Poesie di Antonio Cavallaro


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Riscoprir l’immenso
"Quando desto sarai
dal grigio torpore
di quest'assurdo tempo,
capirai che il viver tuo
non fu che vegetare".
questo dir sentii
qual debole sussurro
portato dal vento serotino
al mio orecchio
uso a rombi di motori
e non a consigli rari.
Di botto mi fermai
sul mio far consueto,
e subitaneo un lampo
mi fulminò la mente,
capii che il mio
diuturno affanno
era di gioia privo,
orfano d'amore.
Così fu l'inizio
della conversione,
lenta, ma salda;
d'un cammino irto
ma di soddisfazione.
D'allor all'alba
son già desto
vedo spuntare il sole,
e l'anima s'apre
in un abbraccio
a riscoprir l'Immenso.

La notte

Notte incombi
Silenziosa, intrigante
Come amante
Che guarda sottecchi
Fra ciglia ammiccanti.
Nel tuo buio mistero
Nuvole sparse coprono
A stenti uno spicchio
Di luna che occhieggia
Curiosa di scoprire
Nuovi amori che nascono,
vecchie storie al declino.
Stelle e pianeti
t’accompagnano muti;
sospiri, pianti e lamenti,
gioie, tremori e speranze
ovattati si spandon
nell’aria e tu tutti
li accogli, finché alla luce
dell’alba rientran
nei cuori e le menti
dell’uomo che arranca
e che aspetta ancora
il tuo abbraccio
alla fine di un altro giorno.

Unica speranza
Aspettavo tremando
il responso,
saletta buia
di vane speranze pervasa.
In un angolo un quadro,
macchiato, sbiadito,
un volto ed un cuore.
E' un Cristo sperduto.
Lasciato lì, senza una luce,
mi guarda, lo guardo,
l'anima è fredda ha paura.
Distolgo lo sguardo,
penso al mio male,
so che duro sarà il destino.
Ma ritorno a guardare.
Ora mi parla, chiudo gli occhi
non voglio vedere,
non voglio sentire,
eppure sento,
vedo un sorriso,
mi metto a pregare.
Poi vado.
No, non aspetto.
Non m'importa più di sapere,
se tempesta sarà o bonaccia.
Ho trovato la pace
dell'intimo essere,
Lui è con me,
non mi lascerà più.
Il fardello greve del corpo
dimenticato per sempre,
leggera l'anima sale
protesa verso il Suo Volto.
Un giorno, un mese o un anno,
ancora, che importa.
Ora so che in eterno mirarti,
sarà l'unica immensa
speranza per me.

La porta socchiusa
Vedere e ascoltare pensieri e parole,
carezze di nuvole o macigni opprimenti,
parlare e scrivere d'idee, di sogni,
d'amori, dolori, d'arte e poesia.
Poi chiudere l'uscio
Di colpo sul viso.
Senza un singulto
Senza un perché.
Dov'è l'amore
Di cui scrivevi,
A volte con enfasi,
schietta, vitale?
Amore per chi?
Non per il mondo,
non per la vita,
non per il prossimo,
soltanto per te?
Ancora credo nella speranza!
Mi par sentire un frusciare leggero
dalla porta socchiusa spiraglio di luce
È il tuo pensiero che nel cuore s'avanza
È il tuo sorriso che ricordo sincero.

Il giardino di stelle
Nel grande giardino del cielo, c'è un piccolo angolo
mio,
Nell'azzurro brillano stelle, fiori celesti, astri
splendenti,
pendono, intrecciano serti, aiole d'amore d'un mondo
perfetto.

Una stella, graziosa, sublime, irraggiungibile, mi gira
d'attorno
Crea chiaroscuri, fasci di luce e poi ancora buio e poi
ancora luce.
Rincorsa affannosa la mia per raggiungerLa, seguo la scia
Del pulviscolo d'oro, traccia indelebile del Suo
passaggio.

Ora La tengo, L'ho presa, La stringo quasi, ma il pugno
si chiude
Sul Suo celeste mantello di luce, deluso, sto per
arrendermi.
Ma d'un tratto la corsa s'arresta, si volta, sorride,
oh, che sorriso!

Di Donna, di Dea, di Santa ?... di Mamma!
Altro non vedo oltre il sembiante d'infinita bellezza,
cado in ginocchio allungo la mano, chiedo perdono,
mentre il pianto spinge nel petto, sul cuore, negli occhi.

