Poesie di Francesco Colombo


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La mia infelicità
È un cuscino
Con la forma del mio capo.

Prova a salvarmi
Dal mio bene,
se il tuo male
è il mio piacere.

Spreca tempo ad amarmi
mentre io
tradisco,
l’ennesima persona
che mi ha offerto
il cuore,
senza pesi,
senza pena.

Sono l’esponente
Dell’arte di soffrire
E mi pagano
A cottimo per ogni
Sogno infranto,
per ogni fantasma cacciato,
dal letto delle meraviglie.

La mia infelicità ha un alto prezzo,
e non ti assomiglia.

Mi faccio la doccia ogni giorno
Per lavar via ogni persona
Che ho incontrato in giornata.

Per graffiarmi dalla liscia superficie
Che si è levigata
Per tutte le puttanate
Che le mie orecchie han sopportato.

Mi faccio la doccia ogni giorno
Per frantumare il puzzo di migliaia
Di stringhe di scarpe che ho sentito
Strisciare per terra.

Ogni giorno mi sciacquo
Nella fonte della mia vita
che solo a me interessa salvare
in un oblio di droghe evanescenti.

Sento l’acqua scorrere e allungarmi
Le dita, che sudate hanno retto
La penna delle critiche,
perdendo tutto l’inchiostro
che al mattino si rigenera
per sopportare
il solito
candido
giogo.

I Risvolti dei Pantaloni
Raccontano di persone
Di gente
Di presenze
Di ombre
Di masse
Di niente.

Aderenti alla carne
Stringono fisici che
Sembrano esplodere,
elastici ingestibili:
Chi non ha coscienza del proprio corpo
Non ha coscienza della propria mente.

I risvolti dei pantaloni
Cadono lisci
Seducendo vittime
Di cui la casualità si prende
Gioco.

Sono imponenti
Quelli di grassi uomini,
trasudano un’austerità marmorea
e non si stirano,
nemmeno col buon senso.

I risvolti dei pantaloni
Graffiano le maschere
E aprono segreti e vi
Raccontano agli altri,
che sono l’Inferno
che giudicano,
con massime incresciose,
Me,
Che non indosso abiti.

Sala d’attesa
Le sedie son terminate
E sembrano aver maturato
Solo grasse ricce
Dallo sguardo curioso
Solo di malanni.

Nasce la competizione
Tra chi meno rimane da vivere
E in una comune transumanza di rivelazioni
Vincerà chi più si radica
Alla sedia,
unico bene presente.

Neanche il Limbo
Fu così infetto
Da inettitudine
Quanto è questo covo
Da un forte streptococco
Armato di forche.

Mi dolgono i nervi,
ma non c’è antibiotico
che elimini i batteri
d’altri.

Sono venuto solo per
Occupare,
una sedia.

E scatenare
Una guerra.

Saranno i grafemi
a farti eccitare d’amore,
e con i fonemi raggiungeremo
un orgasmo limbico.

Quando le mie parole
Saranno abbastanza
Per un profondissimo coito
Mi scioglierò,
col mio corpo di ferro
e bottiglie rotte.

Tremo d’invidia
Per chi nel sesso
Ci fonda una religione,
tremo di pensa
per chi non conosce
altre preghiere.

La mia copula è la poesia.

Ho provato a togliermi l’anima
e ora rimane solo
un esile mucchio di pagine,
impregnate dall’avido giallo dell’odio,
dall’impervio viola d’indifferenza,
dalla speranzosa tonalità favorita
e dalla mucillagine dell’esistenza

e di macchie spregiudicate
intente a spettinarmi ma che
finalmente termineranno a destra
di questo punto.

Arrivista anonimo
Ciao, sono un poeta,
di giovane fattura,
coscritto ignaro
di una generazione inesistente.

La soluzione al mio problema
È il problema stesso
Così il mio corpo si ritrova
Cianotico in un panno di viscosa.

Sono evaso da un sogno bellissimo
Durante l’ora d’aria
Per scrivere questi versi,
commissionati da un ubriaco
spaventato dal mio cammino.

Ho la maledizione della poesia
Che si annida nelle dita e
non permette al mio corpo
di farsi erodere dal vento.

