Racconti di Maddy


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Leggi le poesie di Maddy

Allo specchio
Un ticchettare insistente sulla tastiera ... lei entra nello studio e finge
di cercare un volume sullo scaffale mentre lui rapidamente fa sparire una
finestra di dialogo dal monitor.
- Dunque è ancora così - pensa lei, fingendo di nulla e allontanandosi al
colmo dell'irritazione e dello sconforto.
Lui le mente ancora, ancora la inganna con quelle che lei ha ribattezzato
"puttane di chat".
Ha scoperto la cosa tre anni fa, per caso.
Aveva preso il cellulare di lui per una telefonata, perché il suo era
scarico, e aveva letto alcuni messaggi che lui aveva conservato ... erotici,
ma anche sentimentali, tipici di una relazione d'amore.
E poi altri, di altre donne, di cui aveva trascritto i nomi e i numeri
telefonici, segnati nella rubrica di lui, e allora aveva guardato con
attenzione la lista delle telefonate fatte e ricevute a tutte le ore del
giorno e della notte, come quella effettuata alle tre del mattino, mentre
lei dormiva ignara ... e lui si era intrattenuto al cellulare con una
"puttana di chat".
Come aveva pianto, come si era sentita distrutta e umiliata allora, e aveva
pensato che ormai tutto era finito tra loro e che non le restava che
andarsene.
Aveva predisposto ogni cosa per andarsene: in banca aveva aperto un conto
corrente personale e aveva contattato un'agenzia immobiliare alla ricerca di
un monolocale non troppo costoso.
Poi cos'era accaduto? Non ne aveva più fatto niente. Si erano parlati, lui
le aveva persino sbattuto in faccia che la causa della sua impotenza che
durava da anni era lei, che non sapeva fare l'amore. - Mi pareva di farlo
con una suora - le aveva detto con rabbia, mentre lei pensava a tutte le
volte che lui l'aveva presa senza nemmeno baciarla, senza fantasia, senza
amore, senza nemmeno rendersi conto che lei non godeva, completamente
indifferente alle sue reazioni fisiche e mentali.
Ma pareva ancora che qualcosa si potesse salvare, che non fossero da buttare
al vento tanti anni di convivenza che un tempo era stata felice.
Le visite dall'andrologo, il tentativo di svolgere insieme un'attività in
palestra.
Il cambiamento del numero di cellulare.
E la passione che lei provava, che aveva cercato di suscitare anche in lui,
che invece continuava a ritrarsi, quasi spaventato, senza mai abbandonarsi
quando si concedeva, quasi per un dovere da compiere, per un obbligo di
espiazione, senza mai darsi nell'anima, ripetendo ossessivamente: "Abbi
pazienza, dammi tempo ..."
Di quanto tempo aveva bisogno? Quanto tempo pensava di avere ancora,
davanti a sé?

                                           *************

- Non sono Penelope - si dice mentalmente, mentre allo specchio si sta
truccando con cura, attenta a disegnare con la matita il contorno delle
labbra turgide, recentemente ravvivate da un filler. Sì, perché da poco si
è recata da un medico estetico e qualche iniezione di acido ialuronico ha
donato al suo viso un nuovo splendore, togliendo di mezzo rughe inopportune,
rialzandole l'autostima.
All'inizio si era decisa a questo passo pensando che, ritornando più giovane
e bella nell'aspetto, l'avrebbe riconquistato, facendogli deporre le sue
titubanze, i suoi timori.
Non era cambiato nulla. Lui, come una verginella timida, seguitava a
schernirsi e a rifiutare l'offerta che lei gli faceva di sé stessa ... non
rifiutava tanto il sesso, quanto il coinvolgimento.
Faceva l'amore, ma senza passione, volto unicamente al meccanico
soddisfacimento di un bisogno che di psichico non aveva nulla, mentre lei
riversava l'anima in quei rari incontri.
La mattina seguente lui le portava il cappuccino a letto, glielo porgeva
senza guardarla, e lei mendicava invano con gli occhi un bacio, un gesto
d'amore, un contatto ...
- Come se si vergognasse di ciò che è avvenuto fra noi - pensava lei,
sentendosi disperata e morta dentro. Era stato allora, in quei mattini
grigi, in quelle giornate sature di angoscia inespressa, in quelle sue
serate solitarie davanti al televisore, mentre lui era occupato al computer,
era stato allora che aveva cominciato anche lei a divertirsi di quando in
quando a chiacchierare, entrando in qualche chat.
