Asola e bottoncino
L'avevo guardata fin dal primo giorno del mio arrivo all'hotel ma non
riuscivo a capire perché mai scorgessi nel suo volto alcunché di
familiare. Di statura media, snella, capelli corti, lineamenti del viso
ben marcati ma non privi di una certa armonia, adeguata all'età che
manifestava, sui cinquant'anni. La curiosità aumentò perché, appena mi
vide, il volto le si illuminò di uno splendido sorriso, segno
inequivocabile che per lei non ero uno sconosciuto ma un cliente già visto
nell'hotel, mia abituale dimora a Fiuggi in occasione della consueta,
annuale cura termale. Ebbi modo di osservarla: a tavola serviva i clienti
con sicura professionalità ed aveva nei riguardi di ciascuno un quid
particolare, forse un'innata capacità di intuirne le caratteristiche
individuali. Destava ammirazione il suo modo di agire, di muoversi, di
sorridere, ma quello che più mi intrigava era lo sguardo. Già, lo sguardo:
sembrava avesse la capacità di toglierti da dosso ogni velo, di penetrare
nel profondo intimo dell'animo.
Era mia abitudine elargire una piccola mancia alle cameriere e alle
inservienti, gesto che facevo con discrezione e non oltre il terzo giorno
dal mio arrivo. Accettò con spontaneità la mancia proferendo un sentito: -
Grazie. La fissai un attimo negli occhi e mi sembrò di scorgervi piena
risolutezza, senza alcun accenno di minimo pudore. Spiegai il fatto con
l'abitudine acquisita a queste, più o meno dovute, elargizioni. Colsi
anche l'occasione per domandarle:
- E' la prima volta che …
Non finii la frase che subito rispose con una dolce venatura di
rimprovero:
- No, c'ero anche lo scorso anno … davvero non ricordi?
Mi sforzai di ricordare e qualcosa si risvegliò nella mia mente.
- Ma lo scorso anno, non servivi ai tavoli!?
- No, riordinavo le camere.
Adesso ricordavo …, insieme a due altre cameriere che servivano
assiduamente ai tavoli c'era una terza, sempre rivestita di un lungo
camice bianco e che incontravo solo quando ritornavo dalle mie lunghe
passeggiate mattutine.
Mi alzavo presto la mattina, succedeva a volte che fossero ancora tutti a
letto; spesso non erano ancora giunte le cameriere e le inservienti
quando, prendendo le chiavi sul bancone della reception, aprivo la porta a
vetri dell'hotel per uscire. Mi venne subito a mente quello che le dissi
il mattino che, dopo aver fatto la doccia e preparato l'occorrente per
andare alle terme, uscii dalla camera e la trovai dietro la porta, pronta
ad entrare per il riassetto quotidiano.
- Le devo chiedere scusa, - le dissi - sia per il ritardo sia per il lago
che troverà sul pavimento del bagno.
La mia camera, infatti, non aveva il box e per fare la doccia bagnavo il
pavimento, obbligando l'inserviente di turno a lavarlo tutto e ad
asciugarlo. Ma era proprio questo che lei faceva ogni mattina, infatti
disse:
- Non si preoccupi, vuol dire che non ci sarà bisogno di bagnare lo
straccio nel secchio.
Ricordo anche che fu quella l'occasione per darle la mancia. Naturalmente,
quanto accaduto lo scorso anno fu richiamato da entrambi con immancabile
ilarità, ed io rinnovai le scuse per il presente …, in quanto avevo la
stessa camera, nelle stesse condizioni, e io non rinunciavo alle mie
passeggiate mattutine.
- Faccia pure le sue passeggiate e non si preoccupi di bagnare il
pavimento del bagno.
Trascorsero i giorni in assoluta tranquilla normalità fino al giorno in
cui …
Devo premettere che sono ormai diversi anni che mi reco a Fiuggi per le
cure idroponiche e sempre, almeno una volta l'anno, mi è capitato di
dimenticare la chiave in camera. Per recuperarla occorre utilizzare il
passepartout, che gentilmente viene dato al cliente. La signora Anna,
proprietaria dell'hotel, pregò Maria, così si chiamava la cameriera in
questione, di prestarmi il passepartout.
