Racconti di Renato Lonza


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L’Ape e la Rosa
Prologo
Questo, a prima vista, potrebbe sembrare il racconto banale della vita di un’ape operaia, ma non è esattamente così! è un po’ parti-colare l’ape e la storia. Raccomando il lettore di vedere fra le righe l’altra narrazione, che deve esser vista con occhi diversi da quelli usati per camminare.

L’ape era nata nell’autunno precedente e aveva svernato nel favo adempiendo ai lavori idonei alla sua età. Già dall’infanzia era stata speciale perché la sua “tata” invece di nutrirla come un’operaia l’aveva alimentata come le regine cioè a pappa reale e ciò aveva fatto di lei un’ape più grande del normale, più robusta e più intelligente. Dunque sul finire dell’inverno, terminato il suo periodo di lavoro nel favo diede inizio ai voli di ricognizio-ne allo scopo di raccogliere nettare per la produzione di miele. L’ape aveva salutato, con giri di gioia, la primavera in arrivo e per sgranchirsi le ali, rese torbide dal freddo e umido inverno, aveva fatto, nell’aria ancora fresca ma con un bel sole che pro-metteva tante scampagnate, alcuni voli di ricognizione. Ogni giorno più distante dal favo. Un giorno, volando qua e là alla ricerca di fiori, per suggere il nettare, aveva scoperto un roseto tutto pieno di boccioli e fiori di un colore particolare: a prima vista i petali sembravano rosa ma… poi li vedevi rossi, giravi in tondo e apparivano gialli, partivi, ti guardavi indietro e li ve-devi… d’infiniti colori. Si gettò a capofitto nelle rose per rac-cogliere il nettare, l’aspettavano al favo per trasformarlo in miele, non poteva perdere tempo. Si incuneò fra i profumati peta-li, che, parevano accoglierla in un morbido abbraccio, e giunta dove era il succo cominciò a suggere ma più ne aspirava e più c’era. Piena sino al colmo, non ne avrebbe potuto aspirare dell’altro, decise di ritornare al favo. Nel viaggio di ritorno nonostante fosse appesantita dal carico del nettare e del polline che si era attaccato alle sue zampette, si sentiva allegra e leg-gera come fosse uscita allora alla ricerca. E pensava e ripensava al roseto, perché come ben sapete voi tutti che le api quando ri-tornano da un posto particolarmente ricco debbono fare la danza per indicare alle compagne la strada migliore. S’era detta che non era il caso, per il momento, che indicasse quel roseto, magari gli altri boccioli non erano poi così ricchi, doveva prima tornarci e sperimentare altri boccioli. Arrivata scaricò prima ad un’ape e poi ad un’altra il suo bottino fra i complimenti della tribù. Uscì per fare la danza ed indicare il roseto ma invece diede un’altra indicazione: fiori molto più vicini all’alveare. Ripartì verso il suo roseto che la chiamava a gran voce nel cuore. Giunse sul luo-go e fece un giro di ricognizione; da qualsiasi parte, la nostra ape, lo guardasse il roseto era una meraviglia, così ben punteg-giato di rose splendenti e profumate, le une appena sbocciate, al-tre in piena fioritura, altre ancora serrate ma vibranti voglia di sbocciare e mostrare al mondo la meraviglia di petali con cui era-no adornate. Tutte erano di molteplici, cangianti colori meravi-gliosi . La nostra ape volava d’intorno e non decideva quale fiore scegliere per quanto tutti fossero decisamente belli ed attratti-vi, al fine si gettò a capofitto in una grande rosa accogliente