Sconosciuto e strano, quel mondo le si schiudeva davanti.
Quante persone aveva incontrato allora! Con quante, uomini e donne, aveva
parlato!
Rivolgeva quasi a tutti le stesse domande, nell' urgenza di conoscere le
ragioni per cui un uomo si possa lasciare alle spalle un matrimonio durato
una vita per dedicarsi ad amiche virtuali e occasionali che non ha mai
visto.
Riceveva svariate risposte ... ma la maggior parte degli uomini ne dava di
simili.
Lei le aveva catalogate raggruppandole in due grandi categorie: alla prima
appartenevano tutti coloro che non amavano più la compagna, che magari le
volevano ancora bene senza esserne più innamorati, o che addirittura non
provavano per lei altro più che noia, irritazione, disgusto o, peggio
ancora, totale indifferenza, ma che comunque non se ne dividevano, per le
più varie ragioni di carattere pratico, ammantate di motivazioni ideali.
La seconda riguardava tutti quegli uomini che, pur amando la compagna,
lamentavano un'insoddisfazione sessuale a causa - dicevano - di lei, delle
sue inibizioni, della sua frigidità, della sua mancanza di fantasia, di
desiderio, di seduttività.
A parte c'era il gruppo dei single: per vocazione o per necessità, separati,
divorziati, alcuni vedovi.
I corteggiamenti erano la regola in chat, ma se lei non ne accettava le
implicazioni, lo faceva con tanta grazia che gli uomini più intelligenti e
sensibili le rimanevano amici, almeno come si può esserlo in una chat.
Aveva imparato tante cose su di loro, aveva udito tante storie, ascoltato
tante confidenze e spesso si chiedeva se anche LUI si confidasse così con le
donne con cui si intratteneva.
Il sesso ... era qualcosa di secondario, che non interferiva nella qualità
del rapporto con loro.
Ad un certo punto lei non impedì più che avvenisse, si sentiva desiderata,
amata forse, si sentiva viva.
Giocava storie di sesso e d'amore, ma non era felice. Pensava a lui,
immaginava di incontrarlo in chat e di fare con lui ciò che faceva con i
suoi amanti virtuali.
Ormai le sue serate non erano più solitarie, erano piene dei suoi sogni
perversi.
In fondo alla mente le si agitava qualcosa che non era senso di colpa o
rimorso: somigliava piuttosto ad un cupo rimpianto per qualcosa di bello che
sentiva di non possedere più, che apparteneva ormai al passato.
E poi c'era dell'altro: un disperato e continuo desiderio, che lei riversava
su altri ma che ( lo sapeva bene ) era rivolto a LUI, a lui soltanto.
Così provava un senso di rivalsa, di trionfante vendetta nei suoi riguardi e
in certi momenti desiderava addirittura che lui scoprisse le sue relazioni,
che venisse a conoscere tutto ciò che accadeva tra lei e gli altri, perché
soffrisse a sua volta come lei, più di lei.
Poi era accaduto che all'ennesima richiesta di incontro di uno di loro, lei
avesse risposto di sì.
Perché avesse scelto proprio quell'uomo e proprio allora, non sapeva;
pensandoci, più tardi, giunse alla conclusione che forse era giunto per lei
il momento di una prova, di saggiare il suo potere seduttivo nella realtà.

                                               **********

Eccola dunque allo specchio mentre si mette il rossetto e si pettina i
capelli vaporosi; poi passa in camera da letto, sceglie nel cassetto della
biancheria un coordinato elegantemente sexi (un perizoma e un reggiseno a
balconcino neri con inserti di pizzo dorati) si guarda allo specchio dopo
averli indossati, si passa una mano sul fianco e poi, soddisfatta
dell'immagine di sé riflessa e luminosa, cerca con cura un abito elegante
nell'armadio.
Leva alcune grucce, soppesa i vestiti, se li appoggia al petto rimirando
l'effetto.
Ecco, ha scelto.
L'abito aderente le delinea la figura snella, l'ampia scollatura lascia
intravedere l'incavo tra i seni, la gonna dall'orlo ondulato, appena al
ginocchio, mette in risalto le gambe slanciate, il colore turchese esalta la
sua fresca abbronzatura.
I tacchi alti dei sandaletti a listini risuonano sul parquet dell'ingresso
mentre afferra la borsetta e ... quasi dimenticava: torna sui suoi passi, si
spruzza addosso una nuvola di profumo, ed esce di casa.

