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Antologia poetica

L'amore - La donna - Morte dei propri cari - Affetto per i propri cari - Tristezza e solitudine - Il dolore - La nostalgia - Racconto di un episodio - La natura - Gli animali - Gli oggetti - I desideri - I ricordi - Il poeta e se stesso - Il poeta e i luoghi - Il poeta si diverte - La poesia per i poeti -

 

POESIA DISSACRATORIA


Phaselus ille…
Phaselus ille, quem videtis, hospites,
ait fuisse navium celerrimus,
neque ullius natantis impetum trabis
nequisse praeterire, sive palmulis
opus foret volare sive linteo.

Quell’agile barca...
Quell’agile barca, che vedete, amici,
dice che fu la nave più veloce,
e capace di superare lo slancio
di qualunque imbarcazione galleggiante,
sia che bisognasse volare coi remi, sia con le vele.
(Catullo, Carmina, IV, 1 - 5)

Sabinus ille…
Sabinus ille, quem videtis, hospites,
ait fuisse mulio celerrimus,
neque ullius volantis impetum cisi
nequisse praeterire, sive Mantuam
opus foret volare sive Brixiam.

Quel Sabino...
Quel Sabino, che vedete, amici,
dice che fu il mulattiere più veloce,
e capace di superare lo slancio
di qualunque carro rapidissimo,
sia che bisognasse volare a Mantova, sia a Brescia.
(Virgilio (?), Catalepton, X, 1 - 5)



L’Infinito
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio;
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
(Giacomo Leopardi)


L’Infinito
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio;
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
(Giacomo Leopardi)

La pizza
Sempre caro mi fu quest’osso collo
e questa pizza, che da tanta parte
dell’ottimo piatto lo sguardo invita.
Ma sedendo e mangiando, interminate
panche di là da quella, e sovrumani
rumori, e squisitissima birra
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito rumore a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’estate,
e le antiche mangiate, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
gran bevuta s’annega il pensier mio;
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
;-)


L'Infinito (senza mai usare la vocale 'e')
Tanto cara mi fu l'irta collina,
su cui un alto arbusto spinoso
ad un ostruito sguardo l'occhio invita.
Ma in ginocchio mirando illimitato spazio
di là da ciò, con sovrumana mancanza di suoni,
con profondissima tranquillità,
io in cogitar mi fingo, sin quando poi
il cor non si spaura. Pari a un suon d'aria
odi stormir fra alti boschi, io l'infinita
tranquillità al suono udito vo comparando;
ragiono sul tutto, su gli algidi giorni passati
contro i caldi attuali così vivi,
con il loro armonioso suono.
Così in smisurata mancanza di limiti
nuota il mio spirito: oh, quanta gioia
a naufragar in tanto vasta acqua marina.
(Ant Leonima)



Mattina
M’illumino
d’immenso
(Giuseppe Ungaretti)

Elettricità
M’illumino
di neon
;-)

In Chiesa
M'illumino
d'incenso
(Sal Messina)

M' illumino di monitor
(Michele Gonfiantini)



Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond’io nutriva ‘l core
in sul mio primo giovanile errore
quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono:

del vario stile in ch’io piango e ragiono,
fra le vane speranze e ‘l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, non che perdono.

Ma ben veggio or sì come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente
di me medesimo meco mi vergogno;

e del mio vaneggiar vergogna è ‘l frutto
e ‘l pentersi, e ‘l conoscer chiaramente
che quando piace al mondo è breve sogno.
(Francesco Petrarca, Canzoniere, I)

Voi che sparsi ascoltate in rozzi accenti
Voi che sparsi ascoltate in rozzi accenti
i pregi eccelsi della donna mia,
non stupite, se tra questi fia
cosa ch’avanzi ‘l creder delle genti:

poiché, sebbene per lapidarla i’ tenti
le penne alzar per ogni alpestre via,
quel che meglio però dir si devia,
riman coperto alle terrene menti.

Né sia chi dall’esterno mio dolore,
onde in pianti mi struggo a poco a poco,
misuri la pietà dentro al suo core:

perché, quantunque in ogni tempo e loco
far mostra i’ soglia del mio grande ardore,
assai maggior ch’i’ non dispiego,è ‘l foco.
(Giuseppe Parini, Poesie di Ripano Eupilino, I)


Giuseppe Parini a ventitré anni, nel 1752, pubblicò con lo pseudonimo di Ripano Eupilino (Ripano: anagramma di Parino; Eupilino: di Eupili, ossia del lago di Pusiano) il suo primo libro di versi: Alcune poesie di Ripano Eupilino. Secondo me, in questo sonetto si diverte a prendere garbatamente in giro l’ illustre e intoccabile poeta dell’amore, ma Parini non aveva riguardi di sorta per nessuno, diceva quello che pensava.



Leopardi
Fuori dell’aula oggi mi sei davanti
come se in cuore tutti mi cantassero
i tre canti scolastici, i tre canti

d’antologia: Sabato del villaggio,
Quiete dopo la tempesta, Passero
solitario... (oh natio borgo selvaggio!).

Forse li leggo, e il terzo canto è mozzo.
Hanno messo una riga di puntini
invece di quel tuo lungo singhiozzo.

T’hanno lasciato quasi a mezza via,
non han voluto apprendere ai bambini
lo strazio della tua filosofia.

Io non capivo. Amavo la figura
più del racconto: più del tuo sconforto
il tuo cognome facea paura.