Recuperai la chiave e mi accinsi a restituire a Maria il passepartout. Una
cosa banalissima …, così dite? Maria aveva le mani impegnate da una pila
di stoviglie, in procinto di apparecchiare uno dei tavoli per la cena, per
cui mi suggerii di infilarlo nel taschino della giacchetta della sua
divisa. Eravamo di fronte, ai lati opposti del tavolo e lei si spinse in
avanti per favorire l'inserimento. La giacchetta era candida e stirata
perfettamente, probabilmente inamidata, tanto che il risvolto del
taschino, con il bottoncino perfettamente inserito nell'asola, aderiva
perfettamente alla stoffa sottostante.
Per infilare la chiave occorreva discostare il risvolto. Avevo il
passepartout serrato tra il pollice e l'indice della mano destra, mi
restavano le altre tre dita da infilare nel risvolto ma … Ma? Come non
accorgersi che il taschino altro non era se non un'aggraziata cupola
sostenuta da un uno splendido seno, il sinistro, quello del cuore?
Esitai. Lei si accorse e socchiuse le labbra in un sorriso di
incoraggiamento. Avvertivo il tremore della mano mentre distendevo medio
anulare e mignolo per creare l'apertura necessaria. Sentivo, pur non
vedendolo, il rossore del mio viso, avvertivo il flusso del sangue con il
battito accelerato del cuore, ampliato, come un'eco, in prossimità delle
tempie. Avrò certamente toccato il suo seno ma non ho avvertito alcuna
sensazione tattile; sentivo le dita della mano calde e turgide e l'aver
finalmente infilato il passepartout mi liberò da quello incontrollato
impaccio. Nei giorni successivi ho rivisto tante volte questa scena: il
mio impaccio e la sua sicurezza, espressa dall'incantevole sorriso.
Venne il giorno del commiato e quando lei tese la mano accostando al mio
il suo viso e ruotandolo leggermente indietro, le stampai convinto le mie
labbra sulla guancia. Lei avvertì il mio impulso di desiderio e di
piacere, nonché di rivincita …, e mi rispose con un eloquente smagliante
sorriso.
Settembre 2014
Equilibrio ed eleganza non hanno età
E' mia abitudine, specie quando soggiorno fuori e le circostanze mi
obbligano ad avere vita comune con altri, osservare quelli che con me
condividono attività quotidiane. Fiuggi è certamente un luogo di terme
assai noto e frequentato sia per necessità, collegate a disfunzioni varie
dell'apparato urinario, sia per scelta di luogo di villeggiatura per la
sua invidiabile posizione nel cuore del Lazio. A breve distanza da Roma e
da altri luoghi ricchi di bellezze artistiche e naturali, è uno dei centri
termali più frequentato, con una ricezione alberghiera adeguata a tutte le
esigenze in corrispondenza alle proprie possibilità economiche, sempre e
comunque nel rispetto della decenza e della squisita accoglienza.
A Fiuggi si viene quindi per cura, ma spesso … per abbuffarsi. L'età media
dei clienti delle strutture alberghiere oscilla tra i settanta e gli
ottanta anni, con sforamenti più comuni in su che non in giù. La maggior
parte sono certamente in sovrappeso e non mancano esempi di sicura
obesità. Ebbene, sono proprio costoro che, a dispetto della forma e del
peso, si abbandonano al vizio della gola con estrema disinvoltura. Per
loro il pranzo consiste: in due primi entrambi ripetuti, un secondo
abbondante con vari contorni, frutta, dolci ed ancora varie specie di
formaggi: pressappoco 2500 calorie a pranzo e più o meno altrettante a
cena; se qualcosa non è di gradimento del cliente …, è sempre possibile
ricevere altra pietanza. E la colazione? Dico solo che io mi vergogno,
perché chiedo ogni giorno solo un caffè. Lascio alla vostra immaginazione
di quanto e di che cosa si abbuffino. A loro disposizione, oltre al caffè
e al cappuccino vi sono: vari tipi di torta, ciambelle, paste alla crema,
marmellate, biscotti … E mi fermo qui, solo perché non mi sono mai
attardato a catalogare tutto quel ben di Dio.
