La cura
Veglierò testarda
su ogni tua lacrima
paurosa
e con la scorta
delle mie riservate parole
rubo verdi
degli oltre infiniti giorni
del tuo vivere in me.
Amor mio, siamo qui a respirare la stessa aria sotterranea che preclude
un cammino tortuoso, sofferente (ma) vittorioso e ricco.
Ti sto baciando negli occhi, in quella tua profonda paura che sto
estorcendo al destino o alla vita, trascinandola via, in un posto
sconosciuto, non senza il suo diritto alla vita, dimensionalmente
vicino, ma dove questa forma d’essenza non è nociva.
Non ci siamo poste il problema a cosa può servire questa esperienza.
Esiste. Fa parte di noi dal momento in cui ce n’è stata fulminea
consapevolezza d’esperienza come la gioia, la sofferenza, la vita, la
morte.
Non riesco a staccarmi dalla tua cellula pensante radicata nella mia
esistenza, quando vorace e silenziosa in-spiri la boccata d’aria che
vittoriosamente anela alla sopravivenza del tuo sgomento.
Neghiamo e sbarriamo con catenacci e lucchetti tali prove fino a quando
bussano metallicamente alla porta dell’ogni giorno come incandescenza
inaspettata, fredda, insormontabile. Tutto si ferma. Tutto procede al
rallentatore. L’attesa diventa un rewind d’un momento futuro non
evaporato dal passato.
Amore mio, ci guardiamo e ci sorridiamo. Con altro aspetto e alt(r)o
senso. Si valuta diversamente l’iniziare da capo ogni gesto, ogni
preoccupazione ed insonnia nelle nostre notti agitate. Ci stanno dando
in pasto all’opportunità di stringerci intorno ad una “risonanza”
“magneticamente” composta da vibranti volontà, amore e rispetto al solo
fine di proteggere un nido (il nostro) ancora giovane e inesperto alla
quotidianità da cui spiare una qualsiasi infinitesima meraviglia
stupefacente.....
Abbiamo la fortuna di credere nella vita. “percepisco” questo di te.,
nell’amore che mi stai insegnando tu.
Tu sei il pilastro della mia tenerezza che nulla e nessuno distrugge:
sei esteso sollievo tratteggiato da bivi colorati a nostra comune
scelta, bianco o nero, ma..... ora le sfumature del grigio sgolano nel
sapore della loro insistenza grazie a dei progetti tra lancette del
tempo che la nostra (e solo la nostra) intimità sta scegliendo di
percorrere; tutto questo “occorrente”, proprio perché s’impone
naturalmente, padroneggia al di là di qualsiasi medicina e cura, ci
attacca all’odore della vita, diventando diversamente abile nella
comprensione della tua interiorità che batte oltre i tuoi verdi, amati
e ammirati dal mio stesso sentirti attaccata per sempre alla vita mia.
Non cerco alcun senso o significato
dietro ogni capello che perdi sulla mia pelle;
elaboro solo la sua storia, che piccola, mi nasconde
dietro la sua polvere sorridente, comoda e accarezzante
mi accalora il suo vento, il suo passato
spezzato nella spezia d’odor respirato
e nel suo esorcismo ingoiato
il perché d’un prossimo viaggio custodito
tra lenzuola sempre sfatte di desideri rumorosi
e urlanti. Nel calcolo d’una matematica filosofia
numeri di soli spessori… e la loro quantità
sta esplodendo nella mia assoluta fede
di naturalismo accettato di personale psichiatria
calcolata insieme dove d’emozione
ci si veste senza parola o spiegazione
ma di solo tatto infreddolito da un calore nascente.
[26 novembre 2009]
Sphaira I
"Inizio le mie frasi con le costanti negazioni che sanno precedere una
sconfitta.
Tutte le volte in cui il mio cervello caotico sa prendersi in mano e
accarezzarsi è una negazione alla ricezione, alla vita stessa.
La capacità di filosofeggiare non mi manca, credo sia insita nel mio corpo
che non ha definizione vera e propria. Non credo nelle parole come anima,
cuore, sentimento, emozione. Non credo ai cuori che battono senza sosta,
per amore o odio.