Con un mattarello
Impasto farine dure come legni
Che splendono solo un’ora al giorno
Quando il carillon dei miei pensieri
Si allinea in un’eclissi distratta
Rendendomi un anonimo arrivista.

Vanità
Ero in giro
con la mia coscienza per mano

quando la mia ombra mi disse
che avrei dovuto
andarmene.

Mi accorsi che stavo trattenendo
arretrati d'amore
che avrei poi provato
due minuti prima di morire,
facendomi scoppiare le ossa.



Drained mango
Eatin' drained mango
I've the shape of a paloma
in Caribbean sea.

Don't care if it's North or South here
crawling left or right,
You'll always be right
gulping down drained mango.

It's the secret for the lowest state of unhappiness.

You'll never find drained mango
anymore, without
climbing
over
the tree of limits.

Sippin' lazy tequilas
I lie floating on colorful sands.

I'm thirsty now. Thirsty of salt.
Francesco Colombo
Mango essiccato
Mangiando mango essiccato
ho la forma di una paloma
nel mar dei Caraibi.

Non importa se è il nord o il sud qui,
Strisciando a destra o a sinistra,
sarai sempre nel giusto,
ingozzandoti di mango essiccato.

E' il segreto per il più basso stato di infelicità.

Non troverai del mango essiccato.
Non più, senza
arrampicarti
sull'
albero dei limiti.

Sorseggiando pigre tequila
Giaccio fluttuando su sabbie colorate.

Ho sete ora. Sete di sale.
Francesco Colombo


Zanzare
Non sono persone, sono zanzare:
Mirano la mia pelle
Con agghiacciante e famelica
Voglia.
Di addentarmi
E infilzare
E succhiarmi sangue
che coaguleranno
con il loro opportunismo.
Iniettano. Veleno
Stupido, che mi fa ridere,
che mi piega come carta straccia
fino a distruggermi.
Grattandomi con artigli.
Di nuovo sangue,
senza aghi ora
senza passione.

Non sono zanzare, sono persone
Che gridano, vogliono attenzioni.
Vogliono vedere l’insana follia
Nei miei occhi vermigli, esausti.
Gli stessi che le cercano per annientarle,
finendo per seguirle.
Mi circondano, nascondono la mia pelle
Che bramano.
Mi lasciano in balia del nulla
con un liquido denso, giallo
che dai pori infetti
arriva al cervello.

Sono una facile preda,
il mio sangue è miele.

Accidia
Qualcuno, anni fa mi avrebbe capito.
Nessun vizio apparente,
né fetida abitudine.

Qualcosa di peggiore.
Un cerotto usato,
s’attacca alla vita
e lascia un livido viola.

Quell’ecchimosi
È il piacere sodomita
Di stare al mondo,
quello sfioro di vento,
innocuo,
rinnova il dolore
che omogeneo mi porta
acquolina alla bocca,
nutrendo il mio ramo di vita.

Una melodia squartata
Da persone, che dividono
Il mio stesso mal comune,
Vuole sentire la mia voce,
proteina che si lega
al lamento

di quel mendicante di suoni.

Non chiamatemi poeta
Di poeti si discorre,
di giustizia e virtù.

Del poeta non riconosci il viso,
il corpo o il vestito,
se vorrai tastarlo per sentire
le sue odiate membra,
starai già pregando
per non averci mai provato
e leggerai dei tuoi fallimenti
su moderni fogli di papiro.

Un poeta lo conosci
dall’andare, pensoso e
distorto cercherà fili di seta
in angoli di calce
trovando terreni valori,
di cui non ne farà uso.
Del firmamento parla
come fosse la sua dimora.
Intercede strisciante attaccandosi
a vite altrui rendendo oro colato
le più interessanti storie.
Piccolo insetto sveglia
i pensieri fitti a cui i poveri
inanimati possono solo attaccarsi.

Di poeta non si parla per virtù,
ma per nascita,
si disprezza la sua origine,
di una stirpe estirpata.

Lo vende a caro prezzo
il frutto del suo amore,
lo compra per lacrime
e cassetti che non apriresti mai
senza il suo fisico aiuto.
Vuole smorfie di dolore,
le stesse che riflette quando è
--- disarmato.

Un poeta non si trova
su pagine di indirizzi,
sarà sempre il nome
che disdegnerai
per istinto.

