Poesie di Rosa Notarfrancesco


Home page  Lettura   Poeti del sito   Narratori del sito   Antologia   Autori   Biografie  Guida   Metrica   Figure retoriche




Rosa Notarfrancesco (Salerno 13 luglio 1984) è originaria di Montecorvino Rovella (SA).

Fin da bambina si dimostra attenta al linguaggio della poesia e dell’arte. All’età di otto dedica un libro di poesia -una piccola silloge poetica- alla sua insegnante di italiano della scuola elementare Maria Pia Di Savoia.

A Battipaglia partecipa alle lezioni di teatro di Nunzio Zuzio, dietro iniziativa dell’insegnate di italiano e storia della scuola media Romualdo Trifone di Montecorvino Rovella e contestualmente su dedica ad un percorso di potenziamento degli studi umanistici.

Intorno al 2000 vince un premio di critica letteraria indetto dalla Libreria Guida di Salerno e inizia a  frequentare l’ambiente letterario dello scrittore Domenico Notari, dietro invito dell’insegnante di lettere del Liceo Artistico Andrea Sabatini di Salerno.

Nel 2003 si diploma in Rilievo e Catalogazione dei Monumenti al Liceo Artistico Statale “Andrea Sabatini” di Salerno (adesso Sabatini-Menna). 

Nel 2005 partecipa ad un breve ciclo di incontri nell’ambito di un seminario teatrale svoltosi presso il Teatro san Genesio di Salerno.

Dal 2007 vive ad Arezzo, dove si esercita nell’ibridazione dei codici dell’arte, portando avanti il suo apprendistato poetico e letterario in dialogo con la cultura artistica del territorio.

A Firenze, nel 2008 si avvicina ai mestieri dell’editoria attraverso un seminario organizzato dalla Scuola di Editoria.

Il 12 febbraio del 2022 la giuria del premio Ossi di Seppia, del comune di Taggia, provincia di Imperia, le conferisce il Premio Speciale Nazionale Sezione “A” del 28° Premio di poesia Inedita <<Ossi di Seppia>>.

Già autrice di molti versi nel 2021 pubblica la silloge E poi dimenticarsi, in FLUIRE 8 (Alla Chiara Fonte Editore).

Nel 2022 pubblica Il miglior posto possibile (Lfa Publisher Editore), Decalcomania (Porto Seguro Editore) e la partecipa con una poesia ed un contributo grafico al numero speciale “Osare la pace” (Alla Chiara Fonte Editore).

Con Arduino Sacco Editore nel 2023 pubblica Anima sociale.

Nel luglio del 2023 riceve un Attestato di Partecipazione alla V Edizione del Concorso Nazionale di Poesia "Dantebus" e ad agosto le viene rilasciato un  Attestato di Merito, in riconoscimento del lavoro di ricerca ed espressione poetica sul tema della bellezza dalla giuria del premio Internazionale di Poesia "La bellezza rimane" [Santa Margherita Ligure (GE)].

Nel Novembre del 2023 pubblica Dixit (Lupi Editore).

Nel Febbraio del 2024, sulla rivista Cultura Oltre viene pubblicato il testo inedito di una sua poesia.

A Luglio riceve un Attestato di Partecipazione alla VI Edizione del Concorso Nazionale di Pittura “Dantebus Bazart” e partecipa al n. 7 del magazine Fifteen (Psicografici Editore).

Ad Agosto esce la raccolta di poesie Caso necessario (Scudo Editore). A Settembre partecipa alla Rassegna d’arte Contemporanea del Festival di Arte e Cultura di Montecorvino Rovella ed entra a far parte dell’Antologia di Poesie d’Amore della casa editrice La Rosa. A Ottobre torna in libreria con il romanzo Acrobati (Nonsolopoesie Edizioni) e pubblica due poesie sul blog Poetrydream del dottor Antonio Spagnulo.

Di recente ha pubblicato due racconti (“Casa 69” e “Le grandi matite della gratitudine”) con Arduino Sacco Editore, con cui ha pubblicato anche “Piero della Francesca (Il tempo della grazia).


 

Come dire?
Quando mi hai nei pensieri
e fugge la pioggia di quei giorni
in cui mi vedevi molto contenta
per cose mie, e tu non eri con me,
sulla mia strada, perdi l’attimo
dove ancora mi avevi negli occhi
e ti bastava avermi riconosciuta.
 

E più ci penso
Dove tu sei, è felicità nuova.

Perché già sai.
Conosci già a memoria
certe mie buone ragioni
per fuggire l’attimo ingenuo
ove tutto mi pare reale
del bene che mi trafigge
la voce simile a un bottone.

Conosci già la meraviglia
e senza indugio,
cogli nel pensiero
quello che mi aspetto, di bene
che è così difficile da spiegare
al cuore che invoca
ciò che tu stesso sai
ed hai chiamato amore,
al primo sguardo
e senza toglierti il cappotto.
 

Avrei potuto

Cosa mi domanda questo tempo?