Per fortuna c'è sempre qualcuno che si distingue per un comportamento
equilibrato ed inappuntabile. Quest'anno è stata una signora, un po' in là
negli anni, ottantasei per essere precisi, che ha destato la mia
ammirazione. Di statura piuttosto piccola, snella, ancora spedita e sicura
nel camminare. I suoi capelli di giusto taglio, avevano il colore donato
dalla sapiente età, sempre pettinati in modo acconcio ed in sintonia con
quanto indossava. I suoi vestiti? Vestiva sobria ma accurata. Quando
faceva la sua comparsa, la mattina per una parca colazione o ai pasti,
tutti la osservavano e percepivano naturale sensazione di stima. La
guardavo con piacere a tavola o seduta nel cortile, quando era possibile
godere del sole che quest'anno si è lasciato desiderare. Era sempre al suo
giusto posto, con un'espressione del volto che esprimeva gioia di vivere,
ma in modo equilibrato; senza esagerazione pur nella sua immancabile
eleganza, un'eleganza naturale, istintuale, mai offensiva e senza
ostentazione alcuna. Provavo per lei un sentimento di gratitudine perché
mi riconciliava con quell'età avanzata e per tanti versi temuta. Con mia
meraviglia, dovevo ammettere che la vecchiaia, così come da lei vissuta, è
assolutamente bella.
Fu così che un giorno ebbi l'ardire d'avvicinarmi al tavolino al quale
poggiava un braccio mentre era seduta. Con garbo, ma risoluto, posai la
mia sulla sua mano e scandendo le parole dissi:
- Equilibrio ed eleganza non hanno età!
Mi fissò negli occhi con uno sguardo intensamente espressivo ed aggiunse:
- E' vero!
Ricordo ancora il tono di intima soddisfazione della sua voce ed il
sorriso che illuminò il suo volto … tanto da apparire assai più giovane.
Settembre 2014
La Risata
Il cielo si è dimenticato che siamo ancora in estate e così di suo
capriccio è passato all'autunno. L'aria rintrona di scavatrici, un suono
assordante che tedia l'anima e non fa riposare il corpo e … allora?,
inseguo i miei pensieri che liberi, come cani sciolti, mi riportano alla
mente immagini in rapida successione senza che nessuna desti in me il
minimo interesse. No, aspetta, torna indietro, e mi ritrovo a parlare a me
stesso come se i pensieri non fossero i miei ma di un altro, un
interlocutore che potesse proiettare immagini nella mia mente. In effetti
quest'immagine mi attira, è l'immagine di Yvette Du Moulin.
-Yvette, la più jolie famme de Le Chable. - le avevo detto una volta, e
lei mi aveva sorriso illuminando il volto con lo splendore dei suoi occhi
intensi ed espressivi e mostrando una cerchia di denti candidi e perfetti.
Yvette è una ragazza svizzera, ha i capelli biondi, striati di chiaro e di
scuro come gli steli del grano maturo. Di statura media, una siluette
perfetta da statua, come tante ragazze del Nord, ma gli occhi no, ha gli
occhi fascinosi e profondi delle donne meridionali. Yvette è una ragazza
del Nord solo nel corpo, nell'anima rivela una passione viva e intensa che
è propria delle donne meridionali. Non la dimenticherò mai anche se l'ho
vista poche volte, ho scambiato con lei poche semplici frasi, ma la mente
ricorda quello che più le piace e certamente Yvette è, sarà sempre, un
gradito ricordo.
Mi risveglio, l'aria rintrona di rumori assordanti, non si riesce neppure
a sognare ad occhi aperti in questo chiasso infernale. Poi, come per
incanto, un momento di silenzio, e finalmente si odono gli uccelli! Non
facciamoci illusioni, il regno del chiasso è più vivo che mai, ecco ha
ripreso, ma intanto la mia mente, complice il canto degli uccelli, si è
spostata su un'altra immagine: la storia di un povero nido di lugarini.
C'era una volta una coppia di lugarini che avevano scelto la cima di un
giovane cipresso per costruire il nido. Erano una coppia felice ed
affiatata. Lui era in giro a cercare continuamente il cibo per sé e per la
compagna, ella non abbandonava mai il nido, intenta e premurosa a covare
le uova. Ma il giovane cipresso odiava quel nido. Quel peso, quel piccolo
peso, gli avrebbe impedito di vincere la corsa verso l'alto con i suoi
fratelli cipressi. Cosa avrebbe fatto per sbarazzarsi di quel nido! Un
giorno il compagno tardava a portare il cibo, tardava e non veniva. La
povera lugarina era stanca, con le ali rattrappite e affamata, lasciò il
nido; per poco, pensò, giusto il tempo di distendere le ali e trovare un
insetto per calmare la fame. Nel frattempo giunse il giovane lugarino e,
con disappunto, trovò il nido vuoto.
Il cipresso approfittò subito dell'occasione e gli disse che la sua
compagna lo tradiva spesso, quando lui non c'era.
- Siii, adesso anche gli alberi parlano?!
- Oh bella, non sapete che gli alberi parlano?! Parlano, parlano.
