Khadija e
la luna piena
J
L'aula del Tribunale
di Suck el Giuma era affollata e il maestro che, per la prima volta
in vita sua, era stato chiamato a testimoniare osservava timoroso e seccato
le procedure di rito per l'avvìo di quel processo che vedeva un arabo
accusato di tentato omicidio.
Il Qadj
(1)
non aveva ancora preso posto alla sua Cattedra nell'ampio salone e
l'accusato con le manette ai polsi, fra due "police" (poliziotti)
armati di fucile, con le spalle alla parete sotto la gigantografia del Re
Idris Primo, attendeva seduto sulla lunga panca di legno stile novecento
fascista; a destra un tavolino al quale aveva già preso posto il
Cancelliere con i suoi ...... attrezzi del mestiere, cioè calamaio di
inchiostro, penna e varie scartoffie. Un altro policeman faceva la
guardia ad una porticina dietro la Cattedra e quando il cancelliere diede
il segnale comandò:
-"In piedi ! entra la Corte
!"
E la Corte entrò. Era un
ometto sulla sessantina in palandrana nera e con la solita taghìa
(2)
rossa che lasciava
intravedere la linea candida della sottotaghìa che ogni raffinato
professionista portava in bell'evidenza come simbolo dell'igiene e
della pulizia . Sedette e il Cancelliere fece segno al pubblico che
poteva anch'esso sedere: ma era inutile routine perchè in quell'aula non
c'erano sedie, la gente stava tutta in piedi.
Il Qadj dopo aver
confabulato con il Cancelliere chiamò alla sua Cattedra i rappresentanti
dell'accusa e della difesa e cioè un Ispettore di polizia per l'accusa e un
avvocato, arabo,
per la difesa; poi chiese
all'imputato se era pentito.
"Di che cosa dovrei essere
pentito ? Io non ho fatto niente di male e non so perchè mi hanno
arrestato." -rispose l'accusato.
Il Qadj non lo degnò
di una risposta e chiamò il primo testimone dell'accusa, cioè il maestro.
-"Tu sei il muhallim
(3)
italiano di Ain-Zara
(*),
vero ?" -chiese- "Hai dato le tue generalità al Cancelliere? Sì ? Va bene.
Conosci l'imputato?"
Prima del maestro rispose
l'imputato :
-"Certo che mi conosce ! che
bella scoperta; lui conosce me e io conosco lui ! Tutti mi conoscono ad
Ain-Zara ! Tu gli devi chiedere, ya effendi
(4)
, se mi ha visto dare la coltellata a quel rumy
(5)
traditore! "
-"O scut, ya
hammar ! "
(6) -lo zittì
irritato il Qadj-
---"Inam, sciucran, ya
effendi !-
(7) Ancora
non erano di moda i films americani di Perry Mason altrimenti avrebbe detto
"Vostro onore".
"O scut, ya hammar
!" - ripetè il Qadj - "Un'altra parola e di scaccio dall'aula." E mentre
uno dei Police affibbiava un colpo col calcio del fucile al povero
detenuto, rivolto al maestro :
-"Rspondi
maestro, lo conosci ?
-"Si signor Giudice, lo
conosco; si chiama Alì ben Hamed e lavora a mezzadria nell'azienda agricola
del Commendator Diodoro Macaluso, ad Ain-Zara.
2
Il maestro aveva
conosciuto Alì quella notte in cui mister Trothon si era addormentato sulla
"tabbia", il terrapieno che divideva la strada asfaltata dal grande cortile
della Scuola italo-araba di Ain-Zara, un centro agricolo a sud di Tripoli
con le "concessioni"
(8)
di Franco Ingravalle,una delle più estese e produttive con pingui aranceti
ed estesi uliveti; della Società Gondrand, temporaneamente in affitto ai
Fratelli Di Franco; del Commendator Macaluso, il segretario generale del
Comune di Tripoli ritiratosi a vita privata dopo l'occupazione inglese
della Tripolitania; del dottor Lanza, il medico condotto filosofo, e la
grande azienda agricola del Carcere. Il maestro era in amicizia col fattore
di questa Azienda , Pietro Convertini, che aveva due figlie di nove e
undici anni, Elia e Palmina, che frequentavano la quarta e la quinta classe
; tramite, appunto, Convertini, aveva conosciuto mister Trothon, un ex
capitano dell'Armata inglese che gravemente ferito nello sbarco in
Normandia con le forze alleate della seconda guerra mondiale, nel giugno
del 1944, dopo lunga convalescenza e l'avvento della pace, era stato
promosso e inviato in Libia a prestare servizio in qualità di Direttore del
Carcere di Ain-Zara.
Due volte la settimana,
nel tardo pomeriggio, Mr. Trothon si concedeva la “libera uscita” e in
sella alla sua motocicletta militare BSA si recava a fare una…...visitina
al Bar di Tonellotto, a Miani, il piccolo agglomerato urbano a circa sei
chilometri da Tripoli e altrettanti da suo
Carcere. Lungo il percorso di
andata si fermava alla Scuola per salutare il maestro e il più delle volte
per convincerlo ad andare con lui a bere una birra. Una sera in cui si
sentiva particolarmente irritato e critico nei confronti della famiglia
reale della sua Inghilterra perchè la Principessa Elisabetta, futura
Regina, aveva sposato Filippo Mountbatten da lui considerato un "faken
greco" proprio in quel fornito Bar di Tonellotto fece il "pieno"
tracannando diciotto bottigliette di birra OEA
(9)
Il maestro anche lui
in quell'occasione bevve più del consentito dalle sue abitudini, sei
bottigliette, un quarto di una intera cassa, e si sentiva un po' girare la
testa: non voleva salire sulla motocicletta per tornare a casa ma
mister Trothon con un linguaggio misto italiano-arabo-inglese :"tu no
young...you very sciabani ! Io no drunk as a lord, io only sacran poco
poco" (cioè : Tu non sei giovane,sei molto vecchio; io non sono
ubriaco marcio; sono soltanto un poco brillo!) lo convinse a
seguirlo. Paurosamente ondeggiando la BSA. arrivò fin quasi davanti alla
scuola ; mister Trothon tentò di fermarsi per far scendere il maestro ma
sbagliò manovra e rovinò sul bordo di una "tabbia" (terrapieno) dove si
addormentò tranquillamente. Era ormai buio e il maestro non poteva
lasciarlo lì steso e andarsene a casa. Anche se un po' "sbronzo", mise in
moto la sua Fiat 1100 "Calandra" che teneva parcheggiata davanti alla
propria abitazione e si
apprestò a caricare l'amico
addormentato per portarlo al suo Carcere. Ma ci sarebbe voluta una gru per
sollevare quell'omone di un metro e ottanta e quasi cento chili di peso !
Chiese aiuto ad alcuni arabi che transitavano a quell'ora e fu così che
aveva conosciuto Alì ben Hamed, un buon uomo sulla cinquantina, rispettoso
e beneducato.
3
Carlo G. , un bel
giovanotto figlio unico di un piccolo proprietario terriero con Azienda
agricola confinante con quella del Dott. Lanza, era stato alunno del
maestro nella quinta elementare, sei anni prima; ora, quasi diciottenne,
la mattina frequentava con scarso impegno le scuole secondarie a
Tripoli e nel pomeriggio faceva il "vitellone" girovagando per tutta la
contrada fino a Shgedeida, a Mellaha, e alla grande concessione "Fatma" del
Comm. Lattanzi per incontrare amici con i quali bere, a volte alzando
troppo il gomito, birra o, in mancanza di questa, leghby
(10)
.
Tornando a casa da scuola,
un assolato pomeriggio, Carlo incontrò una mabruka
(11)
intenta a raccogliere erba, forse per i conigli o per la capretta, sul
ciglio della strada al confine della sua Azienda.
Le mabruke, le donne
arabe, dall'inizio della pubertà fino al termine della bella stagione e
spesso anche oltre, erano -e sono ancora oggi in alcune regioni retrograde
come l'Afganistan e gli “Emirati del Golfo”- costrette a coprirsi il viso e
tutte le "nudità", non solo quelle pudende , con il "barracano"
lasciando davanti a un solo occhio una fessura attraverso la quale
vedere senza correre il rischio di inciampare camminando. Ma sono sempre
donne e, come tali, specialmente se si ritengono belle, amano farsi
ammirare dagli uomini. Quella mabruka, anche se infagottata nel
barracano, era carina e lo sapeva e quando quel bel giovanotto, ragazzo
si direbbe oggi falsando il significato letterale del vocabolo, le passò
accanto, come per caso si scoprì il viso e gli lanciò uno sguardo tanto
voluto quanto veloce e saturo di timido interesse.
Nei giorni seguenti la
mabruka si fece trovare sempre lì, a raccogliere erba, e quando Carlo
passava i suoi sguardi a viso scoperto si fecero gradualmente meno
timidi, più amichevoli e decisi.
Carlo, bisogna dirlo a sua
scusante, non ci teneva tanto a rischiare grosso con una mabruka e fingeva
di non vederla perchè la prima regola di comportamento degli italiani era
quella di non avvicinarsi mai, neppure per dire buongiorno o buonasera, ad
una donna araba sola. Ma quella mabruka era veramente notevole; aveva un
visino dolce da bambina e uno sguardo intenso e misterioso , ritroso e
provocante che faceva ribollire il suo istinto di "macho"
emergente. "Rinunziare a un tal facile bocconcino" -pensava- "significa
offendere la propria mascolinità !" e un giorno, un paio di settimane dopo
il primo incontro, si fermò e le chiese il nome, poi dopo essersi
accertato con rapido sguardo che nessun occhio indiscreto poteva
inquadrarlo, la attirò sotto un enorme eucaliptus e la baciò lungamente
sulla bocca.
Khadija, così si chiamava
la mabruka, non collaborò ma non oppose nemmeno alcuna seria
resistenza limitandosi a mormorare:"Enta sciatan, kalass kalass,
enta sciatan"
(12)
e poi, divincolatasi, si inginocchiò ridendo a raccogliere l'erba.
Carlo non era scemo e si rese
conto che non poteva andare oltre, lì in pieno giorno. Per lui
quell'avventura era cominciata e finita nello stesso tempo e defilandosi
fra gli aranci e gli olivi si avviò verso casa lasciando Khadija senza
neppure dirle "ciao".
Per qualche settimana Khadija
non si fece più vedere a raccogliere erba; poi un giorno Carlo la scorse
quasi nascosta fra gli arbusti sotto l'eucaliptus che l'invitava con timidi
cenni della mano; si avvicinò e la prese fra le braccia e stavolta lei
rispose ai suoi baci con impeto e frenesia mormorando :"Enta sciatan,
Ya yunj , ya nary !"
(13)
Anche questa volta
l'incontro si concluse solamente con semplici, anche se concitate,
effusioni amorose ma nei giorni seguenti le effusioni non bastarono più e,
consci che se fossero stati scoperti avrebbero rischiato la lapidazione,
esaminarono varie ipotesi di incontri sicuri dove poter sfogare la loro
passione ; andare in casa di lui manco da parlare: c'erano sempre i
suoi genitori; inoltre qualche estraneo avrebbe anche potuto vedere
Khadija entrare senza motivo nella casa di un italiano e fare del
pettegolezzo; non bisogna dimenticare che quell'ambiente era tanto
ristretto quanto sospettoso in relazione al sesso fuori......legge.
Esaminarono anche la
possibilità che lui andasse nella zariba
(*)
di lei nelle ore in cui il marito era fuori a lavorare ma tale soluzione fu
scartata perchè troppo pericolosa. Non restava che inventare qualcosa per
potersi incontrare di notte ma Khadija doveva fare i conti
con la presenza del marito, quel marito, Alì ben Amhed, che le era
stato assegnato quattro anni prima, all'inizio della pubertà, ad appena
undici anni ! In teoria l'ipotesi dell'incontro notturno poteva essere
presa in considerazione; infatti, Alì una volta tornato dai campi e
cenato, si sdraiava sulla stuoia matrimoniale e si addormentava e
Khadija aveva la possibilità di uscire protetta dalle tenebre per andare
incontro all'amore. Ma Carlo, se la sentiva di attendere , forse
inutilmente, per ore nel buio nel caso che la bella non potesse uscire
come stabilito perchè il marito stentava ad addormentarsi ? e se Khadija,
una volta messo a nanna il maritino, fosse uscita e Carlo non fosse lì ad
attenderla? Sembrava un problema senza possibilità di soluzione e i due
giovani ogni giorno che passava diventavano sempre più imprudenti sotto l'eucaliptus
e rischiavano di essere sorpresi da qualcuno. Poi Khadija trovò la
soluzione.
Le donne , sempre le donne
! Ne sanno una più del diavolo ! Un vecchio adagio, quando la donna era
considerata solo proprietà privata, così avvertiva i mariti : "La
donna innamorata te la fa anche se la chiudi in una gabbia di vetro e la
controlli ventiquattro ore su ventiquattro!"
4
Alì quella sera non
stava molto bene, a parte la stanchezza dopo una giornata di duro
lavoro nei campi sotto l'ardente sole di luglio. Consumò malvolentieri
la modesta cena a base di "Zummitha" e di "felfell"
(14)
e si sdraiò sulla "stuoia matrimoniale" ; Khadija uscì per fare la
pipì e prima di rientrare , come d'accordo con Carlo, legò un capo di
una lunga cordicella di spago al paletto vicino
all'ingresso del precario
recinto protettivo della zariba e l'altro capo ad una sua caviglia; poi
rientrò e prese posto sulla stuoia accanto al marito .
Carlo tornando
a casa a sera tarda, in bicicletta, in compagnia di alcuni amici con cui
aveva trascorso il pomeriggio a Tripoli per assistere ad una partita di
calcio fra la nazionale libica e una squadra italiana di serie C, il
Palermo, giunto nei pressi di casa sua, per accorciare il tragitto
-disse- si inoltrò in una scorciatoia nell'aranceto. Rimasto solo
nascose la bicicletta fra i cespugli sul ciglio della strada, invertì la
direzione di marcia e raggiunse rapidamente il recinto della Zariba di Ali
e di Khadija. Tirò leggermente lo spago che Khadija aveva legato al paletto
ma non ottenne nessun segnale di risposta. Attese accucciato fra le assi,
i cartoni e gli sterpi che formavano il recinto; un'altra volta era
successo : aveva dovuto attendere per oltre un'ora la risposta dell'amata;
ma quella volta la notte era buia, ora invece con quella luna piena che
illuminava a giorno l'aranceto e rendeva chiare le ombre degli alberi,
qualche nottambulo dalle zaribe vicine avrebbe potuto scorgerlo e
incuriosirsi. Tirò ancora la cordicella e si rannicchiò e attese. Ma
Khadija, anche lei impaziente, non poteva rispondere tirando a sua volta il
capo dello spago legato alla propria caviglia.
Alì non dormiva ancora,
aveva mal di testa e si voltava e rivoltava sulla stuoia. Poi, dopo oltre
mezz'ora, quando si convinse che finalmente lo sposo si era più o meno
appisolato, risolutamente tirò lo spago e cautamente sgattaiolò fuori dalla
tenda e dal recinto. Carlo, ricevuto il segnale, si portò sotto il solito
olivo e quando lei arrivò, al riparo dei frondosi rami dell'albero, non
furono, come cantava una canzonetta degli anni venti, soltanto "baci,
carezze audaci nella follìa de-la-pa-sio-n !", Pa-sio-n , con una "s"
sola, alla veneta.
~
Alì nel sonno si
lamentava; al mal di testa erano subentrati crampi dolorosi allo stomaco
, forse per colpa della troppa zummitha che Khadija gli aveva preparato; e
ora ci mancava anche un raggio di luna che attraverso uno strappo
della tenda lo colpiva in fronte acutizzando la cefalea !
Spostandosi sulla stuoia non sentì vicina la dolce metà. Non si preoccupò;
altre due volte svegliandosi durante la notte non l'aveva sentita vicina
perchè era uscita a fare un bisognino.....Tentò di riaddormentarsi ma quel
raggio di luna lo inseguiva e faceva aumentare il suo malessere. E Khadija
non era ancora rientrata. Si alzò, si portò nel recinto e si guardò intorno
alla ricerca della moglie, andò oltre il recinto e a circa una trentina
di metri, nell'aranceto, scorse Khadija; guardò più attentamente e gli
sembrò di vedere qualcun altro vicino alla moglie. Anche i due colombi
però lo scorsero e adottarono le opportune contromisure : lui si defilò
zigzagando fra gli aranci e gli olivi , lei urlando : "Barra barra
ya keilb ya sciatan !"
