Poesie di Nicole Marchesin


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Un incontro, questa mattina
con i tuoi grandi occhi
fatto d'assenza
Una sensazione, al primo respiro
di leggerezza
la mia mano non più tesa
il mio sguardo riverso su di me
un sorriso per la mia ferita
dove giace la mia lacrima, arresa.

Un pensiero, questa mattina
fatto di timidezza
Non t'amo più, tu che non m'ami
un'emozione incredula
alle prime luci dell'alba
non contiene amarezza
ma solo la dolcezza di un addio
ai tuoi grandi occhi
che dormivano sulla mia debolezza.

Mozart: Requiem
Un nastro rosso
intorno al collo
scivola via
come vento
tra le dita
di un dio
un nastro
di alluvione
lascia
i suoi lividi
detriti
sul mio collo
senza paese

Una sera
In una bolla
di vuoto
respirare
stanca
sedersi
scoppiarsi
risoffocarsi
mare oleoso
fuoco
di guerra
gelo artico
tepore
alcolico
marmo gelido
letto
incompreso
lontano
pauroso
soffocante
ancora
di nero
lacrime nere
nel buio
di una bolla
vuota
dove il respiro
pesante
si veste
di rabbia
smarrito
di tristezza
sconfitto
nei campi
della solitudine
sanguinante
di solitudine
stremato
da un tedio
lacrimoso
e poi una
speranza
pace
di rose
freschi petali
nel sole
sugli occhi
una pace
eterna
in un secondo
immortale
che vive
resuscita
senza morire
chiede
senza pronunciare
quieto
si priva
dell'aria
letargo
senza fine
in una veglia
perenne
alito di vita
in una bolla
di rabbia
malinconia
nostalgia
di un niente
gigantesco
senza fuga
impossibile
perdersi
di tristezza
e ancora rabbia
e poi di blu
soffocarsi ancora.

Piangere
lacrime di petrolio
pesanti
sulla tua schiena
le tue lacrime
che ti vestono
di nero

lacrime di mercurio
così pesanti
che non possono
risalire

lacrime che vorresti
conoscere
una ad una
che vorresti ospitare
una volta per tutte
per cacciarle
per il loro
sgradevole odore

lacrime che vorresti
ti lasciassero
stanca e bruciante
e un po' ubriaca
a raccontarti storie
per addormentarti

lacrime che invece
aspetterai
vestita a festa
con un bicchiere di vino
e i capelli acconciati

ma i gentili ospiti
non arrivano
che scherzo crudele...
e quando arriverà il mattino
se mai arriverà un mattino
con il trucco sbavato
e il bel vestito
pregno di vino
chiuderai fuori la luce
per colare di nero
sul tuo cuscino

Se sai che vuol dire
odiare,
hai mai odiato
l'Amore
quello che rima
con fiore e cuore?
Sai che vuol dire
sentire
di non meritare
di sentirlo
di non meritare
di poterlo rubare
e insieme
che sia una figura
così lontana
e così piccola
che nemmeno merita
il tuo interesse?
Capisci quanto sembri
non umano
odiare l'amore?

Se sentissi
colare
me stessa
dentro me stessa
mi asciugheresti?
Passeresti un panno
sotto ai miei piedi
se mi sentissi
sciogliere
da un sonno
che brucia?
Se sentissi
colare
dentro la mia gola
cera calda
soffieresti
sulla mia bocca
esprimendo un desiderio?

Ti ricordi di quando
ascoltavamo le canzoni
e credevamo nei segni?
di quando ogni stupida
coincidenza
era destino?
Respiravamo
senza rendercene conto
e sulla neve
eravamo angeli
Ti ricordi di quando
avevamo freddo
e non ci importava?
Di quando ridevamo
vedendoci ridere?
Le giornate iniziavano
d'autunno e finivano
d'estate
Sai dirmi quando
le coincidenze
hanno smesso
di essere destino?

Se io potessi mostrarti
che quello che vedi
insanguinato
è in realtà
rosso di vergogna
che le parole che senti
sussurrate
stanno in realtà
gridando aiuto
che quando sembro distratta
sto in realtà
implorandoti
che quando i miei occhi
sono chiusi
stanno in realtà
chiedendo
che quando i miei occhi
sono chiusi
sto in realtà
soltanto aspettando
che sussurrando
tu venga a svegliarmi

Nella nebbia
i tuoi occhi brillano
nel buio
il non colore
scintilla
nel silenzio
la tua voce squilla
da lontano
il tuo respiro consuma
la mia pelle

nelle tue mani
scorre la nebbia
dentro i tuoi occhi
un buio tormentato
nel silenzio
che desideri
dei tuoi pensieri
la lontananza
dai miei respiri
aneli

Rannicchiarsi
per sciogliere un freddo
che si nutre
di calore

Coprirsi gli occhi
per non vedere
il fottuto blu predatore
l'unico sopravvissuto colore

Rifugiarsi
in un grigio ignavo
con la testa fra le gambe
in una coda rosso sangue

Soffocarsi
in un velo opaco
Affogarsi
in uno stomaco ubriaco

Una lunga scala di grigi
la via della mia fuga
dal blu
della mia solita paura

Fango
annoiato dal vento
preda di un'aria
umida da sempre
per sempre delusa
dal monotono marrone
di un fango
troppo basso
per poterlo guardare
negli occhi

In un'eterna dieta
di labbra succose
come pesche mature
cosi lontane
da sfocarsi

una luna piena
sui miei libri pone
immagini sicure
briciole di pane
da dosarsi

Ti sogno, fratello
ti sogno, vivo.
Lo vedo, mio fratello
nel suo buco freddo
lo vedo disteso sulla calce
lo sento, mio fratello,
lo sento sciogliersi
come lo sento abbaiare
lo sento morbido
come lo sento bruciare

La bianca sposa
innaffia il bouquet lilla
che d'acqua
non ha bisogno

La bianca sposa
fa seccare la solida quercia
che la mano
non vorrebbe tremante

La sposa sporca
lo strascico agitato
che vede il prete
sempre più lontano

La sposa del giorno regina
che per prima
la seconda volta
calpesta i petali rosa

La sporca sposa
per la vita mela avvelenata
che sola farà seccare
il suo bouquet lilla

Ho sentito quadri
strapparmi il cuore
pieghe nella tela tesa
profonde come crepe
riflessi accecanti
e un pianto
che ho riconosciuto
un chiodo al punto giusto
un nodo
che dello stomaco
possedeva la fame
ma non il nutrimento

ma le sue braccia
erano forti
e ciò che sembrava
preda del vento
stava invece danzando
in un vuoto
senza ostacoli
consolandosi
nell'unicità
del suo dolore

Luce spenta
per non svelare
nelle tue fantasie
la pietà
che non chiedo
luci spente
per poter fingere
d'esser violentata
dal buio pesto
strangolata
dai miei incubi
solo buio
sotto di te
solo il buio
un'idea impalpabile
una pelle introvabile
violata da un bacio
stremata dalla fuga

Lei non venne in pace
il suo passo parlava
di buoni raccolti
e pesche succose
ma lei non stava venendo in pace

I cani neri si ammalarono
le loro schiene si spezzarono
e non fui capace
di guardarli negli occhi
mentre morivano

stavo sognando
tu mi cullavi
noi oscillavamo
il tuo fiato era un flauto
le tue braccia il bosco

scricchiolavano i rami secchi
sotto la mia schiena
e le tue dita mi assordavano
la tua pelle era cotone
il tuo cuore di lino

una goccia sulla mia fronte
ho creduto mi avvertissi
della pioggia
ma la tua voce tossì
un odore disgustoso

una goccia sulla mia fronte
mi stupì: era acqua davvero
dovetti aprire gli occhi
la culla diventò una nave
le tue braccia mare mosso

il tuo fiato unghie sulla lavagna
vipere i rami - viscide le tue mani
sangue rappreso la tua pelle
che colava sulla mia fronte

la mia fronte incredula mi implorava
di nasconderla chiudi gli occhi
mi ha detto proteggici dal fetore
se i tuoi occhi sono chiusi
nemmeno le sue unghie potranno graffiarci

Ero libera di sporcarmi
e m'insudiciai
era estate ed il mio corpo sudava
esprimeva spremendomi
l'odio per quel sole

dicevano che era soltanto il caldo
che rendeva tutto così viscido
dicevano che questo caldo
l'avevano aspettato tanto
dopo quell'inverno così freddo.
Io li osservavo
e mi chiedevo come facessero
a non capire che il sudore
è nato per confondersi
con le lacrime
che nel freddo scintillano
così sincere,
che non possono respirare
soffocate dal sudore.
Non glielo chiesi
ma mi sentii di pietra

Nella veglia
sento il solito coro di angeli
mi accerchiano
non di dolci melodie
mi macchiano di striduli versi
hanno bei volti
ma unghie affilate
e cervelli in mandria
il loro sguardo interrogativo
è assente
perso nel disinteresse
come amici a pagamento
mi fanno la solita domanda
"perchè lui? Perchè ancora?"

mentre mi chiedo se ho la voglia
di odiarli - rispondo loro:
"lui, lui perchè faceva di me
la sua dea e la sua cagna,
una divina sgualdrina,
lui perchè sentiva dolce il mio sangue
mi spremeva per assaporarlo,
lui assetato delle mie lacrime
lui perchè io piangevo le sue pene,
lui perchè conosco
il dolore che proverò
perchè so di poterlo imbrigliare
perchè quella morte la conosco
e le sono sopravvissuta,
lui perchè aveva bisogno del mio sangue
per sopravvivere"

Fuori tempo
i tuoi movimenti ed il tuo respiro
forzatamente sicuro
delirante nel suo midollo
ti piaceva nasconderlo - ma io
sento le foglie piangere la rugiada
e quel singhiozzo
è per la mia pelle un urlo
che osserva una notte
senza latrati

sai di non poter mantenere la promessa
di essere il migliore
avrei voluto sentirlo dalla tua gola
se solo il sudiciume
mi avesse permesso di vedere
cosa nascondevano le mie mani
ostaggio volontario per catarsi
immolarsi per la libertà
farsi amare per avere la prova
d'esser distrutta
sacrificarsi per la rabbia
nata dalla consapevolezza
che la libertà non ha nessun sapore
nessun maledetto sapore

Districarsi da un impasto
a cui manca farina
- questo è il presente
si attacca alle mani
liberarsene e darsi pace
non è possibile - non c'è modo
di scrollarselo di dosso.