Il collezionista
Si erano incontrati un giorno che entrambi si erano trovati a passeggiare in
un parco, vastissimo e molto frequentato da ogni tipo di persone.
C'erano vocianti ciarlatani, coppiette che sommesse bisbigliavano,
adolescenti che percorrevano i vialetti cercando di far colpo su qualche
ragazza di passaggio, maturi e austeri signori che occhieggiavano senza
darlo a vedere, signore chiacchierate e altre pervase di afflato
lalico-lirico (quanto piacevano agli intellettuali queste!).
E c'erano artisti e meccanici, impiegati e industriali, professionisti e
fattorini, camionisti e professori..
E c'era, come in ogni spaccato realistico, l'immancabile percentuale di
donnaioli e puttane.
Molto brusìo, molti saluti scambiati, molte chiacchiere spese senza che si
parlasse di alcunché.
I più sembravano paghi di un fuggevole contatto vocale, senza implicazioni
di sorta: dopo un arrivederci, sarebbero tornati a casa, alle occupazioni
quotidiane, scordandosi gli incontri con gli sconosciuti del parco.
Ma quello era un giorno speciale per tutti.
Sulla cancellata d'ingresso stava appeso bene in vista un cartello: DA
DOMANI IL PARCO CHIUDE.
Già da tempo si vociferava che questa cosa sarebbe accaduta e tutti
cercavano di capirne le ragioni; chi diceva che la chiusura dipendeva da
motivi di ordine pubblico ( troppe occasioni di incontri galanti con persone
prezzolate e pericolosi contatti di bambini con pedofili che avevano
allarmato le autorità ); chi pensava che le spese di manutenzione del parco,
troppo vasto e frequentato, fossero divenute insostenibili per gli organismi
preposti e riteneva che il parco sarebbe stato riaperto in seguito ma con la
condizione che i visitatori dovessero pagare il biglietto d'ingresso. le
ipotesi erano tante e in tutti c'era la frenesia di assicurarsi in qualche
modo una frequentazione alternativa, in una via, in un caffè, in una piazza,
in un giardino pubblico della città.
Già si erano formati gruppetti di persone che si conoscevano alquanto, per
il fatto di salutarsi passeggiando o di chiacchierare spesso insieme e che
non volevano perdersi di vista.
Costoro si erano riuniti in club, avevano affittato spazi per loro soltanto,
in vari luoghi della città.
Quel giorno lei, seduta su di una panchina, guardava indifferente intorno a
sé il passeggio e ascoltava il vocìo, più vivace del solito, salutando di
quando in quando qualche conoscente che le rivolgeva la parola con
complimenti e occhiate di ammirazione.
Poi uno sconosciuto le chiese: "Permette?", facendo l'atto di sedersi
accanto a lei.
I suoi modi gentili e il suo sorriso le piacquero subito.
Cominciarono a parlare, dapprima di argomenti vaghi e superficiali, poi il
discorso si ampliò, approfondendosi, spaziò dalla letteratura alla
filosofia, alla politica, all'arte.
"Sei un'insegnante!" Le disse lui, impressionato dalla vasta erudizione di
lei che ricordava a memoria interi brani di classici studiati a suo tempo al
liceo.
Invece era lui un insegnante, ma non era un uomo noioso e pedestre, bensì
uno che amava scherzare giocando con le parole, che sapeva usare le giusta
dose di ironia nei discorsi e non si vantava della sua cultura che pure era
vasta.
La simpatia reciproca crebbe a tal punto che non se la sentirono di pensare
che non si sarebbero più rivisti dopo la chiusura del parco, cosicché prima
di salutarsi si scambiarono gli indirizzi di casa e la promessa di
incontrarsi nel salottino di lei, il giorno seguente.
Fu così che cominciò una lunga frequentazione quasi quotidiana; fu così che
lui cominciò a corteggiarla.
Lei era abituata ai corteggiamenti maschili: certe volte si era divertita a
provocarli, per scherzo, per saggiare il suo potere di seduzione; altre
volte invece proprio senza che se ne avvedesse era accaduto che qualcuno si
innamorasse di lei, e lei allora aveva volto la cosa in ridere, costringendo
il malcapitato a ritirarsi in buon ordine; poche volte l'innamoramento era
stato reciproco e la passione l'aveva travolta con la forza di un uragano:
dava e prendeva fino a sentirsi esausta e svuotata, nel corpo e fino in
fondo al cervello.
Così era lei e lui la stava scoprendo, meravigliandosi che la sua apparenza
di intellettuale celasse così intime essenze.