(15)
corse verso
il marito al quale raccontò che un italiano l'aveva
aggredita mentre lei stava
facendo pipì ma che l'aveva respinto e ora tutto era a posto e potevano
tornare nella zariba a dormire.
Il povero Alì si appartò
più in là e vomitò a lungo; non era uno stupido : sapeva benissimo che mai
un italiano avrebbe tentato di abusare di una mabruka, specialmente di
notte vicino alla sua zariba e rientrato nella tenda con la testa che gli
scoppiava ora più di prima, volle sapere chi era quell'italiano che,
secondo la sua versione, l'aveva aggredita. Non fu facile farle dire il
nome. Soltanto dopo ripetute minacce di ripudio per adulterio, secondo la
legge sciaritica, ella, con l'abilità e l'esperienza di milioni e milioni
di mabruke "bent"
(16)
assegnate già all'età di dieci- undici anni ad uomini non amati,
spesso vecchi o impotenti , negando tuttavia di averlo tradito, gli
disse che credeva di aver riconosciuto il figlio del signor G., il padrone
della vicina Azienda agricola.
5
Carlo per oltre due mesi
sparì dalla circolazione in Ain-Zara. Agli amici che lo cercavano il
padre diceva una volta che era andato a Tripoli dallo zio, un'altra volta
che era partito per una vacanza in Italia. Anche Alì lo cercò e non certo
per informarsi sulle sue condizioni di salute! Aveva deciso di fargliela
pagare senza peraltro far sapere a tutti che era stato fatto "theese"
(17)
. Per lo stesso motivo, cioè per salvare la faccia, non aveva per il
momento intrapresa alcuna iniziativa per ripudiare Kadija.
Poi una sera verso le dieci
entrando nel piccolo bar di Berto ., il figlio del bidello della scuola, a
comprare una bottiglia di aceto per alleviare il suo ormai cronico mal di
testa, lo scorse fra gli avventori che al banco bevevano e
chiacchieravano; finse di non vederlo, comprò il suo aceto e uscì.
"Questa è finalmente la
volta buona !" -pensò, e si appostò ad una decina di metri nascosto
dietro una siepe in attesa che Carlo uscisse da solo e, senza testimoni,
pagargli le corna che tanto gli pesavano !
Quando Carlo uscì e vide
spuntare dal buio della siepe quell'arabo e lo riconobbe nonostante il
buio della notte, tentò di fuggire; Alì lo rincorse e gli inferse una
coltellata nella schiena. Carlo corse ancor più velocemente e urlando si
rifugiò in casa del maestro che attirato dalle urla provenienti dalla
strada aveva aperto la porta.
Al maestro Carlo raccontò
di essere stato pugnalato da Alì ben Amhed, un mezzadro del Comm. Macaluso.
La ferita riportata però non era grave; evidentemente o Alì non aveva
voluto eccessivamente calcare il colpo o non di un coltello si trattava ma
di un semplice coltellino; tuttavia il maestro, dopo aver provveduto ad una
sommaria medicazione, accertatosi che nei dintorni non ci fosse ancora
l'assalitore, caricò Carlo sulla sua automobile e lo accompagnò alla
caserma della Polizia, a Miani, per la denuncia del caso.
6
Dopo
quelle poche domande al maestro, evidentemente di carattere normativo
procedurale, il Qadj chiamò anche gli altri testimoni :
Berto M. , il padrone
del bar, per l'accusa e il dottor Lanza ed altri due arabi per la difesa.
Anche questi dichiararono di conoscere l'accusato e il processo ebbe
inizio. Il maestro, richiamato al banco dei testimoni, raccontò come
quella notte verso le dieci e mezzo udendo insoliti rumori
provenienti dalla strada e, successivamente, grida di aiuto aveva aperto la
porta della sua abitazione e trovato sanguinante sugli scalini l'italiano
Carlo G. il quale ripeteva che Alì ben Amhed lo aveva ferito alle spalle.
Alla richiesta se egli aveva assistito al ferimento o se l'accusato era
vicino a Carlo quando questi si era rifugiato nella sua abitazione, non
potè che rispondere negativamente, confermando quanto già aveva dichiarato
nel corso delle indagini espletate dall'Ispettore della Polizia di Miani.
Analoga risposta negativa alla domanda se aveva visto l'accusato colpire
Carlo G. la diede Berto M. chiamato a testimoniare dopo il maestro. Fu
sentita poi la parte lesa, cioè Carlo, che confermò l'accusa: "Alì ben
Amhed lo voleva uccidere perchè riteneva che egli avesse offeso sua
moglie Khadija." Poi fu la volta del Dottor Lanza e degli altri due arabi
della difesa i quali dichiararono che Alì ben Amhed era una persona
tranquilla incapace anche di far male a una mosca.
A questo punto il
Cadj si rivolse all'Ispettore di Polizia e, ovviamente nella sua lingua,
gli fece un lungo discorso il cui significato poteva essere così
interpretato: "Hai arrestato un poveraccio senza alcuna prova; dovresti per
lo meno chiedergli scusa ma sono affari della tua coscienza. Io però ti
avverto, un altro errore simile non lo consentirò.
Durante l'escussione
dei testimoni, Alì ben Amhed aveva tentato più volte di intervenire per
correggere alcune testimonianze, peraltro tutte a suo favore, ma il Qadj lo
zittiva regolarmente con un "O scut ya hammar" e beccandosi un
colpo col calcio del fucile del poliziotto ma quando sentì la ramanzina che
il giudice aveva fatto all'Ispettore, prese coraggio e urlò:"Sciucran ya
effendi" (18)
alzando
sopra la testa le mani ancora legate dalle manette.
~
"In piedi ! La Corte si
ritira !" -avvertì il police di guardia- e l'ometto in taghìa e
palandrana uscì dalla porticina alle sue sspalle.
Rientrò dopo pochi minuti
e lesse la sentenza: "Assoluzione per insufficienza di prove" secondo il
Codice Penale Italiano ancora vigente nel sistema giudiziario libico e
l'accusato, finalmente, fu liberato dalle manette e messo in libertà.
~
Carlo ovviamente non
fu soddisfatto dell'esito del processo. Egli aveva sperato che Alì fosse
condannato ad una pur minima pena detentiva che non solo gli facesse
passare il desiderio di ripetere il tentativo di vendicare l'offesa subita,
chè lo spirito beduino degli arabi non sopporta la privazione della libertà
personale, ma altresì consentisse a lui giovane torello più ampio spazio
agli intimi approcci con la focosa giovane mabruka..
Ma Alì non fu
condannato e Carlo dopo qualche mese, temendo altre aggressioni da lui o,
anche, da membri del suo clan, decise di rimpatriare anticipando di
qualche anno la decisione già presa da suo padre, da tempo in trattativa
per la vendita dell'Azienda.
E Khadija ? A lei andò
peggio che a Carlo : dopo qualche mese fu ripudiata; non per adulterio ma
perchè giudicata, secondo la Legge sciaritica, non in grado dopo tre anni
di matrimonio di generare un erede !
"Io di eredi gliene avrei
dato più di uno se non si fosse messa in mezzo la luna piena, accidenti a
lei ! Con me e con Carlo -ebbe in seguito a lamentarsi con le amiche-
non si è comportata, come dicono le canzonette, da complice degli
innamorati ! E lo sa Allah quanto ero innamorata di quello sciatan,
di quel diavolo di rumy .....!"
Glossario :
Suck el Giuma: “Mercato del Venerdì” Importante centro
urbano a 15 km. S/E di Tripoli
Ain-Zara: Piccolo Centro urbano e vasto comprensorio
agricolo a sud di Tripoli (12-50 km.)
Barra !: Va’ via !
Barracano: Lunga coperta di lana bianca o marrone che gli arabi della
Libia(soprattutto gli arabi poveracci) utilizzano di giorno come mantello,
d’inverno e d’estate, e di notte come coperta. Il barracano delle donne, a
bande variamente
colorate, non è di lana ma di modesta tela
Bent: Figlia, ragazza.
Bukha: Liquore distillato dai datteri,
Concessione: Durante i primi anni dell’occupazione Italiana della Libia
prendevano il nome di“concessione” quei terreni
semi-deserti che il Governo concedeva, con promessa di futura
proprietà,agli italiani che ne facevano richiesta e si impegnavano a
bonificarli e a renderli produttivi. Nacquero così, con enormi sacrifici in
denaro e lavoro quelle grandi aziende agricole che poi, nel 1970, furono
espropriate e restituite (sic) al popolo libico.
Effendi: Eccellenza, signore
Fel-fell: Peperoncino rosso piccante
Fissa fissa: Presto, subito, rapidamente.
Gahabuscia: Prostituta, puttana
Hammar: Asino, stupido
Inhaam: Sì, affermazione
Kabila: Tribù, clan
Kalass: Basta, piantala
Keilb: Cane
Legby: Linfa fermentata della palma, leggermente alcoolica.
Mabruka: Donna
Muhallim: Maestro di scuola
Mahadrassaat: Scuola
OEA: Antico nome latino di Tripoli e Marca dell’unica birra tripolina
Qady: Magistrato, giudice
Rumy: Italiano, romano; forse in ricordo dei romani del tempo delle guerre
puniche.
Sciatan: Diavolo
Sciukra: Scusa, grazie
Suck: Mercato
Taghìa: Copricapo simile al basco
Theese: Cornuto
Yalla !: Dai, sbrigati !
Ya yuni: Oh miei occhi !
Ya nary !: Oh mio fuoco !
Zariba: Casa-tenda degli arabi nomadi o poveracci.
Zummitta: Polenta d’orzo
Abuso d' ufficio
Dicembre 1942. Dopo la battaglia di El Alamein, l'Ottava Armata del
Generale Montgomery riconquistò la Cirenaica e si spinse nella Sirtica,
quasi fino all'Arco dei Phileni dove le truppe italo tedesche avevano
approntato una linea di resistenza, si disse, "tattica" .
Io non partecipai alla ritirata del mio Reparto, il XX Reggimento Genio
Lavoratori, perchè da metà novembre ero ricoverato in un Convalescenziario
militare a Garian, cento chilometri a sud di Tripoli, dopo una grave forma
di entero-colite che mi aveva colpito nel mese di agosto.
Fui dimesso intorno al 10-15 dicembre con l'ordine di rientro al "Corpo di
appartenenza" nel più breve tempo possibile e mi recai al Comando di Tappa
col mio ordine di rientro; dopo due giorni di attesa, un camion della P.M.
(Posta militare) diretto in una zona top-secret della Sirtica si rese
disponibile a darmi....un passaggio.
Da Tripoli a Sirte, il centro costiero del grande deserto sahariano,
intercorrono cinquecento chilometri che oggi possono sembrare una distanza
facilmente percorribile in quattro-cinque ore di automobile a velocità non
certamente eccessiva ma allora era un'altra cosa.
Esisteva una sola strada, la famosa Via Balbia Tripoli-Bengasi voluta dal
Governatore della Colonia Italo Balbo e costruita, con grande
professionalità e tanti sacrifici dai nostri lavoratori : bisogna tener
conto che si trattava di aprire una strada attraverso un deserto...e non
c'erano i mezzi meccanici di oggi nè le tecniche di pavimentazione
odierne.
Oggi verrebbe considerata una strada intercomunale di mediocre importanza
e di scarsa recettività di traffico a causa della stretta unica
carreggiata ma per quei tempi era una grande strada.
Mezzi di trasporto di ogni tipo, dai carrarmati ai cannoni trainati da
lenti trattori, da vetture e motociclette con o senza side-car a tanti
tanti camions fumosi e, persino qualche bicicletta, invadevano la strada
da e verso il Fronte con conseguente caotico traffico procedente a non più
di 10-15 chilometri l'ora.
Raggiungemmo il Comando di Tappa di Misurata, a duecento chilometri da
Tripoli, dopo dodici ore di marcia. Niente male.
Nonostante gli intasamenti, gli insabbiamenti quando spesso si doveva
uscire dalla stretta carreggiata per aggirare mezzi in panne, avevamo
tenuto una buona media. Qui mi fu comunicato che il mio Reggimento si
trovava nella desolata strettoia di Buerath dove si stavano scavando fossi
anticarro per la citata resistenza "tattica".
Riprendemmo il viaggio e con me nell'ampia cabina dell'autocarro, mi
sembra uno dei primi "moderni" FIAT 626, trovò posto anche un soldato
tedesco, cioè austriaco del Tirolo, come egli stesso mi disse,
farfugliando in lingua italiana. Doveva raggiungere il suo Corpo di
appartenenza, oltre Buerath e Sirte, diceva, ma non seppe o non volle
dirmi perchè si trovava a Misurata, ad oltre trecento chilometri da dove
si sarebbe dovuto trovare.
Faceva un freddo cane ma notai che il tedesco non era infreddolito come me
e l'autiere¹ anzi, si era liberato
della giubba e con le mani sotto la camicia si grattava continuamente il
petto e il ventre pronunciando incomprensibili minacce. Gli chiesi con chi
ce l'avesse ed egli mostrandomi le unghie
insanguinate, dopo una energica grattata, tentò di farmi capire che....ne
aveva preso uno!
"Che cosa ?" -chiesi- "pidocchi ?"
"No, no pidocchi ….." Si tolse la camicia e mi fece vedere la pelle del
petto, delle spalle, del ventre orrendamente graffiata e sanguinante.
Guardai meglio le sue mani e mi resi conto che il poveretto era invaso
dalla scabbia e che il suo farfugliamento era vero e proprio delirio
causato da una febbre che, a giudicare dalle sue pulsazioni, doveva essere
superiore ai quaranta gradi.
Ero stato infermiere durante il servizio militare di leva negli anni
1937/38 e avevo una certa infarinatura in merito a febbri e infezioni ;
non faticai quindi a dedurre che quel povero ragazzo era affetto da
setticemia causata da scabbia diffusa e rischiava la pelle se non si fosse
ricorso subito ad una terapia adeguata.
Espressi la mia preoccupazione al soldato autiere, ma quello non potè far
altro che dire "Poveraccio, poveraccio..."
Intanto bisognava far qualcosa e la nostra marcia, col calare della notte,
diventava sempre più lenta e più difficile. Si percorrevano si e no un
paio di chilometri all'ora e di quel passo chissà quando il tedesco
avrebbe raggiunto il Corpo di appartenenza oltre Sirte….. anche perché,
per oltre due ore, il traffico verso il fronte fu bloccato per consentire
maggiore rapidità alla corrente in ripiegamento diretta a stabilire una
seconda linea "strategica", questa, di resistenza, la linea "Garian-Tarhuna-Kussabat-Ghsr-Garabulli-mare"
(che non resistette affatto!).
Eravamo a circa cento chilometri da Buerath e infreddolito osservavo
impotente il traffico intenso e il povero tedesco che vaneggiava e si
strappava la pelle a caccia degli acari della scabbia.
Poi notai uno sbilenco cartello stradale inchiodato su un palo al margine
della strada per indicare la direzione di marcia verso un Ospedale da
campo e, istintivamente, senza troppo valutarne le possibili conseguenze,
chiesi all'autiere di uscire dalla carreggiata e di seguire l'indicazione
per l'Ospedale. Accennò ad opporsi, ma senza eccessiva convinzione, e: "Vi
assumete voi la piena responsabilità, vero ? Io non posso non eseguire un
ordine, anche se questo ordine lo ritengo sbagliato perchè potrebbe
ritardare di non so quanto tempo il mio ruolino di marcia. Se però me lo
mettete per iscritto, io l'ordine lo eseguo !" -disse con aria di complice
arguzia. E scese nel deserto per seguire l'indicazione del cartello.
Strappai una pagina del mio diario, e a matita copiativa (non c'erano in
quel tempo le penne a sfera!) scrissi frettolosamente qualcosa che poteva
rassomigliare a un ordine, firmai con il mio grado, il mio numero di
matricola e il Corpo di appartenenza e lo consegnai al soldato autiere.
