Racconti di Gloria D'Alessandro


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Glò

Mi chiamo Gloria D'Alessandro, son nata nel 1972 nella meravigliosa regione abruzzese, ma son andata a vivere con i miei genitori in Germania all'età di tre anni. Ad 11 anni mi son trasferita definitivamente in Italia "vagando" tra Chieti e Udine (per motivi di studio) per poi sbarcare definitivamente a Trieste, città dove attualmente vivo e lavoro. Ho iniziato a scrivere poesie a 15 anni e da allora non ho mai smesso. Nonostante abbia ordinato le mie poesie in diverse raccolte, non le ho mai pubblicate. Amo molto gli animali, mi piace leggere, adoro ogni tipo di musica (dalla classica all'heavy-metal, -che non sia troppo heavy-), per non trascurare cinema, mostre di qualsiasi tipo...
Un piccolo hobby? Cantare.
Il mio sogno? Diventare grande senza perdere la curiosità della continua scoperta dell'universo umano, mio e degli altri...
Blog: http://glodalessandro.splinder.com/

Leggi le poesie di Gloria

La cura
Veglierò testarda
su ogni tua lacrima
paurosa
e con la scorta
delle mie riservate parole
rubo verdi
degli oltre infiniti giorni
del tuo vivere in me.


Amor mio, siamo qui a respirare la stessa aria sotterranea che preclude un cammino tortuoso, sofferente (ma) vittorioso e ricco.
Ti sto baciando negli occhi, in quella tua profonda paura che sto estorcendo al destino o alla vita, trascinandola via, in un posto sconosciuto, non senza il suo diritto alla vita, dimensionalmente vicino, ma dove questa forma d’essenza non è nociva.
Non ci siamo poste il problema a cosa può servire questa esperienza. Esiste. Fa parte di noi dal momento in cui ce n’è stata fulminea consapevolezza d’esperienza come la gioia, la sofferenza, la vita, la morte.
Non riesco a staccarmi dalla tua cellula pensante radicata nella mia esistenza, quando vorace e silenziosa in-spiri la boccata d’aria che vittoriosamente anela alla sopravivenza del tuo sgomento.
Neghiamo e sbarriamo con catenacci e lucchetti tali prove fino a quando bussano metallicamente alla porta dell’ogni giorno come incandescenza inaspettata, fredda, insormontabile. Tutto si ferma. Tutto procede al rallentatore. L’attesa diventa un rewind d’un momento futuro non evaporato dal passato.

Amore mio, ci guardiamo e ci sorridiamo. Con altro aspetto e alt(r)o senso. Si valuta diversamente l’iniziare da capo ogni gesto, ogni preoccupazione ed insonnia nelle nostre notti agitate. Ci stanno dando in pasto all’opportunità di stringerci intorno ad una “risonanza” “magneticamente” composta da vibranti volontà, amore e rispetto al solo fine di proteggere un nido (il nostro) ancora giovane e inesperto alla quotidianità da cui spiare una qualsiasi infinitesima meraviglia stupefacente.....

Abbiamo la fortuna di credere nella vita. “percepisco” questo di te., nell’amore che mi stai insegnando tu.
Tu sei il pilastro della mia tenerezza che nulla e nessuno distrugge: sei esteso sollievo tratteggiato da bivi colorati a nostra comune scelta, bianco o nero, ma..... ora le sfumature del grigio sgolano nel sapore della loro insistenza grazie a dei progetti tra lancette del tempo che la nostra (e solo la nostra) intimità sta scegliendo di percorrere; tutto questo “occorrente”, proprio perché s’impone naturalmente, padroneggia al di là di qualsiasi medicina e cura, ci attacca all’odore della vita, diventando diversamente abile nella comprensione della tua interiorità che batte oltre i tuoi verdi, amati e ammirati dal mio stesso sentirti attaccata per sempre alla vita mia.