Ma vedrai, bimbo, se la carta sudi,
tu mi dicevi e non t’udivo e accorto
veniva il tempo di più dotti studi;

così che dopo i facili commenti
scesero giorni assai più duri, quelli        continua

dei confronti, dei nuovi documenti,

delle domande:è Silvia oppur Nerina,
la Fattorini o la Belardinelli,
i tempi dell’ingenua dottrina.

O Leopardi, io non ti amai. Lontano
eri, lontano sei, ma ti ravviso
e tu m’accenni con la stanca mano.

Mi dici piano con la voce pia,
il cuor pacato e un tacito sorriso
i più bei canti dell’antologia,

ma neppur tu finisci il terzo: chini
la fronte, celi il tuo selvaggio lutto,
accetti la pietà di quei puntini.

Ahimè che un bimbo io più non sono ed uso
leggerti intero. Ahimè che tutto, tutto
vedo e sento di te come in confuso:

Nerina, Silvia, Paolina, Aspasia,
la cara luna, il cuor tetro e randagio,
il Vesuvio, il pastor ch’erra nell’Asia,
e l’infinito, il mar del tuo naufragio.
(Marino Moretti)


 

Coro atto terzo "Da gli atrii muscosi" dell'"Adelchi"

Da gli atrii muscosi, dai fori cadenti
dai boschi, dall'arse fucine stridenti
dal solchi bagnati di servo sudor,
un volgo disperso repente si desta;
intende l'orecchio, solleva la testa,
percosso da novo crescente romor.

Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti,
qual raggio di sole da nuvoli folti,
traluce de' padri la fiera virtù;
ne' guardi, ne' volti confuso ed incerto
si mesce e discorda lo spregio sofferto
col misero orgoglio d'un tempo che fu.

S'aduna voglioso, si sperde tremante,
per torti sentieri, con passo vagante,
fra tema e desire s'avanza e ristà;
e adocchia e rimira scorata e confusa
de' crudi signori la turba diffusa,
che fugge dai brandi, che sosta non ha.

Ansanti li vede, quai trepide fère,
irsuti per tema le fulve criniere,
le note latèbre del covo cercar;
e quivi, deposta l'usata minaccia,
le donne superbe, con pallida faccia,
i figli pensosi pensose guatar.

E sopra fuggenti, con avido brando
quai cani disciolti, correndo, frugando,
da ritta, da manca, guerrieri venir:
li vede, e rapito d'ignoto contento,
con l'agile speme precorre l'evento,
e sogna la fine del duro servir.

Udite ! Quei forti che tengono il campo,
che ai vostri tiranni precludon lo scampo,
son giunti da lunge, per aspri sentier:
sospeser le gioie dei prandi festosi,
assursero in fretta dai blandi riposi,
chiamati repente da squillo guerrier.

Lasciâr nelle sale del tetto natio
le donne accorate, tornanti all'addio,
a preghi e consigli che il pianto troncò.
Han carca la fronte de' pésti cimieri,
han poste le selle sui bruni corsieri,
volaron sul ponte che cupo sonò.

A torme, di terra passarono in terra,
cantando giulive canzoni di guerra,
ma i dolci castelli pensando nel cor:
per valli petrose, per balzi dirotti,
vegliaron nell'arme le gelide notti,
membrando i fidati colloqui d'amor.

Gli oscuri perigli di stanze incresciose,
per greppi senz'orma le corse affannose,
il rigido impero, le fami durâr:
si vider le lance calate sui petti,
a canto agli scudi, rasente agli elmetti,
udiron le frecce fischiando volar.

E il premio sperato, promesso a quei forti,
sarebbe, o delusi, rivolger le sorti,
d'un volgo straniero por fine al dolor ?
Tornate alle vostre superbe ruine,
all'opre imbelli dell'arse officine,
ai solchi bagnati di servo sudor.

Il forte si mesce col vinto nemico,
col novo signore rimane l'antico;
l'un popolo e l'altro sul collo vi sta.
Dividono i servi, dividon gli armenti:
si posano insieme sui campi cruenti
d'un volgo disperso che nome non ha.
(Alessandro Manzoni)


Parodia coro Adelchi (Manzoni mi perdoni)

Dagli anni focosi, dai toni ruggenti
Dai circoli dotti a quelli scadenti
Dai seggi occupati da vile clamor
L'italica stirpe vieppiù si calpesta
Hai voglia di dire: -S'è persa la testa-
Nessuno l'intende, nessuno ha tremor.

Dai comodi scranni s'impipano molti
Si tratti di leggi, si tratti di morti.
Traspare evidente, se c'è una virtù
non è proprio quella accorata e sofferta
La dote civile che il probo concerta,
Ma quella di culi e di tette all'insù

S’aduna alle urne il volgo anelante
Oscure misure di lega imperante
Fa molta paura eppure ristà
E forte di cosca potente e diffusa
Dilaga la legge piegata ed ottusa
Che fugge dai giusti, che luce non ha.

Allocchi gasparri, musei delle cere
I glutei carfagni, le sante criniere
Canotti labiali di sant’ancheffar
E quivi gli sgarbi dall’ostica faccia
Le urla sbracate di pessima taccia
I poveri cristi da far azzittar.