e sprofondò nei morbidi petali profumati e le venne un mancamento. Riposò fra i petali che l’avvolgevano con morbide carezze. Alla fine , dispiaciuta, ma un’operaia è sempre un’operaia, si diede da fare per suggere più nettare possibile e se ne riempì, senza vola-re in altre corolle, fino agli occhi poi caracollò fuori e a sten-to prese il volo verso il favo ove giunse ronzando come un cala-brone e quasi spaventò le altre operaie. Scaricò il suo fardello a due tre operaie, lì addette alla faccenda, e ripartì a razzo verso il suo meraviglioso rosaio. Fece altri viaggi, nel frattempo nel favo iniziarono a chiedersi dove andasse così di furia e tornasse ogni volta con un carico considerevole di nettare. Una servente della regina udì e andò a relazionare l’anomalia alla regina la quale sentenziò:”E’ giovane e forte lasciatela fare, chiedetele la mappa del luogo.” Così fu riferito alla capo operaia, la quale, con tutte le operaie in arrivo cariche di nettare che chiedevano di scaricare, se ne dimenticò e la nostra ape continuò, senza nes-suno sapesse dove andava, i suoi viaggi. Fra lei ed il roseto si era instaurata una simpatia, l’ape si trovava bene fra i suoi pe-tali profumati e non frequentava altri fiori, il roseto metteva bene in vista i suoi fiori, quando arrivava l’ape, e si rinserrava quando altri insetti volevano frequentarlo. La faccenda andò a-vanti tutta l’estate, qualche volta con il gran caldo c’era l’ordine di restare nel favo per, battendo le ali, arieggiarlo e rinfrescarlo ma alla nostra ape non piaceva ed appena trovava la possibilità si eclissava e tornava dal suo roseto il quale l’accoglieva a boccioli aperti. Arrivò l’autunno con le sue piogge fredde e l’ape doveva rimanere nel favo perché non poteva volare nella pioggia ma come vedeva che non pioveva prendeva il volo e correva nel suo roseto il quale per la felicità di vederla apriva tutti i boccioli possibili. Arrivò anche l’inverno con il gelo che falcidiò i fiori e le erbe dei campi ed anche il roseto ebbe molti boccioli avvizziti dal freddo e l’ape poteva volare solo quando c’era il sole. Per l’ape stavano compiendosi i giorni e le Parche erano pronte a recidere il filo della vita, lei lo sentiva, anche le ali non reggevano bene, pertanto decise d’andare nel roseto a trascorrere l’ultime ore. E così fece. Quando il rosaio fu infor-mato che alla sua ape restava poco da vivere sgorgarono lacrime dalle rose e decise che, in futuro, non avrebbe più aperto boccio-li. Accolse fra i suoi petali carezzevoli l’ape che non aveva più energia le fornì un nettare più dolce possibile ma in capo a qual-che giorno arrivò anche l’ultimo. L’ape voleva allontanarsi, sono abituate morire fuori del favo, ma la rosa, delicatamente, la trattenne e così la nostra ape esalò l’ultimo respiro con l’ultimo sole della primavera di S. Martino, poi scoppiò l’inverno. I boc-cioli furono rovinati dal freddo e il roseto perse quasi tutte le foglie ma era ancora vitale. Un giardiniere sforbiciò quello che non era più utile ma non riuscì ad eliminare il bocciolo dov’era il corpicino della nostra ape. Ritornò la primavera e il roseto si ricoprì di foglie e boccioli e rifulse che era una gioia veder-lo, l’ape lo guardava dal Paradiso ed era felice di tanto splendo-re. Allora fece una danza per comunicare la sua gioia, intanto i boccioli vibrarono tutti sotto i soffi dello zeffiro.