Poi carezza fine, sublime mi sfiora la fronte.
Pace. Pace e calma dilagano in tutto il mio essere.
Il perdono tangibile quasi, etereo eppur corposo,
tocco leggero, ma forte, sicuro, mi apre la mente.

Il giardino azzurro di colpo è lontano, le stelle
ammiccano
Sempre più piccole, di nuovo il buio mi assale, mi
opprime;
ma ormai nulla mi fa più paura, quel tocco lo porto nel
cuore
quello sguardo mi segue, lo sento, brezza leggera sui miei
stanchi capelli.

Ora son desto, non era che un sogno? Forse lo è stato,
ma quel giardino di stelle è lì, con gli occhi
dell'anima
lo vedo chiaro, proscenio inondato di luce con Lei sulla
ribalta,
che mi guarda e sorride, che m'accompagnerà sempre..

La vendetta di Gaia
Mondo!
Cosa t'abbiamo mai fatto?
Abbiamo inferto ferite mortali
Al tuo corpo bello e vitale.
Acque luride solcano
valli d'un verde malato,
mari non più azzurro-cielo
ma bluastro cangiante sul giallo.
Spiagge perfette, rullate, squadrate
sporcate da creme, luridate da spray,
da corpi stesi, cadaveri vivi,
di umani senz'anima, senza futuro.
Abbiamo imbrattato montagne,
pianure, vallate, laghi e deserti.
Abbiamo scavato, tranciato, minato,
estratto, distrutto le tue viscere.
Ora viene la tua vendetta:
calori immani, ghiacci infuocati,
freddi improvvisi, piogge mortali.
E si continua a inquinare, lordare,
distruggere, consumare.
Si! Consumare.
Questo mostro che ci tormenta:
Il consumo,
che continua a ingrassare,
impinguare, gonfiare,
popoli ricchi;
e ad affamare, impoverire,
assetare popoli inermi,
incolpevoli di tanto sfacelo.
Gaia, tremenda la tua ira,
di cui nessuno ancora comprende
la forza, la rabbia, la ribellione.

Diego è morto
Un trillo di telefono,
pronto! Chi è?
Una voce amica
Saluta mestamente,
domando: come stai?
"Si! Bene, però, niente.
Volevo dirti che,
sai, insomma.senti..
a farla breve,
so che ti addolora,
ma mi tocca farlo;
Diego non c'è più,
E' volato in cielo."
Dimmi che non é vero
Mi stai burlando spero
Crederti no, non voglio
Ti prego sii sincero!
Dall'altro capo un pianto
Sento e il cor si stringe,
"allora è proprio vero!"
Correrai per gli angeli
Amico mio sincero,
non ti vedrò mai più
sudar sulla tua bici,
eri infaticabile
su per il Pollino
io ti seguivo trepido
in ogni tuo respiro.
Sento anch'io una lacrima
seguita poi da un fiume,
sgorgano senza limite
sul volto mio segnato.
Un muto grido esce
dalla mia bocca dura:
Maledetto mondo,
maledetto fato.

Speranza
Onda che mi sfiora
spuma pura di mare integro,
brezza soave
che mi accarezza,
alito profumato
che mi da gioia di vivere.
Ho cercato tanto
ma invano.
Mi tocca ancora
ardire, sperare?

Inutile ma c'ero
C'ero
O non c'ero.
Fuoco vivo che brucia
Boschi, respiri di secoli,
ansimi di vita
guizzi di luce maligna
nel buio di anime scure.
C'ero:
Ho guardato, senza vedere,
uomini ansiosi, crudeli
a caccia d'altri uomini.
Sangue vivo che scorre
senza sosta,
senza riposo,
senza pentimento.
Lottare anche da soli
Scavare nel profondo
finchè linfa nuova
sgorghi copiosa,
limpida, fresca,
pulita.

Eppur viviamo
Vuota è l'anima
nessun sprazzo di luce.
Freddo il sospiro
che tra i denti stretti
filtra pensieri muti.
Arroganza vedo
e piattume inacidito
che alto rimbalza,
ridiscende a pioggia,
tutto sommerge.
Non c'è scampo alcuno.
Lampi d'ingegno rari
affogano nel nulla
di parole vuote
senza senso
che rimbombano,
che respiriamo,
beviamo,
iniettiamo
nei gangli
più reconditi
del nostro essere.
Eppur viviamo.