Avrei potuto innamorarmi subito.
Del resto, sei tu stesso l’istante
che non domanda, convinzioni nuove,
per consigliarsi, in anticamera
con la “santa” ragione del tempo,
che indica, il perdono, dove non può
passare la grazia che ascolta
e comanda giochi, sempre nuovi
all’ingegno, dei poeti confusi
dalle lacrime, rimaste nella voce
di chi si pente, e per questo vuole
sentire, palesemente, la festa irritata
nelle occasioni, dov’è l’amore
convalescente, e non ancora guarito,
ma pronto, per i giochi dell’arte.
 

In silenzio, mi stringi la mano
In silenzio, mi stringi la mano,
e non so più evitare
d’essere tranquilla
nel tuo palmo
d’aria, pensosa e principe
di una sollecitudine che fa sperare
ancora,
in quell’amore novello
che continua
l’attesa in cui siamo;
forse, per spiegare il senso
ricevuto in compenso
dalla sorte che ci unisce
all’anima raminga
di un bene rimasto incompreso
in altre vite
rimesse all’arte; che ci chiamò
per compassione
al giudizio di passate delusioni
di un poema già noto ai più
e per questo indispettito
dalla libertà dello stile
in cui si sciolse la prima parola
di amori affrettati.
 

Perché mi ami? Forse
Perché mi ami? Forse,
mi conduce a una storia
passata per da qui,
questo tuo credere,
con occhi fissi, la parola.

Ed io non voglio invano pensare
ciò che non è stato, per dirlo
così, al presente illuso dalla scena.
 

Poema del caso e del tempo

I
Forse, avrei
un convenevole,
o, non so che cosa.

Magari qualcosa.

Una cosa, almeno
una cosa da raccontare
per essere dove sei.

II
Mi capisci?

Avrei qualcosa
da "pensare in grande".

Come in grande si deve pensare
-lo sai!-
per ricordare
ogni stagione,
ogni estate
nella sua impeccabile vanità.

III
Eppure, niente
nel tempo massimo io sento.

IV
Nulla mi dispiace
delle retrospettive insegne
dov'eravamo insieme,
ma nulla resta
del ricordo di un ignoto
che crea meraviglia
dov'è la fama di un essere
sincero nell' incontro
dell' età miracolosa:
letteratura senza soccorso
e senza rete.

V
Come ci era bello credere
nel rispetto
delle attese svagate nostre:
nei soliti cliché
in cui si dava corso
all' odissea delle personalità
fragili nell' arte
di dissimulare gli amori
che ci uniscono al Cielo,
per non dimenticare chi è solo
nell' attesa dell' incontro
col Cielo che ci osserva
e ci vede nella colpa e nell' aria
di distratte beneficienze.

VI
Cosa mi dici?
Cosa mi racconti?

VII
E, nota bene, per il resto
mi ricordo di ciò che fu
per noi la pena
di dover essere altro
in ciò che fummo
perché ci voleva talento
ad amare tanto la vita
dei ripensamenti
delle seicentesche età
delle lettere scandite
dall' onore del tempo
di certi poeti
che non eravamo noi.

VIII
Noi, studiosi di parole.

E quante parole!

Parole difficili, quante ne vuoi!

E tante le ho scordate
di parole
della storia titolata dei miti
che si fanno bastare lo spettacolo
dei nomi cacciatori
delle asprezze dei ricordi
dove cade amore in disgrazia
per veder in un lampo
sorgere infiniti i trionfi del cuore
che avvicinano alla gloria
dei beati inverni.

IX
Ma, dimmi, su
cosa ti manca di me?

Dimmelo pure,
perché ti sfiori
il mio ricordo
tutte le volte
che la ricca estate
degli acerbi motivi
torna a vivere
in quel fiero grazie
che ti porto
nell' illusione
di quel raro bene
dato come antidoto
dallo stesso dolore
programmato
dai proponimenti
della Ragione che insegna
a tacere certi sacrifici
che si danno all' Epoca
per fare le cose per bene;
per dare lustro maggiore
alla vita che se ne và
negli svariati motivi
che ci lasciano sempre da soli,
alla fine. Soli, pure noi
alieni
del tempo venuto sì a ragione,
ma fuori:
nei pensieri
prossimi alla conclusione
di ogni passato
che si conserva in unità
con i giorni distratti dai giochi
fatti per deludere
ogni speranza di mezzogiorno.

X
Aspetta l' autobus
quell' elettiva corrispondenza
delle umane nostre speranze.

XI
Senza sosta il giorno torna
dove avrebbe potuto fermarsi
il giorno prima. E se ne va
in un mondo che non si può
capire nella sua bellezza.

XII
Ma è solo commozione
la lacrima in cui risorge
l' attimo di soprassalto
che incontra la comunione
nel mondo libero
dalle costrizioni dell' arte
e dai vincoli
del privilegio di essere
primi in qualche cosa;
come tutti siamo primi
in verità di scienza
o di naturale anarchia
delle iniziative remote
della solita storia che incalza.

E già mi pare di vederti
nel ritratto tanto austero
degli anni vissuti in pieno
e senza le parole confidenziali
che pure mi furono amiche
nell' altrove della filosofia,
che sedimenta pensieri sottili
da paragonare alla delusione
afferrata, forse, troppo tardi.


