Racconti di Rosetta Garilli Greco


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Natale in una favola
C'era una volta una bimba allegra e spensierata, giocherellona e amica di tutti. Si chiamava Benedetta; aveva il visetto pallido con degli occhi blu come il cielo. I suoi capelli biondi le scendevano sulle spalle, simili alle onde del mare.
Quando arrivava il Santo Natale, diventava un po' triste, perchè pensava alla sua mamma che era volata in cielo ancora molto giovane.
Ella desiderava condividere i festeggiamenti della grande festa con tutto il mondo, in modo particolare con quello dei bambini. Purtroppo, da quando la sua mamma l'aveva lasciata, trascorreva le feste con il suo papà in un'atmosfera di grande malinconia.
Il desiderio di compagnia, spesso, le prendeva l'animo, il cuore e la mente, per volare nel fantastico mondo di Babbo Natale.
Così si racconta di un vecchietto, con la barba bianca ed il vestito rosso, residente in Lapponia, al Polo Nord, dove freddo e neve non mancano di certo. Babbo Natale, aiutato da gnomi, per mezzo delle slitte trainate da renne, distribuisce tanti doni in ogni casa, deponendoli sotto il grande o piccolo albero che, addobbato di stelle filanti, palline colorate ed oggetti vari, favorisce il luccichio della festa..
Con la fantasia la bimba affrontava il lungo viaggio, per dire al nostro "vecchietto" che nel mondo vi sono tanti bimbi; tutti amano giocare e tutti desiderano ricevere, sotto il grande albero, tanti giocattoli.
Ma il Signor Babbo Natale deve sapere, però, che non tutti i bimbi hanno il grande albero di Natale; molti di loro non si possono permettere niente, neanche il latte per nutrirsi, sono veramente poveri. Sono i bimbi del cosiddetto "Terzo Mondo" : Africa e tanti altri paesi poveri, dove le slitte di Babbo Natale sconoscono la strada, dove regnano: fame, malattie, guerre e disastri ambientali..
Un angelo, proprio l'Angelo Custode dei bimbi, e soltanto Lui, può guidare le renne di Babbo Natale, verso questi paesi e portare loro la gioia della vita.
Quella vita che ogni piccolo, di questi paesi poveri, perde nel suo breve percorso; quella vita che tradisce quegli occhietti pieni di interrogativi, di speranze, colmi del significato della vita stessa, del perchè nessuno dona loro del cibo per sfamarsi………
Anche il cuore della bimba si domanda, continuamente, il perché di tanta sofferenza! Il perché di tanta differenza di condizioni di vita….. Anche la piccola aveva un giocattolo nel cuore, ma le renne di Babbo Natale non conoscevano, sicuramente, casa sua. Ella conosceva, quindi, la delusione di un bimbo nell'essere privato di un giocattolo tanto desiderato, specie nel giorno di Natale.
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Sono tanti i bambini fortunati, ricchi di benessere che hanno non solo molti giocattoli ma, soprattutto una vita serena e…non hanno mai fame; tanti altri, invece, vivono nella sofferenza e mancano, anche, del necessario: il pane di tutti i giorni.
La piccola pregò, con tutto il cuore, la sua mamma, perché parlasse all'Angelo Custode dei bimbi sfortunati, per indicare, alle renne di Babbo Natale, la via più breve per giungere, proprio il giorno di Natale, nei paesi dimenticati dalla buona sorte, cioè, i paesi del così- detto Terzo Mondo.
L'Angelo Custode dei bimbi ascoltò la preghiera della piccola e volò verso i paesi della neve, dove abita il nostro vecchietto Babbo Natale.
Era la vigilia della grande festa, Babbo Natale, dopo aver letto tutte le letterine dei bimbi, si apprestava a sistemare i regali richiesti nelle slitte, pronte a partire. La destinazione era, sicuramente, quella delle rispettive letterine. Egli non conosceva altri paesi e non sapeva che tanti, molti bambini del terzo mondo, non avevano scritto nessuna letterina, anche perché non avevano la fortuna di saper nè leggere nè scrivere.
L'Angelo Custode dei bimbi, senza pensarci più di tanto, guidò le renne verso i paesi poveri dove i bimbi dormivano tranquilli ed ignari di ciò che stava per accadere., Babbo Natale, guidato dall'Angelo Custode, visitò tutte le capanne della povera gente e, dove vi era un bimbo, sistemava un alberello con tanti giocattoli e, non solo; assieme ai giocattoli metteva tanti biscotti e dolciumi vari.
Al sorgere del sole, nei villaggi, vi fu una grande festa; trenini, palle colorate, trombe e suoni vari intonavano una musica d'immensa gioia.
La piccola Benedetta, aprì gli occhi alla realtà, il suo cuoricino soffrì ancora, perchè nessun albero e nessun giocattolo ella trovò.
Il Signor Babbo Natale aveva dimenticato di leggere la sua letterina.
Ma una mamma non può dimenticare la sua bambina; infatti, il giorno di Natale, si presentò a casa sua una bella signora, molto elegante e gentile. Ella, con il sorriso sulle labbra, diede a Benedetta un enorme pacco avvolto nella carta da regalo, legato da un nastro dorato, poi disse: " Piccola, Babbo Natale non dimentica i bimbi buoni, questo regalo è per te". Con stupore la piccola aprì il pacco. Era un'enorme scatola con dentro la casetta di Barby che ella aveva tanto desiderato, vi erano, pure, tanti dolcetti, soprattutto di cioccolata.
Con la felicità negli occhi, Benedetta alzò lo sguardo, per ringraziare la signora, ma notò solo una macchina che si allontanava in fretta.
I sogni sono dei desideri che si avverano solo, se ci credi.
Benedetta, con il permesso del suo papà invitò, a casa sua, due bimbi poveri dalla pelle scura ed i capelli ricci, per giocare insieme e trascorrere un giorno di grande festa: la festa del Santo Natale.

La valigia dei sogni
C'era una volta, in un piccolo paradiso, un parco con giardini dai fiori più strani e più belli, dove le farfalle , dai colori dei sogni, danzavano da un fiore all'altro, rubando ad ognuno un po' di nettare. Gli uccelli facevano eco in tale magico luogo. Intricati sentieri conducevano verso la villa delle fate.
Nella soffitta, di questa villa, si trovava la valigia dei sogni.
Le fate avevano, da un po' di tempo, abbandonato la villa; nessuno aveva più rovistato in quella valigia dove ogni sogno nasceva da un cuore solitario.
C'era il sogno della bimba che chiedeva una bambola, quello del mendicante che desiderava una buona minestra, la vecchierella... ritornare in buona salute......
.....E...... tanti sogni aspettavano, invano, la loro realizzazione.
Nella nostalgica solitudine, uno , fra i tanti sogni, in una notte di bufera, esce dalla valigia e, con un desiderio prepotente, si mette a rovistare fra le innumerevoli cose abbandonate da tanto tempo. Guarda per ogni dove in cerca di un oggetto senza nome.
Era il sogno di Veronica: una bimba vispa, allegra e giocherellona che amava la vita e desiderava ,a tutti i costi, volare fra le nuvole bianche della notte, per incontrare la sua nonnina. Ma quel sogno era rimasto per troppo tempo nella valigia, per cui la piccola Veronica era, ormai, cresciuta ed era diventata una bella ragazza. Ella aveva dimenticato quel sogno che da bambina ritornava nella sua mente.
Quel sogno, prepotente, fuori dalla valigia, inizia a rovistare per ogni dove e finalmente, gli capita di trovare una foto della nonna.
Nella notte di tempesta, il sogno intraprende, subito, il viaggio verso la casetta di Veronica.
La ragazza, ignara di quello strano avvenimento, dormiva tranquilla, avvolta nella calda e morbida coperta. Un rumore strano, durante la notte, la fece sobbalzare......Si alzò di scatto ed accese la piccola lampada che stava sul comodino, si guardò intorno e .....si trovò la foto della nonna fra le mani. Tutto era silenzio intorno.
Guardò attentamente con il cuore palpitante quella foto; guardò proprio negli occhi della nonna e....non ci credereste .....volò sopra le nuvole nere della notte e, fra le stelle, oscurate da un temporale in atto, fece il magico incontro. Incontrò proprio lei, la sua nonnina che l'aveva lasciata, ancora molto piccola, per andare nel mondo della gioia e della felicità.
All'improvviso, nel cielo dell'infinito, ritornò il sereno. Le stelle continuarono a mandare una luce sfavillante da illuminare il cammino di Veronica con la sua nonnina.
Mano nella mano tutte e due entrarono nella stella più lucente. Il percorso era segnato da un tappeto di morbide e bianche nuvolette; non camminavano, ma sorvolavano quel sentiero fatto di luci ed ombre dorate. Ad un certo punto la nonna si fermò ed invitò Veronica a sedersi sopra una delle nuvole bianche, dove cominciò a raccontarle tutta la storia della sua vita. Le riferì, anche, della grande felicità che aveva provato quando, appena nata, l'aveva presa fra le braccia. "Adesso che sono in questo mondo di gioia e grande serenità, seguo i tuoi passi e ti proteggo." Così dicendo, la nonna strinse a se la nipotina e sparì fra le nuvole.
Veronica si trovò, all'improvviso, sola e smarrita in quel mondo sconosciuto. Era, senz'altro, contenta per aver conosciuto quella nonna tanto affettuosa. Si guardò, quindi, intorno e.....vedi caso era ancora nel suo lettino sotto le calde e morbide coperte, fra le mani stringeva la foto della sua nonnina.
Le fatine della villetta abbandonata, dove si trovava la valigia dei sogni, seppero dell'avvenimento ed, angosciate per la loro superficialità nei riguardi dei sogni abbandonati, vollero provvedere a riparare al loro errore. La più piccola, fatina "Trovatella", andò in cerca di quei sogni abbandonati nella valigia e, dopo averli ritrovati, diede ad ognuno di essi la giusta realizzazione.
Il mondo, per incanto , ritornò indietro nel tempo e....la bimba ebbe la sua bambola, il mendicante una calda minestra e la vecchierella una buona salute. Anche tutti gli altri sogni furono tirati fuori dalla valigia ed ad ognuno venne dato il desiderio richiesto.
"I sogni sono desideri chiusi in fondo al cuore" e...se ci crederete, essi saranno tirati fuori e, senz'altro, realizzati.

