una tela di Turner o Renoir
o di Tiziano!

Migrando, selvatiche anitre
colorano il cielo cangiante
lassù, sulle molli colline…

E nella tavolozza di quell’ incantato paese
pure un pennello
intingerei nel rosa
per metterci fenicotteri in volo…
in quel cielo
che parla d’autunno!

Per la beata innocenza dei tuoi occhi
o mio profumo nel mondo
anche un solo giorno
come raro fiore t’offrirei
laggiù, d’autunno
sulle dipinte colline del Vermont!

Il ricordo di giorni lontani
Luce.Brezze di luce!
In picchiata
sul liquido argenteo del mare
il falco pellegrino afferra
il ricordo di giorni lontani.

Un nonnulla di sabbia lunare
sulla pelle del viso
e sulle sponde degli occhi
lambite da bianche orchidee
di smaglianti risvegli!

Sillabando parole sul cuore
si andava sbocciando
in azzurri mattini…
ed era gocciare
su stalattiti degli anni felici!

Ma rapido un fruscio di stelle
il concerto disturba
di archi e fiati
dell’ arcano silenzio
quando la mano del tempo
là t’accompagna…

Là, dove Penelope
invano attende
del reduce amato
il ritorno dall’ultimo viaggio
di là dalle estreme colonne…

Si ricolma il vuoto!
Fuggevole e tenue
cos’era?
che sfrigolava nell’aria…
del volto in ascolto
sfumando i contorni?

Assorto in quel lungofiume dolce
dei serici tuoi pensieri
estuavo!

Un preludio di paesaggio stellato
oltre la ventilata pergola
era…
dianzi la sinfonia degli occhi
era…
quegli occhi di erbe bagnate
dai languori del vento!

Poi, gelido,
sul cuor del crepuscolo
l’inverno s’assise
quando un sentore di penne ferite
mi giunse…
e di piume cadute
e di sogni di sole
dal fragore infranti
di atre canne brandite.

E fu il vuoto di una cornice
nell’aria sospesa!

Indicibile svuotarsi
dell’esser paesaggio
e armonia con il tutto!

Di De Chirico
le muse inquietanti
quasi l’angoscia…

Di uno spazio
ora animato
dall’immobile solo pensiero
l’inesprimibile gelo dell’anima…

E ogni giorno, la vita,
in ogni paesaggio sfioriva…
e in ogni tassello di cielo
di piume un planare
sentiva…

Eppure…ancora lo senti
il respiro del sole!
Ancora la vedi
la chioma di luce
che fa capolino dai colli
e dal mare!

Inarcò la schiena
il complice crepuscolo
ad allungare l’ombra dei tuoi cigli
in un silenzio giovane di baci…

Mentre all’ansa del tumido labbro
sorriso limpido
esondava…
sulla tranquilla riva
dell’azzurra sera
freschissimo esondava!

Se d’un tratto…
Pallido sole, diafano il cielo.
Nebbia abbracciata alle cose.

Spirano da tundre del nord
malinconiche brezze
sul cuor che sospira
al ricordo della luna
che canta…

Sulla pelle
già silofono per il sole d’agosto
la rugiada dell’ultimo sogno
è brivido polare
nell’ora delle finestre aperte!

Ancora va
di strada in strada
col nero tartufo sull’umido asfalto
un cane della notte…
di digiuni oramai sazio.

Il chiudersi dei portoni
il ritmo dei motori
il treno che fischia da lontano:
tristezza della vita che ricomincia!

Ad ogni risveglio
ad ogni nuovo mattino
sempre uguale!

E oggi pur senza colore
come una vecchia consunta pellicola
di un mondo in bianco e nero…
grigia nell’animo.

Già senti la nostalgia
del dolce tepore del letto
ancor caldo di sonno!

Cigola un vecchio
su un’antica bicicletta
sul ciglio che guarda
nel torbido canale.

All’angolo della via
un uomo nella nebbia
scura la pelle
di levate notturne
vende lumache
fresche di pioggia.

Le gambe tentennano
pigro è lo sguardo
chiuse le labbra…

Quando d’un tratto
ti giunge all’orecchio
di fanciulli un allegro vociare
con sberleffi, schiamazzi
e scoppi di risa…

E’ la vita che prorompe improvvisa
come freschissima doccia d’ilarità
e ormai perduta felicità…

Si dirada la nebbia e s’accende il mattino!

E par che anche rugginose antenne
e squallidi pali della luce
fruscianti eucalipti nel vento dell’estate
diventino!

E scocca la freccia di un nuovo giorno
Dormiveglia
fra intrigo di stelle e tende
su pupille dal buio gualcite…

E scocca la freccia di un nuovo giorno!

Un celere trapasso di cielo
da oriente a occidente…

Distese di vento!

Logoro di esausti sproloqui
rassegnato a subitanee metamorfosi
di onorevoli camaleonti
a mani nude
raccolgo frammenti di albe
e cocci di libertà d’ali…

Solo per isole sole
nel sole!

Guarda!

A perdersi brulle pianure
di prevedibili gesti e parole
e rari ondulati orizzonti
di moti del cuore.

E un ago appena di abbraccio sincero
in un pagliaio di travestimenti!

Quasi un idillio di pietre
prima della luna di miele
con l’ombra di uno sferzato giglio
sul raggio infinito
del silenzio a perdersi.

Cercandosi nel Lete
Si stempera il fango
se schizzato d’azzurro…
e il cielo s’aggruma di limo
sulla tavolozza delle stagioni!

E raschiando il fondo
d’ ogni pozzo profondo
vivo ti ritrovi
se bruisce la brughiera di bruma
il cuore invischiando
di cupi singulti
o se la rosea aurora
spigola messi ad oriente
l’anima spalancando
all’oro e all’argento…

Fin tanto addosso non grandina
la malinconia senza requie
per chi lasciasti partire una sera di vento
e di lampioni spenti…
non supponendo il vuoto
nelle strozzate parole
del cuore
e l’eco infinita negli oceani dimenticati
dalle rotte dei ritorni possibili…

Né tutta la solitudine dei siderali spazi
del silenzio desolato
gelido più di un addio all’estate
di giorni dorati…

E artiche nubi della tua ormai straniera fronte
scruto.
E sono il treno in fuga
dai tuoi pensieri
che più non mi contemplano…

E sono l’acqua che nei marosi
ormai si perde
dalla falla del tuo cuore
colpito dal ghiaccio di un gesto
che so… non t’ aspettavi!

E ora solo…
più un circo senza pubblico
solo…
fin a toccare il vuoto che pulsa
sulle tempie della tempesta!

E non resta che l’improbabile segno
di un messaggio nella bottiglia
alla deriva sui flutti…

Parole lontane
per ingenui avventori
di squallidi ristori
che per perdersi
si cercano
nel bicchiere mezzo pieno
dell’ultima a morire…

E mi aggrappo a quel poco di verde!

Errando per tramonti
Fresco di campagna d’ottobre
là dove il sentiero del mosto
al Negramaro portava
per tramonti andavo…

Argenteo d’ulivi erravo
quando un aprirsi di cielo
tra i felpati passi della sera
mi rapì l’orizzonte…

Un rivolo di sorriso
scese allora nella valle sonora
di autunnale malinconia…

un rigagnolo di limpido, glauco mattino
sorse e fra i velati cigli
zampillò!
e fra denti e mani
e ventilati capelli
zampillò!

Sulla pelle del viso
dianzi di silenzi oscuro
rapido un treno di frescura
deragliò…
e intenso ma erratico profumo
come aquilone
nelle nari si librò
e pencolò…
nelle nari del mio esser terrazza
sul cielo dell’estate!

Fu bagliore di giovinezza
finanche per gli occhi
di un solenne, reduce dolmen
vegliardo e saggio di polvere
sulla cui formidabile schiena
l’ignaro e lucente ramarro
sostava…

Sull’ amazzonica pelle smeraldo
l’orecchiabile ma frenetico ritmo
del sol che dilegua
contando…

Il sogno di Icaro
Fluire di cedri.
Via vai di lucciole
per il viale delle ali celate
e non un sospiro di erbe.

Sul greto del vento
il sogno del grano novello
sussurra un ermo maniero…
e non un verso
per il mulinar
di secche dita di rami.

S’incurva
nelle sue arrampicate d’orizzonti e cielo
il sole
a toccar la zolla bagnata
e rianimar dell’umida notte
il petalo…

Intessuta di meteore un’amaca
in un silenzio blu
di colline cobalto
nel lenzuolo avvolto
di un sogno sognato
Icaro dormiva!

Il sogno della farfalla
Nulla di nuovo nell’aria crivellata…
e Il senso delle parole di ogni lingua
delle sirene lambisce
il vano canto.

Quest’aria consumata dalle parole del vento
una finestra chiede
al respiro dei monti
e un bicchiere di nuvole fresche
alla frizzante alba!

Sai…non era che uno sbadiglio di cielo
l’azzurro in cui io mi tuffai
per cercar la perla del mattino
e barattarla coi diamanti della notte
sì da dilatare il piacere e il significato
del mio tempo
sulla giostra del sorriso…

Ma già Il preludio del sonno
sordo al canto delle sirene
dal mare io sento…
Sonno che infinito è
per le dita della mano
ma non per il pensiero!