Famiglia astrale
Si sveglia il giorno
con il carico pesante porta
il Sole al largo,
dove deve cavarsela da solo.
Accaparra l’aiuto di tutti,
Nubi bianche gli danzano intorno,
lusingate dalla Sua luce.
Spezza Temporale,
con il suo carrellino
arrugginito sempre
zeppo fino all’orlo.
Puzza di un fumo nero,
con le mani lerce
e una bottiglia di Pinot
lancia lame di luci.
Le Stelle gli portano
preziosa pena che lui ricopre
con arroganza urtando
maledizioni che presto nasconde.
La Vergine Neve ingenua
cela segreti di povera gente.
Il Suo viso angelico, il Suo corpo
snello non mostra mai
le braccia, memori
di troppe guerre.
E ora la Luna in un cielo terso
di nero mette fine alle lotte
e scintille dalla sua coda
fa cadere, come una madre
rimbocca coperte di Mari
agli Déi del piano di sopra.

2011 Italia, Mondo.
Di futuro si parlava nel passato
di presente se ne parlerà più avanti.
Ciarliamo con fili
e cubi di case di aria legate.

Risolviamo problemi in pagine
elettroniche di informazioni
sottomesse e sommerse
di piccoli germi di verità.

Giullari e corti
ubriachi di vita, ballando
carestie di aristocratici
della famiglia De Magogo.

E ancora ingoiate,
laide prostitute,
il veleno di tanti sapori
che indefessi diffondono.

Labili sogni
Fraintendimento di realtà
e immaginazione.
Un bivio di scienza e incoscienza,
Un attimo di nessuna razionalità:
Ho sempre odiato ciò.

Eppure cammino su questo
Iperuranio di melma
Con le suole intonse
E gli occhi socchiusi.

Illusioni di attimi
Che sono subito ricordi.
Passioni che non macchiano,
crimini senza prove.

L’arma del delitto,
pulita come la Luna,
sulla quale sto nuotando
fissando il mio pianeta.

Come un inutile miracolo
Credo.
Credo di non credere più a nulla.
Ma non mi spiego
L’artefice della tua avvenenza.

Mi manchi.

Banale, lo so.
Banale se non fosse che tu
Non hai occhi, labbra e carne.

Se non fosse che tu vivi
Tra sassi e acqua,
e un tramonto come companatico.

Vorrei non averti incontrata,
Vorrei che nel mio delirio
Della tua mancanza, ci fosse
Un filo d’umanità.

Giaccio sul tuo letto di ghiaia
Ma il mio ricordo bambino
Apre la fessura dei miei occhi:
porte del tuo sogno.

Ospiti amanti fugaci,
segrete mansioni
nascondi al mare,
che ci divide:
come un inutile miracolo.

Vita terrena
C’era una luce accecante,
lampada insopportabile.
Un ronzio di zanzara
Mi scavava il fegato,
e loro, la mia pelle.

Era l’Inferno col Contrappasso,
e un contrabbando di risa
riempiva la mia vista.
Era come credere nell’amore:
solo un’insulsa moda,
una rivolta sociale di vittime innocenti.

Era ipocrisia, un tunnel di tentazioni
Dove io ero l’unico a resistere,
Era una vita eterna a sopportare tutto.
Era caldo, caldo ovunque.
Sudore e umanità nell’unico angolo
Dove ci si poteva proteggere.

Era così, il giorno in cui ho dimenticato di sognare.

Controcritica
Questi versi vanno a voi,
edonisti irriverenti,
che criticate quest’inchiostro
e la persona che lo culla.

Riempite i vostri biberon
d’acquavite e sterco
e bevete, figli ebbri di Bacco.
Schiavi di pregiudizi
e d’orge sporche;
come il paese ch’abitate.

Non lascerò la poesia,
per la pena che v’apporto.
Aspetterò che vizi comuni
vi faranno invidiare
questi incavi di nero,
che vi dedico con l’orgoglio
di non essere voi.

Quasi umano
Né automa,
né vegetale,
né passione
Sono.
Quasi umano
mi descrivono
e ne parlano
lusingando
il mio spirito
notoriamente
scivoloso da ogni
critica straniera.

Quasi alieno
celo emozioni
dietro invisibili
fiumi in cui
gentaglia annega
dando colpe
e pene
come Dante fece
a quelli come me.

