Poesia smarrita
Oggi vi narro di quella poesia,
ch'esce dal cuore e dall'anima mia,
s'alza nel cielo poi vola lontano
come un gabbiano.
Scende sul mare poi vola dai monti,
vuole alle genti narrar delle fonti
di quel calore che dà la speranza
sia vita danza.
Triste si perde tra nebbie e tormente,
trova nell'uomo sol chiusa la mente,
per lei non vede ci sia compassione,
con intenzione.
Resta confusa pensosa e avvilita
e si domanda a che serva la vita
se non si sente quel brivido arcano
ch'arde la mano.
E tornerà là dov'era venuta,
in questa terra nessuno l'aiuta,
si scioglierà come un fiocco di neve
che nessun beve.
" Vos et ipsam Civitatem benedicimus"
Magna Grecia e dintorni
Il Pollino imbiancato si staglia a me davanti.
Su un arido terreno, contorti come ulivi,
bei pini loricati profumano già l'aria
e querce e faggi e cerri compongon boschi eterni.
Vestigia d'un maniero coronano una cresta
a sovrastar la strada. La nebbia ora m'avvolge,
dissolve e selve e prati. Corro una galleria,
cerco la luce in fondo, neve e rifugio trovo.
Poi verso sud ritorno. Svelta la strada scorre,
tra forre e casolari di quell'antica Sila
prospera di foreste, da valli lacerata.
Delle megar le timpe m'affascina l'arcano.
L'ampio respir del mare mi dona un tuffo al cuore:
Falerna v'è distesa. Deriva a lei quel nome
di quella dolce ambrosia che consolò Pilato
quando emanò perplesso sentenza ostile all'Unto.
Quell'acque basse e chiare risplendono di raggi
e rendon sfumature d'ogni color turchese.
Scintilla all'orizzonte la vela d'una barca
e gridano i gabbiani, galleggiano nel vento.
Si snoda poi la riva fino alla Costa Viola,
con Pizzo a quell'estremo che domina quel lido.
Scendendo l'erta china, da ogni suo tornante,
precipitar mi sembra dentro il lucente mare.
E' qui che Gioacchino, di Napoli re breve
e condottier valente, da Ferdinando quarto
fu vinto e condannato. Murat, borbon spregiando,
in un comando estremo volle il ploton guidare.
Volare su quel mare, correndo su quei ponti,
m'inebria la ragione, mi colma di stupore.
Così lontana arriva Scilla col suo castello.
Innanzi a lei Cariddi, col suo proteso artiglio.
In quell'acque cobalto volle spiare Ulisse
quelle, che un tempo ninfe, la gelosia di Circe
in mostri trasformò. Per evitar lusinghe,
con cera nelle orecchie, sirene abbindolò.
In Reggio alfin riposo. Le voci di mercanti
danno saluto al giorno. Par come un dolce canto
"a 'stura v'arrifrisca": panieri giù calati,
ossequio alla giornata, colgono fichi e gelsi.
Da strade strette e scure, tra voci concitate
e clacson impazziti, del duomo la gran luce
all'improvviso appare. Romanico si sposa
con gotico ispirato, risplende il suo candore.
Ed eccomi al museo. Fu forse Policleto,
forse fu il sommo Fidia, miracolo a donare.
Svettanti in una sala, dal mar guerrier risorti,
accolgono pazienti folle da tutto il mondo.
Quel lungomar ch'è sogno, percorro un po' stordito
e nelle ville ammiro del liberty il retaggio.
Trinacria ora mi chiama. La nave nel suo ventre,
all'urbe un tempo felix, doman mi condurrà.
E lascio la Calabria con nostalgia nel cuore,
terra dimenticata da tutti i governanti,
nessun più si ricorda di Campanella il libro,
né Repaci od Alvaro. Da 'ndrangheta avvilita.
Per chiarire:
"Pino loricato": è una conifera, non autoctona ma importata dalla
Spagna, presente soltanto in Basilicata. Cresce su terreni di tipo
carsico, normalmente in cima ad una montagnola. Albero basso (3, 4
metri) ha l'aspetto contorto dell'ulivo, rami penduli e corteccia
particolarmente dura.
"Delle megar le timpe": la Sila è solcata da numerosi valloni che
l'autostrada interseca. Timpa = vallone, megara = maga, strega. Sull'A3
un cartello avverte che stiamo passando accanto alla "Timpa delle
megare".
"a 'stura v'arrifrisca": significa "a quest'ora vi rinfrescano" ed è il
canto col quale, in ore molto vicine al sorgere del giorno, gli
ambulanti offrono gelsi bianchi e fichi su fresche foglie. Dai balconi
"calano" i panieri con dentro i soldi per l'acquisto. E' un mio ricordo
palermitano dell'immediato dopoguerra, e l'ho risentito a Reggio qualche
anno fa.
"vos et ipsam civitatem benedicimus": è la scritta incisa ai piedi d'una
stele, al vertice della quale è posta la statua d'una madonna,
all'ingresso del porto di Messina. E' un saluto a tutti i viaggiatori ed
un segnale di fratellanza.
Omaggio a Carlo Chionne
Tempo
(Eraclito liberamente inteso)
Da lontano vien lezione: viviam l'oggi ma è domani,
tempo scorre tra le mani, "panta rei" la citazione.
Che si viva il contingente par che forse ci illudiamo,
quindi pizie convochiamo, per scoprire il divenente.
Resta vago quel ch'è andato, ci par vero solo il giorno,
qui lo dico e non per scorno, sol futuro è il sol provato.
Questo tempo che contiamo resta solo una chimera,
non è cosa proprio vera… qual la vita che viviamo.
Belli o brutti abbiam ricordi che permangon nelle menti
ma rimangono sfuggenti nel trascorso che già scordi.
Fu di certo ammonizione "panta rei" che fu narrato:
per noi esiste alcun passato, 'sto presente è un'illusione.
Bene è porsi una questione per tirar le somme allora:
a che serve guardar l'ora s'è soltanto transizione?
Convenzione è di sicuro perché il tempo resta abbaglio,
sono certo e non mi sbaglio noi viviamo nel futuro!
Forse il solo fu a capire, quell'Eraclito ch'è mito,
chi seguì ne fu erudito, svicolò per non perire.
Di spassose favolette si riempiron tomi e tomi,
s'inventarono questioni… coi cervelli fatti a fette.
Col pensier che si perdeva fu dovunque un indagare;
ma quel loro speculare fu com'acqua che scendeva.
mutataque servat amorem
(Ovidio -Metamorfosi-)
Della pianta d'incenso il mito e il girasole
(libera interpretazione da Metamorfosi)
Venere visse quale ingiuria oscena
quel che il marito Efésto le approntò:
dopo il sesso con Marte fu gran scena
la rete che frementi li mostrò.
L'Olimpo esplose di risata amena,
Apollo il tradimento a lui narrò,
quindi la bella dea, per vendicarsi,
lo volle di mortale innamorarsi.
Ma era Clizia la ninfa che amava,
quando da dea fu volto in incanto.
Gran smania al dio Leucòtoe dava
e Clizia resta sola col suo pianto,
mentre Apollo per sedurre approntava
(dalla sua stanza le amiche cacciando)
travestimento da madre di quella,
…per insegnar l'amore a verginella.
Il luminoso aspetto poi riprese
e con baldanza presentò se stesso
"Io son colui che ha molte pretese,
ma deliri d'amor dona col sesso.
Sarai felice per un lungo mese,
nel tuo ricordo permarrà 'sto amplesso."
Poi come sempre agì molto infoiato:
…lo stupro era per lui neppur peccato.
Di gelosia furente Clizia allora
a re Orcamo mente e va a narrare
di quella il sesso, ahimè, che la divora,
e indietro no, non vuole più tornare.
La rabbia prende il re, la legge onora,
condanna figlia a morte ad affogare.
In fondo a buca, viva, viene messa,
con terra, dappertutto, vien soppressa.
Dall'alto del suo carro Apollo vede
e cerca d'aiutar l'ultima amante:
di quella terra coi suoi raggi crede
che lo spostarla fosse già bastante.
Quando capì ch'è quel che non succede,
di nettare e di nardo fu abbondante.
Così la donna in pianta si mutò;
per quei profumi, incenso diventò.
Intanto Clizia, disperata e triste
per giorni e giorni sol rugiada beve,
solo l'andar del carro per lei esiste.
Dall'alba a occaso ha cuor sempre più greve,
e il suo sentir ancor di più persiste.
Ma al vecchio amare il dio qualcosa deve
così, per un sentir riconoscenza,
bel fiore la farà di gran presenza.
Le gambe son fatte salde radici,
il corpo vien stelo e spunta da terra,
son foglie le braccia e sembran cornici
pel volto che pare il fior d'una serra
e poi gialli schizzi, a fare artifici,
lo cingon donando incanto alla terra.
Così la ninfa si muta in quel fiore
che il sol seguirà sempre per amore.

Era rosa l'apostrofo
Di Cyranò che tutto avea capito,
forse per via del naso sul suo viso,
così, per richiamarlo al vostro udito,
qui vi racconto, con amar sorriso.
Fu grande spadaccino e dissoluto,
poeta era nel cuor ma pronto al brando
e di Rossana amò pur lo starnuto,
le stava accanto sempre, disperando.
Un giorno la donzella, un po' impacciata,
gli diede appuntamento nella casa
e il prode eroe rispose alla chiamata,
certo d'averla al fine persuasa.
Ma la fanciulla d'altri era abbagliata,
da lui voleva aiuto ad istruire,
(molto la donna s'era innamorata)
rozzo cadetto che la facea impazzire.
Di nobil alma era quel guascone,
amaro inghiotte e non si tira indietro,
così si presta a dar qualche lezione
per migliorar quell'uomo ch'era tetro.
Fu gran fatica acculturar Cristiano,
che bello era ma di scarsa cervella.
Cyrano allor lo prese per la mano,
per lui d'amor compose ritornella.
Destino volle i due compagni in guerra
e là Cristiano ebbe la sua morte.
Rossana disperata allora erra
in un convento a pianger la sua sorte.
Ed alla fin di questa storia io tocco
le corde più profonde dell'amore:
Cyran ferito disse amore al cocco
e lei capì, l'amò, ma il guascon muore.
Capì Rossana alfine il gran soffrire
d'un animo pugnace ma sincero
che la sua vita spese a perseguire
alti ideal, qual unico sentiero.
Emil Michel Cioran (1911/1995), rumeno
di nascita, francese di lingua, spagnolo di spirito, filosofo e saggista
non era proprio un allegro compagnone. Per maggiore comprensione del
componimento che segue, elenco alcuni titoli delle sue opere:
"Squartamento", "La tentazione di esistere", "Il funesto demiurgo",
"Lacrime e santi", "L'inconveniente d'essere nati", "Sillogismi
dell'amarezza", "Sommario di decomposizione", "Al culmine della
disperazione", "Confessioni ed anatemi", "Taccuino di Talamanca". Più
una impressionante serie di aforismi, spiritualmente e sostanzialmente
in linea con le opere citate.
Taccuino di Talamanca
Vedendo un giorno la giornata bella,
felice con letizia me ne andavo,
la gente mi pareva in camporella,
con allegria di questo mi beavo.
Sentivo un gran bisogno dell'amore,
donarlo e averlo reso, ancora e ancora,
di gioia mi batteva dentro il cuore
e a spasso camminavo già da un'ora.
Sguardo mi cadde, sì sono curioso,
di libri piena vidi una vetrina,
e picciol, tutto nero e prezioso
là mi ammiccava, esposto, un libricino.
Forte la tentazione e lo comprai,
una panchina all'ombra poi m'accolse
e a leggerlo, con fame, m'apprestai,
così che la mia mente tutta avvolse
Di desengaño ispanico narrava,
di D'Avila Teresa e de' suoi orgasmi,
di tanto in tanto Borges affossava
e addosso si piangea per i suoi spasmi.
Del cuore suo malato e di emozioni
ecco, così Cioran si confessava,
di notti insonni lessi e riflessioni
e cupa una vision del mondo dava.
Alzando il dito tosto ci ammoniva:
"qual sole mai, ma qual d'amor sospiri,
la vostra mente sì che si svaniva!
Dolor vi sia conforto, vita viri !"
Attorno mi guardai con apprensione,
nessuno più un sorriso mi porgeva,
un cane già azzannava le persone,
un calcio a un mendicante lo stendeva.
E questo fu l'effetto invero strano
di quel taccuino e de' suoi insegnamenti.
Così consiglio a voi, per darvi mano,
fatene dono a odiosi. A lor tormenti.

Bernardo ed Eleonora
(parafrasi poetica di una novella storica di Laura Mancinelli)
All'ossa avea dolori il buon Bernardo,
sul pulpito temea non più salire,
dall'alto forse non potrà inveire,
né fulminare tutti con lo sguardo.
Quindi alle terme spesso si recava,
fanghi e massaggi son la soluzione
alle sue pene e questa è la ragione
che al cielo, con gran fede, lui guardava.
Là lo accudivan vecchie e spente donne,
che alla sua virtù mai attenteranno,
così nessun peccato, nessun danno,
quel santo uomo avrà da quelle gonne.
Ma in lingua d'oil regnava Eleonora.
Regina fu due volte illuminata
ma all'arte accompagnava una vampata
e la dovea appagar almeno ogn'ora.
Ed era pure donna di gran gusto,
da quei che poi fu santo fu ammaliata
così ci pensò tutta una giornata
a come aver Bernardo ch'era un fusto.
Un giorno egli era steso sulla panca,
con gli occhi chiusi mentre che aspettava
quel caldo fango che lo ricreava,
che infin su lui discese e a destra e a manca.
Dal collo ai piedi si trovò coperto
dall'impastato morbido tepore,
ma dopo un po' sentì, con gran terrore,
che man l'accarezzava… ove fu aperto.
Gli occhi sbarrò, divenne già furente,
tentò di sollevarsi dal lettino.
Ma ogni sforzo è inutile, oh destino!
Contro il cemento c'era da far niente.
Dovette rassegnarsi e poi pensare
che il rival suo Abelardo avea ragione,
perché se pecchi senza l'intenzione
nessun peccato avrai da confessare.
Così Eleonora ebbe gran vittoria
e pur Bernardo seppe, in fondo in fondo,
che un po' d'amore serve a questo mondo
…tanto poi i salmi finiscono in gloria.
BREVI NOTE STORICHE
BERNARDO DE CLERVILLE -1090/1153- benedettino e cistercense, fondatore
di numerosi monasteri, tra cui il più importante è quello di Cluny,
propugnatore della II crociata-1145-totalmente fallita ed inventore
della frase "non fate prigionieri". Tra i suoi, ma in questo caso
benefici fallimenti, citiamo che , essendo amante del vino, tra gli
esperimenti di vinificazione cui si dedicava, non riusciva a fermare la
fermentazione del vino bianco. Fortunatamente morì prima di riuscirci
perché, inconsapevolmente, aveva inventato lo champagne. E fu fatto
santo, forse proprio per questo.
Famose le sue dispute con Pietro Abelardo sulla santità di Cristo, sulla
Trinità e sulla prevalenza della ragione sulla fede o viceversa, dispute
perse a tutto campo. Insomma non ne azzeccava una. Dante, con grande
senso dell'umorismo, lo fece diventare la sua terza e più importante
guida nel tour della Divina Commedia, nel Paradiso.
Pio XII lo definì "doctor mellifluus".
ELEONORA D'AQUITANIA -1122/1204- donna coltissima ed amante della poesia
(quella della lang d'oil e, poi dell'unione di questa col ciclo bretone
di re Artù e con i miti germanici, tipo Sigfrido ed altri) era anche
particolarmente "calda". Due volte regina -la prima di Francia con Luigi
VII che la ripudiò per eccesso di libidine e la seconda con Enrico II
d'Inghilterra per il quale, dopo la morte, gestì brillantemente la
politica… nonché paggi e vassalli.- Conobbe e, pare, amò -ma noi, visto
il tipo, lo diamo per scontato- il santo Bernardo, assieme al quale
organizzò la catastrofica seconda crociata.
Di lei una parziale ma realistica rappresentazione è stata fatta nel
bellissimo film "Il leone d'inverno" interpretata da una strepitosa
Katarine Hepburn assieme ad un superlativo Peter O Toole
Sincretismi
In tempi già andati si volle provare
pagan postulati cristiani sposare.
Splendore dell'arte, col loro pensiero,
stupor regalavan con dubbi sul vero.
I padri di chiesa, perplessi davanti
a quelle lezioni di grandi pensanti,
si ruppero il capo volendoli usare
quegli alti concetti, per poi Dio spiegare.
Stupito Agostino, di poi Cassiodoro,
cercaron, sottili, mutarne il lavoro.
Boezio e Gregorio , poi venne Tommaso,
risolsero il rebus, li preser pel naso.
Salvarono capra, con cavoli pure,
divenner di chiesa le grandi figure,
dicendo che in fondo quei bravi pagani
dal vero , ch'è Dio, non furon lontani.

Ahi serva Italia di dolore ostello,
nave senza nocchiero in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello !
(Dante -Purgatorio VI- Sordello-)
Oranitalia
(vista l'aria che tira…e il corona virus c'entra per nulla)
Da fetide fogne, da umide forre
rivedon la luce quei musi appuntiti.
Parea s'evolvesse quel nostro destino,
a cieli radiosi volgemmo lo sguardo,
il turpe passato gettato alle spalle.
Ma ancora squittiscon, non son sterminati,
nel nostro giardino diffondon bubboni.
Si riempion le strade di gente malata,
diffondon la peste quell'anime prave
e i nostri bei sogni ridotti in catene.
Non vedo un Rieux che possa salvarci,
non odo d'un piffero magico il suono.
Nel ciel s'allontana, s'offusca una stella,
e ha nome Speranza quell'astro sognato,
che torme di ratti hanno già cancellato.

Lisistrata
(liberamente tratta da Aristofane)

N'avevan pien le tasche, poverine,
d'andare in bianco e sere e le mattine.
Gli eroi facevan, li maschietti loro,
tra l'Attica e Morea fu un solo coro.
Un coro di battaglie affaticanti
e al dunque no, non eran efficienti.
E pur di rado andavano a magione,
così le donne avevano un magone.
In quel d'Atene visse, rispettata,
Lisistrata, che bene era sposata,
ma come all'altre le mancò qualcosa,
stava per appassire la sua rosa.
Ma non si rassegnò la gran signora,
d'Aten tutte le donne chiamò fora,
l'Acropoli con quelle sequestrò
e sciopero del sesso proclamò.
Sull'altopiano l'oro, e tanto, stava,
quell'oro che le guerre finanziava
e il confiscarlo fu di nocumento
a chi alla guerra andava assai contento.
Le amiche non capirono all'istante,
rinunce tante n'avean fatte… tante,
a che servisse questo lor negarla,
a chi non si sognava di cercarla.
Ma Lisi ch'era saggia e competente
e, pratica e vogliosa, fu suadente.
Con dolce piglio, che toccò il profondo,
ecco ciò che lei disse a quel suo mondo:
"Amiche care fin che c'è abbondanza
poco valore avrà la vostra danza
e se l'amore vostro anche è negato
sarà di Nicia il patto anticipato."
E andarono in collina a barricare,
ma esempio di castigo voller dare.
Chiamarono di fretta la Mirrina,
quella tra loro certo più carina,
e le raccomandaron di tentare
la carne del marito senza fare
null'altro ch'eccitarlo per davvero,
per poi lasciarlo a secco…sul sentiero.
E pure le spartane, consenzienti,
la diedero ai lor maschi …sopra ai denti.
Fu una disdetta e nel Peloponneso
restò il fare del sesso molto atteso.
Ma la faccenda non potea durare,
gli ometti cominciarono a smaniare
e non riuscendo da lassù a cacciarle
ambasciator mandaron per piegarle.
Subdoli ambasciatori furon quelli
perché arrivaron con ritti i piselli,
con la certezza che quella visione
le donne avrebbe messo nel pallone.
Ed in effetti ci fu sbandamento,
pesava l'astinenza…e che tormento!
Stavan cedendo le digiune donne,
ma Lisi prese tutte per le gonne.
Si mise al centro e cominciò a parlare,
a Sparta e Atene volle ricordare
quello che un tempo vide, e fu felice,
la Grecia unita solo nella pace.
E fu la voce sua sì chiara e forte,
narrò, accorata, di guerra e di morte,
tutti convinse con il suo carisma
e pose fine al triste cataclisma.
Eloisa e Abelardo
(storia di sacro amor e amor profano, storia di pentimenti e
redenzione)
Quando l'amore è di passione il figlio
e appagamento al corpo danno i sensi,
a rischi e colpe certo non ci pensi,
così Abelardo volle aver quel giglio.
Era Abelardo chierico brillante,
sapiente e dotto e molto era apprezzato,
facendo del sapere suo mercato,
della casta Eloisa fu insegnante.
La bella figlia era assai dotata
di grazia e di virtù e di cultura,
ma al fascino insidioso e alla premura
cedette, del maestro innamorata.
Furono ardenti i baci e le emozioni,
tra i due fu amore lieto e appassionato,
volavan le ore svelte nel peccato
e invero poche furon le lezioni.
Ma come accade sempre in 'sti frangenti
sol la pignatta fabbrica il maligno
e fu così che li scoprì il patrigno,
mentr'eran presi in dolci avvolgimenti.
Scoperto troppo tardi fu il misfatto
perché Eloisa era in dolce attesa
ed Abelardo, per sanar l'offesa,
promise di sposarla di soppiatto.
Infatti quel talare che indossava
il matrimonio non gli consentiva
e quella cerimonia, ch'è giuliva,
a notte fonda un prete celebrava.
Nacque Astrolabio da quel loro amare
e il nome fu un omaggio a quella scienza
che allora i due donavan con sapienza,
ma non è d'uopo qui di lui parlare.
Eran roventi i carmi che Abelardo
a lei, bramata molto, dedicava.
Si sparser per Parigi e già fioccava
la maldicenza e lazzi come un dardo.
Per salvarle l'onor, l'innamorato,
con gran dolore e grande patimento,
la volle ritirata in un convento.
Ma il gesto suo fu male interpretato.
Pensò il tutore, e forse fu angosciato,
desse la sposa a lui grande mestizia,
così assoldò sicari a far giustizia
ed una notte Pietro fu evirato.
D'allora i due rimaser separati.
Eunuco ormai, ma per il gran sapere
grandi successi continuò ad avere
e chiese a Dio perdono de' peccati.
Lei fu del Paràclito la badessa,
un'abbazia che lui le avea donato,
ma i due non si scordaron del passato,
… tanti gli scritti a ricordar promessa.
D'amore intenso e grande nostalgia
grondavan della donna le missive
ma le risposte pie e le invettive
la riportaron sulla santa via.
Morì Abelardo e volle esser sepolto
nel cimitero ad Eloisa accanto,
per esserle vicino e udirne il canto,
per ripagar l'amor che le fu tolto.
Finì la vita d'Eloisa un giorno,
nel feretro di lui volle esser messa,
quasi per rinnovare la promessa
d'amore eterno e senza alcun ritorno.
Quando il suo corpo scese lentamente,
la salma d'Abelardo aprì le braccia
e di quel gesto rimarrà la traccia
nella memoria nostra dolcemente.
Appunti di storia:
Pierre Abèlard -1079/1142- filosofo, teologo, poeta e letterato,
precursore della scolastica e fondatore del metodo logico, le sue idee
furono considerate eretiche dal Concilio Lateranense del 1139 -in
particolare per il suo atteggiamento nei confronti della trinità-.
Comunque mai espulso dalla Chiesa, venne riabilitato da papa Alessandro
III -che in precedenza era stato suo allievo, assieme ad Arnaldo da
Brescia, Giovanni di Salisbury ecc. -. Brillante, disponibile,
coltissimo, spopolava in Parigi. Famose le sue dispute con Bernardo da
Chiaravalle. E' dalla sua autobiografia -Historia mearum calamitatum-
che molto si conosce della sua vita e della Francia d'allora.
Eloisa d'Argenteuil -1099/1164- profonda conoscitrice delle arti
liberali (grammatica, retorica, geometria, astronomia) padroneggiava
latino e greco. La madre l'affidò, nel 1116, al fratello canonico,
Fulberto -il patrigno della poesia- e questi, per completare la sua
istruzione, la consegnò a Pietro Abelardo ed ai suoi insegnamenti di
filosofia. Di lei restano le numerosissime lettere indirizzate
all'amante/marito. Lettere ad altissimo contenuto poetico, prima
sensuale, poi spirituale. Dense di passione e di una immensa dolcezza
sono bellissime a leggersi. Ve ne offro un frammento: "Al mio signore,
anzi padre, al mio sposo, anzi fratello, la sua serva o piuttosto
figlia, la sua sposa o meglio sorella…ti ho amato di un amore
sconfinato…mi è stato più dolce il nome di amica e quello di amante o
prostituta, il mio cuore non era con me ma con te"
Nel cimitero di Père-Lachaise riposano entrambi, affiancati in una
bellissima cappella in stile gotico.