Ed ora perdenti, si torcon sperando
Qual pezzi di merda ch'ancora fumando
Da tutte le parti vorranno aggredir.
Il popolo infine, il suo malcontento
Col voto l’esprime, se pure l’evento
è ancor difficile da stabilir

Udite! Le trombe minacciano il campo
E ai vili tiranni non lasciano scampo.
Che sono arcistufi d’antichi sentier
Sospendon le feste, ormai son furiosi
Sospendono gli ozi, son pronti e grintosi
Son giovani e vecchi novelli guerrier.

Non l'asserisco soltanto di mio
Lasciate la sala, vi diamo l’addio
Furfanti e cialtroni che il vile pompò
Con armi di massa, con tristi piaceri
Di consumismo gli artificieri
è giunta l’ora, per voi sonò.

Sarete affossati, col culo per terra
è tempo d’agire, faremo la guerra
A suon di pace, la legge in cor
Per valli e monti, per giorni e notti
Saremo desti, fuori i corrotti
Vogliamo leggi d’ogni decor.

Gli oscuri ceffi, le dame irose
I pecoroni, le indecorose
è tempo ormai di rincasar;
Pregiudicati dai sordidi aspetti
Sarete vinti dai vostri difetti
Udrete frecce fischiare e volar

E sorgeranno tutti quei morti
Che per nutrire i vostri conforti
Furono oggetto d’ogni dolor
Tornate pure alle vostre manfrine
Alle lordure delle latrine
Ai lordi comodi del disonor

Fede soltanto sarà l’amico
Sciolinatore di slappo antico.
Col nuovo ardore ormai ci sta
Coscienza d’uomini intelligenti
Stanchi di porci e di delinquenti
Desiderosi di libertà.
(Cristina Bove)



Egoismo e carità
Odio l’allor, che, quando alla foresta
le novissime fronde invola il verno,
ravviluppato nell’intatta vesta
                            verdeggia eterno,

pompa de’ colli; ma la sua verzura
gioia non reca all’augellin digiuno;
ché la splendida bacca invan matura
                           non coglie alcuno.

Te, poverella vite, amo, che quando
fiedon le nevi i prossimi arboscelli,
tenera, l’altrui duol commiserando
                              sciogli i capelli.

Tu piangi derelitta, a capo chino,
sulla ventosa balza. In chiuso loco
gaio frattanto il vecchierel vicino
                          si asside al foco.

Tien colmo un nappo; il tuo licor gli cade
nell’ondeggiar del cubito sul mento;
poscia floridi paschi ed auree biade
                            sogna contento.
(Giacomo Zanella)

Egoismo e carità
Odio l’alloro, che, quando il gelido vento (verno)
strappa alle piante le ultime foglie,
raccolto nella chioma intatta
                                      è sempre verde,

sfarzo delle colline; ma il suo fogliame
non porta cibo (gioia) all’uccellino digiuno;
poiché la splendida bacca inutilmente matura
                                             nessuno coglie.

Amo te, poverella vite, che quando
la neve colpisce i piccoli alberi vicini,
tenera, compiangendo il dolore degli altri
                                   abbassi i tralci (sciogli i capelli).

Tu piangi, abbandonata, a capo chino,
sulla balza battuta dal vento. In un posto sicuro
frattanto il vecchietto allegro si siede
                                                vicino al fuoco.

Ha in mano una coppa piena; il tuo liquore gli cade,
nell’ondeggiare del gomito, sul mento;
poi pascoli fiorenti e messi d’oro (campi di grano)
                                               sogna contento.
(Traduzione: Lorenzo De Ninis)


Giosuè Carducci elogiò la saffica dello Zanella, definendola degna d’Orazio e dei lirici greci, ma qualche anno dopo si divertì (a me pare) a prenderlo in giro.


Colloqui con gli alberi
Te che solinghe balze e mesti piani
ombri, o quercia pensosa, io più non amo,
poi che cedesti al capo de gl’insani
eversor di cittadi il mite ramo.

Né te, lauro infecondo, ammiro o bramo,
che menti e insulti, o che i tuoi verdi e strani
orgogli accampi in mezzo al verno gramo
o in fronte a calvi imperador romani.

Amo te, vite, che tra bruni sassi
pampinea ridi, ed a me pia maturi
il sapiente de la vita oblio.

Ma più onoro l’abete: ei fra quattr’assi,
nitida bara, chiuda al fin li oscuri
del mio pensier tumulti e il van desio.
(Giosuè Carducci)

Colloqui con gli alberi
Te, che balze solitarie e tristi pianure
copri d’ombra, o quercia pensosa, io più non amo,
dopo che concedesti il mite ramo al capo
dei violenti distruttori di città.

Né te, o alloro sterile, ammiro o desidero,
che menti e insulti, o che le tue verdi e strane
foglie (orgogli) ostenti in mezzo allo squallido inverno
o sulla fronte di calvi imperatori romani.

Amo te, vite, che tra scuri sassi
ridi ricca di pampini, e pietosa per me maturi
il saggio oblio della vita (il vino).