Non cerco alcun senso o significato
dietro ogni capello che perdi sulla mia pelle;
elaboro solo la sua storia, che piccola, mi nasconde
dietro la sua polvere sorridente, comoda e accarezzante

mi accalora il suo vento, il suo passato
spezzato nella spezia d’odor respirato
e nel suo esorcismo ingoiato
il perché d’un prossimo viaggio custodito

tra lenzuola sempre sfatte di desideri rumorosi
e urlanti. Nel calcolo d’una matematica filosofia
numeri di soli spessori… e la loro quantità
sta esplodendo nella mia assoluta fede

di naturalismo accettato di personale psichiatria
calcolata insieme dove d’emozione
ci si veste senza parola o spiegazione
ma di solo tatto infreddolito da un calore nascente.
[26 novembre 2009]

Sphaira I
"Inizio le mie frasi con le costanti negazioni che sanno precedere una sconfitta.
Tutte le volte in cui il mio cervello caotico sa prendersi in mano e accarezzarsi è una negazione alla ricezione, alla vita stessa.

La capacità di filosofeggiare non mi manca, credo sia insita nel mio corpo che non ha definizione vera e propria. Non credo nelle parole come anima, cuore, sentimento, emozione. Non credo ai cuori che battono senza sosta, per amore o odio.

Tutto ciò perché sono maledettamente egoista come gli uomini, come le donne. Tra loro non c’è nessuna differenza. Se si guardano allo specchio s’infrange la cultura che li ha accomunati da secoli: s’increspa quel rumore rispettoso delle loro differenze. Si autoelimina nei loro sguardi, si disinnamorano nel loro stesso intendersi.

Gli occhi li uso come spugne spremute dalle acque, ne rimane l’umidità del loro odore in questo infinito percorso del tempo che non mi appartiene.

Ho accarezzato donne, uomini, li ho toccati, li ho bevuti, ma senza il trasporto del loro ricordo. In quelle assenze mi son sempre sentito come una enorme palla liquidamente solida. Andavo a schiaffeggiarmi tra i riflessi di quello che mi lasciavano. Non è una malattia, la mia. E’ la consapevolezza d’un vivermi senza aria, senza essere malato.

Non ho gusti. Non li so definire. Non soffro. Non conosco la sofferenza.
Non amo, non odio. Mi bevo crisalide d’un segno nel tempo maledettamente fuggente e al momento d’un piccolo estro troppo esiguo e ricco mi cospargo di lentezza e di paura.
Quando poi mi butto tra i vicoli della notte e l’aria si affresca di nebbia il tempo mi guarda e mi rimprovera che son vivo. Che nonostante la mia cecità all’apertura già sfumata posso essere sempre catalogato in asessuato amore: il suo principio è accoglierlo e lasciarlo andare. Per poi capire che non si è capaci di accettare. Sempre. Comunque."

La colletta alimentare (Riflessione)
Non è la prima volta che vivo la "colletta alimentare": generalmente si svolge nell'ultima settimana di novembre. Non ho mai concepito visibilmente quella corrente che spinge i consumatori di beni di prima necessità (ogni singola persona) a favorire i loro "no comment" nei confronti di una realtà tastata all'interno del loro, del nostro territorio. L'Italia. Una parte d'Italia non discussa perchè non fatta conoscere nelle famose "prime serate" (se non a sprazzi) dei telegiornali (tale "potere" tende a focalizzare l'attenzione su tragedie sì, gravi... , ma per favore rendiamoci conto delle conseguenze: un IO trasversalizzato in un limbo d'assenza verso noi stessi). Un'Italia viva e vegeta che respira aria di basso protagonismo non pubblicizzato perchè fuori dal materialismo grazie alla precarietà, grazie alla scarsa riuscita di emergenza in ambiente lavorativo, grazie al sistema dei paesi industrializzati (e globalizzati come in una grade famiglia) dove le persone che si fanno il culo dalla mattina alla sera sono solo numeri numerati. Scusatemi l'espressione: vige il lavoro forzato (in quanto c'è mancanza di personale, di conseguenza esiste IL latitante servizio a causa delle spese che il singolo dipendente comporta grazie alle tasse volute da chi ci governa).
L'aria che si respirava oggi in supermercato era come una lametta; nessuno si lamentava di quanto spendeva [cito una frase comunissima:"son venuta a prender due cose e mi trovo con il carrello pieno!!! (ed io aggiungo di prodotti a lunga scadenza!!!)]. Ripeto: oggi nessuno si lamentava. Negli occhi della gente e nel borsellino dei soldi vedevo solo una coda di arcobaleno che s'inarcava nell'espresso desiderio di voler a tutti i costi cambiare alla base la primaria dignità e necessità umana: il cibo. E da illusa (forse) credo nel miglioramento della coscienza delle persone. VOLERE, e ancora VOLERE un pianeta, una terra globalizzata dove il mangiare costituisca non un bene da guadagnarsi, ma un bene di cui predisporre naturalmente senza le targhe pubblicitarie appioppateci dai media!!!
L'azione benefica di ogni singola persona si traduce nel desiderio del benessere del prossimo.
Questo dovrebbe essere il primo comandamento UMANO che vale più di qualsiasi etica imposta...