Una casetta sulle nuvole
C'era una volta, ai tempi delle favole, una piccola casetta con le tegole rosse e circondata da graziose aiuole fiorite.
Numerose farfalle, dai colori della gioia,volano qua e là, senza sosta, mentre i raggi del sole nascente illuminano e riscaldano la graziosa dimora.
Tutto tranquillo, finché gli abitanti dell'universo sono in pace fra loro.
Al tramonto, i raggi del sole lasciano il posto alla luna e ad una pioggia di sfavillanti stelle. Esse hanno il compito di cullare il sonno del mondo.
Le fatine giocano con gli angioletti del firmamento, suonano l'arpa ed il violino e cantano le nenie più gioiose che si possano mai ascoltare. Alcune di loro viaggiano, scendono sulla terra, portando gioia ed amore ad ogni bimbo buono
"E' da sapere che l'universo non è sempre quel mondo sognato da ogni individuo; esso presenta, assieme ai tanti pregi, anche i suoi difetti." Il sole, spesso, si arrabbia e manda i suoi raggi più infuocati, ed è allora che cominciano i guai. Bisogna difendere la casetta delle fate. Ed ecco che entrano in azione le nuvolette bianche, le quali, facendo da recinto, evitano che il calore possa giungere a disturbare le fatine. Anche le nuvole nere, spesso, si fanno avanti a schermare la casetta. Alla vista di queste, il sole ritira i suoi raggi ed il cielo appare come un manto ricamato da ombre scure.
Anche la luna, qualche notte, lascia il suo posto, per andare a spasso. Rimangono soltanto le amiche stelle che, tristi ed impaurite, pregano la luna di lasciare loro un po' della sua luce. Ed è che, per fare un favore,qualche volta, la luna si divide, lasciando, nel firmamento, una fetta del suo corpo.
Una triste notte, le nuvole nere oscurarono le stelle e la luna con il loro pianto.
Anche l'arrivo del nuovo giorno venne oscurato. Le nuvole nere avevano ricevuto un torto da parte del sole, quindi, dovevano dare sfogo alla loro angoscia. Il mondo era immerso nel buio più profondo ed era inondato da una tempesta di lagrime. Non vi dico la disperazione delle fatine, non sapevano come intervenire in quella anomala situazione. Alla fine, interpellarono fata Giudizio per avere, da lei, un giusto consiglio. Il mondo dell'infinito era in subbuglio e questo danneggiava un po' tutti.
Il giorno e la notte non si distinguevano più, per cui gli abitanti della terra erano molto scoraggiati.
Fata Giudizio chiamò in suo aiuto il cugino Vento il quale, con un gran soffio, spazzò via tutte le nuvole nere, portando il sereno nel cielo dell'infinito. Il sole mandò subito i suoi raggi e la luna e le stelle si prepararono, per intervenire ed assolvere il loro compito.
Il vento, però, non smise di soffiare e così si presentò un altro problema. La casetta delle fate era in pericolo; essa dondolava e rischiava di cadere sulla terra.
Il giudizio delle fate ebbe la sua ragione. Esse pensarono che le casette non possono stare sulle nuvole, prima o poi sono destinate a cadere.
Con la bacchetta magica del giudizio, le fatine trasportarono la casetta sulla terra e la sistemarono in mezzo al bosco.
Le lucciole, nascoste fra le foglie di betulla, la libellula ed il picchio sopra un ramo di pioppo, il canto della capinera e il cinguettio del pettirosso, accovacciati sopra un grande faggio, tutti insieme diedero il benvenuto alle fatine. Anche la lumachina e la cavalletta, sistemate sotto un fungo, furono allegri e felici per l'arrivo dei nuovi amici.
Il vociare degli abitanti del bosco, sparsi tra il frusciare della boscaglia, fece eco nel cielo dell'infinito.
Il mondo del "firmamento" svolge il suo normale ritmo di vita, così come è chiamato a fare il mondo della terra.
E' il sistema del Creato!!!!!

Fiocco e il suo amico Eico
Il sole non era ancora tramontato, quando un brutto temporale, da fare paura, si scatenò nella zona dove abitava la piccola Benedetta.
Il cielo fu squarciato da lampi e tuoni, accompagnati da temibili boati. La pioggia cadde a catenelle senza sosta, mentre il vento ululava, simile ad un lupo arrabbiato, facendo piegare gli alberi, quasi a procurar loro sofferenze.
Benedetta stava vicino al caminetto del soggiorno con il fratellino e la sua mamma, mentre il cane Eico, spaventato da tanto fracasso, se ne stava accovacciato, accanto alla famigliola,senza muovere nemmeno un pelo. Il babbo non era , ancora rientrato dall'ufficio e l'attesa ,in verità, era snervante.
Tra una fiaba ed un' altra, la mamma teneva buoni i bambini; il tempo trascorreva e, in realtà, il temporale si era calmato un po'.
Al suo rientro, il babbo teneva nelle mani un fagottino tutto tremante e inzuppato d'acqua dalla testa alle zampette. Era un gattino trovatello, senza mamma, ma tanto fortunato perché aveva incontrato quel babbo dal cuore buono. Questi, senza pensarci più di tanto, l'aveva raccolto e portato a casa sua..
Non vi dico la felicità di tutti, in modo particolare dei ragazzi che erano elettrizzati per la gioia e, mentre l'uno lo asciugava, l'altra cercava di rifocillarlo. Anche la mamma si dava da fare a preparare le ciotole per il cibo e l'acqua.
Era una scena molto deliziosa che aveva fatto liberare tutta la tenerezza che stava nei cuori dei componenti di quella famiglia.
Simile ad un batuffolo di neve sporca, il piccolo gatto se ne stava buono, buono, a farsi coccolare. Quegli occhietti azzurri, come il cielo, avevano conquistato l'affetto della famiglia che, subito fu d'accordo a chiamarlo Fiocco.
Si presentava il problema di Eico, il quale, contrariato per essere stato trascurato dai padroncini, si ritirò nella sua cuccia con aria offesa.
Benedetta capì lo stato d'animo del cane e, con garbo, gli presentò il nuovo arrivato, ma Eico non degnò nemmeno di uno sguardo il piccolo intruso.
Durante la notte Fiocco miagolava, si sentiva solo e non prendeva sonno. Eico, in un primo momento, non fece caso alle sofferenze di Fiocco ma,col passare delle ore, il suo cuoricino si commosse, andò dal gattino, lo prese con molta delicatezza e se lo portò nella sua cuccia, Si addormentarono insieme e, con le zampette, l'uno abbracciava l'altro. Da quella notte Fiocco ed Eico non si lasciarono più.
L'avvenimento mise di buon umore Benedetta ed il fratellino, i quali, lasciarono che quella "fantastica amicizia" continuasse e si consolidasse sempre più. Infatti i due amici non solo dormivano nella stessa cesta e mangiavano nella stessa ciotola, ma non vi dico i giuochi che facevano insieme, nel giardino di casa. Si rincorrevano, si arrotolavano l'uno sopra l'altro, scorazzavano a perder fiato. Era uno spettacolo che toccava il cuore.
Un giorno,mentre i due amici stavano in giardino a giocare, accadde che, il piccolo Fiocco, per prendere i pesciolini rossi della fontana, vi cadde dentro. Il suo miagolio attirò, subito, l'attenzione di Eico che, in quattro e quattrotto, riuscì a tirarlo fuori. Ed ancora, quando il gattino monello si arrampicava sopra gli alberi e, non riuscendo a scendere, miagolava disperato, il cane, con il suo abbaiare, richiamava l'attenzione di qualche familiare.
Il cane Eico era diventato il protettore di Fiocco.
Benedetta trovava sempre del tempo per dedicarlo ai suoi fedeli amici, i quali le dimostravano, con le fusa l'uno e scodinzolando l'altro, l'immenso affetto che provavano nei suoi riguardi. Era un trio perfetto; il loro linguaggio era chiaro e conciso, si capivano con uno sguardo oppure con un segnale.
Il brutto destino mise a dura prova tutti quanti. Il cane Eico si ammalò; a nulla valsero le cure del veterinario, a nulla valsero le lagrime di Benedetta, il povero cane se ne ritornò nel mondo dell'infinito, chiuse gli occhi, dopo aver dato l'ultimo sguardo alla sua padroncina e al suo caro amico Fiocco. Eico non si svegliò più.
Il piccolo gatto non capiva il perché di tanto silenzio, si accucciò vicino al suo amico ed aspettò.
Da quel giorno Fiocco cominciò a rifiutare il cibo, gironzolava per la casa e in giardino in cerca del suo compagno; infine, stanco ed angosciato, prendeva il guinzaglio di Eico, lo portava nella sua cuccia, vi si accucciava sopra e si addormentava. Quella situazione era davvero insostenibile; Benedetta cercava in tutti i modi di farlo distrarre, ma Fiocco era preso da una vera malinconia. Spesso si assentava per parecchio tempo,
Le assenze di Fiocco insospettirono Benedetta la quale decise di controllare il gattino, per sapere dove passasse il suo tempo.
Era un giorno di vacanza. La bimba, dopo aver fatto colazione, si recò in giardino in cerca di Fiocco e, non avendolo trovato nella sua cuccia, cominciò ad ispezionare per ogni dove. Fiocco era introvabile. Passarono le ore; Benedetta si convinse che il suo gattino avesse trovato altre distrazioni fuori del giardino e con sofferta rassegnazione, ritornò in casa.
Il dolore per la perdita di Eico e la tristezza per la scomparsa di Fiocco fecero cadere tutta la famiglia in un'angosciosa situazione, per cui si diedero tutti da fare, per ritrovare Fiocco. Dopo aver cercato per ogni angolo del giardino, senza esito positivo, il babbo ebbe una idea,. S'inoltrò, nell'angolo più nascosto del giardino e, la' dove era stato seppellito Eico trovò Fiocco accucciato. Sembrava che dormisse, ma in realtà era andato a trovare il suo amico.
Dal mondo dei sogni Eico e Fiocco guidano la piccola Benedetta ed il suo fratellino verso il viale della rassegnazione.
Nella vita ogni avvenimento è disposto e predisposto dal Supremo Volere, Accettiamo, quindi, con coraggio, anche ciò che ci sembra ingiusto e ci fa soffrire.