Il futuro è la mano
che ti porge la farina
è il calore di quando sfreghi
ed il fresco della libertà.

Ma il presente è troppo lungo
le cose accadono
lentamente -
per quanto la vita sia breve
il presente è sempre troppo lento

Ed il passato è un rifugio
impagabile
il dolore ha qualcosa
di appetitoso - il dolore passato
ed i bei ricordi
scatenano una nostalgia dolcissima
che varrebbe la pena d'esser felici
solo per ricordarselo

Io sono la corteccia
che protegge il primo anello
la linfa più fragile

non soffre la mia corteccia
le incisioni degli innamorati
non sente l'odore del piscio dei cani
non si accorge degli orsi che la squarciano
per segnare il loro territorio

Io sono riuscita
a far traboccare nel giorno
le lacrime di quelle orribili notti

Ma ora
nemmeno la fresca pioggia
o la dolce melodia della primavera
riesco a sentire sulla mia pelle

Non cercami, tu che da me
non vorrai nulla
tu, che non cercherai
i miei baci
che non chiederai
le mie carezze
tu, che non mi darai
la sicurezza, tu
che non mi proteggerai
che non mi prenderai per mano
che a stento mi vorrai
accanto

tu che saprai disperarti
che sarai gelido
tu che mi darai quel freddo
che lo vedrò sulla tua pelle
e che trapasserà la mia
per avvolgermi

non cercarmi
non disturbare le foglie dei cespugli
non chiedere notizie di me
alle rondini di passaggio
non zittire la foresta
per sentire la mia voce
e non calpestare i fiori
per distinguere meglio
il mio odore

Non cercarmi, tu
trovami
sarò sul sentiero che non distingui
fra gli alberi
sarò lì
quando sarai felice d'esserti perso
quando la libertà
di non avere un posto nel mondo
arriverà al tuo sorriso
al primo fondo respiro
d'aria d'abbandono
che sfamerà e metterà a tacere
ogni tuo timore

allora in quel momento
non dovrai cercarmi
perchè mi avrai trovata
come si trova un quadrifoglio
quando si è in cerca di violette
allora in quel momento
non dovrai proteggermi
non dovrai desiderarmi
non avrai bisogno di me
quando quell'aria leggera
ti troverà
e tu avrai trovato me
allora saremo felici
di continuare soltanto
a camminare.

Lei si scusa
di non esser così speciale
lei cammina
con in mano
la sua testa alta
chiede perdono
mentre si lascia penzolare
vorrebbe che tutto non oscillasse
in quel modo
ma i suoi capelli sono così morbidi

Lei si scusa
di non essere forte come voi
della sua voce così rotta
delle sue parole sconnesse
stroncate dalle vostre
così sicure così nitide
lei le invidia
quelle parole
lei si lascerebbe cadere
per essere quel fiato
quella lingua che schiocca sul palato
quel gesto che l'accompagna
quegli occhi consapevoli
e quelle labbra che già sanno
come andrà a finire

lei ancora chiede perdono
per la sua nausea così forte
lei si scusa
per il disinteresse che vi provoca
si scusa
per la fretta che non riesce a sopportare
per l'automa che non riesce ad essere
per non riuscire ad ignorare la rabbia
che la circonda
si scusa se riesce soltanto
a mettersene al servizio

Perdonatela
ma tutto intorno a lei
ondeggia così dolcemente
che forse si metterà a dormire
che prima o poi non riuscirà più
a vedervi, se non negli incubi
perdonatela
perchè si sta scusando
di non essere forte come voi

Vedo in quei raggi inconfondibili
le nostre prime pungenti risate
il nostro personale cinismo
e tutto il resto del mondo - immobile.

Medusa ci fotografava
e guardando nel suo obiettivo
diventammo pietra.

Nel tuo viso la comprensione
complici i tuoi piccoli occhi
nella tua anima: l'Altrove

Nessuno ti considererà
la sua vera maledizione
fino a quando
non inizierà ad amarti.

Come tornare nel vecchio scrigno
Che da bambina mi custodiva preziosa
Dove ora tutto posso chiudere in un palmo
Ed anche i dettagli mai notati
Si adagiano sulla pelle come seta tiepida

Tutto qui è così profondamente conosciuto
È un tepore gelido di disuso – è così
Scuro che non voglio scappare – così
Profumato che non mi spavento del risveglio
Nel mio letto dolciastro

È questa la mia impotente tristezza
Che altri frutti non crea
Se non quelli di parole paurose
Che si adagiano sulla pelle come seta tiepida

Foglia d’Autunno – leggiadra risposta
Oscilla lenta – accarezzando il tempo
Ma non si vede: è buio
E se cade non si sente: sono sorda

Nel mare d’aria perforante di stasera
Cadranno mille foglie
Ma suoneranno una sola nota – l’unica
Di un vecchio carillon

Il cielo si svuota sempre
Quando io mi riempio
Della mia voragine -
Si libera dalla Solitudine
Che il Sole gli impone -
Mi nutre delle gocce
Che non riesce più contare:
Non bere troppo
Mi dice
Non essere avida
Non pretendere – come me
Che rubo sangue alla terra
E lo perdo ogni volta

Grigio
Rarefatto sconfinato grigio
grigio fuso
grigio come la voce di tre soprani
grigio come la scelta di essere grigio
come la scelta di non scegliere
un vestito da sera
una sera che non vuole diventare notte
ma vedere sorto il mattino
un mattino grigio
che toglie la voglia ai colori
di uscire di casa
che fa venire voglia ai soli di guardare
dalla finestra quella mattinata grigia
grigio come un raffreddore
grigio come un cappello
grigio che ti viene voglia di viaggiare
forse per sfidarlo
forse per conoscerlo meglio
forse per guardare quanto spazio
può coprire tutto quel grigio
grigio che ti vien voglia
di guardarlo dalla finestra
grigio che appanna ogni sentimento
grigio di un odio pacato
grigio come il fiato
grigio come il fiato che uscirà
dalle mie labbra per dirgli
che non sono capace di amarlo

Polvere sul mio volto
la crudeltà dei bambini
che son diventati adolescenti
senza perderla - che si sentiranno
adulti - che giocheranno sempre
con le loro bambole vive

Polvere sul mio volto
gli sguardi e le parole
che mi hanno segnata indegna
di ogni trofeo - inferiore
anche nel dolore

Polvere sul mio volto
i piccoli gesti che mi hanno regalato
sorrisi - quando del mio vero dolore
hanno fatto polvere
da disperdere nel vento

Polvere sul mio volto
le dolcezze di quelle labbra
le uniche labbra per cui avrei dato la vita
le sole labbra con il coraggio di chiederla -
la mia vita

Polvere che mi soffoca
e ragnatele che legano come
catene - polvere
che per mia natura attiro - polvere
che per rabbia divorerò

Dovrai avere pazienza con me – non sono un fiore
semplice da coltivare – a tratti pianta grassa
a tratti la più complicata delle orchidee:
io spero saprai riconoscere le mie spine

Ma non indispettirti – non annoiarti
trattami come un cielo nuvoloso
come una delle sue stelle – provaci
a soffiare forte per renderlo sereno: lo diventerà

Non avere paura di restare in silenzio
e non avere paura del mio – sfidalo
e non asciugare le mie lacrime – guardale
scivolare: rinfrescano e puliscono come un temporale
estivo – e scuotono allo stesso modo

Sii gentile – ma non far di me il tuo faro:
mi spegnerei - non proteggermi da altri
se non da me stessa - guardami combattere
da sola i miei draghi - sii il mio narratore
e ascolta la mia storia

Inchiostro screziato – di un antico
sapore – lo diresti ruvido -
ma ruvidi erano soltanto il freddo
ferro che lo scalciò sulla carta -
e la carta stessa.
In realtà di luoghi più tiepidi
non ne esistono – non un sogno
lo eguaglia – ed è un risveglio
avvolto dalle morbide nuvole dei bambini

Sono la preda preferita
di me stessa.
Perché non mi è concesso
di avere un cacciatore –
di aver paura di un lupo
da cui poter scappare?
Come posso fidarmi di un corpo
disgustato dalle parole
che vogliono aiutarlo?