Ma più onoro l’abete: esso fra quattr’assi,
bara rifinita, chiuda alla fine i dubbiosi
tumulti e il vano desiderio del mio pensiero.
(Traduzione: Lorenzo De Ninis)



O Sirmione, delle penisole e delle isole
O Sirmione, delle penisole e delle isole
pupilla, quante nei limpidi laghi
e nel vasto mare l'uno e l'altro Nettuno regge,
quanto volentieri e gioioso ti rivedo!
Stento a credere d'aver abbandonato la Tinia
e i campi bitini e sereno poterti rivedere.
O che c'è di più dolce se, liberi dagli affanni,
quando l'animo depone il suo peso, e stanchi
per il faticoso viaggio, giungiamo alla nostra casa
e possiamo riposare nel sospirato letto?
Questa è l'unica ricompensa dopo tante fatiche!
Salve, bella Sirmione, e fa' festa al tuo padrone;
e voi gioite, o lidie onde del lago:
ridete, quanti sorrisi siete in casa!
(Catullo, Carmina, XXXI; traduzione di L. De Ninis)

Imitazione, da Catullo
pupilletta delle isole, Sirmione,
e penisole, che in laghetto limpido
o in mare magno reggono i Nettuni,
che gioia, che goduria, a rivederti!
non mi credo a me stesso, io, che ho piantato
Tinia e Bitinia, e ti contemplo in pace:
liquidata ogni rogna,è il supergaudio,
che mi svuoto la testa, che mi scarico,
stanco degli intertours, qui, a casa mia,
stravaccato in quel letto che sognavo:
questo è il vero compenso a tante croci!
bella Sirmione mia, ciao, fammi festa:
fatemi festa, etrusche onde lacustri:
a me, il fou rire più grosso che ci avete!
(Edoardo Sanguineti, Poesie fuggitive)



S’i’ fosse foco, ardere’ il mondo
S’i’ fosse foco, ardere’ il mondo;
s’i’ fosse vento, lo tempestarei;
s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;
s’i’ fosse Dio, mandereil en profondo;
 
s’i’ fosse papa, serei allor giocondo,
ché tutti ’cristiani embrigarei;
s’i’ fosse ’mperator, sa’ che farei?
a tutti mozzarei lo capo a tondo.
 
S’i’ fosse morte, andarei da mio padre;
s’i’ fosse vita, fuggirei da lui:
similemente faria da mi’ madre.
 
S’i’ fosse Cecco com’i’ sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
le vecchie e laide lasserei altrui.
(Cecco Angiolieri)

L'aggiornamento del Cecco
S'i' fosse foco, scrivea lo Cecco
che distrugger volea la terra intera.
Le su' invettive aggiornar io spera
Pur se di lesa maestà i' pecco.

S'i' fosse Silvio, chiuderei lo becco
Che vergognare fò l'Italia intera
S'i' fosse Fede del tigiquattro sera
Laverei mia lingua, che fin troppo lecco.

Una cosa sol rimane uguale
Che pur nei secoli mutar non puote
S'i' fosse Mario, ed io son cotale,

con le scarselle mie da sempre vuote
le donne belle approcciar non vale,
che null'altro che l'or reputan dote.
(Mario Malgieri)



Il trionfo di Bacco e Arianna
Quant'è bella giovinezza,
che si fugge tuttavia!
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.

Quest'è Bacco e Arianna,
belli, e l'un dell'altro ardenti:
perché 'l tempo fugge e inganna,
sempre insieme stan contenti.
Queste ninfe ed altre genti
sono allegre tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.

Questi lieti satiretti,
delle ninfe innamorati,
per caverne e per boschetti
han lor posto cento agguati;
or da Bacco riscaldati,
ballon, salton tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.

Queste ninfe anche hanno caro
da lor esser ingannate:
non può fare a Amor riparo,
se non gente rozze e ingrate:
ora insieme mescolate
suonon, cantan tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.

Questa soma, che vien drieto
sopra l'asino,è Sileno:
così vecchio è ebbro e lieto,
già di carne e d'anni pieno;
se non può star ritto, almeno
ride e gode tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.

Mida vien drieto a costoro:
ciò che tocca, oro diventa.
E che giova aver tesoro,
s'altri poi non si contenta?
Che dolcezza vuoi che senta
chi ha sete tuttavia?
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.

Ciascun apra ben gli orecchi:
di doman nessun si paschi;
oggi siàn, giovani e vecchi,
lieti ognun, femmine e maschi;
ogni tristo pensier caschi;
facciam festa tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia
di doman non c'è certezza

Donne e giovinetti amanti,
viva Bacco e viva Amore!
Ciascun suoni, balli e canti!
Arda di dolcezza il core!
Non fatica, non dolore!
Quel c'ha a esser, convien che sia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.
(Lorenzo il Magnifico)

Il trionfo di Pippo e Giovanna
Quant'è bella la vecchiezza
che si fugge eccosì sia!
Chi vuol essere nonno, sia
di pension non c'è certezza.

Quest'è Pippo e la Giovanna
vecchi, e l'un è senza li denti.
mentre l'altra il tempo inganna
coi merletti, e son contenti,
'sti vegliardi un po' dementi
sono allegri tuttavia
Chi vuol essere nonno, sia
di pension non c'è certezza.

Paion lieti 'sti vecchietti
e son pure innamorati
Ma le frasche ed i boschetti
dove stettero allupati
oramai si son scordati
non san più che cosa sia.
Chi vuol essere nonno, sia
di pension non c'è certezza.

Le nonnine anche hanno caro
dai nonnetti esser amate:
lor quattrin fan buon riparo
dalle banche e le lor rate
ché lo mutuo e le derrate
fan paura, mamma mia.
Chi vuol essere nonno, sia
di pension non c'è certezza.

Pippo dice, ed è un po' inquieto
al suo coso un poco alieno:
Quando io sono ebbro e lieto
che di voglia sembro pieno,
se non puòi star ritto, almeno
fai pipì, per cortesia.
Chi vuol essere nonno, sia
di pension non c'è certezza.