Senza mamma       
Ero un cucciolo di gattino, spelacchiato, infreddolito e affamato. Appena nato la mia mamma mi lasciò sull'asfalto, bagnato di fango, sotto una grossa macchina in sosta. Era notte fonda, pioveva a dirotto e nessun essere vivente passava da quelle parti. E' la fine, pensai subito ma, in cuor mio c'era sempre una piccola luce: la speranza.
Provai a gridare aiuto con quanta forza avessi in corpo ma, naturalmente, il mio pianto rimaneva senza risposta alcuna e, si perdeva tra una goccia e l'altra della pioggia cadente.
La speranza di essere soccorso si affievoliva sempre più e il mio miagolio si spegneva a poco a poco. Stanco e sfinito mi accucciai sotto una delle ruote della macchina e…aspettai. Per mia fortuna la macchina rimase ferma. Non accadde nulla per tutta la notte e, allo spuntar del giorno, alla tenue luce di un sole annebbiato da grosse nuvole nere, accadde il miracolo dei miracoli.
Sentii un calore strano che avvolgeva e si diffondeva per tutto il corpo. Una dolce sensazione di piacere scorreva nelle mie vene e, mentre mi rannicchiavo sempre più, fui preso e portato via. Da chi, come e dove lo capii solo più tardi.
Era una cagnetta, piccola quasi come la mia mamma, due grandi occhi neri con lo sguardo attento e profondo; il pelo era di un colore bianco con delle macchie grigie.
Quasi all'ultimo minuto, la fatina era venuta in mio aiuto. Il cuore cominciò a pulsare forte; non più per quella squallida fine cui sarei andato incontro, ma soprattutto per quella situazione in cui mi trovavo. Non sapevo se aver paura oppure gioire per la mia salvezza: chiusi gli occhi e mi lasciai cullare. Il piccolo musetto mi afferrò, con delicatezza, sostenendomi senza che mi facessi del male.
La cagnetta camminò un bel po'; quasi ansante,si fermò presso una casetta solitaria con un giardino poco illuminato.
Altri cuccioli aspettavano la loro mamma, piangevano e si disperavano. La cagnetta, dopo avermi sistemato in mezzo a loro, si accucciò in posizione comoda in modo che ognuno di noi potesse prendere il suo latte. La musica disperata, del pianto dei piccoli affamati, si trasformò, ben presto, in un melodioso rumore di gente appagata, anzi di cuccioli felici.
Il latte di mamma cagna era davvero buono; in breve tempo si notarono i primi risultati, stavamo crescendo sani, forti e giocherelloni.
Da tener presente che i miei cromosomi sono diversi da quelli dei miei fratellini da latte. Così, mentre le loro zampe diventavano più alti e il loro corpo più grosso, io rimanevo piccino, piccino. Quando si giocava, ero sempre io ad avere la peggio; tutto sommato ero felice, mangiavo, giocavo ed ero la "mascotte" della famiglia. Cosa avrei potuto desiderare di più?
Nella casetta vi abitava una vecchierella, piccola di statura, un corpo abbastanza gracile e i capelli, tutti bianchi, erano raccolti sulla nuca. Era una figura di donna che ricordava tutte le nonne del mondo. Sempre allegra e sorridente, viveva tutta sola in quella casetta piccola e solitaria. Di tanto in tanto venivano dei ragazzi a giocare con noi e, la signora dava loro dei dolcetti fatti in casa.
La mattina, allo spuntar del sole, Ella apriva la porta e ci portava da mangiare; un pastone molto buono, così venivano risparmiate le forze della cagnetta. Si, perché eravamo in quattro a prendere il suo latte, e in verità essa era diventata molto magra.
Dopo aver fatto una carezza ad ognuno di noi, la signora, metteva in ordine la nostra cuccia, raccoglieva le foglie secche nel giardino e riassettava  la sua dimora.
Le giornate trascorrevano allegre e serene. La nostra mamma, spesso, si allontanava per fare ritorno con qualche boccone di buon cibo, trovato lungo il percorso del suo "andare". Nessuno ci dava fastidio, era  una vera "cuccagna."
" Purtroppo il viale della vita non è sempre alberato e di facile percorso. I dirupi e le valanghe arrivano quanto meno li aspettiamo. Gli ostacoli sono sempre in agguato e, se non sappiamo affrontarli, questi ci coinvolgono e ci travolgono senza pietà alcuna".
I pericoli, per noi esseri indifesi , sono tanti così, ognuno di noi, sin da piccolo, deve imparare ad affrontarli e…possibilmente a superarli.
Si cresceva e si diventava più grandi. I miei fratellini andavano e venivano seguendo la mamma, mentre io rimanevo in giardino ad esplorare ogni angolo del posto.
Capitava, qualche volta, che la signora mi  tenessi in casa a farle compagnia, io ne ero felice.
Era un pomeriggio di un giorno qualunque, un temporale, da fare paura, si abbatté da quelle parti. Lampi e tuoni squarciavano il cielo con suoni simili a lupi in rivolta. La pioggia scendeva dalle nuvole nere come cascate turbolenti, c'era anche tanta nebbia da non vedere ad un centimetro di distanza.
Ero terrorizzato, mi trovavo solo, in un angolo del giardino, lontano dalla mia cuccia e dalla casetta. Non rimasi a lungo ad osservare quel panorama di terrore, scappai senza sapere dove andare; mi ritrovai ai confini del giardino, mi stavo allontanando sempre di più, ero bagnato e continuavo a tremare.
Intanto mamma cagnetta con i miei fratellini erano in difficoltà. Uno dei piccoli era caduto in una buca piena d'acqua e, la mamma nel tentativo di  soccorrerlo, vi era caduta anche lei dentro. Gli altri piccoli se ne stavano arrotolati , con la testa sotto un sasso che faceva da riparo. A modo loro, stavano lì riparati dalla pioggia e non si accorgevano che era solo la testolina riparata, mentre tutto il corpo era bagnato fradicio. Si lamentavano appena, il loro grido di aiuto era un lontano lamento come di chi non ha più speranza di salvezza.
Il rumore dei tuoni e della pioggia, in un primo momento, aveva coperto quel fioco lamento; poi, tra un tuono e l'altro ho percepito quel suono. Era un  abbaiare stanco e affaticato , mi sono messo in allarme e, quatto, quatto ne cercai la provenienza.
La scena non fu, per niente, bella, non sapevo cosa fare, volevo a tutti i costi salvare mamma cagna.
Un affetto profondo mi legava a lei; mi aveva salvato la vita; si era sostituita in tutto e per tutto alla mia vera mamma; mi amava e mi coccolava con lo stesso amore che dava ai suoi piccoli.
Ero disperato, non sapevo prendere una decisione adeguata alla situazione. Io ero troppo piccolo per poter dare una……...zampa, quindi, pensai bene di chiedere aiuto altrove.  Solo la buona "signora" avrebbe potuto aiutarci.
Corsi verso la casetta, cominciai a miagolare e a grattare la porta finché la vecchietta fu costretta ad aprire.
Per mia sfortuna non ho il privilegio della parola ma,con il mio solo ed unico linguaggio: miao- miao, fui talmente insistente ed espressivo che la buona signora mi seguì.
La mia mamma con i miei fratellini furono salvati, curati e rifocillati.
Intanto il temporale era cessato e, noi tutti felici, in giardino a correre e giocare sull'erba bagnata di pioggia, come una vera famiglia.
" Se la sorte è benevole verso di noi, non possiamo che esserne contenti, però da non scordare che, bisogna anche DARE.
       L'AMORE non dovrebbe essere,mai ,a senso UNICO.

                                                                Il gattino senza mamma

La fatina ridarella e la fatina brontolona
Un giorno, lontano nel tempo, una graziosa fatina andava allegra e spensierata per i sentieri del bosco.
L'aria tiepida della stagione primaverile, il profumo dei pini e dell'erba fresca bagnata di rugiada,le mettevano nell'animo tanta gioia da indurla a cantare.
La sua voce era così dolce da fare invidia a quella di un usignolo. Tutti gli uccelli del bosco cinguettavano felici assieme a lei, accompagnandola nel percorso. Gli animali stavano incantati ad ascoltare tanta melodia, qualcuno la seguiva, saltellando; qualche altro si beava sdraiato all'ombra di una quercia
Intanto.....in un angolo solitario c'era fata brontolona, accucciata sopra un fungo; era silenziosa e triste, estranea ad ogni avvenimento.
E' da sapere che fata brontolona trascorreva le sue giornate in compagnia di sorella malinconia; non amava stare con gli amici o amiche, si considerava brutta e inutile.
Da ricordare anche che la fatina brontolona, da piccola, era una splendida bambina, allegra e birichina, giocava, correva e cantava assieme ai suoi compagnetti senza mai stancarsi. Un giorno accadde che fata cattivella, invidiosa per tanta allegria, la rapì e la tenne prigioniera per parecchio tempo, quindi, la trasformò in fatina.
Nella solitudine della sua prigione la fatina piangeva sempre ed aveva perso la gioia per la vita sicché, quando venne liberata, non riuscì più a ritornare l'allegra bimbetta che era..........un tempo..
In fondo al bosco vicino al laghetto c'era il castello incantato e proprio quel giorno, si teneva una grande festa per tutte le fate del bosco.......
Fatina ridarella era diretta proprio al castello e nell'incontrare la sua amica lagrimona, si rattristò un po' ma, subito riprese il suo buon umore e fece di tutto, per coinvolgerla al grande ballo del castello.
Fatina lagrimona indugiò un attimo, poi, presa da tanta allegria smise di piangere e provò a cantare anche lei.