Seguimmo la pista per non so quanti chilometri e non ci insabbiammo grazie
all'abilità dell'autiere; ma fra andata e ritorno, dopo aver lasciato il
tedesco ormai rantolante alle cure dei medici, impiegammo almeno dodici
ore.
Infatti, quando riprendemmo la strada asfaltata era giorno inoltrato e il
traffico scorreva abbastanza celermente, si fa per dire.…e dopo quasi otto
ore dimarcia , quando su un altro cartello sbilenco apparve l'indicazione
" Lav. XX Rgt.Genio", salutai l'autiere e mi avviai col mio zaino sulle
spalle verso il deserto in attesa di qualche mezzo di trasporto leggero
(Autocarri per lo più marca SPA o OM che appena uscivano dalla pista
s'insabbiavano inesorabilmente).
Raggiunsi il Comando del mio Reparto, la Prima Compagnia, sul calare della
sera. Salutai il Capitano Nardiello, napoletano, il quale, indifferente,
ascoltò il racconto del mio viaggio e della deviazione che ero stato
costretto ad effettuare e mi disse:
-"Mò sono cavoli tuoi se in questo casino di ritirata qualcuno si accorge
che abusando del tuo grado hai modificato il percorso di un mezzo della
PM!"
E fu profeta ! Infatti, proprio nel bel pieno della definitiva ritirata
che doveva portarci in Tunisia, venti giorni dopo, mi giunse la punizione
paventata: quindici giorni di prigione di rigore e privazione della paga
per altrettanti giorni con iscrizione sul foglio matricolare della
motivazione: "Abuso del grado per avere colpevolmente indotto un
subordinato a non rispettare gli ordini di servizio ricevuti, dimostrando
scarsa intelligenza per le gravi conseguenze che tale mancato rispetto
avrebbe potuto apportare al funzionamento della macchina bellica."
²
"Nientedimeno !" -esclamò_ il capitano Nardiello, napoletano DOC. - "Vuoi
vedere che se perdiamo la guerra la colpa sarà tua ? E ti è andata bene !
I nostri grandi strateghi avrebbero potuto vedere nel tuo, diciamo, abuso
di ufficio, gli estremi per l'accusa di ostruzionismo se non addirittura
di sabotaggio !"
"E' vero." -risposi- "Se invece avessi abbandonato nel deserto il tedesco
morente per consentire l'arrivo della Posta Militare nei tempi stabiliti,
magari violando i Posti di Blocco, mi avrebbero anche decorato. Questa è
la logica militare. La vita d'un giovane di vent'anni vale meno di una
lettera o di una cartolina illustrata con gli auguri di buon onomastico !"
-----------------------------------------------------------------
¹ Autiere : Autista, conduttore di
autoveicoli militari;
neologismo per sostituire "autista" considerato un "francesismo".
² La punizione "prigione di rigore"
era virtuale. Soltanto per gravissimi reati si rischiava il carcere
militare. Era, invece, reale la privazione dello stipendio.
La Paura
Quando le sirene d'allarme cominciarono ad artigliare il mio stomaco col
loro suono uncinato, Gino balzò in piedi rovesciando la bella bottiglia di
Kummell "vero" cristallino ed il traballante tavolino falso stile rococò.
"Che cavolo combini, stai calmo che gli inglesi sono ancora lontani...."
-lo rimproverai "coraggiosamente"; e al tenue chiarore dell'unica
lampadina che si spegneva lentamente lo seguii verso le scale per correre
al rifugio dell'antico Castello Turco nel minor tempo possibile. Abitavo
allora in una camera mobiliata di un vetusto palazzo ai "Bastioni", quel
quartiere a ridosso del Porto che a sera , durante quel tragico autunno
1940, diventava deserto e pauroso, avvolto in silenzio spettrale.
Per mancanza di mezzi di trasporto e per essere il mattino in ufficio in
perfetto orario, la notte non la passavo nei rifugi delle grotte di
Gargaresh, a una ventina di chilometri ad ovest di Tripoli, come quasi
tutti gli abitanti del quartiere e quando calava la sera e iniziava
l'attesa spasmodica degli immancabili bombardamenti notturni della R.A.F.,
in quella stanza al terzo piano mi sentivo un po' morire .Avevo conosciuto
Gino al ristorante; era impiegato municipale della mia stessa età e
neppure lui si trasferiva la sera ...... negli appartamenti sotterranei di
Gargaresh ! Simpatizzammo e spesso la sera, dopo cena, restavamo a
chiacchierare a lungo, passeggiando, in attesa del consueto bombardamento,
per non restare soli col silenzio strano, innaturale che avvolgeva la
città quando il sole tramontava e premeva implacabile sui nervi e ci
ammantava di paura.
Quella sera l'avevo invitato a bere un sorso di doppio kummell "vero",
cioè di marca , ricevuto in regalo dal Commissario di Bordo di una delle
numerose navi da carico che affollavano il Porto di Tripoli divenuto
improvvisamente prima linea, e stavamo appunto gustandolo quando.....
Le prime bombe e l'immediata reazione antiaerea delle mitragliere da venti
millimetri e dei cannoni da ottantotto, famosi anticarro efficaci anche
per la difesa aerea , le avvertimmo nel portone del vetusto palazzo e non
ci fermammo: come podisti impegnati a battere un importante record ci
lanciammo nella strada verso il rifugio. Non eravamo soli ché la strada
poco prima deserta ora brulicava di
gente che come noi correva a rifugiarsi sotto le capaci volte del vicino
Castello.
A circa cento metri dal sospirato rifugio una fitta ed acre nebbia ci
avvolse: coloro che ci precedevano si arrestarono di colpo, qualcuno cadde
e qualcuno urlò "gas gas !"
Una paura folle mi assalì e istintivamente feci "dietrofront" esortando
Gino a seguirmi. "L'unica via di scampo -pensai immediatamente- sta nel
raggiungere il portone di casa e infilarsi nel ripostiglio del carbone,
tappando le fessure con i vestiti..." Povero ingenuo, meraviglioso istinto
di conservazione!
Corremmo disperatamente mentre l'acre nebbia ci inseguiva, ci avvolgeva,
ci faceva tossire. Fantasmi apparivano e sparivano improvvisamente nel
silenzio terrificante ristabilitosi e persino il selciato sembrava
ovattato e non risuonava dei nostri passi precipitosi.
Quando giungemmo al portone boccheggiavo ma con una forza mai posseduta e
che non sono mai riuscito a spiegarmi afferrai con una sola mano il
lucchetto che chiudeva la porta dello sgabuzzino e lo strappai; spinsi
dentro Gino ed un ombra sconosciuta che si era unita a noi; richiusi la
porticina e senza quasi più respirare salii velocemente le scale,
raggiunsi la mia camera, cercai al buio la maschera antigas che all'inizio
della guerra l'UNPA, la "Protezione Civile", mi aveva assegnato, come a
tutti gli italiani e a qualche arabo di elevata posizione sociale, e me la
infilai. Respirai quindi liberamente e ridiscesi nello sgabuzzino mentre
il silenzio, quel maledetto silenzio strano e terrificante, veniva rotto
da improvvise esplosioni.
Nello sgabuzzino, fra il carbone, Gino si sentiva morire.
"Coraggio, Coraggio!" lo confortavo con la voce soffocata dalla maschera;
ed egli :
-"Coraggio un ca....., fai presto tu a dire coraggio, tu che hai la
maschera !"
Mi stava diventando nemico. Lo intuivo, lo sentivo: mi credeva al sicuro e
mi invidiava. Mi raggomitolai guardingo nel mio angolo a riflettere, a
valutare la possibilità di fuga verso la collinetta dove sorgeva il
Monumento ai Caduti e dove il gas che sapevo più pesante dell'aria non
potesse arrivare. Ma per raggiungere quell'altura, anche di corsa,
occorrevano almeno dieci minuti durante i quali avrei avuto il tempo di
morire !
"Mi sento male Tony... Aiutami! Fammi respirare con la tua maschera almeno
per un po'." -gemette Gino-
(Oh Dio mio, vuole la maschera... E mo' che faccio?)
Una improvvisa idea attraversò il mio cervello:
"No, Gino;" -farfugliai attraverso la maschera- "fra togli e metti
finirebbe che la maschera non proteggerebbe nessuno
dei due ! Mi sembra di aver letto una volta, non so quando ma l'ho letto,
che per difendersi da un improvviso attacco di gas bisogna respirare
filtrando l'aria attraverso un fazzoletto imbevuto d'orina; prova, prova."
Sentii le sue mani cercare il fazzoletto e attesi, i nervi a fior di pelle
.
"Mi son pisciato addosso, poco fa; non credo di averne ancora, con che lo
bagno il fazzoletto." -si lamentò- "Puoi provare tu a bagnarmelo ?"- ma
prima che io potessi rispondere, si rilassò ed io, tranquillizzato,
avvertii il gorgoglìo dell'urina e per un po' seguii il suo respiro
affannoso ringraziando mentalmente le deflagrazioni delle bombe nel Porto
e la rabbiosa reazione antiaerea che ci distraevano dal pensiero
dominante, la paura del gas. Un brusco movimento dello sconosciuto che con
noi si era rifugiato nello sgabuzzino accrebbe la tensione dei miei nervi:
-"Chissà quali sono le sue intenzioni, -riflettevo- egli sa che la
maschera potrebbe salvargli la vita....bisogna far qualcosa...."
-"Scusate, voi chi siete, come vi chiamate?"-domandai-
-Silenzio .
- "Dico a voi, perché non rispondete, state male?"
-Silenzio .-
-"Forse è morto." disse Gino. Allungai una mano e lo scossi; mugolò
qualcosa e pensai che se non era morto poco ci mancava :
-"Ehi, rispondete, siete vivo ?"
-"Ja, ja, io vive !"
-"Accipicchia, è un tedesco e ha paura come noi!" -esclamò Gino.- La sua
meraviglia era giustificata dalla fama di coraggio e di sprezzo del
pericolo che accompagnava gli alleati tedeschi.
Intanto l'aria nello sgabuzzino si stava esaurendo e la respirazione
diventava sempre più difficile. Diedi colpa al gas naturalmente e restai
silenzioso nel mio angolo, il cuore che mi batteva tumultuosamente per
paura, ora, anche del tedesco e il sospetto : "Se si coalizzassero per
prendermi la maschera, Gino e il tedesco, sarei bell'e fritto ! Quale
resistenza potrei mai opporre, sono in due...! " mi faceva sembrare il
caro amico, Gino, e lo sconosciuto tedesco potenziali feroci rivali nella
corsa per la sopravvivenza.
-"Reich molti gas, mia Germania vincere inglesi con tanti gas !
"-sproloquiava il tedesco- "Io no paura, io tedesco no italiano……..
shaiser!"
Non potevo ribattere ché ormai la paura mi aveva bloccato anche la lingua
ma in cor mio pensavo: "Shaiser sei tu, bugiardo di un tedesco fifone più
di me....e me ne frego dei gas della tua Germania; se stanotte uscirò vivo
domani me ne andrò a Garian a piantar tabacco! Passino le bombe, passi il
maledetto suono delle sirene d'allarme……con il gas non intendo misurarmi,
me ne vado e basta ! "E accidenti a te e al tuo Fuhrer e a Giorgio VI e a
quell'ubriacone di Churchill , a tutti quanti i guerrafondai di questo
mondo !"
Non respiravo più.
"Forse questa maschera antigas non chiude bene...non uscirò da questo
buco.." -riflettevo-... eh, già, c'è una fessura sotto il mento....le
solite cose italiane poco pratiche....e pensare che ci avevano ordinato di
portare sempre con noi la maschera.... ma che funzionasse veramente bene,
adattabile su ogni viso nessuno si preoccupò" - e cercavo di tamponare con
le mani la fessura fra mento e maschera attraverso la quale poteva
filtrare il gas !
"Tony," -la voce di Gino (rancorosa, mi sembrava)- interruppe le mie
riflessioni- "non credo che riuscirò a salvarmi; tu te la caverai perché
sei protetto dalla maschera ma io sento che non ce la faccio....adesso
esco, almeno muoio all'aperto non qui dentro come un topo!"
-"No, Gino, aspetta ancora un po', intanto bagna bene il fazzoletto,
vedrai che ce la faremo tutti.;...quanto a lungo credi che durerà
nell'aria questo maledetto gas.... !"
Ma ormai anche io non ne potevo più. "A parte il gas," -pensavo- "l'aria
nello sgabuzzino è viziata....e accidenti a te shaiser d'un tedesco, ci
mancavi pure tu ! In due avremmo resistito meglio e più a lungo...."
Erano trascorse oltre due ore dall'inizio dell'incursione e la contraerea
da quasi un quarto d'ora non sparava più.
Esplosioni lontane si avvertivano ma le mitragliere da venti millimetri
tacevano : -"Che siano tutti morti i nostri artiglieri?" - insinuò Gino
mentre il tedesco sogghignava.
Trascorsero altri minuti poi non resistetti più.
-"Gino," -dissi- "esco io che, come tu pensi, sono protetto dalla maschera
e vedrò se il pericolo è passato; se tutto va bene tornerò presto e se non
torno vuol dire che sarò morto !" Ora fai attenzione e richiudi non appena
sarò uscito.
Sul portone l'aria fresca del mare mi rincuorò. Le stelle brillavano nel
cielo limpido, il gas non c'era più: il vento lo aveva disperso. Mi tolsi
la maschera e respirai a lungo; poi chiamai Gino e uscimmo.
Andammo verso la cattedrale. Le strade erano deserte, nessun morto sui
marciapiedi nessuna ambulanza incontrammo...e un vago sospetto cominciò ad
insinuarsi in noi man mano che ci avvicinavamo al centro della città:
"Possibile -ci chiedevamo- che un attacco di gas asfissianti, il primo per
giunta, non abbia fatto vittime? E dove sono i cadaveri? Che siano tutti
morti in casa o nei rifugi?"
Entrammo nel rifugio del Municipio di fronte alla Cattedrale e vi trovammo
delle conoscenze ; nessuno di essi aveva la maschera e chiedemmo come si
erano difesi dal gas e quelli ci guardarono con diffidenza e risposero:
"Quale gas?"
Rimanemmo di stucco: "Come, quale gas? Se l'abbiamo sfuggito per miracolo!
Se siamo stati tappati in un buco per due ore con la maschera antigas
incollata al viso o respirando attraverso un fazzoletto inzuppato di
urina..."
Si fece avanti un signore che - disse lui- non aveva sentito bene e
ripetemmo la domanda e rifacemmo il racconto delle nostre due ore nel
carbone; e quello, alla fine, ci voleva arrestare con l'accusa di
"propagazione di notizie false e tendenziose"; era un poliziotto in
borghese, uno dei tanti che si confondevano nei rifugi per sentire i
commenti della gente e scoprire eventuali antifascisti considerati nemici
della Patria. Egli fu buono con noi e ci spiegò pazientemente che la
nebbia da noi incontrata non era gas asfissiante ma fumogeno con cui la
nostra difesa antiaerea avvolgeva le navi nel Porto per occultarle alla
vista degli aerei incursori; contemporaneamente però , sotto sotto,
espresse considerazioni poco benevole nei confronti della nostra
intelligenza, praticamente facendoci capire che eravamo dei....coglioni.
Gino mi guardò ed io evitai il suo sguardo; poi, mentre il suono gioioso
delle campane della vicina Cattedrale si spandeva nell'aria per annunciare
la fine dell'incubo, uscimmo dal rifugio silenziosi e camminammo a lungo
immersi nei nostri pensieri.
Mi sentivo in colpa. Perché? Per essermi lasciato facilmente vincere dalla
paura o per aver ritenuto Gino capace di allearsi allo sconosciuto tedesco
per privarmi della maschera antigas? Forse per entrambi i motivi e mi
sentivo...una cacca.
Ma anche Gino ora faceva silenziosamente il proprio esame di coscienza e
forse anche lui si sentiva colpevole....e non solo di aver avuto
eccessivamente paura.
Poi di colpo cominciammo a parlare , a commentare gli avvenimenti di
quella serata interrompendoci a vicenda non avendo il nostro discorrere
che lo scopo di giustificare, di spiegare ciascuno a se stesso, il proprio
comportamento. Ma le parole rimbalzavano, scivolavano via senza saper
formulare alcuna scusante: eravamo stati tragicamente ridicoli e
incredibilmente sciocchi.