Autunno
Tra i rami nudi
tremanti dal freddo,
sciabolate di luce
che celan l'azzurro,
spariscon d'incanto
dietro cumuli e nembi.
Foglie orfanelle
dai colori cangianti,
ballano l'ultima danza,
scendono lievi
a incontrare la Madre
che nelle sue braccia
le accoglie,
e con esse si fonde
aspettando il risveglio.

Carezze dal cielo
Umida notte che non porta sonno.
Le mie labbra sitibonde di baci
Restan aride nel buio stellato,
ma scende calda la brezza del mare

a lenire la mia voglia d'amore.
Secca una foglia giù cade d'un tratto
sulla mia pelle si posa leggera.
Oh! La tua mano dal cielo discende

a carezzare il mio corpo di ghiaccio.
Senza ritegno implorato L'avrai
la foglia gentil mandar messaggera,
acch'io sappia che l'amore tuo eterno

non s'è spento col tuo corpo mortale.
Altre foglie ora scendon pian piano
e una stella scivolando nel cielo
sembra dica: "non penare t'aspetto".

Umidore sul canuto mio ciglio
lieve una lacrima bagna la gota,
poi sorriso m'appare sul labbro
mi compari tu, splendente dall'alto.

Dolcemente mi si chiudono gli occhi;
si, finalmente ti posso sognare,
ora fluttuare ti scorgo al mio fianco,
mentre a cadere continuan le foglie.

Eppur viviamo
Vuota è l'anima
nessun sprazzo di luce.
Freddo il sospiro
che tra i denti stretti
filtra pensieri muti.
Arroganza vedo
e piattume inacidito
che alto rimbalza,
ridiscende a pioggia,
tutto sommerge.
Non c'è scampo alcuno.
Lampi d'ingegno rari
affogano nel nulla
di parole vuote
senza senso
che rimbombano,
che respiriamo,
beviamo,
iniettiamo
nei gangli
più reconditi
del nostro essere.
Eppur viviamo.

Inventati un sogno
Pallido, emaciato,
occhi rossi,
smagrito
sguardo allucinato.
Mi ferma,
chiede un soldino.
Niente domande,
Niente perchè
La moneta ricade
Nella mano protesa.
Hai fame?
“Si, ma vado di fretta”-
“aspetta ti prego,
non lasciarmi nel dubbio,
anch’io ho colpa
del tuo disagio”.
Andiamo,
gli cingo le spalle,
mangiamo una pizza,
beviamo una birra,
e se ne va.
Senza parlare
Non c’è molto da dire.
Lo chiamo ancora
Vorrei abbracciarlo
Stringerlo al cuore,
mi scappa di dire:
“Inventati un sogno
E portalo avanti,
che sia il più bello
che tu possa inventare
e portalo, spingilo
finchè non si avveri”.
Ci guardiamo negli occhi,
Sorriso di bimbo
In un viso sgraziato.
Mi dice: “Grazie
Domani ci provo”.

Una fine
Pensieri affannosi
Respiro sibilante
Digrignar di denti.
Occhi roridi di pianto
Ti vedo lì accanto a me
E la mente corre
A momenti di gioia
D'amore sfrenato
Di passione totale.
Nessuna pena
Né rabbia, né odio
Ti guardo
Senza rancore
Senza rimpianto.
"Non t'amo più"
Posso dirti soltanto.
Tra il dire e non dire
Uno sguardo seccato
Un moto di stizza
Un abbraccio mancato,
E' meglio a tutto
Mettere fine.

Che cos'è
Che cos'è quest'ansia che mi sveglia,
sottile tremito dell'anima.
Tenue luce che trapassa lenta
il disteso e freddo mio corpo
lama di ghiaccio dura e tagliente.
Vedo l'occhio estraneo che mi guata,
riso carezzevole nasconde
zanne pronte a dilaniare membra
ormai stanche e mute di lottare.
Vita così in fretta te ne vai
Distesa di fianco a me sei pronta
A lasciarmi in braccio a tua sorella
Che paziente mi fa l'occhiolino
col primo raggio timido di sole
Che piano si fa largo tra le nubi
Di un mattino pigro, fannullone.