 

Canto e cioccolatini
(Racconto tratto da “Anima tonda”)

Da piccola le piaceva cantare. S’avventurava in cucina con un cucchiaio di legno che fingeva da microfono, tra l’odore appetitoso di sugo al pomodoro e spaghetti in ebollizione che emanavano un profumo del “quasi cotto” in assaggio tra le labbra del papà.
Un mangianastri ripeteva ininterrottamente le stesse canzoni e lei, con balletti e giri su se stessa seguiva le parole della musica leggera fino a quando non le aveva assorbite per canticchiarle al di fuori delle mura domestiche: in giardino, a scuola, sui marciapiedi, tra le attese di un tempo del diventare grandi.
Spesso accadeva di non saper distinguere le parole. La piccola le traduceva in una lingua di fantasia, in parole senza peso: inglese, italiano, francese, tedesco… non importava il non-senso.
Succedeva così anche con le poesie che imparava e recitava a memoria durante le ore pomeridiane di lingua italiana. Il lunedì ed il venerdì pomeriggio erano i momenti del “10 agosto”, “I gabbiani”, “A Silvia”, “quel Valentino vestito di nuovo…”. Tra l’aria di quelle parole musicali e ritmiche si respiravano solo versi conditi di sensi che sarebbero fioriti dopo, molto dopo.
Gli spaghetti al sugo erano a tavola. Lei, piccola e boccolosa, di fronte al papà che le serviva in piatto una porzione da grandi dietro i suoi sguardi nascosti e divertiti da tanta vivacità della figlia. Poi, con la scarpetta finale che significava un amorevole grazie, la piccola imitava la smorfia degli occhi buoni del papà, così, per prenderlo in giro amorevolmente e lui rideva alzando le spalle.
La piccola avvertiva con la presenza del papà uno spazio dove correva instancabile verso orizzonti caldi. Si sentiva addosso una libertà infinita che man mano che cresceva diminuiva, si restringeva in un angolo nascosto del suo mondo fatato di esistenza fino a che non avvertiva il risucchio interiore emotivo causata da gioia, da ebrezza, da euforia pura. Paura, sofferenza e lacrime erano circoscritte solo nei momenti dei suoi sensi di colpa, quando sapeva di combinare qualche dispetto andando a frugare tra i dolciumi che sua madre nascondeva nell’anta più alta della credenza in soggiorno. Sapeva di averla combinata prima ancora di mangiare le leccornie a cui aspirava, visto che la sua golosità superava qualsiasi piccola regola del “Non si può. Ti vengono i buchini ai denti!” Questa frase educativa di certo non la aiutava. Ne aveva diritto, no? La sfida era un piccolo gioco per lei.
Prendeva la sedia, apriva l’anta della credenza stando attenta a non far nessunissimo rumore (anche se in casa non c’era nessuno… era la mezz’ora del cambio turno dei genitori che si affrettavano a tornare a casa per non lasciarla tanto tempo sola, dato che di baby sitter non se ne parlava), apriva la scatola di cioccolatini esternandola dal sottile strato di plastica trasparente che la avvolgeva e con la sua manualità era attenta a non romperla… poi con gesti teatralmente noncuranti si riempiva la bocca fino a quando la sua capacità di mantenimento scoppiava nel turbinoso vocìo mentale:”Adesso ancora uno…” Il cioccolato ripieno di non si riusciva a capire cosa (forse era caramello? Crema di nocciola? Chissà!) si scioglieva di gusto tra i dentini e e le mandibole, gli angoli della boccuccia erano leggermente disegnate da righe di tradimento cioccolatoso.
Poi, con altrettanta maestrìa, dopo aver sentito le sinfonie del sapore forte e persistente, chiudeva la scatola dei cioccolatini scocciando lo strato di plastica trasparente in maniera tale da non essere ingannevole di fronte al tatto e agli occhi della madre.
Dopo qualche giorno arrivava qualche visita di un connazionale o di Cornelia, la parrucchiera di casa, una ragazza tedesca che gradiva sempre un espresso italiano. La madre della piccola andava a prendere la scatola dei cioccolatini che tradivano ogni volta la fiducia della bambina (“come fa ad essere così buona e poi così vuota e cattiva?”). La madre della piccola per non sfigurare davanti all’ospite offrendo la misera presenza dei dolciumi inscatolati, adagiava i cioccolatini meno gustosi su un piccolo vassoio d’argento insieme ai biscotti di casa che preparava per “ogni imprevisto”. L’imprevisto era puntualissimo: lo sguardo verde della madre invadeva la piccola fino a provare i brividi della paura che sarebbero stati protesi fino alla fine della presenza di Cornelia in casa. La visita andava via e le dita pronte sul sedere arrivavano… puntualissime anche quelle con la voce tuonante di chi non voleva fare brutte figure… ma tanto… dopo qualche ora di pianto ed occhi gonfi e rossi ricominciava la corsa verso orizzonti infiniti dove la sua voce planava e virava con la musica e le parole del mangianastri, contenta, comunque, d’aver avuto il pieno sapore del buono proibito ancora dentro i suoi sensi di bambina. Orgogliosa di non aver avuto nessun rimpianto e… pronta a ripeterne l’esperienza da provare, da esaudire, da gustare era felice anche dopo aver fissato la profondità degli occhi verdi e severi impresse ancora oggi in un avvolgente ricordo lontano.
E canta…

