Poesie di Viviana Santandrea


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Viviana Santandrea è nata a Bologna il 20 giugno 1942,  dove tuttora risiede.
Fin da bambina ha coltivato una istintiva passione per la poesia.
Fondatrice con altri, del gruppo poetico “Il Laboratorio di Parole” sorto nel 1992 presso il Circolo “LaFattoria”, pubblica regolarmente le sue poesie nel mensile “Parole”.
.Nel dicembre 2007 ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie dal titolo “Il Profumo dei ricordi” edito da Pendragon - Bologna
Insieme al suo gruppo ha partecipato ad eventi culturali in Bologna e Provincia, nonché al gemellaggio con altri gruppi poetici nel Veneto, in Abruzzo ed in Sicilia.
Lei ama definirsi così:     
                                       Chi sono?
In versi vi dirò che amor mi muove:
sta  in quell’imperativo ch’è racchiuso
nella radice prima del mio nome.
                                     VIVIANA.



Mimosa (8 marzo 2010)
Perché si è scelto un fiore
così fragile?
Potranno mai queste perle di sole
dall'esile profumo
riportare un sorriso
a chi ne ha perso il senso?
Allo stupore stampato sul viso
attonito di un bimbo
per tanto orrore?
Alle schiene ricurve
sulla tomba di un figlio?
Ai neonati appesi a seni vuoti?
Ai volti
senza più lacrime
che mai sapranno
di inestetismi e lifting

…e noi qui ogni anno
festeggiare un progresso
via via più labile

eppure questo fiore
dall'aspetto caduco
piccole forti donne l'han voluto
vessillo di una lotta faticosa
conquiste da serbare
oltre la loro vita
oltre il fiorire di questa mimosa

Mi manchi…non mi manchi…mi manchi!
Ma tu lo sai
che quando te ne vai
torna il silenzio e avvolge questa stanza,
io lo assaporo poi, come carta
di caramella,
tengo tutta per me la mia fragranza?

Muovo a passo di danza
dove ancora si tocca
il tuo respiro; dolce ho sulla bocca
l'aroma del tuo sigaro e con la mano
mi attardo a rassettare
l'impronta del tuo peso sul divano.

Ogni mio gesto è forse
negazione di assenza
voglia di libertà
o inganno dell'attesa?
Comunque, torna presto!

Ogni parola spesa
prima che te ne andassi
mi scandaglia la mente
però il mio cuore sente
che questa porta
mi separa dal buio e freddo inverno
da ogni cosa al di là
ma non da te.

E così resto
infagottata di serenità
però tu, torna presto!

Lasciamo ch'esso viva!
Radici che s'insinuano
profonde negli anfratti
senza venire a patti
con questo magma ostile
più giù, più giù
là dove non arrivano
residui di vergogna
rimasugli di bile.

Saldo il fusto ad accogliere
in fiducioso asilo
le creature del bosco;
chioma che in braccio al cielo
di stagione in stagione
rinnova la promessa
per noi, per questo filo
di esistenza che resta

lasciamo ch'esso viva!

L'abbandono della speranza
Perché?
perché la mia unica pianta,
non vuol germogliare;
eppure ogni estate
la inonda il calore del sole
ne desta il torpore,
ma lei non si scuote
subisce il trascorrer del tempo
e agita al vento le fronde
però non risponde.

La linfa che dalle radici
Natura diffonde copiosa
non genera frutti
si arrende, serrata da un muro
gramigne di dubbi e paure
che negano al mio giardino
un ritorno al futuro.

Mi chiedo: " Perché alcune vite
oscurano il loro orizzonte?

ma chino la fronte
e accoglie il guanciale
le perle di attese ferite.

Cerco la parola perfetta
la parola che traduca l'essenza
del mio essere qui.

So già che non la troverò
in questo spazio di luce,
ma il cercarla
è qualcosa che spinge l'esistere
ogni giorno più in là.

Il diavolo allo specchio
Nel corridoio, appesa alla parete
c'è una mia foto, quarant'anni fa
non dico fosse un'epoca propizia
chè i miei problemi io li avevo già
ma quella foto….rendeva giustizia!