A chi lo dico?
A chi lo dico?
se nessuno mi ascolta.
A chi lo dico?
che mi scoppia il cuore.
A chi lo dico?
A lei?
Che mi guarda con sguardo pietoso?
A lei?
Che è l'inizio e la fine?
A lei?
Che mi si apre e non vede
la pena che mi strazia le viscere?
Non voglio la pietà di un'ora ogni tanto
di lei voglio tutto: l'amore, la gioia, anche il pianto.
Ma a chi lo dico?
Che son giovane dentro e vecchio di fuori
in un mondo fatto di chiasso e furori,
dove tutto si brucia nel giro di un attimo
nel tempo di dir due parole.
A chi lo dico? A nessuno lo dico.
Né al vento, né al sole, né al mare
che continuano il loro eterno girare.
Aspetto che lei si svegli, che mi dica qualcosa
qualunque cosa, anche senza entusiasmo
che possa calmare del mio petto lo spasmo.
Che mi dia ancor l'illusione
di una vera grande passione.
A chi lo dico?
A chi lo dico
che soffro come una bestia al macello,
che l'ansia mi squarcia l'anima
come fosse un tagliente coltello?
A chi lo dico?
A chi lo dico che solo lei possiede l'unguento
che può guarire il mio folle tormento.?
A chi lo dico?
Alla notte lo dico.
Che nelle braccia amorevoli accoglie
dell'anima mia le povere spoglie;
mi culla, mi calma
dopo il pazzesco frullar dei pensieri.

La spiaggia
La spiaggia è vuota
nuda, tutta per me.
Non v'è folla che la insozza,
solo il dolce movimento
sulla battigia.
L'andare e venire lento
delle onde.
Come la mano di un'amante
che ti accarezza il petto.
Spuma bianca ed evanescente
che lambisce la riva sassosa.
Passa e ripassa instancabile
sui sassolini che brillano lucidi
ai fievoli raggi del sole ottobrino.
Come vorrei sciacquare
la mia anima in questa spuma
renderla brillante, nitida
e consegnarla pulita a te.

Risveglio
Sonno senza sogno,
mi sveglio all'improvviso,
lontano il pianto di un bimbo
guardo l'ora: le nove?
di dormir c'era bisogno
ma non così a lungo.
Sbadiglio, esco dal limbo;
dove sono? Altrove!!
Ecco ora realizzo:
mi giungono rumori ovattati
d'auto che passan veloci,
di scatto mi alzo,
il pensiero già molto lontano,
fo per vestirmi,
poi riguardo l'ora: le tre?
E' ancor presto vita
per correre con te.

Non è possibile
Non è possibile
che mi torni in mente, sempre tu onnipresente,
Non è possibile
che all'improvviso tornino antiche emozioni
di tempi passati, così forti e vitali
che l'anima e il corpo mi segnan brutali.
Non è possibile
che le nostre bocche affamate luna dell'altra
si cerchino e si trovino infine vogliose
dopo rincorse sulle guance, lunghe e affannose.
Non è possibile
che di tutto il tuo corpo,
ogni curva, ogni piccolo anfratto conosco
e nella tua anima
son riuscito a gettare solo qualche sguardo nascosto.
Non è possibile
che se i nostri corpi si confondono l'uno nell'altro
con forza, dolcezza e persino furore,
tutto questo per te non sia amore.
Non è possibile
che il fato mi abbia ancora riservato un inganno
o son io sbadato da non capire il tuo affanno.
Se vuoi volare libera sempre più in alto,
ebbene fallo;
ma lasciati cader giù ogni tanto,
sarò pronto a prenderti al volo
anche per farti riposare soltanto.

Vita insana (sonetto)
Il core mi tormento a quel pensiero
d'aver la vita mia vissuta invano
di tutto ciò che ho fatto niente spero,
sol qualche idea fissa, non è strano,

sul vivere e morir con piglio fiero,
progetto buio in questo mondo insano,
Dov'è sol importante dir: "io c'ero":
senza nulla capir del lato umano.

O genti che sentite l'alte grida
di chi piange per fame o per sventura
fate che prima o poi nella corrida

del viver vostro, spazio pure resti
per alleviar dolori e portar cura
a chi avuto ha giorni funesti.