Insieme si diressero al castello, per partecipare al grande ballo delle fate.
Fatina brontolona, grazie a fatina ridarella, riacquistò fiducia e gioia per la vita.
Capì che nel mondo non c'è solo invidia e cattiveria ma esiste anche la bontà.
La favola è finita e la lezione è stata chiara: "Dimmi con chi pratichi e ti dirò chi sei"

Lillo il piccolo randagio
La mia mamma era già passata a migliore vita mentre io ero lì a cercare il suo latte.
Naturalmente piangevo per la fame mentre il suo corpo si faceva sempre più pesante. Due,tre o più giorni erano trascorsi in quella pietosa situazione.
Stavo sotto una roccia, rovente di giorno, fredda di notte. Nessun essere umano percorreva quella zona di roccia lavica. Solo dei cani gironzolavano senza disturbare. Il destino della mia vita sembrava stesse per concludersi, ma non fu così perché erano segnate tante sofferenze da offrontare.
Ero un cucciolo di cane e, in verità, sembravo un topino, bianco, piccolo e magrissimo. Ero un fiocco di neve sporca.
Gli occhi appena socchiusi videro un'ombra e subito dopo due mani, non molto grandi, mi presero e mi sollevarono per guardarmi meglio. Era una ragazzina.
Stava per rimettermi nel mio triste giaciglio quando un altro ragazzo, un po' più grande, decisi di condurmi a casa sua. Fin qui tutto stava andando per il meglio; la mia stella sembrava accendersi e la sua luce essere di buon auspicio.
La mia nuova dimora era una villetta molto graziosa. Una casetta con tanto verde intorno, tanti fiori, una vasca con la fontanella e tanti pesciolini rossi. Un habitat tranquillo, sereno e, nello stesso tempo allegro,ricco di gioia di vivere, in poche parole: solare.
La mia attuale famiglia era composta da poche persone: due ragazzini e i loro genitori.
I buoni pasti e l'affettuosa compagnia mi fecero crescere allegro e in buona salute.
I giorni trascorrevano, nella gioia e nella serenità, assieme ai miei padroncini.
Quando Seby e Maria Cristina ritornavano dalla scuola mi trovavano sempre a giocare con i pesciolini rossi.
La vasca era il mio posto preferito, il mio gioco era quello di prendere i pesciolini, in verità non riuscii mai a prenderne uno.
Ero felice? Si , ma nella vita mai farsi tanti illusioni. La felicità è un nome astratto che non dura nel tempo, spesso ti illude e ti delude, ti dà tristezza, ti tradisce, si prende gioco di te lasciandoti sempre l'amaro in bocca.
Il cielo era coperto da nuvole nere quella mattina,tutto intorno era buio, malinconico, triste. Anche la mia famiglia piangeva. Un tragico avvenimento l'aveva sconvolta e ferito. La morte era entrata in casa. La morte, la "signora" nera e maledetta, come la chiamava la mia padroncina, aveva rapito e portato via , per sempre, il capo famiglia. Era stata distrutta tutta la gioia e la serenità che regnava in quella casa.
Lungo il percorso di vita si cambia e, in questi casi in peggio. Tutto cambiò da quel funesto giorno.
Dopo un breve periodo di grande confusione di via vai di gente, la casa era rimasta vuota, silenziosa e triste. Spesso i miei padroncini restavano fuori a lungo, sembrava proprio che avessero timore di rincasare. Non si rideva più e parlavano sempre a bassa voce.
Stordito da tanti avvenimenti, e cambiamenti nello stesso tempo, non mi accorgevo che stavo sempre più solo,venivo un po' trascurato.
In quella vasca, con i pesciolini rossi, non si giocava e non si rideva più. Vedevo poco i miei padroncini, fu quello l'inizio di mille sofferenze.
Mi ritrovai in un'altra casa, in un'altra città. Avevo capito che, per gravi motivi, dovettero affidarmi ad un'altra famiglia.
Rividi i ragazzi che piangevano mentre la macchina si allontanava. Fu allora che pensai al crudele destino che perseguita sempre i più deboli., senza pietà, quasi a gioire delle loro sofferenze,esso segna, sin dalla nascita, il nostro percorso di vita.
Pensieroso e sconvolto per la nuova situazione, rimasi accovacciato, per lungo tempo, in un angolo della mia nuova dimora. Qui vi era tanto spazio ma, sicuramente, non per me. Un balcone-terrazzo con piante e fiori e in un angolo la mia cuccia con la catena. Si, fui messo alla catena non perché fossi pericoloso ma perché non dovevo rovinare le piante. Un fiocco di neve, una pallina di cane che non avrebbe mai fatto del male ad alcuno, messo alla catena!
Passò del tempo, il ricordo dei giorni felici trascorsi mi dava tormento, mi annientava, a volte, mi ridava la gioia perduta.
Il collare, man mano che crescevo, si faceva sempre più stretto e di ciò nessuno se ne accorgeva. Mi si formarono le ferite prima e le piaghe dopo.
Non fu per pietà, ma per il rifiuto di tenere in casa un cane malato, che i signori, miei padroni, mi misero dentro un contenitore e mi portarono lontano, in una campagna solitaria. Non mi uccisero, pensarono bene di mettersi la coscienza a posto lasciandomi libero.
La malinconia prese il sopravvento, non fui capace di piangere né di lamentarmi e non andai dietro a quella macchina che si allontanava senza pietà.
Rimasi accucciato privo di pensieri, di voglia di vivere.
Ero solo, corroso e distrutto, deluso e amareggiato. Mi svuotava l'animo il solo pensare al comportamento di coloro che nella società si chiamano "signori", gli stessi che spesso fanno volontariato cioè "aiutano" gli altri. Persone civili? "La civiltà di un popolo si misura, anche, nel modo cui vengono trattati gli animali". Ma allora, dico io, il rispetto per gli amici dell'uomo dove sta? Si è perso lungo il percorso del vivere civile?
Passai la notte al freddo e senza cibo: Solo un albero ebbe pietà di questo fagottino di cane randagio e, mi diede riparo.
Il sole spuntò, pallido, malinconico, indeciso. Un raggio, sfuggito alla tristezza, illuminò il mio giaciglio, mi diede il buon giorno e mi accompagnò per tutta la mattinata. Andai in cerca di un po' di pane duro da rosicchiare, ma non trovai niente da mangiare né da bere. Camminai senza riposarmi e il raggio di sole lasciò spazio all'oscurità della nuova notte.
La stanchezza,la fame e la sete mi stordirono per cui mi addormentai nei pressi di un ruscello. Un cacciatore, avido di sangue, cercò di uccidermi ma non vi riuscì, io ero protetto da "sorella sofferenza", infatti mi salvai perché nascosto fra le canne che segnano i confini del ruscello. Raggiunsi il piccolo paese, qui continuò il mio vagabondare di cane randagio. Rovistavo nella spazzatura per riempirmi la pancia; dormivo dietro le porte delle case disabitate e cercavo con ogni mezzo, di sfuggire alle molestie di persone "cattive", in modo particolare di ragazzi in gruppo.
A proposito di ragazzi, non posso dire che tutti sono cattivi, molti di loro mi fanno le carezze e mi danno da mangiare. Il gruppo, però, mi fa paura. Quando sono tutti insieme, i ragazzi diventano cattivi, crudeli, cercano in tutti i modi di fare notare le loro "Bravate".
Trascorso un periodo di avventure, anzi di guai, il raggio di sole apparve, ancora una volta, nel mio percorso di vita.
La stella più lucente dell'universo ebbe pietà di me e avvenne il miracolo dei miracoli. Questa volta, però, sono sicuro di poter dire basta, basta con le sofferenze, con le torture, con la vita di cane randagio.
Seby e Maria Cristina con la loro mamma non smisero mai di pensare a me, mi cercarono per ogni dove.
Ci ritrovammo, per caso, in un canile comunale dove io ero capitato....per caso
Andammo a casa dove ritrovai i miei amici ....pesciolini rossi.
Lillo il piccolo randagio