Dormi con le mie labbra – rispettoso lino
le tue sono perfette – e nel mio sonno
saran le padrone – dormi con le mie labbra

Respira il mio respiro nei tuoi sogni
verrò a dartelo – come un incantesimo – così dolce
che non vorrai svegliarti – respira il mio respiro

Accarezza le mie mani – le tue
così timide e nervose – ma delicate solo per me
mi commuovono – allora accarezza le mie mani

Io te ne faccio dono – ma chiedine ancora
e sarà così facile privartene che non avrò il tempo
di vederti piangere – ancora non chiederne

È il tuo onore il Silenzio
oltre i suoni che mostri -
ma il fruscio che posso sentire
se solo avvicino l’orecchio
annuncia una pace
che cerco da così tanto tempo
che non ricordo nemmeno il suo nome

La tua voce – come un bastone
che schiocca sulle rocce
spaventa le mie vipere affamate
che diventano – per il tempo di un sospiro
le illusioni che sono

E puoi sentirmi, ora
dalla fine del sentiero –
sotto un albero a cui non potrai resistere –
gridarti: chiamami!
chiamami ancora!

Cosa, se non la Rabbia
Potrebbe darmi la forza di guardare
Le montagne dalla mia finestra

Quando il panorama che mi si offre
È solo quello del tuo volto
E del tuo corpo senza unghiate – era palese
Eri magnifico – ed io tremavo

Ora, calpestata sbrano i tuoi piedi
La mia vendetta è la tua perdita
Perché mai ho creduto così sinceramente d’aver fatto
Un torto a qualcuno privandolo della mia presenza

Quella sera che stavo – stanca –
Cercando una qualsiasi volontà
Nemmeno ero capace d’esser sola

Come un’Edera – che neanche ha la forza
Di muoversi da sola
Come un’Edera che cerca appigli
E non ne trova

Quella sera ti chiamavo
E tu non rispondevi
Quella sera ti cercavo
E tu non c’eri
Dove sei? Ti chiedevo
Io ti cercavo
E tu non c’eri

Il tuo sorriso! Solo nel viaggio
Tra i nostri passi paralleli, che ora
Nell’Illusione della prospettiva
Si incontrano - solo ora la gioia!

Ebbene, lui – che distorce i lineamenti e comprime le tue scure sfere
Lui riesce a trapassarmi – come l’albero d’Inverno:
I rami secchi – come aghi sembrano infilzarsi
Nel cielo azzurro – pallido puntaspilli, come il mio pallido corpo
Ed anche la mia ombra riesce a vedere il tuo spoglio stupore!

Tra i nostri passi paralleli, che ora
Nell’Illusione della prospettiva
Si incontrano - solo ora la gioia!

Ebbene, lui – che distorce i lineamenti e comprime le tue scure sfere
Lui riesce a trapassarmi – come l’albero d’Inverno:
I rami secchi – come aghi sembrano infilzarsi
Nel cielo azzurro – pallido puntaspilli, come il mio pallido corpo
Ed anche la mia ombra riesce a vedere il tuo spoglio stupore!

Maledetto chi afferma che il pianto
È l’arma d’argento delle deboli
E maledette coloro che lo usano come tale:
Le condanno a piangere per l’eternità
Stupide ingrate
Vi condanno a piangere e piangere
Senza poter prendere fiato – con coloro
Che non vedono il dolore nelle lacrime

Il sottile sentiero tra noia e lucidità
Il velo che si stende tra sogni e incubi
Lo spazio tra la luna e gli alberi di notte
È l’incoscienza di quando ci si rifiuta di pensare

Riuscire a vederti sorridere
E sorridere con te – bagnando il velo ed i sentieri
E rinfrescare la notte estiva
Imprigionare la rugiada e – e curare le tue ferite

Credevo fosse lui ad impedirmi di respirare
E quando l’ho cacciato
È stato togliermi tutto il fango di dosso.
Ma non era lui il fango –
Lui era il sapone:
E fino a quando non si sciacqua il sapone
Nemmeno il fango viene via.

Non è paura – non è tremore
Non è terrore
Non è un dolore

È solo voglia di vuoto
È voglia di riempirlo
È voglia di superficie
È solo bisogno di riposo

Vieni – e sfogami
Perché dopo è una beatitudine
Che altrove nessuno possiede
Sfogami – perché io soffochi
Perché dopo mi cullerai
Così impercettibile
Che t’amerò

Mi domandavo se mai sarei riuscita
          A baciarti
Ho respirato sale su polmoni
          Lacerati
Sfiorando modelli perfetti
D’essere umano
E il mio odio l’hanno
Tutti pagato caro

Di te avevo paura
E già speravo nel tuo
          Perdono

Ma mai una paura
Mi aveva lasciata per un
          Abbraccio inodore
Mai una paura
Ha avuto paura di me
Svanita come sporco
In un bagno caldo
E questo grazie a te,
Mio ruvido Re!

Ogni lineamento del tuo volto
Non conosce il suo vicino
Parlano lingue diverse
E sembrano evitarsi

Ma molti potrebbero giurare
Di averli sentiti urlare
Con una sola voce
E dire il mio nome:

L’onore che mi divora
Stride con la paura
Di farmi sua preda

Perchè non riesco ad assaporare
La felicità d'essere il suo prescelto
Pasto - ma solo la vergogna
Di non esserne degna?

Amaro ruvido mio Amore fine
Una cavalcata dolorosa
Senza una sella che ti nasconda
Un viaggio assetato
Che mi trascina nell’aria secca
Un vestito stracciato
Che non protegge dal vento gelido
La stanchezza a cui non potrò cedere
Per non cadere e mai più rivederti
L’unica cavalcata che farei
Ti affronterei ad ogni diffidenza
Verrei da te con ogni tua incertezza
Perché tu mi prenda – commosso
Ancora fra le tue braccia

Volevo il tuo corpo liscio – quelle vene
Che pulsavano di pioggia violenta – volevo
Che fossero la mia guida – la strada
Che mi avrebbe portata alla tua finestra

Lo sarebbero state davvero! Le avrei seguite
Ad occhi chiusi – le tue vene – ad esplorare ogni parte
Del tuo corpo – della tua pelle così liscia
Che a toccarti le mie dita chiedevano

Ai miei occhi: «Ma questa non può essere
Pelle umana! Guardate meglio: non è forse
Un cuscino di raso?» Volevo quel sangue
Vellutato – l’avrei conservato nonostante la sete

Volevo che fossi il mio Desiderio costante
Che fossi l’acqua da sorseggiare
E la neve in cui tuffarmi:
Tu lo avresti retto

Non essere come l’Estate
Che veste le sue Solitudini
Di fiori sbocciati –

Sii per me l’Inverno
Che fa delle sue Silenziose
Nudità
Le verità che ascolterò
Chiudendo gli occhi

L’acqua salutava come una Regina
Scorreva, fuggendo dai raggi gentili -
I raggi si distinguevano
Vicini – senza toccarsi
Senza potersi allontanare

Noi – attenti al nostro fiato
Aspettavamo quel soffio troppo leggero -
E di farci sapere
Che si rovesciava su di noi
Con un sorriso di voliera senza lucchetti

Senza poterci toccare
Senza poterci allontanare -
Come i raggi – che fotografavi
Mentre sognavo di essere
Per un secondo eterno – il fiume

Se solo sapessi come andarmene da me
Senza dire Addio
A tutto questo Cielo indecente
Se esiste un modo per salutare educatamente
Questa maledizione – che non odio
Perché a suo modo mi vuole con sé
Vi prego, ditemelo

Ve ne prego – prima che io scompaia
Dentro di lei – e non trovi più una strada -
Perché sono troppo indifferente
Per essere così vicina a quel trofeo
Dopo cui il nero è così nero
Che ad ogni luce che saprà filtrare
Riderò in faccia

Così forte da farla dubitare – per poi
Voltarle le spalle – ed accettare l’invitante
Proposta di crudeltà del mio rassegnato scuro.
Quel momento è vicino – ed io
Mi sento troppo a casa
Quel momento in cui
Tutto sembrerà crudelmente Ridicolo
E dalla Tristezza non potrò tornare

Spero che potrai perdonarmi
Se il solo colore che riesco a darti
È quello dell’alone della luna sulle nuvole
L’arcobaleno più freddo che da qui si possa vedere
E, mio caro, il freddo io lo amo…
Ma è pur sempre notte – pur sempre buio..
Anche se sono i colori più belli che abbia mai visto,
E una volta dolcemente mi dissi che
La Notte, in fondo, è il minore dei mali -
È pur sempre buio intorno

Sicura che per tutta la vita sarò
Sul punto di soffocare – le pareti
Della mia gola franano ad ogni colpo
Di vento – bloccando la strada
A merci che non arriveranno mai

A farsi odorare – ne’ gustare
Perché ogni profumo ed ogni essenza
Che sfiori la mia lingua sono più invadenti
Di un’intera montagna che crolla nel Mare.
Ma non possono dissolversi

Consapevoli come sono del loro peso
Insostenibile cercano di nascondersi – di non
Farsi trovare – e forse non le vedo
Ma il loro peso non possono
Farlo portare via dai gabbiani affamati.