Sono curioso
Vissi in un tempo
quando il miele scorreva
in fiumi ameni
dove manna pioveva.
I mari azzurri
rallegravano il cuore,
ebbi e donavo
grandi sogni d'amore.
Oggi una nube
par confonder la strada,
segna un cartello
terminale contrada.
Tempo rimane
per pensare a quell'ieri,
quando correvo
su ubriacanti sentieri.
L'oltre intravedo,
sì ne sono curioso.
Nulla rimpiango
del mio tempo fruttuoso.
Il palo
Erano azzurri i suoi lunghi capelli
bagliori gialli nei suoi occhi belli
viola le labbra gelavan sorriso
ed una smorfia solcava il mio viso.
Da bocca spuntavan quattro canini
lordi di rosso, non eran carini.
Mi risvegliai da quest'incubo strano
ma per fortuna le stavo lontano.
E guardai meglio colei ch'io amava
…ma a quanto detto s'aggiunse la bava.
Ero distante ma non abbastanza
così la vidi volar per la stanza.
Tentai la fuga nel lungo camino
ma era ostruito da casse di vino.
E riguardai la visione sublime
ma a questo punto… mi mancan le rime.
Allor ricanto già data notizia,
sono sicuro che il cuor vi delizia:
Erano azzurri i suoi lunghi capelli
bagliori gialli nei suoi occhi belli…
E quello che segue legger potrete
levando i vostr'occhi per spegner la sete,
mentr'io vò a cercar di frassino un palo,
e dentro il suo cuor sicuro lo calo !
Ma che vuol da me quest'avvampirata
cui resi felice lunga nottata ?
E sì che l'amavo e il cuor mi si langue,
per non aver più una goccia di sangue.
Il poeta (si fa per dire) si diverte
E
corro tra rullo e trastullo
qualcun qui farà rima grullo
e prillo nel cielo prillante
i FIORI li chiudo tra l’ante.
Ma
volo con ali saldate,
m’accorgo che son avariate
poi cado in GIACIGLIO accogliente
ma in fondo menè frega niente.
Vorrei
quel che voglio, lo voglio
----------così scalerò sacro soglio
se parto per un altro porto
C-H-I-S-S-A’ se sarà per diporto.
E là
cercherò trovadore
che canti canzoni d’AAAAMORE
però se spernacchia un mottetto
l’insulto e lo mando a Maometto.
Poi
guardo a codesta canzone
----------che torce BUDELLA a persone
m’incanta il vederle soffrire,
così le vorrei convertire.
I
pesci pasturo con esche
al termine gli offro un grappino
chissà se hanno SQUAME tedesche
ma vado cercando un catino.
C’è un
FIUUUUME che scorre lontano
vorrei là piantare un banano
ma l’alba che sorge veloce
-----------mai più porterà la tua VOOOOCE.
M’ACCORGO che scrivo in nonario
sui fogli d’un bel calendario
Ma il
TEMPO tiranno è finito
mi vado a tappare
l’u
di
to.

Fonte Castalia
(Storia che da lontano viene a dar consiglio)
Da voglie dionisiache fu colto
Apollo mentre errava sul Parnaso,
là dentro un bosco scorse, e non fu caso,
Castalia che lucente avea il bel volto.
Dentro una quercia l'amadrìade stava,
così la vide e la desiderò,
qualcosa, come incanto, gl'infiammò
e la sua voglia al cielo già gridava.
Dell'armonia e dell'ordine era il dio
(Nietzsche ce lo narrò qualche anno dopo)
ma spesso ebbe lo stupro quale scopo
e chi l'ostava ne pagava il fio.
Ed era pure doppio sessualmente,
uomini o donne a lui erano uguali,
molto apprezzava chi metteva l'ali
a menti e col pensier sempre indecente.
Così tra selva e rupi la rincorse,
la bella ninfa che lo rifiutava.
Questa, per grande angoscia, si buttava
in un dirupo dove morte colse.
Pentito fu il divin di bramosia:
volendo in qualche modo rimediare
fece Castalia fonte diventare,
con la virtù di dare poesia.
A Delfi, quindi, sarà bene andare,
perché ber di quell'acqua tanto rara
farà la nostra ode meno avara
e infin le Muse ci potranno amare.
Nemesi
Da tempo la natura violentata
diceva ira, quella più funesta.
In coma era per quella folle festa
che l'uomo delirando avea approntata.
Così a vendetta, di molto adirata,
lanciò sulla carogna disonesta
un virus che divenne una tempesta
e germogliaron salme a grandinata.
Azion d'igiene è quella che viviamo,
molto ricorda biblica sanzione,
ch'esser dovrebbe per l'uomo lezione.
Ma la speranza è vana e lo sappiamo,
'ché quello, quando tutto finirà,
ai suoi peccati, ratto, tornerà.

Nunc ratio quae sit morbis aut unde repente
mortiferam possit cladem conflare coorta
morbida vis hominum generi pecudumque catervis,
expediam.
(Lucrezio, De rerum natura, l.VI v.1090/1094)
(Spiegherò ora ciò che causa le malattie e come
e di dove sorga d'un tratto una forza malefica
e comporti una micidiale rovina
sia tra gli uomini sia delle caterve degli animali.
-traduzione di Ugo Dotti-)
Nihil sub sole novum
"Ciò ch'è stato sarà,
ciò ch'è fatto rifà
così mai sotto il sole
il nuovo si vedrà"
Così dell'uomo ragionò Qoelet,
vedendo un rio peccare.
Oggi che l'uomo scorda pur l'amare,
madre natura scambia per toilette.
E son gli stessi i tempi: per giorni avvelenati
vengon da bui passati quei virus che fan scempi.
Serve boccata d'aria, pel mondo ch'è asfissiato
che per punir peccato regala 'sta malaria.
Per covid 19, ch'è igiene obbligatoria,
Natura ha la vittoria, ci spedirà poi altrove.
Passata la tempesta ci resterà speranza
che il ben divenga istanza per fare vita onesta.
Purtroppo, insegna storia, chi è morto è il sol cambiato
ma il vivo, da salvato, riprenderà la boria.

Questi sono tempi
di virus aggressivi. Ci sono quelli che circolano nel web e possono fare
bei danni,
c’è il corona virus che sta bloccando economicamente il pianeta, essendo
moderatamente pericoloso.
Ma quello che è
micidiale è un virus che ha infestato il XX° secolo e che si è
riprodotto,
con violenta attività, vagamente mutando, in questo XXI°: il
nazileghismo.
Dedico questo
apologo allo sbandieratore di rosari ed ai suoi fans,
illudendomi possano intenderlo.
Topante
(–un apologo-)
Un giorno un topo vide, s’era di primavera,
un’elefanta al bagno, scendeva già la sera.
Fu galeotto il lago, magici quei colori
e alla visione il topo narrò dei suoi bollori:
“O dolce mia piccina di te m’innamorai,
del cuor la mia regina per sempre tu sarai.”
La dolce elefantessa, che invero fu stupita,
rispose un po’ perplessa: “Vorretti per la vita.
M’ahimè topino bello digià promessa fui,
voler di mio fratello ma anche pur d’altrui.
Ma ‘sta tenzone amara, tra cuore ed il dovere,
io scioglierò stasera. Branco deve sapere !”
Scese nella radura, vide tutti gli astanti,
nel cuore la paura, ma col dover davanti:
in cerchio tutti quanti scrutavan la gran rea,
e udirono vocianti quello che dir volea.
Quindi iniziò un tumulto: “Perché tu vuoi codesto?
Da che paese arriva? Non vedi ch’è foresto?
Non mangia le banane. Col corpo pien di peli
ai nostri dei non crede, sconosce i lor vangeli.
Persino i boscaioli la caccia già gli danno
e la foresta è piena di chi ci arreca danno.
Quel pugno di briganti, così venian dicendo,
la mente le turbaron, lacrime van scendendo.
Poi si levò il gran saggio: “Mia elefantessa rogna,
tu sai che a noi fa aggio che sposi chi t’agogna.
Al branco un grande dono quel giorno porterà,
deh chiedi il suo perdono, d’amor ti riempirà.
E poi non ti scordare, siamo la razza pura,
con quello che vuoi fare, tu ne farai lordura.
Perciò quest’io ti chiedo, curvo su mie ginocchia,
non darci questo spiedo, cessa di far la ‘ntrocchia.”
Sdegnata ed avvilita così lasciò il consesso,
s’arrampicò in salita tornando al suo possesso.
L’amato che attendeva di molto trepidante,
sentenza chiese allora, la voce avea tremante.
E quando alfin conobbe la storia dall’amata,
le fece un giuramento: l’avrebbe mai lasciata.
Cercaron cieli puri, per farne il loro mondo,
prezioso fu l’amare, felici a tutto tondo.
E un dì giunse l’inverno. Vibrava con splendore
la coda d’una stella, la neve era un candore.
Un suono allor s’espanse, nell’aria tersa e chiara
e un tenero vagito salì da quella cara.
Al cielo sale svelto, quel morbido sospiro,
va a traforar quegli astri, portando il suo respiro.
Topante ei fu chiamato, lo accolse questo coro:
“Tu toglierai peccati, se amore avrai per loro.”
E palpitaron stelle, col cielo che s’aperse:
infamità e nequizie poi il vento le disperse.
Le trombe del giudizio sonarono inquietanti
nell’ora del solstizio, cercando i lestofanti.
Ma quel sublime amore già tutto avea mondato,
e il Trombettier non vide neppure un sol peccato.

Luceva il giorno
Rosa e di raso, di seta hai la pelle
e calde l'arti, per virtù amorose.
Ti splendon gli occhi e velano le stelle.
Vorrei senza spine offrirti rose,
darti carezze con le mani lievi,
la strada tua coprir di mimose.
Luceva il giorno mentre tu nascevi,
magici suoni ingentilivan l'aria,
piangeva il ciel, 'ché da lassù scendevi.
Al mondo, di sicuro necessaria,
grazia regali e regali profumo;
del bello e dell'amore missionaria.
Così ti cerco e il tempo e me consumo,
consumo e penso a quell'andar dell'ore,
che furon dolce incanto sciolto in fumo:
quell'ore ove io sognai d'averti amore.

Commosso dal ricordo ho tradotto in poesia la bella descrizione che
Salvatore Cutrupi
ha fatto di una zona di Gorizia, al confine con la Slovenia,
cercando di rimanere più aderente possibile al suo testo:
Ricordo di Gorizia
Mentre un vociar di bimbi
d'atletica leggera il campo riempie,
da Nova Gorica ecco Montesanto
e San Gabriele e Sabotino e penso
ad anime gonfie di gran tristezza
che dal cielo contan croci di legno.
Dov'erano trincee e gallerie
c'è oggi pace per fondi silenzi,
tra sterpi e sassi fioriscono fiori
e si può udir strusciar vipere e serpi.
Tutto dall'alto osservano i grifoni
e par sentire ancora
il rombo dei cannoni.
Mentre dentro una voce implora pace.
Romantica luna
Lei fece una promessa:
"Stasera, con la luna,
ti donerò me stessa,
alfine avrem fortuna."
Si misero in cammino
tenendosi per mano,
ma quel stare vicino
li scalda piano piano.
E furon dolci i baci.
Carezze ed emozioni
li fan sempre più audaci,
…per forti tentazioni.
Ma lei disse esitante
"Non siamo giunti ancora
dove sarò tua amante.
Quieta quel che affiora!"
Poi giunsero alla valle,
la luna risplendeva
parea quasi percalle
e questo lei voleva.
Così iniziò l'amore
ma un buio all'improvviso
estinse ogni colore,
svanì persino il viso.
E neanche tutto il resto
era a disposizione
quindi, per 'sto contesto,
sfuggì un' imprecazione.
"Vacca d'una miseria
proprio stasera accade,
eclissi deleteria."
…e rabbia li pervade.
"Oh luna disgraziata,
amata dagli amanti,
ma quanto son sfigata
con tanto buio davanti !"
Si lamentaron forte
di quella atmosfera.
Li separò la sorte,
colpevol quella sera.
Moral di questa storia,
per tutti insegnamento:
cogliete la vittoria
quando viene il momento!

Requiem per le befane
Rimpiangono il tempo, purtroppo passato,
quand'erano belle, da tutti bramate;
ricordano i gonzi che avevan scopato
in lunghe, frementi, veloci nottate.
Non c'era un camino che salvo restava,
la notte era breve, volava d'incanto;
eppur quella notte per tanto bastava
e di quelle tresche rimasto è il rimpianto.
Or piene d'acciacchi, d'artrosi e dolori,
(persino la scopa, veicol portante,
ormai si rifiuta portarle là fuori)
così, avvilite, richiudon le ante.
Non sanno che fare, neppur dove andare,
nessun più le chiama per dare dei doni.
Nell'angolo resta, ma sol per spazzare,
l'inutile attrezzo con vuoti sacconi.
Quest'è la luce della gran Costanza
che del secondo vento di Soave
generò 'l terzo e l'ultima possanza.
(Paradiso III 118/120)
…e "stupor mundi" fecit
Fu per voler di Barbarossa il saggio
che da un convento, pura, fu rapita,
quindi ad Enrico dedicò la vita
e al mondo, Federico, fu il suo omaggio.
Ma alla sua tarda età non si pensava
potesse generare un qualche erede,
così, per dimostrar la buona fede,
spettacolo del parto in piazza dava.
Fu poi regina attenta e giudiziosa,
successe a Enrico dopo la sua morte
ed al futuro re diede la sorte
d'aver papa Innocenzo per tutore;
per stupor mundi questa fu gran cosa
e per Costanza in noi rimane amore.
Di certo è il suo splendore,
trasmesso a Federico e alla sua reggia,
che in lirica d'allora ancora echeggia.

Or son circa duemila
Fu lungo quel cammino, per nomi registrare,
tra sterpi, con la fame, con pesi da portare.
In cerca di rifugio, là dove aver conforto,
infine in una grotta trovarono il lor porto.
Che freddo quell'inverno! Vibrava con splendore
la coda di cometa, la neve era candore.
Un suon s'espanse a un tratto nell'aria tersa e chiara
e un tenero vagito s'alzò da donna rara.
Al cielo salì forte, morbido quel sospiro
ed incantò quegli astri quel mistico respiro.
Gesù ei fu chiamato, l' accolse questo coro:
"Peccati toglierà l'amor che darai loro."
Fremettero le stelle col cielo che s'aperse,
infamità e nequizie poi il vento le disperse.
E quando , inquietante, la tromba suonerà
nel mondo alcun peccato l'Eterno troverà.
Arasce
(Tra Albenga ed Alassio,
camminando sulla Julia Augusta,
di storia racconto, di ricordi, di streghe e di miti)
Cammino lento sulla Julia strada,
passo fontane e ulivi e ponti e tombe
e scintillar dall'alto vedo il mare
dov'è sospesa un'isola fatata;
cinta di voli di gabbiani e in spuma,
pare lusinghi al viaggiator magie.
Color brillanti ammaliano la mente,
annosi e grandi faggi l'ombra danno,
rovi di more e lucenti ginestre
corona fanno a quella via fragrante
di rosmarino e salvia e di lavanda,
nel mentre al sole cantano cicale.
Qui par d'udir d'antiche marce l'eco
e il rotolar dei carri dei romani
cui Augusto impose questa strada fare
per Gallia e Spagna al suo voler domare.
Vetuste lastre calco nell'andare
dove imprecaron liguri ribelli
che persero la vita vanamente
quell'invasor tentando d'arrestare.
Dietro una svolta all'improvviso appare
priva di croce un'inquietante chiesa.
Ebbe l'onor di primo tempio un tempo,
Sant'Anna sconsacrata e abbandonata.
Vola il mio sguardo di là da una grata,
c'è sull'altar capovolta una croce;
gemono al vento dei boschi le fronde,
paion danzare ombre scure tra tronchi.
Turbato vado ancor per quella strada,
lenta così Sant'Anna s'allontana,
alla mia destra s'alzano alti colli,
scendono selve verso riva a manca.
Solo i miei passi odo in quel silenzio,
del mar l'azzurro penetra nel verde
e il suo sospiro da lontan mi giunge.
Di pace un senso nel mio cuore scende.
Poi è un arco antico che incornicia un sogno,
chiesetta appar, romanico l'aspetto,
è Santa Croce e contro il ciel si staglia
e Gallinara vibra all'orizzonte.
Intimo e spoglio è l' interno sacrale,
quiete dona e riflessione esige;
da feritoie e finestre dipinte
filtra una luce a frammentar colori.
Byron un dì passò sotto quell'arco,
l'affascinò veder tanta bellezza,
pianse là nel piazzal sotto la chiesa,
commosso dai profumi e dalla vista.
Per rimirar quel mare allora scendo,
m'abbaglia il suo brillare in mezzo ai rami
che odorano di resina e nel golfo
Alassio già trionfa nella luce.
D'antica storia vien d'Alassio il nome:
d'Ottone primo era Adelasia figlia
ma amando il suo scudier, bell'Aleramo,
gli diè una figlia e fu chiamata Alaxia.
Cacciati dai castelli, in 'ste contrade
si rifuggiaron dopo aspro cammino,
m'assolti alfine da quel gran sovrano,
marchesi furon di ferrea corona.
Volgo lo sguardo alla turrita Albenga,
stordisce quel turchese, strega il mare
e volano gabbiani dentro un sogno.
Tramonta il sole poi dentro la baia,
così, pian piano, Ingaunia s'addormenta;
di Capo Mele il faro allor s'infiamma
e strada del ritorno a barche insegna.
Di luci Arasce brilla… ed è un incanto.
Di quel fatato luogo e dei colori
nel cuor mi resteran con nostalgia
ricordi dolci della strada ch'io
percorsi con amor nella magia.