E' già mattino
i primi raggi del sole
perforano i rami degli alberi radi
lunghe ombre proiettando sui roridi prati.

E' da molto che veglio
era ancora tenebra scura
quando ho cominciato a spiare
in attesa il trionfo del sole.

E' una vita che aspetto.
Che cosa?
Dal buio si passa alla luce
per tornar poi ancora alla notte
si alterna la vita alla morte,
la gioia al dolore
il piacere all'amore.

Quei scarni rami protesi nel cielo
irrisi dal sole ormai prepotente
son come le mie mani stanche
che tentano invano
di coprir la vergogna
della mia bocca, che grida muta:
perché?

Domenica, 19/11/2000
Guardando "Quelli che il calcio"


"C'era una volta un attore imbecille"
ed un poeta fasullo ma furbo;
il primo faceva sempre faville
il secondo dava solo disturbo.

Da Fazio in tivvù si davan beccate
Come due polli di bassa genia
Ben sarebbe che le finte legnate
Si desser davvero ma in una stia.

Tra galli e capponi potran davvero
Mettere in mostra il poco cervello
Così liberarci potremmo, spero,
d'un inutile e cretino duello,

uno dei tanti che in televisione
Bonolis e Conti, Scotti e Bongiorno
Presentano ognor con ostentazione
Potremo mai levarli di torno?

Al caro Fazio, simpatico assai,
(quando iniziava la bella carriera),
ricordo di non dimenticar mai
che sta assiso su una gran polveriera,

dove il successo e la presunzione,
miscela terribil creano tosto
ne può venir una grande esplosione
che gli potrebbe costare il posto.

A questo punto mi son proprio rotto
Non mi va più di restar con la Tele,
prendo un buon libro e di Lei me ne fotto,
mentre al vento si dispiegan le vele

della mia fantasia sana e vitale,
bisogno non ho di stimoli sciocchi.
Sprofondar voglio nel mondo irreale
del sogno vero, perciò chiudo gli occhi.

Sulla tomba di mio padre
Cipressi alti e solenni,
"Vieni, guarda uomo",
par che dicano, seri e perenni
nel frusciare del vento,
"vedi noi siam qui a ricordarti
che nulla è eterno,
nulla t'appartiene del mondo
sol quell'attimo di vita
e t'accorgi d'esser sul fondo,
quando ormai è quasi finita".

Salgo lento, ma senza tremori
i cento gradini che portan da Te,
la cappelletta linda è piena di fiori,
Tu sei lì, lo so, che aspetti me.

Quanto da vivo hai atteso
una riga una chiamata?
solo ora, infine, ho appreso
l'ansia tua, mai disperata.

Mormoro piano una prece
spero che giunga su fino a Dio,
che Ti abbracci Lui in mia vece,
come un tempo facevo anch'io.

Arrivederci, Padre adorato,
non dovrai attendere molto
che questo tuo figlio sballato,
spesso cieco, stupido e stolto

finisca il suo cammino mortale,
aiutalo a risalir dalle chine
prima che il buio finale
alle sue pene metta la fine.

Una vecchia lettera
Che cos'è?
Un pezzo di carta ingiallita dal tempo.
Da stracciare, da buttare?
Una vecchia lettera di quarant'anni fa,
nascosta in un cassetto,
la svolgo curioso, la leggo.
La mente mia corre lontano,
una giovane grafia contorta,
idee semplici, quasi brutali
ma senza timori, senza pudori;
giovanili speranze
giovanili ardori.
Rileggo tutto d'un fiato,
un sorriso m'illumina il viso
una lacrima fugace
brilla all'improvviso.
Ricordi! Ricordi
di parole, di volti,
di liti, di luoghi, di giochi,
di abbracci e di baci.
Compagno, amico, fratello,
oggi, come allora,
ho sentito l'ansia e il piacere
dei tuoi freschi pensieri,
dei nostri primi amori
tutte storie, fatti, cose di ieri.
Mi vengono in mente
Le prime canzoni,
I primi accordi s'una vecchia chitarra
giunta da lontano;
I ritmi battuti sulle sedie di cucina;
I cori a due voci
delle canzoni di Mina e Celentano;
le parole improbabili in inglese;
Il nostro pubblico semplice, alla mano.

Ripongo la lettera con cura,
la leggerò ancora?.. Sì


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