Salimmo al terzo piano del vecchio palazzo nella mia stanza falso stile
rococò e riprendemmo a bere il doppio Kummell "vero" e tentammo
inutilmente di trovare il lato comico della nostra avventura. Al
successivo urlo delle sirene d'allarme scendemmo lentamente le scale:
fingevamo ora di essere coraggiosi mentendo a noi stessi o la paura s'era
dissolta veramente come l'acre nebbia che ci aveva tratti in inganno?
Chissà.
So con certezza che mi meravigliai a constatare che le sirene d'allarme
avevano perduto i loro velenosi uncini.
Attraversammo la strada e ci fermammo al muretto del lungomare a guardare
le navi ancorate nel Porto. Un "bengala" illuminò le loro sagome e i
proiettili traccianti delle mitragliatrici da venti millimetri partirono
rabbiosi verso il cielo mentre le bombe degli aerei incursori piovevano
sollevando enormi colonne di acqua e le loro esplosioni si confondevano
con quelle delle batterie contraerei in un crescendo di boati e brontolìi.
"Il tedesco sarà ancora nello sgabuzzino!" disse Gino.
"Starà meditando la rappresaglia della Germania." -risposi.
Dopo quella notte non ci ritrovammo più insieme io e Gino durante le
incursioni aeree e quando ci incontravamo al Ristorante facevamo di tutto
per evitare che i nostri discorsi toccassero l'argomento della nostra
avventura. Non so quindi se Gino , ebbe in seguito necessità di andare al
rifugio ; io no : l'irrazionale senso di sgomento che mi aveva
attanagliato lo stomaco già al calar del sole, in previsione dell'ormai
abituale incubo notturno, dopo l'episodio del gas non condizionò più la
mia vita e durante le incursioni restavo indifferente sul balcone ad
assistere allo spettacolo del fuoco pirotecnico dei proiettili delle
mitragliere e la danza nel cielo buio dei fasci luminosi delle
fotoelettriche che ogni tanto inquadravano un aereo incursore scatenando
una tempesta di fuoco da parte della difesa antiaerea.
Giulia
Tripoli di Libia, l'antica Oea (1), la Tarablus al Gharb, la Tripoli d '
Occidente, la bella Tripoli all'inizio del 1941, ad oltre un semestre
dall'entrata dell'Italia nella seconda guerra mondiale.
Tony, abitava vicino all'albergo "La Perugina". Chi non lo ricorda quel
modesto albergo quasi al termine della via che da piazza Italia conduceva
al Porto, proprio ai piedi del Monumento ai caduti, a non più di cinquanta
metri dall'Arco romano di Marc'Aurelio, l'imperatore filosofo... Aveva
preso in affitto una stanza mobiliata al terzo ed ultimo piano di un
vetusto palazzo con ripide scale di legno in Zenghet Madrasaat(2) nella
Città vecchia, il quartiere a ridosso del Porto, che la sera diventava
deserto. Infatti, la paura dei bombardamenti notturni che la R.A.F.
proveniente da Malta effettuava regolarmente su Tripoli, aveva spinto gli
abitanti ad abbandonare le loro case e a rifugiarsi nelle sicure grotte di
Gargaresh a circa venti chilometri dalla città. Egli non poteva che
restare nella sua camera, solo come un cane : anche la padrona di casa,
una vecchia maltese era andata a stabilirsi lontano, a Zwarah, quasi al
confine con la Tunisia, e tornava una volta al mese per pulire la stanza e
per riscuotere l'affitto.
Tony invidiava quella gente fortunata che aveva la possibilità di mettersi
al sicuro; avrebbe voluto anche lui andarsene e, in verità, aveva provato
ad abbandonare quel lugubre quartiere ma il ritorno la mattina seguente,
in orario per assumere servizio, si era rivelato impresa difficile. In
quel tempo egli era dipendente dei Magazzini Generali del Porto per
annotare le merci in partenza e in arrivo. Alle sette dalla banchina
centrale partivano i rimorchiatori con le bettoline e con il personale
addetto verso le navi in rada e se si perdeva la....corsa si perdeva anche
la giornata e forse anche il posto di lavoro: perciò, per non correre il
rischio del licenziamento , come tanti altri, era costretto a restare là,
a qualche centinaio di metri dal Porto, obiettivo preferito dai
bombardieri inglesi, ad aspettare ansioso e impotente l'ora delle
incursioni e correre al rifugio con le ali ai piedi e poi spesso
trascorrere insonne buona parte della notte rintanato in un cantuccio
sotto le robuste volte del Castello Turco fra gente avvilita come lui.
Possedeva una vecchia bicicletta che gli consentiva di recuperare un po'
del sonno perduto al rifugio durante la notte e di raggiungere in orario
il posto di lavoro; al ritorno, invece, serviva per trasportare qualcosa
che riusciva a comprare dai marinai delle navi che facevano una specie di
piccolo "mercato nero": pacchi di pasta, carne congelata, barattoli di
marmellata o scatole di conserva di pomodoro che ormai al mercato libero,
senza la tessera annonaria, erano introvabili; la Guardia di Finanza
all'ingresso fingeva di non vedere ed egli utilizzava quel ben di Dio per
rinsaldare amicizie e simpatie e quando il "bottino"era abbondante,
cederlo al padrone del ristorante, dove era abbonato a cenare e ad
ascoltare la radio.
A differenza di Lombardo, un collega genovese, non approfittava della sua
posizione di lavoratore sulle navi provenienti dall'Italia per lucrare nel
piccolo commercio; cedeva
quella merce per lo stesso prezzo da lui pagato e qualche volta anche
rimettendoci. Così, il suo tempo, in quel tragico primo semestre del 1941,
si svolgeva saltando di giorno da una nave all'altra, di sera in trattoria
ad ascoltare la radio e di notte correndo da casa al rifugio e viceversa e
tentando di dormire il più possibile fra un bombardamento e l'altro.
Eppure, nonostante i disagi e le paure, si sentiva tranquillo. Le corse al
rifugio, il fragore delle bombe e quell'apparato di mitragliere e soldati
appostati tutt'intorno al Porto e lungo il bellissimo ondisonante
lungomare, all'inizio davano l'impressione di stare ad una sagra....e
ascoltava indifferente le notizie del "bollettino di guerra" esprimendo, a
volte, meraviglia per l'interesse che suscitavano su alcuni avventori del
ristorante i quali interrompevano la cena per stare più vicini alla radio
e per non perdere una parola del "comunicato".
"Ma di che si preoccupa 'sta gente ! " -pensava- "Tanto, vinciamo noi....
!" E rideva e correggeva l'italiano di Aquino, un non tanto giovane
portalettere che cenava al suo stesso tavolo e che mormorava "Popolo 'gnoranto,
popolo 'gnoranto !" quando la radio trasmetteva i battimani e le
acclamazioni che si frapponevano ai discorsi del Gerarca di turno nelle
piazze italiane. La propaganda di guerra gli aveva fatto il lavaggio del
cervello; e non solo a lui, ovviamente. Le notizie cattive venivano date
col...contagocce. Il disastro dell'Armata del Generale Graziani nel
deserto della Marmarica, per esempio, era stata ridotta a "ritirata
strategica" e il successivo abbandono di Bengasi e dell'intera Cyrenaica a
"prudente trasferimento dei coloni italiani in luoghi meno esposti".
Purtroppo, presto, molto presto, avrebbe dovuto cambiare opinione in
merito alle nostre possibilità di vittoria anche se, con l'arrivo ai primi
di febbraio, dell'Afrika Korp del Generale Rommell, quella stessa
propaganda sarebbe diventata più intensa e martellante.
Ritornando a casa tutte le sere, dopo oltre dieci ore di lavoro sulle
navi, alle sei e mezzo, notava fra i vari mendicanti che chiedevano
l'elemosina all'entrata del Porto, un po' distaccata dagli altri, una
ragazza, quasi una bambina, appoggiata alla rugginosa balaustra che
impediva il passaggio degli autoveicoli; con il viso sempre volto verso il
mare, ella tendeva timidamente la mano e aspettava
che i lavoratori e i marinai in libera uscita le regalassero qualcosa. Un
paio di volte anche Tony le diede dieci o più lire, e qualche tavoletta di
cioccolata e la guardava desiderando che si voltasse verso di lui per
meglio valutarla; ma ella sembrava non vedere che il mare. La trovava
sempre lì quando dopo aver fatto la doccia usciva nuovamente da casa per
recarsi in trattoria e la maggior parte dei mendicanti si era ormai
allontanata; al ritorno però non c'era più; evidentemente col calar della
sera rientrava a casa pure lei.
Una sera , invece, la ritrovò al solito posto, sola. Si fermò e le disse
"Ciao !" e la osservò meglio. Dimostrava non più di quattordici-quindici
anni, magra, un vestitino a tunica sdrucito, un paio di sandali non meno
malconci ai piedi nudi e sudici e un visetto triste sotto un gomitolo
sporco e arruffato di capelli biondicci, era proprio insignificante e
faceva pena.
"Ciao ! ormai ci conosciamo, anche se solo di vista....e son curioso di
sapere che fai qui tutta sola , aspetti qualcuno? E' quasi buio..."
-"Aspettaghre mia amica; poi andaghre a fifahouse.."(1) -rispose, e dal
suo accento Tony capì che era ebrea, non maltese come aveva in un primo
momento creduto.
La comunità ebraica in Tripolitania, era in quel tempo divisa in tre
categorie : ebrei quali i Nunes-Vais, gli Hannuna, i Barda, gli Habib ecc.
di nazionalità italiana, ricchi e istruiti , ebrei
straccivendoli, lustrascarpe o piccoli fabbri-calderai apolidi e poveracci
ed ebrei indigeni quasi tutti contadini abitanti sull' altopiano del Gebel
Nefusah , nelle grotte troglodite di Garian e di Tigrinna, discendenti,
sembra, da quegli ebrei che fuggiti dall'Egitto non se la sentirono di
seguire Mosè attraverso il Mar Rosso e preferirono dirigersi ad Ovest
affrontando le insidie del deserto anziché le onde del mare.
Questa piccola mendicante apparteneva, evidentemente, alla seconda
categoria, quella dei poveracci i quali, anche se ancora le leggi razziali
di cui, peraltro, la gente poco sapeva, non venivano applicate o, se in
qualche caso si applicavano, si riducevano ad inutili cartelli sulle porte
dei negozi degli ebrei ricchi per invitare la gente "ariana" , cioè noi e
i tedeschi, a non comprare dai "semiti", erano pur sempre la categoria più
castigata dalla scarsità di cibo e di vestiario.
-"A quanto pare stasera la tua amica è in ritardo!" -osservò Tony.
-"Si, faghre ritaghrdo...."-ammise la piccola ebrea; e soggiunse : "Ma
ancoghra pghresto....inglesi non venighre pghrima di oghre dieci." Poi a
sua volta domandò :
-"Te andaghre a dormighre a fifahouse staseghra?"
-"No, io non vado a nessun rifugio , non ho paura, io ! Fra un po' salirò
nel mio appartamento ammobiliato e dormirò fino a domattina infischiandomi
degli inglesi e delle loro bombe!"-si vantò. Tony aveva ventitrè anni e,
pur non interessandogli minimamente l'opinione di quella stracciona,
chissà perchè, desiderava che ella lo considerasse un ...duro! Ebbe
l'impressione di ……aver fatto centro e che ella restasse a bocca aperta,
affascinata dal suo coraggio, e attese .
-"Foghrtunato te che aveghre appaghrtamento !"-commentò lei..
Volse lo sguardo verso il mare e cominciò a lamentarsi-:"Inglesi
bombaghrdato mia casa, io non c'è più casa ! mio papa e mia mamma andati a
Gaghrian, io qui sola per faghre seghrva." Poi, guardandolo fisso con
accento speranzoso chiese:
-"Te voleghre me peghr pulizia tuo appaghrtamento ? io conosce signoghra
maltesa tua padghrona di casa e lei foghrse conosci me e lei contenta se
io venighre faghre pulizia a tuo appaghrtamento……....". Aveva gli occhi
celesti ed era la prima volta che Tony vedeva una ebrea con gli occhi così
chiari.
-"Tu fare la pulizia ? - Non mi dire ! A parte il fatto che alla pulizia
dell'appartamento deve provvedere la…."maltesa", non credi che prima
dovresti pulire te stessa ?" -osservò Tony; e crudele e provocante, con
una ancor più crudele risata della quale in seguito si sarebbe vergognato,
aggiunse:
-"Scommetto che sei anche piena di pidocchi!"
-"Si pidocchi c'è ma solo pochi in capelli; in vestito non c'è ! Vuoi
vedeghre ? -ammise candidamente.
-"No, non voglio vedere." -le disse, già pentito del suo atteggiamento
poco comprensivo nei confronti di quella poveretta che si trovava in
evidente difficoltà- E, poiché ella aveva ricominciato a lamentarsi, finse
di arrabbiarsi :
-"Porcamiseria, piantala ! Se passa qualcuno e ti sente piangnucolare
potrebbe pensare chissà che cosa....che ti abbia offesa o
qualcos'altro....vuoi mettermi nei pasticci?"
-Ma non sapeva decidere se fosse più saggio andare a prepararsi per
l'imminente incursione aerea o restare a far compagnia a quella
stracciona.-
Cercò di tranquillizzarla esprimendo il parere che la sua amica sarebbe
potuta arrivare da un momento all'altro e restò con lei, appoggiato alla
rugginosa balaustra. Quando però l'attesa si fece troppo lunga, non avendo
cuore di lasciarla lì sola nel buio le propose di salire nel suo ....
appartamento. Posto
ce n'era.... e poi, se la padrona di casa, che come già detto, si era
trasferita a Zwarah, la conosceva non avrebbe fatto storie qualora fosse
venuta in seguito a sapere che aveva ospitato la piccola mendicante. Si
trattava in fondo di una sola notte, che diamine! Poi il giorno dopo ....sarebbe
stato sempre un altro giorno, avrebbe trovato il modo di liberarsene senza
sentirsi in colpa.
"Senti, come ti chiami ? Come ? Giulia? Bene, senti Giulia ,
l'appartamento dove io abito è molto grande, e la padrona di casa, come tu
hai detto di sapere, non c'è. Se vuoi puoi venire su a trascorrere la
notte in una delle stanze libere."
Ricominciò a piangere e a lamentarsi :
"Te cghredeghre io essere gahabusha !(2) Io non gahabusha, io figlia
famiglia. Te voleghre me peghr faghre amoghre una notte come sharmutha e
poi buttaghre fuoghri, io no stupida! Vai via, yallah (3)
-"No !" -protestò Tony- Non ci penso neppure a fare l'amore con te…sozza
come sei, non ti toccherei neppure con le pinze, te lo giuro. Tu puoi
chiudere la porta della stanza con la chiave e nessuno ti disturberà!" ("Ma
perchè cavolo mi sto impicciando di questa stracciona !" -pensava Tony-
"Fosse una di quelle ragazze ebree prosperose e culone che si incontrano
per la città vecchia e che se invitate non si tirano indietro, passi, ma
questa è proprio un...niente e per di più fa la difficoltosa. Quasi quasi
la mollo qua al freddo della notte invernale......e me ne vado a
dormire....."). Ma la sua educazione romantica, maturata e assorbita
leggendo i classici in edizione ridotta del suo maestro della quinta
elementare (sic) non glielo consentì:
-"Credi che se ti ritenessi una "sharmutha" perderei tanto tempo a parlare
? Ti offrirei dieci, venti lire e……prendere o lasciare ! Comunque,
-concluse- se non sei d'accordo, io posso aspettare ancora qualche minuto,
poi me ne vado. Scegli tu".
Non rispose e restarono ancora un po' , lei sempre sospirando e lui
sinceramente speranzoso che l'amica arrivasse. Ma non venne ed erano quasi
le nove ormai, l'ora vicina all' abituale primo bombardamento aereo della
notte. Doveva decidere anche perchè si poteva correre il rischio che
qualche poliziotto zelante li vedesse lì vicino al porto a quell'ora tarda
e volesse fare il...salvatore della Patria.