Una Rosa delle meraviglie
Da qualche anno vivo in un piccolo villaggio, le poche case sembrano sementi sparse dalla mano di un contadino parco, nella Terra dove ebbero i natali i miei Avi. Le casette sono circondate da umili, ma graziosi, colorati orti fioriti, da frutteti e campi coltivati con tenacia, boschetti di lecci e cipressi, qua e là una quercia secolare, un grande cipresso, ove trovò rifugio anche qualche partigiano, ed in primavera un mare di giallo; le ginestre. Ci raggiunge il profumo del mare reso ancor più soave dagli effluvi delle erbe mediterranee che rivestono i declivi costieri. La strada, quella che ci collega alla provinciale, il Comune, in nome della modernità, ha pensato bene di asfaltarla e solo grazie alla mancanza di fondi si sono salvate le altre stradine. Allora ho deciso di passare sulle poderali. Sono stradine di terra battuta, battuta dal secolare passaggio degli animali da lavoro, e delimitate da muretti a secco innalzati negli anni con le pietre cavate dalla terra caparbiamente coltivata. In una casetta, poco distante dalla mia, è venuta ad abitare un'artista, una pittrice quotata, secondo radio chiacchiera-paese, ma ella dipinge alla maniera dell'Impressionisti la qual cosa non sempre è ben compresa. I pittori Impressionisti, con la scelta di rappresentare la realtà e nella consapevole mutevolezza della luce, esaltano su tutto la sensazione dell'attimo fuggente, sensazione che si perde con una stesura troppo meditata dell'opera. La Pittrice è giovane ed ha un figlio, con un nome estroso come lo è la madre, il quale scorazza con la bici per le strade circostanti. In nome dell'Arte un giorno andrò a farle visita per gustare le sue opere pittoriche. Ebbene, tornando all'argomento, questa mattina per recarmi al mare ho preso la stradina polverosa dietro casa, il Sole indorava la vallata mentre la Luna era nel punto più alto dunque nell'eterno inseguirsi il Sole aveva raggiunto la sua Luna. Dopo una curva la strada costeggia la casetta della Pittrice. La stradina corre stretta fra gli alti muri di pietre e dal muro del giardino di quella casetta sporge una Rosa, non è una rosa selvatica ma è una pianta forte, vigorosa. Sta davanti a me occludendo il percorso, per passare dovrei cambiare strada. E' una Rosa inopinatamente bella, unica, mai vista e mai ne vedrò una uguale. Possiede un profumo delicato ma inebriante e colori puri, magici. Lei è speciale, magnetica, non riesco a distogliere lo sguardo dai suoi petali cangianti e vellutati, dai suoi boccioli simili a labbra dischiuse al bacio. Ondeggiando al vento sembra chiedere di raccoglierLa, dire che donerà il suo arcobaleno e il profumo con tutta la magia di cui sarà capace, essi saranno solo per me. Come tutte le rose anche Lei ha le sue spine e non fa nulla per nasconderle, anzi, le mette bene in mostra come voler mettere in guardia. Le spine lasciano dolorose ferite. Intanto ondeggiando al vento sparge il suo inebriante profumo che m'avvolge e quasi stordisce. Potrei raccoglierLa rischiando di pungermi, ma, è solo un rischio non una certezza. L'unica certezza è che se non La coglierò non saprò mai cosa si prova ad accarezzare i suoi petali vellutati e lasciarsi inebriare dal suo profumo. Oppure potrei lasciarLa lì e vivere con il rimpianto di non avere saputo cogliere l'attimo. Intanto non faccio nulla, resto a guardarLa, stupito ed ammaliato nello stesso tempo, e la Rosa continua ad ondeggiare petulante al vento.

Camomilla per due, Geltrude e Vasjlii, giovani ed innamorati.
La giornata era molto fredda ma Geltrude e Vasjlii sarebbero entrati egualmente in un bar perché avevano molto da parlare; dovevano approfondire la reciproca conoscenza.
Geltrude e Vasjlii s'erano incontrati su internet in una delle tante chat dove tutti "chiacchierano" con l'uno e con l'altro ed anche con più di uno. Tutti rigorosamente si chiamavano per nick e se proprio non sparavano balle infiorettavano bugie con la verità.
Loro si erano raccontati di abitare in quella cittadina: PC… tranquilla nella pianura e facilmente raggiungibile da altre città grandi e piccole.. Lei perché, da bambina, andava spesso a trovare una zia; lui vi aveva abitato alcuni anni.
Ad un certo punto fra gli webnauti era scattata la molla che dovevano assolutamente conoscersi di persona e fra un tira e molla s'erano decisi darsi un appuntamento in via Garibaldi, la quale non manca mai in nessuna cittadina che si rispetti, al centro della "loro" cittadina.
Lui le aveva portato tre rose rosse, simbolo della passione che ardeva in lui, anche se la conosceva appena, lei aveva portato un involtino in cui c'era un dolce fatto dalla mamma, appena comprato al bar della ferrovia. S'erano incontrati, come da consegna che s'erano dati, sotto il numero 33, pensate se la strada fosse terminata con il 31 non si sarebbero mai incontrati, ma i ragazzi conoscevano bene la loro cittadina. Avevano vagabondato lungo le strade fermandosi a guardare le vetrine ma non riuscivano a scambiare molte parole disturbati dallo spazio aperto.