Folla vien drieto a costoro
ciò che han, d'altri diventa.
E che giova aver tesoro,
s'altri poi non si contenta?
Truffator pietà non senta
e che gli or si porti via.
Chi vuol essere nonno, sia
di pension non c'è certezza.

Ciascun apra ben gli orecchi:
di doman nessun si paschi;
oggi siàn, nonnine e vecchi,
lieti ognun, femmine e maschi;
ogni tristo pensier caschi;
facciam festa tuttavia.
Chi vuol essere nonno, sia
di pension non c'è certezza.

Or vi vo' tutti esultanti:
c'è Viagra, evviva Amore.
Ciascun fotta, e siano tanti
a rinverdir l'antiche ore!
E s'infarto prende il core
quel c'ha esser, convien che sia
Chi vuol esser nonno, sia:
di pension non c'è certezza.
(Mario Malgieri)


 
Crin d'oro crespo e d'ambra tersa e pura,
ch'a l'aura su la neve ondeggi e vole,
occhi soavi e più chiari che 'l sole,
da far giorno seren la notte oscura,

riso, ch'acqueta ogni aspra pena e dura,
rubini e perle, ond'escono parole
sì dolci, ch'altro ben l'alma non vòle,
man d'avorio, che i cor distringe e fura,

cantar, che sembra d'armonia divina,
senno maturo a la più verde etade,
leggiadria non veduta unqua fra noi,

giunta a somma beltà somma onestade,
fur l'esca del mio foco, e sono in voi
grazie, ch'a poche il ciel largo destina.
(Pietro Bembo)

Sonetto alla sua donna
Chiome d'argento fino, irte e attorte
senz'arte intorno ad un bel viso d'oro;
fronte crespa, u' mirando io mi scoloro,
dove spunta i suoi strali Amor e Morte;

occhi di perle vaghi, luci torte
da ogni obietto diseguale a loro;
ciglie di neve, e quelle, ond'io m'accoro,
dita e man dolcemente grosse e corte;

labra di latte, bocca ampia celeste;
denti d'ebeno rari e pellegrini;
inaudita ineffabile armonia;

costumi alteri e gravi: a voi, divini
servi d'Amor, palese fo che queste
son le bellezze della donna mia.
(Francesco Berni)

Capelli biondi ondulati, con riflessi d'ambra limpida e pura,
che al vento ondeggiano e volano sulla neve,
occhi dolci e più luminosi del sole,
capaci di rendere giorno sereno la notte scura,

riso, che calma ogni pena aspra e dura,
labbra (rubini) e denti (perle) da cui escono parole
così dolci, che altro bene l'anima non desidera,
mano candida, che i cuori stringe e ruba,

cantare, che sembra armonia divina,
saggezza di persona matura già da giovanissima,
grazia non vista mai fra noi,

congiunta alla massima bellezza la massima onestà,
furono l'esca del mio amore, e in voi vi sono
qualità, che il cielo generoso a poche donne dà in sorte.
(Traduzione di Lorenzo De Ninis)

Sonetto alla sua donna
Capelli bianchi, ispidi e attorcigliati
disordinatamente intorno ad un bel viso giallastro;
fronte increspata di rughe, dove guardando io impallidisco,
dove Amore e Morte hanno le frecce inefficaci (senza punta);

occhi bianchi strabici, occhi storti
a cui ogni oggetto giunge diseguale alla vista;
ciglia bianche come la neve, e quelle, per cui mi tormento,
dita e mani dolcemente grosse e corte;

labbra bianche come il latte, bocca ampia come il cielo;
denti neri come ebano, pochi e ballerini;
inaudita ineffabile armonia;

atteggiamenti fieri e posati: a voi,
servi del dio Amore, rendo noto che queste
sono le bellezze della donna mia.
(Traduzione di Lorenzo De Ninis)



Il più bello dei mari
Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l'ho ancora detto.
(Nazim Hikmet)

Il più bello di
Il più bello dei fiori
è quello che non raccogliesti
Il più bello dei nostri sentimenti
non è ancora cresciuto
I nostri discorsi più belli
non li abbiamo ancora detti
E quello
che vorrei chiederti di più bello
non lo saprai mai.
(Liliana Lorenzi)



Ho quasi paura
Ho quasi paura, in verità,
tanto sento la mia vita allacciata

al pensiero radioso
che l' anima mi ha preso l' altra estate,

tanto la tua sempre cara immagine
abita in questo cuore tutto tuo,

questo mio cuore soltanto bramoso
di amarti e di piacerti!
Io tremo - e tu perdona
la mia estrema franchezza -

se penso che un sorriso, una parola
da parte tua son legge ormai per me,

e che ti basterebbe un solo gesto,
una parola, un battito di palpebre,

per chiudere il mio essere nel lutto
della sua celeste illusione.
(Paul Verlaine)

Ho quasi freddo
Ho quasi freddo, in verità,
tanto sento la mia vita percorsa da un brivido

al pensiero del tepore
che il corpo mio ha preso quest' estate,

tanto il caldo ricordo del sole
resta in questo mio corpo intorpidito,

questo mio corpo soltanto bramoso
di sentirti e farsi riscaldare!
Io tremo - e tu perdona
la mia estrema franchezza -

se penso che un raggio anche debole
da parte tua sono ambiti ormai per me,

e ti basterebbe farti largo tra le nuvole,
uno spiraglio, un aiuto del vento,

per illuminare il mio essere nel calore
della sua celeste energia.
(Liliana Lorenzi)