Ebbrezze
Voglio un bicchiere ricolmo di stelle
per poi brindare davanti a quel mare
voglio ubriacarmi di luci e pigliare
sol le più belle.
Vago per colli e lontano quel mare
manda al mio cuore il suo salso respiro
da lui ritorno e soltanto sospiro
dolce è l'amare.
Corro per boschi odorosi di pino,
in mezzo ai rami s'intrufola il cielo
e vola in alto il più lieve pensiero
fino al mattino.
Fronde trafitte, lucenti i bagliori,
d'oro si vestono i raggi e di verde,
l'ombra trasformano e qui ci si sperde
tra quei colori.
Sopra una foglia bagnata di pianto
c'è inciso un nome portato dal vento,
forse d'amore che ormai s'era spento
dice soltanto.
Ora c'è il mare e conforta la mente,
danza d'argento la sua spuma bianca
e il blu cobalto che sempre mi manca
solo non mente.
Ballano assieme a colori fatati
musiche dolci e risuonan serene
per alleviar le nostalgiche pene
di tempi andati.
Cerco canzoni che parlino al cuore
e sempre giungano là nel profondo
e a tempre oscure che infestano il mondo
porgano amore.
Per ora, pare, l’abbiamo
scampata, ma meglio non dimenticare
Camus e il suo “La peste”.
Quel che segue fu scaramantico: che abbia funzionato?
Incubi di ritorno
(acrostico)
Mi
sembra di sognare quando vedo
Andar
persone con le croci a uncino
Che
sembrano venute da Berlino,
Hitlerian
canzoni cantan credo.
E
allora campi e forni io rivedo
Con
dentro gente e pur qualche bambino,
Ariani
no non erano e un mattino
Zampata
su di lor cadde d’Alfredo.
Zampino
dei due soci c’è in ‘sta storia,
Orrendo
è da veder quel matrimonio
Fra
Lega e Cinquestelle deliranti,
Avendo
forse perso la memoria,
Tremendo
ci preparan pandemonio
E
i lor deliri affonderanno tanti.
 Tempo (Eraclito liberamente inteso) Da lontano vien lezione: viviam l'oggi ma è domani, tempo scorre tra le mani, "panta rei" la citazione. Che si viva il contingente par che forse ci illudiamo, quindi pizie convochiamo, per scoprire il divenente. Resta vago quel ch'è andato, vero pare che del giorno, qui lo dico e non fo scorno, sol futuro è il sol provato. Questo tempo che contiamo resta solo una chimera, non è cosa proprio vera… qual la vita che viviamo. Belli o brutti abbiam ricordi che permangon nelle menti ma rimangono sfuggenti nel trascorso che già scordi. Fu di certo ammonizione "panta rei" che fu narrato: per noi esiste alcun passato, 'sto presente è un'illusione. Bene è porsi una questione per tirar le somme allora: a che serve guardar l'ora s'è soltanto transizione? Convenzione è di sicuro perché il tempo resta abbaglio, sono certo e non mi sbaglio noi viviamo nel futuro! Forse il solo fu a capire, quell'Eraclito ch'è mito, chi seguì ne fu erudito, svicolò per non perire. Di spassose favolette si riempiron tomi e tomi, s'inventarono questioni… coi cervelli fatti a fette. Col pensier che si perdeva fu dovunque un indagare; ma quel loro speculare fu com'acqua che scendeva.  Il gatto e la volpe "Su venite in fitta schiera a portarci le monete, noi sappiamo la maniera d'arricchirvi, non temete. Siamo onesti e competenti, nel paese dei balocchi vi portiam tutti contenti, per vedervi brillar gli occhi. Sotto un albero di sera pianteremo le ricchezze l'indomani, è cosa vera, fioriran prelibatezze. Coglierete soldi a mano da quell'albero fiorito, ci darete pure l'ano, 'ché appaghiam vostro appetito." Sono certo un grande imbroglio 'ste promesse fantasiose e 'sti due, e non mi sbaglio, han ricette velenose. Son ricette che al Paese cupi giorni doneranno, noi le pagherem le spese, mentre i due se la godranno. 
Romanze Recondita armonia di bellezze diverse, grand'è la nostalgia. di quel che il mondo perse. Lontana come un'eco giunge una melodia: la canta un vecchio cieco, sembra una parodia. Come un bel dì di maggio, triste l'aedo canta, mentre del ciel messaggio è il nero che l'ammanta. Canta lucean le stelle, ma quando al ciel guardiamo svanite sembran quelle e più non le troviamo. Una furtiva lacrima cade dagli occhi al vecchio, 'ché non son come prima chiare acque ch'eran specchio. L'uomo co' suoi peccati e brame di ricchezza causò così conati, terra rese lordezza. Un dì m'era di gioia, ma noi perdemmo i cieli, per bramosia che ingoia, coperti son da veli. Di quella pira ansante l'umore sentiremo, nel suo calor bruciante tutto discioglieremo. Alla maniera del limerick 2 E così siamo arrivati all'abisso che i due vati han promesso alla nazione: per compir questa missione arruolaron sprovveduti da lusinghe addormentati. ******************* Ci presenta il conto adesso e ci manderà in un cesso chi in Europa ci controlla il bilancio che barcolla così a breve lo vedrà 'sto paese genuflesso. ********************* Lor minaccian dimissioni, ci hanno presi per coglioni, ma al contrario noi sappiamo e 'sta balla non beviamo perché il vero di 'sta storia è che son dei buontemponi. ******************* Corruzione nel palazzo scrisse Betti detto pazzo or si scopre veramente ch'era savio e previgente: vide prima e con chiarezza quel che ormai è sporco andazzo. 
Haiku (Requiem in japanese sauce) Ho visto un gatto aveva un topo in bocca si soffocò. Questo tempo (ripensando Prevert) Questo tempo, generoso e crudele, che senz'attese scorre, distilla gioie, dolori e lacrime. Questo tempo che, pietoso e perfido, appronta e dopo dona illusioni d'amore e tradimenti. Questo tempo che, tenero ed orrido, blandisce e dopo inganna, confonde le coscienze e i sentimenti. Questo tempo, che al suo scader regala pene e sangue e singhiozzi, farà versare lacrime di sale. Così scorrono il tempo mio col tuo, quale gioco d'azzardo dove l'anima nostra perderemo.  Canto per te Al vento affido dolce questo canto e la sua eco dal monte discende, parrà riflusso che fa lieve l'onda che messaggi d'amor pare nasconda. Verran leggeri a te dolci dei sogni, regaleranno calma al tuo riposo e sulle labbra già gemma un sorriso per quelle immagini di paradiso. Quindi ad oriente una nuvola rosa divien preludio ad un giorno felice, renderà il sole la strada sicura, pare magia e cancella paura. GV 8,1 - 11 Fanno a gara i monellacci e ogni giorno volan stracci, perché scordan la lezione del vangel di Giovannone. Lor continuano a peccare, per più voti conquistare, così a destra e a manca danno ricchi doni tutto l'anno. Quando andranno in Paradiso a San Pietro, sopra il viso, gli diran con aria tetra scagli tu la prima pietra? Perché pensan che quel santo, per raggiunger grande vanto, qualche mancia pur l'ha data, forse a Mery addolorata. E a noi resta sol sperare che all'inferno debban stare questi sporchi ragazzini che han svuotato i magazzini.  Carola Pioggia di stelle dal cielo d'estate, son lievi fiammelle al mondo donate. Scende dall'alto blu raggio di luna, divien di smalto incantata laguna. Dal cosmo arriva una musica arcana, stella moriva ogni cosa vi frana. In alto vola perplesso un pensiero: questa carola è sogno od è il vero? 
Traguardo Ultima il tempo e poi… …là, verso orizzonte, dove si fonde mare con cielo, ecco s'azzera divien sospeso, come un respiro fermo, come un'attesa. Chi svelerà l'arcano? 
Scogli Si frangon l'onde e un lieve vento carezza il viso. Torna ricordo d'un sensual profumo, di labbra il salso… … rosse… …e perdute. 
.
Riflessi d'amore Parole Nelle parole ombra del tuo sorriso. Ed è subito amore. Volare Dicon di musica gli occhi turchese. Ed è subito incanto. Un pegno Iris raccolta declivio d'un colle. Ed è subito dono. Mistero Profondo mare assomiglia ai tuoi occhi. Ed è dolce annegare. Mar d'amore Un giorno venne e palpitaron l'onde, venne con passi lievi ed un sorriso e illuminò la notte dentro il cuore. Fu come incanto e vissi nell'amore, mi cancellò la nebbia sopra il viso, quella visione ancora mi confonde. Il tempo passa e non si può fermare, ma resta dentro un sogno, per quel mare.
La donzelletta (pascoliana) Già corre per prati sì lieve leggera! Scordato l'inverno di neve, amabile la primavera, regala colori. Ricorda di fiabe e canzoni da bocche che accanto al camino e in cantoni bevevano vino da brocche narrando di fiori. Ed ora che corre nel verde s'inebria del sole che scalda, la mente ha felice e si perde, volteggia sull'erba spavalda; lontane ed in riva a un ruscello caprette si van dissetando, spettacol non v'è di più bello guardando. 
L'immenso Da un poggio solitario sopra il mare risento ancor lo sciabordio dell'onde, salso respiro e acuto è l'odor d'alghe ed al pensiero mi sovvien l'immenso. Lieve una brezza mi carezza il viso e pare dolce invito a ricordare tempi lontani ormai svaniti e spenti e allora il pensier mio svaga e s'accende. Tra cielo e mare appar, com'un connubio, quell'orizzonte ove corre il mio sguardo, è là, dove si fondon acque ed arie, che trovo intima pace e gran silenzi. Ritornano così morte stagioni che il tempo della vita hanno segnato; oggi che la sua meta è più vicina pago vorrei svanire in quell'immenso. 
Una vela nel sogno La guardo che passa lontana, si scioglie nel mare e nel cielo, svanisce, trasporta pensieri di un tempo che diede illusioni. Rimane soltanto scordare amori svaniti in un sogno, speranze che son naufragate, certezze dissolte nel nulla. Su tutto l'azzurro del cielo, nel mare tagliente è uno scoglio, la spuma d'un onda l'avvolge, sommerge, cancella i ricordi. La vela veloce scompare, cobalto quel mare profondo, amaro il sapore del tempo, memorie che son da scordare. Un sogno Nacchere di cristallo le tue parole, quegli argentini suoni gemmano canti. La pelle di magnolia dolce profuma, ti bacio e sai di pesca, la seta sfioro. Annego nel tuo sguardo, svanir vorrei nel ciel che del turchese han gli occhi tuoi. Con magico venire tu m'incateni, lieve siccome piuma e danzar pari. La musica t'avvolge, che incanti dona! Suono non v'è più dolce che t'accompagna. Di questa terra sei ma sembri sogno, da cui mai più destarmi bramo soltanto. Per sognare: una nota a Cervo (omaggio a Uto Ughi) Impervi carruggi e lampi di luce. Nel mare lontano, un disco d'argento, annega i suoi raggi. Si cercan tra gli archi le mani affamate è un lieve ansimare, fugaci carezze e baci sfiorati. Allor come un sogno, silenzio irreale, c'è un suono che avvolge, che penetra dentro, che l'anima scava. E sale s'espande raggiunge la luna, ne copre il chiarore. E vibran le note, or gravi ora acute e pizzica e trilla, il dolce violino. Il canto si spegne con dolce ondeggiare. Nell'aria rimane, azzurra una nota, per poi ricordare. L'infinito sognando Sto seduto, seduto sul ciglio, proprio al termine dell'infinito e nel buio più buio si perde lo scrutar del mio sguardo che scruta. Neppur'una scintilla scintilla e mi perdo sperduto e disperso, disperar disperando una luce che al sperare ridoni speranza. Fors'è nero quel buco più nero, par che rotoli e sta rotolando verso un nulla ch'è nulla di nulla e stravolge stravolto pensiero. Dubitare d'un dubbio dubbioso che s'avvolge avvolgendosi al vuoto non risolve né assolve domande ma tormenta e tormenta davvero. Gli impostori (chiedendo scusa al Vate) Febbraio andiamo, è tempo di migrare. Or che in terra d'Abruzzo, con dolore, quegli elettor ci mandano a cagare, spegnendoci di botto il bel bollore, lasciam gli stazzi ed anneghiam nel mare. Profondamente abbiam bevuto ai fonti d'una Nazion di molto smemorata che non s'accorse che col fascio i ponti allestivamo per ogni giornata, così imbrogliando gli italiani tonti. Ed ora andiamo al piano pel tratturo, quasi come un erbal fiume silente; ci ha castigati quel che lo tien duro, sempre dei favor nostri sconoscente; poveri noi che lo credemmo puro! Ora lungo un rio fosso s'incammina la nostra greggia che ha smarrito ardori. Quell'illusion ci fu tal malandrina da rendere acutissimi i dolori. Ed io, Gigino, andrò co' miei impostori. 
Bibì e Bibò a Zelig Sono pieni i manicomi di genial Napoleoni e van pure in compagnia di chi copia polizia. E così a braccetto vanno e al paese fan gran danno; con le loro esibizioni ci hanno preso per coglioni. L'uno guerra oggi dichiara, la demenza è di già chiara, alla Francia che alla fine lo indirizzerà a latrine. L'altro tronfio nel giubbotto fa l'astuto poliziotto, chiude porti, cuore e mente …e fa ridere la gente. E' una farsa il loro andare e potrebbe divertire ma il paese, con 'sto andazzo, diventato è paonazzo. Paonazzo per vergogna per aver 'sti due qual rogna, rogna al mondo che mostriamo e di cui ci vergogniamo.  Della notte Vago per bianche dune, acceca il sole e gli attimi consumo. Ripenso amori lontani come vela che all'orizzonte svaga e dolce m'arriva frusciar dell'onda. Piano discende e accende il mare il sole, scende silenzio attorno e l'ombra avvolge e dossi e canne e il tempo sembra sospeso, come un respiro fermo, come un'attesa. Resto così nel buio in quel silenzio, salso respiro e dentro piano si scioglie un pianto muto e lento. Resta il conforto del palpitar di stelle e il mar m'accoglie. 120 meno 3 = 117 di meno Medaglie sul giubbotto merita il poliziotto. Ben centodiciasette or sono le stellette che oggi 'sto leghista, aggiunge alla sua lista. Così gode il ministro se a mare c'è un sinistro 'ché a noi non porterà chi dona inciviltà. Si appresta a provvedere per calci nel sedere da dare al capitano che tre, col lor corano, salvò da orrende onde, sbarcando nostre sponde. Tronfio col suo giubbotto, ministro poliziotto in giro se ne andrà, poi lieto dormirà. Mare e il suo respir che chiama... Vele lontane sfumano all'orizzonte speranze antiche. …e odor di salso penetra… Spuma s'arrampica su scogli immoti rassegnati e scuri. …e di brillar di luci scintilla… Così il pensiero in quel lucor si svaga. …ed intimi ed onirici i silenzi… In lui discendo vinta la gravità di levità m'inebrio. …e dolcemente sabbia accarezzo… …carezze lievi che su un viso posi. …e urlan forte l'onde… Ed un timore prende ed un rispetto. …ed è di sangue che al tramonto avvampa… Pare come l'amor che cuori infiamma . …e si specchian in lui gabbiani … La libertà che sogni nel suo immenso. Così ancor lo invoco: madre, dammi il mare ! (Emil Michel Cioran (1911/1995), rumeno di nascita, francese di lingua, spagnolo di spirito, filosofo e saggista non era proprio un allegro compagnone. Per maggiore comprensione del componimento che segue, elenco alcuni titoli delle sue opere: "Squartamento", "La tentazione di esistere", "Il funesto demiurgo", "Lacrime e santi", "L'inconveniente d'essere nati", "Sillogismi dell'amarezza", "Sommario di decomposizione", "Al culmine della disperazione", "Confessioni ed anatemi", "Taccuino di Talamanca". Più una impressionante serie di aforismi, spiritualmente e sostanzialmente in linea con le opere citate.) Taccuino di Talamanca E vidi un giorno la giornata bella, felice con letizia me ne andavo, la gente mi pareva in camporella, con allegria di questo mi beavo. Sentivo un gran bisogno dell'amore, donarlo e averlo reso, ancora e ancora, di gioia mi batteva dentro il cuore e a spasso camminavo già da un'ora. Sguardo mi cadde, sì sono curioso, ricolma di bei libri una vetrina e piccol, tutto nero e prezìoso là mi ammiccava, esposto, un libricino. Forte la tentazione e lo comprai, una panchina all'ombra poi m'accolse e a leggerlo, con fame, m'apprestai, così che la mia mente tutta avvolse. Di desengaño ispanico narrava, di D'Avila Teresa e de' suoi orgasmi, di tanto in tanto Borges affossava e addosso si piangea per i suoi spasmi. Del cuore suo malato e di emozioni ecco, così Cioran si confessava, di notti insonni lessi e riflessioni e cupa una vision del mondo dava. Alzava il dito e tosto ci ammoniva: "qual sole mai, ma qual d'amor sospiri, la vostra mente sì che si svaniva! Dolor vi sia conforto, vita viri !" Attorno mi guardai con apprensione, nessuno più un sorriso mi porgeva, un cane già azzannava le persone, un calcio a un mendicante lo stendeva. E questo fu l'effetto invero strano di quel taccuino e de' suoi insegnamenti. Così consiglio a voi, per darvi mano, fatene dono a odiosi. A lor tormenti. Magico mare Per liete teorie d'epifanie incanto divenisti. Salso fragrante dall'acqua fluiva, sabbia l'accarezzavi e fu il tuo andar su scogli a farti spuma. Donasti suggestioni, per quel color turchese che par d'occhi. Svelò il prodigio della tua magia il correr verso il cielo confondendo i tuoi colori a quello. Così ritorno a te con la memoria, per ricordare tempi di vele che vaganti all'orizzonte portavan dolci sogni, svaniti com'un volo di gabbiani.
Largo al factotum Da Siviglia è ritornato il barbiere tutto fare, eppur c'è chi è delegato, dicasteri han da curare. Ma il leghista fa di tutto, vuol ministri sopraffare e lo fa a muso brutto e li manda, oibò, a cagare. S'accaparra i ministeri che gli passan per la testa e divengono suoi i doveri, tanto gli altri fan la siesta. Del suo vice vuole il posto, dalla gente vuol mandato per Bruxelles ad ogni costo, tanto Conte è addormentato. Con sussiego e competenza parla pur con gli industriali, Gigi ridens, per prudenza, gli redigerà i verbali. C'è un ministro delegato agli affari verso il mondo, ma se Malta fa peccato lui s'incazza a tutto tondo. Pur di sanità straparla e cancella quei vaccini, la ministra che non parla, vada a rammendar calzini. Vola spread, lui se ne frega, così dice, serio serio, "Tria si faccia 'na gran sega, tanto è ormai nel climaterio." E così con 'sto delirio voti arraffa a destra e a manca, per l'Italia è gran martirio, cadrem tutti dalla panca. Quel che inver lascia basiti dei sudisti è il lor assenso, li trattò da parassiti, ma l'apprezzan con nonsenso. Singolare è 'sto ministro che s'accolla ogn'incombenza, sento un suono ch'è sinistro, del fascismo ha la cadenza. 
Anni fa, nell'appartamento sotto il mio, arrivò una famiglia di marocchini. La moglie, incinta verso la fine della gestazione, un bambino di 6 anni ed il marito. Proprio in quegli ultimi giorni il marito trovò lavoro in Germania e partì, lasciando soli moglie e figlio. Tra noi si era creato un amichevole rapporto e quando arrivò il momento del parto io e mia moglie portammo all'ospedale la donna e restammo in attesa dell'evento. Nacque così Hiba. Oggi ha quattro anni e mi chiama, commuovendomi, nonno. E questa mi ispirò, con buona pace dei razzisti nostrani: H i b a (dono di Dio) Da terra assolata, con nenia preziosa, comparsa è una rosa che un Dio l'ha donata. Son neri i capelli, germoglia un sorriso sul tenero viso da quegli occhi belli che voglion sapere, che guardano in tondo che cercano il mondo per coglier piacere. Farfalle le mani carezze daranno, sarà forse a un anno, vorremmo domani. Ed Hiba assopita già vibra d'amore ci donerà il cuore darà la sua vita. Sarà suo piacere diffonder con mano, d'un luogo lontano, l'antico sapere. Così l'accogliamo con grande speranza. Sua vita sia danza noi voto facciamo. Luccichii Vago per colli e lontano quel mare manda al mio cuore il suo salso respiro, da lui ritorno e soltanto sospiro grande è l'amare. Foran le fronde lucenti bagliori, raggi si vestono d'oro e di verde l'ombra trasformano e quasi si sperde in quei colori. E' il mare che avanza nella mia mente, danza d'argento la sua spuma bianca e il blu cobalto che sempre mi manca solo non mente. Ballano assieme colori fatati, musiche dolci risuonan serene per alleviar le nostalgiche pene di tempi andati.