E in una melodia di spazi immemori
giungere lo sento
il caro sonno
che dolcissimo levita lo sguardo
oltre le palpebre del mondo…

A sciabordar sulle rive
del silenzio verde
ove tu sai che ancora
palpita lo spirito!

Ristoro al fuoco dell’anima
Fresco di belle di notte
dell’ultima brina di Sirio
la bianca e ardente compagna
mi bagno!

Della stella d’estate lucente
mi bagno
che nel limpido zaffiro
del ciel senza luna
negli occhi della notte
la tenue ombra del mio sguardo
stampa…


Sonoro crepita del silenzio il grano
finché il profumo delle estuose iridi tue
e ventose di isole azzurre
l’orizzonte accende
del mio tormentato cammino…

Pianterò una tenda
sui fiori di neve
di una notte d’inverno
per scioglierli al fuoco dolce
dell’ anima tua
chiara di vita!

Terra di nessuno
Oggi, mi sento terra di nessuno!

Ascolta…a milioni di decibel
il battito del cuore ho dilatato
ché con fragor rimbombi
nelle sonnolente orecchie del mondo!

Quante grida, graffi e strazi ancora
a lacerare l’anima degli altri senza volto!

Giungerà mai l’odor di sangue
e di terra bruciata
all’oasi dei tuoi rei silenzi
Homo Sapiens?

Dolore e morte ho veduto
ovunque io guardassi:
la natura, orrida di per sé,
di riflettersi non ha bisogno
in specchi deformanti…

Il limite del conoscibile dilatiamo
garrendo il vessillo
di un' insita idea di eternità
ma la nostra esistenza proiettando
in un universo mentale
che da coordinate di finitudine
prescindere non può...

Rifletti, Homo Sapiens:
può un intervallo tra due numeri
l’inizio e la fine
la nascita e la morte
soddisfare lo spirito che anela
in una spasmodica ricerca
al senso della vita?

Di certo, solo sofferenza io sento…
la solita millenaria indifferenza
e il mio sentirmi terra di nessuno!

E s’apre un fiore
Quando da gl’iperborei spazi
lunghe planano
le ombre della sera
e illanguidisce il giorno
dalle nebbie del passato
reduci i ricordi affiorano
a varcar le soglie
dell’inconscia saggezza…

Ma stanco
sotto una coltre di stelle
su un guanciale di nuvole azzurre
riposa lo spirito…
sognando la terra!

Giunge, da ignote costellazioni,
il vento delle galassie
e rimena il soffio della vita…

Rabbrividisce l’anima
e trascolora il sogno!

Di lunare chiarore
tremulo incanto…
Respira il mare
e s’apre tacito
un notturno fiore!

Dall’ alba al silenzio
L’urlo nel silenzio
nel candore della tela
ancora da dipingere
è uno squarcio!

Brulica di germi che non fioriranno
la piaga del suo ventre
or che ancora giace
di qua dall’interrotto sogno…

Galoppa un’adolescenza selvaggia di sorrisi
come puledri
sulla battigia lucente
come luna…

Là, dove si frange
in scaglie iridescenti
nel sudario liquido dell’onde
l’azzurro….
e nell’insondabile mistero
poi si sperde…

Rifulse appena e sbigottito tacque
dell’oltraggiato pudore e di una vita
il bianco simulacro!

Tra le fauci della nostalgia senza stelle
in una risacca della tenebra infinita
tremò e poi sparve…

Di là dalla desolata sponda dell’ infranto sorriso
la fiamma oggi si spegne
sulle morte parole
del calpestato amore!

Aveva un nome!
Mezzanotte?
O forse l’una… o le due del mattino?
Che importa!
Nel fiume di aria senza onde
zattera in balia del gorgo asfittico
è il caro petto…

Fissi gli occhi in un punto
che non vedi
animarsi sembrano d’un tratto!

E pensi che cari volti diafani
silenziosi giungano…
echi del cuore che
risuonino a conforto…

Giace oramai, al margine del suo sudario,
la pelle del presente
e il passato ha già le ali del ricordo…

Rantolano gli attimi
allo scrosciar delle emozioni
degli astanti…

e intanto cerchi l’ansa del fiume
o il tonfo che increspi l’acqua d’un lago
che resta imperturbabile!

Palpebra la sera fuori allo stesso cielo
ma il lucore bello e lontano
del suo vestito di seta blu
non è diverso da ieri…

Scrive il vento d’autunno
sul muro di ogni paese…
soffiando scrive
un altro nome con lettere di foglie…

Trascendendo l’attimo
Indugia nell’ora che più non anima gli specchi
quando le parole del giorno
salmastro saranno
pei muri attoniti!

Della sera sull’ immoto oceano
un bastimento di clandestini sogni
l’occhio ammiccante cercherà…
mentre l’ombra dell’ assassino del tuo levante
già t’attende
in non so quale crocevia di stelle…

Quanti i capovolgimenti di clessidre
per non vedere neanche
dove va a morire
senza finire
la farfalla
del nostro quotidiano strisciare…

Mi ripercorro nell’incessante scolorir dell’erba
e ancora non discerno la rosa dalla spina
se non per il sangue sui petali del mio oggi…
ma che roridi sono del mio ieri
e anche lo saranno
del mio domani!

Se vuoi trovare il cuore!
Adagio, se vuoi sentire il cuore!
Senza fretta.
Senz’angoscia.

Adagio!

Sai…non è l’intervallo che ci distingue
né il nostro corredo di ripartenze
senza arrivi…

Le strade del mondo le troverai
nei volti devastati dalle orde degli anni
quand’anche restasse il vicolo buio
di un solo sorriso!

Adagio!

Seguendo del tuo silenzio
i vergini sentieri…
forse…

Chissa!
Potresti ascoltare il cielo d’autunno
e ridefinirti nel guizzo radente di ali
sulle gualcite corolle delle notti
tormentate dal pensiero delle ombre
senza canto di gallo…

Adagio!

E forse, chissà…
o in un tenue spiraglio di luna
o in un polline di sospirata umanità
pur labile e lontano
lo sentiresti…

Adagio!

Perché il cuore è ancora qui…
più vicino di quanto non sia l’universo
al respiro di Dio!

Solitudini
La strada è sempre lì…
coi suoi ricordi lividi di pioggia
quando la pioggia ha la malinconia
dei vuoti spazi…

Il fango sull’asfalto,sparso da gomme e suole,
come inchiostro su una pagina
scritta da chi ancora passa sulla vita...

Lingua impastata, l’asfalto…
di anonime città senza memoria
se non di strade!

Assetati beduini
alle oasi di fiochi e tristi lampioni
si tuffano, impazzite le falene…

A notte fonda, sotto i mormoranti platani,
panchine vuote bisbigliano
di speranze e sogni ,di cuori innamorati...

E di uomini sussurrano
vestiti solo
di chiari di luna…

Uomini ,con un brillio di sigaretta fra le dita
e gli occhi persi…
Occhi che, con le spire di fumo,
salgono a nebulose solitudini
di luccichio di astri…

Brillio fra le dita di firmamenti
vestiti anche…
d’oscurità di terra!

Appena ieri!
Appena ieri ,la mia piccola mano…
perduta e sicura in quella di mio padre…
e già non sono!

Non  sangue né linfa
non fiori da offrire alla tristezza
né foglie da sillabare ai sogni dell’inverno.

La vita mi appartiene
come il vapore all’acqua di una pozza
nella canicola dei meriggi infuocati!

 Dal bosco delle mie certezze
sulla riva dei giorni
io, reciso tronco,
nell’ impetuoso torrente fluitato
alle rapide precipitando
rapprendo l’attimo
nel sangue dell’infinito!

Tu dormi
Nel respiro degli oceani addormentati
tu dormi!
Nel fluire lento di nubi
tra i padiglioni d’ombre del cielo
tu dormi…
Come cigno sull’acque di palude
dormi!

Non una bava di vento sui cigli bruni
non alito o sospiro
che l’acqua del tuo sguardo increspi!

Io lo so che carovaniere è lo spirito
per l’oasi del silenzio perduto e romito
nell’ora delle bianche lenzuola…

In quale fonte si bagnano i tuoi pensieri?
Verso quali ignote latitudini di mondi
vola l’impalpabile essenza?

Dormi…sogna il tuo sonoro sogno!
Ed i convulsi gesti e l’accigliato viso,
il solco di disappunto sotto il labbro,
ogni dolore nuovo o antico
sassi saranno nel dirupo della notte!

Si tace.
Delle persiane sbattute l’affanno s’acquieta!
E già l’aurora come fiume esonda
per l’aura fresca e sulla pelle del mattino
effonde…
coi suoi colori sull’eburneo viso
e fra i capelli sparsi effonde!

Tu dormi, riposa!
Sulle soglie del nuovo giorno
riposa…
ché intanto, con noi ancora in gioco,
come giostra, la madre terra gira!

Sulla battigia senza orme
Guarda come si stagliano colonne
contro il celeste celere del giorno
a perdersi tra i sassi e tra l’ortica
nel soffio immemore del tempo!