Così la montagna affoga nell’acqua salata:
Le mie lacrime non sono che gli schizzi
Di quell’enorme infrangibile aguzzo scoglio
Di pietra – che quando non riesce ad essere

Dolcemente lambito dalla brezza della spiaggia
Non sopporta il calore e la luce accecante
Che mi permetterebbe di riconoscerlo
E sprofonda nel mio Mare rosso sangue

Tutto brilla quando è coricato
Sulle lacrime – sono nuvole opache
Che velano di verità il freddo corpo
Del mondo lontano fuori di me

Per questo tremo – per questo mi sento
Scomparire – le mie labbra tremano
La mia bocca intera trema
In piedi sono ferro sciolto
Pronto per lo stampo – o per seccarsi
Informe – allora mi siedo – cerco del vuoto
Da fissare – ma non lo trovo

Sono così sola – così in mezzo al nulla
E non esiste neanche un vuoto in cui perdersi
Sono così sola
E non esiste stampo che mi ospiti gentile

Non esiste più niente – sono sola in mezzo
A un tutto che non riesco a sopportare
La pace è un ricordo lontano
Ma il tremore rientra –
Ed io conservo la mia forma stanca

Come quando dolore e fastidio
Ad un osso rotto di netto da tempo
Si fanno sentire quando l’odore
Della pioggia ancora lontana li invade:
Non lo sai più riconoscere
Ma un istinto primitivo
Sfoga la rabbia di non saper più dare
A questo sentimento un nome
Sulla fragile cicatrice bianca

A me così fa male il cuore – da lì
Parte il dolore – senza un apparente
Motivo - ed arriva al nervo da lui più lontano

Ogni volta che il brontolio prende fiato
Sembra di vedere il sole ritornare –
Nel Silenzio non posso che sperare
E dico: «Vedi sta passando»

Invece quei sussulti diventano
Una risata malefica
Un urlo stridulo
E arrivano profondi

A guardarti non s’è mai visto altro
Che un bambino – per sempre sarai
Come quel romantico apprendista innamorato
Della principessa altera del palazzo
D’un amore così folle agli occhi degli altri
Che non ha altro effetto che di nutrirlo
Di una follia sempre più incomprensibile

Ed io sarò quella contadina che per un giorno
Ricevette il tuo sorriso e ne respirò la pazzia -
Voi, così folle agli occhi della gente
Voi, così dolce e ingenuo agli occhi della contadina
Che ama l’amore che nutrite per lei.

Mi sarei accontentata
Di sfiorare i tuoi occhi
Come smalto trasparente –
Non ti saresti accorto di me – se non
Per un discreto luccichio

Invece - presuntuoso - hai pensato
Volessi cavarteli - e portarli via con me -
Hai avuto paura -
Ma non puoi permetterti
D'esser vigliacco
Quando le tue stupide paure
Sradicano i sorrisi
Di una semplice compagnia

Quando la Neve regna sulla terra secca
Tutto tenta di fermarsi
Lei fa si che ogni cosa rallenti – e
Quando lei è bianca – si illumini:

Il più orribile dei volti diventa etereo
La mano più lontana ti sfiora
E il più antico dei frattali – con delicata precisione
Si mostra dinanzi al cielo bluastro.

L’occidente – l’assassino che accoglie il Sole
Oggi è commosso dai fiocchi delle sue lacrime
Oggi gli concede di guardarla
Cadere pulita sugli Aironi.

Da sopra le stelle un cielo nero
Si adagia al suolo – con un lenzuolo di gelo
E i miei occhi – caldi di lacrime
Al tuo pensiero – osservano e guariscono

Spade di brina si scagliano sull’erba:
Trapassano le mie mani che – cercando di fermarle
Sanguinano – allora porto un dito alle labbra
E chiedo: «Silenzio…»

Disonesto con me – e crudele
Come lo è il bambino che tortura la lucertola
Una risposta così maleducata
A me – che non ti avevo chiesto niente

In quel verde sporco non ho visto altro
Che la spensieratezza di quella cascata
Che tempo fa si riversava su di me…
Questa volta la sua spuma
Non si calmava nel solito specchio d'acqua

Ma spariva in una voragine così nera
Che l’avrei detta un tappeto di formiche
Per la sensazione che avevo sulla pelle -
Ora vedo che nulla si muove – perchè era il Vuoto:

Ero piena di aria nera – stagnante
Forse un po’ umida – e di un silenzio
Così profondo che le mie orecchie caotiche
Hanno preso a fischiare

Sei stato Disonesto con me – ed io
Non ti avevo chiesto niente
Volevo solo passare un altro po’ di tempo
In quel luogo scrosciante
Soltanto ascoltarlo – non volevo berne

Quando sedevo sul grande sasso
In riva a quel fresco lago
Ne sentivo il calore ed il Movimento nel profondo
E mi nutrivo di quella leggerezza…

Ma era solo uno splendido quadro
L’acqua fresca solo olio secco
Come anche la profondità di quel lago
Un quadro firmato «Disonestà»

È incredibile come tutto – quel giorno
Fosse Grigio: il Cielo – con una rabbia silenziosa
Non perdonava neanche un raggio – l’Evançon
Era una tela grigia cosparsa
Di diamanti spenti – il rumore
Che facevano era sordo – la Coppa
Di pietra che raccoglie la valle
Non aveva il suo solito splendore

Di Speranza – il laghetto che poche ore prima
Brillava del suo azzurro calmo
E rifletteva le pareti su cui il Sole ama
Poggiare le labbra per dissetarsi –
Allora sembrava distogliere lo sguardo
Mostrando la rabbia che nascondeva
La sua profonda tristezza

La nostra valle ha fatto quanto ha potuto
Per non far vedere al Sole i nostri occhi
Ancora insoddisfatti - che non hanno potuto
Nemmeno guardarsi da vicino – Anche se sapeva
Non ci sarebbe stato un istante di futuro
Ha voluto darci questo mantello grigio
Per nasconderci nel nostro addio

Per quanto mi riguarda – un tuo Addio
Non mi farebbe più male di una fresca
Nebbia invernale – o dello sguardo
Indifferente di uno sconosciuto

Perché se sei la risposta e tutte le mie
Domande – avrei preferito arrendermi
Avrei preferito il Silenzio – al sapere
Che un’eco lontana di Discolpa

Esisteva – ed ha il suono della tua
Voce – e l’odore dei tuoi capelli
E la fresca spensieratezza dei tuoi
Occhi – con il loro superbo sguardo

Perché è inutile sapere le risposte
Se non ci sono più domande
Se quella fresca nebbia ora trova pace
Sul mio viso – prima di toccare terra

Se divento più acqua con lei di quanto
Lo sia sotto una cascata – Avrei preferito
Un Addio, piccola, non sono mai esistito
Avrei preferito mille volte il Silenzio della resa

Avvolta in una spessa coperta di mattoni
Calce tossica – e voi, folla di muratori
Ansiosi di lavorare – per nutrire
Le vostre famiglie – e soffocare

Soffocare una fresca erba verde
Come fosse gramigna della più infestante
E quindi sempre più sepolta – privata
Anche della lontana luce del sole

Zeus – il Dio più potente – può infuocare
Città intere – Distruggere con uno sguardo
Il granito e l’anima più impalpabile insieme
Non ha nulla sopra di Lui.

Ma di fronte a Eros scappa
Il Dio più potente perderebbe il suo trono
Per una stupida freccia
Scoccata da un allegro ragazzino.

Non dovevo far sapere agli Dei invidiosi
Il piacere del tuo sorriso – e l’abbraccio
Della tua mente – Dovevo nasconderli
E sussurrare a quei segreti
Nascosti tra le dita – solo parole vaghe

E non li avrebbero visti nei tuoi occhi
Perché non ti avrei guardato
Se tutto fosse apparso come un caso
Non ce ne avrebbero mai privati

Se lui fosse il mio letto – io sarei
Un’acqua che non trova pace
Fosse lui l’acqua non potrebbe che esser
Salata – ed io una spaesata rana
E se anche fosse dolce – io
Un affamato gabbiano

Lontananza
Mi chiedi di non dimenticarti
Quando mi accorgo ora che ogni canzone diceva
Il tuo nome - in ogni musica – come una profezia
C’erano le tue lettere – in ogni nota
Come una fumosa condanna indecifrabile

Mi chiedi di non dimenticarti!
Ed io ti domando invece dov’eri
Quando non capivo le parole
Quando le mie lacrime non sapevano
Dove cadere, dov’eri?

Il ricordo è l’unica arma che ho ora
Per combattere questa Spietata Dea
E la userò fino a che non si consumerà
Nelle mie mani – ed anche allora
Sarà così potente da farle ancora paura

Ogni volta che guardo la Luna
Riposa sempre con grande
Dignità – che sbuchi fra le nuvole
O domini un cielo intenso

Che sia piena di luce
O un sottile taglio netto;
Qualunque cosa io voglia sentire da lei
E chiunque voglia che lei sia.