Le notti ed i giorni Identiche ai giorni sembravan le notti allora che nostri quei tempi vivemmo. I giorni scambiammo con notti frementi e notti con giorni parevano uguali. Quei sogni reali turbavan la mente donandoci in cambio smarrite illusioni. Col darci un amore con false promesse stagioni intrecciammo per vincer la noia. Rimane di questo sognare incantato sottile un miraggio disciolto nel nulla. Incubi di ritorno (acrostico) Mi sembra di sognare quando vedo Andar persone con le croci a uncino Che sembrano venute da Berlino, Hitleriane canzoni cantan credo. E allora campi e forni io rivedo Con dentro gente e pur qualche bambino, Ariani no non erano e un mattino Zampata su di lor cadde d'Alfredo. Zampino dei due soci c'è in 'sta storia, Orrendo è da veder quel matrimonio Fra Lega e Cinquestelle deliranti, Avendo forse perso la memoria, Tremendo ci preparan pandemonio E i lor deliri affonderanno tanti. 
Il Minotauro (da un racconto di F.Durrenmatt) Cerco nel labirinto scuro della mia mente. Cerco nel mezzo di contrapposti specchi. Cerco una luce che mille ed abbaglianti sprazzi spezza. Cerco. Son abbagliato e vedo nova da nana bianca, e quantiche galassie dove precipitando si sciolgon le memorie. Contorti sono in cerchio lo spazio e il tempo o in infinita retta volan lo spazio e il tempo ? Cerco. Teseo, carnefice lucente, ecco che appare. Le comiche finali (ovvero la manina nel DEF) Già da tempo si sapeva che Gigino il sussiegoso non capia quel che diceva. Ed è pur molto spassoso saper anche pel ministro pur lo scriver misterioso. Lui con zelo fé il registro, sotto attenta dettatura, poi gli dicon ch'è un sinistro. A incolpare si premura "non son io c'è 'na manina che ne cambia la natura ci hanno aggiunto ciliegina, m'hanno fatto un bel tranello, per pulir la lor latrina." E noi gonzi a questo e a quello darem fede a tutto spiano, tanto questo è un fatterello …e l'italico dà l'ano.
La coppia più bella del mondo (Bibì e Bibò, campioni del pentaleghismo) Ci han votati p'affossare 'sta sinistra deficiente, solo un dì saprà la gente quanto infame fu il votare. Reni all'euro spezzeremo, tra un balcone e un me ne frego e col popol bue che strego giovinezza canteremo! Spread mangiamo a colazione, con dei neri per contorno e darem, per ogni giorno, da gran bulli 'na lezione Primo, è ben che lo si sappia, viene l'interesse nostro, solo il fascio, e lo dimostro, ricca rendeci la greppia. Oggi giran per le strade le squadracce della destra vanno dando ria minestra a chi sceglie altre contrade. Finalmente 'sto paese ridurremo alla miseria, diverrà come Siberia grazie a nostre inique imprese. 
Alla maniera del limerick Sono buffi quei due puffi ci regalan degli sbuffi d'una mente obnubilata dal poter d'una giornata e sul fez gli spuntan ciuffi. ****** Stiamo andando al funerale di un potere che sta male quello di democrazia che sta male pur mia zia e ci attende, aita aita, un liquame ch'è abissale. ****** Or che il fascio è ritornato dopo esser spernacchiato canteremo giovinezza per difender la fortezza da chi è solo un disgraziato. ****** Mangeremo pane nero e si fa triste il sentiero di chi pensa che in giustizia ci sia solo la letizia e non si veste di nero. ****** Or farem dell'oca il passo per Matteo sarem lo spasso pur per Gigi analfabeta che grammatica ha desueta per entrambi arriveranno pene giuste a contrappasso. 
La rimembranza (5 settembre 1938 -leggi razziali del fascio-) Giorno di festa è questo pei fascisti, compie ottant'anni il turpe compleanno; quel dì si rivelarono razzisti, per i diversi furono il tiranno. Oggi, che van d'accordo a camorristi, si sente che ritorna quell'affanno, di cui han nostalgia tutti i leghisti, compari dei grillini a fare danno. Pura è la razza, così la salveranno da negri che affamati e violentati qui cercheranno vita un po' più degna, da rom che sempre vivon vita indegna, da gay che hanno rapporti da malati, da chi del fascio afferma ch'è malanno. E ritornar faranno campi di pena e pur, per pulizia, salubri forni, dopo l'asfissia. 
Il prode Salvini dopo aver messo prima gli italiani, prima i passeggeri, prima i non vaccinati, guarda in alto e mette prima la Terra. E questo ci racconta: Prima la Terra ! Fu Copernico uno stronzo, mise il Sole sopra tutto forse avea faccia di bronzo, cancelliamolo di brutto. Prima in ciel viene la Terra, giran Sole e l'altre stelle a lei attorno e par 'na serra, Niccolò inventò novelle. Rimettiam le cose a posto, correggiamo i manuali per le scuole tosto tosto, quelli d'oggi… demenziali. Per fortuna che la Lega, con l'avallo dei grillini, la cultura or vi dispiega come foste dei bambini: visse in tempo ormai lontano Tolomeo, grande stregone, l'universo prese in mano poi ci diede 'sta lezione: "Sempre al centro è il nostro mondo, co' pianeti che in gir stanno, van facendo il girotondo, notte e giorno tutto l'anno." E fu lui il primo leghista che capì con acutezza che vien prima nella lista Terra nostra con certezza.  Pasquinate n°3 La libertà: Questa scienza prepotente pur ci impone anche i vaccini, cancelliamoli repente, tanto…muoiono i bambini. Lavoro in nero: Quelle leggi cancelliamo dei governi comunisti. Toglier vaucher fu d'artisti, fanno il nero e li vogliamo. Il capo: Conte abbiamo messo in mezzo ed a vista lo guardiamo, non si sogni quest'attrezzo che il comando gli lasciamo. La fede: Col rosario vado in giro, come fan tutti i mafiosi, così avrò l'apoteosi dalla Chiesa che raggiro. Sacra famiglia: E' sol quella ch'è formata da maschietti e femminelle, tra omosex è 'na cazzata gli farem veder le stelle. Legge Mancino: Aboliamola veloci quella legge sciagurata, ove mai fosse applicata conseguenze avremmo atroci. 
L'attuale situazione politica mi porta alla mente un turbinio di ricordi. Così si mescolano Deng Xiaoping (col suo gatto dall'indefinito colore) con la goliardica commedia "Ifigonia in Tauride" e con il fascista "Inno al sole" dalle belle note pucciniane. E me ne viene l'ispirazione per quel che segue: Calvinisti d'accatto Siamo le vergini dai manti bianchi, alfine al governo siamo arrivati grazie ai fascisti, cui diam pure i fianchi e lo giuriam: sempre a loro associati ! Con verdi camicie noi sarem franchi, ci scorderemo dei loro passati ci scorderemo sentenze d'ammanchi, da pie intenzioni siamo animati ! Sole è ormai sorto sul nostro futuro giocondi e liberi andiamo a affogare in sozze macerie il dolce Paese, le pagheran gli italiani le spese, per gli sfracelli che andiamo a creare si pentiran di quel voto immaturo. Ma è il nostro andar sicuro, la Storia, un dì, ci metterà alla gogna, ma oggi qui restiam senza vergogna. 
Il Teorema Se danzo sui cateti e mi diletto a disegnar quadrati regolari, m'accorgo che chi danza dirimpetto andrà a formar un'area pari pari. Pasquinate Il tramonto Poveri 5 stelle che al tramonto ormai portato vi ha compar Salvini, ma voi non vi curate dell'affronto perché sognate ancora da bambini. Le sentinelle Omerica risata fa Salvini e seppellisce tutti i 5 stelle che a lui pensavan d'esser fratellini e di morale esser sentinelle. Le gite Ci costan care le gite di Conte che a spasso per l'Europa va contento credendo di scalarne l'erto monte, mentre lo usan sol per pavimento. La rinascita Oggi il fascio è ritornato e per duce abbiam Salvini al comando delegato da quei tonti di grillini. La razza pura Per l'onore della razza dagli zingari iniziamo, ecco che con 'sta ramazza tutti quanti li spazziamo. Al vederli già s'incazza il padano che noi siamo e di lor ci si sbarazza, in San Sabba poi brindiamo. Rifaremo i bei camini che col loro fumo nero serviranno egregiamente a esentar dal cimitero, giusto omaggio al pio Salvini 'sto risparmio convincente. Questo sol per cominciare, altri sono d'affossare. 
Davanti al mare Nell'aria era un frinire di cicale, ch'andava come cerchio che si spande, danzavan pini per un dolce vento. Finire là sembraron le mie scale, la nostalgia nel cuore allor fu grande e il ricordar quell'acque dà tormento. Mi vedo vela vagante sull'onde, là dove vissi emozioni profonde. Sol con la mente ritorno a quel mare, con la certezza di non più tornare. La spartizione S'è smarrito Di Maio nell'imbroglio leghista, gli ha concesso una lista di ministri, ah che guaio! E Salvini irridente gliel'ha messo in quel posto, con piacere scomposto, …e Luigi è gaudente! Società hanno fatto per dividersi il tutto come fossero pari e i grillini somari, imbrogliati di brutto, preso han scaccomatto.
Le cosmicomiche (-XIII° racconto-) D'un comico minore sono figli, danzando ormai s'approprian della scena, grillini con leghisti ed è una pena pensar che finiremo qual conigli. Quel ch'è rimasto della scarsa pelle, che malamente copre la Nazione, sarà scuoiata per gran devozione a chi regala a loro caramelle. Un giorno fu fascismo e fu disdetta ma in farsa si rifà, si sa, la storia, di quello par che parlino in memoria e il lor programma è pura barzelletta. A piene mani spandono promesse, che sanno che giammai realizzeranno ed al Paese triste grande danno arrecheran 'sti figli d'esse esse. Bizzarra unione è quella che si forma tra comici grillini con fascisti, fan società di baldi qualunquisti e dei lor padri seguiranno l'orma. Le invasioni dei barbari oggi sono improbabili, la natura vi supplisce con le invasioni interne e legali.: i Vandali son all'Edilizia, Attila dirige la riforma agraria, i Goti attendono di andare al potere. Tutti mirano a distruggere qualcosa perché il barbaro, sempre stupido ed impaziente, deve muoversi e fare, altrimenti si annoia. (Ennio Flaiano) I barbari Da sperduti villaggi, da nebbiose pianure, ecco arrivano a frotte per ghermire il potere, incuranti dei frutti, non amando letture, tutto voglion cambiare, con perverso piacere. Ci raccontano fole di vittorie inventate, fanno scempio di norme, pur d'andare a godere ed assieme agli orgasmi, che verran da porcate, gratitudine avranno da chi ha ricco il forziere. Il Paese in deserto ridurranno davvero, la miseria faranno lì per lì lievitare e farem mesti pianti, come in un cimitero, forse più non potremo ritornare a votare. E quest'è il risultato dell'apatico andare dell'italica gente che non volle vedere quel che attorno accadeva, continuando a sognare quel paese di fiaba che inventò il cavaliere. Poesie e origami Quel che scrissi rileggo e s'oscura il mio cuore, quelle tristi poesie origami saranno. E così le fo barche che s'affondan nel mare ed alianti leggeri affidati a tempesta, formo papere liete che si sciolgon nell'acqua ed in fiori le cambio destinati a rifiuti. Quel che resta diviene fiocchi bianchi di neve che svolazzano al vento allietandomi il cuore. Dedicata a chi non frequenta Poetare Specchio delle mie brame dov'è la poesia in 'sto reame? "Poeta che oggi cerchi poesia, in scordata riserva confinata, sappi che c'è più nulla sulla via a replicar la gloria ch'era stata. Duro è lo studio per capir cos'era, qui oggi troverai scuri racconti fatti di lemmi astrusi e tal groviera grammatica divien per grand'affronti. Solo di nulla sono pieni i versi, metafora lo chiaman per sfoggiare falso saper ch'è solo da perversi …che ti verrà la voglia di frustare. E' giunto il tempo in cui se vuoi trovare lirica musical che riempie il cuore a tempi antichi dovrai ritornare, per vivere alfin lieto tutte l'ore." 
La peste Capitan Cocoricò disperato va cercando un rimedio a chi gettò 'sto paese nello sbando. S'arrabatta il poverino che non vuole dispiacere a chi un giorno già al mattino prese Italia per sedere. Quel Bibì con quel Bibò van gridando senza posa "Governare ora si può 'sta nazione che ci sposa e alla faccia della UE straccerem tutti gli accordi, che fan male a me e a te e staran tra i bui ricordi." Per guarire la follia forse sol la soluzione non è dire "mamma mia!" ma adoprare un gran forcone, perché la democrazia non la vuol rivoluzione se poi butta sulla via tutta quanta la nazione. E quei due vogliono questo: per blandire chi li paga e per arricchirgli il cesto ci daranno brutta piaga. Per capir di cosa dico a flat tax basta pensare, farà il fisco molto amico a chi ha molto da mangiare. Capitan Cocoricò troverà la soluzione? Non lo so, ma so però che ci vuol altra elezione, auspicando gli elettori sian più saggi ed oculati, non dian retta a imbonitori valutandoli appestati.
La leggenda del martin pescatore (liberamente tratta da Le Metamorfosi di Ovidio)  Ceìce e Alcione vissero l' amore, felici i loro giorni trascorrevano, baci e carezze ardenti si donavano, eran delizie che fermavan l'ore. Miele era dunque quel sentir maturo, canto soave che in ciel li portava, ma il figlio di Lucifero voleva del loro andar conoscere il futuro. Per mare da un veggente si recava, malgrado il cuor presago della moglie che triste in grandi pianti si discioglie mentre ei tenace con la nave andava. Della figlia di Eolo i timori si realizzaron nei più cupi modi: il vento in quelle vele scioglie i nodi e sconvolge la nave dentro e fuori. Barriere d'acque e gorghi spaventosi inghiotton marinai assieme al legno; nell'affogar Ceìce chiede impegno a dei che il corpo con Alcion riposi. Ma i forti lai di quella e la preghiera stizziscono Giunon che irata invia Morfeo per narrar dell'agonia a chi si tormentava giorno e sera. Per questo il dio del sonno si trasforma in orrida figura d'annegato, grondante appare a lei che ha disperato di festeggiare lieta quei che torna. E' chiaro quel messaggio ed angosciata la donna allora corre verso il mare, cercando là chi non può più tornare e vede al largo salma abbandonata. Urla la sposa "io non son più io ma sono morta ed or Ceìce sono, vissi per lui e a lui chiedo perdono, così come lo chiedo al sommo dio". Afflitta Alcione corre verso l'acqua, Giove clemente quell'andare muta in volo e lei in uccello il che l'aiuta a giunger su quel corpo che il mar sciacqua. Dal becco piovon baci su Ceìce che par destarsi e pare alzar la testa, ma alato pure lui di già si desta e assieme vanno in ciel che fa cornice. Poi i bei color dell'alba e del tramonto ricopron l'ali e pure il corpo tutto; martin son fatti pescatori e il lutto diviene eterno amor senza confronto. 
Quel che resta d'un sogno Svanito il brillar delle stelle, assente di luce è già l'aria, son fosche le nubi nel cielo e nero la notte germoglia. Così nell'oscuro m'aggiro, portandomi dentro ricordi, ricordi di mari sereni che han trine sull'onde che vanno. Nel tempo dell'ore perdute diletto donava alla mente sorriso di fresca rugiada e lieti progetti annunciava. Ma oggi, or che sono compiuti momenti di vita vissuta, potrò sol vagare nell'oltre con atomi spersi confuso.  L'ultima estate Nell'aria era un frinire di cicale che andava come cerchio che si spande, pini cingeva come afoso vento. Finiron là i sogni miei e le scale, così la nostalgia nel cuore è grande e il ricordar quell'acque dà tormento, Mi penso vela, vagante su l'onde, rivivo l'ore felici e feconde, dolce è il ricordo e ricordando il mare resta certezza di non più tornare. Il dubbio S'erge l'Antonia torre minacciosa, nel mese di Nisan, sulla vallata; dentro un giardino con l'odor di rosa, Pilato attende un re già condannato. Vergò il Sinedrio pena rovinosa ma non poté eseguir condanna data; Roma, la cui conquista era gravosa, pure la morte volea autorizzata. Così davanti a lui, lercio e pestato, parlò di verità e d'altro regno, l'uomo che boia là han trascinato. E s'adeguò il prefetto all'altrui sdegno, lavò le mani ma la sua coscienza negò ch'è suo dover marcar sentenza.
Porto cupo Capitan Cocoricò guarda con grand'apprensione quel Bibì e quel Bibò che hanno vinto la Nazione da chi illuso li votò. Dove porteran la nave, 'sti gemelli esagitati? Si domanda con far grave. Pei programmi strampalati, li vorrebbe sotto chiave. Far scongiuri sol potrà, disperato ed avvilito verso il ciel preghiera andrà. Per quel voto mal riuscito certo U. E. ci caccerà. Porto cupo è nel futuro e così, con buona pace, da padella, ed era duro, or cadremo nella brace di un Paese morituro. 
Noto che va di moda poetare nelle più svariate lingue straniere, lingue che non tutti conoscono al punto da poterne gustare la poetica musicalità. Ma c'è una lingua universale, certamente a tutti nota, cioè l'esperanto, allora ho pensato di proporvi la traduzione di una mia poesia in questo idioma, certo che tutti l'apprezzerete. Fonte Castalia (Historio, kiu de malproksime venas konsili) De Dioniĉaj kuraĝoj li estis kaptita Apollo dum erringanta la Parnasson, Tie, en arbaro, li vidis, kaj ne hazarde, Castalia brilas kun bela vizaĝo. La amadrìade estis inter kverko, lla dio ŝin vidis kaj deziris ŝin, io, kiel magio, inflamita kaj kvankam li rezignis Iliadon. De la harmonio kaj ordo estis la dio, (Nietzsche ĉi rakontis kelkajn jarojn poste) sed li ofte havis seksperforton kiel celo kaj kiu ajn malhelpis ĝin pagis por ĝi. Kaj ĝi ankaŭ estis sekse duobla, viroj aŭ virinoj al li estis egalaj, li multe estimis, kiu metis la flugilojn en mensoj kaj grandaj fantazioj de kuniĝo. Do inter dezerto kaj akvofaloj malakceptis ĝin, la bela nimfo, kiu malakceptis ĝin. Ĉi tio, pro granda angoro, estis elĵetita en acantilado kie kaptis la morton. Repentante estis la scivolemo. Iam dezirante kompensi ĝin Farita Castalia fonto iĝas, kun la virto de doni poezion. En Delfos, do, estos bone iri, kial ber de tiu malofta akvo Ĝi faros nian odo malpli stingy kaj senfinaj la Musoj amos nin. 4 settembre 1260 Di sangue si bagnava la pianura, in Montaperti là, per la battaglia, fu Bocca degli Abati gran canaglia e a guelfi rese vita molto dura. Stendardo guelfo su cavalcatura Jacopo alfiere vers'il cielo staglia ma giunse quello e la sua mano taglia e sbandamento ai fiorentin procura. Per Siena quella fu giornata rara, d'allor comanderanno i ghibellini quei ch'a Firenze reser vita amara. Sui vincitori piovvero quattrini, persin la Svevia, ch'ebbe il Papa in odio, forte applaudì, convinta, all'episodio. Prosperò Siena a lungo là in Toscana, anche per quel che fé voltagabbana.