Uomo (?) bastardo
Aveva un gran caldo il bosco quando si svegliò una mattina solleticato dalle zampette degli scoiattoli e dallo stiracchiarsi del buongiorno di chiunque vi abitava. La perfetta armonia emanata dal ballo delle foglie verdi venne disincantata dagli scarponi pesanti di un uomo: aveva uno strano oggetto tra le dita, una specie di rametto da cui ogni tanto aspirava, emetteva del fumo, e mentre lo tirava con la bocca la bronza all'estremità si faceva sempre più corta. Il fiore, l'erba,il frutto di bosco lo paragonarono ad una piccola stella, e si chiedevano il perchè ne splendeva ancora soltanto una sola, piccola, minuscola, oltretutto solitaria ad una distanza così ravvicinata. L'alba è arrivata, si dissero tutti, ed il sole aveva tappezzato perfino le nuvole...
I passi pesanti degli scarponi dell'uomo giocavano a nascondino con le piccole creature del bosco e solo un elfo, qua e là, con semplici scherzetti si divertiva a schiaffeggiare il suo volto invisibilmente con i rami, senza fargli male. Ma gli occhi dell'uomo s'incurvavano a poco a poco in un disprezzo per il fastidio benevolmente provocato dalla magia delle ondulate foglie, addirittura disprezzava il profumo dell'aria che si creava con il suo profumo di limpidezza. Così spezzava le braccia più lunghe di alcuni rametti finchè non si fermò e si accovacciò guardandosi intorno. Nel mentre fece cadere l'arnese fumante che durante il suo cammino gli si consumò tra le dita e la bocca.
Le zolle di terra iniziarono a fumare. Il sorriso di onnipotente disprezzo si accigliò tra le labbra dell'uomo coperte dalla barba; si alzò di scatto e con la corsa di chi vuol vincere una gara s'inabissò nella fuga fino a quando il fiato non lo sostenne più.
Intanto il fumo si alzò come una nebulosa tra le stelle, aumentava considerevolmente tra gli spazi ovunque liberi, annegandone l'aria e le cortecce degli alberi si denudavano anneriti della loro anima, le siepi si carbonizzavano tra gli sguardi attoniti degli animali che istintivamente si lanciarono al di fuori di quell'inferno asfissiante.
Nel giro di pochi minuti l'atmosfera del bosco si trovò in un vorticoso schioppettìo tra l'odore di bruciato sfatato. Da lontano il bastardo barbuto evaporò il suo eco d'orgoglio diavolesco nei primi telegiornali: un sogno di suo nascosto protagonismo. Prese il telefonino. A lui il merito dell'allarme. Chiamò il 115.
L'elfo si ritrovò di fronte ad uno scenario devastante e senza dimora; tuttavia guidava i suoi protettori al di fuori dell'ambiente cosparsa ormai di nebbia avvelenata.
All'improvviso vide il bastardo senza volto, barbuto; gli si avvicinò tra le ombre della sua corposità. L'elfo prese la sua lama di luce e gli perforò il cuore, poi lo fece soffocare stringendogli le braccia al collo come in un asfissiante abbraccio... e poi arrivarono, volando gli occhi del gufo disgustosamente disprezzanti ed accecarono l'ultima immagine del bastardo come se un fulmine gli lacerasse la cornea e gli occhi di lui scoppiarono materia d'esplosione nel cervello. L'uomo odiò se stesso nel rendersi conto che nella sua vita solitaria non riuscì nemmeno a fuggire dal rogo che lui stesso aveva creato. Tanto... oramai... solo prima, solo adesso, solo sempre..., forse non adesso; c'era un fantasma nel bosco: l'amore dell'elfo lo ha salvato dalla sua stessa ed odiosa inutilità.