Questa sera ho avuto un fremito
Di superbia: l’ho vista così semplicemente
Coricata – di un giallo tenue
Ed ho immaginato di essere io:

Vedevo nel suo colore le mie lacrime
Stasera il mio stomaco è il suo tenue colore
E tu sei questo cielo blu denso e leggero.
Affacciata alla finestra

Non vedo uno splendido paesaggio
Notturno - ma noi: io, timida
Ma sicura e dignitosa – inclinata
Sulle tue ginocchia – e tu

Che immenso – intenso
E avvolgente mi tieni sospesa
Ed in silenzio ammiriamo
Le nostre fiabesche montagne

Sale secco sulla pelle
Non avrei mai voluto lavarti
Via – adorabile
Ed insospettabile presagio di quel lontano
Gemello mai conosciuto

I piedi bagnati dallo stesso fiume
Sfiorati dalla stessa brezza
Che ci portava sugli stessi sussurri
Ad aspettare qualcuno
Che fosse stato capace di sentirli

Sei entrato da quello spiffero
Che non posso sigillare -
Nessuno avrebbe saputo trovarlo
Ma solo quello potevano vedere i tuoi occhi
Senza malizia – senza la volontà di violare.

Tu – insospettabile avverata previsione
Di quel salato presagio incomprensibile – Tu
Lontano Gemello mai conosciuto

Tormento – confuso sfocato
Scatenato insidioso Tormento
Trasuda da quel poco che rimane
Di quel libro consumato dall’incendio

In quei frammenti si è conservata
La filigrana del mio Casato
Una frase: «Merito di meglio»

In ogni parola di ogni capitolo
Era impressa – io l'ho sempre saputo

Volevo togliermi uno sfizio
Come una ricca bambina capricciosa:
Provocare Amore Profondo
In chi non ne era mai stato capace

Mai sono riuscita così tanto
In qualcosa – ma, egoista, non ho pensato
Alla mia cavia – da sempre nell’anima
Della carta: Merito di meglio

E tu non ne hai colpa:
Questo è il mio Tormento

Se solo ti penso mi spavento
Nelle mie camicie di forza -
I saggi mi dicono di guardare negli occhi
Quel sarto che le ha cucite sulla mia pelle -
Ed è proprio qui che si dimostrano folli...
Come posso cacciarti guardandoti negli occhi
Se dei tuoi occhi sono innamorata?

Ma ora che dici di amarmi prendendomi
A calci, ora ti chiedo perché queste catene
Mi impediscono di lasciarti
Se possiedo la chiave?
E cosa risponderò al fabbro
Quando, nel liberarmi, mi chiederà:
«Perché hai lasciato spazio
Alle catene che – cortesi – t’hanno chiesto
Se potevano imprigionarti? E perché
Se alla chiave bastava un giro
Non l’hai accontentata?»

Non avevo mai pensato al freddo
Come un dolore interno – Intimo
Come una Passione senza forze
Una Passione nella mia casa
Una Passione che implode -
Che tiene un pugnale
E fa riflettere nei miei occhi
Una flebile luce sulla lama
E sembra solo un lento risveglio
Dopo una Notte dolce
Una Notte di cui mi ero innamorata.

Non è stata l’alba a svegliarmi
Ma un freddo luccichio
E i tagli delle catene

Mio piccolo bambino viziato – così incantevole
Così incantevole che le tue pretese
Ti son dovute per natura –
Come ad un Re - il più fragile degli imperatori -
E' dovuta la sua corona

Sarò la tua balia – e farò finta di dormire
Quando farai il cattivo - farò ogni cosa
Sia nel potere di una schiava innamorata
Per alleviare ogni tua sofferenza
E rendere meravigliosa la tua giornata:
Ti terrò – mi farò tenere
Parlerò – tacerò
Sarò l’acqua del fiume – tu il mio letto

Tutto quello che verrà dalle tue labbra
Sarà per me il tuo zucchero o il tuo sale -
Sarà esaltato o dimenticato per farle sorridere -
Incantevole bambino viziato -
Che dormi
E sarà una dolce notte -
Ed apri gli occhi
E sarà il più luminoso dei giorni

Io non volevo disturbare - non volevo chiedere
E non volevo costringerti – come fanno le rime
Che tra di loro s’incatenano – no, noi siamo liberi
Versi sciolti – e nemmeno degli endecasillabi più alti...
Ma non lo capii - e decisi di sorseggiarti

Ti ho amato – per egoismo – ti ho amato
Per quella punta di lava sepolta nel tuo ghiaccio perenne
Ti ho stretto – ti ho conservato
E per paura – ti ho dosato

Ti ho amato – e t’amo forse così tanto
Che ho dosato ogni parola
Per paura di annoiarti – per paura che il nostro tempo
Finisse troppo presto – solo per paura
Che nell’impatto tutto svanisse

Mi sono innamorata di una Notte
E il giorno dopo già mi mancavi
Non eri più tu – già mi dimenticavi
Già tutto non era altro che un ricordo

Mi sono innamorata di una Notte
Che avrei voluto non finisse mai
Ma mi sono innamorata solo di una Notte
Che mi nutre ancora di paura di un’alba già finita

Un dolce letto di fiori morbidi
E calda paglia – è il luogo dove mi risveglio
Dopo aver perso i sensi per la troppa ira
E per la pericolosa sensazione d’esser sfinita

Tu, mio Dolce Piccolo Miele – sei
La sola fuga – colui che sembra salvarmi
Dalle minacciose spade di brace
Che mi circondano – chissà se è così remota

La possibilità che siano gentili – e tu ne sia la causa…
Ma questo non importa, ora – ciò che conta
È che sei il primo viso che vedo – il primo
Nome che sento – insieme all’odore dei fiori

E al tepore della paglia – sempre – ogni volta
Vorrei esser con te e il tuo Dolce Piccolo
Nome – mio Miele – vorrei affogare
Nel tuo dolce sapore denso – ogni volta voglio te

Quando le spine arrivano fino in fondo
Quando quasi si incontrano – mi addormento
E tu – sempre nascosto al centro del mio
Stomaco - tu dolcemente esplodi – tu

Piano e denso – ti mischi al mio
Sangue – mio Dolce Miele – e i miei movimenti
Si fanno più lenti – il respiro meno affannato
Quasi volo dentro di te – e dentro il tuo ricordo – galleggio

Aspettando che la noia ci colga
Svuotandoci nei nostri occhi
La nostra attesa ci sfiancherà
Sciogliendoci in un milione di pezzi

Aspettando di diventare un corpo solo
Stringendoci fra finti lamenti
Un’unica paura ci accompagnerà
Escludendoci in un incosciente attimo
Che il tempo non ha saputo riempire

Solo una volta ho sfiorato le tue guance
E ho sentito la pace – perché sei la mia Chiesa.
Un rifugio – un silenzio rassicurante
E il tuo nome – una Preghiera.

La mia Croce la fanno i tuoi occhi
Con le tue labbra – così vicino
Che il tuo odore era l’incenso.

Non mi resta che inginocchiarmi
E chiamarti
A mani giunte aspettare la prossima Messa
Perché tu sei la mia Religione.

Eri immobile come una pietra di fuoco
Con fremiti d’impiccato – e una luce folle
Completamente folle ti circondava – nervosa
Era centellinata dai tuoi occhi tranquilli – ma
Eri così bello che avrei finito per odiarti
Di bellezza morbida – i gesti di un lago
Troppo tranquillo – di un’assenza di vento
Movimenti afosi da cui essere finalmente schiacciata

Solo quando quel bosco spoglio coperto
Di Neve mi sfuggì dalle mani per la nebbia che odorava
Di uva – troppo fitta troppo bianca – in competizione
Con la viaggiatrice delle montagne
Arrivata ormai a meta – ed ora pesante

Allora ho capito che proprio come quegli spogli
Rami congelati mi sentivo comprimere – implodere ogni cosa
Sotto la pelle – le mani immerse – tiepide
Nella Neve freschissima: non potevo sentirne
La consistenza il peso la superficie l’odore
Ma solo un leggero sfrigolio sui polpastrelli
Silenzio! Ecco che ho chiuso gli occhi -
Non so cosa sto portando al viso con le dita
Ma non voglio muoverle più fino a che
La sensazione debole di abbandono non se ne sarà andata
Portandoselo via del tutto – per non arrivare alle mie guance
Stanche – talmente stanche del gelo da non sentirlo
Se non per quello che ordino loro di sentire

Bosco dipinto dalla nebbia aromatica – riscaldata
Da quella falsa stella superba – svelata solo
Dalle pentite sfocate nuvole che ci ignorano
E ci strozzano respiro e voce – le uniche impregnate
Di pura verità – opache bianche gelide nuvole

Bosco carico e stanco di tutto quel candido peso
Accoglimi tra le file dei tuoi alberi – sarò immobile
Più impassibile dei suoi morbidi gesti pazzi
Piccolo bosco fiero – lo faccio per puro egoismo
Voglio godere di ogni minimo cambiamento
Di quel volto così vuoto e così irresistibile
Quasi lo sentissi già l’albero più vicino
Che solo un colpo di vento sarebbe così inconsapevole
Da farmi l’inconscio favore di poterlo graffiare

Bosco meravigliosamente sfigurato – di chiederti
Anche di permettere alle mie radici di allargarsi
Fino ad annodarsi alle sue – che poi strozzerei –
Non ne sono capace – ma di allungarsi fino a strappargli
Il prezioso nutrimento invernale che rimane
Per sgomentarlo come sa fare solo lui
Ci posso provare: lui fuggirà – come solo lui sa fare
Voglio scuoterlo come solo i suoi folli motivi possono farlo