Il lugarino fu preso dall'ira e, raspando con le zampe e picchiando con il
becco, disfece il nido. Le uova, già pronte a schiudersi, caddero e si
ruppero uccidendo le giovani vite.
E' il vento la voce degli alberi, il vento funesto. Portò in giro la
tremenda calunnia che
accusava la lugarina di tradire il compagno.
E' il vento la voce degli alberi, il vento beffardo. Portò in giro la
crudele risata del giovane cipresso; si sentiva felice il cipresso, adesso
era sicuro di vincere la sua corsa verso il cielo, più in alto, sempre più
in alto di tutti.
Ma gli uccelli si vendicarono. Non andarono più sul cipresso e gli insetti
furono liberi di attaccare l'albero crudele e ne bevvero tutta la linfa
fino a farlo seccare.
E' il vento la voce degli alberi, il vento spettrale. Per questo, quando
ascoltate la voce del vento che sembra pianto, ricordate: è il giovane
cipresso che si lamenta perché ha perso la sua corsa e la sua vita.
Trascorro annoiato il giorno, unici sprazzi di serenità i miei pensieri
che mi estraniano da tutto e da tutti. Noioso e assordante il giorno,
finalmente la sera. La sera esco con gli amici, pochi per la verità, e
quando trovo qualcuno …, ne vale la pena?, ai passi sulla piazza, sulla
villa si aggiungono parole vuote, senza senso. I soliti discorsi …, la
politica, le agitazioni sindacali, il lavoro che manca. Qualche volta si
parla delle ragazze, e ognuno parla ed è contento di dire cose insulse,
cretine, assurde, tanto per parlare e l'altro è contento di contraddire,
di ripetere cose insulse, cretine, assurde tanto per contraddire. Qualche
volta quando la compagnia è più gradita, si fa per dire, prendiamo la
strada che dalla Chiesa delle Anime si inoltra per la campagna e si
immette sulla Cutrofiano - Aradeo.
E' bella questa strada, mi piace tanto. Si snoda sinuosa con curve
alterne, come l'ancheggiare delle quindicenni a primo pelo che vestono
fuseaux attillatissimi tanto da sembrare una seconda pelle, o minigonne
mozzafiato. Già le quindicenni d'assalto, io le disprezzo tutte anche se
devo confessare che passerei volentieri mezz'ora di piacere. Ma la strada
è bella. Lo sguardo è libero di spaziare, ammiro i campi coltivati a grano
e a ortaggi. Gli alberi sono rari e radi e per la maggior parte pini. Amo
i pini, mi stupiscono ed incantano i pini, sono alti, maestosi, con la
caratteristica chioma ad ombrello, sono gli aristocratici tra i vegetali.
E vedo la vite bella e prosperosa ma per niente umile, se vuoi cogliere i
suoi frutti devi abbassarti; non così i fichi, sono generosi e pazienti i
fichi, offrono contenti i loro frutti mielati, sono bravi i fichi hanno
imparato tutto dai pini. E' bella questa strada, rivela il lavoro sapiente
dell'agricoltore e testimonia una terra che restituisce in frutto
abbondante le cure amorose. Una sola cosa stona in questo panorama
idilliaco, lontano, sul colle verso Parabita, si staglia, alta nel cielo,
l'antenna della televisione: è accattivante ma non appartiene a questo
contesto agreste; è seducente, si veste sgargiante di luci rosse, ma è una
puttana. E' bella questa strada, anche i discorsi diventano meno fatui e
si affrontano argomenti più seri. E si parla della Guerra nel Vietnam: la
potenza più grande del mondo, gli Stati Uniti d'America, contro un popolo
di straccioni, i Vietnamiti, un popolo fiero e indomabile. Ed è proprio in
questo contesto, in questo scenario stupendo, su questa strada che tanto
mi appaga, che io espongo la mia teoria:
Il mondo è una risata!
Chi ascolta mi guarda incredulo e ribatte:
- Come puoi dire che il mondo è una risata? Forse potranno ridere gli
Americani, e neppure tanto viste le numerose perdite tra i loro soldati,
ma non certo ridono i Vietnamiti che subiscono gravi perdite anche di
civili, tra cui donne e bambini!
- State certi, anche i Vietnamiti ridono. Forse non piangono? E allora
ridono. Ridono e piangono nel gioco crudele del riso umano.
Mi guardano interdetti, forse pensano che stia sragionando più del solito.
Io leggo nei loro occhi incredulità, profondo disappunto, e allora decido
di spiegar loro come, e perché, ho scoperto che tutto, nel mondo, è una
risata.