L'incantamento Nel camminar la terra fui distratto dal tuo sembiante e da' capelli d'oro; del portamento, da capolavoro, chi t'incontrava n'era stupefatto. Il mondo non mi parve esser adatto ad ospitarti, perché gran tesoro e, dando quel vederti gran ristoro, mai si trovò chi non ne fosse attratto. Nel sogno andrò a cercar per la mia strada quel tuo sorriso che cuori spalanca e toglie a menti ed alme ogni tormento; poi certo mi darà l'incantamento, perché m' entrerà dentro e il fiato manca, l' udir tuo riso fresco di rugiada. 
Ermione e il Vate (mi sa che è andata così) Ermione è là distesa sopra lenzuol di seta, c'è pioggia a catinelle, c'è un lampo che inquieta, così lei si rivolta, si copre col cuscino, s'è tolta la camicia, problemi avrà al pancino. E fa pure le bizze, vorrebbe un poco amare, magari tenerezze, magari almen mangiare, afflitta si lamenta, lo sente il suo ignorare, in più le dan fastidio quei suoni e preoccupare. Il fischio di quel vento, quel mormorar del mare, un tuono è uno spavento, lei non ci vuol pensare. Ma il Vate è lì che insiste, vorrebbe passeggiare, per boschi e per ginestre lui se la vuol spassare. E quell'andar per fratte, disciolti e non congiunti, certo farà a polpette malleoli bene unti. Neppur c'è da parlarne di correre infangata, solingo vada a farla silvestre camminata. E questo raccontava, quel Gabri un poco ottuso, con questo suo bel dire, diè le istruzion per l'uso: "piove su i nostri volti silvani, piove su le nostre mani ignude, su i nostri vestimenti leggieri, su i freschi pensieri che l'anima schiude novella, su la favola bella che ieri t'illuse, che oggi m'illude o Ermione." Così la conseguenza di 'sta bella canzone di certo è un influenza, nei piedi anche un durone. E certo che virente lei diverrà incazzata! s'ei insiste ulteriormente gli dà una bastonata. E pur tacer doveva! Pur spegner la passione! Un peso a lui pareva la dolce, cara Ermione. I polli E' tornato, è tornato e nessun l'avea chiamato. Come allora, come allora ci darà la candelora. Curerà solo i suoi affari e anche quelli dei suoi pari. E da grande pifferaio ben conosce il suo pollaio. Spande sogni a piene mani ed incanta i suoi villani. Vincerà quest'elezione fischiettando una canzone. Lui sa ben che d'altra parte trova un vuoto senza arte. Senza l'arte del parlare per i cuori riscaldare. Questo è quello che io credo: diverrem polli allo spiedo. Allegria! Ma quant'è allegro il popolo italiano! Del suo passato un dì volle scordarsi, così si scelse quel buffone nano per grasse e gran risate di poi farsi. Ma giunse al suo traguardo il caimano e triste l'orizzonte andava a farsi. Allor volle l'italico, ch'è strano, giullare nuovo per non annoiarsi. Cercò persin nei circhi quello giusto, quello che certo avrebbe garantito d'uno spettacol buffo il bel programma e alfine lo trovò e avrà gran gusto di un comico arruffon provare il dito, ignaro ancor di viver altro dramma. 
Nostalgia Ebbi giornate di sogni e speranze, correvo prati coperti dal cielo azzurro e terso e volavano danze, né dell'inverno sentivo il suo gelo. Vissi con gioia lavoro e vacanze, di vita i progetti eran vangelo, luce brillava là nelle mie stanze e grande amore donavo con zelo. Adesso i ricordi portan rimpianto, nel tempo disciolte son le illusioni, di loro sol resta triste l'incanto, non udrò ancora gioiose canzoni, brividi e freddo son lungo la strada, resta il traguardo d'un altra contrada. C'è del marcio nel villaggio I fratelli a congresso: "Su fratelli è giunta l'ora di danzare nel giardino e tra tuoni e lampi e pioggia cambieremo quel cammino che indicava per traguardo un'oscena libertà." Le streghe in coro: "Tra le nebbie e l'aria lercia bello è il brutto e brutto è il bello, gente rea con arroganza lo prosciuga come paglia. Tre per me e tre per te e più tre che fanno nove, accidenti ma qui piove piove merda sul villaggio e ci vuole un bel coraggio ad incoronare un Re." Il programma politico: "Oh fratelli, orsù, approntiamo seducente una fattura, nel bollente calderone giù frattaglie velenose, un filetto di serpente e poi un occhio di ramarro, con un pelo di vampiro e l'aluccia di un allocco, si fa un gran bel sortilegio che travaglio infin darà. Su, bollite e gorgogliate, come il brodo dell'inferno!" Il coro greco: "La pozione preparata sarà offerta alla nazione, proprio dopo votazione, da color che, spudorati, se ne spartiran le spoglie e daran le vecchie doglie per vent'anni e forse più." Piero Colonna Romano (in collaborazione con Willy)
La somma In fondo al mare affondan le illusioni, di dolci, amare e già spente passioni. Vissi la vita come fosse un canto, ora che chiusa ogni speranza resta attendo il mesto chiudersi la festa. Musica amai e fu per me conforto, tempo passai a legger quadri e libri, ore felici, che di passione vibri! Altre emozioni avrei potuto dare o tentazioni o forse un grande amore a chi questo attendeva con tremore. Oggi, con ossa stanche e consumate, vedo la fossa, penso al mio passato, con la speranza d'esser stato amato. Ma non c'è un dopo a dar la soluzione, resta un canopo e triste una canzone. Ahi serva Italia di dolore ostello, nave senza nocchiero in gran tempesta, non donna di province, ma bordello ! (Dante -Purgatorio VI- Sordello-) Oranitalia Da fetide fogne, da umide forre rivedon la luce quei musi appuntiti. Parea s'evolvesse quel nostro destino, a cieli radiosi volgemmo lo sguardo, il turpe passato gettato alle spalle. Squittiscono ancora, non li han sterminati, nel nostro giardino diffondon bubboni. Si riempion le strade di gente malata, la peste già segna quell'anime ignave e liberi voli vorrebbe in catene. Rieux non abbiamo che possa salvarci, d'un piffer non s'ode quel magico suono. Nel ciel s'allontana, s'offusca una stella, e ha nome Speranza quell'astro sognato, che torme di ratti hanno già cancellato. 
Malibù dancing Occhi ridenti nel lor luccicare, luci vibranti a volerli esaltare, come diamanti brillavano i denti, dalla sua bocca sorrisi suadenti. Ritmo avea musica e un dolce cantare volava nell'aria a farci sognare, forma flessuosa, promessa d'eventi, senso donava a quei nostri momenti. Biondi i capelli ondeggiavano lievi, di primavera vestivan profumo, mentre leggeri sfioravano il viso. Restano sol di quel tempo le nevi e nella mente di pena c'è un grumo che dalle labbra cancella il sorriso. 
Pasquinate Renzi Matteo, deh, non ti indignare se qualcun vuole in CONSIP curiosare e quell'antico adagio non scordare ché dice che la prima fu a cantare gallina quando l'ovo volle fare… *********** Ritornano a volare in cieli oscuri, dicendo che son sempre duri e puri, marmaglie che a guardarle infine appuri che marchia svastica i lor cuori scuri. E mai qualcuno c'è che le censuri ! *********** Un bel pranzetto stanno apparecchiando compari di merende preparando dell'elezioni norme già pensando a scranni da spartirsi, nominando vassalli fidi…e il popolo ignorando. Lezione di volo Con te mi porterai, o dolce Berenice e trecce scioglierai, facendomi volare. La mente incanteranno quei fluidi filetti, che dolci soffieranno sul volto mio affannato. Portanza mi darai, lanciandomi nel cielo, vedere mi farai il mondo da lontano. Traverseremo alfine di quel Venturi il tubo, per vie diverse infine assiem ne usciremo. La foce Dove l'acqua del fiume si confonde col mare, resto fermo a guardare quelle candide schiume. Fu veloce il percorso, dalla fonte alla riva, la mia mente già arriva dove nacque quel corso. Ripercorro le sponde, che han memoria degli anni, vi rivedo gli inganni, commozioni profonde. E con l'arte a conforto, con l'amore a compagno, vissi in terre di sogno, gran ricordi mi porto. Ora torno al mio mare, c'è la barca che attracca, dalla dolce risacca vibra un suono a incantare. Dall'inizio alla foce, sol nell'acqua è il traguardo, mi rapisce lo sguardo, lieve nenia è la voce. Quando d'atomi salsi diverrò un bel mattino, volerò sul cammino dove il bene raccolsi. Adusta fonte Gorgoglia un rubinetto, par l'ultimo versare, neppure più un mottetto l'anima a riscaldare. La musa cui mi volsi, crudele mi rispose "se taglierai i tuoi polsi, rifioriran le rose." M'abbeverar di sangue la terra screpolata affossa ciò che langue, poesia darà malata. Meglio sarà sperare nel tempo e le stagioni, piuttosto che azzardare penose soluzioni. Precario è il poetare, ci vuole ispirazione, sentir che devi dare ad altri un'emozione. Così dentro il mio cuore rimane un desiderio : che gemmi dall'amore almeno un verso serio ! Dammi il mare Vele lontane sfumano lente speranze antiche. S'innalza spuma su fermi scogli taglienti e scuri. In lui discendo e gravità scordo, di levità m'inebrio. …così il pensiero in quel lucor si svaga, carezze lievi che su un viso posi… Ed un timore prende ed un rispetto. Pare come l'amor che cuori infiamma la libertà che sogni nel suo immenso. Ed è il mio cuor che invoca: …il mare, madre, dammi il mare ! De profundis per Che Guevara (carducciana) Per te che fosti principio immenso, materia e spirito, ragione e senso, là nel turibolo l'incenso fuma, per un ricordo che ci consuma. E corre un fremito lungo la schiena: sei stato ucciso! Grand'è la pena. Per te sfrenavasi quella speranza di par diritti nell'abbondanza. Desti speranza a tanta gente di degna vita, con sgombra mente, vedesti gli uomini uguali stare, ci fu gran luce nel tuo lottare ! Or che sei morto lasci il messaggio di libertà degno d'omaggio. Vivrem nel giusto nostra stagione se intenderemo la tua lezione. Corrono inquietanti voci di un ulteriore accordo tra Renzi e Berlusconi: per meglio dividersi l'Italia faranno assieme la prossima legge elettorale e, subito dopo le elezioni, il governo dell'inciucio più vergognoso si sia mai visto. Per saperne di più ho fatto un viaggio, per ottenere, da chi tutto conosce. La profezia A Delfi dalla pizia sono andato per indagar sul prossimo governo. Seduta su una roccia l'ho trovata tra fumi caldi che venian d'averno. Per quel Tiresia mi narrò il mercato, invero degno del più fondo inferno, tra Renzi e un Berluscon sempre assetato di quel potere perso un dì d'inverno. I due compari, a spese del Paese, per appagar le loro insane voglie, faranno le più indegne e oscene intese, così si spartiran l'ultime spoglie e sempre danzeranno in armonia, mentre l'Italia resta in agonia. Al vincitor della partita di pallone* (*nel senso di grandi palle) Per render peggior l'acque alza le vele ormai la navicella del tuo ingegno, orribil sono li peccati tuoi contra l'Italia di dolore ostello. Qui il ver io ti dirò, sanza speranza: tu nudo correrai tra li serpenti, Renzi Matteo, 'ché così ti piacque di sciogliere nel nulla quei princìpi, perché doler si debbia chi quelli amò, volendo la giustizia. E' tua morale viver qual quel Vanni e affosserai chi, per sua coscienza, volle seguir virtute e canoscenza. Per la vittoria, là nelle Botteghe, i novi farisei re ti faranno. O tosco che per le città avvilite vispo ten vai mentendo disonesto, gran doglia il tuo apparir dentro mi fisse, ma godi oggi, or ch'appari grande, che per lo 'nferno già tuo nom si spande. Splendeva il sole (nel 70mo anniversario della strage di Portella delle Ginestre) In quella piana di rosso garrivano bandiere al vento e contadini canti, nell'aria tersa già si diffondevano dell'Internazional note festanti. Collina da ginestre colorata, famiglie unite in quel gioioso maggio, appuntamento là sulla spianata per rendere al lavoro giusto omaggio. Da un uomo su di un palco la lezione diceva di vittoria e di diritti , diritti su quei campi e all'istruzione e con la schiena stando sempre dritti. Un secco crepitio fu all'improvviso e nel suo inizio parve di petardi ma seminò la morte su ogni viso, sparavan dall'altura dei codardi. Così Giuliano, con i suoi sicari, al soldo di quel Scelba e di Messana, compì la volontà di quegli agrari, per cancellare la sconfitta insana. Fu quella nella storia del Paese la prima strage nata da simbiosi, un correo abbraccio che tuttora pesa, tra loschi governanti con mafiosi. Pro memoria e per meditare: il 20 aprile 1947 si svolsero in Sicilia le prime elezioni regionali. Vinse il Blocco del Popolo (PCI +PSI) con il 30,4%. La DC si attestò al 20,5%. Dodici giorni dopo (1 maggio) a Portella delle Ginestre (Piana degli Albanesi -Pa-) si tenne l'annuale festa del lavoro, mai interrotta nemmeno durante il ventennio fascista, con larga partecipazione dei contadini della zona. DC ed agrari mal digerirono la sconfitta elettorale e il ministro degli interni Mario Scelba (siciliano!) incaricò l'ispettore generale di pubblica sicurezza, commendator Ettore Vito Messana (altro siciliano e personaggio dalla turpe fama), di provvedere. Questi aveva già, attraverso ripetuti contatti con la banda Giuliano, fomentato sanguinosi disordini in Sicilia, tutti tendenti a proteggere gli interessi degli agrari e dei residui monarchici dell'isola. Quanto narrato nella poesia è il risultato di un ulteriore accordo, tra il Messana e Giuliano, avente le stesse finalità eversive. Ed il bilancio della carneficina fu la morte di 11 persone di cui 4 bambini. La DC, assieme a partiti minori, governò l'isola, nonostante la sconfitta, ed il primo presidente della regione fu Giuseppe Alessi. Ovviamente fervente democristiano e cattolico osservante. Su Portella delle Ginestre calò l'oblio, ed iniziò così quella pratica dell'insabbiamento, oggi raffinatissima. Di tutto quanto sopra ho esposto esiste documentazione parlamentare. Fu Girolamo Li Causi, (PC) nel contesto dell'Assemblea Costituente, ad esporre il caso Messana/Giuliano, con violente accuse al ministro Scelba. Salvatore Giuliano, dopo essere stato nominato colonnello dell'EVIS (esercito insurrezionalista della Sicilia, mano armata del MIS di Finocchiaro Aprile), essendo divenuto scomodo e pericoloso personaggio (troppo si esponeva, concedendo scottanti interviste a destra ed a manca), fu ucciso da Gaspare Pisciotta, di lui cugino e persona di sua fiducia. Il tutto con la presunta (e probabile) regia del colonnello dei carabinieri De Luca. Successivamente venne inscenato un finto conflitto a fuoco tra il bandito ed i carabinieri, in un cortile di Castelvetrano (TP). E' in quel conflitto, dissero, che Turiddu trovò la morte. E questa divenne la versione ufficiale. Correva il 5 luglio 1950. Per evitare, poi, che il Pisciotta parlasse troppo (e pareva intendesse farlo, per vendicarsi dell'immunità che gli era stata promessa e poi negata, tirando in ballo, quali mandanti della strage, alcuni "notabili" politici della DC) nel carcere dell'Ucciardone di Palermo gli venne graziosamente offerto un ottimo caffè...alla stricnina. Era il 9 febbraio 1954. Via delle monache (Gorizia 1952) Fatto di grezzo legno il pavimento, pien di scaffali un piccolo negozio, dietro un bancone riposava in ozio una vegliarda, mano sotto il mento. Nell'aria odor di libri si spandeva, da fruste copertine ricoperti, mi conquistavan quando, appena aperti, scoprir d'autori ignoti m'accadeva. S'alzava dalla panca quella vecchia dalla figura segaligna ed alta che nera veste il portamento esalta, mentre veletta le copria l'orecchia. Dell'Austria imperiale avea ricordo, Franz Joseph permaneva nel suo cuore, ma ai libri usati dava tanto amore e personaggio fu ch'io ancor non scordo. Da quella botteguccia mi partivo con Dostoevskij amato sotto braccio, di Pirandello, ahimè, ridotto a straccio, con Ibsen, Poe e d'altri mi nutrivo. Fu proprio quella donna affascinante che in me trasmise tutta la passione per la letteratura e l'emozione oggi perdura ancora ed è appagante. Son ritornato un giorno in quel pertugio, plastica e vetri, è sorta una vetrina, in bella mostra c'è una mutandina, e reggiseni e calze fan gran sfoggio. Ma quell'odor di carta e di cultura mi resta dentro e grande nostalgia m'assale quando penso a quella via ch'amai in prima età d'amor che dura. Nella giornata mondiale della poesia qualche azzardo: Haiku (La fatica) La terra dona- il contadino attende la primavera. Haiku (Rinascita) Passa l'inverno- diadema di lacrime in primavera. Haiku (Nell'oltre) Il tempo fugge rughe sul cuor disegna- l'ultimo inverno. Neuromarketing Ridatemi il cervello, lo avete violentato, voglio che torni bello e non più programmato. Di luce immacolata splendea tant'anni or sono, rivoglio quel passato, chiedetemi perdono ! In quel che ancor v'è ignoto resta però un barlume ed userò quel vuoto per ripulir pattume. Scienziati sciagurati, che dentro scandagliate, vi spero condannati con cento e più frustate. Il saper vostro usate per coglier le emozioni. Tentate, via osate, cogliete le passioni ! Di quei neutroni il flusso dovete indirizzare non per imporci il lusso ma al ben che potrà dare. 
Ofelia (da un dipinto di Millais) Va verso il mare e m'incanto a guardare, l'acqua la culla e lei sembra dormire, fronde s'inchinan, col loro stormire par che un saluto le vogliano dare. Lieve la veste, le forme a svelare, labbra un sorriso vorrebbero aprire, ma sul bel viso, a volerlo abbruttire, passan ricordi, malvagi a pensare. Mente che visse promesse d'amore, perse ragion per la grande illusione, marcio sfuggì per crudele emozione. Or che nel mare avrà liete le ore, or che svaniscon frementi passioni, potrà cantar le più dolci canzoni. E tic e tac e tic e tac… È un tic e tac che sfianca quest'avanzar del tempo, sei immerso in noia bianca se manca il passatempo. Angoscia allor ti prende lo star senza programma, la mente non s'accende, più nulla c'è che infiamma. È un tic e tac che afferra la gola e te la stringe, così l'intera terra di nero si dipinge. Metronomo angosciante è scorrere dell'ore, all'oltre che è eccitante si pensa con favore. È un tic e tac che dice che l'ora s'è compiuta, la vita fu felice ma adesso ti rifiuta.