Stavano diventando nervosi come all'appropinquarsi di un temporale perciò dopo rapida consultazione decisero di riparare in un bar e bere qualcosa di caldo per rinfrancarsi. Detto fatto. Sbucati in piazza ove vi erano tre bar : il primo, "Bar dello Sport" era affollato da avvinazzati avventori che ascoltavano le telecronache delle partite allora tirarono innanzi, il secondo "L'Arte del Tè" era frequentato da grasse babbione in pelliccia che cicalavano come oche in un cortile, finalmente raggiunsero il loro nido, c'era solo una coppietta che si baciava come fosse in un'alcova. Visto che il bar, sull'angolo della piazza Milano, aveva una saletta oscura in fondo, entrarono e si diressero verso l'angolo più riservato. Lui, ossequioso e bravo cavaliere, le porse la sedia, poi le sedette accanto con le spalle al locale. S'avvicinò il barman e chiese cosa ordinavano:" caffè no perché gia erano troppo nervosi", al fin decisero per la camomilla; l'avrebbe riscaldati nel corpo e raffreddati nello spirito, o così speravano.
Dopo cinque, sei minuti l'uomo tornò con le tazze e il bricco con l'acqua bollente, depose il tutto sul tavolino ma non dava cenno di allontanarsi, allora Vasjl spazientito: "Può andare non ci serve altro che un po' di tranquillità, la signorina ed io dobbiamo parlare". L'uomo fece dietro-front e borbottando "Ecco altri due che vengono qui a fare i comodaci loro, metterò un cartello che qui è vietato ai cani e alle coppiette".
Vasjl versò l'acqua bollente sul filtro nelle tazze poi s'avvicino alla Geltrude. Vide che la corta gonna aveva lasciato scoperta buona parte della gamba inguainata in una pesante calza scura a ghirigori. Attirato ,ingenuamente, volle poggiare la propria mano su tale attrattiva. Rapida carezza, forse troppo pesante, lo raggiunse alla guancia e Trudy: "Eiiii!!!! Maleducato che fai mi tocchi? tocchi le gambe? Che fai ci provi? Vasj divenuto di tutti i colori e con sulla guancia quattro righe fiammeggianti, rosse come gli stop delle auto, sbirciava per vedere la reazione delle altre persone presenti. I due innamorati continuavano a bagnarsi le labbra a vicenda dando segno che non avevano tempo da perdere. Il barman sornione fingeva di non essere interessato ma in effetti "E uno!!", voleva vedere come sarebbe finita la tenzone.
Vasj: Ssshiii! fai girare tutti gli avventori e mi prendono per un molestatore."
"Perché non è cosi??" Trudy "Fai il provolino e non ti vuoi assumere neppure le tue responsabilità?"
-"Nooo!!!" implora Vasj "Giuro!!! volevo solo entrare in contatto, un ponte, una vicinanza, respirare la tua pelle, i tuoi capelli, la tua prorompente personalità, auscultare il battito del tuo cuore, bere le tue parole , - se non urli e non emetti quei gridolini acuti - Insomma voglio sperdermi in te!" -
Riprende Trudy :".Ahooo!!! ma tu sei tutto matto, ho capito tu vuoi palpeggiarmi, toccarmi, baciarmi e magari pure altro ch'è meglio non dire!! ma chi ti conosce!!! ma che vuoi!!! cosa tieni nella testa le pigne?? . Secondo te mi faccio toccare dal primo venuto?? non sono una lucciola sono una ragazza onesta e timorata. Tu invece sei il solito maschio prevaricatore e violentatore ai cui piedi debbono cadere tutte le ragazze -- fossi almeno bello o un fisicaccio, macché sei da tre!!!!