" DIC il randagio"
Cara bimba,
mi chiamo Dic e sono un meticcio vissuto,anni or sono,"In questo atomo opaco del male". Adesso da un lontano luogo dove tutto è gioia, amore e serenità, voglio raccontarti la mia triste storia:
Ero un cucciolo felice, non appartenevo a nessuna razza pregiata; prendevo il latte dalla mia mamma e crescevo giocando assieme ai miei fratellini.
La libertà ci dava gioia e felicità. Lo sguardo della mia mamma, però, non era sereno. Tutte le mattine di buon ora ella andava in cerca di cibo per sfamarci. Un triste giorno aspettammo invano che ritornasse da noi. Pioveva a dirotto, il cielo era coperto da nuvole nere. Il nostro rifugio era una grotta dove l'acqua entrava da ogni parte. Anche le piante di ulivo, che popolavano quella zona, sembravano piangere un doloroso presagio.
Eravamo sei fratellini, accovacciati gli uni sugli altri per riscaldarci un po'. Avevamo tanta fame e tanto bisogno di quel calore di mamma che nessun altro seppe più donarci.
Nostra madre era stata travolta e uccisa da una macchina in corsa.
La stessa sorte toccò, più tardi ai miei fratellini che, per sfuggire alle molestie dei ragazzi cattivi, finirono nel vortice della morte. Rimasto solo e sconsolato cominciai a vagabondare per le strade, aspettando che qualche anima buona mi desse un po' di pane duro da sgranocchiare. Spesso andavo a rovistare nella spazzatura in cerca di qualcosa che potesse riempirmi lo stomaco. Così, con tanta fatica, andai avanti per un po', non ricordo quanto, finché incontrai la mia buona fatina. La Signora mi portava dei buoni pasti che consumavo con avidità e riconoscenza. Mi sentivo più forte e più sicuro nell'affrontare le persone che mi molestavano. Anche i ragazzi della zona impararono, a poco a poco, a volermi bene e rispettarmi. Correvo , giocavo, ero veramente felice. Avevo, quasi, dimenticato la mia squallida infanzia. Con il mio "bau bau" volevo ringraziare tutti coloro che mi proteggevano e, in modo particolare, la mia cara Signora. Ma, ancora una volta il peso di quel destino amaro e senza pietà, che grava su tutti i randagi, cambiò la mia vita. Iniziò il principio di una triste fine. Il mio abbaiare disturbò qualcuno che provò ad uccidermi. Con una "lapa", specie di macchina-bice mi travolse lasciandomi a terra ferito. Non avevo la forza di abbaiare, mi lamentavo appena per il dolore che mi procuravano le ferite. La gente che passava, da quelle parti, non si curava tanto delle mie condizioni, qualche ragazzo mi accarezzava; qualche altro mi buttava dei sassi. Insomma, ero in balìa della buona e cattiva sorte. Ed ecco all'improvviso farsi avanti il mio "angelo custode". Provai una dolce sensazione di benessere come se all'improvviso i miei dolori si fossero bloccati, la guardai con speranza e affetto. Il suo sguardo era triste, il suo sorriso amaro ma la sua carezza era sempre affettuosa e dolce.
La Signora non poteva portarmi a casa sua perché aveva altri due cani, però chiamò subito aiuto all'E.N.P.A (Ente Nazionale Protezione animali). Fui condotto in un rifugio dove si trovavano tanti, cento e più cani sfortunati, abbandonati, naturalmente, dai loro padroni senza scrupolo e senza cuore. Era un luogo triste, vi erano tanti cancelli e recinti da sembrare una vera prigione. Fui sistemato in un recinto non molto grande dove rimasi, per qualche giorno, accovacciato con i miei dolori e la mia infinita malinconia. Non avevo fame e nemmeno le forze per lamentarmi. Aspettavo con rassegnazione la fine della inutile e vuota mia vita.
La mia "fatina" però, non mi aveva abbandonato, infatti dopo qualche giorno si presentò nel mio recinto con tante cose buone da mangiare e con il suo triste sorriso sulle labbra.
Una forza improvvisa mi fece scattare e Le andai incontro. Cercai di dimostrare tutto il mio affetto scodinzolando a più non posso, ero veramente felice, provai una infinita gioia nel sentirmi accarezzare.
Mangiai con avidità e, con il mio abbaiare dissi tutto ciò che il mio cuore mi dettava. Volevo dirle grazie per essersi ricordata di me, grazie e poi ancora grazie per le sue tenere carezze, grazie per il suo sguardo pieno di amore, grazie per la sua presenza.
La gioia, purtroppo, durò poco; l'amara realtà piombò sulla mia vita di "cane randagio". La Signora, dopo avermi riempito le ciotole di tante cose buone da rosicchiare, si allontanò con gli occhi umidi di pianto.
Ero solo, ancora solo nell'immenso vuoto di una prigione piena di triste storie.
Era un continuo vociare, richieste di aiuto, lamenti di ogni sorta. In quella folla tutti insieme raccontavano la loro storia, i rimpianti e i ricordi di carezze perdute. Era un linguaggio chiaro, nitido e sicuramente incomprensibile per chi di cuore ne ha uno che batte solo per i piaceri della vita.
Accovacciato e in silenzio ricordavo la mia mamma, rivedevo i suoi grandi occhi pieni di tenerezza e di amore, la sua aggressività nel difenderci da chi ci molestava. Ricordavo, pure, i suoi sacrifici per procurarci da mangiare. Rivedevo i miei fratellini che,ancora piccoli innocenti pagarono con la vita un debito non loro; vittime della violenza di ragazzi privi di cuore, di sensibilità e di rispetto per il mondo.
Avevo voglia di piangere, di pregare, di gridare all'umanità di smetterla di perseguitarci ma di lasciarci vivere tranquilli. DIO ha sistemato anche noi -randagi- su questo "palcoscenico", anche noi siamo miseri "debuttanti" nel teatro della vita.
La mia cuccia non era molto grande, mi permetteva ,appena,di fare qualche passo in lungo e in largo; così potevo muovere piano, piano le mie zampe ancora indolenzite dalla botta ricevuta. Le zampe guarirono, ma non guarì il mio cuore dalla solitudine.
Le visite della Signora divennero sempre più rare. Quando veniva al canile Ella piangeva,mi accarezzava, mi stringeva a se e mi raccontava della sua vita. Era triste per la mia sorte , non aveva la possibilità di tenermi con sé e di ciò ne soffriva tanto.
Il canile era un luogo dove le guardie cinofile portavano tutti i randagi come me, vi era un custode che puliva e, una volta al giorno ci dava da mangiare. Io avevo sempre fame perché il cibo non era sufficiente.
Un giorno aspettai invano, l'ometto piccolo e barbuto non si fece vedere, non pulì più le cucce, non ci diede più da mangiare e neanche da bere. Passò qualche giorno, l'abbaiare si affievoliva man mano che trascorrevano le ore. I più piccoli non riuscirono a sopravvivere, per noi adulti l'agonia durò più a lungo.
Ma cosa aveva provocato quel mutamento? Ben presto lo capii. Vennero delle persone che aprirono i cancelli delle nostre cucce per lasciarci liberi; una libertà che era simile ad una condanna a morte.
Il custode, non più pagato, aveva abbandonato il suo posto di lavoro.
Si ritornava sulla strada, un habitat ormai sconosciuto, pieno di insidie e pericoli e, dove nessuno si sarebbe preoccupato di noi.
Intorno al rifugio vi era un boschetto; pini e alberi di alto fusto oscuravano il cielo, vi era pure un ruscello dove scorreva acqua sporca.
Senza forza e senza più voglia di abbaiare, ha avuto inizio il nostro vagare senza meta.
Diana, la mia compagna preferita non volle seguirmi, si accovacciò sulla sponda del ruscello e, con lo sguardo sperduto nel vuoto mi disse:" Addio mio caro amico, questo è l'epilogo della mia storia. Porterò con me il ricordo della nostra amicizia."
Sembrava addormentata ma, in realtà, era passata ad una vita più serena.
Sentivo il mondo crollarmi addosso. I pensieri si sovrapponevano gli uni sugli altri nella mia mente, ormai offuscata più che per la fame e la sete, dal dolore della solitudine.
Anch'Io, dopo qualche giorno di angoscioso vagare, mi accovacciai sotto un albero, chiusi gli occhi e mi addormentai. Rividi la mia dolce mamma e i miei fratellini e, tutti insieme andammo verso l'infinito uniti per sempre.
Cara bimba, se hai un Cucciolo non abbandonarlo mai.
Difendilo dalla crudeltà dei grandi e dalla cattiveria di ragazzi senza cuore: Cresci insieme a lui e darai esempio di vera Civiltà.

                                                                                               DIC il randagio

Il diario di un cane
Ciao, mi presento, sono un cane ho quattro zampe, una coda e il corpo coperto da un folto e morbido pelo color miele.
Per comunicare abbaio o scodinzolo, i miei amici lo sanno e mi comprendono. Abito in una tranquilla villetta di periferia tra pini e alte querce; il mio compito è quello di non fare entrare estranei in casa.
Oggi ho tanta voglia di comunicare.......così ho pensato di raccontare un periodo triste della mia vita. Non voglio rattristarvi ma, farvi saper cosa mai può capitare ad un povero cane.
" Avevo tanto spazio per scorazzare, correre e giocare; la ciotola sempre piena e soprattutto la carezza della mia piccola Chiaretta. La bimba più buona e bella del mondo. Con Chiara giocavo spesso a nascondino o a rincorrerci e, quando lei si assentava io mi sentivo un po' triste. Spesso dormivo sul divano del soggiorno .......vita da cane? No di certo, ero considerato il piccoletto di famiglia.
Una sera......si avvicinava il crepuscolo e,come di consueto aspettavo la mia razione di crocchette. In casa vi era un via vai di gente che non vi dico...nessuno pensava a me.......ma,ad un certo punto il giardiniere, senza dire una parola,mi mise in macchina.
Una passeggiata.....pensai...... ma dopo un lungo percorso arrivammo in aperta campagna, poche case e tanti alberi. La macchina si fermò e il giardiniere mi fece scendere ........
Non ebbi il tempo di rendermi conto dell'avvenimento che la macchina ripartì a tutta velocità.......mi guardai intorno e aspettai......un amico mi fece compagnia.
Il tempo trascorreva veloce ......passò la notte e venne il giorno dopo, eravamo ancora accovacciati sotto un grande albero quando degli uomini, a me sconosciuti, ci presero e ci caricarono su una "curiosa" macchina ......Non mi rendevo conto di cosa stesse succedendo......un'altra passeggiata? Oppure mi riportavano dalla mia padroncina...speravo...invece... mi ritrovai chiuso in una grande gabbia.
Il mio amico si lamentava, cercava i suoi padroni e la sua casa......io mi chiedevo: la mia padroncina mi voleva un mondo di bene...e....allora? perché mi trovo in questo triste luogo?
Altri cani erano rinchiusi nelle celle accanto alla mia ed ognuno raccontava la propria storia. Era un linguaggio sottovalutato, scoordinato e nostalgico.
Nelle ciotole c'era poca roba da mangiare, anche l'acqua era insufficiente. Mi abituai a digiunare...Stavo sempre a pensare il motivo per cui i miei padroncini avevano deciso di liberarsi della mia presenza....non riuscivo a darmi una risposta. Guardavo e aspettavo, osservavo il sorgere e il tramontare del sole e...ogni giorno che passava sentivo il cuore più sofferente....non riuscivo a rassegnarmi.
Un giorno il sole divenne più splendente, la luce della speranza arrivò nel mio recinto.
Chiaretta con la sua mamma erano proprio vicino a me.......non vi dico come i battiti del mio cuoricino impazzirono all'improvviso.
Non credevo ai miei occhi, erano proprio loro che con il solito sorriso sulle labbra mi accarezzarono e........Sono a casa mia , finalmente!! Il mio amico? Si, è stato liberato anche lui dai suoi padroni.""
Se cercate il vostro cane e........non lo trovate in nessun posto?
Andate al "canile comunale" è lì che vi aspetta...

Il laghetto incantato
Nella radura erbosa di un misterioso bosco si estende, simile ad una soffice nuvola,un laghetto......limpide le sue acque,tranquilli i suoi abitanti.
.......Si racconta che......chi naviga il laghetto trova l'amore......
"C'era una volta .......una bella famiglia di cigni che aveva l'abitudine di passeggiare lungo il laghetto incantato.
Scendeva la notte, i piccoli seguivano la loro mamma mentre il più grande si soffermava a contemplare il luccichio delle acque sotto i riflessi argentati della luna. Era uno spettacolo da favola; mentre il gracidare delle rane faceva da sfondo a tanta bellezza, il bel cigno sognava .......
....E nei suoi sogni c'era lei, la fantastica, la magnifica e superba aquila che da qualche tempo sorvolava il laghetto.
L'amore era nato nei loro cuori e,nell'incanto della natura, diventava sempre più profondo. Sicuramente non avevano la possibilità di dichiararsi ma entrambi sapevano che, il sentimento nato dai loro sguardi,era vero amore.
Una sera, il sole stava per nascondersi dietro i monti,qualche raggio sfuggito ai suoi fratelli guidò l'aquila nella discesa quasi a sfiorare le acque del laghetto, il tentativo non riuscì così che l'aquila sconsolata confidò alla luna il suo segreto.
La luna,maliziosa e amica degli innamorati,mutò l'aquila in una graziosa sirena.....
Un incontro romantico, fatto di sguardi e moine. Il bel cigno dichiarò il suo grande amore, la sirena felice accettò di essere corteggiata.
Durante una delle solite passeggiate lungo il laghetto incantato fecero uno strano incontro, la maga "invidia".
La felicità dei due innamorati non veniva accettata così, la maga invidia approfittando delle sue facoltà magiche, trasformò la sirena in una oca acquatica.
Il cigno, deluso e sconsolato, non capì il tradimento e lasciò che il destino facesse il suo corso; andò per la sua strada portandosi nel cuore la sua bella sirena.
Non riuscì a rassegnarsi, si chiuse nel suo immenso dolore tanto che di lì a poco tempo si ammalò di crepacuore.
Anche l'oca cioè l'aquila trasformata in sirena dalla luna, non si rendeva conto di quell'orribile cambiamento, specchiandosi nell'acqua del laghetto aveva capito il motivo per cui il suo bel cigno l'avesse abbandonato. Era diventata un piccolo animale quasi insignificante, aveva perso non solo la sua bellezza ma soprattutto il suo superbo aspetto fisico però, non aveva perso l'amore. Essa aveva saputo della malattia del cigno e, ciò la faceva soffrire tanto.
Il suo dolore era così forte che commosse tutti gli abitanti del lago, questi riunitosi in consulto, deliberarono il da farsi.
Richiamarono, maga invidia ai suoi doveri verso i più deboli, verso coloro che non potevano difendersi. Tutti insieme riuscirono a privarla dei suoi poteri magici.
Maga invidia capì che l'amore non si può lottare esso è più potente di qualsiasi magia.
L'oca si trasformò in sirena e ..........amò il suo bel cigno.....e non solo.... la magia dell'amore diede loro sembianze umane.........""