Bambini
Bambino,
se trovi l'aquilone della tua fantasia
legalo con l'intelligenza del cuore.
Vedrai sorgere giardini incantati
e tua madre diventerà una pianta
che ti coprirà con le sue foglie.
Fa delle tue mani due bianche colombe
e portino la pace ovunque
e l'ordine delle cose.
Ma prima di imparare a scrivere
guardati nell'acqua del sentimento.
(Alda Merini)

Bambini
Bambino
Se trovi l'aquilone a brandelli
incollalo con intelligenza
Vedrai che tornerà come nuovo, così
tua madre non diventerà una furia
e non ti coprirà di legnate con il suo randello
E semmai se n'accorgesse, fa delle tue mani uno scudo
e proteggiti ovunque
e ti salverai delle parti
Ma prima d'imparare a difenderti
guardati intorno e cerca di non combinare guai.
(Liliana Lorenzi)



Sogno
Per un attimo fui nel mio villaggio,
nella mia casa. Nulla era mutato.
Stanco tornavo, come da un viaggio;
stanco, al mio padre, ai morti ero tornato

Sentivo una gran gioia, una gran pena
Una dolcezza ed un’angoscia muta.
-Mamma?- E’ là che ti scalda un po’ di cena-
Povera Mamma! E lei, non l’ho veduta.
(Giovanni Pascoli)

Sogno di dissacrare Pascoli
Per un attimo fu lì, lo scarafaggio,
nella mia casa. Tutto ero sudato
fresco cercavo in frigo un beveraggio;
ratto, sotto ‘l pi è l’ho posto e spiaccicato.

Sentivo una gran gioia, una gran pena
un trionfar ed un’angoscia muta
-Mamma, finito che hai di scaldar la cena
una spazzata no? Che, sei ancor bevuta?!-
(Mario Malgieri)



Gli amici le portano un albero di Natale
Perdona grande nemica,
Senza pensiero irato
Abbiam portato l’albero,
E qui e lì comprato
Per adornare ogni ramo,
E lei dal letto rimiri
Cose graziose che rallegrino
Una fantasiosa mente.
Un po’ di grazia donale
Anche se un occhio ridente
Ha spiato il tuo volto –
Che muore.
(William Butler Yeats)

Dissacrazione del male
Perdona povera donna
Senza pensare al danno
Abbiamo portato delle candele,
E qui e lì le abbiamo posate
Per addobbare ogni angolo della tua camera,
E tu dal letto osservi
Lingue infuocate che pèrdono ancor più
la tua folle mente.
Pensavamo che un po' di senno ti avrebbero donato
Anche se il nostro sguardo irriverente
Sbirciava il tuo volto -
che vagava nel niente.
(Liliana Lorenzi)



Rose
Mi cammini dentro,
moglie nuda,
come la mia anima.

E, con te, il mio corpo
è come una lunga galleria magica,
che sbuca in un mare soleggiato senza nessuno.
(Juan Ramon Jimenez)

Iella
Mi cammini dentro
bacillo irriverente
e prenderai anche la mia anima

E, con te, il mio corpo
è come una lunga trincea
che sbuca al centro della terra arroventato con chi l'ha meritato.
(Liliana Lorenzi)



Dicono?
Dicono?
Dimenticano.
Non dicono?
Hanno detto.

Fanno?
E' fatale.
Non fanno?
E' uguale.

Perché
aspettare?
- Tutto è
sognare.
(Fernando Pessoa)

Tacciono?
Tacciono!
Ricordano.
Non tacciono?
Hanno taciuto.

Non fanno?
E' reale.
Fanno?
E' uguale.

Perchè
procedere?
-Tutto è
sognare.
(Liliana Lorenzi)



Paris at night
Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte
Il primo per vederti tutto il viso
Il secondo per vederti gli occhi
L'ultimo per vedere la tua bocca
E tutto il buio per ricordarmi queste cose
Mentre ti stringo fra le braccia
(Jacques Prévert)
 

Pisa di notte
Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte
Il primo per accendermi una sigaretta
Il secondo perché il vento aveva spento il primo
Il terzo per guardare se quell'auto che sta arrivando
verso di me,è la tua auto.
E tutto il buio per ricordarmi che la vita è nella luce.
Mentre cammino da sola
(Liliana Lorenzi)



Grande cosa è l'amicizia
e quanto sia veramente grande
non lo si può esprimere a parole,
ma soltanto provare.
(Giovanni Crisostomo)

Grande cosa è l'amore
e quanto lo sia
non si può dire con la voce
ma con l'esempio.
(Liliana Lorenzi)



Il Paradiso non è più lontano
Il Paradiso non è più lontano
della camera accanto -
se in quella camera un amico attende
felicità o rovina.
che forza c'è nell'anima
che riesce a sopportare
l'accento di un passo che si appressa -
una porta che si apre.
(Emily Dickinson)


La fama è un'ape
Ha un canto
e un pungiglione
Ah, ma anche le ali.
(Emily Dickinson)


L'Inferno non è così lontano
L'Inferno non è così lontano
da quella porta socchiusa
sulla stanza del peccato che t'attende
e ti lascerà rimorsi o gioia
La forza dell'anima è davvero grande per sopportare
il rumore del passo
che là dentro
ti trascina.
(Liliana Lorenzi)


La fama è una mela
Ha una polpa dolcissima
e una buccia colorata.
Ah, ma ci puoi trovare il verme.
(Liliana Lorenzi)



La chiocciola
Viva la Chiocciola,
Viva una bestia
Che unisce il merito
Alla modestia.
Essa all'astronomo
E all'architetto
Forse nell'animo
Destò il concetto
Del canocchiale
E delle scale:
-------------Viva la Chiocciola
-------------Caro animale.