Riflessione sul messaggio di Cristina
Siamo il paese dei mammoni... il nostro stivale è pieno di risorse umane... l'italiano è l'uomo più generoso del mondo... eppure...
E' ricco di perbenismo finto e povero di grida d'aiuto perchè vien negato e soffocato.
Il messaggio di Cristina è Vero, l'omicidio dell'innocenza è ogni giorno di fronte ai nostri occhi tra le strade, negli angoli dei parchi, nelle case dei Mostri adulti che non hanno il senso della vita, ma solo il circolo motorio del denaro nelle vene: pare sia l'unica forza che tiene unito il sistema [anche tra le organizzazioni benefiche= ONLUS (!!!!!!!)].
Difficile trovare parole di conforto a questo "appello", ma sicuramente chi ha un goccio di senso nel cuore inizia a mettere azioni con discussioni, denuncie, scaturirebbero investigazioni, dai oggi, dai domani, dai dopodomani...
Celentano, Pipitone sono solo la minimissima parte di quella fetta che viene mangiata voracemente dal marciapiede, dal parco o (non ci voglio nemmeno pensare) dalle case.
Non basta un "Chi l'ha visto?", non basta UN SOLO SINGOLO GIORNO per ricordare i bambini scomparsi.
Non basta solo farsi domande: implica il solo pensare senza nulla poi risolvere.
Questa tragicità contemporanea possiamo "sconfiggerla" con la presunzione di voler distruggere questo sporco sistema.
Siamo in 60 e + milioni. Se solo un terzo di questa massa (anche se come mumero mi pare alquanto utopico, ma io ci provo lo stesso a dirlo) rendesse pubblica la situazione infantile alle autorità, i "pettegolezzi" quotidiani della vicina che mette le corna al marito, o di quella che si è comprata il tanga leopardato, o di quello che bacia il marito di una x-moglie, o di quella ragazza che è diventata uomo, avrebbero meno senso e l'orrore infantile verrebbe sconfitto nell'arco di pochi decenni. E la chirurgia estetica fatta con la pelle dei bambini andrebbe a farsi fottere (per non parlare della donazione degli organi).
10 milioni di italiani contro quel "piccolo" gruppo di barbari terroristi dei bambini...
Scusate la mia rabbia, Scusate il modo prolisso e forse poco chiaro in cui mi sono esposta... non riesco ad essere cieca di fronte ad un terrore così attuale.