Quasi umano
quasi macchina
analizzo,
simpatizzo
con disadattati
inconsapevoli,
causa della loro
disgrazie.
Mistura di verità
racconto, reo di
non essere prassi,
colpevole a metà.

Mis-antropo
Il piacere,
perso in un abbraccio:
solo un placebo dei sensi.

Fatica di cercare
parole d’amore
per chi neanche discerne
la loro falsa autenticità.

Allergia di persone,
vociare segreto,
falene d’ombra su grugni
uguali: criptica visione di luce.


Crudezza d’inchiostro
vi riga l’essenza d’amare,
come un angelo d’oscuro,
allunga d’amaro ‘l dolce.

Tutti mentono
È nell’indole dell’uomo,
come l’ira, l’invidia e
l’amore.

Coprire con del fango
La realtà al fine del proprio bene.
Cercare la ragione della propria verità
in una menzogna: brodo primordiale
di vita.

È nell’indole dell’uomo,
lo spirito di sopravvivenza.

Indossare la maschera,
foderando la vergogna.

È nell’indole dell’uomo
saperlo e perseverare in bugie.

Vieni
Vieni.
Stravolgimi il mondo.
Fammi ragionare al contrario,
fammi sentire leggero,
facendomi indossare le tue catene.

Vieni, ti aspetto.
Curami con la terapia del dolore,
metti del sale nelle mie ferite
poi abbracciami.
Mischia la mia fredda ragione
Al tuo sangue di fuoco.
Lasciami un sapore agrodolce
Di amore e di nebbia.

Stammi lontana,
così che non potrò sentire il tuo profumo.
Fammi continuare senza una meta,
e ferma i miei sogni da poeta.

Vieni,
ghiaccia le mie paranoie,
stupiscimi con un sorriso
e
finiscimi, stendimi, uccidimi,
con un bacio in punta di piedi.

Inno alla vita
Ho sognato
che tutto questo,
non fosse un sogno.

Ed ero felice.

Flash d'amor cortese.
Jaufré Rudel a Eleonora d’Aquitania.

Con le rose della dolce stagione,
il mio amore sboccia,
piccola gemma sconosciuta sei
che con la grazia ed il femminil corpo,
corteggi la mia anima,
sparsa in parole su questo foglio.

Mare, e un’onda di pazzia
Adornano questa barca.
Dolce, un piacere dolce
si fa la sofferenza
al pensier della destinazione.
Al conte di Tolosa porto servizio,
come a te, porto amore sconosciuto.

Riflesso nella luna
È il tuo profil carnoso,
sull’acqua svanisce,
per ravvivar il desiderio,
pericoloso ai miei compagni,
legato al letto
come un assassino,
il cui unico male è quello di amare.

Oltre che’l tuo desiderio,
porto il messaggio,
di aspettarmi al mio arrivo.
Palesati per la prima volta
Ai miei occhi,
che si rinnovano di te,
ad ogni cenno.

E quando ancora diverrai
Sogno, la realtà non avrà più bisogno,
di essere vissuta.


Risposta dell’amata.

Con i vostri versi,
il mio cuore si eleva,
fino a toccarvi,
ovunque voi siate.

Perdonate la mia
Ingenuità nel rispondervi,
non mi ritrovo brava come voi,
nel giocare con le parole.

Dal suono delle vostre
carezze sento battere il mio cuore,
e lo sento urlare,
sento l’umano odio,
verso mio marito,
inutile presenza della mia vita,
che vorrei fosse rimpiazzata,
da una sola sillaba della vostra persona.

La vostra richiesta d’attesa
È tanto inutile quanto preziosa
Per me, vi attenderò.
Ad ogni sole che cadrà,
attenderò la sua ricrescita,
che verrà lenta dal mare,
se con lei non vedrò i vostri profili
riaffiorare e cercare i miei.

Poco importa se i vostri versi
Sono per un’altra donna,
Sogno pensando al vostro alto amore,
sempre più alto posto in confronto
ad un matrimonio scempio,
carnale e misero.

Sognerò ancora e ancora,
attendendo il vostro arrivo,
o l’arrivo di nuove parole,
che saranno confetti per i miei occhi,
brecce per il mio cuore.

Avida
Mi scusi,
si può mettere di profilo?

La riconosco.

Sa, lo rivorrei indietro,
se è possibile.