Oh, sbiadito paesaggio della storia!
Ruderi di templi, schegge di memoria…
come denti nella bocca della terra
per un ghigno al sole!

Non resta che un sentore di atavico clamore
di un mondo epico, alacre e giovane ,dal braccio alato,
che ancor selvaggio di passioni ardea!

Qui, tra maestose e lavorate pietre
gli occhi di quegli uomini cercavano gli dei
e sempre una risposta al vivere, dal cielo…

E intanto, ignuda di gladiatori nelle arene,
vegliando il sacro fuoco le vestali,
Roma, sognando, si mirava eterna…

Oh, fallace sogno di ogni vita!
La storia la si legge o la si ascolta
sulla battigia senza orme della vita
e tra le forre dilavate dal silenzio…

Abbaglio
Oltre un nome…
oltre un luogo e  un giorno per nascere
oltre un giorno e un angolo per morire…
siamo qualcosa di più
di un accostamento di lettere e numeri!

Essere per vivere frustra il nostro spirito
come la giovinezza oltraggiata
quando legata ad un respiratore artificiale…

Ascolta il nostro grido, o natura!
Nella tua algida indifferenza, bella e lontana!

Tu che ammali gli occhi del mondo, come dea sfuggente,
ti mostri nei tuoi silenzi,sonori di cielo e di mare,
  e poi… uno specchio inclemente
per i nostri marcescibili sollazzi, ci doni…
fino al pianto delle stelle!

Noi, che aspettammo l’estate radiosa!
Noi, che sognammo abbracciati nel vento!
Noi, che nel tempo felice
che occhi di madre
e braccia di padre,avea
credevamo che essere fosse come correre
che essere fosse…
come bere!

Passaggi
Sorrise e l’istante divenne diamante!
Fu appena un soffio di gelsomini…
in un’eternità di effimero durare.

Era… ed è già fossile nelle ere dei se fosse stato
il nostro passare in punta di piedi sull’acqua
tra farfalle, profumi e colori.

Le albe ci hanno vestito d’azzurro
i tramonti ci hanno preparato alla luna…

Ascoltai la favola della primavera
 poi sentii il pianto degli inverni plumbei
mentre gli occhi cercavano la luce!

Quand’io correvo e tu danzavi
quando i nostri mattini ridevano
e le notti eran un brulicare di sogni…
anche la pelle era collina fiorita!

In un cielo aggrappato alla terra
per un giro di giostra
io, effimero di luce
gli occhi di ali migranti incontrai…

Compagni per me in un cielo
diretto ai confini dell’anima!

Si specchia la notte
Sulle acque tacite
a braccia aperte
la spiaggia dorme.

Sulle acque tacite
per la vastità della notte
perlacee friniscon le stelle
e le luci della città silente.

In un brusio fra cielo e mare
per la vastità infinita
sommesso il respiro del mondo!

Dal murmure di liquidi silenzi
dietro uno scoglio che affiora
un granchio un bagno sogna...
di sabbia!

Quando la preghiera dell'onda
un volo commuove di lucciole
verso la luna, finestra di mondi lontani,
il fresco suono del vento
per le sponde dell'alba
è una vela!

Soffia cielo!
Soffia cielo!
Con le bianche gote di cirri
soffia!
Insufflami l’aria purissima
dei  tuoi azzurri polmoni!

Crea un vento celeste
per la mia vela…libera!

Solo pennelli e colori dell’iride
porterò con me,
per un sogno di libertà!

Leggero scivolerò sull’equoreo moto
delle amiche acque
senza zavorra
 imponderabile.

Al largo…
di là dalle insidie dei fondali,
subdoli di rocce,
veleggerà il mio legno.

Al largo…
di là dagli scogli dei rimpianti
e delle paure…

Al largo…
oltre le sabbie melmose
delle omologanti convenzioni!

Al largo e lontano!
Nell’ aperto mare filerà il vascello!

Limpido di pensiero e solo
(se la solitudine sarà il necessario
obolo per Caronte!)
nel mare infinito…

La prora puntando verso il sole
all’orizzonte in fuga
oltre il mare…
oltre il tempo…

E una biancheggiante scia
 lascerò
come treccia del profondo blu!

Delfini nel sole lucenti
come compagni di viaggio
sceglierò!
(tanto mi somigliano
in quei tentativi di volo nell’aria
e amari ritorni nei flutti
di luce grondanti!)

Ah, spezzar le catene della gravità
e la realtà trascendere!

Se per la libertà non basterà una vela
ancora invocherò il mio cielo
e bianche ali di un albatro urlatore,
ampie di venti e di oceani,
per la mia fuga chiederò…

Per un volo silente… di aliante!
un volo lontano
oltremare, oltretempo
per lo spirito del poeta
inquieto e infelice
alieno al mondo e nel mondo in grigio
dei tecnocrati, burocrati e operatori…
di borsa!

L'indecifrabile percorso del tempo
Ah le nostre pietrificate parole
in un mondo d’indecifrabili segni!

Agli sproloqui della ribelle giovinezza
i saggi soliloqui seguono
della vecchiezza…

Negli spartiti del silenzio
dissonanze in deliranti scale
di musicale vanità…
e le note incalzano tra le dita del destino!

Ritmi ossessivi per gesti sempre uguali
disarticolando il movimento del tempo.

Tu che sorridi del mio puerile canto
di ieri… e l’oggi è già preistoria
per l’incalzante domani.

E senza, peraltro, dipanare il filo
di una sola matassa!

Il senso di questa millenaria
increspatura del mare
è tuttora un’acqua che non disseta!

Esilio cercasi
Oggi mi bagnerò di spazio!
di cieli all’alba e di albe sulle ali di albatri…

Non chiedere al maestrale carezze di aria
quando l’abbacinante muro suda la vita
in un luglio che carbonizza il sussulto dell’allodola…

Si sfarina il tufo dei palazzi del potere
come monumento ai caduti in tempo di pace...
simulacro per la frenesia delle formiche e delle alacri api umane
pullulanti su mortiferi resti di libagioni e banchetti
serviti sull’altare del dio danaro
da conservare nei labirinti di terra…

Resti da ammucchiare nelle celle degli alveari e delle prigioni dorate
dove il nettare succhiato da fiori puri e già appassiti
è sostanza vitale per l’ape regina dell’egoismo e miele da ultima cena
per gli stolti fuchi inutili e da scacciare…

E il rio arrivismo scorre sulle ferite dell’anima
come fiume rosso in un mondo senza colori!

Una prateria smisurata di corse e voli
lontano dallo strepito senza pensiero
chiederò al destriero bianco della notte!

Poi, per sognare… una coperta di stelle…

Naufragi
Fu in quell’isola
dove lontano dileguava
delle sirene il canto
( mortale abbraccio degli abissi
e ammaliator di naviganti)
che, spumeggiando sulle mani l’onda
tra i fraterni scogli,
ebbe il mio naufragio fine…
o Nausica del mare
dalle bianche braccia!

In quell’isola tua, di rinascite
sotto il greco cielo!

Io che mi nomai Nessuno
in temerario ardire
Ulisse mi ritrovo
innanzi al tuo sembiante
di onde in fiore…

Mi guardi…e i campi avvampano
nel sole biondeggianti!
Crepitan le salse pinete
Ardono gli arbusti del mio mirto…
E viali e case e volti biancheggiano
in un’eternità d’istante
col parlare ardente dei tuoi fioriti occhi
nel glauco cielo…
degli occhi tremuli di cirri
nel blu ceruleo del mare dei Feaci!

Sorridi… e di erbose distese l’effluvio
si spande fra le dune dei miei deserti!

E i pensieri s’insinuano fra le pieghe
della tua veste di vento…
nel vento!
Ed è naufragio ancor
dei sensi… e dell’anima!

Amarcord
Muto commiato…sulla via
senza passi.

Ricordo…e già violo l’imposto oblio
per la tua lacrima non versata…
(o forse hai pianto nel tuo eremo inviolato?)

Lacrima che supponevo dovuta
per quell’amore che si voleva sublime
come una celeste dedica di un poeta
di storie dal finale felice…

 Lacrima? Per chi, poi! per me?
 Per un libro mai scritto
su un amore d’estate disciolto al sole diaccio
 di un solo abbraccio?

Oblio…e già violi, col tuo atemporal profumo,
il ricordo di sorrisi ad ali spiegate
nel nostro cielo segreto…

Pudici e verdi sorrisi!
Fluire estatico di sguardi!

Tenerezza… per il mio cuor di una volta
incontenibile e rapito
 nel sentirti vicina…
(per sempre vicina credevo!)
in quel tempo lontano…
delle dolci pianure!

Levità di vita
Costruirò un argine di vento,
un vento d’amore,
per i sospiri della sera!

Cullerò della notte gli azzurri pensieri,
in una bolla d’aria,
per l’alba del giorno che nasce!

Dispenserò sorrisi come gemme di luce
per gli occhi senza domani!

Donerò perle di saggezza
per insani intenti di uomini arrabbiati!

Da un’uva di parole taciute e di silenziosi gesti
il mosto della fraterna benevolenza
in un vino di universale pace
fermenterà!