Perché, drasticamente
la vita si ripete e lascia
nell' epifania della prima illusione
che fa bello il ritorno al sabato.
 

Pret-à-porter
Puoi fare tutto quello che vedi,
vediamoci anche domani,
e poi non so cosa accadrà,
cosa vedremo ancora. Tu aspetta.

Mi sa che aspetterò io. Che dici?

Cosa io vedrò non so, lo sai.
Cosa tu vedrai si sente già
perché è fuori la paura
che abbassa le difese,
e già si sente di nuovo il nulla.

Questo niente che ci annienta
dove siamo, ed è di nuovo
un' altra vita, un' altra dimensione
e non importa cosa siamo,
già si sa; e si capisce
che bisogna andarci piano
con la guerra, che non si vede
anche quando c'è. La vita continua
e si tende inevitabilmente
a starsi stretti davanti al mondo,
davanti a ciò che si sente
nella muta trasmissione dei principi
e nella rivolta colorata dei valori
che non sono mai concilianti
con chi sembra
cogliere il vantaggio del dominio
delle occasioni
che si offrono sul piatto d'argento
al disincanto dei nostri pensieri.
 

25 aprile
E ancora mi domando
come stai. E che fai stasera.
Se tutto il male che fu
finisce, o se ancora resta
l' illusione che forse il male
non possa essere ciò che può.

Chissà se nel vento ti arrivò
la poesia d' un ignoto,
e se già mi credesti così
come io sono adesso
che ti penso e non capisco
se è possibile dimenticare
almeno ciò che ti tiene qui
dove il mondo non arriva
e la memoria condivisa
è solo una parte del mondo
in cui rimani in ascolto
del dettato del ricordo
che ti vede già preso
dai doveri della memoria,
a scuola, maestro
in accoglienza del pensiero
che continua a parlare
della bellezza delle cose,
e non è arte la distanza
che ti vede vento di collina.

Al mio tempo lascia una parola.

Che almeno una parola resti
dell'eternità dei pensieri tuoi!

Perché voglio con te vedere
ciò che non siamo, e poi
tradurre l' ispirazione ciò ch'è
spirituale dell' essenza
che in realtà siamo stati
prima che tutto fosse inutile.

E sia ancora la stessa musica,
il bene fatto con la certezza
di tornare a prendere il sorriso
che sa della mutevolezza
delle cose
e spera nella prossima vita,
come una favola sì cerca
d'inverno.
 

A Papa Francesco

Caro Francesco, te ne prego:

ricordaci quando saremo lontani
dall' uomo e dal tempo
in cui tutto non è niente
e conta solo l' amore.

Di questo amore evoca
la velocità del volo,
e sarà a un tiro di schioppo
il paradiso delle meraviglie
a cui ci ha condotto
la tua propensione alla modernità
che aspetta solo la pace
da ciò che vive, ed è perennemente
nella povertà delle opere
della scienza del mondo,
a cui sovente manca il tempo
di rendere all' ordinario
l' esattezza dei principi eletti.

Di questo amore canta
l' arte del cambiamento
che sempre ci chiede il futuro.

E noi ci illuderemo così
di riuscire a cambiare,
almeno un po'. Anche se non è vero.

Perché infondo alla modernità
è il mito della tradizione
che ci riconduce presto alla fine,
in quella storia all' aperto
dei giornali che ci vedono
come spezie esotiche
che devono dare gusto ai tempi
dell' ingegno nazionale
e del progresso mondiale.

E sempre gli stessi torniamo
nel cuore che non può tradire
l' inganno del nostro tempo.

Di questo amore, allora
non manchi nulla,
perché noi, stanne certo
saremmo come morti
nella finzione del presente.

Grazie per l'assiduità del tuo sguardo

che anche nella morte
non cessa di aggiungere
verità ai nostri giorni.

E possiamo ancora credere
nell' uomo e nella sua ragione.

E possiamo ancora
amare il simile
dopo aver fatto conoscenza
della mutevolezza dei cuori.

Possiamo ancora andare,
come tu ci hai insegnato
ad andare
dove ci manchi, e dove sarai
presto
nella gloria della chiesa
che hai servito e amato per amore,
senza fermarti, e senza stancarti
fino all' ultimo giorno
che ha iniziato a contare
i giorni della gioia che ci rivedrà
ancora insieme nel momento
del commiato più sofferto.
 

Ciò che la vita vuole

Ogni cosa passa in fretta.

Che sia la pace nel profondo
di ogni contrasto
che la vita impone per essere
da sé conquista
di un nulla da far risplendere
nei giorni incompresi
dal giorno della festa!

Che sia la pace il dolce gioco
in cui siamo
nel frattempo una cosa
e l' altra nel senso
che la vita, al solito
insegue per muovere tutto
verso la sua eterna arte,
che pigra si piglia il pane
della speranza di apparizione
delle futilità che ingannano
attimi di assolutoria
tensione ideale tra le cose mute
della storia che non sente
né ragione né altro del motivo
che fa bello il giorno!

Bisogna saperlo. La vita lo impone.
Deve essere importante,
a quanto pare deve esserlo.

Perché infondo la nostra età vive
ed è vitale nel suo stato.