Contenta ai comodi
Che Dio le fece,
Può dirsi il Diogene
Della sua spece.
Per prender aria
Non passa l'uscio;
Nelle abitudini
Del proprio guscio
Sta persuasa,
E non intasa:
------------Viva la Chiocciola
------------Bestia da casa.

Di cibi estranei
Acre prurito
Svegli uno stomaco
Senza appetito:
Essa sentendosi
Bene in arnese.
Ha gusto a rodere
Del suo paese
Tranquillamente
L'erba nascente:
---------------Viva la Chiocciola
---------------Bestia astinente.

Nessun procedere
Sa colle buone,
E più d'un asino
Fa da leone.
Essa al contrario,
Bestia com'è,
Tira a proposito
Le corna a sé;
Non fa l'audace,
Ma frigge e tace:
----------------Viva la Chiocciola
----------------Bestia di pace.

Natura, varia
Ne' suoi portenti,
La privilegia
Sopra i viventi,
Perché (carnefici
Sentite questa)
Le fa rinascere
Perfin la testa;
Cosa mirabile
Ma indubitabile:
---------------Viva la Chiocciola
---------------Bestia invidiabile.

Gufi dottissimi
Che predicate
E al vostro simile
Nulla insegnate;
E voi, girovaghi,
Ghiotti, scapati,
Padroni idrofobi,
Servi arrembati,
Prego a cantare
L'intercalare:
--------------Viva la Chiocciola
--------------Bestia esemplare.
(Giuseppe Giusti)


La passera
Viva la passera,
una bestiola,
ch'è disdicevole
lasciare sola.
Essa a un filologo,
qual l'Aretino,
diede lo spunto,
pungente e fino,
degli epigrammi,
nei Suoi programmi.
------------------Viva la passera:
----------------- felice fammi.

Sempre pacifica,
sempre graziosa,
essa è un volatile:
razza preziosa.
Per prender aria
ella apre l'uscio:
ospitalissima,
t'offre il suo guscio.
E, poi, si scusa
quando sta chiusa.
--------------Viva la passera,
--------------al gusto adusa.

Di corpi estranei
non ha prurito;
anzi ha uno stomaco
pien d'appetito.
Occorre dirglielo:
è un grande arnese;
le piace accogliere
quelle pretese
dell'altro sesso,
se ciòè permesso.
-----------------Viva la passera;
-----------------va detto spesso.

Suole concedersi
con tutta grazia
a chi lo merita:
non è mai sazia.
Per altro verso,
credete a me,
fa la difficile:
spesso lo è
con i cafoni
e i marcantoni.
-------------Viva la passera,
-------------dai giusti toni.

Varia natura
nei suoi begli anni,
lei privilegia
quei dongiovanni
che non nascondono
i loro intenti,
ma senza essere
dei prepotenti.
Cosa mirifica;
e ciò significa:
------------ Viva la passera
-------------bestia munifica.

Colombi inutili
che scacacciate
e in tutti i vicoli
sempre sporcate;
e voi castissimi,
tetri guardoni,
sepolcri pallidi
delle nazioni,
prego a cantare
l'intercalare:
-----------Viva la passera
-----------bestia esemplare
(Antonio Fabi)



S’i’ fosse foco, ardere’ il mondo
S’i’ fosse foco, ardere’ il mondo;
s’i’ fosse vento, lo tempestarei;
s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;
s’i’ fosse Dio, mandereil en profondo;
 
s’i’ fosse papa, serei allor giocondo,
ché tutti ’cristiani embrigarei;
s’i’ fosse ’mperator, sa’ che farei?
a tutti mozzarei lo capo a tondo.
 
S’i’ fosse morte, andarei da mio padre;
s’i’ fosse vita, fuggirei da lui:
similemente faria da mi’ madre.
 
S’i’ fosse Cecco com’i’ sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
le vecchie e laide lasserei altrui.
(Cecco Angiolieri)


Parafrasi
Se fossi vento un gran girotondo
di turbini e tifoni ora farei,
per attirare l'attenzion di lei
e il mio destro per colmare a fondo.

S'io fossi venticello puro e mondo,
in ogni caso la corteggerei,
anche sfidando l'ira degli dei,
anche reggendo insopportabil pondo.

S'io fossi auretta di quelle leggiadre
io vorrei esser lo stesso il suo lui,
anche compiendo le azioni più ladre.