Impaziente, ironicamente la sollecitò : -"Sei piuttosto bugiarda, vero,
Giulia ? Mi hai detto che aspettavi l'amica…. …..ma quale amica…tu l'amica
ce l'hai solo nella mente !
-"No,ti giughro, -protestò- mia amica detto venighre….io non sapeghre
peghrchè faghre tanto ghritaghrdo…."
- "Va bene va bene, ti credo….ma ora visto che l'amica ti ha mollato, cosa
vuoi fare, sali con me o me ne vado ?"
-"Te taliano buono ? -chiese- "Te giughraghre non toccaghre me quando in
tua cameghra ?"
"Ma chi ti credi di essere, Greta Garbo ? Sì, io giurare!" -rispose Tony
ridendo, e aggiunse : "Tu non starai nella mia camera ma in quella della
padrona di casa, va bene?"
-"Sì, io venighre." -Disse, e lo seguì per le fatiscenti scale.
-"Su, entra." -la incoraggiò- "La "maltesa" non tornerà prima della fine
del mese." E dopo averle mostrato la stanza con un gran letto antico nella
quale avrebbe potuto trascorrere la notte, Tony si ritirò nella sua camera
a leggere "Via col vento"-.
Non c'era allora la Televisione a tener compagnia e a far sciupare il
tempo!
Dopo circa un'ora la sentì bussare alla porta e chiamare:
-."Aharfy 'taliano. Signoghr 'taliano!"
-"Che vuoi? -rispose- Vieni avanti !"
Giulia si affacciò sull'uscio ed espresse il parere che ormai per quella
notte gli inglesi non sarebbero venuti a bombardare; poi gli chiese se
poteva lavarsi per bene precisando che si sentiva veramente sporca:
-"Io voleghre faghre doccia come fatto te pghrima di andaghre a
tghrattoghria ma acqua tghroppo fghredda. Te scaldata acqua peghr faghre
doccia ?"
Come sapeva che Tony era andato al ristorante e che aveva fatto la doccia
non lo spiegò.
-"Ho capito, sei molto furba, aspetta ! Ti accendo lo scaldabagno."-
rispose Tony.
Andò nel bagno e accese, non senza fatica il prezioso Junker a legna.
Mostrò a Giulia come doveva dosare l'acqua calda-fredda e come alimentare
il fornello e la lasciò.
-"Ghrazie 'taliano buono! -disse- e si chiuse nel bagno.
Tony sentì l'acqua scorrere e poi i gridolini della ragazza forse di
soddisfazione o perchè l'acqua era troppo fredda o troppo calda....
-"Tutto bene, Giulia ? -
-"Sì, bene, ghrazie taliano buono ! " -rispose-
Tony riprese la lettura del suo libro e per circa mezz'ora si dimenticò di
lei per considerare i problemi di Rossella; poi, attraverso la porta della
stanza rimasta aperta, la vide venire a piedi nudi nel breve corridoio :
"Adesso te contento ? Io no più spoghrca e così poteghre faghre pulizia
tua camera !"-urlò. Ma non era più lei. Non era più
la mendicante di poco prima, la doccia aveva operato un miracolo: la
piccola stracciona insignificante, aveva subìto una radicale
trasformazione. Ora Tony aveva davanti una ragazza "vera" e il vestitino
liso aderente al corpo ancora bagnato dopo la doccia, evidenziava una
silhouette delicata. Si sentì in soggezione e per dissimulare lo stupore
si informò se lo scaldabagno aveva funzionato a dovere; poi le chiese se
aveva cenato e quando ella rispose che no, non aveva mangiato niente
quella sera si precipitò a tirar fuori dal piccolo armadio-credenza,
marmellata e biscotti.
"Mangia un po' di biscotti, non ho altro ora, io intanto preparerò il thè."
-le disse e andò in cucina ad accendere la spiritiera, il famoso fornello
a gas di petrolio compresso. Quando tornò con una bella tazza di thè
fumante e l'appoggiò sul tavolinetto falso stile "rococò", lei aveva già
fatto fuori un barattolo di marmellata e un bel po' di biscotti.
Poi improvvisamente la luce si spense e mentre l'urlo agghiacciante della
sirene d'allarme interrompeva il silenzio pesante che avvolgeva la notte,
se la trovò addosso terrorizzata e con essa anche il thè ancora quasi
bollente :
"Andaghre a rifugio, fissa fissa !Io paughra ! b'l mahaghrhuuf andaghre,
c'è fifahouse vicino, yallah!"urlava.(4)
Tony tentò di calmarla. Andare al rifugio "fissa fissa" era impossibile :
lui in pijama perchè, come lei, pensava che la RAF per quella notte ormai
non sarebbe venuta, e lei con quel misero vestitino bagnato addosso
avrebbe rischiato una polmonite se fosse uscita per raggiungere il più
vicino rifugio del Castello Turco, a circa due-trecento metri di
distanza….. Era proprio come una bambina terrorizzata e non voleva sentire
ragione ; le sue braccia non lo lasciavano, si stringeva sempre più a lui
mentre le esplosioni delle prime bombe nel Porto si sovrapponevano in un
crescendo infernale alla reazione delle batterie contraerei; e il suo
vestitino umido non era affatto profumato. Infastidito glielo strappò da
dosso:
"Meglio nuda che con questa tunica sporca e bagnata ; sentirai meno freddo
!" -disse- e, al riverbero intermittente delle esplosioni dei cannoni
della difesa antiaerea appostati sul lungomare, la prese in braccio e la
portò sul lettino accanto; era scossa da brividi di freddo e di paura ed
egli la depose sotto le coperte e si stese accanto a lei per riscaldarla
sussurrandole all'orecchio parole di conforto. L'accarezzò delicatamente e
quando le sue mani si fermarono sull'erto e gelido seno adolescenziale
ella si quietò mormorando:
- "Taliano buono io paughra, io no gahabusha, ti giughro!"
- "Ti credo….ti credo cara, non temere....!" -la rassicurò Tony e lei si
rannicchiò ancor di più fra le sue braccia e il suo alito era profumato e
la sua bocca sapeva di thè e di biscotti al cioccolato.
Quando dopo almeno due ore le campane della Cattedrale suonarono il
cessato allarme e la luce si riaccese Giulia scivolò dal letto e andò nel
bagno. Tony sentì l'acqua diguazzare a lungo nella vasca e....si
addormentò
Al secondo allarme di quella notte si svegliò ma non la sentì vicino ; si
alzò, accese la torcia elettrica e la cercò : era sdraiata, con una
coperta addosso, sul divano nella stanza della padrona di casa . "Giulia,
-la chiamò- non hai più freddo?"
"No, no fghreddo adesso; te doghrmighre io non voleghre svegliaghre te
!"-rispose.
La riportò sul lettino e non sentirono il successivo urlo delle sirene per
la seconda incursione di quella notte.
All'importuno trillo della sveglia, alle sei, Tony saltò giù dal letto .
Si rase rapidamente, si vestì e preparò il caffè; ne portò una tazza a
Giulia ancora semiaddormentata e le sussurrò :
-"Giulia, devo andare. Tu puoi restare finchè vuoi, nessuno ti disturberà
e in cucina troverai qualcosa da mangiare; poi stasera, se mi vorrai
aspettare, faremo un esame della situazione."
Gli gettò le braccia al collo mormorando :-"Taliano buono taliano
buono..." ed egli la baciò dolcemente e ancora una volta accarezzò le sue
delicate nudità....poi corse via per non cadere nuovamente in tentazione e
per non far tardi per l'orario di lavoro.
Arrivò appena in tempo e si precipitò a salire sul vecchio rimorchiatore
che portava gli scaricatori sulle navi in rada, sotto lo sguardo perplesso
del collega Bucchieri meravigliato per quell'insolito ritardo.
Nei giorni che seguirono, il tempo di Tony si svolse con il solito
tran-tran : pranzava col Commissario di Bordo, racimolava qualche
pacchetto di sigarette, della cioccolata.... ma non vedeva l'ora di
tornare a casa, da Giulia, che ormai era entrata nella sua vita e lo
aspettava appoggiata alla rugginosa ringhiera; quando scoccavano le sei,
adempiuti gli obblighi da rispettare, senza neppure salutare i colleghi
con i quali di solito si soffermava a commentare gli avvenimenti della
giornata, si precipitava a prendere la bicicletta lasciata sulla banchina.
Un giorno non la trovò al posto dove l'aveva lasciata, forse qualcuno
l'aveva spostata, non rubata, chè lì nessuno rubava niente e dovette
tornare a casa a piedi con un diavolo per capello
perché temeva che non vedendolo tornare all'ora solita Giulia non fosse
più lì, ad aspettarlo, al solito posto. Erano trascorse solo due settimane
da quando quella figurina gli era piombata addosso all'improvviso e temeva
di perderla. Invece lei era là, un po' oltre la vecchia balaustra e quando
lo scorse si mosse e svoltò in Zenghet Madrasaat. Tony affrettò il passo e
nel portone essa gli andò incontro. La evitò :
-"Non mi toccare" -le disse- "sono sudato e sporco!" e mentre lei,
fingendosi offesa si defilava nel
portone, raggiunse rapidamente il terzo piano. Entrò nel bagno; accese il
prezioso Juncker, si spogliò e si abbandonò alle carezze della bell'acqua
calda della doccia chè il mese di gennaio è veramente freddo a Tripoli e
lui in quel tempo non usava cappotti o maglie, neppure la canottiera;
portava semplicemente la camiciola a maniche corte.
Ma Giulia l' aveva seguito e, la furbona, quando lo sentì sotto la doccia,
spinse la porticina del bagno e gli fu addosso, con tutto il vestito, non
quello della prima sera, un altro che frettolosamente Tony aveva comprato
da un rigattiere di Suck el Turck. Tony glielo tolse e restarono così
sotto la doccia fino a quando la legna nello scaldabagno non si consumò.
Seguirono giorni e giorni di felicità piena. Tony non andava più la sera a
trascorrere qualche ora con gli amici in trattoria...oltre al suo lavoro
non pensava che a Giulia e, alla fine della giornata ansioso e felice
quando la scorgeva in attesa nel portone , soddisfatto e spiritoso, godeva
a farsi inseguire su per le ripide scale fino all'amica stanza da bagno.
Giulia stava diventando una droga e Tony viveva la notte in un'estasi
senza fine. Le sirene d'allarme non gli attanagliavano più lo stomaco come
qualche mese prima: tutte le sue paure si dissolvevano quando ella si
stringeva a lui mormorando "Taliano buono taliano buono!....
Comprò una nuova bicicletta per guadagnare tempo la mattina nell'uscire e
la sera per ritornare; poteva così restare mezz'ora in più con Giulia che
lasciava a letto quando si recava ad assumere servizio. Dove ella andasse
durante il giorno non lo scoprì mai.
Tanti aspetti della sua giovane esistenza gli sembravano oscuri ma non se
ne curava. Voleva credere a tutto ciò che lei diceva : per lui era
importante soltanto che la sera ella fosse lì ad attenderlo ansiosa e
attenta ai suoi progetti....campati in aria . Non si interessava a sapere
a chi dava la pasta, la conserva di pomodoro, il riso, la marmellata o il
caffè che le portava; così come non andò a fondo sulla storia del padre il
quale, diceva, morta la moglie, cioè sua madre, l'aveva abbandonata per
andare a vivere con un'altra donna a Garian, lontano dai bombardamenti,
correggendo quanto aveva detto precedentemente e cioè che padre e madre
erano andati insieme a Garian.
La notte del 21 aprile stavano sul terrazzo ad aspettare la solita
incursione della R.A.F. quando, prima ancora che le sirene d' allarme
cominciassero a urlare, il cielo sul Porto fu illuminato da decine di
razzi "bengala" con paracadute e contemporaneamente l'orizzonte sul mare
fu rischiarato da lampi diffusi come per un incipiente temporale, seguiti
dopo un minuto-un minuto e mezzo , da un rumore rotolante come di treno in
arrivo che copriva ogni altro rumore.
Non faticarono molto a capire che si trattava di un'incursione
aereo-navale e restarono per quasi un'ora addossati l'uno all'altra
consapevoli che solo la fortuna poteva salvarli; nessun rifugio del tempo
poteva dare sicurezza in caso di bombardamenti
navali. Infatti, lo seppero il giorno dopo, persino il rifugio costruito
nel giardino della Banca d'Italia per i V.I.P. era stato distrutto da un
proiettile da 305 millimetri di una nave di Sua Maestà Britannica.
I danni alle cose e anche alle persone, se si escludono i morti nel
rifugio della Banca d'Italia, quella notte non furono gravi perchè la
maggior parte dei proiettili dei cannoni navali non esplosero o esplosero
lontano, oltre la periferia della città, mentre gli spezzoni incendiari al
fosforo lanciati dagli aerei si conficcarono nell'asfalto o nella sabbia
senza causare alcun incendio grave. Fu colpita e sventrata da un
proiettile, che però non esplose, anche la bella Chiesa di Corso Sicilia ,
quella delle "Suore Bianche" che da quel giorno si chiamò "Chiesa della
Madonna della Guardia".
Quando il silenzio abituale della notte si ricompose Giulia e Tony
restarono a lungo a chiacchierare chè il primo ghibly della stagione aveva
alzato di colpo la temperatura e si stava bene all'aperto a respirare la
brezza marina e a fare progetti per il futuro.
-"Tony, quando finighre gueghrra te voleghre ancòghra tua Giulia?" -ora lo
chiamava Tony , non più 'taliano buono!-
-"Ceghrto che "voleghre mia Giulia;" -imitava il suo accento per prenderla
in giro- "io voleghre sposaghre Giulia, capito?"
-"No ! -disse seria- Sposaghre no ! Io yudia e Ghrabbino dighre peccato
sposaghre cghristiano!"
-"Ma chi se ne frega del rabbino......Tony vuole Giulia, Giulia vuole
Tony......dunque ? Il Rabbino può andare a farsi fottere; comunque, non
pensare ora; quando la guerra sarà finita ne parleremo. Intanto domani, se
la nave che dico io non sarà stata nel frattempo affondata, ti comprerò un
po' di biancheria intima e qualche vestito e anche un paio di scarpette
nuove. Io voglio la mia Giulia sempre vestita bene, anche si mi
piace di più senza alcun vestito....nuda! Intanto, per non sbagliare
misura, fammi vedere ancora una volta il tuo piedino e il giro vita e nel
caso trovassi anche un reggiseno -------- fammi sentire..….. Oh!…ma lo sai
che non me n'ero ancora accorto ? non hai bisogno di reggiseno!" e
ridevano come due bambini e si amarono a lungo, sotto il cielo pulito di
primavera, testimoni le stelle.
Dieci giorni dopo il bombardamento aereo-navale, come tutte le mattine i
colleghi Bucchieri e Lombardo aspettavano Tony sulla banchina. Ammirarono
ancora una volta la bicicletta nuova e Lombardo da buon genovese volle
sapere tutti i particolari dell'acquisto: quanto era costata, se contanti
o a rate, da chi l'aveva comprata...Lombardo aveva il senso degli affari e
del baratto : sigari contro sigarette, pennine usate contro matite e
persino lamette da barba, cinque usate per una nuova marca Signorina.
Bucchieri invece gli chiese se era disposto ad andare in rada in sua vece.
Egli odiava il servizio sulle navi ancorate in rada: "Non per paura" chè
io sono uno di quelli del Grappa!" -diceva- e non aveva torto perchè con
la grappa o anche con la "buhka"(5) andava veramente d'accordo, tanto da
meritare il soprannome di "Nuvoletta" . Si dichiarò disposto a sostituirlo
qualora fosse stato possibile e l'anziano collega lo abbracciò contento e
lo chiamò, come solito, figlio suo.
In attesa del rimorchiatore chiacchierarono un po' del più e del meno
commentando le scarse notizie della guerra in Cyrenaica con l'esercito
italo-tedesco impegnato nella prima controffensiva e del traffico navale
che intasava il Porto.
"Vedi la "Birmania"? -chiese Bucchieri- Quella motonave è
carica di fusti di benzina e di bombe a grappolo tedesche sensibilissime,
l'ho saputo da un capitano amico mio! E vedi
quell'altra, la "Città di Bari"? Sono così affiancate al molo principale
mica per caso.....Il carico della "Birmania" dev'essere trasbordato sulla
"Città di Bari" che lo porterà a Bengasi..."