- Stavo disteso sul mio letto e malgrado l'ora tarda non riuscivo a
prender sonno. Il silenzio della notte era assoluto, le rare auto o i
camion che attraversavano la vicina circonvallazione più che romperlo
davano maggior risalto al silenzio. Ad un tratto si sentì uno strano
rumore, anzi no un lamento, no forse una risata strana, un "ah ah ah"
prima lieve, come il ticchettio della pioggia leggera, poi forte come
quando scroscia a grosse gocce, poi via, via più veloce come il battito
d'ala delle tortore, e infine monotono e lugubre come il verso dell'upupa.
Che cos'era? Non riuscivo a comprendere cosa fosse e quasi desideravo
riascoltare quel lugubre lamento o risata satanica. Non sapevo cosa fosse
…, ma aveva qualcosa di familiare che forse avevo ascoltato di giorno, ma
non in modo così nitido e spaventoso. Ed ecco, il lamento si è ripetuto
un'altra volta e ancora un'altra e poi ancora non so quante volte.
Iniziava sempre leggero come pioggerella gentile, poi più forte e
violento, come il battito d'ala delle tortore, infine come grido inumano
di chi si … affogasse. Finalmente capii, era il lamento, o meglio la
risata isterica, di un vecchio idiota colpito da crampi allo stomaco. Lo
vedevo spesso, abitava vicino a casa mia e trascorreva il tempo seduto su
una sedia accanto all'uscio e guardava tutti i passanti nella speranza che
qualcuno si fermasse, che scambiasse con lui qualche frase nei rari
momenti di relativa lucidità; più spesso aveva lo sguardo assente e faceva
strani gesti con le mani, come di chi stesse svolgendo un lavoro su
qualcosa che lui solo vedeva. Di tanto in tanto, avevo scambiato con lui
qualche parola senza comprendere quello che mi dicesse, annuivo più col
gesto del capo che non con i sì che ogni tanto pronunciavo per rompere il
suo incomprensibile monologo. I parenti mi avevano parlato che soffriva di
un male oscuro allo stomaco, che gli procurava crampi e lo costringevano
ad emettere strani lamenti. Ed ecco l'idea: ignoriamo il contesto reale di
un singolo vecchio malato, ed immaginiamo l'intero universo umano che
emette quei sinistri lamenti, un mostruoso unico corpo intento in una
strana, oscena risata.
Quella notte, la risata del vecchio idiota colpito da crampi allo stomaco
mi rilevò l'essenza delle cose. Tutto è una risata, una risata di un
immane immenso corpo colpito da un male oscuro, un'umanità malata che
piange, che ride, che piange e ride. Pianto o riso sono la medesima cosa,
cambia solo il punto di vista, ma è la stessa realtà oscena, frutto di
un'umanità malata.
Ridono i generali vietnamiti che spingono in assalti suicidi i coraggiosi
commandos. Ridono i commandos quando saltano in aria insieme alle jeep
nemiche. Ridono i piloti americani che trasportano il loro carico di bombe
e che riversano sui villaggi di povere capanne. Ridono i vecchi e le donne
e i bambini per lo spettacolo scempio: fuochi d'artificio speciali, di
case e masserizie che volano nel cielo ridotte in poveri brandelli. Ride
inebetito il bambino vietnamita rimasto solo sulla piazza, ridotta a una
gruviera, mentre si guarda intorno smarrito. Ridono satanici i tiratori
scelti che a più di un miglio di distanza giocano con lui tirando al
bersaglio. Ride il vecchio, con la testa fra le mani, che ha perso tutti
gli affetti, non ha più nessuno, non più discendenti, ha solo la certezza
che di lui non resterà neppure il ricordo. Ridono tante mamme americane
che non abbracceranno più i loro figli vivi ed altre ancora che non
avranno più nemmeno un cadavere da piangere sotto un palmo di terra;
saranno libere dall'impegno di portare un fiore per giovani corpi divorati
dalla giungla, vindice della pioggia al napalm piovuta dagli aerei.
I compagni di passi annoiati e di tanti discorsi inutili ora mi guardano
attoniti. Hanno ascoltato in silenzio il lungo monologo e pur non
comprendendo a pieno, e certamente non approvando, questa mia strana
teoria, pure non hanno osato contraddirmi. Non questa volta. Sono rimasti
in silenzio fino a che, di ritorno, abbiamo raggiunto le prime case del
paese e siamo entrati nel bar.