Tutto ciò perché sono maledettamente egoista come gli uomini, come le
donne. Tra loro non c’è nessuna differenza. Se si guardano allo specchio
s’infrange la cultura che li ha accomunati da secoli: s’increspa quel
rumore rispettoso delle loro differenze. Si autoelimina nei loro sguardi,
si disinnamorano nel loro stesso intendersi.
Gli occhi li uso come spugne spremute dalle acque, ne rimane l’umidità del
loro odore in questo infinito percorso del tempo che non mi appartiene.
Ho accarezzato donne, uomini, li ho toccati, li ho bevuti, ma senza il
trasporto del loro ricordo. In quelle assenze mi son sempre sentito come
una enorme palla liquidamente solida. Andavo a schiaffeggiarmi tra i
riflessi di quello che mi lasciavano. Non è una malattia, la mia. E’ la
consapevolezza d’un vivermi senza aria, senza essere malato.
Non ho gusti. Non li so definire. Non soffro. Non conosco la sofferenza.
Non amo, non odio. Mi bevo crisalide d’un segno nel tempo maledettamente
fuggente e al momento d’un piccolo estro troppo esiguo e ricco mi cospargo
di lentezza e di paura.
Quando poi mi butto tra i vicoli della notte e l’aria si affresca di
nebbia il tempo mi guarda e mi rimprovera che son vivo. Che nonostante la
mia cecità all’apertura già sfumata posso essere sempre catalogato in
asessuato amore: il suo principio è accoglierlo e lasciarlo andare. Per
poi capire che non si è capaci di accettare. Sempre. Comunque."
La colletta alimentare (Riflessione)
Non è la prima volta che vivo la "colletta alimentare": generalmente si
svolge nell'ultima settimana di novembre. Non ho mai concepito
visibilmente quella corrente che spinge i consumatori di beni di prima
necessità (ogni singola persona) a favorire i loro "no comment" nei
confronti di una realtà tastata all'interno del loro, del nostro
territorio. L'Italia. Una parte d'Italia non discussa perchè non fatta
conoscere nelle famose "prime serate" (se non a sprazzi) dei
telegiornali (tale "potere" tende a focalizzare l'attenzione su
tragedie sì, gravi... , ma per favore rendiamoci conto delle
conseguenze: un IO trasversalizzato in un limbo d'assenza verso noi
stessi). Un'Italia viva e vegeta che respira aria di basso protagonismo
non pubblicizzato perchè fuori dal materialismo grazie alla precarietà,
grazie alla scarsa riuscita di emergenza in ambiente lavorativo, grazie
al sistema dei paesi industrializzati (e globalizzati come in una grade
famiglia) dove le persone che si fanno il culo dalla mattina alla sera
sono solo numeri numerati. Scusatemi l'espressione: vige il lavoro
forzato (in quanto c'è mancanza di personale, di conseguenza esiste IL
latitante servizio a causa delle spese che il singolo dipendente
comporta grazie alle tasse volute da chi ci governa).
L'aria che si respirava oggi in supermercato era come una lametta;
nessuno si lamentava di quanto spendeva [cito una frase
comunissima:"son venuta a prender due cose e mi trovo con il carrello
pieno!!! (ed io aggiungo di prodotti a lunga scadenza!!!)]. Ripeto:
oggi nessuno si lamentava. Negli occhi della gente e nel borsellino dei
soldi vedevo solo una coda di arcobaleno che s'inarcava nell'espresso
desiderio di voler a tutti i costi cambiare alla base la primaria
dignità e necessità umana: il cibo. E da illusa (forse) credo nel
miglioramento della coscienza delle persone. VOLERE, e ancora VOLERE un
pianeta, una terra globalizzata dove il mangiare costituisca non un
bene da guadagnarsi, ma un bene di cui predisporre naturalmente senza
le targhe pubblicitarie appioppateci dai media!!!