S'io fossi Rullo, come sono e fui,
di belle donne vorrei tante squadre
per rallegrare i giorni miei più bui.
(Antonio Fabi)



La morte del passero
 Piangete Veneri, piangete Amori,
e chiunque abbia un animo gentile.
è morto il passero della mia donna,
il passero, gioia della mia donna,
che lei più dei suoi occhi amava:
era tutto miele, e la conosceva
come una bimba conosce la madre,
e dal suo seno mai si distaccava,
ma saltellando qua e là
solo per lei pigolava.
Ma adesso va per il cammino oscuro,
da cui, si dice, non torni più nessuno.
Maledizione a voi, tenebre cattive,
che ogni cosa bella divorate:
un amor di passero avete annientato.
Fatto orrendo! Passero infelice!
Per causa tua la mia donna piange,
e gli occhi belli sono rossi e gonfi.
(Catullo, carme 3)


La morte del fagiano
Godete Bacchi, godete Luculli,
e chiunque abbia un gran appetito.
è morto il fagiano della mia donna,
il fagiano, gioia della mia donna,
che lei più del porco amava:
era dolce come il miele, e la conosceva
come una bimba conosce la madre
e dal suo seno mai si distaccava,
ma girando su e giù
ora solo per lei arrostisce.
Adesso va per il forno oscuro,
da cui, si dice, non torni più nessuno.
Benedizione a voi, meravigliose cucine,
che ogni cosa buona servite:
un amor di fagiano avete cucinato.
Fatto splendido! Fagiano saporito!
Per causa tua la mia donna beve,
e gli occhi belli sono rossi e brilli.
(Francesca Rigiroli)


 

Il bove
T'amo, o pio bove; e mite un sentimento
di vigore e di pace al cor m'infondi,
o che solenne come un monumento
tu guardi i campi liberi e fecondi,

o che al giogo inchinandoti contento
l'agil opra de l'uom grave secondi:
ei t'esorta e ti punge, e tu co 'l lento
giro de' pazienti occhi rispondi.

Da la larga narice umida e nera
fuma il tuo spirto, e come un inno lieto
il mugghio nel seren aer si perde;

e del grave occhio glauco entro l'austera
dolcezza si rispecchia ampio e quieto
il divino del pian silenzio verde.
(Giosuè Carducci)

Tavorando sul Carducci o Carducciando sul Tavor???
T'amo, o pio Tavor:
E mite un sentimento
D'impotenza e di pace al cor m'infondi,
O che dormiente come dopo uno sfinimento
Tu guardi i nervosi gangli liberi e tremebondi,
O che tra neuroni insinuandoti contento
L'ansia de l'uom grave ascondi:
Ei t'asporta e ti sugge, e tu co 'l lento
Giro de' diazepinici occhi rispondi.
Da la larga matrice secca e sferica
Partono oppiacei lontani ricordi,
e come un inno lieto
Il furor primo nel rasserenato aer si perde;
Timoroso ti vedo di calar in eccesso la palpebra
del già glauco occhio da notti insonne.
Dolcezza mi offri lorazepam mio
e quieto e ampio
mi conduci teco all'antico pian silenzio verde.
Vedo già da lungi il cipresso austero...
del paese mio il cimitero.
(Acquaviva)


La partenza del Crociato
Passa un giorno, passa l'altro
mai non torna il prode Anselmo,
perché egli era molto scaltro
andò in guerra e mise l'elmo…

Mise l'elmo sulla testa
per non farsi troppo mal
e partì la lancia in resta
a cavallo d'un caval.

La sua bella che abbracciollo
gli di è un bacio e disse: Và!
e poneagli ad armacollo
la fiaschetta del mistrà.

Poi, donatogli un anello
sacro pegno di sua fè
gli metteva nel fardello
fin le pezze per i pi è.

Fu alle nove del mattino
che l'Anselmo uscì bel bel
per andare in Palestina
a conquidere l'Avel.

Come fu sul bastimento
ben gli venne il mal di mar
ma l'Anselmo in un momento
mise fuori il desinar.

La città di Costantino
nello scorgerlo tremò;
brandir volle il bicchierino
ma il Corano lo vietò.

Pipe, sciabole, tappeti,
mezze lune, jatagan,
odalische, minareti,
già imballati avea il sultan.

Quando presso i Salamini
sete ardente incominciò
e l'Anselmo coi più fini
prese l'elmo e a bere andò.

Ma nell'elmo, il crederete?
c'era in fondo un forellin
e in tre dì morì di sete
senza accorgersi il tapin.
Giovanni Visconti-Venosta

La partenza di Vanni
Passa un giorno passa un mese
Più non torna il nostro Vanni
Perché egli era assai cortese
E per'altro dongiovanni

La sua fede nella tasca
Per non farsi scanagliar
E del vino nella fiasca
Per potere poi brindar

La sua bella che scopallo
Gli di è un bacio e disse: Và!
Ma ritorna senza fallo
Io t'aspetto sempre quà!

Poi gli dona la sua foto
Fatta a busto tutt'intero
E le chiavi della moto
Con l'umore molto nero

Fu al mattino molto presto
Che Giovanni partì solo
Con la scusa ed il pretesto
Di partir col boscaiolo

Ma già fuori la contrada
Ben gli venne un grande sfizio
D'imboccare l'autostrada
Per cercare un orifizio

La città di Candelore
Nello scorgerlo tremò
Sono molte le signore
Pronte a ceder per un po'

Sete, trine e poi merletti
Belle maglie e gonne a balze
Rimmel fard e poi rossetti
Molte donne in reggicalze

Quando presso i Candelesi
Voglia ardente cominciò
Decantando i suoi arnesi
Le sue mire palesò

Ma le donne, il crederete
Non ne vollero saper
"o signore a che alludete?
Voi non siete un gran trombeur!"

Passa un mese passa un anno
Ma Giovanni non rincasa
Alla moglie fè un gran danno
Chè da rabbia fu pervasa

L'amor proprio fu ferito
Sulla moto senza casco
Corre ancora inviperito
Perché invero fece fiasco
Pia Barletta


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