Non cessa in noi la vita
che passa nel corridoio del tempo
e bussa alla porta del cuore
per affacciarsi sul terrazzo
delle comuni incertezze
e guardare in basso, nel cortile
del tempo vuoto degli addii.

A nostro modo lo sentiamo.
La nostra spiritualità è una cosa
che attira al bello
nel particolare dell' eternità
che ci rende subito noti nel cuore
di chi arriva nella sua notorietà,
con un altro colore che cancella
ogni singola traccia
dell' una o dell' altra vita
che in noi si fa attesa di tutto.

Questo è il bello della vita,
e non pare più a nessuno.

La vita è così. Non vede l'ora
di passare nel silenzio
e di riemergere dalle meraviglie
del caso più strano
che ci vede differenti
nel particolare che sappiamo.

Tutto ciò che abbiamo le basta.

Basta al fuori e al dentro
che hanno la stessa natura
e si mostrano come sono
con lo stesso orgoglio,
che non si cura del meglio
che sembra tardare a venire,
ma si compiace di nuovo
di ciò che presto si fa
del buono che basta
giorno per giorno.

Allora cosa è venuto meno
all' umanità di questi anni?

Cosa? Forse, la visita
di un altro tempo certo
che si va facendo insieme
per quello che ci è concesso
a chiarire i contrasti,
e non a spiegarli vanamente.

Un tempo caro dove non si cessa
di apparire sotto il profilo
di quell' amore che muove il sole
e pure le altre stelle.

Forse, a me pare manchi
questa "logica del costruire".

Manca la fede
che crea nel contrasto
il cuore dell' armonia,
quella parola
che unisce nel profondo
ciò che nel mondo
è diviso dalle ore
che battono altre e diverse
altezze d' aria e di luce.

Manca la spensieratezza,
si capisce dai gesti
che la evocano
nel pensiero di massa,
rendendola virale
per cause esterne al bene
che si sceglie da sé
per la prossima vita,
e ci parla e ci domanda
un bene più grande
per amarla così com'è,
questa vita che ci porta
nel mestiere delle cose d'arte.

Non si può trattenere la vita,
perché la vita vuole
farsi sentire. Ed è un attimo.
Un altro attimo del giorno
iscritto regolarmente
nel giudizio del tempo
che abbiamo preso, fatto
e deciso, oltre il tempo
che è successo con noi
nell' annuncio della scoperta
in cui fummo l' evento
che si ripete con giudizio.

E questo giudizio è sempre
causa di un certo timore.

Eppure passa, come l' ansia
che si fa scommessa
di gioie future, e così attese
dal cuore che spera
e dà coraggio di credere
al domani, che ha tanto bisogno
di pazienza e di coraggio
per farsi strada nel bel mezzo
delle delusioni più comuni
che attendono da noi
solo pace e giustizia.
 

Giovedì santo
È mezzanotte. Giovedì
porterà un po' di pioggia.

E, intanto, il cielo stellato
aspetta
a pochi centimetri
dagli alberi in fiore, l' acqua
e la ragione.

Sarà breve il temporale. Arriverà
solo. In alternativa al buio,
e si farà tra il blu e l' arancio
dei pensieri della terra meditabonda.

E la prudenza, per natura
apparirà nel cielo, tra il giallo e il viola
dell' alba di domani. Un venerdì
che adesso si limita
ad allontanarsi da un' altra estate,
nascosta dal rosso e dal verde
dei tetti della valle dei nostri alberi
rassegnati alla contemplazione
del mistero che ci porta altrove,
dove sono ancora tutti insieme
i nostri anni, che soffrono il tempo
di tutte le cose
che l' età grande deve lasciare
alla poesia dedicata
alla propria contrada, dov'è
raccolto il dato recente del libro
che invita a riprendere l'uso
richiamato dalla storia nelle vite
passate sul ponte
della serie infinita di armonie
della ragione cresciuta da Vasari
nell'antica maestà
di un certo dottissimo silenzio.

...

Ad Arezzo, adesso, l' aria pare
più tenace del giudizio
che rende oggettivo lo strazio
della terra che osserva
il calvario dell' innocente d'oggi
come quello d'ogni tempo.

È un' aria che già pensa
alla resurrezione. -A domenica
pensa l' aria di Arezzo, eh già!-

È così cosciente l' aria
dell' ingegno dell' amore,
che bello si fa nel freddo
quando è freddo; e non sa
di nulla, e non ha nulla
l'amore nostro
quando si oppone
al silenzio di questo bene
che tutto, in sé, muta.

Il bene della consistenza
di ogni cosa che ci manca
nel tempo caduto
eppure tornato a noi
dalla porta del silenzio
dei pensieri spalancati
all' arte del conoscersi
nell' incontro con il visibile
e quotidiano lato
di certe eredità
dove si incammina il Verbo.

...

Non insisterà la pioggia,
si capisce dall' aria lucente
di questo vento di scirocco.

Mi tengo ancora un po'
nella multisensorialità
del ricordo di altri oggi
che non sono uguali a oggi.