Racconto tratto da "Anima tonda"

I

Ilgaro nasce da una povera ed umile famiglia. A 23 anni ne subisce le conseguenze moralmente e socialmente scegliendo di evadere dai loro giudizi e dalle loro incomprensioni.
Emigrati in Germania negli anni '70 si portarono dietro solo la grande volontà di formare una famiglia diversa da quella in cui hanno vissuto. Ma la vita non ha ricambiato loro questo enorme sacrificio. Ilgaro è fuggita.

Febbraio 199due
Ilgaro lasciava sua madre sola in un bar dopo che Andrée l'aveva portata via dalla sua vita, considerando il suo modo d'essere peccaminoso e senza futuro. Certo, a 20 anni Ilgaro si sentiva forte e non aveva la minima voglia di ritornare sotto le vesti dei genitori che non la capivano. Amare una donna era completamente fuori luogo dopo una educazione liceale ed universitaria. Fino al momento in cui Ilgaro, diciannovenne, aveva conosciuto Andrée non aveva fatto l'amore con nessuno; le stravolse l'esistenza. Andrée con due figli,aveva trascinato Ilgaro in una mostruosa povertà ma ricca di universo sessuale che non aveva mai toccato. In precedenza Ilgaro amava solo nei sogni e si innamorava senza vivere appieno il suo sentimento, soffrendone. A 19 anni il varco che si apriva la conduceva a vivere tutto il tempo perso, non importava se Andrèe, avendo figli, non lavorava. Ilgaro pensava a tutto; Andrèe e i suoi bambini erano la sua "nuova famiglia"; non pensava alla decadenza, alla perdita della coscienza, alla fame a cui stava indando incontro, prosciugando il suo conto in banca ed oltre... il bancomat ad un certo punto venne mangiato da una bocca senza pietà, dal momento in cui Ilgaro ed Andrèe pensavano solo a prelevare senza mai ricoprire il conto in rosso.
Ma tutto questo Ilgaro non lo sapeva quando lasciò sua madre smarrita fuori da quel bar, in una città a lei completamente sconosciuta...

Agosto 199cinque
Ilgaro rinasceva tornando a vivere diversamente. Il papà di Andrèe moriva in ospedale dopo una lunga e sofferente malattia.
Dopo la perdita del padre di Andrèe, Ilgaro veniva mollata, senza giustificazione. "Non riesco a mantenere un rapporto con te adesso, sto cercando mio padre, mi manca, tu non mi sai stare vicina, non ce la faccio." Ilgaro cadeva dalle nuvole. E' sempre stata sincera in ogni gesto, in ogni scelta, in ogni situazione. "Sei ancora troppo piccola. Non capisci", le disse...
A fatica Ilgaro riacquistava la sua indipendenza, restando affianco ad Andrèe. Voleva dimenticare il passato, la sua vita con lei, la sentiva sprecata e sporca. Adesso incanalava l'amore che provava per Andrèe verso se stessa, realizzando i suoi desideri e i suoi sogni: una casa tutta per se, un lavoro; ma la strada più difficile rappresentava il percorso che doveva affrontare rinunciando alla dipendenza dei suoi "amici", tutti troppo stretti e vicini ad Andrèe, alla più forte della ex-coppia, che con maestrìa riusciva ad abbindolare le persone con le sue splendide retoriche infangando e rendendo ridicoli persino i gesti di Ilgaro che erano protesi a sfamare i suoi due figli... eppure lei andava avanti per la sua strada vivendo intensamente in queste circostanze senza grosse esigenze per se stessa.
Crescere e rinascere/ sotto altro aspetto/ sotto forma di essenza./ Credere in me stessa./ Realizzarmi./ Rispettandomi./ Accettando i limiti,/ superarli,/ andar oltre./ Oltre la ragione,/ oltre gli eventi./ Scegliere ogni attimo della giornata/ vivendo a contatto/ con ciò che mi circonda/ con occhi nuovi e profondi/ e fare di spirito lucente/ le sensazioni di ogni momento.