Vasj :"Scusa ,scusa, non riesco a farmi comprendere , non urlare, tutti ci guardano, quasi quasi ti saluto qui, credo sia meglio, ho iniziato il discorso dal verso sbagliato e non c'è verso di trovare il bandolo giusto. -- Comunque voglio dirti che non ho neppure accarezzato l'idea di fare quelle cose che vai dicendo, -- come i gatti fanno le fusa , volevo fare un pò di fusa con te, bene, anzi male, hai preso la cosa dalla parte delle spine allora è meglio chiudere qui prima che il discorso degeneri.
-- Alzandosi -- Che fai? resti qui a sbollire oppure preferisci che ti accompagno alla fermata del bus?
- Vorrei andarmene, mi sento a disagio, ho sbagliato tutto e non so come rimediare perciò vado a farci una dormita sopra, la notte sicuramente porterà consiglio".
Rimbeccò la Trudy :"Ahooo!!! ma tu sei tutto matto... e pure scemo...vuole scappare ora, ma proprio non sai quello che devi fare!!! Essere un Uomo!!! O No!!! "

>> FINALE così è se vi pare, ma si può cambiare<<
La Trudy gli prese la mano, costringendolo a sedere, gliela portò sulla gamba, e vedendolo imbambolato fattasi in avanti gli sussurrò all'orecchio:
"Baciami stupidino o aspetti si faccia notte!! Non vuoi più sperderti in me? Non vuoi respirare la mia pelle, i miei capelli, la mia prorompente personalità, auscultare il battito del mio cuore, bere le mie parole? Non mi vuoi dolce come sono?"
- Gli prese la faccia con una mano e l'attirò a se.
Lasciamo i ragazzi fare un po' di ginnastica, così per sgranchirsi, mentre la camomilla si raffredda nelle tazze e il barista s'appisola dietro il bancone.
Scende leggera la sera mentre nei cuori aleggia l'amore.  

La Dama del Lago
Era una giornata strana, un po' elettrica, afosa e l'aria, data l'ormai costante presenza dell'inquinamento, irrespirabile. Da diversi giorni le condizioni atmosferiche si dimostravano poco favorevoli ad un ricambio, non soffiava la minima brezza ne vi era la possibilità che piovesse per migliorare i requisiti ambientali. Vi sarebbe stato l'ennesimo blocco del traffico per alleggerire la situazione, che sarebbe stato il so-lito palliativo che avrebbe, temporaneamente, fatto scende-re l'inquinamento ma non risolto il problema.
Per Giorgio era diventata irrespirabile non solo l'aria ma an-che la vita che conduceva così piatta e grigia senza un futu-ro migliore in vista, senza prospettive di miglioramenti con il solito tran-tran quotidiano, casa - ufficio ufficio - casa, i mezzi sempre in ritardo ed affollati che lo sfiancavano e to-glievano le residue energie. Giorgio si perdeva nei pen-sieri e con lo sguardo fisso nel vuoto riandava nel passato.
-"E tu, Giorgio, cosa fai? Non frequenti più inge-gneria?"
-"No, - rispondeva - non mi dava più nulla; vado fra le colline ed i monti e scrivo, dipingo, cerco di arrangiarmi nell'ambiente."
-"Ah, ho capito, - aggiungeva l'interlocutore - la cam-pagna..." con un sorriso sarcastico
Allora sbottava: -"Pezzo di cretino, cosa ne sai tu della campagna, cosa ne sai tu della mia vita, delle mie idee? Certo, tu ti senti a posto, ti senti sicuro, hai raggiunto una posizione, hai il futuro spianato; ma sei proprio sicuro di es-sere felice, hai tu provato una sola delle sensazioni che io ho provato?"