-"E allora ? che importanza ha questa notizia ?" -chiese Tony.
-"L'importanza consiste che il lavoro su quelle due navi è a rischio...."
-spiegò Lombardo.
-"E se ti chiamano per quel servizio cerca di squagliarti con ogni mezzo
!" -concluse Bucchieri.
La sera Tony raccontò tutto a Giulia per dimostrarle quanto era "fifona"
certa gente e come , invece, era....coraggioso lui!
-"No tesoghro mio ! -eslamò Giulia- Tuoi amici fifoni aveghre ghragione,
te invece essere molto scemo. Peghr Dio Santo, non voleghre più bene a tua
Giulia? se voleghre ancoghra poco bene te malato fino a quando navi con
bombe non andaghre via, capito ?"
-"Non posso, cara; non posso fingere di essere malato....e poi non ricordi
che devo comprare vestiti per te ?"
-"Non voleghre vestiti; cosa faghre io con vestito senza Tony ? E non
detto che te piaci Giulia pughre senza vestito ? Io sbagliato dighre te 'taliano
buono..te 'taliano mahabul" (6) -protestò piangendo.
La "Birmania" e la "Città di Bari" erano quasi affiancate, a destra e a
sinistra del molo principale. Al lavoro di scarico e carico da una nave
all'altra erano addette due
squadre che si alternavano ogni tre ore; a controllare i facchini e ad
annotare i colli erano stati chiamati, senza alcun preavviso, Tony e
Lombardo; Bucchieri invece andò in rada malgrado i suoi tentativi di
restare nei magazzini, a terra. E si salvò il caro Nuvoletta.
I facchini lavoravano attentamente ed ogni tanto si udiva l'avvertimento
del Capo: "Rood balek, sciuhéia, be-sciuhéia!" (7) mentre i fusti di
benzina e bombe volavano imbracate sui verricelli da una nave all'altra.
Lombardo seduto su un rotolo di gòmene sulla "Città di Bari", richiamava
l' attenzione del Collega mostrando il suo orologio, un cipollone che
teneva
legato ai pantaloni con uno spago, per informarlo del tempo che mancava al
sospirato riposo di mezzogiorno.
Tony a dir la verità non era eccessivamente preoccupato. Era allora, come
anche adesso, del resto, piuttosto..... incosciente in certe situazioni,
ma si chiedeva: "Perchè cavolo non hanno fatto proseguire direttamente la
"Birmania" per Bengasi anzichè perder tempo e fatica a scaricare e a
caricare?" Egli, ovviamente, non sapeva nulla di navi, di tattiche e di
strategie di guerra; non poteva certo entrare nelle considerazioni dei
grandi cervelli che dirigevano tutto...ma restava lo stesso piuttosto
perplesso.
-"Tony ! "-qualcuno dal molo chiamava-
Tony si affacciò alla murata della nave . Capitan Bobani gli fece segno di
scendere e lo incaricò di andare a cercare Corrado, un giovane commesso
siculo-tunisino che, secondo le sue informazioni si sarebbe dovuto trovare
a bordo in una di quelle navi attraccate alla banchina centrale."Sono po'
stanco, oggi; -spiegò- tu sei giovane e certo non ti pesa salire e
scendere dalle
navi. Qui sulla "Birmania" starò io finchè tu non torni con Corrado."
Povero Capitan Bobani, genovese puro sangue, sulla cinquantina, energico e
cortese e competente. Era praticamente il responsabile della Capitaneria
di Porto, di quel Porto che improvvisamente era diventato prima linea. Ma
a che cosa è valso il suo sacrificio? Chi lo ricorda più ? Chi ricorda le
centinaia di vittime di quel terribile giorno? Solo poche righe, a guerra
finita, su qualche pubblicazione specializzata : "....e Rommel restò senza
benzina perchè la nave che doveva portarla in Cyrenaica era stata sabotata
nel Porto di Tripoli."
A vent'anni Tony non difettava come ora di elasticità di gambe. Salì
rapidamente su una prima nave attraccata alla banchina e seppe che Corrado
era andato sulla motonave "Vulcania" ancorata in rada. Là si recò
approfittando di un rimorchiatore che faceva la spola trainando le
bettoline dalle navi alle banchine e viceversa, si arrampicò sulla scala
di corda e andò direttamente alla cambusa; conosceva le abitudini di
Corrado.; diciamo che conosceva....i suoi polli ! Infatti Corrado era lì a
far colazione con un amico marinaio e a cercare qualcosa da portare a
casa, chè la "Vulcania" era fornita di ogni ben di Dio. Poi approfittarono
del motoscafo della stessa nave e ritornarono rapidamente a terra.
Erano circa le undici; un aeroplano della nostra ricognizione volteggiava
nel cielo limpido......tutto era tranquillo.
Sulla banchina venne loro incontro un altro collega, Bernardo, e chiese se
avevano comprato le sigarette per lui, le Philip Morris di cui la "Vulcania"
che fino a qualche mese prima aveva fatto servizio di linea per gli Stati
Uniti d'America, non ancora entrati in guerra , era provvista.
Chiacchierarono per quei cinque-dieci minuti che bastarono a salvarli.
Tony scorse Capitan Bobani apprestarsi a scendere ed era forse a
dieci-venti metri da lui quando dalla "Birmania" vide levarsi il sole ! Lo
vide levarsi e poi scoppiare e un'immensa sfera di fuoco e un infinito
rombo esplosivo gli colpirono simultaneamente occhi e orecchie mentre
un'enorme colonna d'acqua salata lo travolgeva scaraventandolo contro la
parete di una rimessa. Sanguinante da varie escoriazioni al viso e conuna
larga ferita al polpaccio della gamba destra, inzuppato, terrorizzato si
trascinò sotto un grosso autocarro per ripararsi dalle innumerevoli
schegge e lamiere infuocate pioventi dall'alto e attese di capire cosa
stava succedendo : scorgeva esplosioni e fuoco là dove prima c'erano la
"Birmania" e la "Città di Bari" e poi un automezzo dei Pompieri che si
posizionava sulla banchina e lanciava ridicoli schizzi d'acqua su
quell'inferno e veniva sepolto dall' intera prua della "Birmania" volata
in aria come un fuscello Contemporaneamente si erano scatenati i cannoni
della difesa antiaerea e non capiva a chi sparavano...perchè nel cielo
limpido c'era soltanto l'idrovolante di prima.....
Raggiunse carponi un rifugio oltre i capannoni e fu aiutato a tamponare la
ferita che sanguinava ancora ma che si rivelò, fortunatamente, meno grave
di quanto la paura gli aveva fatto credere. E poi attese con gli altri
rifugiati di sapere chi aveva potuto provocare quel caos.
Tanti feriti, anche gravi, furono portati in quel rifugio di fortuna e fra
questi anche Lombardo che, come disse poi, era stato lanciato in mare e si
era salvato, anche se con un femore fratturato, grazie alla sua abilità di
nuotatore.
Del Capitano Bobani, invece, non si seppe più nulla. Di lui, come di
altre, si disse, centinaia di lavoratori arabi e italiani, si trovarono
nei giorni seguenti solo resti irriconoscibili sparsi nelle acque del
Porto.
Quando le esplosioni diminuirono d'intensità e anche le cacciatorpediniere
che erano in Porto cessarono di sparare sulle due navi esplose per
provocarne l'affondamento e limitare il danno alle infrastrutture
adiacenti, Tony andò a cercare la bicicletta ma non trovò né bicicletta nè
capannone; c'erano solo rovine fumanti. Si avviò allora zoppicante e
inzuppato d' acqua sporca verso casa con la speranza che Giulia fosse là
ad attenderlo, al solito posto.
Ma Giulia non c'era.
La rugginosa ringhiera fra l'ingresso del Porto e l'albergo Perugina era
contorta e i dintorni cosparsi di schegge metalliche e di frammenti di
lamiere fra pozze di sangue e detriti d'ogni genere.
Salì in camera ma di Giulia neppure l'ombra. Scese nel portone e seduto
sugli scalini l'aspettò invano fino a sera e per tutta la notte.
Giulia non arrivò e non arrivò neppure l'indomani.
Tony vagò per giorni e giorni, disperato, nei vicoli della Città vecchia,
fra Suck el Turck e Suck el Muscir chiedendo a ebrei, arabi, maltesi se
conoscevano un' ebrea giovane, biondina che qualche volta andava al porto
a chieder l'elemosina...... si rivolse persino al Rabbino della Città
vecchia. Fu tutto inutile, persino l'intervento di alcuni amici agenti
della P.A.I. (Polizia Africa Italiana). Nessuno l'aveva vista, nessuno la
conosceva e qualcuno avanzò l'ipotesi che ella si fosse trovata
all'ingresso del porto fra le mendicanti investite dalla pioggia di fuoco
in seguito all'esplosione delle navi .
. Tony non volle prendere in considerazione l'atroce possibilità che
Giulia fosse fra le vittime innocenti di quel disastro e col trascorrere
delle settimane, esaurita la speranza di ritrovarla, si costrinse a
concludere che quella ragazza non era
mai esistita e che l'amore che per quasi cinque mesi li aveva avvinti
trasgredendo le regole imposte dalla razza, dalla religione, dalle
condizioni sociali era stato soltanto il frutto virtuale di un sogno
cancellato di colpo dalla realtà in un tragico mattino assolato.
Ma ancora adesso, dopo oltre mezzo secolo, Giulia è viva nella mente di
Tony e il suo cuore si commuove quando nel sogno la rivede appoggiata alla
rugginosa balaustra quasi all'imbocco di Zanghet Mhadrasaat e la sente
sussurrare "Taliano buono, taliano buono !"
Note:
(*) OEA : Nome latino dell'odierna Tripoli
(1) Zamghet Madrasaat : Vicolo della scuola.
(2) Gahabusha , sharmuta : prostituta.
(3) Yalla : subito, presto.
(4) Fissa fissa : Immediatamente; B'l maharuuf : per favore.
(5) Buhka : liquore distillato dai datteri, molto alcolico.
(6) Mahabuul : scemo, matto.
(7) Rood balek : attenzione !; Be sciuheya : piano piano.
Il Fantasma
1
L'OSPEDALE SANATORIALE dell' Istituto Nazionale
Fascista per la Previdenza Sociale costruito nel 1937/38 quando
Governatore della Libia era Italo Balbo, sorgeva a un chilometro e mezzo
da "Porta Benito" (ex Bab ben Gascir) e dal "Cinema delle Palme" alla
periferia sud di Tripoli, sulla strada che conduceva a Castel Benito¹
(oggi Gaasr ben Gascir).
Costruito sul modello del tuttora efficiente Ospedale "Carlo Forlanini" di
Roma ed immerso in un ampio parco addolcito da giganteschi eucaliptus, era
riservato alla cura degli ammalati di tubercolosi.
Nel maggio del 1940 non tutto l'edificio era ancora agibile dal punto di
vista operativo ospedaliero. Comprendeva il piano terra con la cucina e i
vari servizi quali la farmacia, il laboratorio analisi, il refettorio e le
sale di lettura e di riunione e, sul retro, la Cappella e in una specie di
"dépendance", i dormitoi per il personale di basso livello: autista,
inservienti e barbiere, due per ogni stanza. Il cuoco, il tecnico della
caldaia a vapore e l'impiegato di ruolo avevano stanze personalizzate.
Al primo piano, una trentina di ampie camere, erano occupate da degenti
molto giovani di sesso femminile, due per ogni camera) mentre solo un'ala
del secondo piano veniva utilizzata per una ventina di malati di sesso
maschile. Al terzo piano, una parte dell'ala destra era occupata dagli
alloggi delle Suore, l'ala sinistra da quelli dei medici.
L'economo, lo strabico ragionier Tettolone, super protetto dai vertici
dell'Istituto in virtù dei suoi meriti di fascista della prima ora , era
praticamente il capo di tutto e di tutti, compresi i tre medici e il
Direttore sanitario Professor Riquò, e occupava una suite sullo stesso
piano, accanto a quella del Direttore stesso.
Era veramente un bell'Ospedale, quasi una "Casa di cura" moderna.
La tubercolosi, la TBC, fino alla scoperta della streptomicina era una
malattia quasi inguaribile e la cura consisteva in riposo in ambiente
salubre con buona alimentazione; non esistevano medicine specifiche: nei
casi gravissimi, quando il bacillo di Kock aveva irrimediabilmente
danneggiato un polmone, si ricorreva al "pneumotorace" e, quando questa
tecnica non era possibile, alla frenicectomia, cioè al taglio del nervo
frenico per immobilizzare il diaframma e quindi il polmone che così, in
istato di riposo, poteva qualche volta guarire.
Ma si rimaneva sempre, per bene che andasse tutta l'operazione, con un
solo polmone !
Quando proveniente direttamente dal servizio militare volontario, Attilio
approdò al Sanatorio, in funzione da circa sei mesi , sperava di ottenere
grazie al suo bel diploma, almeno un posto di infermiere. Invece fu
addetto alla pulizia di porte , finestre e pavimenti con raschietto,
stracci , sapone e ammoniaca sotto lo sguardo vigile ed esperto di una
delle quindici suore, tutte milanesi, che curavano praticamente il buon
andamento dei servizi dell'Ospedale, dalla cucina alla lavanderia,
dall'assistenza infermieristica al laboratorio batteriologico e di analisi
cliniche.
E si può dire che fu egualmente soddisfatto, nonostante fosse stato
tentato a rinunciare a quel posto ottenuto con tanto spreco di
raccomandazioni quando qualcuno lo aveva informato che in quell'Ospedale i
malati, e non solo i malati, morivano facilmente; anche una suora era da
poco volata in Paradiso.
Da bravo napoletano, durante il continuo andare su e giù da una finestra
all'altra, spostandosi da una stanza all'altra per espletare il suo
lavoro, in breve tempo si attirò la simpatia di tutti : malati, medici e
soprattutto infermiere , cioè suore, perchè era molto diplomatico e ci
sapeva fare.
Scoprì sogni e pensieri di suore e di ammalati; amori segreti e
aspirazioni di medici invidiosi ; un giorno conobbe Suor Carminelda, una
buffa monaca grassoccia di circa trent'anni .
Specialista del laboratorio batteriologico e responsabile della farmacia,
Suor Carminelda godeva di ampia autonomia nel senso che non era tenuta al
rigido rispetto degli orari come le altre suore e poteva restare a
piacimento nel suo laboratorio a chiacchierare a lungo con chiunque
capitasse a tiro, compreso l'inserviente col quale entrò rapidamente in
confidenza.
Un giorno in cui si sentiva particolarmente "spleen", cioè assalita da
nostalgica malinconia, gli confidò quasi piangendo che Suora Allegra, una
suora molto bella, era morta durante l'operazione di frenicectomia per
colpa del Direttore dell'Ospedale il quale, innamorato e ossessivamente
geloso, aveva voluto operarla lui personalmente nonostante sapesse proprio
nulla di tecnica chirurgica.
-"Ora il suo spirito aleggia tutte le notti davanti alla suite del
Professore, al terzo piano." -sospirò- "Suor Allegra era amata ed è morta
per amore ! La invidio ! A me nessuno bada, nessuno mi ama.....non sono
mica come Suor Allegra.....quasi quasi vorrei avere la TBC.... "
-"Ma che dite mai, suor Carminelda, una sorella importante come voi
², ...con tanto di laurea ! Sapeste quante suore e non solo
suore vorrebbero essere al vostro posto !" - cercò di consolarla Attilio.
-"Si, hai ragione, ma che ne faccio della laurea se nessuno mi vuole bene,
se nessuno mi ama....sono brutta, ecco che cosa sono!" - erano entrambi in
piedi, una di
fronte all'altro e suor Carminelda gli aveva preso familiarmente la mano e
lentamente se l'accostava al petto.
Attilio, cresciuto in un ambiente iper-puritano nel quale preti, suore,
frati erano considerati esseri non soggetti a desideri terreni come il
resto dell'umanità, un po' frastornato pensava "...dove vuole arrivare
questa monaca!....mi sembra che stia esagerando a venirmi così
addosso...." - ma non poteva certo scappar via così su due piedi; che
figura avrebbe fatto ! tentò di risolvere quell' imbarazzante situazione
continuando a consolarla:
-"Ma chi l'ha detto che nessuno vi vuole bene ? non siete brutta ! Avete
degli occhi così belli che farebbero invidia a qualsiasi donna….." e fece
una gaffe : istintivamente, fra una parola di conforto e l'altra,
ritirando la mano che ormai suor Carminelda teneva stretta sul proprio
seno, le sfiorò il viso come per una carezza.