Gretta la cavalletta (una storia italiana) Una grassa cavalletta, che facea di nome Gretta, svolazzava allegramente sulla testa della gente. Un dì vide che di sotto accaduto era un gran botto, era un botto che azzerò quel che c'era e lo spazzò. Gretta fece una pensata: "Mi guadagno la giornata se, con due o tre compari, fo proposte senza pari". E propose di rifare case e chiese…da sognare, ma per farlo gli serviva chi per soldi s'abbrutiva. E ne trova, a pagamento, là, nel solito convento dove il soldo tutto muove e ogni frate si commuove. Rifarà case alle genti, …ma gli costan le tangenti! E per far conti quadrare molta sabbia dovrà usare. Pei compari quest'è meglio, …dureran quanto un abbaglio e alla prossima tragedia altri soldi si rimedia. Nell'oltre Davanti al mare con i suoi misteri, quando l'onda si frange e vien merletti, penso alla vita andata, penso all'ieri, quell'ieri che fu pieno di diletti. Quand'era luna, al suol miele cadeva, c'eran tramonti dal color dell'alba, lieto il domani allora io vedeva, ma nel finir divenne vita scialba. Or sfuma l'orizzonte e in sé s'eterna, la mente si smarrisce e in quell'immenso soltanto navigar potrà nell'oltre e in quella calma troverà la coltre che darà pace a un viver che fu denso, così quel naufragar non la costerna. "in principio era il male, disse la voce, vortice nero di una consapevole energia autodistruttiva. Un atomo si ribellò: non capiva la volontà di distruggersi" Il corpo dei vinti Spogliati torturati derisi velati annegati violentati bombardati decapitati uccisi suicidati per uccidere umiliati fotografati comprati venduti. Per dire potenza, disprezzo. Per affermare superiorità di razza politica religiosa di mercato per togliere dignità all'uomo. Nei lager nazisti simbolo e conseguenza d'un ordine fondato sulla discriminazione. Viviamo l'alba d'un tragico giorno basato sulla prevaricazione. Ed un Dio impotente nulla può di fronte al male. Un Dio impotente correo se esiste. E noi sulla violenza sulla guerra sull'odio sul razzismo abbiamo chiuso gli occhi. Consolandoci. (Libera riduzione della prefazione di "Secondo Qoèlet" di Luciano Violante edizioni Piemme 2004) Il giorno che nasce Fresche le labbra tue son al mattino, come nov'erba che fa verde i prati. Con rosee dita il viso l'alba carezza, frusciar di fronde spandesi nell'aria. Un lieve vento va verso il mare e coglie odor di salso. Dolce è il risveglio e al giorno va speranza, polvere d'oro scende nella stanza. T'avvolge brezza e col suo odor di riva profuma le tue membra ridestate mentre le stendi. Il giorno nasce, poi verrà la sera, d'amore al cielo s'alza una preghiera. Oggi Aveva un futuro di sogno, quell'ieri svanito nel tempo, nel dopo non c'era maltempo ma solo un disegno benigno. La strada sereno correvo, di luce era pieno il futuro, l'amore che vissi era puro, in cieli puliti vivevo. Ma il tempo che passa travolge e sogni e fallaci illusioni, non puoi più cantare canzoni il conto presenta e sconvolge. Si resta soltanto in attesa dell' oltre, senz'altra pretesa. Chi l'ha visto? Aveva fatto tutto per benino per giorni e giorni s'era affaticato, si cibò spesso solo di un panino ed al dormir nemmeno avea pensato. E fu così che al settimo, stravolto, volle veder che aveva combinato, cercando un qualche error che andava tolto, ma tutto gli sembrò bello e aggraziato. Voleva i complimenti da qualcuno, ma ricordò che c'era proprio niente perché prima di Lui c'era nessuno. Su un letto si sdraiò e immantinente divenne, come un lampo, addormentato. E da quel giorno…non s'è più svegliato. Imperscrutabile ? E' scesa indemoniata su paesi di Lazio e Marche, a fondo addormentati, furia crudel che spense i sogni spesi di cittadin che furono annientati. La terra scalpitò con gran frastuono e case e chiese spinse verso l'alto per poi tornare a terra con un tuono a fondersi col grigio dell'asfalto. Membra e macerie, orribile connubio! E al cielo sale ardente una preghiera, ma nei credenti resterà un gran dubbio: dov'era Dio in quella notte nera? Si dice imperscrutabile è il volere del Creator che usa le due mani: con una dona ai costruttor piacere con l'altra toglie vite con domani. Forse per evitar la blasfemia meglio sarebbe non avere Dei e dare dei disastri colpa ria a costruttori che lapiderei. Purtroppo si risente già l'odore di loschi affari, fonte di tangenti: politici godranno di quell'ore che videro il massacro delle genti. per Alessia e Marco 30 luglio 2016 Madrigale per il dì d'inizio E' giorno di promesse per la vita, ch'è calice da consumare assieme con sorsi brevi o lunghi all'evenienza ma sempre con amor, unica scienza, perché per vostra strada sarà il seme di pianta che diventerà infinita. Assieme a voi vivremo l'emozione di questa vostra splendida stagione. La mutazione Sta pensando Matteo di cambiare le cose, fa proposte obbrobriose, per piacere al pigmeo. E' suo socio al massacro e, con fare da duce, costituzio conduce a indecente lavacro. Così quella che era di res pubblica norma, in privata trasforma nel girar di una sera. Di memoria recente, il rinato fascismo chiameremo renzismo, con tormento cocente. Omaggio a Carlo Baldi, pittore e poeta, ispirata dalla visione di un suo bellissimo disegno. Marion Languida sta aspettando forse sognando un sogno. Al sole caldo brilla così splende la pelle. Nuda allusiva offre fianchi falcati e seno. Nitida la figura tra seta appare e dona dolci illusioni e calde promesse d'un amore. La diva Fra l'arti tutte diva è poesia, potente è il canto suo e par tenore. Con note varie narra dell'amore e d'altri sentimenti e dà malia. Par musica, gemella è sol di questa, il battere e il levar sono il legame, con lei appagherem tutte le brame e ai giorni nostri donerà una festa. Lei canta dolce quando parla al cuore, può fare un canto alla natura poi, ma aspri e forti affila i versi suoi se del potere narra e del suo orrore. Cancella pene e l'anima addolcisce e cuori e menti amanti infin rapisce. Alla Liguria E' verde che digrada nell'azzurro, colori tersi con profumi intensi, bianche le vele, verso cieli immensi vanno con un andar che par sussurro. Lievi le onde sfiorano la sabbia di spiagge che profumano d'amore e sempre mi rimangono nel cuore di Faber le poesie e la sua rabbia. Creuza de ma risuona e li rivedo sentieri stretti che scendono al mare ed anche Govi risento cantare ma se ghe penso… e di tornar là chiedo. Ma quando al meriggiar pallido e assorto viene sospiro dal brillio dei flutti s'invola il cuore e scorda tutti i lutti e gemman sogni che dentro mi porto. Or sei lontana e vedo già il traguardo dell'oltre dove spero di trovare quelle memorie che non so scordare …ma bramo ancor di darti ultimo sguardo. Fui facile profeta. Scritta poco dopo il 22 febbraio 2014, giorno della presentazione al Parlamento del governo Renzi, oggi, vista l'aria che tira, ve la ripropongo Il nuovo che avanza Vien da un film di Pieraccioni 'sto Matteo ch'è sceso in pista già ci prende per minchioni presentandoci la lista. Per blandir quegli industriali, Guidi , astuto, a loro dona così spera che da strali salverà la sua facciona. La finanza, che disdetta, pur bisogna accontentare, ed allora, idea perfetta, Padoan va ad arruolare. E che far con quegli appalti che girare fan moneta? Chi delinque fa bei salti, resta Lupi e fa Eta Beta. La giustizia darla è meglio a chi proprio sol la ignora, parli d'altro e non sia sveglio, c'è un Orlando, alla buonora! Punta i piedi anche l'Alfano che gli interni vuole ancora, gli promette pure l'ano, pur che non rimanga fora. Nell'elenco c'è Poletti, forse il meglio del pollaio, è un error da poveretti, …lui credeva avesse il saio. Per non fare poi a cazzotti tra maschiucci e femminelle ecco arriva la Pinotti e si becca un po' di stelle. Quella inutile istruzione pesa troppo sul bilancio, la Giannini a educazione renderà più amaro il rancio. Pei restanti, mezze tacche dal cencelli imposti certo buoni sol per ceralacche, cresce ancora il mio sconcerto. Come sempre in 'ste questioni manifesto c'è un perché: o si ossequiano i padroni o li caccian su due piè. In memoria (di un amico e, un tempo, collega di lavoro) Mio caro amico or navighi nell’oltre, là indagherai sentieri sconosciuti. Noi qui restiamo sconsolati e muti, con gran ricordi a confortante coltre. Lieve ti sia la terra che ti copre, come fu lieve la tua vita franca. Avevi stile e quello già mi manca e un vel di pianto gli occhi mi ricopre. Oggi qui con affetto ti saluto, un dì, da te, attendo il benvenuto. "And so from hour to hour, we ripe and ripe. And then from hour to hour, we rot and rot. And thereby hangs a tale." (Shakespeare - As you like it-) From hour to hour Su volti il tempo scava rughe, nel viver d'affanni corrotti. Si coprono specchi impietosi che immagini rendono cupe. Ed è quel coprire quei vetri un gesto che pare che assolva, lasciandoci senza peccati. Ma insegue l'angoscia di un'ombra, la mente aggroviglia pensieri ed è quell'andare impudente che pone sul viso altri solchi. Coscienza non serve a coprire, così cresceranno i rimorsi e insonni le notti saranno. Perdute così corron l'ore, così si consuma la strada in vacuo egoistico viaggio, un viaggio ch'è senza speranza. Per aggiornare i vocabolari, dopo il successo di petaloso, propongo all'Accademia della Crusca i seguenti aggettivi, derivati da "bacio": bacioloso: dicesi di persona che non fa altro che baciare (per es. Totò Cuffaro) bacettolososo: dicesi di persona che sempre teneramente bacia, ma con bacetti (per es. Totò Cuffaro) E, sempre a proposito di baci e del baciare, tempo fa scrissi, e qui ripropongo, una lettera a Rostand, peraltro senza avere ancora ottenuto risposta.
Lettera a Rostand Caro Rostand ma che gli hai fatto dire al gran Cyran che certo non capiva e che sicuramente non sentiva quel bacio quale apostrofo a fruire ? Allor ti suggerisco altra versione e pure te lo dico, gran testone, che un bacio c'è per ogni situazione. Declino il nome e spero mi perdoni. Ed alla fin di 'sta licenza io tocco ed erudisco sul significato chi per amor dal bacio è già stregato, mostrandosi tapino e un poco allocco. Declinerò di seguito quel bacio, che apostrofo lui disse tra parole, e di Rossana bevve le sue fole, mentre addentava del buon pane e cacio. Mi viene in mente il termine bacione che certamente è bacio da un balcone, quindi io penso ad un bel baciardo, che resterà un lambir, sol da maliardo. Per proseguir propongo un bel baciuffo ch'è solo una variante , ma col ciuffo. E poi t'informo che se dò un baciante è bacio consumato in un'istante. Che sarà poi quell'ottimo baciella? Ma certamente è furto in camporella. E quindi segue a ruota un bel baciango, non si discute, è bacio in mezzo a un tango. Penso e rifletto su quel gran baciosa, ch'è un bacio con le spine della rosa. Ed ecco arriva lesto un bel baciore. Quando s'invola quello, sai l'ardore! Un giorno dissi ti vorrei baciestra e cadde un bacio…assieme a una finestra. Per riparare lo cambiai in bacienza. Lo giuro, fu donato con sapienza. Ed ecco ti propongo un bel bacire, che sol lo dona quei ch'è pien d'ardire e se mi viene in mente un bel baciuga, faire attention! Lo dà una sanguisuga. Ci penso un poco, et voilà il baciazzo, non esser malizioso, è un bacio pazzo. Alfine ti propongo un bel bacioso, ch'è bacio solamente malizioso. Ecco, Rostand, cosa sarebbe un bacio, altro che apostrofo, altro che rosa! Noi non sappiam che far di quella cosa. E cambialo, dal cielo, 'sto mendacio! After These days Strade senza traguardo, notti senza risveglio, canti di voci mute, stelle che fan sberleffi. Luci senza chiarori, albe che san di fiele, tramonti allucinati, mari che copron terre. Sfumano l'orizzonte luci di rosso sangue, di soli neri aurore i cuori opprimeranno. Così noi camminiamo, smarrendo un mondo amico che abbiamo violentato, da cecità ammalati. La luce spegneremo sui nostri giorni tristi. Vindice la natura vi calerà il sipario. Cercar nel pentimento salvifico perdono inutile speranza a tempo ormai scaduto. Silente un piano Nell'angolo più oscuro, accosto a una parete, giaci dimenticato, ambisci le mie dita. Vibravano le corde, per rapide carezze, gemmavan melodie, fondendosi con l'aria. Ora sugli spartiti le chiavi di violino son punti di domanda su ciò che fu il passato. Ed era in tempi lieti che davi le tue note, sorte da sentimenti e dolcemente amate. Così resta il ricordo con forte nostalgia, per ciò che più non torna, pensosa anima mia. Ma quella tua presenza mi rassicura ancora. Centellino speranza che cresce d'ora in ora. Ritornerò a sfiorare quei tasti neri e bianchi. Quei suoni, nel lor volo, l'anima addolciranno. Conca d'oro Percorsi valli e monti , tra ermetiche persone d'umanità impregnate, d'antica e gran cultura. Ostacolavan spesso cammino mio gli armenti e fermo rimanevo per rimirar quei siti. Lucenti erano i cieli, di grano le campagne, colline ricoperte di pochi alberi spogli, frinivano cicale sotto impietoso sole, un asino arrancava sotto il suo grave basto. Andavo verso il piano, scendendo la collina e innanzi a me s'apriva col suo respiro il mare. Così m'inebriava di zagara l'aroma, tappeto verde scuro la conca ricopriva. Guardavano dall'alto monti d'un rosso cupo, giardini profumati d'aranci e di limoni e sullo sfondo azzurre danzavano le onde, a pitturare un quadro d'un paradiso degno. E ritornai in quei siti per viver quei ricordi, ma i sogni, par destino, svaniscono nell'alba. Cemento è diventato quel bel tappeto verde, di zagara il profumo di pizza trasformato. Dei monti la cornice qual gabbia trasformata e quel brillante cielo dal fumo già oscurato. Persino il mare amato già allontanarsi sembra, quel ch'era un tempo sogno nell'oggi è naufragato. "Il male, dunque, che più ci spaventa, la morte, è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c'è lei e quando c'è lei non ci siamo più noi." (Epicuro -Lettera sulla felicità-) Ecco che viene Nero mantello dall'orizzonte incappucciata ecco che viene. Passo di danza svelta s'accosta, le scorgo il viso senza sorriso, con una mano la falce regge. Con apprensione presto le chiedo l'ultimo taglio di rimandare. S'apre ad un ghigno l'orribil bocca: "serve a che cosa ancor restare ? Di quel che fosti nulla rimane neppur ricordi né il seminato. Con me verrai là dove l'oltre vuoto è deserto e silenzioso. Neppur di pace ti accorgerai niente nel niente diventerai. Cosa rimpiangi? Nulla sei stato e ancor nel nulla ti porterò. Dubiti ancora di questa sorte? Secca è la fonte …sono la morte." Piero Colonna Romano (ma a carnevale ogni scherzo vale) Più bella e più grande che pria Se ascolto Renzi spesso mi sovviene quell'Ettor Petrolini che fu spasso. Ha un umorismo innato nelle vene e a contar fole è di sicuro un asso. L'esibizione scorsa, in Parlamento, rammentò forte quel Neron che Roma a ferro e fuoco mise e il suo commento fu che rinascerà col meglio aroma. E tra Nerone, Ettore e Matteo grand'è l'affinità nell'operare: due vogliono bruciare il Colosseo, recita il terzo e ci fa scompisciare. E questo accade pur col presidente che parla sol da stolto supponente.
Unità di misura Quanto tu m'ami in bit? Arrivi forse a un giga ? Ed io che t'amo un tera, tendendo verso il peta, dovrei non lamentarmi di questa tirchieria ? Ma naviga nel web, o dolce mia spilorcia, ti dedico i miei voti ed anche la mia noia. Là certo troverai la giusta dimensione così che in pochi bit t'anneghi la passione. Atene andata e ritorno Tre volte Platone Trinacria percorse, coraggio e un'idea scaldavano il cuore, voleva insegnare la democrazia a chi, malamente, le genti gestia. Dionisio fu il primo tiranno incontrato, quei che a Siracusa splendore avea dato. Fu bene ospitato, gli diede lezione, ma, mal digerita, causò una reazione. Così quale schiavo l'illuso è venduto, su sporca trireme temette la vita perché pel riscatto servivano mine che quel grande genio sdegnava d'aver. Venia, di Cirene, fraterno Anniceri e volle salvare, pel mondo, il talento. S'accolla quel prezzo, pagandone venti, né volle rimborso da amici sinceri. Tornato in Atene fondò l'Accademia, poi fu richiamato nell'isola d'oro. Lo volle Dione, che grande era amico: Dionisio secondo doveva istruir. Fu questo secondo gran frivolo invero e del genitore disperse quel regno, ma dell'ateniese rimase ammaliato, per sé lo voleva, di sua proprietà. Son saggi i consigli del gran pensatore, ma la gelosia, che il re già rodeva, fu causa dell'esilio di Dione, suo zio, nel mentre Platone tornava in Atene. Là appreso l'evento non stette a pensare ed in Siracusa fu un lampo a tornare, ma fu per castigo rinchiuso in prigione e infine si disse: che vana lezione! Ma come ci insegna saggezza ch'è antica fortuna l'audace sostien nella vita. E arriva l'Archita, di Taras sovrano, amico d'entrambi lo fa liberar. Da queste esperienze quel grande pensante tirò il suo bilancio con grande sagacia e disse e ridisse che al governare filosofi solo potevano andare. Amare il mare Ho visto il mare, cantava una canzone e c'erano sirene per farmi prigioniero. I suoi sussurri che son dolci carezze, il suo venire, l'allontanare. Mi coglie, mi conquista, pace mi dona e nell'amor m'avvolge, parendo azzurro sogno. Bianca una vela vola e contro il sol si staglia, s'allunga la sua ombra a cogliere preghiere. Dentro una bianca rena affondo lentamente e alfine inginocchiato pagano omaggio rendo.
La befana vien di notte… vabbè!  Furono fate, dai candidi veli ora svolazzan, coperte di peli. Usan la scopa, allusiva intenzione, ma nel volar coglieranno carbone. Ricordan tempi ed amori passati; quant'era bello andare per prati ! Son oggi a lutto, vestite di nero, volano alte ma han sempre un pensiero. Portan regali, la gerla n'è piena, e gli ingobbisce persino la schiena. Son tentazioni quei doni da usare qual giusto prezzo… per poter amare. E le befane, che grande fatica ! dovran pur badare ad usanza antica che qual punizione, in tragico luogo, tostate le vuole sopra un gran rogo.
Rinnovata preghiera per l'anno nuovo Che Odin m'ascolti. Miei cari amici io parlo: ci guidan stolti che sono un gran bel tarlo. Da lor deriva quel nostro amaro andare, vita retriva ci vanno a preparare. In tempi andati s'usò la ghigliottina ma noi, beati, sguazziamo in 'sta latrina. Preghiamo in coro che l'anno ch'è in arrivo porti decoro. Ma a loro un lassativo!
Dolce ti sia la notte Oggi canto per te una canzone, per rendere più dolce il tuo dormire; discenderà pian piano nel tuo cuore ed ogni nota ti darà emozione. Così potrò asciugare quel tuo pianto, trasformerò le lacrime in sorrisi, solo ti narrerò di paradisi fatti di fiabe, per donarti incanto. Quella serenità, ch'è ritrovata, farà della tua vita che fu d'ieri allegra e lieta corsa per sentieri. E diverrà per te ogni giornata ricca di luce e piena di speranza e il viver tuo sarà una lieve danza. Gerundiade (sollazzo poetico con licenze) Amando l'amor per l'amore, badando a non perdere il cuore, cantando quel che forse costa, donando ben oltre il dovuto, essendo alla fine cornuto. Facendo di legge dovere, godendo dell'altrui piacere, habendo una pena nascosta, iellando chiunque io possa, lasciando frementi le ossa. Muovendo così questa vita, narrando alla gente assopita, offrendo per loro risposta, pensando che hanno iattanza, quotando la lor stravaganza. Rendendo normato il piacere, sognando quel suo bel sedere, tornando di nuovo ove sosta, uscendo col viso poi bianco, vedendo nessuno al mio fianco. Zappando…. alla fine…. un po'…. stanco. Melagrana Sei come melagrana, d'oriente è il tuo venire, canti, mille e una notte, di Sherazade l'incanto. Sei come melagrana, soda la scorza e rude, bella nell'apparire, arduo il tuo conquistare. Sei come melagrana, grani rubino e dolci, aspri come tua bocca, come tua bocca ambrosia. Sei come melagrana, quei semi conquistati grondano umor di sangue e allappa la lor pelle. Sei come melagrana, d'oriente è il tuo venire, canti, mille e una notte, di Sherazade l'incanto. Judrio, dicembre 1963 Si capovolse d'un subito il mondo, sterpi ed arbusti divennero cielo, sotto s'espansero nubi ed il gelo fu nel profondo. Ruote correvan, negate all'asfalto, cupo il silenzio e la nebbia scendeva, sotto, nel greto, il torrente attendeva l'ultimo salto. Placca gelata m'aveva beffato e fuor di meta portò il mio cammino, ahimè quel giorno non fu cartellino, seppur bramato. Quella memoria ritorna nel sogno di quella strada che un dì camminavo, quando al lavoro quieto io andavo e ancor l'agogno. La Luna Ammasso d'amor persi, di liriche mai scritte, speranze, preci e voli confusi di gabbiani. Questo da sempre accoglie nel seno suo beffardo e pur di quell'Astolfo la vaga sua ragione. E son quasi preghiere quei languidi sospiri che l'uomo a lei rivolge, pregando aver l'amore. Incanto è delle notti, complici a infervorare, diviene ambito dono per ogni donna amata. Luogo adibito resta, quale pagan rifugio, allo svanir fugace di stolti sentimenti. …di noi sorniona ride. Tempo (Eraclito liberamente inteso) Viviam l'oggi ma è domani, da lontano vien lezione, tempo scorre tra le mani, "panta rei" la citazione. Così mentre noi crediamo che si vive il contingente, pizie e sfere convochiamo, per scoprire il divenente. Ma se è vero che del giorno resta vago quel ch'è andato, non lo dico per far scorno, ma il futuro è il sol provato. E' soltanto una chimera questo tempo che contiamo, non è cosa proprio vera, qual la vita che viviamo. Quel che resta nelle menti, belli o brutti, son ricordi che appartengon, pur frementi, a un trascorso che già scordi. Panta rei ci fu narrato, e fu certo ammonizione, per noi esiste alcun passato, e il presente è un'illusione. Per tirar le somme allora bene è porsi una questione a che serve guardar l'ora s'è soltanto transizione? Quindi il tempo resta abbaglio, convenzione di sicuro, sono certo e non mi sbaglio noi viviamo nel futuro. Panta rei, disse quel mito, forse il solo fu a capire. Chi seguì ne fu erudito, svicolò per non perire. Si riempiron tomi e tomi di spassose favolette, s'inventarono questioni… e i cervelli fatti a fette. Era tutto un indagare, il pensiero si perdeva, e quel loro speculare fu com'acqua che scendeva. P.S.: tanto per chiarire (si fa per dire) eventuali dubbi, la faccenda starebbe così: dando per assunto che gli "stati" del tempo siano Presente (che non possiamo cogliere perché "panta rei"). Passato (che non possiamo vivere per ovvi motivi -neutrini permettendo- e che, comunque, resta alle spalle obliato) e Futuro. E questo, visto che nulla ne sappiamo, resta così, l'unica flebile certezza/speranza. Becera teoria? Vediamo: Se, in una notte stellata, alziamo gli occhi al cielo, ci incanteremo col brillare delle stelle. Ma quel che vediamo, certamente, non è più esistente nel momento in cui lo vediamo. Erano così, così brillavano, milioni di anni fa. In definitiva vediamo ciò che non c'è più o che è molto diverso da come ci appare nel momento in cui osserviamo. E, per inciso e fatte le debite proporzioni, ciò vale anche per stelle e pianeti molto più vicini a noi (sole e luna ad esempio) Viviamo, quindi, una realtà inesistente, a conferma di ciò che è stato detto sopra. Per lo stesso motivo non possiamo "vivere" quel passato perché è, da un bel pezzo, "panta rei". Dunque, per motivi legati alla speranza, non ci resta che credere nel Futuro. E speriamo che, almeno questo "stato" esista… Arrivederci a tra… non mi è chiaro quando. Forse, chissà, potrebbe essere o forse no…. Questione di tempo. PCR Inferno? (infernal dedalo tra piane, tronche e sdrucciole, tra lor arruffate) Le gobbe d'una strada seguì velocemente. Venia d'altra contrada altro rapidamente. In ciel si ritrovarono e cominciò la lite. I santi l'arbitrarono col lor guardare mite. Però dall'incidente i due d'altro parlarono e non c'entrava niente ma i cuori rivelarono. Fu subito un subbuglio: "La moglie tua vendesti." "Ma senti un po' che raglio: la mamma tu potresti." "Con te i pargoletti sicuri non staranno e chiuderan gli occhietti, temendo qualche inganno." "Che c'è di te da dire? col fisco non sei onesto e facile è predire che finirai nel cesto." "A larghe mani spandi sogni ed infamità, la droga a tutti quanti tu vendi in libertà." I santi, inver stupiti da tale esibizione, restarono allibiti da simile tenzone. Riuniti in un conclave a lungo discettarono, un pater nostro, un ave, sentenza alfin vergarono: "Non v'è infernal girone che accogliervi vorrebbe, anche s'è punizione che certo converrebbe. Ma in terra tornerete, peggior che nell'averno così la vita avrete. Per voi sarà un inferno!" Tornarono a lor siti e qui perseguitati, da crudeltà avviliti e pur sodomizzati. Scontarono il lor fio con lacrime roventi, pregarono il lor dio di renderli redenti. Impietositi i santi in ciel li richiamarono e nei calor fiammanti poi li precipitarono. Moral di questa storia, udite amici cari, se avrete vita ria saran demon compari.