Sorridente sfidavo l'obiettivo:
gambe sapientemente accavallate
34 col tacco a decolletè
l'aria di voler mordere l'estate
fasciata in un tubino macramé.

Di fronte a quella foto è la scarpiera
con lo sportello a specchio e la riflette;
già mille volte le son passata accanto
e sempre quell'immagine mi mette
di buon umore; sì è vero, un po' mi vanto.

C'era una volta un tale…Narciso?
beh l'altro ieri, mentre mi preparo,
e alzo lo sguardo in quel cono di luce
vedo storcersi il riso in ghigno amaro
su di un corpo che certo non seduce

il quadro l'ho riposto in un cassetto
però l'enigma mi tormenta ancora:
c'era beffardo, il Diavolo allo specchio,
o fatalmente sono io che invecchio?

Insieme più di allora
Sono gli stessi monti
che tra la nebbia ora si distillano
sul crescere del giorno;
è in questa valle
burbera e dolce che ti rassomiglia,
e troppo tardi ho imparato ad amare
che ti ritrovo.
Allora non capivo!
Svogliata ti seguivo
senza guardarmi intorno;
non conoscevo ancora la mancanza
l'inutile amarezza del rimpianto,
ed unica attenuante al tuo perdono
era la giovinezza.
Oggi assaporo l'antica dolcezza
e il respiro del bosco
crepitante;
è una mite domenica d'inverno
forse una tra le tante,
ma più che mai presente
è la tua assenza.
Le nubi ora diradano qua e là
in bisticcio col sole.

Mai più!
Sentivo intorno
un mormorio di attesa
sospesa, immaginavo
il tuo ritorno.
Quarantacinque anni,
volati via nel vento
cosa contava il tempo!
I miei occhi hanno colto
là in fondo a un corridoio
quale casa non so
la tua figura,
fra un via-vai di folla
più giovane però.
Ti sono corsa incontro
tutto il dolore ho sciolto
contro il tuo petto;
neppure il tempo
di posare le rose che hai portato
credo, per me!
Si cancella il passato,
forse c'è
ancora un' occasione
alla tua vita, alla mia?
Tendo le braccia d'edera
cingo il tuo collo
e stretta mi ci avvinghio
per non farti andar via
mai più.
Poi, come fu?
Un'emozione così forte e intensa
un'onda di marea
mi ha risvegliato
lasciandomi negli occhi e sulle labbra
un umore salato.

Pensieri della notte
Inesorabile il tempo della notte
lacera il tempo finito dell'esistere;
nel suo grembo si annidano
ombre di pipistrelli
le dita adunche
si aggrappano al respiro
e lo trascinano
in un gorgo di ricordi
e paure, per il poco che resta;
al buio nella testa,
le vie imboccate al sole
il rimorso e il rimpianto
hanno un altro valore:
sono lo stelo pestato nella corsa
macerato nel fango
che ora aggrava il cammino
il petalo non colto
che ringrazia il destino.

Quale poesia?
Ho vagato nell'etere
cercando una poesia
senza tempo
nel tempo dell'esistere
confrontando la mia.

Ho valicato un monte - alto
le piogge erano lacrime
salate e inarrestabili
forse bastava un salto
per superare il baratro
ma non c'è stato il tempo
e ogni mio tentativo
se lo portava il vento.

Eppure vivo e impellente
bruciava il desiderio
verso una nuova via
ma non era la mia.

8 Marzo (2009)
Son dipinte nel vento
le risa delle donne
e ogni loro lamento

pennellate di fiori
su gote e labbra
le piaghe dei dolori

c'è l'orgoglio del mondo
in un petto che allatta
in un ventre fecondo

ma se entro questo mare
di melma e quarzo
fossimo noi da sole a navigare

marzo non si dovrebbe celebrare
per quel rogo di donne alla filiera
ma solo perché sboccia primavera.