Folle – pazzo da farmi paura – tremo come se fossi
Nel mio panico – morbido quando ritorna – indifferente
E poi di colpo con tutta l’attenzione sulle mie fronde
Incendiate dai suoi gesti sfocati – non riesco
Ancora a capire quanto sia vera
La favola degli occhi muniti di forti braccia
Per sequestrarti determinate, ma caute, dentro il folle mondo
Che li ha creati – come fosse l’istante esatto in cui
Perdi coscienza e inizi a sognare

Folle – pazzo da farmi paura – tremo ancora
Per la tua morbidezza – per come follemente si accompagnava
All’insensatezza dei tuoi movimenti così tanto di velluto
Sparisci come il fiocco di neve fresca e giovane
Nelle mie mani tiepide con i tuoi occhi così
Profondi con uno scintillio così debole
Che farei fatica a respirarli – scappi
E mi fai paura – ma torni morbido e stellato
Come neve fresca e giovane sotto il sole obliquo
E il vento mi porta il tuo odore
Il vento mi spinge verso i tuoi rami carichi
E le mie radici si danno pace
E la nebbia di tabacco all’uva ci separa dal mondo caotico
La nebbia ci scorta nel nostro esclusivo incompreso silenzio

La nettezza di un sole in un limpido tramonto d’Autunno
I suoi precisi contorni, definiti: rosso
Arancione – il suo lento appassionato
Muoversi – abbassarsi nella nebbia, dietro le montagne

Fosse un inno alla perfezione della natura – non starei piangendo
Se mi stessi inchinando al tempismo della luce – sarei distesa
A guardarlo – e sentire l’odore aspro delle stelle
Abbandonarsi su di me – e diventare blu denso e leggero

Non fosse il tuo viso ad essere così desiderato – se non fosse ormai
Notte – perché cos’è la Notte se non l’attesa – il desiderio
Di rivedere l’alba? Non il giorno, ma l’alba – dove posso desiderare
Ed averne abbastanza di pensare al tramonto?

Fauci immobili – così sono i miei dubbi
Mi sbraneranno – o mi riscalderanno con il loro fiato?
Ma che nessuno osi portarmi via – vi prego
Fuggirei da voi come da un giorno senza fine

Gioirò diventando un pasto
E mi innamorerò ugualmente della pietà del mattino
E del suo riflesso sul giallo canino che saprà perdonarmi

Disarmante – come un pensiero che non sa
Dove posarsi - disperata come la ricerca
Che precede l’attimo in cui
Chiudi gli occhi, prendi fiato
E t’illudi che il Cielo capisca:
«Sto bene» – «Sto bene
Anche se questa canzone
È troppo bella
Perché possa ascoltarla tutta per me
Per me sola
Anche se non riesco a contenerla
E quello che ne trabocca
Ne esce salato
Saturo di insipidità
È tutto a posto
Sotto la sua luce gialla:
L’unica che si riesce sempre a scorgere
Che ogni volta che voglio guardarti
È sempre immobile
Sempre senza espressione
Quasi la odio
Scruta oltre la mia testa
Mi guarda attraverso
E se ne frega se io non ho nessuno
A cui pensare mentre sto ascoltando
Questa canzone che mi cammina sul cuore
E spreme lacrime inodori
Lacrime di nessuno
Senza colore
Se non quella leggera sfumatura gialla
Quel giallo lontano altero indifferente
Gelido del riflesso di Venere».

Il suo odore mi addormenta
Mentre conto le sue quattro zampe
E sfioro il suo morbido mantello.
Amo dormire con i suoi occhi nocciola
Il suo respiro non è nascosto
Sorrido mentre sogna le sue corse nella neve
E mi perdona quando cambio posizione

Lui è il mio amato imprigionato
Dall’incantesimo della strega cattiva
Ne sono sicura
Perché lo dicono i suoi occhi nocciola
Perché conosco il suo respiro
Come se mi avesse addormentata per tutta una vita
Perché se lo sveglio
Risponde alle mie smorfie – dolcemente
Perché le sue corse sono le guerre
Che ha combattuto per tornare da me

Questa, delle mie righe, è una paziente vita dispari:
Torneremo a dormire sotto il reale baldacchino
E – mio Re – respirerai ancora pesante sul mio braccio
E non ti disturberò nei tuoi sogni di vittoria

Baciami con tutto il grigio del cielo
Lo voglio tutto in una carezza
Non fare distinzioni – tutto il mio corpo
Si riempirà di questo non colore

La tavolozza del pittore non saprebbe darmi
Tutta questa densa quanto vacua libertà
E non saprebbe farsi graffiare in questo modo
Dagli alberi allievi del cielo

E non dovrai preoccuparti di nient’altro
Perché se amerai luce ed azzurro
Sarà quello che solo vedrai avvolgerti

Alghe d’inerzia – belle come capelli corvini
Resistenti come code di sirene incuranti
Giocano con le mie caviglie -
L’acqua degli abissi mi renderà cieca

L’acqua profonda è così morbida – tiepida
Che mi dimenticherò di lei – e dell’aria.

Sotto il sole stringevo il gelo in una manciata di spilli
Mi sfioravo il viso impastando sangue e lacrime:
Trotterellavano sulla mia pelle che - finalmente
Si seccava si crepava si sbriciolava

Ed io – minuziosamente non ho mai fatto altro
Che ricomporla – ed ora altro non chiedo.

L’acqua tiepida è così insipida – anche se
Con il sale il sangue si apre come asfalto
Quest’abisso ne’ buio ne’ accecante
Non mi lascia spazio per piangere
Mi intrappola solleticandomi i piedi.

Potessi riavere la mia aria gelida
Un suo schiaffo ed un calcio
Per ricomporre i miei frammenti
Nelle domeniche di pioggia!

Cuore deforme di felino selvatico
Ogni passo – un agguato
Ogni riposo – in allerta
Ogni sguardo – famelico

Ma quanto saprebbe essere delicato
Se solo la vittima non avesse paura!
Se solo non fuggisse
E lo guardasse negli occhi!

Sarebbe uno sguardo d’amore profondo
E nessuno sarebbe più al sicuro di quella preda -
Ed i suoi occhi pieni del suo respiro
Limerebbero il cuore deforme dell’obbligato felino

Avevo una Rosa un tempo
Ma il tempo l’ha appassita
Una Rosa con petali di lama
Ora così arrugginiti
Da far solo compassione
Pericolosa solo per tetani
A cui sono già vaccinata

Ma com’era dolce il suo nettare!
Solo a guardarla la mia sete impazziva
Anche delle sue spine!
L'unico fiore che ancora voglio portare
Fra i capelli.

Siete tutti spariti quando vi ho cacciati
Siete tutti fuggiti quando tentavo di trattenervi
Non ho più visto nessuno quando –
Dopo avervi ignorati – vi ho cercati

Solo una gemma non ha paura della mia pelle strana
E delle mie mani mal fatte vestite di macchie d’inchiostro
Distratte da ogni colore – da cui tutto sfugge
Solo una gemma non ha paura delle mie dita.

E nulla mi abbraccia come questa stanza
Stento ad aprire la finestra – per non dividerlo
Neanche con la Primavera – quest’abbraccio
L’unico che posso ricevere per niente in cambio

Lei sarebbe stata felice di cedere il posto di guardiano:
Ma la pioggia non ha potuto – il sole era troppo superbo
Tu sei troppo distante – di te non si è fidata
E a tutti continua a sbattere la porta in faccia

Le Sirene vedono netti i fondali
Ed i pesci più colorati nuotare nel vento
Perché hanno pianto così tanto
Che se morissero sulla spiaggia
Ne resterebbe solo il sale di cui i loro volti
Si sono intrisi – spugne dimenticate
Hanno pianto così tanto
D’averne saturato il mare

Non sono esseri malvagi
Ma creature sfinite – che pur di variare
Nel loro dolore ti scioglieranno nelle loro lacrime
A te che sei dolce – per darsi un minuto
Di pace – e soffrire ancora una volta
Del sale nei loro occhi. Scusami
Se oggi, nell’acqua del mare, mi vedo attraverso

È così nauseante non avere fame di niente
E la sete di Sete non può avere lo steso nome.
È affogare in un fango dolciastro
Avere fame di Fame di Sazietà – lo cercherò
Discretamente perché non se ne accorgano

E per nascondermi nella mia sete di Sale
Disgusterò fini tragedie piene
Per risanarmi nell’illusione di aver ritrovato
La mia vuota di vero Vuoto Voragine

Un vuoto da cui mai, per sua natura, sarò raccolta
Ma sarà un supremo Vuoto con l’unico limite
Dei lineamenti di un corpo maestro
E la mia sete potrà bere la sua Sete
Grazie alla coppa che ne segnerà i confini

Fra queste cento pareti viola scuro
Tutto quello che riesco a vedere
Lo vedo chiudendo gli occhi
O affidandomi con rispetto e timore
Al cartoncino di potenti copertine
Come un cane che annusa ansioso
Il volto addormentato del suo padrone
«Ehi, è l’ora della passeggiata!»

Niente compete con i miei occhi chiusi
In un devastante delirio di possesso
Con l’unica meta della Dimenticanza
Di un oblio così sfrenato
Da presentarmi a me stessa ogni secondo:
Mi afferro per la nuca e mi affogo
Mi strappo i capelli e prendo fiato

Perché in un disegno così vivace
Il cielo è sempre nero
E l’erba sempre marcia?