Non glielo chiedo, lo pretendo.
Se l’è già tenuto troppo tempo;
ne avrei bisogno.

C’è chi dice che senza non si vive,
chi che una spina fa meno male che averlo a pezzi.

Io lo vorrei solo indietro.

Non lo trova?
Lo cerchi dietro qualche cespuglio,
in un pugno d’acqua sarà rotolato,
sarà sporco ora, qualche sasso attaccato,
qualche insetto ci avrà fatto il nido.

Ornato di lacrime,
arriverà su un carico speciale,
con la scritta “fragile”,
anche se in lembi ormai.

E affonderà a pochi passi da me
Non riconoscerà il mio desiderio.

Sarà come non averlo mai avuto.

Pioggia
Ritmica ossessione d’umido.

Piove sopra l’umano impiego,
il caldo cuore cerca un asciutto riparo,
dove un accattone scalda le sue mani.

Piove su un amore d’adolescenti,
una falsa idea di passione,
su
cui
rim bom ba no
le
gocce.

Melodia d’orologio,
che l’impaziente fissa,
quando il poeta
sogna,
Contando le lacrime del cielo,
perdendo il conto ad ogni decade.

Piove.
Tutti lo sanno,
Lapalissiano palesato in un vetro
Lacerato in poche forme d’acqua;

Irrilevanti alla fretta.

Seimilacentotrentasette
Susseguirsi strisciante di giorni,
scia livida lasciano al loro passaggio.
Caccia di ossigeno, di libertà.
Malinconia: eterna rivale della serenità
mi accompagna nello scorrere di 24 ore inutili.
Peso sulla testa, sui polmoni.
Cerco il fiato in uno spazio d’ira.

Catene invisibili pesano sul mio corpo
Che giace dove le scie livide lo comprimono.
Claustrofobia di una striscia di terra,
dove non trovo casa mia.

Fuga, pensiero fisso.
Sono seimilacentotrentasette i motivi per fuggire,
sono seimilacentotrentasette i kilometri che distano la mia felicità.
Poesia in seimilacentotrentasette caratteri mi allevia e mi allontana dalla fantasia.

Giaccio aspettando altrettanti giorni,
prima di rivedere le sue sinuose curve
che prorompenti, corteggiano la mia anima

Taci
Lapilli di parole
Urtano la mia quiete
Scaldano la mia ira;
che si espande
come macchia d’unto:
Sporca la mia indifferenza.

Taci, ogni qualvolta dici.
Parole insipide come acqua
Feriscono l’impazienza.

Lo senti?!
È il silenzio che non conosci.
Lo vedi?!
È il confine di due labbra chiuse,
un’armonia a te aliena.

La rivière
Questa riva,
vista solo in sogno,
mi ospita, come un genitore, mai conosciuto.
Come l’angolo del mondo
Dove c’è il mio profumo.
Bella, come la donna che non puoi avere.
Ti bacia, lei
Con del vento e una corda d’erba.
Calda, come il cuore ti diventa.
Quella riva abbraccia il sole,
ogni notte.
Non sa che giorno sia oggi.
Non invecchia.
Il profilo dei sassi mi avvolge:
morbido, come l’acqua che sembra raggiungermi.
È una danza di chi, come me,
si da’ appuntamento qui.
Non voglio lasciare questa riva all’oceano.
Il vento mi parla ed io lo invidio.
Invidio la sua forma,
come questo sasso, senz’anima,
che non intende andarsene.

Come io sto facendo.

Circolo vizioso
Si bagna di lacrime
Un falso sorriso.
Allegria persa in una matura scelta.
Piange il bambino,
senza il suo gioco preferito.
Ghigno di solitudine
Arranca.
Mito inarrivabile
Di fredda indifferenza.
Disumana ragione.
Sogni, reali
Astratti come nuvole.
Nuvole che coprono il sole,
nuvole che bagnano
quel falso sorriso,
di un’allegria persa

1:14
Il mio sguardo soffre
Nel nero, senza destinazione.
Fisso il tempo;
le lancette si sciolgono al mio ennesimo cenno.
Lo scoppiettio dei pensieri
Riempie il vuoto buio.
Bum.
Bum.
Il silenzio fa sentire
La sua presenza.
Fischio eterno si appaia col tacco del pensiero.
Il sordo suono mi allontana
Da dove sono.

