12 ottobre 2017
Il nostro strepitoso Santi Cardella, nel concorso internazionale "La
Finestra Eterea" 2017, non pago del brillante secondo posto ottenuto nella
sezione dedicata alle sillogi, ha anche ottenuto, nella sezione "prose
brevi", diploma di merito e medaglia, col seguente racconto che propongo
alla vostra lettura,
A Santi un supplemento di applausi, assieme a sentiti, meritati
complimenti.
Piero Colonna Romano
Come una malattia
Una delle nostre mitiche e distensive passeggiate ci portò, una mattina
dei primi di giugno, dalle parti di Mongerbino, all'estremità orientale
del golfo di Palermo, amanti sempre assetati di vedere il mare e il volo
dei gabbiani. Già dall'alto il nostro implacabile fratello si esibiva in
una calma distesa azzurra senza apparente movimento: nessun mormorio,
nessun lamento selvaggio. La scogliera, che nascondeva una minuscola
spiaggetta, era molto ripida e per sua natura inaccessibile se non
attraverso una lunga gradinata scavata nella roccia e costituita da
numerose giravolte che avevano il pregio di mostrarci inquadrature sempre
nuove e suggestive di quell'indescrivibile paesaggio di pace dominato
dalla presenza del mare.
A pochi passi dall'acqua però l'opera umana s'arrestava e lasciava i
visitatori meno temerari nella perplessità di non poter raggiungere la
sospirata e minuscola spiaggetta. Non volevamo arrenderci ma neanche
rischiare di ferirci; qual era dunque la via per toccare, per immergerci
in quell'oasi di pace e d'infinito che avevamo davanti? Sì, il mare ci
chiamava; aveva letto nei nostri occhi il desiderio che ci animava e
spiegava tutto il suo fascino ora accarezzando lieve gli scogli ai nostri
piedi, ora lambendo con una brevissima corsa l'inaccessibile spiaggetta.
Finalmente, tornando indietro, trovammo un varco: uno scoglio a
mezz'altezza tra noi e l'acqua che permetteva di raggiungere con due salti
il sospirato luogo del nostro appuntamento col mare. Così facemmo, ci
scambiammo un bacio per il successo conseguito e, collocando più in alto
scarpe, pantaloni e magliette, ci disponemmo alla nostra comunione con
l'acqua, l'oggetto del nostro desiderio che, nel sogno ad occhi aperti che
stavamo vivendo, avevamo faticosamente conquistato.
Il contatto ci diede il primo lungo brivido; l'acqua, più fredda che
fresca in quella mattina di primavera inoltrata, ci imponeva la sua
temperatura, la sua diversità, le sue regole. Ma non ci scoraggiava, anzi;
chiedeva solo un graduale lento contatto, quasi una consapevole preghiera
prima di accoglierci nella sua anima; ci indicava che eravamo nel regno
suo e di quei gabbiani che intrecciavano i loro voli poco lontano e
invitava i nostri sensi ad adattarsi.
Lentamente, passo dopo passo, cominciammo a digradare sul fondo pietroso
tenendoci per mano, attenti alle insidie dei sassi coperti da alghe e da
madrepore, prendendoci un giocoso tempo per l'adattamento termico dei
nostri corpi al nuovo ambiente, lasciandoci inebriare dalla magia dei
liberi voli che si svolgevano intorno, dal profumo e dai colori cangianti
del liquido che gradualmente ci avvolgeva.
Quando non toccammo più il fondo cominciò la nostra comunione; il mare si
lasciava abbracciare, ci concedeva il privilegio d'essere suoi graditi
ospiti, ci sorreggeva permettendoci di respirare e sorridere, mostrava la
serenità e lo splendore della sua superficie senza confini a confronto con
quella terrestre che ci eravamo lasciati alle spalle, irta di difficoltà e
di preoccupazioni. Mormorai una parola, guardando negli occhi la mia
silente compagna: "liberi…", e sentii nel suo lungo abbraccio l'estasi
d'esistere in quello spazio, in quel mezzo e in quella limitata eternità.
Liberi, liberi come i gabbiani, ora distesi sul lenzuolo azzurro del mare,
ora sprofondati in esso fino al mento, percorremmo, in volo capovolto,
tutte le strade luminose del cielo per un periodo di tempo che non so
calcolare.
Decidemmo alfine di tornare al nostro approdo e alla nostra accidentata
terra, riemergendo lentamente ed esponendoci nuovamente all'aria e al
sole, dirigendoci in cauta ed ordinata fila verso il nostro minuscolo
lembo di riva, io avanti, lei dietro, silenziosa.
Sulla spiaggetta ebbi la prima curiosa sorpresa: si notavano ancora le mie
orme, provenienti da un punto prossimo allo scoglio più elevato ove
avevamo appoggiato i vestiti ed allineate fino alla battigia, ma non
quelle della mia taciturna compagna. Rivolsi a lei che mi seguiva una
spiritosa osservazione sul suo peso che non lasciava traccia ma, giunto
allo scoglio, ebbi la seconda inquietante sorpresa: erano spariti i
vestiti e le scarpe di lei. Cominciando a maledire l'ignoto ladro e
frugando con lo sguardo su per la ripida gradinata che dovevamo
percorrere, constatai che non c'era anima viva. Allora mi voltai desolato
verso la mia compagna: ma, in piena luce, anche lei era scomparsa.
Un capogiro, un improvviso mancamento, le gambe e le braccia molli mi
convinsero a sedermi. Scrutai per un tempo imprecisabile tutta la
superficie visibile del mare, anche la parte che lei non avrebbe potuto
raggiungere e constatai, in un silenzio surreale, d'essere assolutamente
solo. Poi mi alzai e come una bestia ferita ripercorsi una parte del
tratto d'acqua che ci aveva battezzato e purificato; di lei nessuna
traccia. Per colmo, avevo nel cuore e nella mente la sua indimenticabile
figura ma, nello stato penoso in cui mi trovavo, non ricordavo più neanche
il suo nome.
In quell'apparente delirio arrivai perfino a dubitare d'esistere e guardai
prima verso il sole che proiettava regolarmente la mia ombra, poi
nuovamente e lungamente la tavola immota del mare, nell'inconfessata
speranza che essi, talismani silenti del creato, si facessero
improvvisamente veicoli della mia disperazione, molto prossima al pianto,
e mi restituissero quella presenza confortevole che mi era stata
misteriosamente sottratta. Ma estranei al mio dolore splendevano
indifferenti nella loro immensa solitudine e, come testimoni reticenti,
portavano il mio sguardo verso l'impervia lunga scala che avrei dovuto
risalire per tornare con la mia ombra, volendo, alle solitarie strade di
casa, luoghi della mia ordinaria follia in cui lei, simile all'acqua della
risacca, passava ogni giorno ma senza mai fermarsi; col suo ricordo appeso
alla mia mente, come una malattia senza rimedio. |