No, non aveva sbagliato tutto; in campagna realizzava se stesso, altrimenti si sarebbe sentito alienato, una marionet-ta nelle mani di Mangiafuoco, un sassolino sulla strada pre-so a calci dal primo passante. Ma fino a quando a-vrebbe potuto vivere così? Quando, sovente, sentiva che alcuni di loro si erano laureati, che altri stavano per sposar-si, altri ancora avevano trovato ottimi impieghi e raggiunto una posizione, si poneva la domanda se per caso non fosse stato lui a sbagliare tutto, se non fosse stato meglio mettere da parte i sogni e gli ideali troppo grandi e calarsi nella real-tà. Ad un certo punto aveva capitolato e , come si dice, aveva messo la testa a posto, aveva trovato un lavoro e poi s'era anche sposato con una brava ragazza. Giorgio ave-va spesso pensato al tradimento che aveva operato verso i propri ideali ma aveva sempre tirato avanti. Ormai a cin-quant'anni senza nulla di cui vantarsi ne in bene ne in male si sentiva come svuotato , l'eroico cavaliere Don Chisciotte, difensore dei negletti, era rimasto intrappolato nella ragna-tela del grigio fluire dell'esistenza borghese. Tutti i sogni di gioventù erano naufragati nel misero fango della quotidiani-tà grigia ed insulsa. Un lavoro esaltante e ben remunerato , cosa preminente e necessaria per il pensiero odierno, non l'aveva incontrato. L'hobby, chiamiamolo così, di dipingere , che avrebbe potuto, anche, diventare l'azione autorevole ed esaltante della sua vita non era mai decollato, nessuno vo-leva comprare quei quadri e quei pochi venduti venivano pagati una miseria, neppure si poteva coprire la spesa dei colori. La critica s'era sbilanciata definendo la sua pit-tura simile ai fantasiosi paesaggi di Chagall per via dei cieli azzurri senza confini, i cipressi rossi come le cromie di un tramonto o verdi come lo smeraldo del mare, quadri dove triangoli e stravaganti volute di chiome, quali invisibili sipari, nascondevano il profilo di tetti o monti. Ma questa positività non era servita a fare in modo che le entrate migliorassero. E dopo un'ennesima inconcludente esposizione ave-va definitivamente rinunciato a dipingere ed aveva venduto tutto ad un rigattiere, naturalmente per poche lire. Lo sa-peva, un giorno sarebbe stato solo davanti a questa grande incognita che è la vita, e non sarebbero serviti a nulla tutti i suoi sogni, i suoi ideali. Oggi vivi solo se produci, se ti in-serisci nel sistema; sei un piccolo ingranaggio di una gran-de ruota che fa parte di un meccanismo ancora più grande. Eppure continuava a scrivere, a compilare piccole guide, monografie, a corrispondere con riviste di montagna, e lo faceva con passione enorme, ricavandone le più grandi soddisfazioni, ma materialmente, nulla . La moglie, che aveva sposato a trent'anni e alla quale non si poteva rim-proverare nulla nel rigoverno della casa, nel controllo delle entrate e delle uscite, nella cura dei frugoletti, nati dal con-nubio, si era dimostrata una buona moglie ed era tutta dedi-ta alla casa ed ai figli. Insomma Giorgio era arrivato al punto della resa dei conti. Sempre più distratto sul la-voro aveva dovuto subire i rimbrotti del capoufficio per il la-voro malamente svolto ed anche i borbottii malevoli dei col-leghi che si vedevano accollato altro lavoro. Aveva chiesto un permesso al capo, che glielo aveva malamente conces-so, era uscito prima dall'ufficio, aveva preso la malridotta autovettura e si era diretto verso il lago distante una ventina di chilometri dalla città. Voleva trovare un posto tranquillo dove restare con i suoi pensieri, sviscerali, riandare al pas-sato ed organizzarsi per un futuro, forse dare una svolta anche definitiva alla sua vita. Aveva bisogno di quiete e di non avere addosso gli occhi della gente mentre collo-quiava, magari animatamente, tra lui e la sua Anima.