Tutto è poesia, purché lo si creda
Sonorità disarmoniche
ho ascoltato,
parole arcaiche
senza affinità
predicati plurali che a braccetto
tenevano soggetti singolari
e un concetto, se c'era, era celato
nell'inespresso complemento oggetto.
Disorientati i verbi transitivi
non transitavano
come sospesi
accanto ad aggettivi
privi dei relativi sostantivi.
Tutta una macedonia letteraria
di frutti pizzicati qua e là
per un mix di poesia campata in aria
con qualche accento di liricità.

Le tue, le mie
Come farfalle scarne, ma fluttuanti
a riempire di gesti la cucina
a dare cose buone
sempre soltanto cose,
avare di carezze!
Con questo indaffararsi senza posa
nutrivano l'amore
donavano certezze
in un linguaggio di mute parole.

Ora le guardo
mentre come allora
sbattono uova nel cerchio di farina
ritmici tocchi plasmano l'impasto
quasi danzando
rotola e srotola a farlo sottile.
Gli stessi gesti
stesse farfalle scarne
solcate da un reticolo bluastro,
le tue mani, le mie
lo stesso modo di donare amore.

Come se non bastasse …
Nella fuga dei giorni
quando unico cruccio
parrebbe ormai l'incresparsi del viso
come se non bastasse
vedi crescere intorno
solo l'erbe dell'odio e del sopruso;
sbocciare nel deserto
fiori di sangue
spuntare da macerie
le pagine di un tema non finito
mani serrate su cancelli chiusi
o morti che non possono morire.
Tu resti inerme fra tanto dolore
mentre chi può sorride
e beffardo sorvola la tempesta
dalla sua navicella in acque chiare.
Ti accorgi allora che l'unico approdo
altro non è che quelle quattro mura
che negli anni con cura hai riassettato
dove sempre hai trovato
rifugio e pace, ma
ad una condizione:
che lasci spenta la televisione!

Chewing-gum
Chewing-gum la vita
scioglie nel tempo
la patina croccante
si fa molliccia
e perde sapore.
Tu ne trattieni l'anima coi denti
lei assottiglia il filo
finché si spezza
finché il mondo la sputa!

Distillato di vita
Oltre la porta
di là dalla vetrata
dov'è la rete con il gelsomino
ecco, là scorre il tempo.

Qui io l'ho imprigionato
in un abbraccio
di torte al cioccolato
e fettuccine al sugo.

Qui curo la tua sete
d'amore;
ti offro il mio calice
e brindo a questo nostro
distillato di vita
ove a tentoni
giorno dopo giorno
scalciamo sassi
scrutando il fondo.

Qui, mano nella mano
tracciamo rotte
per non morire
sera dopo sera
fin quando il piede
ce la fa a salire.

Qui con te mi addormento
stringendo la mia gioia tra le dita
mentre tra le persiane
curiosa occhieggia
una luna candita.

Castel Del Rio (a mio padre)
Era qui che saresti ritornato
dov'è il tuo ponte
dove ti tuffavi
e, ragazzo, pescavi.
Solido vecchio ponte
proteso al cielo come il dorso di un mulo
coi piedi ben piantati sul Santerno.
Trovo riposo qui su una panchina
tra ombrose fronde e frinir di cicale
poi ritorno bambina, e tu sei qui:
nei tuoi occhi e nel mesto sorriso
vedo la nostalgia
e l'orgoglio dell'uomo di montagna
per i suoi luoghi;
il doverli lasciare, andare via.
Mi opprime a un tratto come un dolore antico
tutta la pena per le illusioni infrante
le vite, tante, troppo presto spezzate
e gli affetti incompiuti.
Scorrono i nomi e i volti
tanti i germogli di un'unica pianta
che han trovato la quete al camposanto.
Io, uno fra i tanti,
qui ancora a ricordare.
Poi riapro gli occhi e c'è un paese nuovo:
altra gente, altri sassi
niente è più lo stesso
soltanto il fiume che un dì raccolse le loro voci
e le portò al piano
come allora, adesso continua lento
nell'abbraccio del ponte.

Vai
Per sentieri lontani e solitari
tu vai cercando, ma io sono qui;
corre l'anima tua oltre i binari
tracciati dal destino.