Insisteva, come giocando, nel rincorrerla mentre lei si schermiva, a sua
volta giocando nel simulare dinieghi e poi insieme ridevano delle loro
stesse parole.
Era stato un periodo felice, molto bello del loro rapporto nell'alba
dell'amore e poi lui si era confessato innamorato e lei aveva ceduto alla
dolce emozione da cui si sentiva presa per quell'uomo speciale, così tenero
e delicato e divertente.
La prima volta che avevano fatto l'amore lui le aveva scritto una lettera
che lei conservava tra le cose più care; dopo di allora la corrispondenza si
era fatta fitta e giornaliero l'incanto del ritrovarsi, quasi una necessità
nella nuova svolta esistenziale.
Si scoprivano reciprocamente, pian piano. Lei era una psicologa. Lui
veniva saggiato da lei gradatamente, e metodicamente lei ne faceva un
identikit mentale..
Una volta che erano insieme, lui aveva accennato scherzando ad una sua
relazione precedente con un'inglese che si dilettava di spogliarelli. Lei
sospettava che non fosse mai terminata.
Una sera una nube aveva offuscato il loro cielo.
Lei era andata a trovarlo a casa sua e aveva notato in lui un atteggiamento
sfuggente e guardingo, si era resa conto che lui pensava ad altro, pur
parlando con lei, aveva sentito dei rumori nell'altra stanza e aveva capito
che quando lei era arrivata lui stava con un'altra.
Ne era rimasta profondamente ferita e sconvolta ed era uscita a precipizio
da quella casa.
Per molti giorni aveva evitato le vie adiacenti all'abitazione di lui, non
si era fatta trovare in casa, non aveva risposto al telefono.
Ogni sera si intratteneva a parlare con gli amici nel suo salottino e se si
affacciava alla finestra che dava sulla strada, vedeva lui, fermo sotto un
lampione, con lo sguardo levato verso la sua finestra illuminata.
Dentro di sé lo scherniva pensando che non l'avrebbe più voluto vedere,
tanti erano stati l'umiliazione e il dolore che aveva provato per il suo
tradimento: lo guardava sentendo di odiarlo ma al tempo stesso le veniva da
paragonarlo ad un gatto, in attesa paziente della padrona che gli apra la
porta, e le nasceva dentro una parvenza di sorriso indulgente.
Alla fine quel vuoto che le si faceva sempre più insostenibile nella pancia,
unitamente alla costanza di lui, che pareva così mortificato e non si moveva
da quel lampione in strada, la convinsero a riaprirgli la porta di casa: una
sera lo chiamò, egli accorse e fecero pace.
Continuò la reciproca esplorazione. Lei era una scrittrice. Spesso gli
sottoponeva qualcosa che le era appena uscito dalla penna e ne riceveva
commenti entusiasti. "Ti nominerò mio critico ufficiale" gli aveva detto
scherzosamente, notando che da lui non aveva mai ricevuto altro che note
elogiative.
Lui amava gli animali. Avevano in comune la passione per i gatti, ma in più
lui possedeva molti cani e in casa sua le cucciolate si susseguivano a ritmo
serrato.
Spesso le mostrava orgoglioso micetti o cagnolini nati da poco, o le parlava
di un gattino cieco o di cuccioli malati che egli curava con la
sollecitudine di un padre.
Questo lato del suo carattere la inteneriva . . . si accorgeva di provare
per lui sentimenti dolci, delicati.
Dall'inizio della loro conoscenza lui le aveva parlato delle sue auto. Auto
d'epoca - le aveva chiamate lui - ed erano bisognose di cure assidue più
ancora dei suoi cuccioli.
Lei sospettava che il mantenimento della famiglia del meccanico fosse
interamente a carico di lui e che ciò gli costasse quasi l'intero stipendio
di docente. Forse gli rimaneva qualcosa per le sigarette, sempre che il
carrozziere, spesso impegnato a riparare ammaccature ricevute dalle auto,
non intervenisse a ripulirgli la busta-paga.
Aveva molte auto, le collezionava. Ne parlava con orgoglio, in termini
affettuosi, come si fosse trattato non di macchine, ma di persone.
Lei lo canzonava per questo, lo indispettiva, chiamando le sue vecchie auto
"catorci".
Lui collezionava anche macchine fotografiche. Suo padre gli aveva donato
tutta la sua collezione antica e lui ne era fiero, sebbene non sapesse in
realtà usare nemmeno una delle fotocamere in suo possesso.