Era arrivato, con uno sforzo, sulle rive del lago in un paese rivierasco, parcheggiata l'auto aveva preso un tramezzino ed un caffé in un bar, poi si era recato sul pontile dove fa scalo la motonave che collega le cittadine lacustri. La cal-ma era sovrana, qualche raro passante e qualche auto, l'aria era più respirabile, che in città, anche lì però perma-neva quel senso d'elettricità ma più attenuato, l'acqua del lago sciarbottava molto delicatamente sulle rive. Scivolano silenziosi, sulle acque placide del lago, due bianchi cigni, al-tèri e maestosi, sembrano sospinti da brezza ma vento non c'è. Anche l'acqua è immòta, polita come lastra di cristal-lo, la trasparenza, sotto la superficie, è tale da intravedere i piccoli pesci che s'avvicinano alla spiaggia alla ricerca di in-setti. E Giorgio ne segue, senza vederli, l'incedere, sono come i suoi pensieri che vagano senza una meta precisa. Appoggiato alla staccionata del pontile, Giorgio, spazia con lo sguardo verso il limitare delle acque ed alle colline scure che lo circondano, residui delle colate laviche sprigionatesi dalla Terra milioni di anni prima ed ora coperte di boschi con qua e là alcune cittadine e case isolate che si rispec-chiano nel lago. Alle sue spalle, poco più in là, qualche autovettura transita nella strada che attraversa il paese. Neppure la spiaggia è lappata dalle onde, una quiete afo-na, foriera di misteriosi ed inquietanti accadimenti avvolge l'intero speco lacustre infondendo una dimensione trascen-dentale e misteriosa. Il periplo tutto è visibile sebbene una foschia, leggera nebbiolina grigiastra, ne renda difficile l'interpretazione nelle insenature, dove la vegetazione si bagna e si riflette stemperandosi nel liquido. L'alberata risale la cerchia di colline, circondanti la conca acquëa, e si rispecchia nel lago dandogli la parvenza di una bocca sden-tata che verso il centro appare simile un oscura cavità spro-fondante, un orribile gorgo pronto a mettersi in moto ed in-ghiottire nelle sue spire ogni cosa circostante.
Nel lago, scuro contro un cielo ora grigio cenere, si rifletto-no i ruderi del castello e le case del paese assumendo un aspetto spettrale, vaghe forme senza definite dimensioni con vuote occhiaie tentennanti ad ogni mossa dell'acqua.
Le gabbianelle si accostano alle rive, fischiando, manten-gono una rotta parallela alla spiaggia cònscie di un pericolo incombente. Altri cigni, sopraggiunti i primi, sembrano avere una gran fretta e si legge un'irrequietezza, nei loro movimenti, dettata dalla paura. Prime folate di maestrale si abbattono sul lago, il vento imprigionato dai rami degli alberi guaisce ed ulula. I cigni, le piume arruffate dai colpi di vento, cercano affannosamente di guadagnare il ricovero sicuro ma il vento rende problematica l'operazione . Le nuvole ora diventano sempre più bigie, il clima peggiora molto velocemente, anche il giorno è in fase calante e l'oscurità la fa da padrona. Già si percepisce il brontolio del temporale che rimbomba dall'orizzonte. Qual-che saetta illividisce l'äere e sinistri bagliori si riverberano sulla superficie.
Ora il maestrale, con la forza di dieci nodi, flagella la super-ficie del lago, vanno formandosi corpose onde che s'infrangono sulle rive mentre i pesciolini cercano scampo dalla incipiente bufera fra alghe che crescono a poca di-stanza dalle rive. Rapidamente l'intensità del vento au-menta e passa dai dieci nodi ai venti ed ai trenta, altrettanto rapidamente l'acqua diventa sempre più furiosa, le onde si rotolano su stesse e la schiuma viene rapita dal vento sem-pre più rabbioso ed ululante.
I cigni, nel frattempo, hanno faticosamente guadagnato la riva e stanno, nel maestrale sempre più teso, caracollando verso il rifugio e lanciano striduli versi di paura e rabbia.
Una saetta da un cielo, ora, cinereo ed oppressivo scende zigzagando nel centro del lago ne segue un devastante rombo con diversificati echi rimpallanti dalle colline.
Scrosci di pioggia si sommano al vento sempre più violento.
C'è qualcosa, scivola sull'acqua, sulle onde violente, sotto l'urlo del maestrale e la schiuma rapita dalle creste , qual-cosa lontano all'orizzonte, assomiglia ad un grande cigno con le penne arruffate, ma avvicinandosi la figura si riesce a comprendere: è una figura umana, una donna avvolta in una tunica bianca orlata di porpora, a coprire il capo un velo arancione dai cui spuntano capelli rossi, un gran mantello bianco che dovrebbe ripararla dal vento furioso e dalla pioggia ma proprio il vento furibondo lo gonfia e lo trasfor-ma in un'ala ondeggiante e svolazzante a capriccio.