L'azione benefica di ogni singola persona si traduce nel desiderio del
benessere del prossimo.
Questo dovrebbe essere il primo comandamento UMANO che vale più di
qualsiasi etica imposta...
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Canto e cioccolatini
(Racconto tratto da “Anima tonda”)
Da piccola le piaceva cantare. S’avventurava in
cucina con un cucchiaio di legno che fingeva da microfono, tra l’odore
appetitoso di sugo al pomodoro e spaghetti in ebollizione che emanavano
un profumo del “quasi cotto” in assaggio tra le labbra del papà.
Un mangianastri ripeteva ininterrottamente le stesse canzoni e lei, con
balletti e giri su se stessa seguiva le parole della musica leggera
fino a quando non le aveva assorbite per canticchiarle al di fuori
delle mura domestiche: in giardino, a scuola, sui marciapiedi, tra le
attese di un tempo del diventare grandi.
Spesso accadeva di non saper distinguere le parole. La piccola le
traduceva in una lingua di fantasia, in parole senza peso: inglese,
italiano, francese, tedesco… non importava il non-senso.
Succedeva così anche con le poesie che imparava e recitava a memoria
durante le ore pomeridiane di lingua italiana. Il lunedì ed il venerdì
pomeriggio erano i momenti del “10 agosto”, “I gabbiani”, “A Silvia”,
“quel Valentino vestito di nuovo…”. Tra l’aria di quelle parole
musicali e ritmiche si respiravano solo versi conditi di sensi che
sarebbero fioriti dopo, molto dopo.
Gli spaghetti al sugo erano a tavola. Lei, piccola e boccolosa, di
fronte al papà che le serviva in piatto una porzione da grandi dietro i
suoi sguardi nascosti e divertiti da tanta vivacità della figlia. Poi,
con la scarpetta finale che significava un amorevole grazie, la piccola
imitava la smorfia degli occhi buoni del papà, così, per prenderlo in
giro amorevolmente e lui rideva alzando le spalle.
La piccola avvertiva con la presenza del papà uno spazio dove correva
instancabile verso orizzonti caldi. Si sentiva addosso una libertà
infinita che man mano che cresceva diminuiva, si restringeva in un
angolo nascosto del suo mondo fatato di esistenza fino a che non
avvertiva il risucchio interiore emotivo causata da gioia, da ebrezza,
da euforia pura. Paura, sofferenza e lacrime erano circoscritte solo
nei momenti dei suoi sensi di colpa, quando sapeva di combinare qualche
dispetto andando a frugare tra i dolciumi che sua madre nascondeva
nell’anta più alta della credenza in soggiorno. Sapeva di averla
combinata prima ancora di mangiare le leccornie a cui aspirava, visto
che la sua golosità superava qualsiasi piccola regola del “Non si può.
Ti vengono i buchini ai denti!” Questa frase educativa di certo non la
aiutava. Ne aveva diritto, no? La sfida era un piccolo gioco per lei.
Prendeva la sedia, apriva l’anta della credenza stando attenta a non
far nessunissimo rumore (anche se in casa non c’era nessuno… era la
mezz’ora del cambio turno dei genitori che si affrettavano a tornare a
casa per non lasciarla tanto tempo sola, dato che di baby sitter non se
ne parlava), apriva la scatola di cioccolatini esternandola dal sottile
strato di plastica trasparente che la avvolgeva e con la sua manualità
era attenta a non romperla… poi con gesti teatralmente noncuranti si
riempiva la bocca fino a quando la sua capacità di mantenimento
scoppiava nel turbinoso vocìo mentale:”Adesso ancora uno…” Il
cioccolato ripieno di non si riusciva a capire cosa (forse era
caramello? Crema di nocciola? Chissà!) si scioglieva di gusto tra i
dentini e e le mandibole, gli angoli della boccuccia erano leggermente
disegnate da righe di tradimento cioccolatoso.
Poi, con altrettanta maestrìa, dopo aver sentito le sinfonie del sapore
forte e persistente, chiudeva la scatola dei cioccolatini scocciando lo
strato di plastica trasparente in maniera tale da non essere
ingannevole di fronte al tatto e agli occhi della madre.