Sempre sullo sfondo quella
Malinconia – sembra essere
Nella cornice – nella tela
Di quello stesso quadro

Nell'ora dei lamenti della più regale sofferenza – Cosa posso
Chiedere al Cielo – Lui cosa ne può se per tutti
È l’ultima risorsa – non l’ha voluto Lui
D’esser così immenso – di sembrare così potente

Una risposta, a volte, sembra tentare
Di soffiarla giù per noi – non troppo forte
Per non farci male – così delicata – perché
Con la sua potenza teme di distruggerci

Così riservata, a volte, che nemmeno noi
Riusciamo a tradurla – ma mio Cielo
Cosa devo fare? E come posso pensare
Che Tu – nel tuo azzurro – blu - nero profondi
Non contenga la risposta?

Quando il Sole è coricato sulle nuvole
Invernali nuvole di fredda plastica opaca
In quelle giornate ci si ricorda
Che il Sole è soltanto una fra le stelle più piccole

Lì è un cerchio pieno – ma senza profondità
Come lo disegnano i bambini:
Solo quel vapore di lacrima grigio chiaro
Riesce a svelare il segreto del Sole
E di ogni altra Verità

Torino è lontana
Caro mio paese - figlio di malevole chiacchiere
Esilaranti e sempre vere - quando parlan d'altri:
Le raccogli con il sorriso di un Dio ironico
Tu, che solo guardando i nostri lineamenti
Sei capace d'esser sicuro della fine che faremo

Torino non potrebbe farlo! Come potrebbe
Conoscere così tanti volti - e curare così tanti
Segreti - se da lei ci si rifugia per poter essere
Nessuno in santa pace?

Caro paese, qui - quando il silenzio si fa caparbio -
Vorremmo volare per nasconderti i nostri passi...
Mentre laggiù, per carpire un sussurro, devi pronunciarlo...

Qui esiste qualcuno che con un blando
Guinzaglio di corda porta in giro una pecora bianchissima
Per poi lasciarla brucare in un piccolo prato
Insieme ad una capretta di nome Neve!

Qui il Matto è il nostro stemma -
E' considerato il più saggio di tutti noi messi insieme
E ad ogni elezione tutti dicono che, potessero
Lo proclamerebbero sindaco

Torino cominciamo a conoscerla come premio per liceali
Guadagnato propinando bocconi di responsabilità ai genitori -
O come meta salvifica delle nostre tagliate...
Fino a quando non diventa un tardo sabato sera -
O una faticosa lezione mattiniera all'università...

La verità è che Torino è meravigliosa,
Ma io non ho occhi abbastanza grandi...
Torino è musica, ma alle mie orecchie serve silenzio...
Torino è movimento, ma io preferisco vederla da lontano
E fotografare la collina immobile dal mio balcone

Da qui Torino è lontana...
Non solo una ventina di minuti e qualche manciata di chilometri...
E' lontana miliardi di silenzi, sguardi, attenzioni
Odori e pozzi pieni di allenata pazienza...
Spazi incolmabili per piedi abituati più ai sentieri che all'asfalto.

Solstizio di follia
C’è qualcosa nell’aria di stasera
Uno spettro pazzo – una presenza
Insidiosa – incarnata nei nostri

Istinti – una Follia misteriosa
Una di quelle notti che alla luce
Del mattino si confondono con i
Sogni – Cosa è successo? – Ora

Ritorna quel magico
Brivido di potere: pacato
Delirio di onnipotenza – appagato
Il dissimulato Desiderio di Soddisfazione

Brilla una Follia di Desiderio nell’aria
Di stasera – si distingue netta la voglia
Di abbandonarsi mano nella mano
Con l’Istinto animale

Abbandonarsi alla Sfida:
Urlare a squarciagola senza paura
Di fare troppo rumore

Piacere è Assaporare – Piacere è Passione
La Passione è Intima: il Piacere è Profondo.
È l’Impazienza di non averne mai abbastanza
Averne abbastanza di non saper dire
«Basta!» non avere la fermezza
Il Controllo di dire: «No»
Piacere è non avere Controllo.
Non dipendere – solo camminare paralleli
Così intimi da confondersi
Sfiorandosi – non dipendere – ma assaporarsi:
La Profondità non può avere bisogno di Controllo

Il Coraggio fa paura – ma non a voi -
Che sedete comodi deridendo Leoni in gabbia

Voi non sapete che se il Coraggio è una spada nel cuore
Desiderarlo è sentirsela sfilare ogni giorno
Illudendosi che la ferita si possa rimarginare

Che notte, la notte dolcemente fiorita
Di stelle – figlie disobbedienti al buio
Severo padre – ma coperte dalla loro
Buona madre che – con un sorriso di pietà
Diverte le sue bambine raccontando loro delle favole

Le culla con le fiabe che ci appartengono – le nostre
Storie – e loro, nella loro ingenua immortalità
A volte piangono – a volte ridono
E osservano nei nostri visi riposanti
I residui – a volte i segni profondi - delle nostre avventure

Mentre il buio, padre troppo occupato ad incutere terrore
Tenta di soffocarle – loro, ascoltando
I nostri sogni – non possono fare a meno
Di brillare – e non avranno paura
Di raccogliere le nostre lacrime

Credo che se a 20 anni sei già
Rassegnato a non cambiare il mondo
Vuol dire che c’è qualcosa che non va

Se a 20 anni sei già candidato
Ad essere uno scorbutico rivoluzionario
In pensione – quel qualcosa è dentro di te

Anche se sepolto molto profondo
Giorno per giorno – a volte a palate
Altre grano per grano
La terra se ne andrà quasi tutta

Se a 20 anni sai già che diventerai
Una sconfitta convinzione – utile solo
Alle nuove leve – che di te penseranno soltanto
«Non diventerò mai così» – anche se mai
Come in questo caso il fine giustificherebbe il mezzo –

Se a 20 anni sai già tutte queste cose
Bè, c’è davvero qualcosa che non va…

Vento – portati via queste nuvole
Sono così nere – sembrano così arrabbiate
Sembra che voltino le spalle
A un dolore che non vogliono affrontare

Vento – portati via questi lampi
Così sottili – sorridenti – così luminosi
Rispetto al cupo tuono a cui sono legati
Come una sposa maltrattata – ma innamorata

Vento – portati via quest’aria elettrica
Tutti questi rumori – queste gocce così solidali
E freddolose che si stringono come animali
Per scaldarsi uno nella pelliccia dell’altro

Mio ferito temporale – solleticato dai fulmini –
Perché ora non accetti le carezze del vento
E i suoi abbracci – perché non ti apparti
Con il morbido vento – e non gli racconti tranquillo
Del dolore che rende le tue nuvole nere?

Sono un essere della notte
Che ha paura del buio
Non ridere di me
Non lasciarmi piangere

Il giorno lo ripudio
È troppo lungo – e comune
Ma la notte sembra non finire mai
E non la bramo nella luce

Il sonno mi spaventa – ma so
Che è l’unico mio riposo
L’unico compagno da cui la Solitudine
Non mi può separare

I tramonti annunciano dolore
Ma sono così attraenti!
In quell’eterno attimo in cui osservo
E non comprendo – infilo la loro fede al dito

Potrà qualcuno innamorarsi
Della gramigna? – Che qualcuno mi raccolga!
Vorrà tenermi accanto ad una finestra
E mostrarmi? – Questa, signori, è l’erba
Che ha infestato la mia anima!

In questo prato piove – e per il fango
Non posso oscillare con il vento
Mi vedrà mai qualcuno – e potrà avere pena
Per un’erba che non ha colpe?

Se questa giornata di ventosa Primavera
Si fosse portata via tutta la mia Attesa
Starei pregando la mia Solitudine
Di starmi, per favore, vicina

Nemmeno respiravo quando quell’aria così giustamente
Violenta quasi mi teneva in piedi –
Non potevo respirare mentre mi ripuliva
Da ogni brandello inutile
Per restare la sola nei miei ricordi

In salvo da quegli artigli
Che sfilavano prudenti sulla mia pelle
Per trascinare con loro ogni polveroso cimelio:
Per questo ho pensato
Che si fosse portata via anche la mia attesa

Come vorrei esser uomo
Per cantare le stranezze di una donna –
La sua stravaganza di ghiaccio
Godere di lei che m’ignora altera
Come una stella che si crede luna

Un uomo potrebbe accarezzarla con estrema
Dolcezza senza stupirla – solo
Discretamente soddisfarla – e lei
Ringrazierà il cielo per quella nebbia fine
Anche se la sua gola sarà così secca
Da farle male – a lei basterà

Come vorrei essere un uomo
Ed avere quella carezza
Dolce per natura – e non per amore

Cosa può fare un uomo,
Se non grezzamente rubarti il cuore?

Mi ero promessa che mai più
Avrei ceduto – debole e fragile
Hai bisogno di forza – mi dicevo
Soffrivo – e le promesse – nel dolore
Sono fragili appigli

La mia è la forza di volontà
Dell’istinto – affidabile
Come una poesia fra le lacrime
Solida come le lacrime stesse
Ed è bastato un panno
Di pelle tremante
Per dimenticarmene

Se guardo le mie mani e le vedo abili
E' solo perchè hanno stretto le tue
Perchè ti hanno addormentato e curato.