Vola sull'acqua la Dama indifferente a tutto quel trambusto messo in opera dal temporale ma le sue vesti come il man-tello, vengono mosse dal vento ora si gonfiano ora sgonfia-no ora sembrano bagnate ed aderiscono al corpo ora svo-lazzano come panni all'asciugatura e allo stesso modo ciocche di capelli vagano per la fronte a capriccio, ma la Si-gnora non si scompone continua imperterrita a camminare con passo misurato ne lenta ne veloce facendo sfoggio di altera signorilità e conscia della propria avvenenza passeg-gia come fosse al Corso. Nel frattempo le saette fioccavano a destra ed a manca illuminando vividamente la notte buia ed i tuoni rimbombano uno di seguito all'altro, altri scrosci di pioggia si riversano sul lago.
Giorgio, nel vento ed alla pioggia che gli schiaffeggiano il corpo, assiste indifferente all'avvicinarsi della Dama ma è Lei che lo chiama e l'invita a raggiungerla sulle onde rassi-curandolo che avrebbe camminato tranquillamente come sulla terraferma.
La Signora ha un incarnato roseo più accentuato sulle gote e il bianco collo è ornato da due catene su di una è appeso un crocefisso l'altra è come un filo girocollo rosso dai con-torni sfrangiati e sanguinolenti: alla Signora era stata taglia-ta la testa! - Si Giorgio hai ben visto ed intuito - dis-se la Dama - mi hanno tagliata la testa, mi dovevo sposare ed invece mi hanno denunciata come Cri-stiana e mi hanno portato al patibolo con un co-dazzo di sghignazzanti figuri. Dio li perdoni perché non sapevano quel che facevano. Hanno chiesto, nuovamente, la mia abiura ed al mio diniego il boia mi ha costretto al ceppo e con un colpo, Zac - e ri-prese mentre Giorgio era senza fiato - La vita è bella e va vissuta in letizia, mattone dopo mattone giorno dopo giorno, anche se può sembrare tutto scontato e grigio devi pensare che quel che fai per la tua famiglia e per te non ti aprirà la gloria dei posteri o qualche tesoro sulla terra ma sicuramente il Signo-re sta accantonando per te in cielo. Caccia dalla testa quei brutti pensieri perché non risolve-resti un gran ché toglieresti solo il pane alla tua famiglia, tua moglie e i tuoi figli non hanno colpa alcuna e dipendono da te. Stacca qualche volta di più e con la tua famiglia recati nei posti che tanto ti piacquero e solleva lo spirito, ricomincia a dipingere. Ed ora vai con la pace del Signore.- e tacque mentre si allontanava rapidamente lasciando una scia fosforescente. , il velo arancione, strappato da un colpo di vento prese a volteggiare vicino a Giorgio che meccani-camente l'afferrò.
Giorgio era preso dall' agitazione, sospeso sull'acqua! cosa sarebbe successo? Si ritrovò seduto su di una barca, rolla-va fortemente sulle onde, ma era solida, una solida barca di pescatori.
Il vento era rapidamente scemato, le onde ancora solcava-no il lago ma si facevano sempre meno violente, le nubi ra-pidamente sgombrarono ed apparve una luna splendente che svolse il suo manto sul lago rendendolo simile alla via lattea che l'accompagnava in cielo.
A Giorgio venne un gran sonno, si sdraiò sul fondo della barca e dormì, si svegliò, l'alba rosea stendeva le dita sul mondo, vide che la barca era accostata alla riva, scese ra-pidamente ed andò ad una cabina telefonica , da una tasca della giacca stazzonata fuoriusciva un velo arancione. Era l'alba si! ma era meglio così che stare nell'angoscia.
-- Pronto cara devi scusarmi, ti spiegherò tra poco quando sarò a casa -
- Sono qui e Ti aspetto a braccia aperte - rispose la moglie.
Giorgio nel viaggio di ritorno si preparò a spiegare quanto fosse bella la vita.
Quando arrivò al giogo delle colline si volse indietro, vide Il lago scintillante sotto il fulgore del sole nascente e fu certo che il futuro sarebbe stato molto differente.
Aveva una Speranza.


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