Poesie di Gerardo Di Pietro


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Pasqua
Dal profumo mi pare
che è primavera.
La vedo sul cavallo giallo
spandere la polvere d’oro.
Dai pigolii insistenti
nei nidi
accolgo il richiamo
di vita.
Le campane a stormo
chiamano
il Cristo Risorto.
che s’è nascosto
tra gli uomini ignari.

Mene, tekel, peres
Se dalle viscere profondo
s’alza il grido
contro l’ingiustizia,
fermalo nella strozza
che nessuno
potrà mai capirti.
Subdoli sono gli uomini
che strisciano intorno
ai piedi dei potenti,
e il rombo dei tuoni
è lontano:
non verrà ancora
il temporale promesso.
Covi di cimici immondi
tengono prigionieri
pupazzi rimbecilliti
che non sanno opporsi
alle cerimonie
finte e agli onori
immeritati.
Il fischio del giullare
li eccita alla danza
ma se unisci tutti i punti
con le linee
vedrai nitida la figura isoscele.

Esseri immondi
rimangono immondi
anche se coronati
di fronde di quercia e d’alloro.
T’afferri a quel raggio di luce
e lo segui sperando
di vincere il buio,
ma è notte, notte fonda,
il destino è già segnato
con la nera caligine
della morte.
Medita su ciò che fu,
piangi su ciò che sarà,
ma le tue lacrime
non causano diluvi
né torrenti impetuosi,
fluiscono
come placidi rivoli
verso il mare dell’avvenire
che tutto raccoglie,
ma niente mostra,
che porta in sé la speranza
e la disperazione,
la risurrezione
e la morte.
I troni sono effimeri,
le luci incerte e ingannevoli
nei giri viziosi delle menti
si acclama Barabba,
ma già la mano scrive sulla parete
il: mene, tekel, peres.

La Sacra Sindone
Un lino pietoso di morte
depositario
d’effigie di martirio.
Involucro di acerbi
dolori
d’un Dio
ucciso dagli
uomini
che non lo riconobbero.

Uomo-statua
Tu non puoi mostrare l’affanno;
mille occhi ti vogliono
statua indolore;
in bilico
tra grido e lacrime
rimani
freddo marmo.

Sul lago di Brienz
Silente la sera
palpitante di vita invisibile.
Quando il nero della notte
si scambierà nella luce
dell’acqua,
si immergerà
la luna nel lago.

Un fragile velo
Fragile quel velo di pane,
imbevuto di Cristo
che entra nei cuori
di chi crede in lui.
Ulula il vento,
le porte sferruginanti
trattengono appena
l’assalto del mondo
contro la Fede.
Cristo è in me,
Egli è con me,
io sono al riparo
di quel fragile velo di pane.

Simulacri
Propilei di templi sconsacrati,
simulacri d’eleganza,
reggono ai danni
del tempo che passa.
Come lanugine al vento
vola la bellezza,
vanità d’un attimo.

Stanchezza
O tubare di colombe
sopra gli embrici del tetto,
o stridìo di rondini
nel cielo di cobalto!
Le vostre teste marciscono
nei campi avvelenati,
all’ombra grama
di alberi sfrondati.
Il fanciullo ignaro
lo smog respira
vedo passare una nuvola
e un fringuello dormire,
col capo reclinato
insieme alla prole
ché non trova più cibo
nella terra che muore.
Stanca è la terra
forzata dall’uomo
che le toglie la lena.
Le passano addosso
i millenni in un anno.

Ricerca del passato
Tra i papaveri appassiti
cerchi
il rosso
della tua primavera.
Acacie
profumate
l’olezzo
richiama il dolce
nella bocca
e sapore di terra
bagnata
da improvviso
diluvio d’estate.
Il serpe che striscia
ti distrae.

Odore del tempo
Il gelsomino bianco
è carico di anni
lontani;
Il Corpus Domini
odora di petali
tra schiere di
vestitini e animucce
bianche.

Mitomane
Milioni erano le tue penne
quando sognavi
di avere le ali
di Icaro.
S’afflosciarono al sole
prima che il tuo sogno
finisse
nel tragicomico.