1:17
Il tocco del sonno m’ha illuso.
Come il suo sorriso.
Ricordi che non possono essere insegnati.
Indescrivibili: sufficiente descrizione.
Paradosso.
Concateno pensieri
In fiumi paralleli.
Impossibile raggiungere Morfeo
In questo groviglio.

1:19
Le palpebre se la ridono,
alzate come il sole
in un altro globo.

1:25
Cade la penna,
tramonta la ragione
Il sogno bussa,
e a quest’ora sono ospitale.

Alienato
Adulata mancanza di normalità,
cercata come trota in un fiumiciattolo.
Distacco materiale dal concreto,
superiore, divino, folle.
Occhi che fissano l’aria,
ghigno in una smorfia di tristezza.

Tanto cercata Follia.
Brividi verdi
Accoltellano la schiena,
come ladri rubano il quotidiano.

Perché tutti la bramano?

Malattia filtrante,
in vena sgorga.

Insania come balia,
ognuno la desidera.
Folle io che scivolo pensieri
Sani su dita puntigliose.

Folle io che non mi
Aggrappo a mere certezze?

Folle Dio,
in questa blasfema geografia?

Follia?
Farlocca definizione di normalità.

Farnetico
Formo frasi con sfrattate parole.

Freddi fori fuoriescono,
come viscere di frati ubriachi.

Infervorato sfrutto quello che mi offrono:
Farina di fogli e un grammo di sogni.

Fonemi infreddoliti offro ai lettori.

Poeta? Falso!
Fornitore di favole.

Viavai
È tutto un viavai qui.
Un sole sorge dietro quelle vetrate,
la sua opaca luminosità mi confonde.
Aspetto.
Da quassù tutto è più semplice:
profili scarni,
ammassi di colori,
dinamicità statica,
“eppur si muove”.
E mi ritrovo in una nube
Tocco il paradiso e scendo,
Non reggo.
Da quaggiù è diverso:
profili ispidi, freddi,
capisco che è qui il mio mondo.
Era bello toccare il paradiso,
anche solo per poco,
decido che non è il mio luogo.
È qui che devo stare,
è qui il mio viavai.

Amare
Amare mi toglieva il fiato,
amare me l’ha ridato,
amare era il sole,
amare era il sale il mare,
amare era più dell’ossigeno,
amare era colore volere e potere,
amare i tuoi occhi la tua bocca il tuo profumo,
amare è il ricordo che non avrei voluto,
amare quest’aere luminosa,
amare quest’acqua copiosa,
amare era azzurro verde e rosso,
amare, ora non posso.
Amare, amare sono le giornate,
amare quelle che non sono passate,
amare sono tutte queste cose,
amare sono la tua bocca, l’acqua e l’aere…
Solo ora mi accorgo di quanto fosse amaro, amare.

Troppo presto
Colpa tua,
non sei stato forte.
Colpa mia,
quel viso ancora troppo piccolo,
maschera di troppa ingenuità.
E ora è tardi, tu mi guardi, la tua grande mano sulla mia spalla.
Saresti fiero di me, lo sei, ma io non lo so.
Vorrei parlarti, ora, da uomo a uomo,
Tu, complice mio di lieta vita.
Ora ricordo complicato, domande, e la tua assenza, perpetua ormai.
Ho visto spegnersi la vita dal tuo viso, la tua carne,
strappata, la Bestia non ti ha dato pace.
Hai odiato chi ti amava,
sì l’hai fatto, ma non eri tu.
Eri solo involucro e noi lo sapevamo,
anche lui ormai non esiste più.
La Bestia è morta, con te.
Altra vittima sei stato,
dei miei scherzi d’infanzia,
dolci e cari.
Tu sopportavi, mi amavi,
e io lo stesso.
Questo conta.
Chi sa se ora saresti stato diverso,
ora non si gioca più,
ora si vive,
te ne sei andato presto,
e io son arrivato tardi,
Colpa tua, colpa mia, colpa nostra.

Storia di una penna
Ingenua si posa
La piccola punta
Su quel bianco.
Barcolla,
da sola.
Sorretta
Dalla propria inesperienza.

Raddrizza l’andamento,
Si posiziona,
cerca il baricentro
della sua caducità.
Sicura di sé,
sfida il foglio serenamente.