Questa cosa a lei pareva molto strana, che si potesse collezionare un
oggetto senza essere uno specialista nel suo uso pratico, ma la spiegava col
fatto che questa collezione non era stata scelta ma solo, per così dire,
ereditata da lui e apprezzata unicamente per il suo valore affettivo.
Di fatto lui era tendenzialmente un collezionista.
Quella del collezionista è un tipo di personalità particolare.
Secondo Fromm, il collezionista tipico è l'avaro, che ha il culto dell'EGO.
Ma Fromm parlava più specificatamente dell'ammassatore. Questo non era il
caso di lui.
Collezionare auto d'epoca, o comunque vecchie, è come collezionare opere
d'arte, perché alla base c'è il gusto per le cose belle.
Oltretutto l'attività (piuttosto costosa, a dire il vero) era giustificata
anche dalla possibilità di lucrare, rivendendo a prezzi molto più alti. Un
po' cuore, un po' senso degli affari, insomma.
Ma c'era una contraddizione, data dal fatto che mai lui avrebbe voluto
vendere, poiché anche tenendosi costantemente aggiornato sul valore dei
propri pezzi, difficilmente se ne sarebbe voluto privare, cosicché i termini
economici si confondevano con quelli affettivi.
Lei aveva concluso che le sue collezioni costituivano per lui una conferma
di sé, delle proprie competenze e capacità e che la molla che lo spingeva
non era tanto il bisogno di appropriarsi, il desiderio di possesso, quanto
la necessità di non disperdere, di conservare, di conservarsi.
La sua identità, strutturata e riconoscibile, si conservava e si arricchiva
così.
Le sue auto, oggetti perfettamente conosciuti e controllabili, esprimevano
la sua ricerca, sul piano simbolico, di coerenza e di controllo del suo
mondo emozionale; una specie di "prova di realtà" protraibile nel tempo e
funzionale al suo benessere.
Ecco perché sembrava amare le sue auto: esse costituivano per lui un
investimento emotivo, che contribuiva alla costruzione e alla conservazione
di un'immagine di sé gratificante, quella di chi mette ordine, catalogando,
nel disordine delle cose.
Anche se nel conservare auto rare c'è un sottofondo di egoismo: chi le
possiede gode nel pensare che sono sue, soltanto sue.
Questa comprensione profonda delle motivazioni di lui glielo faceva sentire
più vicino, soprattutto dopo che lui le "presentò" - per così dire - le sue
auto, illustrandole con orgoglio le caratteristiche di ognuna; tuttavia,
scherzando, non si trattenne mai dall'irritarlo pronunciando la parola
"catorci".
Erano trascorsi tre anni dal loro primo incontro, quando avvenne un episodio
spiacevole.
Erano a passeggio e come il solito parlavano tra loro, quando lui salutò una
donna di passaggio, e lo sguardo con cui la seguì, fu per lei un segnale
certo di qualcosa tra loro, qualcosa che la disturbava molto.
Di lì a poco lui disse che aveva un impegno e si salutarono. Lei non gli
credette e lo seguì. Vide così che si incontrava con la sconosciuta. Per
tutto il pomeriggio gli telefonò: il telefono risultava occupato, prima, e
poi disattivato. Lei pianse.
Episodi simili da allora si ripeterono con sempre maggiore frequenza. Lui
spariva all'improvviso, non rispondeva alle telefonate, non si faceva
trovare in casa e trascorrevano intere settimane nel corso delle quali si
incontravano una sola volta.
Lui adduceva come motivo impegni di lavoro, stanchezza, ragioni familiari .
Allora lei pensò che sarebbe stato meglio se fossero diventati solo amici e
gli chiese di conservargli la sua amicizia anche nel caso che avesse un
nuovo amante. Ebbe per risposta un secco NO. Tradiva, ma non voleva essere
tradito. Era molto geloso!
Lei, stanca, pensò che non si sarebbero più incontrati e gli propose di
lasciarsi ma lui oppose un netto rifiuto: l'amava - disse - e aggiunse che
si sarebbero incontrati sempre.
"Sempre? Fin quando riuscirò a reggere questa scomoda situazione" si disse
lei e guardandosi intorno si rese conto di quanti fossero gli uomini che la
corteggiavano e imploravano da lei uno sguardo, un cenno, un sorriso.
E allora sorrise dentro di sé, consapevole del suo potere e del suo fascino
e sorrise con complicità a loro e sorrise con indulgenza a lui, che le era
tanto caro, pensando: "Be', in fondo è un collezionista!".


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