Veronica e il suo cucciolo
C'era una volta una bimbetta, vispa e allegra. I riccioli biondi le scendevano, elettrizzati, sulle spalle; gli occhi, con i colori del momento, luccicavano come stelle in un cielo sereno e ridevano ancor prima che lo facesse la sua boccuccia color porpora.
Aveva sei anni, viveva con i suoi genitori e il suo fratellino in una tranquilla villetta di campagna. La casetta non era molto grande, vi era però, un immenso giardino con alberi di alto fusto, aiuole con fiori dai mille colori e un prato morbido e folto simile ad un tappeto verde.
Veronica era come lo scoiattolo, irrequieta e in continuo movimento. Correva per il prato e spesso riusciva ad arrampicarsi sopra gli alberi dove si accucciava nel ramo più comodo. Era quello il posto più adatto per volare sopra la nuvola dei sogni e vivere le favole più belle. " Castelli dorati, fontane con il nettare della felicità, giardini fioriti e tanti bimbi in gioiosa allegria. C'era il lupo che stava in compagnia dell'asinello, il cucciolo di cane con il gatto, la giraffa con la lumaca e la formichina, tutti insieme nel grande parco a godersi il bel sole della stagione primaverile.
La bimbetta scendeva dalle nuvole per accarezzare il leone o la tigre poi, correva verso la fontanella più vicina per assaporare un sorso di felicità, quindi, si univa ai bimbi per giocare con loro a "mosca cieca" o a "nascondino".""
Il suo sogno, però, veniva interrotto da un improvviso rumore, oppure dalla voce della sua mamma che la riportava alla realtà.
Veronica trascorreva le giornate tra la scuola e il suo grande rifugio: il giardino.
La mamma temeva che tanta vivacità potesse recarle danno, di conseguenza la teneva sempre sotto controllo. Il suo papà le voleva un mondo di bene le portava, spesso, dei regali in particolare dei peluche di animali che, la piccola, teneva nella sua stanzetta e che baciava prima di andare a letto. Si addormentava tenendo stretto lo scoiattolo o il gattino bianco.
Durante la notte, nei suoi sogni si trasferiva nel fitto bosco; qui incontrava la sua amica tigre la quale l'accompagnava fra i giganteschi pini e le alte querce per farle conoscere gli abitanti del luogo.
" C'era il leone con la leonessa e i loro cuccioli, c'era la famiglia dell'orso che se ne stava tranquilla vicino il ruscello, mentre il picchio non lasciava in pace la volpe. Intanto il cinguettio degli uccelli intonava, nell'aria, una dolce melodia.""
Il sogno svaniva allo spuntar del sole, quando la sveglia suonava l'ora della realtà. Dopo aver fatto colazione, la piccola, si recava a scuola accompagnata dalla mamma.
A scuola Veronica era educata, ubbidiente e attenta, seguiva con diligenza ed interesse tutte le lezioni della maestra. Spiccava per volontà e intelligenza, imparava subito ogni argomento di studio. Era amata da tutti, la mamma la coccolava, il papà, a dir poco l'adorava e poi c'era il suo grande fratellino: Chicco.
Chicco aveva solo un paio di anni in più ma, era più riservato, non andava spesso in giardino, preferiva stare nella sua cameretta a studiare o a leggere fumetti.
Veronica, spesso, si ritrovava sola con i suoi sogni.
Il suo papà rientrava dall'ufficio molto tardi, stanco e nervoso per tutte le contrarietà incontrate sul lavoro, appena possibile si metteva sul divano del soggiorno per rilassarsi un po'. Ma il grande terremoto, che era Veronica, non lo lasciava in pace e, tira e molla, alla fine, papà Seby giocava felice con la sua bambina.
Capitava, qualche volta, che lo sguardo della piccola si perdesse nel vuoto per diventare malinconico e incantato. Era, sicuramente, insoddisfatta.
Il giardino, durante le giornate fredde e piovose della stagione invernale, non poteva ospitarla, quindi, doveva stare in casa.
Ritornava dalla scuola allegra dopo aver trascorso tutte le ore mattutine con i compagnetti della classe ma, le ore pomeridiane diventavano lunghe e noiose.
Era costretta a giocare da sola finché arrivava papà Seby.
La mamma era sempre occupata a rigovernare la casa, a cucinare oppure a recarsi in città per comprare tutto quello che serviva ala famiglia; tutto il suo tempo libero ,però, lo dedicava ai figli.
Amava i suoi bambini e, facilmente leggeva nei loro occhi tutto quello che non dicevano. Un giorno confidò al marito un suo dubbio e cioè che i loro ragazzi non erano contenti; sentiva che in casa non si respirasse aria di vera gioia.
La piccola Veronica, spesso era triste, non sapeva dirlo ma la sua mamma lo aveva capito.
Era il mese di Dicembre, periodo di festa per l'approssimarsi del S. Natale. Nel grande salone di casa si addobbò l'albero con luci e palline colorate; si preparò il presepe con i pastori, le montagne con la neve e a valle i piccoli ruscelli. I doni li doveva portare babbo Natale. Papà Seby, studiò il modo di dare una impronta di originalità a quella festa. Lo scopo era quello di vedere felici i bambini.
La notte del 24 Dicembre, quando tutta la famiglia era riunita per festeggiare la nascita del Bambino Gesù, egli si presentò vestito da babbo natale e portava una grande cesta. I ragazzi, in un primo momento rimasero senza fiato ma, ripresero coraggio quando la mamma si avvicinò a quel "finto" babbo natale per salutarlo e dargli il ben venuto.
Nella cesta c'era qualcuno che voleva venire fuori. Era un cucciolo di cane, un cockerino con un morbido pelo biondo e il musetto nero.
La gioia della bimbetta era davvero emozionante. Ella rideva e saltellava, batteva le manine facendo mille giri attorno all'albero, poi, preso in braccio il cucciolo non volle più lasciarlo. Papà Seby era davvero contento, aveva raggiunto lo scopo.
Chiamarono "Lilli" quel cucciolo d'oro il quale, incuriosito, si guardava intorno con grande stupore. Lilli si rivelò una cagnetta giocherellona e molto affettuosa, da quel giorno divenne un componente della famiglia e una compagna inseparabile per la piccola Veronica.
Le giornate trascorrevano ricche di avvenimenti. La sera, quando la famiglia si riuniva per la cena, la piccola raccontava ogni episodio, con gioiosa euforia, ai genitori.
Tutto accadde un pomeriggio di fine inverno. Il cielo era coperto di nuvole nere che si addensavano le une sulle altre provocando tuoni e saette; il vento ululava come lupi in rivolta, mentre gli alberi si piegavano verso il suolo, la pioggia cadeva a catenelle.
Era un temporale da far paura.
Papà Seby non era ancora rientrato, la piccola famiglia se ne stava raccolta vicino al caminetto.
Anche Lilli era spaventata, non abbaiava, rimaneva accucciata vicino a Veronica come per difenderla da qualcosa o da qualcuno. All'improvviso una luce abbagliante, seguita da un boato, fece sobbalzare tutti. Veronica si strinse alla sua mamma e al suo fratellino, mentre Lilli cominciò a correre verso la porta d'ingesso che, nel frattempo, si era aperta.
Il tempo si era fermato nel terrore ma, nel salone, le lancette dell'orologio a pendolo scorrevano ugualmente. Un rintocco avvisò che, finalmente, il temporale si era calmato. Un silenzio anomalo regnava tutto intorno, una coltre di tristezza avvolgeva il panorama. Un fulmine aveva colpito l'albero di ulivo più vicino alla casa e lo aveva, in parte, bruciato. Nell'aria era rimasto l'odore della pioggia,buona parte del prato era coperto d'acqua.
La piccola Veronica notò l'assenza del cucciolo, Lilli non era più con loro.
Preoccupata, la bimba, lasciò la mano della sua mamma per correre verso la campagna in cerca della sua piccola amica.
Scendeva la sera con le sue ombre nere, l'aria emanava un odore acre di erba bruciata. La mamma di Veronica non era per niente tranquilla; aspettava con ansia il rientro del marito e, nel contempo cercava di riunire i suoi bambini. La piccola non rispondeva ai richiami mentre Chicco le stava vicino.
Un suono debole, simile ad un grido di aiuto veniva dal vicino ruscello, però, non si scorgeva nulla.
Il manto nero della notte stava per coprire ogni cosa. Papà Seby non arrivava, la piccola si era persa fra le ombre della campagna e il cucciolo non dava segno della sua presenza.
La situazione non era, in quelle circostanze, rassicurante; e poi quel grido di aiuto che si percepiva appena, da dove veniva? Forse dal vicino ruscello? Non si capiva bene. La mamma di Veronica cominciò a tremare, il suo cuore batteva con violenza, quasi a venir fuori dal suo petto. Un coraggio inaspettato illuminò la sua mente dando forza e chiarezza ad ogni sua azione. Ella prese per mano Chicco, non voleva rischiare di perdere di vista anche il suo bambino, quindi, tenendolo a se vicino, s'incamminò verso il ruscello seguendo quel suono simile ad un lamento.
La strada di campagna era piena d'insidie, pozzanghere e rami spezzati si trovavano lungo il percorso fangoso. Chicco non piangeva, si lamentava per quella strana situazione e, per dare coraggio alla sua mamma,cercava di chiamare ad alta voce la sorellina.
Il silenzio era opprimente e, quel lamento riempiva l'animo d'angoscia. Soltando il coraggio di una mamma può superare ogni ostacolo; "gli occhi dell'amore illuminano il cuore che guida, sempre, verso la giusta meta."
In un fossato, per fortuna non molto profondo, giaceva la piccola Veronica. Aveva una caviglia fratturata, non si poteva muovere, si lamentava appena. Lilli le era accanto, le leccava le manine come per alleviarle il dolore.
La mamma disperata stava perdendo del tempo prezioso, il buio non le dava la possibilità di localizzare il punto esatto dove stava la sua bambina.
La soluzione fu presto data dalla cagnetta che, appena percepita la presenza di persone amiche, cominciò ad abbaiare in modo insistente e continuo.
La scena che si presentò fu terribile ma, la mamma non perse il suo coraggio; prese in braccio la sua bambina e la condusse a casa. Nel frattempo era rincasato il babbo; Veronica fu portata in ospedale per le cure del caso.
Con la gamba ingessata, la piccola, attese la guarigione accarezzando la zampa della sua dolce e cara amica Lilli,che teneva affettuosamente sul cuore.