Vivrei un secolo o morirei in un secondo
pur di veder trasformarsi i miei sogni
in farfalle di verità!

Memento
Spettabile signora morte,
esecranda sterminatrice di stelle!

Alla tua cortese attenzione
s’arrende il guizzo vitale…
tu, che trafughi bellezza
e rubi il colore del mondo…

Tu vertigine
tu, inesprimibile angoscia
che squarci il tempo
nel vuoto ricolmo d’apparenza.

E ghiacciano le parole del cielo
tra i brandelli della carne
e il clamore silenzioso dei pensieri…

E intanto volgi l’anarcoide tuo sguardo
alle immonde e nefande macerie dell’uomo!

E sono nudo di fronte alla parola che purifica
e mi salva…che come un vento caldo
alita sull’inquietudine antica
e sul tappeto di muschio dell’umido rimorso
e dell’acerbo rimpianto / che l’anima riveste…

E un tarlo mi corrode fin nei bassifondi
di una libertà lastricata di peccati
da edificare ogni giorno,
che ancor confida nella speranza dell’innocenza…

Mentre in te sempre riaffiora il bieco sorriso
che ogni altare dissacra
ogni sepolta campana disvela
e che ogni impronta profana
del sogno di Dio…

E nondimeno l’ombra della tua falce
e il gelido tocco delle tue dita,
fortissimamente mi avvince alla bellezza
dell’estatica estate di luce!

Tu, punto del tempo di ogni respiro…
tempo che è dimensione dell’anima,
nell’eternità adimensionale!

Noi due soli
Noi due soli, eravamo
e in una contrada del pensiero
imponderabili andavamo!

Noi due soli…per viali ombreggiati di muschi odoranti
e per ombre di viali
di fragranze impalpabili…

Per estasi di fogliame / erravamo
per chiome di salici e platani
di tigli ed ulivi come quelle scompigliate
di direttori d’orchestra…
con gli occhi perduti lontano!

Per scaglie di luna come vele di luce
si andava…per sospiri di foglie
si andava…
in un solo respiro / brillando
e ombreggiando…

Noi due soli eravamo
e il tramonto in partenza
con onde di porpora / trascolorando
ci carezzava…

Corolle a mille e sepali e petali
biancheggiando, rosseggiando, verdeggiando
sulle parole piovevano…

e piume di colibrì, in pulviscolo d’oro e d’argento,
piovevano!
Nel silenzio planavano/ nel brivido del sogno
e in un fremito di stelle sboccianti!

Noi due soli…andavamo…
i miei e i suoi capelli al vento!

Per boschi fruscianti e trasognanti…
esili di suoni
fievoli di colori…

Dolci e melodiosi…devotamente alla terra trascendenti…
quasi trasfigurando…nell’aria palpitando
in una segreta danza / di sguardi!


Senza nascita e senza morte!

Umidi di penombra e fragranti di tenebra erratica
verso un silenzio di acque immote e assorte…
in arcani silenzi d’un azzurro percepito
in una nuvola, al chiaro di luna…

Noi due / nella notte tacita
il preludio ascoltavamo dell’acqua infinita
che ancor ci compenetra…

E mentre la bruma fantasmi liberava
sull’atro specchio di un lago
come silenti e diafani pattinatori,
l’acqua immobile del bosco dormiente
immersa si sorprendeva
sui nostri pensieri di alcove felici!

Senza vento
Respiro di colline fu il tuo sorriso
che mi cercava tra i miei rifugi di nuvole
in quel tempo del dolce affacciarsi
al mattino!

E ora…senza vento mi ritrovo
sul ciglio dei tuoi pensieri
con una semplicità di acqua bevuta…
spoglio di ragioni e di speranze…

E già ho spinto oltre il limitar
della selva di parole
il mio orizzonte celeste!

Poi, inopinato, in questa nenia di sole rutilante
e tra i seni della montagna calante
riscopro in un sorriso/ dalla cortina degli occhi filtrato
( quei tuoi occhi di onde fiorite)
un brivido di brezza di mare
sul mio sempre sentirmi filo d’erba
in una landa desolata e dall’ indifferenza di errabondi mummificati,
dai profili e gesti di pietra, devastata!

E allor,trepidamente, aliti di vita anelo
e quel tuo etereo cuore
che insuffli nelle mie arterie/ battute ancor da sogni
ineffabili soffi d’amore!

Dunque, la vita?
Dunque, la vita?
Solo fluire dell’acqua, la vita?
fluire delle forme…delle cose?

E’ la sabbia, la polvere, la terra
il condiviso destino del mondo?
Ciò che spetta a chi ombra proietta
alla luce del sole?

Quei ciottoli sul greto del fiume…
hanno visto!
Queste spiagge, quei colli, quelle valli…
hanno visto!
Questi paesaggi ventosi, quei monti appisolati…
hanno ascoltato!
Quelle betulle, querce e sequoie…
sono state respirate!

E quante le strade che hanno sentito!

Quelle stesse case diroccate
e quei muri crepati…
sono stati toccati!

La via che ora percorro,
da alienati lampioni rischiarata,
il trapestio di notturni rientri sentì…
e il diurno clamore ascoltò!

E quella luce lontana,
di stella forse già spenta,
su volti d’amore brillò!

Ricordano le cose…e tacciono…

Ripenserebbero, le cose, a quanta vita è passata,
a quanta pioggia è caduta, a quanto sole
ha, agli occhi, sorriso
se appartenesse il pensiero alle cose?

Oh, memoria dell’immobilità!
Occhio che miri indifferente
lungamente sopravvivendo alla falce del tempo!

E vivrai fino a quando altri occhi,dagli orizzonti spalancati,
osservando il tuo metafisico distacco,
solo immagineranno che vita fu…
di uomini, diranno, di avanzata ma oscura civiltà…
ma nulla conosceranno dell’anima di quella gente
giovane eternamente e viva!

Eldorado
Non più verdeggiano arborei sospiri
se tronchi sono da terra divelti.

Svelti corridori in piste ri-ciclabili
divorano traguardi e confini…di umanità!

Traguardi di sguardi e finitudine da guadare…

Sale di sirena l’equoreo canto
per solitudini senza rive
dove suono è musica azzurra…

Immane energia per conoscere
la divina particella… e collidono
destini di materia e inafferrabile eternità...

Palpebrano i giorni
tra buio e luce
tra orizzonti e sogni…

Terra di conquista.
Spazio di conquista.
Funamboli tra voragini!

Pace senz’argini…
Notte.
Un ragno la luna, che tesse
la tela di luce tra foglie
baciate dall’ombra!

Da fessure silenzio evapora
in fruscii, versi, sussurri indistinti…
son voci o preghiere?

Tiepida primavera alita fra rami e corolle!
Commosse le viole, le tremule perle sui cigli,
ripensano a un volo di cigni
al tramonto tra i monti…per paludi lontane!

Finestre mormorano di acquatici uccelli
su sponde, oltre mare, di fiumi
dagli occhi di ambra
nel buio ruggente…

Là dove, sottovento, tremano erbe e gazzelle,
ricordi tremano ancora
negli occhi delle stelle!

Oh, maggio odoroso!
Di boschi e giorni fioriti
sul davanzale dei sogni!

La senti la pioggia
arrivare a galoppo di nubi
dal paese,oltre cielo,delle nebbie
fruscianti sul cuore?

La fendono voci e preghiere quell’aria notturna…
Un suon di campana lontana e poi più vicina
risacca su orecchie perdute e distratte
dai passi del vento…

Indefinibile pace dilaga da perle di cielo
sul cuore provato
da mille anni di battiti.

Antico come menhir, infisso in terra fanciulla
Mi sento…
Vegliardo come quercia di secoli copiosa…

Come la notte canuta di luci… io sono!
O forse solo un sasso di fiume dormiente
nell’acqua!
D’un tratto uno squillo!
Sussulto dell’onde,di foglie e finestre:
trasalisce la pace senz’argini
quando un nome nella mano scintilla…

Un numero mi dice
(e lo dice nono solo ai miei occhi)
che prigioniero io sono nel mondo!

Ovunque io sia… libertà mi è straniera!

Granisce di sogni la notte!
Ovunque, in ogni embrione di vita…
su ramo, stelo, anfratto o roccia muschiosa
granisce la notte!

Di un sentiero di luci il palpito aleggia.
Sommuove il pensiero dell’ombra in cammino
il ventre di terra ,che accoglie avvolgente…

Commuove il commiato di sguardi
al cielo paterno e all’algido sole…
Commuove le culle, i nidi, le tane
l’implume sorriso di vita che nasce!

Felpato si muove un campo di grano
se scirocco, errabondo tuareg,
scoràzzavi giovane e caldo…

Di alberi ignudi un viale balugina…
Vagola tramontana fra sopravvissuti alle foglie
ruderi restan e reliquie di vita!

Granisce di sogni di vita… la notte!

Gabbiano
In gabbia? No, mai!
Ad ali spiegate sui porti
di paranze e natanti increspati.
Libero sempre, oh gabbiano!

Gabbiano è un’isola azzurra!
Anello di aria su dita di spuma…
di bianca scogliera che attende…
il tramonto!