II

Agosto 199cinque-fine
Ilgaro era sola con la sua pigrizia e Fiesta, la sua adorabile cagnetta di mamma setter inglese e padre screanzato e sconosciuto. Il suo esile corpo peloso e bianco era aggraziato da un solo orecchio marrone, più lungo e peloso dell'altro.
Il tempo Ilgaro ora lo gustava in modo anomalo, scopriva la scrittura e la lettura, ma nello sfogo dello scrivere si rese conto di aver pensato un pò troppo indecentemente agli altri, subendo soltanto, come se non avesse mai avuto e mostrato un carattere in quei quattro anni di vita insieme ad Andrèe. Ilgaro chi era ora? Solo una ragazza, sola, con poco o niente, aveva sì Fiesta, Thomas il gatto tutto nero raccolto per strada in una serata di pioggia accecante, un letto, pochi vestiti malconci con sogni e desideri, ma sempre denudata dagli eventi che stava rimuovendo con forza dalla sua memoria perchè non veri e violenti. Aveva anche due lavori non gratificanti, pesanti e con dei superiori dispotici; per Ilgaro era, però, pur sempre il primo gradino di una grande scalinata. Ma non riusciva a volare se non andava via dalla casa di Andrèe. Nella sua immaginazione era presente una essenzialità molto razionale. Non si considerava povera dentro o fotocopiata, come le disse una volta Derk con zero rispetto, il miglior amico di Andrèe, con atteggiamenti che rubava agli altri. Quando finalmente Andrèe disse ad Ilgaro di andar via da casa sua è arrivato un segno di rinascita.
Eternità di un momento/ fusione del mio Io./ Il silenzio solo una ricchezza/ della Vita/ del Sentimento, dell'Emozione per me./ Incantesimo profondo:/ l'ascolto e non me ne allontano.

Quando finalmente arrivò il gran giorno, Andrèe si atteggiava dispiaciuta. S'innescò la miccia dell'esile voce della ragazza arrabbiata, mai rispettata e solo usata. Un piombo di lampo e tuono dalla gola di chi era stata zitta per troppo tempo: "E' inutile che ti mostri come una santa addolorata! Sto uscendo completamente fuori dalla tua vita, bella!!! Non mi meriti. Mi fa male il cuore per i bambini che li ho cresciuti senza chiederti mai un soldo, mentre andavi fuori la sera con le tue galline e il tuo galletto di Derk! La vita ti tornerà tutto il male che hai fatto, non solo a me, ma anche ai piccoli! Ti dà fastidio che adesso non dipendo più fisicamente da te, vero?" La mano bollente di Andrèe venne fermata dalla prontezza dei riflessi di Ilgaro. "Ehhh-nnoo, cocca bella... le mani addosso non me le metti più!!!" Prese di corsa Fiesta e si allontanò da quella casa. Finalmente ne era quasi fuori... mancavano due ore alla consegna delle chiavi del suo "nuovo" appartamento. Il gatto Thomas era già lì che l' aspettava. Mancavano solo loro due; Fiesta adesso la guardava scodinzolando e correndo fuori da quell'inferno di spazio soffocante. Si stava annuvolando, ma Ilgaro e Fiesta avevano finalmente un pò di sole dentro.