" Proteggi il tuo cucciolo, non abbandonarlo mai; darai, così, esempio di civiltà e, riceverai in cambio profonda riconoscenza."

Il cockerino abbandonato
Era piccolo come un gatto, anzi come un topino. Il pelo aggrovigliato, dai colori di un biondo chiaro misto al bruno scuro, avvolgeva un corpicino sofferente. Il musetto nero, gli occhi verdi con lo sguardo sperduto nel vuoto, somigliava proprio ad un bimbo triste in cerca della sua mamma. Un cucciolo di cane, un cockerino che si aggirava per i sentieri solitari dove di case sparse se ne potevano contare, davvero, poche. Alberi spogli, erba incolta e sassi in quantità, popolavano quella zona. Un rione di periferia non molto distante dai paesi di montagna. Andava lento e barcollante, senza una meta, stanco e incerto era il suo passo. Di tanto in tanto si accucciava, arrotolandosi su se stesso,dove l'erba era più morbida. Era buono, docile, era denutrito e disidratato, non abbaiava e non si curava delle poche persone che passavano da quelle parti. Sembrava dire al proprio destino: "Ecco sono qua, ormai è la fine!."…..E lo sguardo andava lontano, oltre il pensiero per perdersi nel passato. Ad una lucertolina, sbucata all'improvviso da sotto un sasso,
egli racconta la sua storia.: "Sono nato in un paese molto lontano, al di la del mare. Assieme ai miei fratellini fui allevato con tenero affetto. Un parco immenso ci ospitava, qui potevamo correre e giocare sopra un prato simile ad un morbido tappeto verde. C'era della brava gente che ci accudiva e ci voleva tanto bene. In particolare ricordo una bimbetta, la quale era solita trascorrere il suo tempo libero a giocare con noi. Si chiamava Simona, la sua voce era una dolce musica che ti trasportava sulle ali della felicità; la sua carezza e i suoi modi, tanto garbati, ti facevano sentire un bimbo cullato tra le braccia della sua mamma. Con Simona le giornate passavano in fretta e mai uguali. Ella era davvero imprevedibile, non faceva mai lo stesso gioco. In sua compagnia scrutavamo ogni angolo del parco, attraversavamo, spesso, il ruscello la'dove ci si dissetava e ci si riposava dopo le lunghe passeggiate. Così come il profumo della rosa svanisce col passar del tempo, anche quel periodo felice della mia infanzia, svanì ben presto. Non mi ero accorto di nulla, neanche delle mie zampe che erano diventate più lunghe. Ero più grande ma, in verità, non molto alto. Ero sempre un "soldo di cacio", così si dice di chi rimane piccolo pur essendo grande. "Fui strappato con violenza a quel tenore di vita tranquilla e, perché no, anche felice. Chiuso in una gabbia di ferro, paragonabile ad una misera prigione, fui condotto in un grande locale, buio e sporco, una luce fioca entrava dagli oblò, specie di finestre rotonde; vi erano altri ospiti, cosiddetti compagni di viaggio. Si, si trattava proprio di affrontare un viaggio, purtroppo molto lungo e faticoso. "Un locale con tanti scomparti era quello che ci ospitava. C'erano cavalli,cani di ogni razza, piccola e grossa taglia; gatti dai colori e dalle forme strane; coniglietti, pappagalli variopinti e tanti uccelli. Ognuno occupava un recinto e tutti, con il proprio linguaggio, esprimevano uno stato di sofferenza. Era, davvero,una musica scoordinata quella che si irradiava nel grande locale; erano suoni che ti facevano stare male. Un rumore strano, improvviso, ci feci sobbalzare. Era un motore che si metteva in azione. La nave salpava avviandosi verso una meta a me sconosciuta. "Dagli oblò potevo osservare il colore del mare e le sue onde spumeggianti. Osservavo, con nostalgico piacere, il tramontare del sole. Era una visione stupenda, magica. Una grande palla rossa che, a poco a poco, si nascondeva all'orizzonte, dove l'azzurro del mare diventava sempre più rosso scuro. Una girandola, dai mille colori misti all'azzurro del cielo, con delle nuvole bianche orlate di grigio, faceva da contorno a quella visione. Poi, il cielo stellato si univa alle onde del mare; scendeva la notte. Ma, un'altra visione, ancora più toccante, era quella che si presentava al sorgere del sole. "Mentre il tramonto di dà la sensazione di una dolce malinconia,il sorgere del sole ti fa conoscere la gioia della vita;" nascevano in te tante speranze, tanti sogni che ti cullavano con dolcezza. Nell'osservare tanta bellezza, dimenticavo i miei fratellini, il verde parco e Simonetta, la mia amica, colei che amavo più di tutti e di tutto, colei che mi aveva dato quello che ogni cucciolo, senza mamma, ha bisogno, cioè carezze e tanto amore. Il suo ricordo, però, ritornava durante le notti di bufera, le mareggiate che mi facevano stare male. Invocando il suo nome,sembrava che il mondo tutto si fermasse. Era il mio "porta fortuna." La nave si allontanava, sempre più, dalla mia terra ma, i mie pensieri rimanevano nel passato, non riuscivo a penetrare in quel futuro tutto misteri e ombre nere. Non ricordo quanti tramonti potei contare durante il viaggio, finalmente la nave approdò in "terra straniera"."Il cockerino parlava,parlava senza mai fermarsi e, non si era accorto che, nel frattempo, la lucertolina si era addormentata.
Quel piccolo animale aveva ascoltato con attenzione ed interesse quella storia però, il nostalgico racconto era stato una dolce nenia che, le fece venire sonno.
A questo punto anche il cagnolino,stanco e stremato,si addormentò coprendo, con il suo corpo, la lucertolina. Insieme volarono sopra la stella più lucente e andarono verso l'infinito, là nel mondo dei sogni. "Sognarono prati verdi e sentieri alberati, giardini fioriti, cieli azzurri e nuvole bianche; ruscelli con acqua limpida in un letto ciottoloso. Tutta la natura era in festa, le rose s'inchinavano al loro passaggio mentre l'edera formava un morbido tappeto e, le stelle illuminavano il percorso. Una pioggia di petali colorati ornava il tutto. A passo lento si avviavano verso il castello della felicità. Qui gli gnomi avevano organizzato, in loro onore, una magnifica festa. Tutti gli animali, abitanti del bosco, erano stati invitati al ricco banchetto. Si assaporavano le prelibate vivande, si ballava, si cantava ma soprattutto si sognava." Era un sogno nel sogno……e, da quel luogo, dove la vita non ha fine, il cockerino volle continuare il suo racconto. Assieme alla lucertola si era fermata, anche,una formichina che, attratta da quel racconto, ascoltò con grande curiosità. "La nave approdò, fui condotto in una grande villa e lasciato libero a giocare con i nuovi padroncini: Cristina e Seby. La nuova dimora non era delle migliori ma, vi era tanto spazio per scorazzare liberamente. Cristina era una bimbetta dolce,garbata, molto affettuosa mentre Seby, più piccolo della sorellina, era, davvero, un terremoto di bimbo. E, se la sua tata lo lasciava un momento solo, ne combinava di tutti i colori. Spesso doveva ricorrere alle cure mediche; cadeva dagli alberi oppure si graffiava tra i roseti del giardino, dove era solito nascondersi . Io ero la sua vittima preferita, a dir poco mi tormentava, mi tirava la coda o mi dava calci. La sorellina cercava, in tutti i modi, di farlo riflettere sul male che mi procurava. Io a solo vederlo fuggivo. Non nascondo che preferivo giocare con Cristina, Ella mi ricordava Simona , la mia Sissi. Avevo dimenticato le sofferenze e le peripezie del lungo viaggio ma non avevo, sicuramente, scordato la mia cara amica Sissi.
Un triste giorno accadde che, in famiglia,qualcosa aveva sconvolto la serenità e la vita tranquilla. La morte, la "dama nera" era entrata in casa portando via, per sempre, il papà di Cristina e di Seby . Un lutto straziante, anche perché papà Francesco era ancora molto giovane.
Per qualche giorno, in casa, regnò una grande confusione; gente che andava e veniva poi…….tutto cadde in un odioso silenzio. L'ombra della tristezza se ne stava appollaiata senza pietà alcuna. Dopo un breve periodo, la famiglia tutta, si trasferì ed io fui lasciato solo a vagare per il grande parco. Il tempo era inesorabile, i giorni si susseguivano l'uno dopo l'altro finché avvenne l'irreparabile…Il giardiniere, uomo senza scrupoli , con il cuore arido e vuoto , senza pensarci più di tanto, mi caricò nel porta-bagagli della sua vecchia auto e mi abbandonò al mio triste destino. Adesso sono felice perché ho trovato, finalmente, la strada dei sogni."" " Caro bimbo, guarda negli occhi il tuo cucciolo, in essi leggerai tutto quello che egli non dice. Sii fedele, dà un po' di cuore e in cambio riceverai tanto amore.""
Il cockerino