E poi niente più sarà uguale,
perché uguale è in me
la noia che si comunica
con la creatività del dono
della brezza d'aria che soffia
parole di miele sul cuore
che vede tutto come sempre,
come ci pare bello pensare
e credere nel paradiso
delle nostre prime speranze.

Buona Pasqua.
 

Come va?
Tarda, è prudente, oggi
il mattino.

Anche il cielo, che sconfina
nella sua immensità,
non accenna a fiorire di albe
di entusiastica accoglienza.


Non arriva alla libertà
il fiato della terra di Sumy,
che trattiene memoria
di ogni nuova emozione
che si fece nel bene
che ancora si vede,
e che si professa estraneo
a ogni fatto storico permesso
dall' immenso niente, al varo
dell' inutile verità
di ogni guerra inscenata
dagli errori nascosti
come guerre dietro le palme.

Trema la mente
davanti alla certezza
della "non-storia"
che trapassa e trascende
ogni resistenza umana
posta da noi
a difesa dei termini
del giudizio che ci vede
stabili nel senso
che ci rinnova il cuore
mentre tutta la vita passa
e ripassa nel suo centro
di dolore:
in quel mistico annuncio
fatto di paura e di dolcezza.

Lo sguardo, intanto
cerca il Crocifisso
oggi che l' oggi si fa
così: al contrario.


E l' aria intorno torna
a sapere d'amore, come la vita
che gira intorno all' enigma
l' Eterno che si lascia
nella discussione del secolo
che assiste la vita caotica
della città plurale eppure solitaria
nel suo assoluto passato
di grandezze e di civiltà in viaggio
da Oriente a Occidente per anni
e anni, ancora da scrivere.

I ricordi scossi dall'orrore
restano in piedi, come le case
nello scambio continuo
di cadute poste in alternanza
dallo spirito della religione offesa
di proposito per aumentare
l' attesa di beni da interpretare
davanti al nuovo assente.

Perché c'è sempre qualcuno
destinato a restare sempre uno,
per sempre uno qualsiasi:
l'originale nel fenomeno
del tempo in sovraimpressione.

Quel tempo caduto dalle cose
capite male dai giorni andati,
che scrivono altre cose a caso
per non dire nulla. Solo per sapere
se va bene come va. Così e così.

Il bene che porta lontano da ieri,
insomma.

Un bene che inorgoglisce
e cade, senza le illusioni della fede.

Un bene così raro, così difficile.

Eppure si fa attendere. Come si vede
in ogni guerra di religione.

Questo tempo ostile
delle voci che si inseguono
vanamente e senza senso
davanti agli sguardi divisi
in attesa della grazia vissuta
nell' eloquio atteso da tempo
solo per sapere come va?

E senza garbo non si resta in piedi.

Ma anche questo è un ricatto
della paura che la ragione rifiuta
e si veste di rivolta e di sfoggio
in polemica con il solito buon senso.
 

L' anima della sera
In silenzio qualcosa
alla finestra
ascolta un filo di voce
trasportato dal vento.

È una cosa che corre,
forse una moneta
scivolata tra la biancheria.

Ascolta l' ora passata,
al solito posto.

Non è più nel tormento:
è contenta la tenda, lì
dov'è, pallida nel vento,
come un sorriso
arrivato in tempo,
prima della partenza.

Una liberazione, in mezzo
alle ore incapaci di sé,
mezze cadute
sotto il peso del tempo
che fugge il temporale.


È cordiale ed affranta la luna
nel mistero di certi incontri
che la vita
ci lascia solo immaginare.

Posso solo fantasticare
ciò che esiste nel cielo
per la felicità del dubbio.

Mentre prendo la tazza
e rimetto a posto
lo strofinaccio,
che non guarda nessuno,
mi sento più bella così:
nascosta nel timore
della benedizione della sera.


La giornata è quasi finita
e mi aspetta con molta calma
tra le ultime parole del giorno.

E il pensiero già tende a domani,
non ne vuole sapere
di andare a dormire. Ascolta
i resoconti delle partenze
che continuano ad aspettare,
mentre la pioggia
già comincia a battere sulla porta,
ed io vedo la tua parola
seduta nell' anticamera del sonno
che viene incontro alle cose
impazienti di entrare nel sogno
che scrive circostanze
per colorare le parole spente
con la luce di nuove idee.
 

10 Aprile
È come un abbraccio forte
il chiaroscuro dei pensieri.

I colori intorno sono la vita
in cui siamo solo un verso
già creato
da altre mute felicità sole,

come isole mai abitate
dalla finzione
delle parole scritte invano
e pronunciate sempre a caso
pure quando ci pare
vero il contrario,

perché il destino
veste di futilità l' inganno
del presente; e solo
perché si "parli amore"
e non si tema nulla
di ciò che il fato ama
passare al setaccio
della "storia del troppo amore"
che tanto amore nega
all' umanità nostra,
quando entra solitaria
nelle vicinanze della guerra,
e la pace cerca giustizia
nella sola verità dell' amore
che sopravvive al parlato.

Parla il cuore con la pietra.

E la pietra resta assorta
nei suoi pensieri
perché il cuore resti un cuore,
e non di pietra si faccia il tempo
in cui la vita cerca il suo senso.