Dopo qualche giorno arrivava qualche visita di un connazionale o di
Cornelia, la parrucchiera di casa, una ragazza tedesca che gradiva
sempre un espresso italiano. La madre della piccola andava a prendere
la scatola dei cioccolatini che tradivano ogni volta la fiducia della
bambina (“come fa ad essere così buona e poi così vuota e cattiva?”).
La madre della piccola per non sfigurare davanti all’ospite offrendo la
misera presenza dei dolciumi inscatolati, adagiava i cioccolatini meno
gustosi su un piccolo vassoio d’argento insieme ai biscotti di casa che
preparava per “ogni imprevisto”. L’imprevisto era puntualissimo: lo
sguardo verde della madre invadeva la piccola fino a provare i brividi
della paura che sarebbero stati protesi fino alla fine della presenza
di Cornelia in casa. La visita andava via e le dita pronte sul sedere
arrivavano… puntualissime anche quelle con la voce tuonante di chi non
voleva fare brutte figure… ma tanto… dopo qualche ora di pianto ed
occhi gonfi e rossi ricominciava la corsa verso orizzonti infiniti dove
la sua voce planava e virava con la musica e le parole del
mangianastri, contenta, comunque, d’aver avuto il pieno sapore del
buono proibito ancora dentro i suoi sensi di bambina. Orgogliosa di non
aver avuto nessun rimpianto e… pronta a ripeterne l’esperienza da
provare, da esaudire, da gustare era felice anche dopo aver fissato la
profondità degli occhi verdi e severi impresse ancora oggi in un
avvolgente ricordo lontano.
E canta…
Uomo (?) bastardo
Aveva un gran caldo il bosco quando si svegliò una mattina solleticato
dalle zampette degli scoiattoli e dallo stiracchiarsi del buongiorno di
chiunque vi abitava. La perfetta armonia emanata dal ballo delle foglie
verdi venne disincantata dagli scarponi pesanti di un uomo: aveva uno
strano oggetto tra le dita, una specie di rametto da cui ogni tanto
aspirava, emetteva del fumo, e mentre lo tirava con la bocca la bronza
all'estremità si faceva sempre più corta. Il fiore, l'erba,il frutto di
bosco lo paragonarono ad una piccola stella, e si chiedevano il perchè
ne splendeva ancora soltanto una sola, piccola, minuscola, oltretutto
solitaria ad una distanza così ravvicinata. L'alba è arrivata, si
dissero tutti, ed il sole aveva tappezzato perfino le nuvole...
I passi pesanti degli scarponi dell'uomo giocavano a nascondino con le
piccole creature del bosco e solo un elfo, qua e là, con semplici
scherzetti si divertiva a schiaffeggiare il suo volto invisibilmente
con i rami, senza fargli male. Ma gli occhi dell'uomo s'incurvavano a
poco a poco in un disprezzo per il fastidio benevolmente provocato
dalla magia delle ondulate foglie, addirittura disprezzava il profumo
dell'aria che si creava con il suo profumo di limpidezza. Così spezzava
le braccia più lunghe di alcuni rametti finchè non si fermò e si
accovacciò guardandosi intorno. Nel mentre fece cadere l'arnese fumante
che durante il suo cammino gli si consumò tra le dita e la bocca.
Le zolle di terra iniziarono a fumare. Il sorriso di onnipotente
disprezzo si accigliò tra le labbra dell'uomo coperte dalla barba; si
alzò di scatto e con la corsa di chi vuol vincere una gara s'inabissò
nella fuga fino a quando il fiato non lo sostenne più.
Intanto il fumo si alzò come una nebulosa tra le stelle, aumentava
considerevolmente tra gli spazi ovunque liberi, annegandone l'aria e le
cortecce degli alberi si denudavano anneriti della loro anima, le siepi
si carbonizzavano tra gli sguardi attoniti degli animali che
istintivamente si lanciarono al di fuori di quell'inferno asfissiante.