Bambi e il coniglietto
C'era una volta......un coniglietto sognatore......
Solo soletto andava per i sentieri del bosco. Un giorno era più triste del solito e, durante la solita passeggiata mattutina, fece un magico incontro, gli si presentò davanti la splendida famiglia di Bambi.
Mamma bambi con i suoi cuccioli se ne stava tranquilla e beata fra rami e rametti nella folta vegetazione, la scena era di una dolcezza indescrivibile. La mamma si godeva il tiepido sole mentre i piccoli si rincorrevano, saltellavano e giocavano a perder fiato. Tutto intorno era un misterioso silenzio che accarezzava il vociare dei piccoli bambi e il canto degli uccelli che si perdeva tra le cime degli alberi secolari era una gioiosa festa.
Il cuoricino del coniglietto che, vagava nel mondo dei sogni, si arrestò per un attimo per poi ricominciare a battere senza sosta, quella scena lo aveva proprio colpito nel più profondo dei suoi sentimenti.
Il grande sogno del coniglietto era quello di fare amicizia. Stette ad osservare la bella e allegra famiglia, in cuor suo desiderava diventare loro amico e giocare con i piccoli. Non sapendo come meglio comportarsi, per prima cosa tentò l'approccio offrendo dei fiori a mamma bambi poi, per attirare l'attenzione dei piccoli, si mise a giocare con le palle. Faceva il giocoliere, ed era così bravo che i piccoli lo guardavano con ammirata curiosità.
Mentre mamma bambi osservava l'intruso coniglietto, cercando di capire le vere intenzioni, i piccoli lo avvicinarono. Non vi dico la felicità del piccolo coniglio, egli si ricordava che la sua mamma gli aveva sempre detto:"l'amicizia si guadagna con altruismo e lealtà" Quel detto era una vera lezione di vita, infatti egli si privò delle palle per farne dono ai piccoli bambi. Questi, contenti e felici, lo invitarono a giocare con loro.
Mamma bambi che, non aveva smesso di studiare attentamente ogni mossa del piccolo intruso, gli si avvicinò e lo invitò a lasciar perdere i suoi piccoli, era un estraneo, quindi, non poteva giocare con loro.
Il coniglietto mogio, mogio si allontanò con tanta tristezza in cuore. Avrebbe voluto dire che il suo intento era quello di stare un po' in compagnia, avrebbe voluto dire che era rimasto solo da quando aveva perso la sua mamma e i suoi fratellini, avrebbe voluto dire che in così tanta solitudine si stava proprio male , avrebbe voluto dire che sognava un po' di sincera amicizia.
Non disse niente e, da educato coniglietto, si ritirò dietro un grosso tronco di albero dove diede sfogo alla sua malinconia.
Le lagrime scendevano giù, così tante che bagnarono il sentiero e, ben presto,si formò un piccolo laghetto.
A quella scena, mamma bambi, capì che il cuore del coniglietto era veramente sincero e leale; essa se ne vergognò. Chiamò a se i piccoli e disse loro di accogliere, nei loro giochi, il coniglietto.
Spiegò, poi che, prima di dare amicizia ad un estraneo bisogna sempre conoscerlo bene.
E.....adesso che la storia è finita non mi resta che lodare : mamma bambi per la sua scrupolosa vigilanza verso i figli; i piccoli perché ubbidienti, ed il caro coniglietto per la sua sensibilità e la buona educazione.
Chi trova un amico trova un tesoro

Nel sole del tramonto
Ero triste quella sera, me ne stavo accucciata su uno degli scogli che facevano da recinto ad un tratto di mare esteso verso l'orizzonte. Il mio sguardo si allontanava, sempre più, per perdersi nel nulla dell'infinito; una danza di luci, mista ai colori del tramonto, avvolgeva di mistero tutto il firmamento. I miei pensieri, penetrarono, per un istante, fra le nuvole smerlate, arrivarono nel cuore dei colori che sbiadivano e si perdevano nella magia della vita, lì, cercarono il sole.
Una grande palla rossa che andava a nascondersi nel mare più profondo.
Con la forza dei miei desideri entrai in quel mistero di luci e ombre nere. Entrai nel sole che tramonta.....
Ebbe, così, inizio un percorso fantastico, travolgente che cambiò, sicuramente, il mio modo di "essere"; stavo per vivere un' affascinante favola.
Un tunnel di splendide luci si presentò nel mio percorso, lo attraversai per tutta la sua lunghezza fino ad arrivare nel mare blu. Sostai e guardai tutto intorno. Non avevo paura. Un'onda di pace avvolgeva i miei pensieri. All'improvviso, sorvolando il grande mare blu, con l'aiuto di una "presenza" sconosciuta e per mezzo di morbide ali, arrivai nella città dei sogni.
Castelli dorati, giardini fioriti, immense distese di prato verde,popolavano la città.
Una dolce melodia s'irradiava nell'atmosfera, una luce sublime illuminava i grandi viali e un delicato profumo di rose si respirava in ogni dove. Rimasi ferma, intrigata e ammaliata da tanta bellezza. Con lo sguardo cercavo e speravo d'incontrare un viso conosciuto, niente...solo la forza dei miei pensieri guidava il mio sguardo nell'esplorare quel magico luogo.
Una voce, un dolce suono simile ad un canto d'usignolo arrivò al mio cuore, si fermò per un attimo e poi....mi prese fino ad arrivare al cervello.
Era la voce di mia madre che mi chiamava.
Era quella voce che si spense quando io ero ancora molto piccola ma, che rimase nelle mie orecchie e nella mia anima per tutta la vita.
Era quella voce che ho sempre custodito ; che mi ha sempre guidato nel percorso turbolento della mia esistenza.
Era quella voce che ho sempre desiderato di risentire anche per solo un attimo di secondo.
Nella magia di nuvole spumeggianti con i colori dell'arcobaleno, la vide, era Lei, bella come la ricordavo, con quel sorriso un po' amaro sulle labbra e lo sguardo avvolgente, incontaminato, semplice, che parlava nel silenzio. Il suono della sua voce veniva fuori da quello sguardo magnetico. Ella, senza parlare, mi prese per mano, mi strinse al suo petto e mi raccontò tutta una storia....:
"Cara la mia piccola, devi sapere che, andare via e lasciare i miei sei pargoletti senza la mia carezza, il mio sorriso, le mie attenzioni, non è stato davvero facile. Il "Supremo Volere" aveva già deciso ed io ho dovuto ubbidire però, ho sempre vigilato su di voi e la mia presenza nella vostra crescita è stata assidua e attenta.
"Durante gli ultimi giorni della mia vita sulla terra, ho cercato, con quante forze avessi in corpo,di rimanere con voi, starvi vicino per gioire giorno dopo giorno nel vedervi diventare grandi. Il mio volere è cambiato nel momento in cui ho vissuto, durante il mio stato di "coma biologico", tutta la storia del percorso di vita che avremmo fatto insieme.
" La mia vita sarebbe stata un travaglio continuo di dolori, amarezze e delusioni e, alla fine sarei morta di crepacuore e, sicuramente, non sarei stata assegnata in questi luoghi celestiali ma in altri che, non voglio pensare.
Durante il mio sonno di coma profondo ho vissuto lo sfascio della mia famiglia.
" Sola, senza un padre per i miei piccoli, cercavo di far fronte alla vita che diventava sempre più pesante e insostenibile. Non avevo un lavoro che potesse dare un giusto sostentamento alla famiglia. Si soffriva la fame e la miseria finché uno alla volta perdevo i miei bambini. I più grandi venivano mandati in collegio mentre i più piccoli affidati a delle famiglie benestanti. I miei pargoletti diventavano grandi ed io non sapevo niente del loro destino.
"Le mie lagrime, il mio dolore, restavano ignorati ; io morivo giorno per giorno mentre il destino faceva il suo corso....."
.Con voce tremante mia madre continuò il racconto....
" Alla fine di quella sofferenza, la voce del "Supremo Volere" mi chiamò e, con tono paterno mi assicurò che , soltando dal mondo della "verità" avrei potuto aiutare i miei bimbi a crescere con un destino più tranquillo e sereno. Il mio sacrificio in cambio del loro avvenire.
Accettai il compromesso:""
Da quel mondo dei sogni e verità, la mia mamma sapeva, sicuramente, tutto ciò che riguardava la famiglia.
La sua voce era sempre più emozionata ma chiara e convincente. Capivo che nella sua sofferenza gioiva, infatti, tutti noi figli siamo cresciuti nell'amore, tutti abbiamo studiato e, imparato i mestieri per continuare la strada della vita. Nei nostri cuori, però, è rimasta la nostalgia della carezza di mamma.
Il suo sacrificio è stato immensurabile e fatto per "amore", per l'amore di quei bimbi che, cresciuti, cercano sempre nei loro sogni, quella figura esile, dolce e carica di bontà, la figura della loro mamma.
Il racconto si concluse con una dolce carezza.
Mia madre, poi, mi guidò per i sentieri della felicità, lungo i quali incontravamo qualche dirupo. Con la sua saggezza mi raccomandava di superarli con rassegnazione e pazienza. Ella diceva: "Per ogni problema trovane la soluzione e vai avanti..."
Nell'attraversare i lunghi viali non mi sfuggivano le incantevoli cascate d'acqua dai colori dell'amore; fiumi con dei letti ciottolosi dove poter ammirare i pesciolini più fantastici e mai visti. Gli orsi bianchi se ne stavano, a coccolare i piccoli, sulla sponda dei ruscelli, la formichina con la tartaruga sul morbido prato a conversare,mentre il ragno tesseva la sua tela. Non mancavano di certo cani e gatti, dalle forme e colori molto strane, questi si rincorrevano, felici e giocherelloni, nei grandi prati verdi; infine, stormi di uccelli si mischiavano ai raggi dorati che accarezzavano la volta celeste.
Notai, con grande incredulità, delle presenze che, non vedevo ma sentivo i loro discorsi. Tutto era alquanto strano ma nel sogno quella favola era vera. Mia madre mi lasciò affidandomi ad una nuvola e...sparì.
Un' onda anomala si sollevò da quel mare tranquillo,...mi colpì, quasi a soffocarmi.
Ritornai nel reale, con i pensieri di questo mondo, ...mi aggrappai allo scoglio e...mi allontanai piano, piano da quel sogno meraviglioso portando con me un bagaglio d'insegnamenti preziosi per affrontare la vita di tutti i giorni.
Il sole era ormai tramontato, io ero riuscita a rientrare nel mondo della realtà. Solo le stelle facevano da cornice ad una scena nostalgica ma pacata e serena....la scena di un bel sogno che si allontana...


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