Qualcuno di essi ha voluto risentire dopo qualche giorno questa mia
personale teoria sul riso umano, ma io mi sono schernito ed ho preferito i
soliti discorsi inutili, dove è facile parlare a ruota libera, dove
ciascuno è contento di dire cose assurde, insulse, cretine tanto per
parlare e gli altri si sentono appagati di contraddire, di dire cose
assurde, insulse, cretine tanto per contraddire.
Questa la mia vita di sera, i soliti passi, le chiacchiere inutili, i
soliti amici, si fa per dire, poi quando sono stanco di tanta insulsaggine
vado a trovare Rocco Palamà. Rocco è un poeta, 'il poeta pazzo' come io
uso confidenzialmente apostrofarlo, e lui mi guarda e sorride sornione da
sotto il baffo giovanile che ama farsi crescere. Con Rocco è tutta
un'altra cosa, è tutta un'altra musica, con Rocco parlo di poesia e di
poeti. Sono altri i motivi che mi fanno discutere con Rocco e discutere
animatamente. Rocco ama gli uomini, ama troppo gli uomini e dà la colpa
alle cose se a volte essi si rivelano perfidi e si comportano come suona
il detto, che lui sillaba ridacchiando:
- " ho- mo ho- mi- ni lu- pus ? ".
- Non è vero ribatto io? Ha ragione Leopardi. Gli uomini amano troppo le
cose e sono pronti a uccidersi per il possesso delle povere, misere,
piccole e innocenti cose. Leopardi odia gli uomini e ama le cose, ama le
povere, misere, piccole cose. Non sono tutti poeti puri gli uomini, non
sono poeti pazzi. Gli uomini vogliono, bramano le cose, sono ossessionati
dal possesso delle povere, misere, piccole cose, le vorrebbero tutte e
solo per sé.
Rocco mi guarda e mi sorride beffardo e poi come a rincarare la dose mi fa
leggere qualcuna delle sue poesie pure e pazze.
- Vedi - ribatto, - ho ragione a dire che tu maltratti le povere, misere,
piccole cose. Se rubi al fiore il colore e il profumo che altro gli resta?
Se rubi alla pietra il peso, al cibo il sapore, al mare la forza delle
onde impetuose, l'azzurro al cielo sereno, la fantasia alle
nubi dalle strane forme di spettri alati, che altro loro resta? E poi
perché? Per darle agli uomini, già così avidi. Tu chiami la luna stupida
anguria, e intanto offendi la luna perché la chiami anguria e offendi
l'anguria perché l'apostrofi stupida. Non ti capisco Rocco, non sono le
povere, misere, piccole cose causa del male nel mondo. E' l'uomo con la
sua avidità, con la sua brama di dominio, con la sua insaziabile sete di
possesso sulle povere, misere, piccole cose che ha portato il mondo in una
continua lotta tra pianto e riso, sull'orlo del precipizio, di un baratro
profondo dove risuonano sinistri, assordanti, terrificanti il rumore e il
suono della risata umana.
Ride e sberleffa Rocco e mi sussurra:
" Anime di poeti
poeti paesani, miei,
salvatemi da questa pazzia".
- E questo che c'entra, ti ho già detto che gli uomini non sono tutti
poeti, poeti pazzi
come te.
- E la solidarietà tra gli uomini, dove la metti? Anche Leopardi conosceva
la necessità
di esser solidali, leggi "La ginestra".
Rocco sapeva quanto amassi Leopardi, era un tiro mancino quello di
ricordarmi che
anche Lui, il poeta misantropo, chiama gli uomini alla solidarietà contro
la natura
matrigna.
- No, non ti illudere poeta pazzo, per Leopardi "La ginestra" è un
episodio isolato. Leopardi non amava il genere umano e alla vita preferiva
la morte.
"Nasce l'uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena, e tormento
Per prima cosa, e in sul principio stesso
La madre e il genitor
Il prende a consolar dell'esser nato.
::::::::::::::::::::::::::::::::::::
Se la vita è sventura
Perché da noi si dura?"
Questo scrive Leopardi in "Canto notturno di un pastore errante
dell'Asia" e concetti simili ripete in quasi tutti i Grandi Idilli,
come nel "Passero solitario".
"A me, se di vecchiezza
La detestata soglia
Evitar non impetro,
Quando mutui quest'occhi miei all'altrui core,
E lor fia vòto il mondo, e il dì futuro
Del dì presente più noioso e tetro,
Che parrà di tal voglia?
Che di quest'anni miei? Che di me stesso?