Nel giro di pochi minuti l'atmosfera del bosco si trovò in un vorticoso
schioppettìo tra l'odore di bruciato sfatato. Da lontano il bastardo
barbuto evaporò il suo eco d'orgoglio diavolesco nei primi
telegiornali: un sogno di suo nascosto protagonismo. Prese il
telefonino. A lui il merito dell'allarme. Chiamò il 115.
L'elfo si ritrovò di fronte ad uno scenario devastante e senza dimora;
tuttavia guidava i suoi protettori al di fuori dell'ambiente cosparsa
ormai di nebbia avvelenata.
All'improvviso vide il bastardo senza volto, barbuto; gli si avvicinò
tra le ombre della sua corposità. L'elfo prese la sua lama di luce e
gli perforò il cuore, poi lo fece soffocare stringendogli le braccia al
collo come in un asfissiante abbraccio... e poi arrivarono, volando gli
occhi del gufo disgustosamente disprezzanti ed accecarono l'ultima
immagine del bastardo come se un fulmine gli lacerasse la cornea e gli
occhi di lui scoppiarono materia d'esplosione nel cervello. L'uomo odiò
se stesso nel rendersi conto che nella sua vita solitaria non riuscì
nemmeno a fuggire dal rogo che lui stesso aveva creato. Tanto...
oramai... solo prima, solo adesso, solo sempre..., forse non adesso;
c'era un fantasma nel bosco: l'amore dell'elfo lo ha salvato dalla sua
stessa ed odiosa inutilità.
Riflessione sul messaggio di Cristina
Siamo il paese dei mammoni... il nostro stivale è pieno di risorse
umane... l'italiano è l'uomo più generoso del mondo... eppure...
E' ricco di perbenismo finto e povero di grida d'aiuto perchè vien
negato e soffocato.
Il messaggio di Cristina è Vero, l'omicidio dell'innocenza è ogni
giorno di fronte ai nostri occhi tra le strade, negli angoli dei
parchi, nelle case dei Mostri adulti che non hanno il senso della vita,
ma solo il circolo motorio del denaro nelle vene: pare sia l'unica
forza che tiene unito il sistema [anche tra le organizzazioni
benefiche= ONLUS (!!!!!!!)].
Difficile trovare parole di conforto a questo "appello", ma sicuramente
chi ha un goccio di senso nel cuore inizia a mettere azioni con
discussioni, denuncie, scaturirebbero investigazioni, dai oggi, dai
domani, dai dopodomani...
Celentano, Pipitone sono solo la minimissima parte di quella fetta che
viene mangiata voracemente dal marciapiede, dal parco o (non ci voglio
nemmeno pensare) dalle case.
Non basta un "Chi l'ha visto?", non basta UN SOLO SINGOLO GIORNO per
ricordare i bambini scomparsi.
Non basta solo farsi domande: implica il solo pensare senza nulla poi
risolvere.
Questa tragicità contemporanea possiamo "sconfiggerla" con la
presunzione di voler distruggere questo sporco sistema.
Siamo in 60 e + milioni. Se solo un terzo di questa massa (anche se
come mumero mi pare alquanto utopico, ma io ci provo lo stesso a dirlo)
rendesse pubblica la situazione infantile alle autorità, i
"pettegolezzi" quotidiani della vicina che mette le corna al marito, o
di quella che si è comprata il tanga leopardato, o di quello che bacia
il marito di una x-moglie, o di quella ragazza che è diventata uomo,
avrebbero meno senso e l'orrore infantile verrebbe sconfitto nell'arco
di pochi decenni. E la chirurgia estetica fatta con la pelle dei
bambini andrebbe a farsi fottere (per non parlare della donazione degli
organi).
10 milioni di italiani contro quel "piccolo" gruppo di barbari
terroristi dei bambini...
Scusate la mia rabbia, Scusate il modo prolisso e forse poco chiaro in
cui mi sono esposta... non riesco ad essere cieca di fronte ad un
terrore così attuale.