Sempre per nuove mete
ti spinge l'ANSIA, come se altre stelle
ricamassero i cieli del cammino;

forse che in altri luoghi
non ride l'uomo?
O non piange o non soffre?

Tu vai pure, io aspetto, perché qui
restano conficcate le radici
della mia vita; è qui che ogni sera
io raccolgo i pensieri e sgrano i giorni.

Forse ha colpa il passato
se oggi altro non chiedo: che tu torni
e riposare serena sul tuo petto.

Tu vai pure, io aspetto che trovi
nel profondo intriso ciò ch'è già in te
e si nutre di gesti umili e uguali
ne emerge solo l' ANSIA  

Gabbiani
Là tornano stanchi i gabbiani
il sonno ormai chiude
gli sguardi già intrisi di mare
e l’ali provate
regalano il cielo al tramonto.

Se ancora domani riandranno
appesi al respiro del vento
o l’ultimo fremito avrà
qualche piccolo cuore
                                non sanno.

Noi invece quaggiù
coscienti, ma sempre assetati
intenti a rincorrere speranze
a sperdere gli attimi
nell’ansia d’inutili attese;

noi memori e tormentati
da tutte le perle perdute,
diversi però accomunati
da uguale precario destino:

un volo.........un cammino.  

Così tu verrai....
Come ogni sera tu verrai
ma non potrai fugare le mie ombre
verrai simulando certezza
ma ancora leggerò nei tuoi occhi la domanda.

Non ho risposte o non le posso dare
rodono ancora le antiche emozioni
rimaniamo così: olmo e vite
senza troppi perché
l’una all’altro aggrappati
nell’ultima stagione di vendemmia
un po' dolce e un po' aspra.

Viene la sera
Ancora resto,
in compagnia dei soliti rumori:
un metallico “clic”, lo scroscio d’acqua
che si riversa nella lavatrice
-là sulla strada un cigolìo di freni-
pure il vecchio orologio da parete
rincorre col suo lesto ticchettio
un’ora che da sempre lo precede

e dalle tende trapela una luce
mano a mano più fioca. Si avvicina
il momento del giorno che più temo
-tutto ciò che al mattino era in potenza,
ecco si è già dissolto....ed ogni gesto
di ogni creatura, prelude al sonno
e il sonno non è vita!

Pace e guerra
Giornate di un inverno come tanti, ma
c’è nell’aria quasi un gelo di attesa
pur nell’assaggio del tiepido sole;

qua e là finestre spoglie di fioriere
sfoggian le tinte dell’arcobaleno:
Pace! E’ l’eloquente coro silenzioso

che fiorisce spontaneo e si nutre
dell’illusione, via via che s’accresce,
di punger le coscienze dei potenti.

PACE! Parola lieve e chiara
come acqua di lago, semplice
in sé come un cuore bambino,
così spesso farcita di retorica.

PACE e GUERRA! L’una dell’altra alibi!

GUERRA! Parola greve troppe volte
volutamente usata con freddezza
senza fermarsi a coglierne l’orrore.

Terra! Da sempre qualche uomo transitando
Ha preteso d’importi la sua Pace
Mentre ti denudava con la Guerra!

A mio figlio (alla maniera di Saba)
Tu eri come un morbido
pulcino intirizzito
che a becco spalancato
instancabile implora
il materno soccorso
con grido disperato.

Tu eri come un vispo
Cagnetto birichino
Che ti saltella intorno
Con fare malizioso
Per rubare un dolcetto
Od un perdono.

Tu eri come un grillo salterino:
ovunque lo rincorri
ti sguscia via
e lo cerchi qua e là
mentre ti fa sentire
quel suo cri-cri
sempre più sbarazzino.

Tu eri come un giovane
Orsetto spelacchiato
Che cammina un po’ goffo
E con la presunzione
Di saper tutto fare;
furbastro ruba il miele,
ma si ritrova addosso
l’alveare.

Tu sei come un leone
Dignitoso ed accorto:
muovi elegante il passo
ed il tuo sguardo
con fiera timidezza
ricerca la compagna;
è quello sguardo
dolcissima carezza.


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