Ahi pentirommi, e spesso
Ma sconsolato, volgerommi indietro".
- "La ginestra" è un episodio isolato, un momento di debolezza e di dubbio
nella sua capacità di sentire la natura e di sentirsi parte di essa, in un
tempo in cui la malferma salute gli faceva presagire, forse, la sua
prossima fine.
Quante volte abbiamo ripreso con Rocco questo scambio di idee
contrapposte! Quante discussioni, dotte?, su questa mia personale teoria
del riso umano che, intanto, ci tiene impegnati a ragionar di poeti e di
poesia, specialmente della sua poesia pura e pazza. Ma rimane impressa
nella mente mia quella volta che … finì diversamente.
Rocco mi guardava sornione, con quel riso ironico, seminascosto dal baffo
giovanile e rado, e poi scandendo le parole con misurata e tediosa
lentezza sussurrò:
- E il "Consummatum est" di Cristo morente sulla croce?
Per la prima volta mi sentii insicuro delle mie certezze, guardai Rocco
con uno sguardo severo e me ne andai con un saluto stentato.
Ero così assorto che rientrai a casa quasi come un automa, mi versai un
bicchierino di cognac e poi un altro ancora, bevevo cognac e fumavo
sigarette, troppe sigarette. Mi ritrovai sdraiato sul letto, supino, con
lo sguardo fisso al cielo della stanza a scandagliare strane figure che la
fantasia, innaffiata di alcool ed esaltata dal fumo, disegnava sui segni
dell'intonaco che invocava da tempo un po' di colore. Mi sentivo bene, ero
appagato, 'io, il paio di cognac, le troppe sigarette fumate', stavamo
bene insieme, formavamo una trinità perfetta, 'io, il cognac, le sigarette
fumate'. Mi sentivo completamente svuotato, così leggero che mi sembrava
di lievitare e desideravo che questo stato di assoluta "assenza", come se
il mio corpo non esistesse o non avesse peso, durasse a lungo, il più
possibile, per sempre, lontano da tutto e da tutti, solo con me stesso,
come se nient'altro esistesse attorno. Ero assorto in questa estasi quando
a risvegliarmi da tanto gradito torpore echeggiò ancora una volta la
risata del vecchio idiota colpito da crampi allo stomaco. Iniziò lieve
come il picchiettio soffice della pioggia leggera, poi si innalzò violenta
come il grido della iena, poi veloce come il battito d'ala delle tortore,
poi lugubre come il verso dell'upupa, prima ancora di spegnersi nel
respiro soffocato. Mi scossi ansimante, avevo il fiato grosso come dopo
una corsa affannosa, ero sudato ed avevo paura. Non avevo riconosciuto
subito la risata del vecchio idiota colpito da crampi allo stomaco, ero
atterrito come se un pericolo incombente e sconosciuto mi sovrastasse, ed
io mi sentivo incapace di reagire, mi sentivo indifeso e disorientato.
Poi, col passare del tempo, mi calmai un po' e mi venne in mente il
sussurro di Rocco, il poeta pazzo:
- E il "Consummatum est" di Cristo morente sulla croce?
Mi feci attento, appena la risata del vecchio idiota fosse ripresa, io
avrei cercato, in quella risata, il "Consummatum est" di Cristo morente
sulla croce, il punto esatto. E le risate si ripeterono, più e più volte,
ed io, ogni volta, cercavo il punto preciso in cui collocare il grido di
Cristo morente sulla croce senza riuscirci e, anche quando la risata
fisica del vecchio idiota cessò, io continuai a rimandare a mente il
sinuoso librarsi di quel riso, di quel canto satanico. Niente, non
riuscivo a trovare posto a quel grido di morte, al "Consummatum est";
forse non c'era posto per la morte di Cristo nella risata oscena del
genere umano; Cristo non era un uomo e quindi …, forse aveva ragione
Rocco.
Mi stavo dando per vinto quando di scatto gettai il capo all' indietro
esplodendo in una grassa fragorosa risata.
Sogliano Cavour settembre 1968
Su una sedia a rotelle
Chi si reca a Fiuggi per trascorrere qualche settimana alle terme riscopre
il piacere del camminare. Certamente ha il suo giusto peso il tempo a
disposizione, mentre si sorseggia per circa venti minuti l'acqua, quasi
sempre a temperatura tiepida, capace di rompere la pietra che insidiosa si
annida nei reni. Dopo venti minuti di pausa si ricomincia col secondo
bicchiere a piccoli sorsi e a lenti passi. I più intraprendenti tra un
bicchiere e l'altro, o magari trascurando la cura, si lanciano sullo
spiazzo libero riservato ai ballerini scatenati.