Racconto tratto da "Anima tonda"
I
Ilgaro nasce da una povera ed umile famiglia. A 23 anni ne subisce le
conseguenze moralmente e socialmente scegliendo di evadere dai loro
giudizi e dalle loro incomprensioni.
Emigrati in Germania negli anni '70 si portarono dietro solo la grande
volontà di formare una famiglia diversa da quella in cui hanno vissuto.
Ma la vita non ha ricambiato loro questo enorme sacrificio. Ilgaro è
fuggita.
Febbraio 199due
Ilgaro lasciava sua madre sola in un bar dopo che Andrée l'aveva portata
via dalla sua vita, considerando il suo modo d'essere peccaminoso e
senza futuro. Certo, a 20 anni Ilgaro si sentiva forte e non aveva la
minima voglia di ritornare sotto le vesti dei genitori che non la
capivano. Amare una donna era completamente fuori luogo dopo una
educazione liceale ed universitaria. Fino al momento in cui Ilgaro,
diciannovenne, aveva conosciuto Andrée non aveva fatto l'amore con
nessuno; le stravolse l'esistenza. Andrée con due figli,aveva trascinato
Ilgaro in una mostruosa povertà ma ricca di universo sessuale che non
aveva mai toccato. In precedenza Ilgaro amava solo nei sogni e si
innamorava senza vivere appieno il suo sentimento, soffrendone. A 19
anni il varco che si apriva la conduceva a vivere tutto il tempo perso,
non importava se Andrèe, avendo figli, non lavorava. Ilgaro pensava a
tutto; Andrèe e i suoi bambini erano la sua "nuova famiglia"; non
pensava alla decadenza, alla perdita della coscienza, alla fame a cui
stava indando incontro, prosciugando il suo conto in banca ed oltre...
il bancomat ad un certo punto venne mangiato da una bocca senza pietà,
dal momento in cui Ilgaro ed Andrèe pensavano solo a prelevare senza mai
ricoprire il conto in rosso.
Ma tutto questo Ilgaro non lo sapeva quando lasciò sua madre smarrita
fuori da quel bar, in una città a lei completamente sconosciuta...
Agosto 199cinque
Ilgaro rinasceva tornando a vivere diversamente. Il papà di Andrèe
moriva in ospedale dopo una lunga e sofferente malattia.
Dopo la perdita del padre di Andrèe, Ilgaro veniva mollata, senza
giustificazione. "Non riesco a mantenere un rapporto con te adesso, sto
cercando mio padre, mi manca, tu non mi sai stare vicina, non ce la
faccio." Ilgaro cadeva dalle nuvole. E' sempre stata sincera in ogni
gesto, in ogni scelta, in ogni situazione. "Sei ancora troppo piccola.
Non capisci", le disse...
A fatica Ilgaro riacquistava la sua indipendenza, restando affianco ad
Andrèe. Voleva dimenticare il passato, la sua vita con lei, la sentiva
sprecata e sporca. Adesso incanalava l'amore che provava per Andrèe
verso se stessa, realizzando i suoi desideri e i suoi sogni: una casa
tutta per se, un lavoro; ma la strada più difficile rappresentava il
percorso che doveva affrontare rinunciando alla dipendenza dei suoi
"amici", tutti troppo stretti e vicini ad Andrèe, alla più forte della
ex-coppia, che con maestrìa riusciva ad abbindolare le persone con le
sue splendide retoriche infangando e rendendo ridicoli persino i gesti
di Ilgaro che erano protesi a sfamare i suoi due figli... eppure lei
andava avanti per la sua strada vivendo intensamente in queste
circostanze senza grosse esigenze per se stessa.
Crescere e rinascere/ sotto altro aspetto/ sotto forma di essenza./
Credere in me stessa./ Realizzarmi./ Rispettandomi./ Accettando i
limiti,/ superarli,/ andar oltre./ Oltre la ragione,/ oltre gli eventi./
Scegliere ogni attimo della giornata/ vivendo a contatto/ con ciò che mi
circonda/ con occhi nuovi e profondi/ e fare di spirito lucente/ le
sensazioni di ogni momento.