Frühlings Stimmen Walzer
(Il valzer delle voci di primavera)

Il profumo di tutti i fiori
olezzava nell’aria
e miriadi di farfalle
volavano.
Leggera spirava
l’aria nella sera
tiepida d’estate.
Da una finestra aperta
Strauss suonava per me
il Frühlings Stimmen Walzer.

Ai figli degli emigrati
Voi non ascoltaste il frinire delle cicale
sugli alberi d‘acacia, nei pomeriggi roventi,
distesi nella polvere delta strada senza gente.
Voi non udiste, nelle notti stellate gorgheggiar l’usignolo
e cantare i grilli sotto la luna d’argento d’agosto,
e non vedeste le donne, in crocchio sedute,
snocciolare i chicchi del granturco
e raccontare le storie passate.
E cadevano le messi di luglio dorate
sotto la falce dei mietitori,
che l’univano in manipoli,
l’arsura placando al cannello
della fiasca di vino morrese.
E dalle stoppie bruciate saliva l’allodola
trillando nel cielo azzurro del mattino,
e le bisce strisciavano sibilando
tra l’erba alta vicino al pantano.
E non sedeste intorno al ceppo nel focolare
a mirar le faville
e ad ascoltare i paurosi racconti di fantasmi
mentre fuori infuriava la bufera.
E non rincorreste, selvaggiamente liberi,
lucertole e farfalle
raccogliendo i fiori nei campi rossi di papaveri.
Non foste ricchi di sole e di vento, d’aria e di luce
e di vasti orizzonti
degli agresti profumi di erbe e di fiori che natura creava.
E non udiste il rombo del torrente,
gonfio e minaccioso dopo la pioggia violenta,
separare la campagna dal paese, senza possibilità di guado.
E non vedeste il contadino
aggrappato alla coda dell’asino fedele,
seguirlo cantando alla sua masseria,
al termine della domenicale libagione.
E tra il fango delle strade si viveva i momenti fuggenti
della vita, or divenuti ricordi,
e dall’alto del colle scrutavamo orgogliosi
l’orizzonte lontano, che era la fine del nostro mondo.
Voi non vedeste i vostri genitori
incamminarsi sulla via senza ritorno
e dimenticare la loro fanciullezza.
Voi non vedeste tutte le cose
che rendevano bello il vostro paese:
come potete amarlo?

Il cimitero vuoto
Il lago riluce sotto
il sole di luglio,
svaniscono i monti azzurrognoli
nell’orizzonte lontano,
nella foschia della canicola
le rondini stridono
garreggiando divorando a volo gli insetti.
Il vento caldo sferza gli alberi,
e il triste cimitero
di case nuove, vuote
di gente e di ricordi,
mura fredde, che mai hanno
ascoltato le grida gioiose
di un bimbo, e la ninnananna
di una mamma,
che mai hanno asciugato
il sudore dell’uomo,
stanco dal lavoro dei campi.
Case dove non c’è più
l’ultimo respiro degli antenati,
dove mura di cemento
schermano ogni ricordo.
Una muta di bavosi cani randagi
scende per la strada
con la lingua penzoloni,
tra le mura nuove
del cimitero abbandonato.

Sospiri
Il sole brucia la pelle
bruna del contadino.
Tormento di messi
schiacciate
nel rumore infernale
di un motore.
Il vecchio
guarda la falce
arrugginita,
non canta più
e sospira

Senza meta
Volo come un airone
con le gambe troppo lunghe
distese dietro la coda.
Volo in cerca dell’acqua
della vita che non trovo,
verso un fiume che non scorre,
a caccia di pesci
che non esistono;
facile preda
di cacciatori
senza scrupoli.

Attesa
Ho seminato nell’arida terra
semi nuovi non conosciuti;
li hanno bagnati
le lacrime del sacrificio,
li ha riscaldati il sole della speranza.
Nel deserto sabbioso
attendo invano la notte
trapunta di stelle
che farà germogliare
per un solo istante
i fiori della vita nuova
al chiarore argenteo della luna.