E’l’occhio del mare
puntato sul cielo
che scruta il nuotare degli astri…

E’ un pescatore senza nasse
che tuffa il capo nell’onda
e si sgronda…

Pulsa l’orizzonte… di leggero pensiero
e incontro viene al mirar suo solenne…
Move le piume, le penne, le ali
i cigli nel sole…
S’increspa il sonno della perla
e quello della stella…

Abissi che sognan lassù
abissi che sognan laggiù!

Portato in trionfo dai venti
è aliante che plana… nel silenzio
di volti salsi e abbronzati…

Silenzio disteso a lenzuolo
dall’alba al tramonto…
dall’onda che corre alla casa sull’oceano…

Gabbiano è un delfino
che con un balzo volea
della gravità le colonne d’Ercole
varcare e oltre l’immaginabile
volare!


Di notte quell’ala è luna crescente
che pesci sogna
come stelle nell’acqua!

Sorgiva estate!
Sorgiva estate!
Ancor mi disseti!
Ancor ti rivedo abitarmi
in quei biondi tuoi giorni di sole e di messi
nel respiro fluttuanti!

Ancor ti rivedo, in una vertigine di cieli aperti,
dimorar nel pensiero col tuo rimare d’onde
e negli occhi miranti / che sempre cercavano il vento
velista sull’acqua sognante!

Allor sciabordavi dalle tue iridi azzurre
sulle mie gote/ rosseggianti al sinuoso parlar
di vezzose fanciulle
con ghirlande di conchiglie tra i fluenti capelli
ambrati nel sole…

Rammenti le aulenti canzoni, mia estate,
su giovani spiagge di anni felici…
di rotonde sul mare”nei giorni che passano
pigri e lasciano in bocca il gusto del sale”?

Rammenti, intorno al fuoco, le chiare sere
inanellando il cielo, già fibrillante di luci,
di risa e scherzi innocenti
mentre una chitarra ritmava la danza
delle falene e degli occhi
con trilli di grilli in amore?

Fischiavano labbra abbeverandosi
al tramonto dolce delle angurie
già ammiccanti di occhi bruni della notte!

Estuosi pensieri di giorni assolati!

Oggi, straniero al mio vivere,
sopravvivo al gelo dell’inverno…
E clandestino, in un paese di isole e
spiagge ad altri concesse,
ti osservo dal mio scafo di terre lontane
dove sciaborda infinita la nostalgia
del tuo glauco sorriso!

Non perire tra i flutti
è quel che di mare
oggi mi avanza!

Ancora aspettando Godot!
Con geroglifici di tende percosse e persiane sbattute
impreca il libeccio e l’ubriaco con la bocca torva
urla al cielo la condanna di una vita in bilico…

Servirà ricomporre i tasselli di qualunque esistenza
se ogni passo e ogni parola svanisce nella pioggia
di un giro di lancette?

In ogni strada sempre una sfinge con occhi voraci
il viandante interroga e gli ricorda la levità nel tempo
dell’umana semenza!

Già langue il volo di quella testa di morto
dopo uno sbadiglio di ali sul fiore
che canta il requiem del suo profumo nel vento…

Uomo! Hai edificato templi nelle valli della storia
di pietre e parole!
Ma ciò che resterà è solo polvere
e suono di polvere…
ancora aspettando Godot!

Per accorgermi di esistere…
Mio cielo!
trascorre un sogno di occhi
per le tue sconfinate finestre di vento…

Filtra, per le ampie vetrate del tuo tempio,
una folla di fraterna umanità
con la sua scorta di maschere
per ogni occasione e un corredo
di pianto, riso e verità da imparare…

Fluire li ho veduti quei volti…
filtrare alla velocità della luce
dalle spirali dello spazio-tempo…

Generazioni di volti vidi passare..
i miei plurimi e millenari volti
colti nel loro divenire…

Dal primo vagito
fino all’abisso delle vuote orbite
dove reliquie restano di lacrime
non versate…

Dal primo sorriso fino al ghigno
di quelle bocche, un tempo inclini alla gioia
e che ora, nei denti, reduci dai morsi
della polvere, custodiscono l’ombra
del beffardo sorriso dei secoli…

Oh, come avrei sfrondato ogni inaccesso ramo!
Come, da ogni casta infiorescenza,
avrei succhiato l’acqua della vita
per esser profondo in ogni mistero
e naufrago tra le braccia infinite!

Ma ancora (esposto il fianco ai fendenti dell’illusione
e del disincanto…aspettando la falciata
dell’equiparatrice di pensieri e destini)
parmi d’aver scoperchiato
una di quelle bambole russe
per scoprire che
all’ultima apertura
la sorpresa altro non è
che la quintessenza di quella forma e
di quella stessa sostanza…

Solo puerile contrazione dimensionale!

Vorrei come una volta
sentirmi addosso la seta
delle iridi tue avvolgenti
e quella spuma d’onde
che è la tua voce!

E ancor mirare
in quel tuo cielo d’agosto
sfolgorare meteore…

Provar persino a fischiettare
la nostra canzone di mare
ma già annotta…
e il cerino sfregato scintilla
e troppo presto si consuma…

Troppo presto ma anche
troppo tardi per accorgerci
guardandoci
di esistere!

Non troppo tardi per accendere
la miccia nel cielo
che ci veda sfolgorare
nello sguardo di Dio!

Restiamo umani!
La mia casa è in occidente…
là,dove il sole muore!

E’un luogo strano il mio occidente…
Ivi,futili passioni offuscano la nostra divina umanità
e ci annullano…

Lì, in visibilio le folle vanno
per mirabolanti imprese
di eroi della pedata
che calciano una palla di cuoio
e ogni loro calcio
vale oro…

Se poi l’effetto impresso è quello giusto
e la sfera si infila all’incrocio dei pali…
inusitata meraviglia!

Nel mio villaggio globale
proprio di fronte al mio orticello
si gioca un’altra partita: quella della vita
che si perde…

Granate si lanciano con effetto devastante
all’incrocio di altre due croci
si lanciano….
e ad ogni lancio
gratuitamente si muore!

Lì,all’incrocio dei sogni infranti
la luce si spegne nelle folle
che non hanno più visi…
da offrire al pianto!

E l’incasso di questa partita
non potrà esser devoluto
in beneficenza…

A beneficio di chi?
Di quali orecchie turate
e di quali occhi bendati potrà indirizzarsi
l’incasso delle morti innocenti
e delle vite a perdere?

Scuoterà mai le coscienze del mio gaudente occidente
che uccide bendato e beato?

Al momento i funerei proventi
non turbano né la coscienza degli eroi della pedata
né quella delle folle in visibilio…

Nulla di nuovo sul fronte occidentale…
dove non solo il sole è occiduo
ma tutto pare già morto!

Nulla muta con il trascorrere del tempo
se non la densità della polvere…
della nostra polvere…

Sopravviva fioca una fiammella di speranza…
almeno questa!
Come Diogene andrò in cerca di quella luce…
dell’uomo vero!

Da un cielo pietoso piovano semi di speranza
e si spargano in questo deserto di sbigottita indifferenza!
Germoglieranno i veri eroi,uomini senza tasche
ma con il levante del sole negli occhi!

Uomini che per coscienza
non riusciranno mai ad invecchiare!

Restiamo umani!

A Vittorio Arrigoni,seme di speranza.

Sempre ritorni, mia vita!
Sempre ritorni su labbra innocenti
nell’ora del dolce sentire
mia vita!

E più randagio di un nero uggiolare
mi trovi…
senza più vicoli da annusare!

La forza manca del tenero germoglio
che allor dalla scorza erompeva
del mio tronco canoro…
nelle primavere di secoli fa…

tu vieni, ma più non ho tra le mani
adesso intessute di vento
conchiglie di madreperla
per i tuoi sogni di spiagge!

Cangiante eppur sempre uguale
tra i vapori del giorno mi scorgo
e irrido la mia iridescenza
come l’oceano irride la pozza…

e intanto matura tra i fiordi
del mio navigare
un porto sicuro, la sera…

quando arriva da un mirto fiorito
la sera..
sui vetri alitando dell’anima!

A stento la catena trascino
del mio essere vivo
in un estemporaneo sorriso…

E sono vicenda tangente
al sacro cerchio della vita
avvinta alla vita…

E ancora mi chiedo
e di eco in eco mi struggo
qual sia la sua quadratura
ma risposta non c’è!

Come ogni giorno/ nell’ora fievole
si distende il cielo sul mare…
come ogni giorno si brancola…
tra assunti e postulati, si brancola!

Era già scritto
Uno scoglio e un orizzonte dopo l’azzurro…
Soli io e il mare con la sua vastità
di solitudini d’onde…
in un momento della sua eternità
e della mia caducità…

Ci siamo guardati senza parlare…

Era già scritto negli occhi del caldo scirocco
sentivo…
sulla sabbia di una spiaggia sommersa
sentivo….