-"Veramente trovi che i miei occhi sono belli ? o lo dici, per farmi
piacere ?" -insinuànte, ora avvicinava sempre più anche il viso al viso di
lui, costringendolo in un abbraccio.
-"Lo dico sul serio, sorella, non per farvi piacere" -rispose Attilio,
sempre più imbarazzato.
-" E allora non mi chiamare sorella, chiamami Pina, è il mio nome da
ragazza. E se trovi che non sono brutta baciami e dimmi che mi ami !"
-"Ma se entra qualcuno e vede l'inserviente non impegnato a pulire il
pavimento bensì ad abbracciare e baciare una suora, che cosa succederà?"
-"Non ti preoccupare, a quest'ora non viene nessuno….baciami, su baciami
!"
Incredulo, anche se non particolarmente entusiasta perchè Carminelda
infagottata nel ridicolo vestito da monaca non sembrava, come si suol
dire, una bellezza, costretto contro la parete fra una vetrina ed una
scrivania, Attilio rispose alle sue effusioni prima con timorosa
indifferenza e poi con meraviglia man mano che scopriva di avere fra le
braccia e di baciare una ragazza che, anche se vestita da suora e più
vecchia di lui di almeno cinque anni, non era poi…..proprio brutta !
Quell'approccio mattutino, onde evitare pericolose sorprese, si concluse
rapidamente con la promessa di ritrovarsi nelle prime ore del pomeriggio
quando tutto l'Ospedale riposava.
E Fu così , senza alcuna colpa da parte sua, che Attilio a ventidue anni
si trovò ad avere per amante una monaca non proprio verginella come ella
gli aveva fatto credere e quando in seguito si rese conto che quella
relazione non lo impegnava sul piano dei sentimenti nè lo
responsabilizzava nei confronti della partner provvide a programmare gli
incontri in ore e in luoghi opportunamente studiati di volta in volta per
non correre rischi : esistevano tanti locali adatti ; c'era solo la
difficoltà della scelta e per lui inserviente era facile trasportare un
materasso dal deposito in altre stanze senza dare nell'occhio.
2
Lo strabico Economo Tettolone era nei pasticci. Doveva provvedere al
collaudo degli attrezzi e degli arredi del Sanatorio già presi o da
prendere in carico man mano che arrivavano, con tanto di verbale e le cose
andavano troppo lentamente perchè Zardi, l'impiegato di ruolo, che aveva
il compito di redigere i verbali non sapeva scrivere a macchina ed era
costretto a scrivere tutto a mano perdendo tempo tra una penna deteriorata
e un calamaio d'inchiostro pieno di mosche.
I collaudi dovevano, peraltro, rispettare tempi legalmente stabiliti
altrimenti si correva il rischio che la fatica di cercare meticolosamente
i difetti in un mobile o in un attrezzo, venisse vanificato dalla
decorrenza dei termini e non si potesse più ottenere dalla Ditta
fornitrice uno sconto sul prezzo o una regalia sottobanco per lui stesso,
economo collaudatore abilissimo nel mercanteggiare.
Ma Tettolone conosceva vita e miracoli dei dipendenti a disposizione e
notò che un inserviente, Attilio, durante il servizio militare aveva
svolto il compito di segretario oltre che di infermiere del Capo del
Reparto Osservazione dell'Ospedale Militare. E se aveva fatto il
segretario, doveva per forza saper usare quella maledetta "M40" Olivetti
ancora mai usata ma che tanto lo aveva impegnato nella vana ricerca di
difetti durante il collaudo.
Convocò quindi nel suo ufficio l'inserviente e, con l'occhio destro a
guardare fuori dalla finestra e il sinistro mirante il soffitto,
fissandolo, cioè, in viso, gli comunicò che aveva deciso di sollevarlo per
un po' di tempo dal servizio di inserviente e di utilizzarlo come
dattilografo.
-"Per ora starai nell'Ufficio con Zardi e svolgerai i compiti che egli
ritiene di doverti affidare per adempiere ai miei ordini" -precisò- "poi,
se nel frattempo ti sarai dimostrato bravo e utile, proporrò alla
Direzione dell'Istituto di assumerti come impiegato. Ti piace la mia
proposta ? Ti piace, eh ?"
Attilio credeva che Tettolone scherzasse, che volesse prenderlo in giro
chissà per quale recondito scopo e, guardingo e umile, taceva; poi resosi
conto che lo strabicone non scherzava e che si stava aprendo per lui la
prospettiva di un impiego consono alle sue aspirazioni, si affrettò ad
assicurargli che si sarebbe dedicato al nuovo incarico con animo grato
verso di lui, il signor economo, impegnando le sue capacità di
dattilografo provetto con tanta buona e disciplinata volontà ( ! ! ! ! ! !
)
Si stava rendendo conto, il giovane inserviente, che in quel mondo in cui
era appena entrato la capacità di vendere fumo e di leccare un po' i piedi
del potente rappresentava la "conditio sine qua non...." avrebbe potuto
………camminare !
Il giorno seguente, mollati stracci e spazzoloni a suor Richetta, la Madre
Superiora delle suore, si stabilì nella grande stanza che serviva da
Ufficio ponendosi a disposizione di Zardi il quale si dichiarò soddisfatto
del provvedimento adottato da Tettolone commentando :
-"Finalmente s'è accorto che non si possono scrivere e riscrivere e
correggere e ricorreggere a mano decine di verbali al giorno!" e per tutta
la mattinata restò ad osservare l'ex inserviente che scriveva a macchina
senza neppure guardare la tastiera.
Tutti furono contenti e soddisfatti di quella soluzione : Tettolone perchè
poteva risolvere i suoi problemi di collaudo senza chiedere altri
impiegati e dimostrare ai vertici dell'Istituto le sue grandi qualità di
economo; Zardi perchè non solo si liberava di un lavoro noioso non proprio
degno di lui impiegato di concetto ma, da bravo toscano senza peli sulla
lingua, considerando il suo nuovo aiutante un innocuo testimone, poteva
anche impunemente commentare ironicamente i difetti di costruzione dei
mobili e di funzionamento degli attrezzi così come li aveva rilevati e
descritti Tettolone pro-tasca sua più che pro-Amministrazione
dell'Istituto; Attilio perchè di punto in bianco aveva fatto un notevole
salto di qualità nel campo dell'impiego: da inserviente a,
nientepopodimeno, dattilografo.
Non fu soddisfatta, invece, suor Carminelda la quale nel nuovo incarico di
Attilio vide un intralcio ai loro incontri chè una cosa era che l'
inserviente armato di tutto l'occorrente per la pulizia andasse tutti i
giorni in Laboratorio e si trattenesse a lungo, un'altra, non
giustificabile, che il dattilografo lasciasse la sua macchina da scrivere
per andare a chiacchierare con la dottoressa farmacista. Ella stava
diventando gelosa e non voleva perderlo di ….vista ! Non si accontentò
delle assicurazioni di Attilio che nulla sarebbe cambiato nei loro
rapporti e si ripromise di fare qualcosa per ovviare alla nuova situazione
.
3
La sera, quando gli appuntamenti con la monaca amante lo consentivano,
Attilio si recava al "Cinema delle Palme" a circa due chilometri dal
Sanatorio, in compagnia dell'autista col quale divideva la stanza nella
dépendance e che più volte lo aveva invano invitato, a visitare , come
tutti i giovani della loro età, le ben note "Maisons" di Sciara el Baz e
Zenghet el Buras, abitate da belle compiacenti ragazze a pagamento
italiane, arabe ed ebree. E non sapeva spiegarsi il perchè, l'ingenuo
autista.
Tutto procedeva con il solito tran-tran.
Poi, una mattina, come si era proposta, suor Carminelda si presentò,
candida candida, da Tettolone e gli chiese, tout court, un aiutante per
metter ordine in farmacia e in laboratorio ben sapendo, la furba, che se
la sua richiesta, come sperava, fosse stata accolta l'impiegato scelto
sarebbe stato ineluttabilmente Attilio: fra il personale del Sanatorio non
c'era nessun altro che potesse espletare quel servizio.
-"Io da sola non ce la faccio, Signor Economo; assegnatemi qualcuno anche
per un'ora al giorno che sappia tenere un registro di carico-scarico delle
medicine e che coordini i vari esami di laboratorio... mi sto rovinando
gli occhi sul microscopio, non posso distrarmi con le scartoffie e i
registri....per rispetto a voi che siete così buono non ho ancora detto
niente al Signor Direttore professor Riquò che è tanto buono anche
lui...."-
Puntava sulla gelosia di....comando, la suorina, e intanto memore degli
apprezzamenti di Attilio, lanciava vezzose occhiate, fra timidi battiti di
palpebre.
Ottenne quanto richiesto. Infatti, il giorno seguente, Tettolone raggiunse
Attilio impegnato alla macchina da scrivere e gli ordinò:
-"Da domani, tutti i pomeriggi, dopo aver finito il lavoro che nella
mattinata Zardi ti avrà assegnato, sempre per mio comando, ovviamente,
andrai in Farmacia e ti metterai a disposizione di Suor Carminelda per
impiantare e tenere un registro di carico-scarico dei medicinali e per
altre incombenze che la stessa dottoressa ti affiderà. Basterà qualche ora
nel pomeriggio, io credo. Comunque, quando in Farmacia non c'è più nulla
da fare tornerai alla tua macchina da scrivere. Va bene ? Hai capito ?"
-"Si, come voi comandate, signor Economo".
4
Trascorse qualche mese e Attilio cominciò a rendersi conto che la sua
relazione con la monaca amante stava diventando pericolosa sia perché ella
si dimostrava sempre più imprudente sia per i discorsi durante i quali
manifestava gelosia, quasi volesse impegnare il loro futuro. Una sera,
dopo il solito incontro, lo trattenne umile e accattivante:
-"Attilio, se non ti arrabbi ti voglio chiedere una cosa..!, Promettimi
che mi perdoni e poi ti dirò..."
-"Ma se non so di che si tratta, come faccio a promettere?"
-"Non fa niente, se mi vuoi bene devi promettere lo stesso!"
-"Va bene prometto ...."- Attilio non vedeva l'ora di sbrigarsi chè quella
sera doveva andare al Cinema ed era già tardi.
-"Se si venisse a sapere della nostra relazione, -mormorò contrita
Carminelda- tu mi sposeresti ?"
Incredulo Attilio, restò a bocca aperta, poi col rischio di farsi udire da
qualcuno nelle vicinanze urlò :
-"Ma sei pazza ? E come faremmo a sbarcare il lunario io inserviente
licenziato e tu monaca spogliata ? Ti ho detto mille volte che dobbiamo
essere prudenti, molto prudenti....e tu hai promesso. Ora che ti salta in
mente ?"
-"Perdonami, perdonami, Attilio....sarò prudente ma ….vedi, non so come
dirtelo…. Il fatto è,,,,, che ho confessato a Padre Nicola che sono
innamorata...non potevo continuare a prendere la Santa Comunione in istato
peccaminoso, per forza dovevo confessarmi, tu mi capisci..... vero, amore
?"
Attilio si sentì cadere addosso il mondo, i suoi sogni, i suoi progetti :
se Padre Nicola avesse informato Suor Richetta, la Superiora, e questi
quel bigotto del Prof. Riquò, addio impiego, addio posto di dattilografo
di ruolo !
-"Sei proprio scema. E gli hai detto anche da chi ti fai scopare ?" -si
informò .
-"No, confessato semplicemente che provo un grande sentimento profano per
un giovane impiegato. Ma non temere, Padre Nicola è rimbambito e a
quest'ora non ricorderà più niente". -tentava di minimizzare, suor
Carminelda.
-"Sei sicura di non aver fatto nomi ? -chiese ancora Attilio, speranzoso.
-"No, no stai tranquillo. Vedrai che non succederà nulla; alla prossima
confessione se Padre Nicola mi interrogherà dirò che sono pentita"
-assicurò.
5
Attilio conosceva Padre Nicola, il vecchio francescano O.F.M. Cappellano
del Sanatorio che lo aveva più volte agganciato per parlargli della sua
Patria, l'Albania, e per ripetere tutto contento che il "nostro" Duce era
stato bravo a scacciare quel ladro di Re Zogu e di offrire la corona a Sua
Maestà Vittorio Emanuele Terzo che così era diventato oltre che Re
d'Italia e Imperatore d' Etiopia, anche Re d'Albania.
Padre Nicola era nazionalista ad oltranza, accomunando in un amore
sviscerato la propria Patria di origine e quella di adozione, l'Italia.
Amava le due Nazioni con la stessa intensità infervorandosi più del
normale quando si trovava a confutare le opinioni dei medici, in special
modo del Dottor Rovato, quarantenne, che si dava arie di esperto in
politica internazionale essendo stato per due anni emigrato in Germania.
Spesso esagerava e qualcuno rideva di lui; ma una cosa è certa : egli non
era rimbambito come suor Carminelda riteneva.
Ovviamente, per il suo ministero, girava tutti i giorni per l'Ospedale
soffermandosi con malati, infermieri eccetera. Una mattina entrò
nell'Ufficio di Zardi e dopo una breve chiacchierata con questi, sedette
vicino alla macchina da scrivere ad osservare Attilio dicendosi
affascinato da quella sua rapidità di battuta dei tasti. Poi chiese dove
aveva imparato a scrivere così bene, quanti anni aveva, se i suoi
famigliari si trovavano in Libia o in Italia....con una curiosità mai
dimostrata prima. Altri giorni, in seguito, entrò e si fermò a parlare con
Zardi e a guardare Attilio che continuava a scrivere a macchina, e Zardi
commentò:
"Attento hollega, temo 'he Padre Nihola vuole imparare a scrivere a
macchina per rubarti il posto!"
Ma Attilio non era in vena di battute umoristiche : ogni attacco di
tachicardia; quando poi una mattina, dopo la Messa, lo vide intrattenersi
a parlare animatamente con Suor Richetta nella hall dell'Ospedale e poi
entrare nell'Ufficio dell'Economo, la sua "coda di paglia" diede per
scontato che il posto di dattilografo e anche di inserviente stava per
saltare e rimase col batticuore per almeno venti minuti, per tutto il
tempo, cioè, in cui Padre Nicola rimase nell'ufficio di Tettolone.
Poi lo vide uscire sorridente e si tranquillizzò; e già si stava
convincendo che le sue ansie e le sue preoccupazioni erano esagerate
quando lo strabico ragioniere lo chiamò e, senza alcuna spiegazione, gli
comunicò che l'incarico di tenere il registro delle medicine e delle
analisi era annullato e che pertanto non doveva mai più metter piede in
farmacia nè in laboratorio, e concludendo :
-"Spero per il tuo bene di non doverti rimandare a fare l'inserviente !"
Attilio non seppe che dire, uscì come un cane con la coda fra le gambe,
sollevato, malgrado tutto, dal timore di un licenziamento in tronco.
6
Ansiosa e irrequieta, suor Carminelda contava il trascorrere dei minuti e,
quando fu certa del sonno profondo e tranquillo della consorella nel letto
gemello, seppe che era l'ora e silenziosamente scese dal suo giaciglio;
cauta uscì nel corridoio.
Se l'onnipresente madre superiora o qualche altra suora l'avessero
sorpresa a passeggiare in quell'ora tarda era pronta ad entrare nel
gabinetto da bagno accusando cattiva digestione.
Era già successo e tutti sapevano ormai che Suor Carminelda, poverina,
aveva lo stomaco sofferente.
Tutto l'Ospedale dormiva.
Si avviò verso il pianerottolo di divisione della "zona clausura" dalla
"zona medici". Si fermò attenta ad ascoltare, a scrutare nei due corridoi,
poi decisa infilò le scale e rapida scese al secondo piano.