Memorie meneghine (Milano 1965) Ricordo ancora la vecchia Milano dove per studio andai e per mestiere. Là in via Stadera fu con gran piacere d'infanzia amico ritrovar lontano. Andavo per Navigli a passeggiare, da S. Lorenzo alle colonne in poi, dov'eran zoppicanti ballatoi ma in chiare acque si potea pescare. Porta Venezia, al tempo Porta Cicca, col suo bell'arco allor m'affascinava. Talvolta fitta nebbia cancellava il bello da città che n'era ricca. La sera a cena solito ero andare in bettola chiamata da Cavalli. Il menù fisso, giuro, era da sballi: brasato che il barol vedea passare. Ma c'era un'atmosfera seducente, trovavi sigarette a contrabbando, c'era un barbone brillo che cantando "Lugano addio" turbava la gente. Ripenso, con colleghi, che una sera di vivere volemmo un'avventura e ci recammo in luogo da censura: Etoile di quel locale il nome era. Brillanti specchi con luci soffuse, grazioso il barman, bancone elegante, coppie appartate in cantoni con ante …ma solo omosex riempivan le bluse. D'Ambroeus nella città son ritornato, ancora e ancora per mia professione, ma sempre ne provai una delusione: quelle emozioni non ho più provato. Diverso è il tempo e , certo , pur l'età, forse cerchiamo quel che più non dà. Al traduttor dei traduttor d'Omero… Tronfi Bastasse una presunta competenza a dar diritto di sputar sentenza allora avremmo un mondo di tromboni, quei che le donne trattan da minchioni. Compongon poesie pien di lamenti, per quello che hanno preso sopra i denti, sarà pure per questo che traballa il loro verso degno d'una stalla. Neppure voglion esser giudicati, volano troppo in alto i loro afflati, da plebe cui lezione voglion dare, senza neppur saper dove iniziare. Tronfi sen vanno a dispensar sapere, narran del loro ingegno con piacere, però se sotto gratti allor t'accorgi che molto poco c'è in quel che scorgi. Vien da lontano la ricetta giusta, (ma forte è tentazion d'usar la frusta) coprir co 'na risata quella spocchia, magari poi seguita da pernacchia. I Poeti (dannunziana) Settembre, andiamo. E' tempo di tornare. Ora in terra di casa i miei sitani tornan satolli e dalle amate sponde al sito antico vanno ch'è accogliente e azzurro è, quanto il partito mare. Emozioni han bevuto lungamente, sì che sapor di salso rimarrà nei cuori tristi esuli a conforto che lungo imbrogli la lor sete in via. Rinnovato hanno forze per poetare e vengon sul tratturo vecchio e sano, quasi a cercarvi pace e comprensione, correndo strada degli antichi padri. O quanto dolce è il risentir fremente il dolce canto della poesia! Ora lungh'esso il web staranno lieti, è calma l'aria e meste son le menti. Vigila il Vate e spera che ci sia qualcuno che tra lor superi Dante. E cascan, sprizzan, spruzzan versi dolci. Ah, perché non fui pur io co' 'stì poeti? Sposa fedele (rilettura de "Alla morte" di Cardarelli) Su! Giungi lieve, come fedele sposa, a compier dunque la vita che fu amante. Sii come neve, che quando pian si posa imbianca ovunque e par gioir festante. Vieni soave, quale sospir d'amore, dammi la mano e guidami nell'oltre. Là c'è la chiave per decifrar quell'ore d'un viver strano che fu un'oscura coltre. Esegesi del plazer "Guido io vorrei" Narrò dell'amicizia il grande Dante, non disdegnando del trattar di sesso. Non è poi chiaro s'ei fu un po' furfante e il dubbio ci riman fino ad adesso. Eppur di già l'aveva canosciuta Beatrice, che po' in cielo lo guidava. Di questo fatto ella fu avveduta e quindi in Paradiso il fustigava. Vatti a fidar di 'sto poeta grande che per purificarsi fè un gran viaggio, avendo nella testa le mutande cui par rendesse sempre grande omaggio. Poi s'innalzò, ma a chi la vuol contare: persino una tenzone a organizzare! A Francesco P. Ecco un novel collega che diè lustro a quest'azzurro ch'è la casa nostra. Assieme a lui Ventoso scaleremo, ma quell'accidia la rifiuteremo. Sarà quel monte il nostro innalzamento verso poesia ch'è alta e non lamento. Con buona pace di color che fanno versi sbilenchi e fanno grave danno. Da lui ci arriva forte una lezione su quel poetare che addolcisce il core, nell'alma dolce ci darà un tremore e gemmerà dentro di noi passione. Le nostra voce s'alzerà suadente e resterà il lettor pago ed ardente. L'azzurro bardo A metà strada tra Marziale e Orazio, scrive per noi il grande Chionne Carlo e quei su' motti son peggior d'un tarlo e giunge a chi governa il giusto strazio. Non pago d'impartir dure sentenze, il suo poetare pare insegnamento. Se divenisse nostro addestramento versi faremmo e non le lor parvenze. Per nostra buona sorte in Poetare altri ci sono a rispettar poesia. Pur da costoro è opportuno imparare per fare di quest'arte una magia; una magia che eleva e cuore e spirto, rendendo amabil quel sentier ch'è irto. Rime chiocce A Renzi azzannerei la cuticagna, non per saper chi è ma per dispetto. Dannoso è certo più della gramigna, perciò nel cerchio nono io lo getto. I postulati giusti egli ha tradito, tra i traditor di patria è giusto il posto, insieme agli ex compagni che il suo dito compiaccionsi tener proprio in quel posto. S'avessi rime chiocce et aspre molto, qual sua sentenza io le comporrei; nel Cocito ghiacciato saria volto e da quel loco più non lo torrei. Final destinazion sarà Antenòra, così di stelle goderemo ancora.
L'ultimo scherzo Farò uno scherzo alla secca comare e quando arriverà, per sua missione, basita resterà com'un minchione: io vivo, allor, non mi farò trovare.
Tempo di treni Parto da una stazione viaggio senza opinione. Vado senza sapere, guardo senza vedere. Senza desiderare, ore sento passare. Tornano i miei ricordi a giorni che non scordi. Tempo è il tempo obliare, giunto è quello d'andare. Marzialeide (dedicata allo sfasciacarrozze fiorentino) Venezia da Casson andava dritta ma tu a Brugnaro l'hai voluta ascritta e pure la Liguria hai regalato a quel padrino che non hai scordato. Marino, ahimè, per te è troppo onesto, non c'è guadagno per chi è disonesto. Trinacria è governata da Crocetta ma è comunista e quindi è una disdetta. L'articolo 18 hai cancellato e chi lavora oggi è sfortunato. Or sulla scuola poni l'attenzione e ai presidi darai un gran bastone. C'era il PD, sinistra nel paese, ma trovi oscene quelle lor pretese, t'importa poco chi sarà il compagno, per te conta soltanto il tuo guadagno. Di divina mission ti sei investito: far rifiorire il fascio ch'è sopito. Bisbigli di sale (ouverture, suite, èpilogue) Dolci ricordi alla mente affannata portan lamento. Furon tuoi baci di scaglie dorati, davan chiarore, coprivan le stelle. Furon tuoi baci granelli di sabbia, scorrevan tra dita e il vento disperse. Furon tuoi baci ricordi d'allora, fatti d'inganni, di false illusioni. Furon tuoi baci frammenti di tempo, che col suo passare sogni cancella. Furon tuoi baci, che amari sospiri ! Bisbigli di sale sciolti nel niente. Stelle malate al mio mondo malato spengon la luce. "Il mondo si divide in due parti: c'è chi crede e chi ragiona" Renè Des Cartes La stella È passata una stella cadente, la sua scia luminosa abbagliava, svelta andava diretta ad oriente, la mia mente così si svagava. Poi dall'alto mi giunge una voce e domanda da lei sento fare: "su, rispondi, però sii veloce, qual desio potrei appagare?" "Qui prevale egoismo e violenza la morale è un ricordo lontano, la saggezza non è in questa stanza qui si vive in un tempio pagano. Ed allora ecco quel che ti chiedo: tu che infiammi i cieli profondi, con l'immenso calore che vedo, spazza questo pianeta e l'affondi." "La mia luce è certezza d'amore, -come un lampo brillò la risposta- il mio senso è commuovere il cuore. So che è duro il cammino e mi costa, m'altra scelta non ho per salvare. Penetrare dovranno i miei raggi nelle menti e nell'anime avare, perché parlin d'amore i linguaggi." Ed io resto a guardare 'sto viaggio e una vaga speranza s'accende. Forse è solo question di coraggio, senza il quale rimane più niente. Che sia vera o sia falsa la voce, quel che conta è un vivere giusto. C'è chi crede e così si conduce, c'è chi pensa e l'amore è il suo gusto.
Un giorno un mare, un treno … Sento lontano lo sferragliar d'un treno e nei tuoi occhi vedo riflesso il mare. Resina aspiro e verde di quei pini riempiono l'aria ed occhi e mente e cuore. Verso quel mare precipita lo sguardo e sulle rocce si sciolgon le sue onde. Rocca a difesa s'alza da uno sperone, gli fa corona un volo di gabbiani. Mani e le bocche, smarrite in un incanto, senza appagarsi azzurro amor si danno. Viver momenti dimenticando il tempo, questo sognare darà alla vita senso. Così riflesso negli occhi tuoi c'è il mare, lontano sento lo sferragliar d'un treno … Il sole può tramontare e poi risorgere; noi, invece, una volta che il nostro breve giorno si spegne, abbiamo davanti il sonno di una notte senza fine. -Gaio Valerio Catullo- Rapida arriva Contro ciel scuro, foschi presagi, con nero manto, dall'orizzonte, incappucciata rapida arriva. Guardo il suo viso senza sorriso, sul suo destriero svelta s'appressa, in mano secca la falce gronda. A domandare, così m'appresto, l'attimo estremo di rimandare. S'apre ad un ghigno la sua fessura a che ti serve ancora restare ? Di quel che fosti nulla rimane, di quel ch'hai sparso neppur l'impronta. Con me verrai là dov'è l'oltre, vuoto deserto di solo nulla, neppure un suono ne intenderai, niente nel niente diventerai. Di tutto questo neppure un pegno o altra moneta sarà il suo prezzo. Di te, stai certo, si scorderanno. Serve a che cosa dunque il tardare ? Chieder dovresti d'accelerare. Il sorpasso In tutte l'arti sovente è già accaduto che son gli allievi a soverchiar maestri. Si sprecan casi in musica e scultura, in poesia e pur nella pittura. Ma la sorpresa, in questi tempi infami, la fa il buon Renzi, che Berlu sopravanza. Racconta fole, con grandi convinzioni, certo di dir a un popol di minchioni. L'ultima fiaba, che dal cilindro toglie, nega le tasse per far la finanziaria e nega pure che dovrà far dei tagli …e noi siam qui, ad ascoltar quei ragli. Abbiamo un mago per nostro presidente, fa le magie che ad altri son negate, mischia le carte com'un prestigiatore, mentre l'Italia si sbellica e poi muore. Aci e Galatea (canzone alla maniera del teatro dei pupi siciliano) Da' Nebrodi discende una vallata orrida e bella di rocce scavate da chiare acque che scendono a valle e al mare leste van per ricordar. Tra Aci e Gala fu l'amore immenso, ma terminar lo volle Polifemo ponendo fine al vivere incantato del suo rival felice nell'amor. Gala di Poseidone fu la figlia ma il frutto del dio Pan, Aci il pastore, solo di giorno amare ella poteva, dovendo al mar la notte ritornar. Per lei sì grande smania ebbe il gigante, sposa la chiese quindi al re del mare ed al garbato no di quella ninfa da furia fu sconvolto e fu brutal. Uccise il messagger che l'informava, svelse dalle foreste alberi e rocce, rombante come tuono in faraglioni mirabili quei massi tramutò. Trovò il pastor che di notte dormiva e sotto un sasso spense la sua vita, ma quando a Gala giunse la notizia piangente sulla spiaggia lo cercò. Fu un pianto senza fine disperato che forte arrivò a Giove e lo commosse e per tenerli uniti eternamente in forra ed in torrente li mutò. D'allora, in quella valle ch'è un incanto, per sempre Aci e Galatea staranno. In quel connubio, amanti senza tempo, il loro amor per sempre trionfò. Inganni A questo viver spiegazione dare non bastan pensatori inconcludenti che s'arrovellan nel voler spiegare che i patimenti, in fondo, fan contenti. Raccontan che la vita è pure dramma ma se da saggi noi l'affronteremo, guardando in alto, proprio qual programma, medaglia d'or dal cielo in premio avremo. Perché lassù ciò che si vuol si puote, e questo in terra mai ha da avvenire; non indagare il dubbio che ti scuote, vivi, da pio, di vita il divenire. Qualche serpente tenterà il tuo viaggio di rose e miele mostrerà il cammino se solo appena appena avrai il coraggio e rose e miele avrai per tuo destino. Così viviam tra incudine e martello, santa morale o la sregolatezza, ed ignoriam cosa di vita è il bello e del suo senso avremo mai certezza. Passiamo l'esistenza a dubitare, le scelte che facciamo incerte sono e neanche dopo l'ora del passare risposta vi sarà…nemmeno un suono. Allitterando Piansi al tuo pianto, gioii di gioia, amai l'amare. Ma poi tradito, da tradimento, restai basito. Corsi correndo, caddi cadendo, fuggii fuggendo. Mi raggiungesti, ma in gran ritardo, tardi giungesti. Perch'io provvidi a provvedermi, d'altra migliore per migliorare. Così alla fine e finalmente, felicemente, sto gaiamente. e allitterando allitterai e amor trovai. Il velux Sul declinante tetto antiche son le travi, da vene son percorse, risaltan vecchi nodi. Ascolto fuori il vento che i pini fa ondeggiare, grida gabbiano fuori e il ciel vuol conquistare. Son come sinfonia la pioggia e il dolce vento, germoglian melodia, rapiscon come un canto. E piove e piove e piove su quei tetti marrone, ma piove e piove e piove sul vetro ed è emozione. Poi squarcia il sol le nubi, il vento è un caldo soffio. Dolce mormora il mare, tenero è ricordare. Chisciotteide "A voi, di nobil censo, lo dicon vostre insegne, io, prode cavaliero montato su destriero, final giudizio chiedo. Dovrete sentenziare, con aulico alto dire, che bella tra le belle, nell'universo intiero, primeggia la mia dama." "Tu nobil schiatta vedi in noi poveri cristi, e, ohibò, grati ti siamo. Ma per sputar sentenza vederla noi vogliamo !" "Felloni e anco marrani mio verbo contestate ? Che… ? Forse per sapere che luna in cielo splende necessita il vederla ?" "Non è proprio l'istesso, larva d'un cavaliero, la luna godimento apporta al mondo intiero. A te soltanto, invero, dattela la tua amata. Che almeno un suo ritratto potessimo ammirare !" "Oh di gran puta hijos la lancia assaggerete ! Carica a pancia bassa cavallo mio fedele… ….ma non così, poffarre, la terra vò ad arare !" "Addosso a 'sto buffone che merita lezione ! Usiamo quei bastoni scambiati per insegne, puniamo l'arroganza di chi, prova non dando, imporci vuol sentenza." "Ahimè m'hanno conciato, mio immaginato bene. Per raddrizzar gl'inganni, che oscuran la giustizia, dovrò ambulare sghembo p'andar dove conviene. Se poi tu vuò lenirmi, porta al futur'incontro, immago tua adorata, che più del mio bel dire varrà il suo guardamento. E poi, già che qui siamo, un altro dono chiedo, perché questo m'han detto, battendomi quei prodi. Non so di che cianciasser, gridavano… d'un fiore. Da qualche parte certo dovrà portar calore. Mio fido Dozzinante, quanto dolor m'avvolge. E su, non protestare, sbagliato ho forse il nome, ma chiaro è il mio pensare. Un giorno fui investito d'una divin missione: il mondo ripulire d'ingiuste ipocrisie. Per realizzar 'sto sogno 'sta strada obbligo è il fare." ---Così, caracollando, tra un ahia e un poffarbacco, condusse la sua vita. Miguel, mancino monco, questo ci ha raccontato, mostrandoci un inetto che, sempre ottuso, lotta, negando questo mondo. Ma Unamuno, il grande, riscrive altra avventura: quei solidi ideali, ch'eran la sua cultura, nel Don errante incarna. E chi capir volesse, le due versioni approcci per somme, poi, tirare.--- Tre dita (Paris at night, renversè) Tre dita dentro agli occhi m'hai messo crudelmente. Il primo per stupirmi e per chiarir concetto. Quello di poi secondo per ribadirne il senso. L'ultimo, terzo infine, per seppellir l'amore. E hai spento pure il sole, e stelle ed i cerini, mentr'io, ma che tapino! in braccio ti tenevo. E la traduzione in francese: Trois allumettes une à une allumées dans la nuit. La première pour voir ton visage tout entier. La seconde pour voir tes yeux. La dernière pour voir ta bouche Et l'obscuritè tout entière pour me rappeler tout cela En te serrant dans mes bras. Jacques Prévert "O voi ch'avete li 'ntelletti sani mirate la dottrina che s'asconde sotto il velame de li versi strani" (Inf. IX 61/63)
L'impostura Il rampollo del ticoon ci racconta di balocchi del paese che qualcun ci narrò ne' suoi Pinocchi. L'italiano, esperta gente! non lo vuol veder quel naso che diviene più evidente sempre più, di caso in caso. "C'è la crescita, tranquilli, mi ci gioco anche il faccione. Vi farò vivere idilli o chiamatemi buffone" A parole spende e spande ottimismo a piene mani ma l'italico è in mutande, sarà senza già domani. Ma al bamboccio che glié frega di narrarci sol fregnacce, teme sol la sua bottega …dove strisciano minacce. Finirà quest'impostura quando con un gran boato quest'Italia (e sarà dura!) crollerà dentro a un fossato. Forse allora s'udirà una flebile reazione, qualche suono s'alzerà contro questo gran buffone. "Un gelo allora in terra mandò il buon Dio." (dalla "Bibbia degli uccelli" c.14 v.37) La vera leggenda dei giorni della merla C'erano bianchi merli che andavan sussiegosi, col lor candor brillante di merle eran golosi. Ma un brivido di freddo percorse quelle piume e disse merlo a merla, la voce fu un barlume: "Qui non si batte chiodo, farem l'amore al caldo laggiù io vedo ed odo camin che ci riscalda. Con me vieni al calduccio faremo pappa e… ciuccio." La merla intirizzita, m'anche con qualche voglia, veloce lo seguiva, fremente poi si spoglia. Così l'intero stormo, per freddo o per bisogno, in quei camin fumanti di colpo si buttò, per realizzare un sogno, l'esempio ricopiò. Finita che fu l'orgia sentirono la fame e uscirono volando in cerca di mangime. Dall'alto all'improvviso scese una gran risata, avevano quei merli la lor livrea cambiata. Fu il fumo dei camini, non visto per l'amore, che il bianco, a lor sì caro, virò del suo colore. Ed ecco perché oggi, vedendo merli neri, di certo noi faremo maligni dei pensieri.