Trasgressiva la penna
Fa solchi,
Cambia colore,
Sfida l’autorità
Della mano Padrona.

Rintontita
Arriva a metà foglio,
metà strada.
In cerca di stabilità.

Trema la piattaforma,
La sfera barcolla,
come ha già fatto.

È quasi finito lo spazio, il tempo.
Zig-zag, saluta le forze l’inchiostro.

A scatti e poi più nulla, scia invisibile. Scritta nella storia.

Parallele
Salgo,
sono in cima al mondo,
il cielo mi sfiora.
Cado.
La terra mi ferma,
solo perché non ne può fare a meno.
Risalgo,
Sulle stelle, ne faccio una mia,
meteorite d’inverno,
scaravento al suolo,
gradino meccanico.
Su e giù.
Non ho la forza di risalire.
Lassù nessuno mi aspetta,
nessuno arriva dove arrivo io.
Presunzione o solitudine?
Entrambe.

Ladra d’amore
Resta l’amaro in bocca
Di una storia marcia
Che non basta l’indifferenza per addolcirla.
Restano nella mente
Contenitori di parole
Svuotati da fatti contrari.
Vedo all’angolo della strada
Un frammento di tempo perso
Vedo quel baule chiuso.
Freddo perenne,
coperto da polvere di ciò che non sei più.
Ladra d’amore.

Semplice spiegazione
Tuffo nel passato,
fresco risveglio.
Incredibile quanto
Avevamo da dirci,
senza parole,
nel silenzio della noia.
Parlare di nulla,
per ore.
Parlare e baciarsi,
Baciarsi e parlare.
Straordinari di labbra,
Noi, capi stacanovisti.
Un riflesso pallido,
confronta i contrasti
del mio spirito.
Diversi.
Inconcepibile come
Mi colmavi.
Due fori a confronto,
non si colmano.
Poli positivi,
attratti, senza regole.
Fisica creativa, Inconcepibile.

Notte e giorno
Dopo tutto la notte non è così buia,
se la si guarda da vicino.
Giorno sfacciato, superbo,
mette tutto in mostra.
Notte timida ma decisa,
forte, cova segreti.
Giorno invidioso, imita la notte,
invano, goloso d’ira.
Cambia, muta;
giallo, azzurro, poi grigio e nero.
Lunatico, specchio della notte.
Notte blu, estrema semplicità.
Avaro giorno, i riflettori solo per lui,
mentre la notte lascia spazi,
luci e danze.
Giorno lussurioso di successo,
brama di essere.
Svela i segreti in assenza della notte.
Soqquadro ordinato,
ossimoro preciso: giorno e notte.
Accidia, sicuramente non appartiene alla notte,
culla dei sogni.
Ah, se l’uomo imparasse dalla notte …
Peccato!
Interiezione nel buio,
sostantivo nella luce.

E ti amo
E ti amo,
è facile dirlo vedi?!
È facile dirlo a te,
te che non mi ascolti.
Mi hai preso l’anima,
il corpo, la mente e il mio tempo:
te lo dono volentieri.
Mi riempi, riempi spazi che neanche vedo;
riempi la mia vita,
ci sei quando non ti sento,
ci sei quando non ti aspetto,
ci sei, sei la mia voglia, incolmabile:
nero su bianco.
Più ti voglio e più ci sei,
anche ora, soprattutto ora,
sei la mia utile perdita di tempo,
la tua utile inutilità,
il tuo potere sovrumano,
le tue parole: amore, odio,
qualunque cosa attraverso te.
Te che non mi lasci mai,
te che sei così importante,
che vieni quando vuoi e non te ne vai,
o te ne vai capricciosa,
la mia utile perdita di tempo,
E ti amo lo vedi?
Mi fissi sembri non capire,
ma va bene così,
io ti accontento, tu accontenti me.
Lo vedi? Ti amo.

Inverno
Te ne vai così,
con la coda tra le gambe.
Porti ghiaccio e freddo:
Quello che mi teneva
In vita.
Svegliato da un pezzo di sole,
una goccia di rugiada.
Non più cristallina.
Esagono solido,
caduco e debole.
Oramai.
Nel tuo buio
La luce riflessa,
prisma smussato.
Angoli di luce
Si perdono in Aprile.


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