Non è un' illusione il meriggio
davanti a un cuore che aspetta.

Arezzo mi appare oggi
nel classico aroma di agrumi,

come la speranza d'incontro
delle stagioni perdute
in questo tempo duro
che si fa un vanto
di ogni primavera che ritorna
a fiorire nell' ortensia
e nel mughetto che fa sorridere
anche il freddo delle parole
addormentate nei cuori delusi.
 

L'attesa non sente, fa finta
Nulla mi resta di certi inverni
a cui ho saputo sorridere
prima che fosse tardi. Prima
di veder mattina. Nell' espressione
di una grande idea
che aspettavo da tanto, e poi
si è presentata, così, a quella festa
perché io
la confondessi nei pensieri
con il resto
delle cose vissute
nello stesso tempo in cui passo
per risalire ad un particolare
che allieta il tempo dove sono.

Cosa mi volesse dire, non so.

Cercava forse occhi per piangere
o una bocca in cui ridere
dell' assurdità di ciò che manca
del futile che dà il coraggio
di guardare in faccia al tempo.

Ma è andata. E non era
la prima volta a sparire prima
che io facessi in tempo
ad immaginarmi come fossi
a casa, tra qualche cassetto,
a continuare a guardare
il pensiero
dov'era la felicità insolita
di abitare una nostalgia nuova.

Una nostalgia che mi tenesse
sulla bocca del caso
quando non è il caso
e il tempo si perde per salvare
almeno ciò che resta
del senso di certi silenzi
in cui tutti s'appare e si scompare
nel pensiero di chi ci è caro.
 

Piccolo mondo
S'andava studenti al tempo
che bello e buono
cambiava la rotta del passo
delle nostre acerbe speranze.

Era in primavera,

e già parevano mature le ore
del tempo a venire:

di tutto e del resto
di ciò
che sarebbe stato di noi
in realtà e coscienza.

Oltre a quello che si poteva
certo dire
in quel che di grande la storia
vede e scrive
nel poema del caso,
senz'aura e senza senso
ma con tutto l' onore che tutto
riceve del tempo
e del mondo nostro
fratello e figlio
di certezze comuni che brillano
nelle cose che servono
per un po' a rendere tutto
più reale e più tardo nel secolo
delle cose unite alle cose
e ad altre cose del genere.

"Tipo noi". "Tipo una cosa così",
"per esempio".

In questa comune libertà
e quiete del secolo errante,
ma fermo nella sua vita
lontana da ogni dove
eppure così presente
in ciò che manca e già è.

Già è arrivato a indicare
la crisi e le possibilità dell' Epoca
delle tante epoche nostre
costrette ad andare e a tornare
sempre in qualche scuola.

Ma la scuola per noi era fuori
dal tempo delle molte epoche
di un uomo che vede la vita
passargli di continuo accanto,
vicino alla spalla, e andare
a cercare altri tempi per vedere
ciò che già conosce e ignora
per il gusto della scoperta.


La scuola era solo la nostra scuola.

Il nostro liceo, dove il tempo
osservava la moda
di nascosto, tra le personalità
che si scambiano
e si accomunano alla persona
per lasciarla da esempio.


L' artistico a Salerno, nel duemila
significava per noi
ogni cosa per mostrarcela
come nessuno osa vederla,
e per essere, per noi, sempre lì,
come un faro:
in forma reale e tarda
sia pure nelle giovani e ideali
apparenze, che lo imparentavano
a qualcosa che spiega all' uomo
che non può vivere solo di sé.

I giorni professionali effigiati
per un istante in un saluto
anticipavano ciò che infondo
ad un abbraccio resiste
della speranza di poter restare
uniti in qualche cosa, come mai
come sempre, e del resto poi
chissà come l' amore vorrà
dire in quegli incontri della vita
che rendono all' arte la capacità
di saper essere così attraente
anche in un pomeriggio qualsiasi.

Già si preparava questo tempo
così cosmopolita nelle idee.

Già si leggeva il profilo
di questo tempio di tempi
e di parole nuove
discese apposta dal momento
delle contese dell' arte
per non lasciarci nella vanità
di credere nell' importanza
del vuoto delle cose
cresciute nella solita retorica
a cui sovente tende il pensiero
per dissociarsi dall' idea
della muta persistenza del tempo
di sconosciuti pensieri
che rendono schiavi
di nuove e moderne convenzioni.

E in altre conversazioni, allora
si andava correndo
sotto il nobile cielo di Salerno.

Ma un certo giorno si faceva
per distinguere ciò ch'è umano
discutere nel senso della società
dai clamori minuti di un passato
che si faceva grande nelle attese
nostre di compagni di scuola
in attesa del venerdì della fiera
che celebra a Salerno il tempo
della speranza quaresimale.

Una speranza che fu per me
il ricordo di un pomeriggio d'aria
e di attesa di qualcosa di nuovo,
come ispirava il clima dello stadio
avvolto nel clima internazionale
dei mercati tipici di ogni città
di questo nostro piccolo mondo.

Piccolo mondo a cui nulla sfugge
delle nostre comuni speranze,
ancora ti chiamo e ti aspetto
con la felicità che mi condusse
al tardo pomeriggio sull'autobus
per ritornare nella casa di Rovella.
 