Lo sfasciacarrozze gigliato (chiedo perdono al collega Sandro M .) Egli è di certo mobile ed è mortal respiro per quel partito immemore, orbo di quello spiro che volle, alla sua nascita, giustizia perseguir. Lui, folgorante in cattedra, lo rende una maceria, e indifferente al sònito d'italica miseria, favori alle combriccole soltanto appresterà. La procellosa e trepida gioia d'un gran disegno, l'ansia d'un cor che indocile lecca pensando al pegno; e il giunge e ottiene un plauso ch'era follia sperar. Dall'Alpi a Capo Passero, dai Liguri al Salento, di quel securo, il fulmine anticipa il talento. …E la DC, è palpabile, ritorna a governar. Come sul capo al naufrago l'onda s'avvolve e pesa, sul patrio suol che sanguina, per quella porno intesa, tra Renzi e Forzitalia, sventura pioverà. Temporale Rimbalza e rotola di cirro in cirro brontola e ruzzola rimbomba il tuono, replica l'urlo di travi cadenti. Saetta un lampo, sfrigola l'aria da terra al cielo s'alza una vampa. L'acqua s'abbatte su tetti e terre strepita e scroscia, dilava e picchia. Ritma la pioggia, pare un lamento. Ulula il vento e attorce gli alberi, sibila e spazza e prati e foglie. All'improvviso torna quiete. All'orizzonte, come un incanto, magico appare l'arcobaleno. Il Pil Il Pil della mia strada è giunto al lumicino, c'è l'Istat che m'indaga risulta un bel casino. Donai a piene mani tutto quel che potevo, forse incontrai dei nani o forse m'illudevo. E tiro un po' le somme di questa lunga strada, ne ho consumate gomme contrada per contrada ! Lo spread tra adesso e fine già cresce a vista d'occhio ed offrirò tartine a chi verrà col cocchio. Magari avvelenate, coperte di caviale e ci vorran giornate per digerirle male. Default è sentenziato per vita spesa bene, ma non conta il passato se spezzi le catene. Uscire dai binari è cosa non gradita non rispettar gli orari rovina la tua vita. Adesso aspetto solo che giunga a conclusione quel che per me fu volo e splendida stagione. Notte Lieve è la notte intessuta di baci, lieve e si svolge nel tempo che passa, sento il calore di morbide labbra, sfioro la seta di un tenero corpo. Ecco che l'ora sorpresa s'arresta, ecco che gode e sorseggia l'amore, vorrei fermare questi attimi intensi, vorrei svanir mentre il tempo svanisce. Vola nell'aria un celeste profumo, vola e diffonde una musica dolce, c'è nei suoi occhi il brillar dell'opale è un ondeggiar di papaveri il viso. Sfugge la notte e profondo nel cuore resta il ricordo di cieli perduti, vagano note d'armonica uscite e di un violin sfuma il suono struggente. Trascendenza Quei suoi grandi occhi mi accesero il cuore e quei suoi sorrisi mi sciolsero dentro. Si mosser le mani sì lente e affamate, respiro si fuse con lingue incollate. Nel suo apparire vedevo l'amore che placa, ricrea, che appaga appagando. Guardando il suo viso, di luce diffuso, volar mi sembrava nel cielo confuso. E il cielo stupito raccolse il suo grido, esplose un fulgore, stordente, abbagliante. Si fecero fili dei raggi di sole, pervasero tutto, mancaron parole. Fu quella una fiamma, scambiata con gioia, donarsi, fremendo, con grande languore. Restò poi un silenzio, con rotto ansimare, un tenero abbraccio può il tempo fermare. Di quel ch'è perduto rimane l'inganno, visioni dissolte, memorie avvilite. Trascende il reale quel tempo fatato, fu incanto vissuto, ma forse sognato. Riti pagani Giornate son queste di feste pagane e deschi son pronti siccome are antiche. Vestali agghindate a sembrar meno nane son pronte a quei riti, si truccan da amiche. Gli reggon lo strascico i lor sacerdoti, con smoking a nolo che paion pinguini, nell'aria si spandon profumi costosi, che ahimè sempre avranno pagato i tapini. Per il sacrificio son pronti alle bolge pavoni imbottiti, cassate e liquori troneggia una mela, porcello l'avvolge, c'è vin spumeggiante, coriandoli e fiori. Furtiva una mano palpeggia un didietro, così si festeggia nov'anno che sorge. Neonato è già l'anno ma ha odor di piretro e scarse speranze di pace ci porge. Così si festeggia per esorcizzare quei dodici mesi di lutti e dolori, passato nefasto ch'è sol da scordare. Ma è vana speranza che il tempo migliori. Prudore Sospetto d'aver il sospetto. Sospetto un sospetto. Io so che tu sai che io so. E sai com' io so. Perplesso di molto perplesso, domando facendo domande. Risposte non sono appaganti, t'attacchi su specchi cadendo. E resta un fastidio insistente. In mezzo, là proprio, alla fronte. "Inseguendo l'ombra, il tempo invecchia in fretta" (Crizia, secondo Platone) Invecchia il tempo (ispirata da "Il tempo invecchia in fretta" di Antonio Tabucchi) Tra cupi boschi e tra verdi pianure scorre la vita. Indifferente a noi il tempo passa, e vagano ombre. Quel che rimane d'un viver ansante sono ricordi. Ricordi vaghi, ma inutili a tutti, fatti di niente. Invecchia in fretta il tempo irrispettoso del nostro andare. Da rughe sul viso e rughe nel cuore restiamo incisi. Siam'acqua che corre verso quel delta di un vuoto mare.
Riepilogo Ripensa a tutti i fiori che non colse, ai tanti amor perduti, ai libri che non lesse. Ora che il tempo volge al suo tramonto, or che s'appanna il sole e senno più non scalda, finiscono quell'ore di speranza. Ore di fantasie ed emozioni, di sogni, di disegni e di illusioni, svanite nel trascorrere impietoso d'un'altra età fremente di passioni. Reclina il capo stanco e la sua mente resta solo in attesa dell'ultimo riposo.
L' Illuminato Verità vanno cercando, sulla strada della seta, e cavalli cavalcando, brameran chi li disseta. Questi candidi destrieri, oro e azzurro i finimenti, porteranno i forestieri verso mete convenienti. "Cara Amal, amica mia, su raccogli il tuo sitar, canta per la nostra via, rendi lieve questo andar." La violenza del deserto, la durezza del percorso, li stremarono di certo, anelando ultimo sorso. Ed alfine all'orizzonte, sopra un monte, sulla cima, la città di tutte l'onte, Samarcanda s'avvicina. Quivi giunti chiederanno, destra e manca ansiosamente, "chi alla sete non fa danno, chi disseta veramente ?" Ricevuti nel castello, dal sultan della regione, ecco il re di quel bordello che impartisce la lezione: "Quei che qui non vo' restare, esecrando 'sto mercato, scelse solo il meditare fino all'ultimo suo fiato. Con la vaga tua compagna, guadar l'Oxus voi dovrete e scalando la montagna nella grotta il troverete." Si rimisero in cammino, gonfio il cuore d'emozione, certi del loro destino di trovar la soluzione. Grande gioia fu per loro la caverna rinvenire, nella mente quasi un coro per l'auspicio divenire. E così, dinanzi a loro, ecco appare il gran vegliardo, vestimenta prive d'oro, tanto affetto nello sguardo. "Whaid altri m'han chiamato sin da quando rinunciai a restare in quel mercato, fonte di primieri guai. Quello è un luogo di vergogna, di Babel la confusione e vi regna la menzogna quale unica ragione. So che voi state cercando Verità, unico bene e per questo, camminando, qui giungeste dopo pene. Tu bruciasti il tuo passato ricercando savi esperti, ora in luogo malfamato, ora andando per deserti. Non v'è saggio, qui nel mondo, che rispondere saprebbe, quel che chiedi, oh vagabondo, dentro il cuore albergherebbe. E nel cuore dell'onesto ben nascosta c'è una luce, guarda là con un pretesto, solo il ben ti ci conduce. Quest'io dico alla partenza: Verità, suprema dea, accompagna l'esistenza chi d'amore ognor si bea." Note esplicative (I nomi arabi Amal, Oxus e Wahid corrispondono rispettivamente a : la speranza, il fiume nei pressi di Samarcanda e l'ineguagliato. I cavalli simboleggiano la mente ed i finimenti la fantasia che la orna. Così come il deserto simboleggia il mondo in cui viviamo e la durezza del percorso, il vivervi. L'ultimo sorso, ahimè, è la morte, desiderata per gli stenti subiti. Samarcanda è stata scelta perché punto centrale della via della seta, quindi luogo frequentato da un'umanità fatta di mercanti, notoriamente non proprio sinceri.) Cammino sulle mani Cammino sulle mani e finalmente le cose vedo al loro posto giusto; la gente che festeggia allegramente sorrisi e amor dispensa con gran gusto. Quella che un giorno fu soltanto lotta adesso è mano tesa con affetto e pare un ballo, quasi una gavotta e il mondo sembra tutto un bel quadretto. Chi ebbe corruzion per religione, or che la mente sua s'è persuasa, rinuncia a quella sporca tentazione. Chi pria rubava senza compassione ogni suo avere dona e pur la casa, così ritorna pura ogni intenzione. Ma questa pia illusione è nata da un bel sogno che ho sognato. Ritorno dritto e vedo ogni peccato.
La pagina della Sfinge T'affogherò di baci. Per poi salvarti col bocca a bocca. Mondello: esterno notte Luci che si rifletton su mare trasparente e stelle che respiran nel cielo blu cobalto. Luna che sulle onde si liquefa e si rompe, onde che sulla sabbia donano il lor frusciare. Il Monte Pellegrino balugina di fari. Ricordo una chitarra, cantava d'un amore, mentre s'allontanava nave verso orizzonte. Scorreva l'acqua Veloce e turbinante, tra acuminati sassi e dolci rive piane, verso la foce andava. Paesi attraversava che permettevan sogni e lande desolate che davano tormenti. Cadeva in forra fonda, cascata iridescente. Quieto e dolce un lago il suo cammin placava. Poi verso un cupo mare pian piano s'avanzava. Nei suoi mister profondi nell'oltre dileguava. Addio al mare Cespugli di ginestre contro il sole, scesi tornanti ad arrivare al mare. M'inebriò profumo di salmastro, penetrò dentro quel color turchese ed un respiro placido mi prese, mentre lassù cantavano gabbiani. Nella memoria restan come un sogno questi ricordi che mi porto dentro, suoni e colori tornan come un'eco e in tempo ormai concluso della strada, oggi di pianto bagnerei quel mare, nel vagheggiar l'abbaglio d'una vela. Basso continuo Canta risacca, basso continuo, s'alza un lamento d'acque lontane. Forte ora urla vento d'estate sbatte le ali vago un gabbiano. Urla quel mare, scoglio ferisce van verso il cielo d'atomi il salso. Lento discende, sparso nell'aria quel sale amaro sbianca la pelle. Onde ondulanti vibran di danza dall'alto al fondo svaniscon vele. Come un rumore, basso continuo, siccome vela mente sprofonda. Volavo La strada fu lieta e festante, adesso mi attende il silenzio, silenzio su un prima appagante ed oggi il passato licenzio. Bei fiori raccolsi e donai, su prati sereni già andavo, dolori, se li ebbi, scordai; nel cielo volavo. Così del mio mare le onde di gioia riempirono il cuore, nel salso e color si confonde, e gemma canzoni d'amore. Lontane passavan le vele, sul filo del mar carezzavo ricordi che son latte e miele, nel mentre volavo. L'incanto poi venne dall'arte, da musica ed anche pittura, di queste indagai tra le carte, per meglio capir cosa dura. Fu con gran passione che amai la musica e non la lasciavo neppure un istante, giammai! con quella volavo. E un giorno arrivò poesia, fu luce che prese la vita, fu luce per la strada mia, nell'etere resta infinita. M'aperse orizzonti sereni, talvolta i miei versi affilavo, riempiendoli, sì, di veleni e ancora volavo. Si schiude il percorso dell'oltre, non sento rimpianti né pene, l'amore fu l'unica coltre che usavo per dare del bene. Rimango curioso sul dopo, a quello, ogni tanto, pensavo, pensavo ad un picciol canopo e sempre volavo.
Una storia Amici cari vi vorrei narrare una storiella, tanto per parlare. Odor d'allegoria c'è in questi versi, ma io confido che non vadan persi. Un tempo in Grecia visse parcamente un uomo brutto in mezzo a bella gente. Non era solo brutto il poverino per moglie avea Santippe...ah che destino ! "Io so di non sapere" egli diceva però di non sapere non voleva e tutto si spendeva per mania e di ricerca e di filosofia. Il dubbio lo attirava del profondo, del Concetto dell'Io, dell'Uomo e il Mondo e il metodo maieutico decise, appreso dalla madre levatrice. Domande a destra e a manca lui faceva, la gente, che con lui prima rideva, a poco a poco gli voltò le spalle, a quel tapin che triturava palle. Messo alle strette dalla maldicenza portò all'estremo far la sua coerenza e scelse di morire avvelenato, avendo gran rispetto per lo Stato. Egli ci lascia i grandi insegnamenti d'essere onesti ed essere coerenti, intransigenza ed ira moderare, pazienza con amor privilegiare. Chi l'ha visto? Aveva fatto tutto per benino per giorni e giorni s'era affaticato, si cibò spesso solo di un panino ed al dormir nemmeno avea pensato. E fu così che al settimo, stravolto, volle veder che aveva combinato, cercando un qualche error che andava tolto, ma tutto gli sembrò bello e aggraziato. Voleva i complimenti da qualcuno, ma ricordò che c'era proprio niente perché prima di Lui c'era nessuno. E si sdraiò su un letto e immantinente divenne in un sol lampo addormentato. E da quel giorno… non s'è più svegliato.
La scelta (parodiando Metastasio) Delle illusioni tue a lungo vissi, oh vita! Mai strada fu smarrita, dolce fu la mia età. Or che de' lacci tue l'alma si fa disciolta ricordo quella volta che persi libertà. Per le sembianze sue fiorì con forte ardore quel che pareva amore che vero fu a metà. Andavo come un bue, cercando in ogni dove dell'amor suo le prove, m'ebbi da dei pietà. Mi disser: tra 'ste due, tra canto o poesia, se sceglierai la via viver t'appagherà. E scelsi tra le due la lirica che piace e dona pur la pace e amor scordar farà. Ma sono milledue le regole obbligate sennò scrivi scemate, qualcun s'arrabbierà. Regole in ambedue ardue son da seguire, e ti farà impazzire l'effetto che verrà. Nell'ora del tramonto meglio cantar canzoni, per esser così pronto all'oltre che ora affronto. Stelle cadenti La luna a rincorrere il sole è corsa a ponente. Il sole a rincorrer la luna s'affanna ad oriente. L'incontro avverrà là in mezzo alle stelle nel buio e silente mantel della notte. Saran pudibonde le stelle e con scie, pudiche raccontan d'amore rovente.
Per te (a Mirò nel giorno anniversario) Ci fosse nel deserto un certo fiore che col profumo ammorbidisse il cuore, se in cima a una montagna una pepita fosse capace d'addolcir la vita. Se in fondo al mar conchiglia vellutata fosse capace di donar risata, in mezzo alla tempesta andrei a cercarli e in uno scrigno tutti a te donarli. Donarli a te che sei donna preziosa, donarli col profumo d'una rosa. Così accadrà che proprio da stasera il sole spazzerà la notte nera, porterà pace a tutti quei tormenti e torneranno i giorni tuoi lucenti. Gorizia 25 luglio 1964/Lavagno 25 luglio 2014 Morale Spiaggiato smarrito disperso, cercavo soltanto traguardo sperato. Nuotavo fremente curioso, compunto fondali profondi scrutavo. Vedere distante scordata morale. Sconfitta bruciante provare. Perduto, percorso smarrivo… ------battigia deserta… -------finire sfinito.
Comunicare Studiavan la thorà due poverini, distratti da un bisogno primordiale, bruciava dentro tanto a quei tapini la sigaretta non poter fumare. Così dal rabbi Davide si porta, con grande deferenza a questi chiede "Mentre quel libro in cielo mi trasporta posso appagar, fumando, testa e piede?" S'avvampa in viso quel virtuoso uomo: "Mai dobbiam fumare e affumicare quel sacro libro, quel pregiato tomo. Ritorna al posto, su, non annoiare !" E torna dal compagno di sventura, la coda tra le gambe bene stretta, a raccontar gli viene cosa dura e nei suoi occhi brilla lacrimetta. Aronne, suo compagno d'avventura, lo consolò fraterno e disse questo: "Vo dal maestro e non aver paura, noi fumerem di certo. Torno presto." E al saggio disse "Un dubbio m'attanaglia legger potrò thorà mentre ch'io fumo ?" S'illuminò quel pio, quasi raglia, "Sempre legger thorà, ch'è gran profumo !" Ritorna Aronne e disse a quel confuso: "Mio caro amico vedi com'è strano ? Se il verbo posizioni bene all'uso, potrai ottener persino ciò ch'è arcano." Morale, amici cari, di 'sta storia: giuste parole messe al giusto posto ci danno garanzia della vittoria ed otterremo tutto tosto tosto.
Lucciole C'era la luna notte d'agosto mormora il mare la sua canzone. Piccoli lampi schisti di muri resto a guardarle correr le mani. Lascia una scia quella lor luce, stelle cadute quasi a regalo. Volan poi alte, pare un invito forte a seguirle nel loro incanto… …c'era la luna notte d'agosto cantava il mare la sua canzone. Livorno (dedicata a Carlo Chionne) Vestito a lutto è il Vernacolier e il lutto non s'addice alla risata… ristoro andrem cercando in caciuccata e nel Pisano bianco del Torpè. Co' dolci fumi di quel bianco asciutto ritornerà il ricordo delle teste che un giorno consentirono le feste a critici con gli occhi nel prosciutto. Così vorremmo che 'sto risultato pari facesse col fatto ingannante mentre, purtroppo, è incubo avverato. Si sa, il livornese è gran brigante e lo conferma in questa situazione, ponendo un falso a capo di stazione. Velo di seta Per te ho tessuto un velo di seta, di filo d'argento con l'oro intrecciato, nell'arcobaleno per te l'ho bagnato. Ho unito le note di dolce canzone e dentro uno scrigno prezioso l'ho dato perché da tue forme gemmasse peccato. Velata ti vidi da tenue sipario, d'Olimpo una dea tu lieve scendevi, così come un sogno venire parevi. Ma i sogni, è la sorte, si sciolgon nell'alba crudele l'aurora, di rosa vestita, visione cancella… d'un soffio svanita. Il senso In alto indago il senso del passare, non scaldan l'anima quelle risposte mente non placano, false e mal poste non ve n'è una che possa appagare. E mi domando a che mai sia servito quell'affannarsi a rincorrer la gloria per poi scoprir quanto fosse illusoria, così restando soltanto smarrito. Scende la notte per chiuder gli affanni vissi di sogni ma senza speranza, corsi la vita per troppi tropp'anni. Cerco ora il mare qual'ultima stanza, per ritornare là dove son nato e in quello sciogliermi, alfine appagato.
Calderon de la Barca, col dir " La vida es sueño" e Garcia Lorca, col dir "La vida no es sueño. Alerta! Alerta! Alerta!" sono agli estremi di un ponte traballante sul quale passano dubbi, incertezze, speranze, illusioni. Cos'è la vita, cosa sono i sogni? Questa la domanda esistenziale, vero nodo di Gordio. Vita sogno, sogno vita. Come di specchi in gioco s'intreccian vita e sogno, grovigli di speranze, certezze ed illusioni. Se sia la vita un sogno, sogno la vera vita, rimane un dubbio arcano la mente a macerar. Così pur ci ripaga per questa vita il sogno. Concreto come quella ritorna inaspettato, da siti oscuri in notti ci è stato regalato e a siti ignoti alfine nell'alba tornerà. Così pure la vita, dono che non chiediamo, percorso ch'è obbligato, che a un termine è votato. Pure nel suo finire v'è alcuna differenza sia lieta o addolorata di certo finirà. Son specchi e all'infinito raddoppian l'emozioni, e ad inseguire sogni viviam la nostra vita. Fantasmi della mente sembrano e vita e sogni è dal pensier che forse l'inganno nascerà. Nascita di una poesia: la bozza: E' terso il cielo sopra il cheto mare, ascolto l'onda carezzar gli scogli, l'acqua riflette spogli monti rossi, nell'aria van volando dei gabbiani. Così rimango immerso in quel silenzio che dona pace e rasserena il cuore, passa lontano vela all'orizzonte, corre e par sogno pieno di promesse. Salso respiro e nel profondo scende sentore di quel mare che mi prende, nei suoi color si svaga la mia mente. Lo sguardo affonda là dov'è congiunta del mar la linea con l'azzurro velo, sospeso è il tempo e nulla pare vero. …e la versione definitiva: Capo Gallo (località a poca distanza, verso ovest, dall'affollata spiaggia di Mondello) Brilla qui il cielo ed è quieto il mare, ascolto l'onda carezzar gli scogli, l'acqua riflette monti rossi e spogli e verso il sol gabbiani vedo andare. In quel silenzio trovo il mio riposo e trovo calma ed ho sereno il cuore. Lieve una vela va senza rumore, trasporta sogni che sognar non oso. La mente mia si svaga nel turchese e le speranze mie restano accese per ritrovar la pace tra quell'onde. Lo sguardo affonda dove si confonde del mar la linea con l'azzurro velo. Sospeso è il tempo e nulla pare vero. Respiro salso e nel profondo scende la grazia dell'incanto che mi prende.
Discende il sole Al tramontar del sole, lento un gabbiano bianco vola e ricorda stanco perdute le parole. Sogni nella sua vita gemmaron come fiore, donò tutto il calore a gente inaridita. Verso quel disco avanza, soltanto quella luce lo chiama, lo seduce. L'andare suo è di danza, poi l'ali restan ferme, nel fuoco scende inerme. Arrivederci 2 Mi mancherete come il pane e il sale, come l'aria pulita e come il mare e già una tristezza ora m'assale, pensando a giorni privi di Poetare. C'è un carburaturista che m'aspetta, carburator vuol fare carburare e pronta e ben pulita ha una pinzetta e m'ha acciuffato e non mi fa scappare. Così m'avvio a far questo tagliando ma dopo tornerò più forte e bello e volerò più in alto di un uccello. Ma a tutti voi, col cuore, raccomando tenete i toni bassi e sorridenti se no alla fin sarem tutti perdenti. L'automobile Batteva in testa così l'ho portata in officina per fare un tagliando. Dopo consulto mi fan, sbadigliando, messa così va soltanto buttata. Ma questa è unica, l'ho da un bel pezzo, fu testimone di quel ch'è passato, tanto che a lei sono molto attaccato e quel suo andare ancor'oggi l'apprezzo. Pur s'avrò torto e ragion quei tapini, per far durare quel poco che resta, di risanarla gli chiesi al più presto. Se sono esperti ed avran fare lesto ritornerà quel bel tempo di festa e farem lieti i restanti gradini.
Scende poesia La vidi lieve scendere dal monte, tra rovi e spine e massi acuminati, ch'erano neri e simili a peccati e andava con andar fresco di fonte. Era salita a cogliere nel cielo profumi e suoni ed armonie sovrane. Qui cuori rei cercava e menti arcane per porvi dentro amor, per scioglier gelo. Così mi vide perso e lacrimante su quella china amara e disperata, per una vita fino allor sprecata. Dentro mi scese come fa un amante e diede e luce e amore e comprensione e al mio tramonto vissi un'emozione. 
Befanrequiem Ricordano i tempi di voli passati quand'erano belle, pur desiderate e tutti quei gonzi che furon scopati in lunghe, frementi, veloci nottate. Non c'era un camino che salvo restava, la notte era breve, volava d'incanto, soltanto una notte, che pure bastava e di ciò ch'è stato riman sol rimpianto. Son piene d'acciacchi, d'artrosi e dolori, così quella scopa, veicol portante, pur oggi rifiuta volare là fuori e tristi e avvilite richiudon le ante. Non sanno che fare, neppur dove andare, nessun più le chiama per chiedere doni. Nell'angolo resta, ma sol per scopare, l'inutile attrezzo, tre o quattro sacconi. Un giorno, un lago. In quel terso azzurro d'un cielo montano d'aerei le scie s'intreccian lontano. Sorpresa è la luna, ch'è amante del sole, si tuffa nel lago, nascondersi vuole. Nel mentre due gatti, d'amore appagati, rivivon sui tetti quei sogni passati, di fiaba un trenino la valle percorre, fa un fumo turchino che al cielo già corre. Nel caldo tepore di calma mansarda la pace m'avvolge, divien l'ora tarda. La pace del lago così rassicura, rispecchia i colori, cancella paura. E un cantico dolce nell'aria si sfuma è un suon di campane che lieve è sì piuma. La neve è sui monti, sì dolce è la brezza e tutto è avvolto di grande purezza. Domanda di grazia Un prodigo figliolo, incontro per la strada, lui perso avea contrada pativa un grande duolo. Mi disse che mai più avrebbe commentato col tono ch'ebbe usato, con sdegno e forse più. Ma molti la mancanza, sol della sua sapienza, la senton ed è urgenza condurlo in questa stanza. Al Vate illuminato io porgo questa istanza: riapriamogli la danza, sia alfine perdonato. C'è in ogni luogo l'uso, in occasioni sante, la grazia ad un furfante conceder senza abuso. Allor che a casa torni, con sante le intenzioni, ci dia le sue canzoni che mancan da più giorni Sull'ara metteremo fremente un grasso agnello. Se rifarà il monello allor lo infilzeremo. Extracom C'è il mare davanti, aleggian respiri, aneliti a vita di tanti. Van via dai tormenti, da fame e da guerre, per essere alfine redenti. Indietro è rivolto lo sguardo e un rimpianto, le lacrime vanno sul volto. Beccheggia la barca, terrore li prende ed acqua salata l'inarca. Son tutti scagliati nel mar che li attende, e i soffi di vita tagliati. Silenzio discende su quel camposanto, soltanto un gabbiano comprende. Rimane quel legno nel mare a marcire, dal cielo discende lo sdegno. Primo amore (a Mirò da cinquant'anni accanto) Oggi vi narro di quel primo amore che nacque nella mente e accese il cuore. Fatal la gravità, così invadente, discese a valle e rese tutto ardente. Correva un giorno sopra un verde prato, col vento che i capelli ha scompigliato, flessuosa una figura che volava e il mio pensiero tutto conquistava. Così a vederla mi si ruppe il fiato ed io quel giorno non l'ho più scordato. Ricordo il lieve bacio che rubai, cielo e la terra tutta conquistai. Rossa la chioma allor m'avvolse il viso e fui smarrito e perso in paradiso. Furon trecento (Lampedusa 2/3 ottobre 2013) Discende lentamente verso il cuore un gorgoglio di morte, la mente già si riempie di terrore, chiuse tutte le porte. Tornano agli occhi immagini di vita lontana e abbandonata, non han più tempo,è chiusa la partita, la meta irrealizzata. Affonda piano piano l'illusione e inesorabilmente verso un fondale viaggia l'emozione, la fine già si sente. Crudele c'è un silenzio e là lontano c'è un'isola assolata, che pronta è sempre a porgere la mano, quell'isola agognata. Scendon nel fondo dell'azzurro mare speranze e fantasie, nessun di loro potrà più sognare più dignitose vie. Eppur era annunciata la tragedia e indietro ci voltammo. Politici, aggrappati alla lor sedia, su quella sguazzeranno. Digressione (ma non tanto…):è di ieri la notizia che 5 dei 22 "saggi" nominati da re Giorgio, con la finalità di preparare uno schema di riforma della Costituzione -la legge quadro che regola la vita di noi tutti- sono indagati, assieme ad un ex ministro, dalla procura di Bari. Secondo questa sarebbero coinvolti in irregolarità (truffa, insomma) nei concorsi universitari. Ovviamente attendiamo, per capire, l'eventuale processo nei tre canonici gradi. Ma, come si dice, la moglie di Cesare ha da essere pura… Quanto lo sono i gestori della nostra vita? Una risata lo seppellirà (Senato della Repubblica. 2 ottobre 2013) Surreale la giornata, rivoltata ha la frittata, par che sia di senno fuori, tanti, tanti ebbe dolori. Muove a pena il cavaliere, gliela han messa nel sedere quella sua prosopopea che ci rese vita rea. Vita rea fu pur la sua, or lamenta tanta bua: "che cattivi i magistrati leggi voglion rispettate !" Quelle leggi che lui usò per far fuori chi lo urtò, escludendo dalla lista quei che usò quali battista. (*) Muove a pena il cavaliere ma ancor più quegli elettori che, sperando d'imitarlo, proni corsero a votarlo. E che dir dei suoi lacchè che si fecer sempre in tre, per amor della pagnotta, tutti peggio di mignotta ? Il ducetto ha perso l'ali, nel futuro ha i sociali, sol lo lascian, poverino, a godersi il suo destino. (*) Alle ultime elezioni il proprietario del Popolo della Libertà escluse dalle liste bloccate i suoi "fraterni amici" Dell'Utri -quello che gli aveva fornito lo stalliere/mafioso Mangano- (condannato, il Dell'Utri, per mafia in due gradi di giudizio), Berrutti -il suo più apprezzato consulente fiscale, ex ufficiale della guardia di finanza- (condannato per bancarotta fraudolenta in due gradi di giudizio) ed altri due suoi "fratelli di sangue", di cui mi sfugge il nome, ma con fedina penale simile a quella dei suddetti. E queste esclusioni, con la morte nel cuore e forse in lacrime, le giustificò dicendo che uno statista come lui non poteva non rispettare le leggi dello Stato, compresa la legge Severino. Nei loro casi quella legge era costituzionale ed applicabile retroattivamente. Ma non per Lui. Avanspettacolo (Parlamento della Repubblica, 2 ottobre 2013) Venghino, venghino siore e siori più gente entra più bestie vedremo. Grande spettacolo, non state fuori, a crepapelle qui alfin rideremo. Questo copione, che vien da lontano, giovani attori, d'antico mestiere, oggi lo spacciano per prima mano, novità grande per farci godere. C'è l'Angiolin, con Enrico di fianco e sullo sfondo, avvilito, il caimano che pensa solo a pararsi il sedere. C'è la milizia che accetta financo quello che sembra incredibile arcano, per proseguir a truffarci a piacere. Si riderà, con le lacrime agli occhi, …ci spilleranno ancor tanti baiocchi. Venghino, venghino siore e siori …ed aspettatevi atroci dolori.
Nodi al pettine Chissà quanti avran capito che nel cul ci ha messo il dito, per vent'anni o giù di lì, quei che unto in campo uscì. Molti illusi, a pecorone, acclamando il re leone, si pasceron di speranze di riempir le loro panze. Oggi al dunque noi arriviamo, nello sfascio rotoliamo grazie a quel pregiudicato, nelle mente ormai malato. Di Sansone a imitazione, or che ha perso il suo balcone, tutto all'aria vuol mandare, vuol mandarci a mendicare. E si scorda il mentecatto, resterà solo col gatto, che tra un par di settimane dovrà scegliere altre tane. Altre tane nell'attesa di sentenze per la spesa ch'egli, proditoriamente, ogni giorno fè di gente. Gli italiani capiranno quanto grande fu l'inganno or che grazie a 'sto buffone avran dura la lezione ? Che mondo! Quand'ebbi emergiuto da un mare di guano avessi voluto guardare lontano. Ma quel che vedetti lasciommi basito il senno perdetti …e là tengo un dito. E torlo il vorrei dalla posizzione m'infiamma dei nei, ma che situazzione! 'Sto mondo è malato, vi dò 'na lezzione, son proprio incazzato, rompiam la prigione! L'ultima estate Nell'aria quel frinire di cicale s'allarga come cerchio che si spande, carezza e scuote pini un caldo vento. Scorgo laggiù la fine delle scale, così la nostalgia nel cuor è grande, scheggia di mar che solo dà tormento. E' vela antica e vola sopra l'onde, a questa vita guardo e mi confonde. Dolce è il ricordo e, ricordando il mare, resta certezza di non più tornare. Sbarluccichii Vago per colli e lontano quel mare manda al mio cuore il suo salso respiro da lui ritorno e soltanto sospiro grand' è l'amare. Feriscon le fronde e rami i bagliori raggi si vestono d'oro e di verde l'ombra trasformano e quasi si sperde in quei colori. Ma il mare che avanza è nella mia mente danza d'argento la sua spuma bianca e il blu cobalto che sempre mi manca solo non mente. Ballano assieme a colori fatati musiche dolci e risuonan serene per alleviar le nostalgiche pene di tempi andati. Ebbro d'amore Voglio un bicchiere ricolmo di stelle per poi brindare davanti a quel mare voglio ubriacarmi di luci e pigliare sol le più belle. Vago per boschi odorosi di pino in mezzo ai rami s'intrufola il cielo in alto là vola un dolce pensiero fino al mattino. Sopra una foglia bagnata di pianto c'è inciso un nome portato dal vento forse d'amore che ormai s'era spento dice soltanto. Voglio canzoni che parlino al cuore e sempre giungano là nel profondo e a tempre oscure che infestano il mondo porgano amore. Attenti al buffone ! Di un'etica distorta il portatore di merda ha ricoperto 'sto paese. Da stipendiati servi è osannato, tante le menti son che ha plagiato. Prebende a destra e a manca egli ha elargito e in testa v'è Romana e Santa Chiesa che chiude gli occhi e pur le orecchie tappa, pur di non rinunciare a tanta pappa. Trovavan posizione in chiuse case eserciti di donne compiacenti oggi, per il voler di quel buffone, del parlamento scaldan le poltrone. Ma pare che il giochino sia finito e il decaduto ras a pena muove e se ritornerà nei suoi castelli i cieli torneranno un po' più belli. Ma le macerie di quest'era infame saran ardua fatica a chi s'appressa a ripulire e quindi raddrizzare un'era intera tutta da scordare. |