II
Agosto 199cinque-fine
Ilgaro era sola con la sua pigrizia e Fiesta, la sua adorabile cagnetta
di mamma setter inglese e padre screanzato e sconosciuto. Il suo esile
corpo peloso e bianco era aggraziato da un solo orecchio marrone, più
lungo e peloso dell'altro.
Il tempo Ilgaro ora lo gustava in modo anomalo, scopriva la scrittura e
la lettura, ma nello sfogo dello scrivere si rese conto di aver pensato
un pò troppo indecentemente agli altri, subendo soltanto, come se non
avesse mai avuto e mostrato un carattere in quei quattro anni di vita
insieme ad Andrèe. Ilgaro chi era ora? Solo una ragazza, sola, con poco
o niente, aveva sì Fiesta, Thomas il gatto tutto nero raccolto per
strada in una serata di pioggia accecante, un letto, pochi vestiti
malconci con sogni e desideri, ma sempre denudata dagli eventi che stava
rimuovendo con forza dalla sua memoria perchè non veri e violenti. Aveva
anche due lavori non gratificanti, pesanti e con dei superiori
dispotici; per Ilgaro era, però, pur sempre il primo gradino di una
grande scalinata. Ma non riusciva a volare se non andava via dalla casa
di Andrèe. Nella sua immaginazione era presente una essenzialità molto
razionale. Non si considerava povera dentro o fotocopiata, come le disse
una volta Derk con zero rispetto, il miglior amico di Andrèe, con
atteggiamenti che rubava agli altri. Quando finalmente Andrèe disse ad
Ilgaro di andar via da casa sua è arrivato un segno di rinascita.
Eternità di un momento/ fusione del mio Io./ Il silenzio solo una
ricchezza/ della Vita/ del Sentimento, dell'Emozione per me./
Incantesimo profondo:/ l'ascolto e non me ne allontano.
Quando finalmente arrivò il gran giorno, Andrèe si atteggiava
dispiaciuta. S'innescò la miccia dell'esile voce della ragazza
arrabbiata, mai rispettata e solo usata. Un piombo di lampo e tuono
dalla gola di chi era stata zitta per troppo tempo: "E' inutile che ti
mostri come una santa addolorata! Sto uscendo completamente fuori dalla
tua vita, bella!!! Non mi meriti. Mi fa male il cuore per i bambini che
li ho cresciuti senza chiederti mai un soldo, mentre andavi fuori la
sera con le tue galline e il tuo galletto di Derk! La vita ti tornerà
tutto il male che hai fatto, non solo a me, ma anche ai piccoli! Ti dà
fastidio che adesso non dipendo più fisicamente da te, vero?" La mano
bollente di Andrèe venne fermata dalla prontezza dei riflessi di Ilgaro.
"Ehhh-nnoo, cocca bella... le mani addosso non me le metti più!!!" Prese
di corsa Fiesta e si allontanò da quella casa. Finalmente ne era quasi
fuori... mancavano due ore alla consegna delle chiavi del suo "nuovo"
appartamento. Il gatto Thomas era già lì che l' aspettava. Mancavano
solo loro due; Fiesta adesso la guardava scodinzolando e correndo fuori
da quell'inferno di spazio soffocante. Si stava annuvolando, ma Ilgaro e
Fiesta avevano finalmente un pò di sole dentro.
III
Marzo 2000
Erano passati un pò di anni. Ilgaro e Fiesta passeggiavano per il bosco
tondeggiante da mille foglie osannate dal vento. Le pietre
scricchiolavano sotto i loro passi facendo a gara per come venivano
spostati a ritmo di gioco. La loro storia era l'inciampo inaspettato del
destino che non si aspettavano.
Non era il fulmine a ciel sereno, no... era qualcosa di più: l'abbraccio
miracoloso che avvolgeva Ilgaro pian piano ad un lento brusìo di
naturalità. Fiesta si sedette all'ombra dell'albero spontaneamente.