Già, è anche questo uno dei motivi per cui tanti anziani si recano a
Fiuggi. Lontani dagli sguardi apprensivi dei figli, che vorrebbero tenere
gli attempati genitori sotto una campana di vetro, danno sfogo al
desiderio di ritrovata spensierata voglia di vivere. Nei miei, non pochi,
soggiorni a Fiuggi ho avuto modo di osservare questi istintuali sfoghi di
ritrovata … gioventù. Ho visto ultra ottantenni ballare il tango
appassionato, il valzer armonioso, la mazurka … della nonna, la polka, il
cha cha cha: tutti balli che certamente hanno accompagnato la loro
gioventù. Ma dico il vero se li ho visti cimentarsi con movimenti goffi
per la maggior parte, altri con stile accettabile, nei balli moderni sud
americani: il Merengue, la Rumba, il Mambo, la Salsa, la Lambada.
Devo confessare che non conosco affatto il ballo, i nomi li ho copiati da
un sito Internet. Per cui non chiedetemi giudizi professionali sui
ballerini in questione. A volte alcune scene strappavano spontaneo il riso
o, con più ritegno, il sorriso. Più spesso, almeno per me, mi facevano
comprendere che ad ogni età si può assaporare il gusto di sentirsi vivi.
Mi sono commosso davanti ad anziani coniugi che, dopo il ballo, si sono
scambiati un tenero bacio sulle guance; mi sono commosso davanti a mamme
che hanno fatto da dama a figli handicappati, davanti a papà con in
braccio i loro pargoletti rapiti in volteggi di romantici valzer.
Quella volta però che ho visto un padre spingere una sedia a rotelle con
sopra un ammasso informe di membra, solo riconoscibile un volto di
ragazza, con la bocca spalancata che, su uno strano ritmo, scuoteva la
testa a destra e a sinistra …, ho sentito un vuoto allo stomaco e un
malessere, quasi un conato di vomito insieme ad una avvertita difficoltà
di equilibrio.
Aveva una carnagione chiara e pallida, così appariva nelle parti scoperte
e glabre del viso e delle mani. Se qualcosa attirava la sua attenzione, e
quella volta ero io la sua attenzione, la seguiva con lo sguardo tenendo
gli occhi sbarrati anche quando la sua testa, con le movenze di un
pendolo, si trovava dalla parte opposta. Sembrava avesse la capacità di
estroflettere i bulbi oculari; ti sentivi fissato, come se volesse dirti
qualcosa di scherno, se non proprio di disprezzo, con quella sua
espressione allucinata.
Ho avuto la sensazione di cadere e, quando mi sono ripreso, nella mente si
formulavano pensieri confusi, parole indistinte che le labbra non
pronunciavano:
Perché fissi lo sguardo su di me,
giovane fanciulla,
perché ostenti lo strazio
della tua sventura?
Forse a dirmi la colpa
da me certo ignorata
ma vera, presente,
per mia, per nostra, codardia.
Come è facile trovare scusanti
ed accusare la vita
che serba ai vecchi, ancora,
la gioia nei passi di danza.
Di quale colpa tu sconti la pena
inchiodata su quella sedia a rotelle
senza aver neppure
presente coscienza
di umano offerto riscatto.
Ti è accanto un novello Cireneo,
tuo padre, a lui si affida
la cura straziante, cosciente,
di quanto ti viene negato.
Non rincorrerai mai
su verdi prati
danzanti farfalle in cerca di fiori.
Non salterai felice
tra le braccia di mamma e papà.
Non avvertirai
irruente battito di cuore
né il rossore …
di occhi innamorati.
Sei come uno stelo d'erba
calpestato prima di crescere
non sbocceranno fiori
non porterà frutto.
Mi hai trafitto il cuore stamattina
mi son vergognato
dei tanti doni avuti
sconosciuti, non apprezzati,
a te negati.
Mi sono chiesto perché?
Non trovo risposta,
a questa cruda realtà.
Virgulto spezzato,
non hai la forza
di reggerti in piedi
non hai ali
per liberi voli
per staccarti dalla tua sedia
sostegno e prigione.
A intervalli irregolari, ritorna l'immagine di un uomo che spinge una
sedia a rotelle con sopra un informe fardello, si rinnova in me lo
sgomento ed uno oscuro senso di colpa.
Settembre/ottobre 2014 |