"Altro dal solito"
Sono le idee altrui
a turbare le buonissime parole
della nostra convivenza
con ciò che non si mostra
in primo luogo.


In quei momenti
è così facile riempire l' assenza
con alcuni particolari
della vita. In accordo
con idee di presenza e di affetto,
che aprono alla festa,
seguiamo gli altri. Perché
è comprensibile uscire.

Più difficile è viversi accanto
coi pensieri rivolti alla differenza
che rende oggettivo l'incontro.

Fu onesto e bellissimo
quel nostro tempo impaziente
d'ogni attenzione.

Le solite idee ci confondevano
per evitare che noi potessimo
guardare il desiderio di vedere
di ciò che non appare, ed è
sostanza stessa di verità:
fosse anche solo
la dispersa memoria del divino!

... Fosse anche
quel senso che sconvolge
ciò che in noi non sente,
e che fuori cerca ogni ascolto,
ogni maniera per potersi dire.

E che c'è di male? Certo, così
si direbbe: -che c'è di male?-


Ma forse il campanello
suonerà. Forse, qualcuno
arriverà, e anche il telefono
porterà una buona notizia.

Perché ciò ch'è spirituale in noi
non conosce storia passata
ed è altro ancora.

"Altro dal solito",

che non ama
sembrare, e pare parecchio
quando siamo
incerti nelle strettezze.

E trabocca di nuovo senso.

Parla molto, anche a sproposito
e a lungo si pente
della parola facile.

Perché è uno "stato difficile"
l' amore proprio, fatto nel tempo
che non ci appartiene, e lo vede
fuggire nei richiami,
-ora tristi, ora gaudenti-
della vita letteraria dell' esistenza
ch'è già in noi coscienza dell' arte
di cui è impastata
questa nostra stessa vita.

Questa vita nuova.

Questo "continuo crescere"
che non sarebbe altro che noia,
se l' arte non ci attirasse
dov'è parola di muto ragionare,
che fermo tiene il tempo buono
per dirsi ancora tra noi.

E con gli altri qui
si ragiona il silenzio, e si parla
con le lacrime asciutte
che leggono pensieri leggeri
per la voce e l' udito,
che si fanno in una parola
difficile da conoscere.

Perché non basta
mettersi a parlare, e neanche sentire.

Si parla e si sente
come meglio viene, si fa. Tacendo
si tratta l' arte della banalità,
e si sente di potere qualcosa in più.


E incontriamo tutti i pensieri
che ci avvicinano all' illusione
del tempo costretto a vivere
nelle espressioni cattive
del presente inventato
dalla spontaneità
di certi racconti abbandonati
sulla terra delle meraviglie
contemporanee, dove trova casa
la necessità di escogitare qualcosa
per riempire d'amore e di gratitudine
il silenzio dei morti pensieri.
 

Lontani e futuri
Un grande niente sento
senza le parole care
di chi mi accompagna.

Il parlare nuovo è arte.
Come si fa arte la vita.

E il tempo aumenta,

ma sono solo momenti
in realtà,
in cui il sentimento muta
gli affetti in un altro modo
di vivere la distanza in sé.

E il silenzio si fa coscienza,

mentre restiamo gli stessi
eppure -eppure- a pensarci
diventiamo qualcosa
di nuovo, nella compagnia
che si allarga ad altri tempi,
ad altri confini, e circostanze
altre, nel mondo nuovo
dell'epoca così deserta
nel deserto pensare
le stagioni in anticipo
sulle stagioni
del tempo programmato
per le solite mode informatiche
del sapere unito alle cose
dove corre ciò che è in noi
il nostro silenzio, il tempo
ottuso della felicità
che non osiamo, fuori
dalla massa.


Come siamo, stiamo
e ci sentiamo contenti così.
Non è male. Così pare.

La stanchezza è il confine
di ogni contrasto,
che alla fine cade, davanti
all' obbligo di averci cari,
e di sentirci
gli uni con gli altri, fuori:
visti da fuori,
mentre la nebbia oscura
il nostro parlare assiduo
a cui pare assurdo credere
che la pace sia in questa
continua contraddizione.
 

A Salerno
Dai sogni, l' arte giunge
all' incontro,
e non c'è ragione
nel mezzo
di questa nostra delusa età,

che deve arrivare
a qualcosa: a una cosa,
come in volo,
come il consiglio viene
e ci pare contrario
a ciò a cui il coraggio
non si nega. Ed è
per noi un altro giorno,
l' abbraccio del mattino,
il passo della sera.

Il consiglio del primo sguardo
può fare paura, alle volte.

Il consiglio è sempre inatteso
e sempre inconsapevole
di muovere come un senso
di inappartenenza, che ci vede
uniti agli altri solo a metà strada.

Come se la comunione,
nella sua essenza di vita,
lo rendesse così necessario.

E pare assurdo, certo, pare
come ci pare. Un disastro,
un abbraccio e poi si vola.

Com'è strano, e come ci serve
questo gioco del pensiero.

E per cosa? Se non per trovare
qualcosa, un niente
da affidare al caso.