L'ala destra del secondo piano era inagibile ma alcune stanze venivano
utilizzate quali locali di sgombro e deposito di materassi , coperte, reti
e spalliere di letti pronti per essere utilizzati non appena tutto
l'Ospedale fosse in condizione di operare pienamente. Suor Carminelda,
leggera e rapida come un fantasma nel buio appena schiarito da una piccola
luce rossa di emergenza vicino al telefono appeso alla parete e dai raggi
di luna filtranti attraverso le veneziane delle grandi vetrate sgattaiolò
nella prima stanza vicina alla rampa di scale, e riaccostò silenziosamente
la porta.
Attilio l'aspettava impaziente; quell'incontro notturno doveva essere
l'ultimo; dopo l'evidente avvertimento di Tettolone, aveva deciso di
troncare definitivamente la loro relazione.
-"Infatti -pensava- Padre Nicola ha per il momento espresso a Tettolone
solo qualche considerazione in merito all'opportunità di consentire ad un
giovane impiegato di stare a contatto di....gomito con una suora anch'essa
giovane; ma in un secondo tempo, d'accordo con Suor Richetta, potrà anche
sollecitare più gravi provvedimenti..... Padre Nicola non è affatto
rimbambito e non vale la pena rischiare un prezioso posto di lavoro che mi
potrà garantire un futuro decente !" Intanto però per l'ultima volta egli
doveva fare il suo dovere e ...il suo piacere.-
La prese fra le braccia e la depose sullo stretto materasso che aveva
provveduto a stendere sul pavimento. Questa volta non faticò come la prima
volta a liberare le sue grosse mammelle dal complicato reggiseno nè
opposero eccessiva resistenza i non meno complicati lacciuoli delle
speciali mutande monacali. Carminelda ormai aveva fatto esperienza e
provvedeva in anticipo a semplificare l'operazione "spogliarello"
arrivando pronta e fragrante all'appuntamento trisettimanale!
7
Il dottor Craruso, il medico più cretino dell'equipe del Sanatorio
ritornava al suo alloggio dopo aver inutilmente tentato per tutta la sera
di convincere Laila, la padrona dell'unico bar di "Porta Benito", a farsi
scopare.
Era nervoso e rimuginava nella sua mente alla ricerca di nuovi metodi di
approccio alla bella ma difficile Laila.
Si accinse a salire le scale verso il suo alloggio; non usava mai
l'ascensore, per prudenza, diceva; sul pianerottolo del secondo piano ,
vedendo la spia luminosa del telefono appeso al muro pensò di fare una
sorpresa a Laila e di testimoniarle il suo amore anche per....filo.
Chissà, forse questa trovata poteva scongelare i sentimenti della bella.
Si attaccò all'apparecchio e cominciò a parlare a tutta birra: oltreché
cretino era anche gran parlatore, spesso logorroico.
8
I due colombi sul materasso nella stanza quasi buia, solo illuminata dalla
fioca luce lunare, a non più di tre-quattro metri di distanza, si
strinsero più stretti e attesero che Craruso finisse le sue dichiarazioni
d'amore telefoniche; ma il tempo passava e Suor Carminelda cominciò a
preoccuparsi : se tardava molto e rientrare era possibile che la sua
assenza fosse notata non solo da suor Virginia la vicina di letto ma anche
dalla Madre Superiora che soffriva d'insonnia e spesso si alzava nel cuore
della notte per controllare che le sue "figliole" riposassero bene, senza
grilli per la testa.
-"Cosa facciamo, Attilio ?" -sussurrò- "Non posso uscire, questo è
quell'impiccione di Craruso, lo senti ? E se entra ? Se ci scopre io sono
bell'e fritta...e tu amore dovrai sposarmi per forza?"
-"E io prima ti strozzo !" -Attilio si sentiva gelare ma non aveva
scusanti per essersi lasciato impigliare in quel ginepraio nè rimedi
immediati per uscire dall' impasse. Suor Carminelda pensò di trasportare
qualche materasso a barricare la porta ma egli si oppose :
-"No, anche il più lieve rumore può insospettirlo!"
Poi sempre attenta a che non trapelasse il pur minimo suono, ella gli
confidò un piano che aveva in mente e sorniona lo invitò :
-"Intanto baciami, baciami ancora forte chè se poi non avrà ancora smesso
di parlare ........saranno cavoli suoi.!"
E soddisfatto il secondo assalto dell'eroico inserviente, si alzò
lentamente, le braccia aperte in croce, con le mutande e il reggiseno
svolazzanti fra le mani, bianca e fantasmagorica nella lunga camicia da
notte, aprì la porta e si spinse nel corridoio emettendo un lungo lamento
.
La luna s'era nascosta dietro gli alti eucaliptus del parco e il corridoio
adesso era appena schiarito dalla incerta luce di emergenza che deformava
le immagini, Craruso si voltò e vide qualcosa di surreale venire verso di
lui; il telefono gli cadde di mano e mentre urlando si precipitava per le
scale mise un piede in fallo e rotolò fino al pianerottolo sottostante.
Nella caduta non riportò gravi lesioni ma i soccorritori accorsi alle sue
urla dissero, il giorno dopo, che aveva gli occhi sbarrati, e aveva perso
l'uso della parola, solo ripetendo: "Là, là, Suor Allegra " indicando col
dito la cima delle scale.-
9
Fu così che Craruso diventò famoso e tutti nei giorni seguenti facevano a
gara per ottenere più precise notizie del fantasma che aveva visto da
vicino. Altri, si diceva, l'avevano visto, quel fantasma, errare nei
lunghi corridoi del terzo piano, ma da lontano, non così da vicino come il
fortunato dottor Craruso il quale, fesso fesso, seppe approfittare
dell'improvvisa popolarità e, non so con quale pratica conclusione,
diventò di punto in bianco, da corteggiatore pazientemente sopportato ad
amico inseparabile della bella Laila.
*
Ad Attilio invece non andò altrettanto bene perchè Tettolone, quella
stessa mattina lo chiamò nel suo Ufficio e gli chiese come mai anche lui
che dormiva nella dépendance, praticamente alle spalle del Sanatorio,
lontano dal luogo dell'incidente, era accorso agli urli di Craruso.
Si giustificò dicendo che quella sera era andato al Cinema e stava proprio
rientrando quando aveva sentito un certo frastuono provenire dall'ingresso
del Sanatorio, si era precipitato per scoprirne il motivo e aveva visto
qualcuno che prestava soccorso al dottore e indicava un fantasma in cima
alle scale :
-"Io, però, l'ho visto solo di sfuggita, di spalle." -concluse.
Ma Tettolone era sì, strabico ma non affatto scemo e gli fece questo
discorsetto :
-"Le spalle di chi ? Del fantasma ? Senti bene, la storia del fantasma la
puoi dar da bere a Craruso non a me che son romano di antico pelo. E i
romani, se tu non lo sapessi, di cose inverosimili aut similia veri, ne
hanno viste tante attraverso i secoli e ora non credono più a niente."
(Amava spesso fare sfoggio di latino e di cultura storica, il guercio!) -
e continuò:
-"I lunghi discorsi, i giri di parole di Padre Nicola che davano a pensare
a monache ingenue e a giovani dipendenti che si aggiravano senza alcun
motivo in posti dove non dovevano essere mi avevano fatto sorgere qualche
dubbio. Ora ho capito. E tu, hai capito ? O devo fare anche i nomi. No,
non voglio fare nomi, nè andare oltre con questo discorso. Ti voglio dire
soltanto che tu, oggi stesso, mi scriverai una lettera di dimissioni. Se
non la fai, la lettera te la invierò io : licenziamento in tronco per
scarso rendimento e tu non troverai più un posto nè di inserviente e
neppure di spazzino per i prossimi dieci anni, chiaro ?".
Note:
¹ In quel tempo non si perdeva
occasione di intitolare strade e luoghi caratteristici al nome di
Mussolini, "Benito".
² La politica fascista di
italianizzazione della lingua aveva vietato il pronome allocutivo "lei" e
per rivolgersi a persona con cui non intercorrevano rapporti di
familiarità era giocoforza usare il "voi"
Massimino
"Sergente, fa' attenzione all'ermafrodito, i suoi colleghi gliela potrebbero
rompere...." - ammonisce scherzoso il Capitano medico Capo Reparto prima di
smontare dal servizio rivolgendosi all'infermiere di guardia.. Si riferisce a un
"askari" (*) là ricoverato, nella camerata riservata agli arabi, in attesa di
accertamenti sul suo sesso prevalente: se risulterà maschio dovrà fare il
servizio militare se invece sarà femmina verrà esonerato. Ma il Capitano è molto
prudente e richiama l'attenzione dell'infermiere anche sui problemi che potrebbe
creare Massimino , un soldato metropolitano schizofrenico ricoverato nella prima
camerata. Siamo nel dicembre del 1940, alla fine del primo semestre di guerra,
nell'Ospedale Principale Coloniale di Tripoli, un bell'Ospedale immerso in un
grande parco alberato con palme ed eucaliptus. Costruito verso la fine degli
anni '20 quale Ospedale Civile con diversi padiglioni, dal Medicina generale
all'Ostetrico-ginecologico, dal Chirurgico all'Oto-rino-laringoiatrico, intorno
agli anni '33 - '34
divenne anche Ospedale Militare e al terzo piano del Reparto Geriatrico, fu
installato il Reparto Osservazione Militare dove affluivano Soldati realmente
affetti da patologie invalidanti in relazione al servizio da svolgere, e
"lavativi", cioè soldati che fingevano di essere malati per evitare la "naia".
L'obiezione di coscienza non era stata ancora inventata.
Ora è notte fonda. Notte gelida e luminosa; tutti i ricoverati dormono ormai
profondamente nelle camerate inondate dai raggi della luna piena filtranti
attraverso le grandi vetrate di adito ad un'ampia balconata coperta.
Anche l'infermiere, dopo un ultimo giro di ispezione nelle due camerate del
Reparto si è coricato e dorme tranquillo : "Massimino" -aveva pensato- "in oltre
venti giorni di degenza non ha dato gravi segni di follia ma solo dimostrato
qualche interesse particolare per i gatti randagi che si aggirano fra i
padiglioni, perché preoccuparsi? E per quanto riguarda l'ermafrodito, che
cavolo, se si sente aggredito da qualche stallone chiederà aiuto, no ?"
Massimino invece non dorme. Pensa alle sue pecore, alla sua famiglia lasciata al
paese, sui monti della Calabria, dov'è nato e cresciuto, per venire a combattere
gente che non gli aveva mai portato offesa in nome di una Patria sconosciuta,
laggiù nel deserto della Marmarica con l'enorme esercito appiedato del Generale
Graziani.
E' un giovane pastore semianalfabeta carico di tristezza e di nostalgia. E'
irrequieto. Guarda come ipnotizzato il soffitto e sogna i suoi monti, le verdi
vallate intorno al suo Paese. Non è cosciente del suo stato di salute e non sa
ancora che essendo stato riconosciuto irreversibilmente non idoneo al servizio
militare verrà definitivamente rimpatriato; vuole tornare subito nel suo
naturale ambiente; non può attendere ancora, lasciare le sue pecore sole....esse
sono là, a portata
di voce... e le vede e le riconosce una per una in quelle
macchie confuse impresse dal tempo sul soffitto bianco....e c'è anche il lupo,
eccolo, eccolo lì pronto a sbranarle.
Si gira e rigira nel letto; è nervoso, non può dormire e vorrebbe alzarsi ma
teme di svegliare la camerata; cerca invano di resistere ma è giocoforza alzarsi
ora che all'ansia si è aggiunto lo stimolo del bisogno di orinare; troppo a
lungo quella sera si era trattenuto dall'andare al gabinetto : per uno strano
senso di pudore , timoroso che qualcuno lo osservasse, egli spesso rimandava più
del naturale il soddisfacimento delle necessità corporali nelle latrine o nei
gabinetti comuni.
Scivola dal letto; furtivo, apre la porta della camerata ed entra nei locali dei
servizi igienici dove tenta invano di scaricare la sua tensione , la sua ansia.
Apre tutti i rubinetti dei lavatoi e delle docce: s'incanta ad ascoltare lo
scrosciare dell'acqua e si rivede sulle sponde scoscese dell'odiato torrente in
fondo alla sua valle. Risente il pianto disperato della madre e rivede il suo
fratellino travolto dall'improvvisa piena in un aprile lontano nel tempo.
Lacrime ardenti colano sulle sue gote : non può attendere oltre, deve
affrettarsi a tornare da sua madre che forse sta piangendo ancora. Scende le
lunghe scale e si avvia nei viali ombreggiati dalle fantastiche lunari
silhouettes degli eucaliptus profumati e delle palme immote che gli infondono
certezza : la via è giusta e gli eucaliptus e le palme ora sono faggi
e castagni, gli alberi secolari delle sue montagne e della sua infanzia.
Senza rendersene conto percorre più volte lo stesso tragitto fra i silenziosi
padiglioni.
Un gatto attraversa la strada.
Gli sembra il suo gatto ma non risponde al richiamo; lo insegue fino ad un lungo
corridoio che penetra nella sala fiocamente illuminata di un basso padiglione,
lo perde di vista; scruta ogni angolo, inutilmente : il gatto è scomparso. Si
ferma incerto; c'è poca luce ma sul grande tavolo di marmo bianco al centro
della sala scorge qualcosa : si avvicina e in un corpicino nudo là deposto
"riconosce" suo fratello, suo fratello Ottavio, caduto nel torrente a soli tre
anni.
Lo prende in braccio, lo accarezza e lo sente freddo e lo culla:
-"Ottavio, fratellino, sei tanto freddo.... io ti scalderò.……non temere!" -lo
tranquillizza sottovoce; ma Ottavio non risponde, i suoi occhi restano chiusi e
Massimino continua a cullarlo :
-"........ti riscalderò e ti terrò stretto, non ti farò più cadere nel torrente,
ti porterò nel mio letto e poi domani andremo insieme a casa, non temere,
fratellino.!" e, canterellando un'antica nenia , lentamente ritorna in camerata
stringendosi al petto il corpicino inerte.
Ma qualcuno fra i dormienti s'è svegliato al rumore della porta che si riapre e
nota che Massimino porta con sé nel letto qualche cosa che tenta di nascondere;
sospetta trattarsi di un gatto..., considerata la simpatia dimostrata nei giorni
precedenti per quei felini ; poi guarda meglio e dà l'allarme.
La camerata intera si sveglia e tutti vogliono sapere
perché Massimino canta nel cuore della notte.
E si sveglia anche il sergente-infermiere che
dorme nella stanzetta adiacente e accorre in mutande, tremante per il freddo
dicembrino.
Massimino culla il suo fratellino ; minaccioso, prende la bottiglia dell'acqua
dal comodino vicino al suo letto e la brandisce contro chi si avvicina per
vedere meglio :
-"E' mio fratello Ottavio ! Ha sonno, non dovete svegliarlo!" -avverte; poi,
sempre intonando la sua strana cantilena, apre una delle grandi vetrate e si
avvia sulla balconata
incurante degli ordini :
-"Fermati" -urla l'infermiere- "Dove credi di andare?"
-"Andiamo a casa, signor tenente... " -"Non sono tenente, sono l'infermiere !
Fermati, quella non è la strada di casa....."
-"Fa lo stesso, signor tenente, fa lo stesso....
-"Fermati, Massimino ; ubbidisci !" A casa andrai la settimana prossima con una
bella nave !"
-"Fa lo stesso, signor tenente, fa lo stesso....." ripete a mo' di ritornello ;
non si può fermare. Egli deve portare a casa il fratellino, lo deve riportare
alla sua povera mamma quasi impazzita dal dolore, non può attendere oltre.
Affretta il passo, sfugge all'infermiere che tenta di trattenerlo e supera in un
balzo, egli abituato a ben più difficili ostacoli, la bassa ringhiera della
balconata e vola verso il suo sogno , venti metri più sotto, dove la sua dolce
nenia ineluttabilmente si spegne.
Al soldato Massimino nessuna medaglia al valore fu concessa, neppure quella di
bronzo : egli non aveva fatto la guerra, non aveva ammazzato nessuno, non poteva
essere decorato.
Non si poteva certo decorare un sogno !
(*) Askari : Soldato arabo.
Nota: Inseguendo il gatto Massimino era penetrato nell'obitorio e il corpicino
che nella sua follia scambiò per suo fratello era quello di un bambino di circa
un anno morto nella mattinata. |