Sull’asfalto inzaccherato dei miei paesi di pioggia
era scritto…
sulle autostrade rifulgenti dei miei paesi di sole
era scritto…

Già scritto su bianche corolle fiorite nel torbido limo…
tutto già scritto…

Da un’ala che migra si stacca una piuma
e si libra in aria sì rarefatta
che il concetto si svuota…
Pur cade un capello sul ciglio di un raggio di sole…
e il filo di un’erba commossa e di un gelsomino lo stelo
si riconoscono fratelli di cielo!

Ed era già scritto…

Tutto succede e poi,non notato,
mai pare sia stato…
eppure…c’è stato respiro!

Ed era già scritto…

Sì,persin sulla sabbia
di quella galassia lontana
finanche al pensiero lontana
che mai accessibile a sguardi di uomo sarà…
era già scritto!

Era già scritto che io
già oggi
sentissi cullarmi dal mare
e sentissi nel cuor e sulla pelle
la carezza che calma e che colma
il mio essere piccolo e grande nel tempo!

E l’acqua s’ increspa…
Fragranze di luce lassù!
Festoni di fronde e bandiere di timide brezze
nell’ora assorta
sul tempio della sera…

Evapora il profilo di una collina
all’orizzonte…
Trascorre un chiarore di luna
da un corteo di nubi sonnambule…

Una falena move le ali
e dei ricordi la chioma scompiglia…
Sboccia il fiore della malinconia!

Il cuore è ora una terrazza sulla notte
dall’occhio tenebroso…
Tedoforo è il vento
che del sorriso porta la fiaccola
dalle mie labbra agli occhi del mare!

Potrei addormentarmi e sentire lontano
il lamento del solito treno
fischiare lontano…

Potrei addormentarmi e morire sereno…
Ma so che qualcuno
in ogni stazione dell’anima
urlando si scioglie
su freddi binari…

Oh, come mi avvolgerei!
Oh, come mi avvolgerei in lenzuolo
di passi fra erbose sonorità
della campagna!

Coi vestimenti leggeri leggeri
di effluvi in volo…
madido di melodie e canti!

Proprio quando le stalattiti del giorno
gocciano sulle labbra della sera…
e un singulto senza fine
lì, al limitare della vegetazione oscura,
in un tremolio di iridi d’ambra,
conta i battiti del cuore alla luna
e racconta alla notte
delle nostre vite in viaggio!

Oh, come mi avvolgerei!

Di silenzio intensa
Silenziosa
giungi
come un commiato di
stelle!
Pudicamente tacita!

Sfavillante il sorriso negli
occhi
accennato sulle
labbra…
Giungi nell’ora
raccolta
del sussurro complice del fiore al
cielo…..

Tacita di
vento
garrula di sguardi
ti offri al deliquio del sole…

Per sfogliarti da solo nell’ombra
come un libro segreto
il silente crepuscolo io chiedo…

Come una selva di notte
che frusciante mi penetra
e mi parla di foglie…

Respiro boschivo
Respiro di bosco nell’aria…
di fresca penombra profumo!
In fasci la luce che abbaglia
in fasci fra murmure verde filtranti…

Fra tronchi distesi
alone di perla negli occhi
distesi pur’essi in radura
fra gli aghi rossastri…

Distesi son gli occhi
che il cielo dal basso intravedono
a squarci / al sol l’apertura
variando fra i cigli socchiusi…

Per aghi di pini e cortecce
di fremito in fremito
la resina esala per ogni brusio
di fogliame / la resina esala

e poi ridiscende e rapprende
pur qui sulla chioma tua bella
e sparsa fra gli aghi
rapprende….

E tu dove sei?
ma dove ti celi tu adesso?
Tu, irta d’anfratti
di cocci di vetro e di sterpi

di vivere ansia che
in travi di pietra gravavi
ma ora non gravi
sull’argine-petto

che l’anima-fiume
or rompe impetuosa
esonda …
e si monda!

La pelle è di un fresco di foglie
che brioso m’avvolge
risplende di brezze bagnate
…la pelle…

M’addormo, mi scuoto, mi desto
di suono mi beo
smorzato, attutito…
Io frutto polposo…

E sento l’occulto frinire
lassù e nelle orecchie
che viene / che va
lo sento finanche nel cuore

che batte / ribatte
la verde mia linfa sospinge
la linfa che scorre veemente
in vene di rami…

E’ ritmo di sogno lontano!
Di un’era perduta
di mito e leggenda / di satiri, ninfe
e di dei dall’umano sembiante…

(Non vedi la diafana Diana per boschi fuggire
tra nebbie / leggiadra?
)

E tu che scintilli in sospiri
e respiro di sguardi!
(In parole d’amore…direbbe
un orbo poeta che ascolta!
)

E tu che bisbigli in bagliori
e soffi in meteore
negli occhi ammiccanti del cielo
ancor ventilando pinete di mare!

Frusciava e ancor fruscia la seta
dei mossi capelli pur’essi ventosi
sulla pelle mia ambrata
di isole sole /assetata

frusciando dà onde di brividi
la loro carezza di polline
blandisce, lenisce,lambisce
il pensier che s’invola…


Soave carezza tu sei…
ariosa di canti d’uccelli tu sei!
Qui, presso il mio rivo sinuoso
sommesso un singhiozzo risuona

di palpebre chiuse/
socchiuse / dischiuse
e poi ancora chiuse…
nell’aria sospesa nel tempo…

E sempre friniscono note
fra pioggia di luce
e colori…
da un folto di fronde lassù…

E io che respiro boschivo
e di verde sonoro!
E io che profondo fra tremule foglie
mi effondo…

Fra tremule foglie
mi spargo in pensieri
d’eterno fluire…
Fra tremule foglie! 

Vivendo
Vedo
Sento
Osservo e ascolto e…
Sono l’infinita coscienza del sogno!
 

esuli nel mondo
esuli nel mondo
negli angoli occulti del silenzio
siedono i vecchi
perduto lo sguardo
in cieli garruli di giovinezza.
Risuonan di ricordi le ossa
nel vento che trafuga i sospiri.
Li ascolti?... col respiro arrochito
a consumar i raggi d'un sole
vestito a crepuscolo?
Già le ombre della sera si fascian
la cintola di stelle silenti.
La senti quella musica dolce e lontana?
tra solchi di pelle e di terra
che sa di antiche rovine
riecheggian le note.
I vecchi e le pietre discorron
dei giorni passati.
I vecchi e le pietre!... coi reduci ricordi
la nostalgia della pioggia d'estate
bagna bianchi pensieri…

ma / assordante si fa
il rimbombo della polvere
che precipita nella clessidra del tempo.
oh, i miei amati vecchi!
Cos'è quella musica ebbra
di sognante giovinezza?
E’ un valzer lento?
o un tango appassionato forse?
Musica che avvolge giovani corpi
prodighi di baci e profumi!
Giovani uomini e donne si guardan e sospirano
e gli occhi divengono fiumi
che si gettan nel mare
e ora… quel mare avanza impetuoso
le onde frastagliano il cuore d'acerbo rimpianto
si protendono secche le mani
a cercare un sorriso
come rami provati dal vento di gennaio.
Poi… il vento si addolcisce di serena pietà
e con suon di violino sgrana dall'anima
rosari di tenerezza.
Dov'è la bellezza? urlano gli occhi.
dov'è quel luogo ameno chiamato giovinezza?
Oh giovinezza!...
limpida acqua allora bevuta a piene mani.
bellezza di un tempo lontano
appena gustata e già perduta
fugace ed effimera
come il verde di una collina
dal finestrino di un treno in corsa.
Ed è già l'ora di scendere!
oh cari i miei vecchi curvi in un sogno
di vita e ormai genuflessi nella preghiera.
Io v'amo! miei padri e mie madri
amici e fratelli / miei figli
miei paesaggi sognati / miei mari veleggiati
mie lacrime e miei sorrisi,
miei amori e miei dolori.
Io v'amo!
perché amaste la vita
e perché amo la vita!

Marina era la canzone/ a sera
Ho scelto un vecchio cuore di pescatore
per il mio petto ebbro di arcipelaghi
sorridenti alla Croce del Sud!

Ho scelto un vecchio cuore
temprato dalla salsedine
per il mio sangue ancor giovane e puro
che chiede la dolcezza del canto di un tempo…

Marina era la canzone/a sera
che i flutti (nella baia delle dune dorate)
cantavano/a sera!

Cavalloni impetuosi galoppavan lontano
fino all’orecchio teso del verdeggiante oceano/
vasto di smisurato pensiero/
che sempre ascolta (nelle processioni delle maree)
il sussulto del pesce/che riconquista il mare
da una maglia slargata nella rete del tempo…

Un’onda, una scia e uno spruzzo sul mare…
uno sguardo, una ruga e un sorriso
sul volto dell’uomo dal cuore temprato
che scampa/ogni giorno/ al destino
di prigioniero nella rete del sogno che fugge
e non comprende che è lui…
la libertà del mare!