Se sfioro la mia pelle e la sento vellutata
E' solo perchè amavi accarezzarmi
Segnare i miei confini per rendermi reale.

Se guardo il mio volto e lo vedo luminoso
E' solo perchè ti perdevi nelle sue linee
E perchè tornavi solo per dirmelo.

Se mi sorrido è solo perchè per te ho pianto
Per la gioia d'averti, quindi, dato tutto - la più bella
Per te - che bella come nei tuoi occhi non lo sarò mai.

Io non so far altro che essere nuda.
E quando dovrò nascondermi
Non metterò nessun vestito
E nemmeno mi coprirò con una mano.
Ma mi rannicchierò -
O ti volterò le spalle.

Ancora ferita ancora da te
Che guardasti la Luna nei suoi
Miliardi di occhi uno ad uno -
E minacciando Morfeo con un rasoio
E tutto il tuo odio - dicesti loro
"Se lei non sarà mia
Nemmeno voi potrete averla"

Quanto poteva importare a loro
Di una piccola tenia rabbiosa - quando avevano
Un intero mondo da portare avanti...
E fu così che - la Luna con una lacrima
E Morfeo con un'alzata di spalle -
Mi abbandonarono - ed in tua presenza mai più
Potrò godere della notte e dei suoi sogni.
Così dicesti, ed oggi ancora rinnovi la tua promessa.

Se un musicista sordo compose
Sinfonie immortali – muovendo le dita
Sul ricordo – e sulla memoria del suono di quelle
Mille mani bianche mal coperte di smalto nero

Allora è possibile – anche se remoto
Che dall’angolo polveroso in cui forse conservo
Quelle sostanze capaci di sciogliere
Quello che sembra un destino
Scivolato nel limbo
Che esse possano riemergere
Come un tenero ricordo d’infanzia

Se quelle bianche dita verniciate
Nelle loro armoniche vie di mezzo
Rapivano e liberavano quelle rugose del genio

Traspirando quel canto d’amore
In cui ogni nota è un battito
Ed insieme suonano la serenata più pura:
Quella del battito di un cuore innamorato

Se ciò è possibile – posso sperare
Che il mio dolore mi esasperi
Perché sento il mio nome
Ma non vedo una bocca che lo pronunci

Sussurri di classe altolocata la mia pelle
Emana – di un odore fine per nasi sopraffini
Sempre impunemente coperto dai forti profumi
Di marche costose – che sanno solo
Del vomito dell’alcol e dei suoi fumidi discarica

La sete che trasuda il mio sangue non è per tutti
Ma solo per i pazzi – perché così sembra – il velo
Che li protegge li lascia uccidere dai miei fini
Lamenti e dalle spine dei rovi cattivi

Perché la folla è fatta di cercatori d’oro
E il poeta raccoglie nelle sue fauci assetate
Quello che il loro setaccio grossolano si lascia
Sfuggire – e avidamente porta tutti quei rifiuti
Nel suo più intimo nascondiglio: le sue pagine

Invisibile – carta velina in una folla
Di compensati urlanti – ogni loro
Scheggia strappa silenziosamente le tue fibre
E l’acida colla che ti tiene in vita
Non fa che corroderle dolorosamente

Ti guardi – tu stessa ti vedi attraverso
Piccola – così piccola e trasparente
Che neanche riesci a sentirti sola
- Che significherebbe esser sola con te stessa
E tu non esisti –

Ingombrante – occupo più spazio
Di quello che mi spetterebbe – e questo
Supplemento di affitto del mondo
Lo pago caro – ridotta in miseria

In miseria – e per questo legata
Mani e piedi in ogni piazza affollata
E sono ingombrante: tutti mi vedono
E ridono – tutti mi vedono – e mi evitano
Tutti mi vedono – e se ne vanno

Se ogni peso vorrebbe esser leggero
Se ogni tormenta avrebbe più pace
Fosse una leggera brezza
Se ogni schiaffo sarebbe più pianto
Fosse una carezza
Se un masso ostruisce un’intera strada
E con un fiocco di ghiaia puoi giocare
Come un bimbo che torna da scuola
Se fossi impalpabile
Potrei volare

Se l’umana forza ha un limite
Di fronte al peso – non può averlo
Per la leggerezza
Ma sono così densa – occupo così tanto
Spazio che i miei passi bucano - che provo
Vergogna per il mio sguardo invadente
Che controllo ogni movimento e respiro
Per non penetrare nella folla
E per illudermi che chi non mi vede
Possa provare pietà

Se ogni ingombrante peso aspira a diventare
Polvere – non di fata, non di stelle
Solo quella secca polvere di sporco
E un sottile manto di seta – mai
Una pesante pelliccia informe

Si capisce che la leggerezza
Anche se estrema – avrà solo inchini
E una pesantezza – anche se appena esistente
Solo ghigni – e voglia di scomparire

Appartata nel suo Ripostiglio impolverato – Liberandosi
Lentamente dalle possessive ragnatele – giace ansimante
La Rabbia – Mostro alle mie orecchie – Donna Rapace
Sui miei occhi – non conosce vera pace – solo Attesa

E nell’attesa parla al Buio – che l’abbraccia
Per necessità – e con timore – perché il Buio
Ha ogni potere – ma non quello di poter scappare
Da se stesso – e non può fare altro che osservarla:

La Rabbia non conosce le nostre menti
Ha solo occhi imperlati di urla – e di silenzi
Ha solo denti appuntiti – e labbra indispettite
Dai propri rigurgiti – spaventate dai propri ruggiti.

Lei giace – per poi scattare allo spiraglio di luce
Che le lacera la pelle costantemente dolorante -
E solo Lei sa quanto ha atteso quella bruciatura
Per potersi sfogare – ruggire – urlare disperata:

Solo Lei conosce il Piacere di concedersi alla Disperazione
la Pace che si prova alla fine di un pianto
Gustando la preda dopo l’agguato – per tornare
Così nervosa – ma così sazia – nel suo Ripostiglio

L’Infinito – Rancore eterno
Dell’Illusione dell’esistenza
D’una mia Razza
Parole d’acqua – la specie Invisibile
Di Piante dai Leoni Viola

La Sorgente che guarda verso la cima
La aspira – senza sentirne l’odore
La piange – sentendone il Rancore
D’una spiaggia senza mare
D’un corpo senza cuore

Razza nata dalle lacrime
Rabbia d’Infinito Languore
Resistenza al senso del Pudore
Cuori agli ordini di una spietata Lima
Solitaria Razza d’Infinito Rancore

Avevo uno strappo – era una ferita
Così incantevole: continuavo ad accarezzarne
Le labbra – perché l’amavo
E non potevo sopportare che si rimarginasse

La ripulivo da ogni estraneo corpo:
Era insopportabile la vista dello sporco
Su di lei – che, parte di me,
Mi puniva con infezioni violente

Voleva tutto il mio corpo – incurante
Del fatto che mi avrebbe uccisa:
Resistetti con tutta la mia forza per non consolarla
Ed infine urlai perché il prurito era troppo pungente

Guardare la cicatrice che oggi ne rimane
Così bianca – e senza vita
È un dolore che non mi nego:
Non fosse per la netta memoria del sangue
E della carne viva – la direi, ora, dolce

Disobbedisco – oggi
Perdonami, Bellezza – se non vi nutro
Dei desideri che vi desiderano
Perdonatemi se non voglio avervi

Ma non portatemi rancore:
Nel seguirvi mai una volta
Mi avete premiata:
Io non vi desidero più

Io, a questa fine, mi arrendo:
Mai più ci proverò
E cederò, invece
Alla tenerezza della vostra timida sorella

Il peggior tiranno è colui
Che con la dolcezza
T’impedisce i movimenti
Ma che proprio quella sua delicatezza
Non intacca i pensieri:
Libera e colpevole
In bilico tra il libero
Istinto umano che impone
Passione – e la scure
Del senso di colpa

Resa, da te, tiranno di me stessa
Certo non risparmierò
Di strapparmi le lacrime più amare

Sono così fiera di essere Buio
Che posso guardare ogni luce senza invidia
Ma con orgoglio – perché se non esistessi
Non avrebbero dove brillare

Sono così fiera di essere Silenzio
Perché posso ascoltare ogni voce – anche quelle
Più dimesse - senza spaventarle

Sono così fiera di essere Silenzio
Perché senza di me i rumori si odierebbero

Sono così fiera di essere Buio
Perché non saprei addormentarmi
In nessun luogo che non sia il ghiacciato
Terreno di un sentiero battuto

E non cederò alla tentazione di voler diventare
Il miglior Silenzio nel Buio più pesto

Chiedimi una carezza – e l’avrai
Uno sguardo dolce – o tutta la mia pelle
Fino alla più dimenticata cicatrice
Chiedimelo, e l’avrai.

Ma d’amarti no – di amare non sono capace.
Se vuoi che t’ami come ogni volta mai
Ho amato qualcuno – scappa, e non tornare:
Avrai le mie lacrime e tutti i miei desideri

Perché fra le mie braccia non c’è nulla
Tranne maree che oscillano tra un’impotenza insopportabile
E l’oblio più disperato – scappa da me
Se vuoi che ti ami davvero

 


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