III
Marzo 2000

Erano passati un pò di anni. Ilgaro e Fiesta passeggiavano per il bosco tondeggiante da mille foglie osannate dal vento. Le pietre scricchiolavano sotto i loro passi facendo a gara per come venivano spostati a ritmo di gioco. La loro storia era l'inciampo inaspettato del destino che non si aspettavano.
Non era il fulmine a ciel sereno, no... era qualcosa di più: l'abbraccio miracoloso che avvolgeva Ilgaro pian piano ad un lento brusìo di naturalità. Fiesta si sedette all'ombra dell'albero spontaneamente. C'era una panchina di pietra fredda; si scaldò con l'appoggiarsi del corpo della ragazza che prese carta e penna e iniziò a scrivere il getto del suo essere così...rapita dai sensi.
Dopo la passeggiata in bosco tornarono nella loro nuova casa. Lei era lì, con occhi verdi come il mare in piena estate: luminosi e invitanti allo scoprire gli infiniti tesori nascosti di tanta bellezza da esplorare.
Ilgaro le porse la lettera scritta di getto mentre passeggiava con la sua piccola creatura scodinzolante. Tremava e fremeva. Sapeva, e già viveva oltre il semplice indizio regalatole dalla vita.
"Adesso sono qui. Da dove inizio, se tutto ha avuto un inizio già dentro di me e te? Ricordo il lampo che mi ha abbagliato la prima volta che ti ho baciata, ricordi? Era un posto assordante e allarmante per tanto chiasso che avevamo intorno, avvo persino paura che l'incanto che provavo dentro mi scappasse chissà dove... ma il tuo sorriso mi apriva il cuore. La tanta poca fiducia in me stessa da non credere alla realtà che vivevo allora con te, dov'era sparita? Adesso non lascio trasparire il minimo filo di sciocchezza per la tanta paura di non saperti e poterti vivere fino in fondo: la lascio al passato.
Mentre respiri leggendomi, un piccolo bagliore colora la strada sulla quale camminiamo. La nostra .
Adesso riesco ad essere me liberamente, senza le paranoie del mio vittimismo scrosciante che ho portato a spasso negli anni; tu mi stai succedendo, tu ci sei, tu hai fatto perdere il mio controllo di una vita povera di spirito e di fatti. Tu mi sei preziosa come il profumo del pane che respiro fuori dal fornaio di mattina presto, tu sei la fragranza delle mie mani che non sa sciupare l'acqua cristallina del temporale fresco che accolgo con la gioia di esser bagnata. Tu sei diamante vivente per me con luce e ricchezza che sai emanare senza far rumore. Tu sei emozione solare per me che ti vivo.
Con amore Ilgaro."
Era l'Aurora. Biancheggiava tra le fessure delle finestre. Luce esplosiva che si trasformava in un tocco di labbra.
Ilgaro finalmente felice. E una coda che faceva le feste.
 

Il potere nella voce
Alla base di tutto c'è una conoscenza che allarga i propri orizzonti dal proprio sapere -al di là delle emozioni o delle filosofie- alle proprie azioni.
E' l'individualismo puro e semplice vanificato dallo stesso pensiero in cui la mente spicca voli essenziali di obbiettivi e dove vi pone riposo alla fine di ogni singola giornata lavorativa; adesso c'è la presenza spiccata di una collettività troppo amalgamata, dove perfino la povertà è accomunata dal "mal comune, mezzo gaudio". Anche la povertà è in simbiosi con la realtà che Ilrago vuole a tutti i costi condividere con la finta realtà.
Semplici sono le emozioni, semplice è l'amore semplicemente nutrito, semplice è parlare senza la paura di essere giudicato, semplice è la vita povera quando vissuta con dignità.
Sente il peso delle azioni, del menefreghismo e della poca serietà di cui si circonda negli ambienti platealmente consacrati nella indistruttibilità di un pensiero o di un ambiente in cui vige: "Fatti il culo, non fiatare perchè io sono indistruttibile e ti posso cambiare anche la vita se voglio!!!" Ma da dove arriva tanta indistruttibilità e opprimente arroganza? Dal modo di essere o dal modo di esporsi senza paura?
Senz'altro questo è un appello a voler condividere la propria vita, non solo fatta di lavoro ma anche di nido casereccio, con chi si pone di fronte a Ilrago in quel modo dispotico.
E' tanto dura saper ascoltare la sua voce? E' tanto difficile superare quella lastra di ghiaccio scivolosa?
Ilrago sta cercando di sciogliere quel ghiacciaio con il calore della sua verità interiore.


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