E c’erano ancora tante cose da fare…
 Il pallore del crepuscolo/ di un crepuscolo
l’epilogo inatteso di un’umana vicenda
la triste vicenda terrena!
                                 Il sole è accecato! sbiancato il cielo!
                                esanime è il vento! esangue la vita!
E laggiù…bocconi nella polvere,
nel fumo acre delle carni bruciate
sgorga il sangue caldo di un uomo
e scivola via a bagnare la terra
una terra lontana / non sua
terra di pietre e deserti
terra di montagne in catene
terra di polvere e cenere…
e lassù…sanguina il cielo!
Un rantolo…e l’ultimo respiro senza respiro!
Con gli occhi sbarrati
ammutoliti dal terrore di un istante
esterrefatti in un grido senza grido
annichiliti nel pensiero
forse senza poter realizzare che si muore così
inopinatamente
indifferentemente
irreversibilmente…
 
E avevi ancora così tante cose da fare
così tante cose da dire
o mio soldato di vent’anni!
 
Il cuore pulsante in macerie
per un sogno in brandelli /morto in missione….
per la libertà di altri uomini
                          (così ti hanno detto!)
Silenzio
profondo …
ineluttabile…
Il pianto di un tromba fende la cortina
della tua immobilità ab aeterno
Spari a salve nell’aria in attesa
in memoria dell’eroe in uniforme
per la memoria di uomini senza memoria.
E’ il suono della vita che ti saluta
che ti afferra per il bavero
che ti prende per i capelli
quando sei ancora sulla soglia della porta
che conduce al profondissimo sonno!
Ci saranno le esequie
i funerali di stato
avvolgeranno il feretro nella bandiera
                           (per te senza colori)
e nel corteo silente sfileranno le ombre lente
di funerea gente
le alte uniformi e le più alte cariche dello stato
i potenti e i ricchi
quelli che a morire per la libertà
ci mandano gli altri e i figli degli altri
impettiti e vivi
seguiranno l’eroe morto
e i tuoi commilitoni
con la stessa divisa di eroi in divenire
ti piangeranno…
 
E già ti piange tua madre
sola ai piedi della tua croce
senza consolazione…
 
Ti hanno avvolto in un drappo colorato
o mio soldato di vent’anni!
Hanno avvolto nelle pieghe del silenzio senza luce
il tuo sorriso luminoso
i tuoi sogni di bravo ragazzo
le rosse labbra che non bacerai
i fianchi che non cingerai
il mare in cui non ti tufferai
la voce di un figlio che non vedrai
il profumo della vita che ti ha lasciato
o mio soldato di vent’anni!
 
… E c’erano ancora tante cose da dire!
… E c’erano ancora tante cose da fare!
 
                al giovane soldato morto di ogni paese

Quel giorno
L’ultimo dell’anno…
e una stanza d’ospedale
i miei occhi nei tuoi
la tua mano nella mia
il tracciato del cuore
che s’appiattisce
e…l’ultimo respiro
 
                    Il tuo grande cuore nel silenzio
 
le rive degli occhi
senza più argini
ora che un torrente di dolore
dolore incontenibile
dolore inesprimibile
erompeva dalla sorgente
delle emozioni
 
                    Un cuore aperto
 
Scoperchiato dalla furia
di una tempesta
annunciata
ma inaccettabile
cuore come casa
in un delirio di persiane
sbattute dal vento…
 
                      Nessun uomo è un’isola
 
la frase
ossessivamente
riecheggiava
in un vicolo della memoria
 
                       Nessun uomo è un’isola
 
rintronava
il silenzio delle parole
non dette e in quell’istante
desiderate

 
parole soffocate
sommerse in un abisso
di sordità
per le orecchie del mondo
 
silenzio di un grido lancinante
urlato sulle mie labbra
blindate contro gli schianti
della mia voce
                       e se anche ci fosse una spalla
                       su cui piangere?
                       cosa cambierebbe?

 
mi ci vorrà…
in questo mio naufragio
una scialuppa o
un pezzo di legno
per tuffarmi tra i marosi
e giungere a un approdo
fraterno / se un arcipelago esiste….
 
                            Eppure come ti avrei seguito!
 
gli occhi negli occhi
e mano nella mano
non importava dove
in quale mondo arcano
semplicemente come allora
quando ero solo
il tuo bambino

In una goccia mi specchio
Furibondo è il vento
sulla distesa selvaggia del mare!
Ebbro di onde infrante
spossato e vacillante, il cielo!
 
In una goccia di quell’aspra contesa
mi specchio
cavaliere errante e trafficante
di sogni in estinzione…
 
                                                (io che, con soverchio ardire, avrei osato
                      un ampio esilio di sguardi impavidi
                      fra i templari della sacra notte
                      soggiogando un temerario stuolo
                      di lunghi crepuscoli!)

 
E ora che tacciono le voci in tempesta
sullo smisurato dirupo della notte
[dopo aver scorto il colore terreo
della morte in fuga}
nel giorno che chiaro si leva
 
ritrovo la fervida bellezza
che conduce al candore
del giglio fiorito e di ogni stella
che illanguidisce
ancor percepisco il respiro
 
e trema al vento
il cespuglio dei miei orizzonti
e profuma il mio viaggio
per azzurre lontananze
l’erba mattutina
 
e lenisce gli affanni ancor di vaghe luci
un soffio e il suo riverbero.
E non c’è nulla che violi questa pace
sbocciata dell’alba… se non il tonfo
del sangue / ancora in tumulto…

In dissolvenza
Tutto nell’ora incerta
sembrava in dissolvenza!
in dissolvenza…e alfin si tacque
l’erbale brivido nascente
dell’umida campagna già fremente…
Erbale brivido per i violini
dal vento suonati coi rami dei pini!
In dissolvenza…intorno
e poi si tacque di voci diafane
un sussurrio quasi silente
             … [lucciole o stelle?]…
mentre la luna il gorgoglìo ascoltava
di un’acqua di palude inascoltata
che, lirica, il burrascoso Atlantico
sognava …
In dissolvenza…intorno…
lo scintillio di stelle declinava…
In dissolvenza…intorno…
              [nel fiato ansante delle stagioni brevi
               ancora declinava]…

là…nel ventoso campo dai notturni suoni
rorida la rosa
di aprirsi al bacio del mattino azzurro
pavida esitava…
In dissolvenza…tutt’ intorno stava
ancor sui prati
il nero manto della notte stava
e lentamente già la notte andava
a sventolare il suo lunare fazzoletto al mondo
e tutto era…in dissolvenza… intorno!
In quel limbo di non luce
di non tenebra
incerta madre terra oziava
fra il raggio tremebondo di un timido albeggiare
e il diradarsi lento di montagne d’ombre…
In dissolvenza…tutt’intorno / il mondo!
E poi…criniera al vento / la notte se ne andò…
come foschia nel cielo evaporò!
la notte ancora le
In dissolvenza…a galoppar lontano
ad aspettarmi lì / come ogni giorno
in quell’albergo delle sette stelle…
e mentre sul seno del grande orsa io dormivo
e il premuroso cielo mi vegliava
in dissolvenza…lontano la notte galoppava.

All’improvviso... un azzurreggiare
Nel respiro dell'inverno                                       un sibilo d'azzurro                           mi vestì
d'estate!                                                            Era cielo?                                 O le tue iridi in
volo                                                         verso i miei sempre verdi pascoli?

Se solo tornassi
Ti chiamo e non rispondi
urlo il tuo nome
nel vento che ulula
perdo le ali nella vampa
di un sole che mi consuma
 
presso il mio tronco sonoro
ancor s’attarda la luce
del torvo crepuscolo…
 
sibilano scarni
nella nebbia che s’insinua
i miei rami crocifissi
a un cielo rassegnato
dimentichi di un passato di foglie
 
le mie radici eran nel cielo
ora…si contorcon nella terra
arida / incolta
 
nelle ondulazioni a perdere
di un deserto di sabbia /  prigioniero
in groviglio di spazi senza recinti
 
gola riarsa
di arsa fuliggine
sete / estrema sete
 
avido di acguei riflessi / pur tra giunchi
di palude / per sugger linfa
a erbe ghiaiose o a limacciose ninfee
 
nell’ angoscia … che s’attorciglia
alle pupille / marcisce uno spiraglio
di luna in vitreo bagliore
 
respiro la polvere del giorno
che mi ha reciso le ali
sferzato da raffiche d’ ombre
sul margine del dirupo scosceso
…in una vertigine notturna…
 
                         ma se solo arrivassi! se solo tornassi!
 
irromperei in rombo di tuono
come erompe in aereo fiotto
acqua dal cielo…

Sul baratro del cielo
…D’improvviso avverti lo smarrimento
delle foglie e per le fronde…
Se annusa la sera la pioggia sui cigli
se ascolta il bìsbiglio di mete segrete!

E stupefatto di visioni e chimere
fievole percepisci un soffio
di valli erbose in lontananza
vago di parole ed effimero d’intuizioni
che celano e disvelano
la disperata consunzione del tempo…

E cogli la vertigine di un ponte sul vuoto
quando il frenetico palpitare del desiderio
dilata l’attesa di veder risollevarsi
l’aquilone della speranza…

Intanto / in un tinnulo accordo
di solitudine / che tradisce
le parvenze mutevoli delle cose
e i labili respiri di ciò che vive

respiri alla finestra aperta
sul baratro del cielo!