Per rendere conto alla memoria
di chi siamo. E per conoscenza
alla conoscenza stessa,
che sembra spiegare da sé
il resto della questione
che ci riguarda
tutti, nella stessa maniera ovvia.

Eppure siamo tra noi,
conosciuti,
in ciò che si fa controcorrente:

in ciò che non teme la paura,
perché già conosce il porto
dov'è un sorriso di marinaio
ad accogliere la nave di rientro
nella tacita festa dei santi.

E non manca niente.
Non manca
né parola né vivanda.

Sotto la tenda, la concordia
lascia alla certezza
delle nostre comuni delusioni,
quel luccichio di stelle
che anche la fede ammette
in certi giorni a cui manca
la fede, e si cerca invano
quel tanto di futile che serve
a vincere la paura di volare.

Ed eccomi nuovamente
in quei ricordi dove rimango
cancellata, talora, come mai
fosse possibile qualcosa
di simile, in fondo
al silenzio degli anni
andati via or' ora, alla scoperta
di ciò che appare di me
inspiegabile, dove sono scritta
con le parole nuove
del mio sguardo fermo
su ciò che il tempo ignora
della vita che si fa estate intorno
a me, e ai miei occhi intenti
a scrutare il cielo
e a fotografare questo sole,
così timido, di un marzo
che mi chiama lontano,
fino alla storia vissuta
sotto il nobile cielo di Salerno.

E non mi ricordo come mai
il pensiero mio arrivò sino a te,
città amata. Pietra d' antichi
stupori, e verso della sera
temuta e vissuta oltre le mura
invisibili dell' ispirazione
che abbraccia l'arte
come il carico di speranza
degli anni in cui tutto accade
per amore, e per amore
torna nel tuo parlare silenzioso.

Salerno, sei ancora com'eri.
Sei attesa nella dimenticanza
dei passati che t' immaginarono
corona dello stato felice de' poeti.
 

Ogni giorno
Possiamo sperare il possibile
e farci da parte dove siamo.

Perché tutto è deciso, e passa
proprio da qui, dove siamo
e dove tutto cambia, del resto.

Nulla sfugge alla vita.

In ogni istante nulla
sfugge al ragionare della letteratura,
che resta sola sulla soglia
con i buoni motivi dell' arte,
e l' intuito della poesia,
che osserva e nasconde
l' amore a cui crede solo il sonno,
da cui nuovamente appare
questo amore
che ci pare venuto da poco:
per durare in eterno nella fede,
come l' amore ascoltato in silenzio.

Solo l'impossibile, la vita non osa
mutare in senso di sé.

Questo compagno dell' epoca!

L' impossibile ci cammina accanto,
lungo la salita dei letterati: tutti
consegnati all' occasione,
tutti maniscalchi della felicità,
citata a sproposito, per restare
nel guazzabuglio degli amori
che si stupiscono per ogni cosa
per assicurarsi la carrozza
nei sentieri tortuosi, dove l' ideale
dei primi tempi è tutto.

<<Tutto in ciò che resta>>.

Coraggio. Ci vuole coraggio!
Ma è paura, questo coraggio
che non è in saldo, e mite si fa
in noi tenace speranza.

Perché ha misura di tutto, ed è poco
quello che realmente basta

Mentre, ogni volta, si solleva
l' infelicità effimera dei pensieri
di certe ore di noia perenne
e pure benedetta dall' abitudine
che fa risaltare in antipatia l' eterno
amore di un'età vissuta così,
senza capire nulla e senza chiedere
nessuna sciocca spiegazione
alla nostalgia nata lontano,
dove la vita è coerente
con quella curiosa e strana
arte della banalità
che imita la vanità, in brutto,
e sul più bello esprime
la gioia e la grazia
delle domande più bonarie,
a cui la mente affida
le solite dorate speranze del libro
impiegato dal tempo in uno stile
seriamente allegro, e così convinto
di ciò che dice la sera.


Ed è così benvenuta al ricordo
questa vanità...

ridicola speranza, bene

che ricorda la natura,
così allegra e maldestra
nel suo entusiasmo, dimesso
e cordiale, quando occorre,
e non le pare l' ora
di smascherare
il mistico incanto in cui si dice
in preghiera:
nell' ora così sacra e confidente
della vita passata,
dove onesto il passo corre
verso l' amore rimasto alla finestra.
 

Bisognava conoscersi
Forse, mi pareva d' aria
l' attesa, dell' improvviso
tempo
che non ha nulla di suo,
perché chiama in disparte
per illuminare
il collo, e stupire la mente
quando ha saputo capire
la circostanza minima
dove realmente è apparso
il consiglio che spiega la vita.
E invece, era d'aprile la dolcezza
di quel tempo tranquillo,
che origlia l' aria
per lenire il dolore che passa
da lucenti sguardi di usignoli
per prenderci al cuore
e renderci favorevoli all' affetto
dormiente nel caso anomalo
dell' età subito dimenticata,
perché troppo politica nei motivi
sposati generalmente parlando.
 



Home page  Lettura   Poeti del sito  Narratori del sito   Antologia   Autori   Biografie  Guida   Metrica   Figure retoriche