C'era una panchina di pietra fredda; si scaldò con l'appoggiarsi del
corpo della ragazza che prese carta e penna e iniziò a scrivere il getto
del suo essere così...rapita dai sensi.
Dopo la passeggiata in bosco tornarono nella loro nuova casa. Lei era
lì, con occhi verdi come il mare in piena estate: luminosi e invitanti
allo scoprire gli infiniti tesori nascosti di tanta bellezza da
esplorare.
Ilgaro le porse la lettera scritta di getto mentre passeggiava con la
sua piccola creatura scodinzolante. Tremava e fremeva. Sapeva, e già
viveva oltre il semplice indizio regalatole dalla vita.
"Adesso sono qui. Da dove inizio, se tutto ha avuto un inizio già dentro
di me e te? Ricordo il lampo che mi ha abbagliato la prima volta che ti
ho baciata, ricordi? Era un posto assordante e allarmante per tanto
chiasso che avevamo intorno, avvo persino paura che l'incanto che
provavo dentro mi scappasse chissà dove... ma il tuo sorriso mi apriva
il cuore. La tanta poca fiducia in me stessa da non credere alla realtà
che vivevo allora con te, dov'era sparita? Adesso non lascio trasparire
il minimo filo di sciocchezza per la tanta paura di non saperti e
poterti vivere fino in fondo: la lascio al passato.
Mentre respiri leggendomi, un piccolo bagliore colora la strada sulla
quale camminiamo. La nostra .
Adesso riesco ad essere me liberamente, senza le paranoie del mio
vittimismo scrosciante che ho portato a spasso negli anni; tu mi stai
succedendo, tu ci sei, tu hai fatto perdere il mio controllo di una vita
povera di spirito e di fatti. Tu mi sei preziosa come il profumo del
pane che respiro fuori dal fornaio di mattina presto, tu sei la
fragranza delle mie mani che non sa sciupare l'acqua cristallina del
temporale fresco che accolgo con la gioia di esser bagnata. Tu sei
diamante vivente per me con luce e ricchezza che sai emanare senza far
rumore. Tu sei emozione solare per me che ti vivo.
Con amore Ilgaro."
Era l'Aurora. Biancheggiava tra le fessure delle finestre. Luce
esplosiva che si trasformava in un tocco di labbra.
Ilgaro finalmente felice. E una coda che faceva le feste.
Il potere nella voce
Alla base di tutto c'è una conoscenza che allarga i propri orizzonti dal
proprio sapere -al di là delle emozioni o delle filosofie- alle proprie
azioni.
E' l'individualismo puro e semplice vanificato dallo stesso pensiero in
cui la mente spicca voli essenziali di obbiettivi e dove vi pone riposo
alla fine di ogni singola giornata lavorativa; adesso c'è la presenza
spiccata di una collettività troppo amalgamata, dove perfino la povertà è
accomunata dal "mal comune, mezzo gaudio". Anche la povertà è in simbiosi
con la realtà che Ilrago vuole a tutti i costi condividere con la finta
realtà.
Semplici sono le emozioni, semplice è l'amore semplicemente nutrito,
semplice è parlare senza la paura di essere giudicato, semplice è la vita
povera quando vissuta con dignità.
Sente il peso delle azioni, del menefreghismo e della poca serietà di cui
si circonda negli ambienti platealmente consacrati nella indistruttibilità
di un pensiero o di un ambiente in cui vige: "Fatti il culo, non fiatare
perchè io sono indistruttibile e ti posso cambiare anche la vita se
voglio!!!" Ma da dove arriva tanta indistruttibilità e opprimente
arroganza? Dal modo di essere o dal modo di esporsi senza paura?
Senz'altro questo è un appello a voler condividere la propria vita, non
solo fatta di lavoro ma anche di nido casereccio, con chi si pone di
fronte a Ilrago in quel modo dispotico.
E' tanto dura saper ascoltare la sua voce? E' tanto difficile superare
quella lastra di ghiaccio scivolosa?
Ilrago sta cercando di sciogliere quel ghiacciaio con il calore della sua
verità interiore. |