Si spense di Yara il sorriso
Per tutta la notte tonò e tempestò
e il ventò ululò
sulla strada che al fiume portava…

Esterrefatto l’occhio del cielo restò
quando schegge di tenero
immane dolore
accecaron le stelle
e disperate grida d’aiuto
del silenzio il canto notturno
soffocarono…

Raggelate… le acque del Brembo
si ritrassero e / mentre
quell’alba sul mondo abortiva/
di fango il sole rifulse…

Con l’ultimo respiro
per i capelli del dileguante sogno
afferrato
si spense di Yara
innocente il sorriso!
Perduto in un giorno d’autunno
nel gelo del cuore del male…

E ripensò il cielo alla dolce sua voce
e le immagini dei suoi giorni da farfalla
lo attraversarono come nuvole:
Yara che sgambetta
Yara che canta e che gioca
Lei adolescente vestita di sogno!

Oh intramontabile misericordia del Padre
( cui l’umana pietà sempre tender dovrebbe)
quaggiù l’uomo ti prega!
Si estingua l’inferno che tenta
la mente dell’uomo!
Si sciolga quel gelido cuore del male
che insidia l’infanzia del mondo!

E in un fiume di speranza
tornino le mai asciugate lacrime
al tuo oceano d’amore!

Le lacrime di Yara
e quelle dei suoi cari
le lacrime di noi tutti
che moriamo in ogni giorno che passa
le lacrime del Brembo
e di ogni fiume che scorre
le lacrime degli alberi che videro
e quelle di ogni bosco sulla terra
le lacrime di quella notte
e di tutte le notti che seguiranno il sole…

Oh Padre, quaggiù l’uomo ti prega!
Fa’ che in quel tuo oceano di pace
vela sia / all’ orizzonte della luce infinita
di Yara / il sognante sorriso!

Allora cantavamo leggiadri
In silenzio
con la fronte china
mi specchio nella corrente di un fiume
che canta di un tempo felice…

Allora, nel cuor della notte
palpitavan le stelle!


Canzoni e risa
della campagna che al mare pensava
il silenzio spogliavan…

Cantavamo leggiadri
e danzavamo melodici
profondamente nel cuor delle stelle!

Mio padre disse:"che dolce estate!
un'estate bella per veleggiar lontano…
e all'isola dei bianchi gabbiani
la prora puntare!".

Di esser prudenti
ci disse in silenzio mia madre
guardando con gli occhi
di mare…

L'ombra della sua casa
lei amava!
E la vela dei cari suoi occhi
verso il sorriso dei suoi amati figli
preferiva puntare!

Ora… con la fronte china
alla corrente del fiume io mi abbandono!
E sento quel tempo felice
quando ancor cantavamo leggiadri
profondamente nel cuor delle stelle!

Il viaggio
… e giunse il sogno delle nuvole bianche….

… e giunse l’ora dei bianchi pensieri
nelle notti allagate di luna…

Tu / sitibonda /
miravi lontano
finché non apparecchiammo
le vele da offrire al vento.

E me ne vado sognando
Svagato guardo paesaggi
di tenerezza antica
che mi si schiudono al cuore
e rapide si accampano
bianche casette,
filari di ulivi e vigne!

Cerchi di concentrar l’attenzione
su di un secolare ulivo
e di definirne la peculiare forma
ma subito te ne ritrovi
mille altri simili
negli occhi

eppur diversi…
nella campagna smisurata che conosco…
e l’auto corre…e con essa
il mio mondo e il tuo!

Ogni cosa sembra corra con noi
ma è invece lì da anni
da secoli forse!
c’era un secondo prima e
può darsi ci sarà dieci anni dopo…
eppur è l’”infinita ombra del vero”
la velocità
ché tutto corre e passa!

E’ come acqua del fiume
che a monte scorre impetuosa
e a valle lentamente

ma comunque scorre…
acqua che viene, acqua che va
paesaggi che vanno
occhi che guardano e che vanno!

E nondimeno, in questo moto continuo
in questo viaggio collettivo
son io che, giorno dopo giorno,
viaggio più velocemente e passo!

E in questa corsa senza respiro…
io me ne vado sognando!

La poesia, il mio rifugio
Sovente, ogni giorno
percorrendo quel viale
destinato ai miei passi
ove come ròbot procedono
i secondi su binari stanchi
di treni vuoti
la poesia è il mio rifugio!

Quando per la quotidiana recita
sempre mi spetterà il ruolo
di comparsa nella commedia
dalla trama scontata
(in un teatro scrosciante
di applausi di spettatori mai entrati)
la poesia è il mio rifugio!

Quando il talento in boccio
dei pochi fiorisce sotto terra
per dare aria a germogli
dell’ordinaria inettitudine dei tanti
la poesia è il mio rifugio!

Quando l’ingiustizia trionfa
nelle aule dei tribunali
nelle scappatoie della burocrazia
e nell’arroganza della reità senza pena
la poesia è il mio rifugio!

Quando il mondo strepita di futilità
e s’infiamma per il fanatismo
pseudo religioso
o per l’ideologia utopistica
la poesia è il mio rifugio!

Quando stridule parole/ come api
di un alveare che avvampa
fuggono impazzite dalla tua bocca
giudice senza che di una sola
si possa cogliere il senso
la poesia è il mio rifugio!


Quando al grido di aiuto dei miei occhi
non trovo nemmeno un orecchio
che decodifichi il messaggio urlato
la poesia è il mio rifugio!

Nicchia di eternità
ove pazientemente
sulla scabra scogliera
di solitudine
pesco e pescherò
dal mare non navigato
della mia anima
parole vere da offrire
a orecchie affamate
di fecondo silenzio…

Forse un giorno…chissà!
Forse un giorno / quando fievole
la luce del meriggio ferito
sarà
e di pianto / l’ombra
di un altro crepuscolo violentato

Quando lancinante
nella sera degli agnelli sgozzati
il canto di dolore si leverà
forse/sulla terra contesa dalle morti
e promessa alla vita…

una melodia dolce di speranza fiorirà!

E pregherà il vento
fra le dune di polvere
salmodiando versi della Torah
e del Corano
e gli ulivi d’argento/negli orti

a uomini stanchi / di pace
parleranno / di vivere
con le lame fra i denti
e i teneri germogli / veder per
le strade insanguinate sfiorire…

forse l’inatteso insperato
avverrà
da generazioni
annientate dall’odio/
vanamente agognato …

Shalom!
dirà il palestinese
Salam!
risponderà l’ebreo
ciascuno nella lingua dell’altro!

Tra le opposte rive del Giordano
le stelle sorrideranno!
E parole di vita
sulle macerie di Gaza rifulgeranno…
chissà…forse un giorno!

Mentre un’altra pagina si volta
Siamo occhi di boschi senza radici
e senza frullo d’ali o stridore d’erbe…
 
occhi di mari senza rive
e di cieli evaporati …
 
Occhi… ove l’ombra dell’addio già balugina
e poi cristallizza nella memoria del tempo…
 
…e ti ascolti nello scorrere dell’ acqua
 
…e ti ritrovi nella polvere
delle stagioni che furono e ancor saranno
 
ma senza la gioia e lo smarrimento
del nostro compenetrarci
 
[ persino nella prospettiva
dell’ avvolgente ombra
d’una notte infinita ]
 
Occhi che han visto il respiro delle cose
e ora osservano lo stupor per altre albe e tramonti
in nuovi ingenui occhi
 
                     mentre un’ altra pagina si volta…
 
                            A Elisa
                           mia figlia

Uomo solo
Uomo solo

           il tuo urlo che squarciò
           i dorati silenzi /
           in quest’ ampolla  di bramata voluttà
            chiamata vita /

è un grido animale di dolore / pietà/
aiuto / agonia
sotto i cieli azzurri dell’estate…

E intanto vele  e panfili dei nuovi ricchi
solcano i mari….
[ vibrisse e sguardo leonino ]
quei prodi e feroci attendono sotto vento
innocenti prede.

E anche oggi, noi altri, prepareremo
gli ultimi agnelli da immolare
sull’altare dell’indifferenza…

Il sogno di Tristano
Un giorno di mare / ancora un giorno!
il profumo di scogliere
selvagge di gabbiani  / a mezzogiorno

onde frante là…in quella pozza
d’acqua torbida ove il cielo nomade
si riconosce

la freschezza della spuma
monderà occhi che vanno
e pensieri ubriachi di malinconia

               Accoccolato in quest’urna di vento
               ascolterò il silenzio delle maree
               mentre il sogno di mille esistenze
               si frantuma in un mattino qualunque…

           ….  ci vorrebbe una brughiera di vento                      
                per portarmi lontano…
                ora che l’estate si scioglie
              nel niveo volto della dolcissima Isotta
                e il fragore del mio sangue
               beffardo destino
                si placa nell’ultimo respiro….

                        Addio Cornovaglia!
                       Addio terra d’Albione!

                 ti saluto verde Irlanda
                che vedesti sbocciare
                il sorriso del mio amore perduto
                        
                          con Lei
                mi sarebbe bastato essere un gabbiano
                       
                         e vivere
                volteggiando sulle deserte scogliere….

 

Home page  Lettura   Poeti del sito   Racconti   Narratori del sito   Antologia   Autori   Biografie  Guida   Metrica   Figure retoriche