Crocifissi
Urli di dolore da corpi crocefissi,
tormentati da tempeste di odio,
spilli acuminati
trafiggono le mani, come spine di rose
sbocciate nel sangue
che sgorga con mille dolori.
In preda di angeli caduti
che soffiano nei cuori
il fiato pestifero
dell’inferno
all’uomo in balìa di perversi
pensieri che straziano
le anime
senza fede né amore.
Rabbrividiscono le stelle
sul mondo incredulo
Piange la terra tinta di sangue
dove non crescerà
mai più un fiore,
tra le aride pietraie
della guerra,
covi di vipere.

La mora
tra aculei uncinati
polposa, granulosa
annerisci le siepi ai bordi
delle vie. Una volta bastava
soffiare la polvere
per gustare il tuo sapore
agrodolce, oggi,
inquinata di piombo,
sarebbe più saggio lavarti
prima di assaggiarti.
Quando però ti vedo severa
nel tuo vestito nero,
la mano ancora mi pungo
per coglierti, come in altri tempi,
quando riempivo manciate,
senza rimorsi di ruberie:
frutto senza padroni,
nato tra le spine,
come i miei primi anni
tanto lontani.

L ‘ora si ferma
L ‘ora si ferma e attende
con mille parole mai dette,
che tacciono per sempre.
Nel cuore di chi rimane
s ‘assopiscono i rancori
e s‘inteneriscono i ricordi
nel pianto amaro dell’addio.
Ma i1 tiepido calore dell’anima
vincerà i1 freddo
e in un giorno di primavera
spunterà ancora l‘amore.
Chiazze rosee nel mondo
delle favole
dal cielo senza limiti,
rimarranno i giorni giovani
e la vita spenderà
altri sorrisi e altre lacrime.

Le tue radici
Grappoli turgidi di ricordi
da spremere
nel vaso dell‘anima già pronto a raccogliere
il nettare di vita,
o nelle mani giunte a coppa,
o forse in preghiera?
Da balze selvose ammiccano tenaci,
o emanano fragranza
da zolle fresche di terra da poco rivolte,
o dietro i canti attendono
furtivi, ti prendono, t‘afferrano,
ti fagocitano, come la mantissa il compagno
al colmo del piacere.
E tutt‘uno diventi,
dolcemente acconsenti,
e sei carne loro,
e sono carne tua,
e lo spirito si fonde
con la prana atavica.
Sei radice e chioma,
seme e terra,
cielo della tua terra,
acque delle sue sorgenti,
fiori dei suoi campi,
gente della sua gente

Clandestino
Le linee di frontiere
ci bloccano la strada
verso la libertà
della mente.
Sono linee invisibili
come campi magnetici
che ti respingono.
Le hai tracciate tu stesso
durante la tua vita
per creare la tua sofferenza.
Non le puoi varcare,
sono i tabù della tua coscienza,
sono le tue superstizioni,
i tuoi pregiudizi.
Legato ai ceppi
ti trascini
alla frontiera
anelante la libertà
che ti ammicca oltre la linea,
tendi la mano e la ritiri,
non vuoi passare da clandestino,
hai bisogno
di un passaporto fittizio
che non hai mai chiesto,
e che non otterrai mai.

Rivivere
Volerti è come afferrare il passato
che riemerge dalla foschia
man mano che il mio cammino
si avvicina alla meta.
Volerti è come dire addio
alle occasioni perdute
alle cose che volevo
e che non ho mai avuto,
volerti è come quel filo d’acqua
che mi sfugge tra le dita
fresca e leggera,
come quel raggio di sole
che entra dalla fessura
della mia porta chiusa.
Volerti è possedere l’infinito
vagare a caso tra le stelle,
dissolversi nella polvere
dell’universo, nel nulla.
Volerti rivivere, vita che fuggi,
è un sogno senza speranza,
un risveglio senz’alba,
un tramonto senza sole.

Estraneo
Sulla cima dei monti
s’attarda il rosso fuoco
del tramonto.
Ma non sono più le cicale
e i grilli della mia giovinezza
che cantano sugli
alberi estranei
che non conosco.


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