Poesie di Giuseppe Capretti


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Periferia
Si staglia il rombo intenso
Contro il cielo grigio di metallo
Mentre il cieco
Allenta il suo bordone
Austero annaspa
E stenta
E brancola
E vacilla
E in contropelo disfiora
Le pareti ed un passante incerto

Un cane abbaia
E gli risponde
Un vociare sguaiato
Chissà donde?
Chissà in che modo?
Chi ?
Quanto distante?

S’apre un ombrello nero

Un grido umano
Dice nel cellulare qualche verbo
Stare?
Pagare?
Leggere?
Milano?
Sparare a zero?
Senza alcun riserbo

Un ciclista
Tentenna contromano

Il tempo sfila
In questo coacervo

Cosa vedo dentro i tuoi occhi
Sei qui serena
ed io non posso dirti cosa vedo di te
mentre mi guardi
rapidi occhi aperti
occhi vegliardi
incerti occhi
che non so sopirti

Sguardi sabbiosi di deserti mondi
arsi suoli
assolati di miserie
d’infami guerre
d’ignobili macerie

Dispersi sguardi
sguardi fremebondi

stagni di cielo
verdi di foreste
in processione ai piedi del ghiacciaio
messaggeri di soli
e di tempeste

Non c’è amore
che paghi le tue pupille
profonde cavità
piene di nulla
crateri spenti
zeppi di faville

Pianura
Cos’è questa pianura che si perde inerme
sotto la rotaia molle

La polvere corrosa sulle zolle in quadrati
si mischia al poco verde

Automobili in corsa verso il nulla sospese
nel proscenio indifferente

Un trattore fra i solchi si trastulla
razzola a sbalzi l’airone renitente

Cos’è questa pianura che si perde senza tregua
per l’occhio
per la mente
e per l’ansia improvvisa che ti prende

Sembra infinita verso l’orizzonte
persa nelle foschie
rosa dal niente
che alle frange del sole
si confonde

Ora però fate silenzio
Ora però fate silenzio
Voglio toccare l’universo
La notte mi porterà lassù
E starò immobile ad osservare
I miei sogni
Dispersi
Voglio ordinarli
Catalogarli
Ripercorrerne le pieghe indefinite
Le frasi smarrite
I volti
Definirli quei volti
Una buona volta
I luoghi senza terra
E le mie età

Griderò alle stelle
Ridatemeli il tempo che occorre

Non tornerò più miei cari
Accontentatevi dei ricordi
E vi prego
Non lacrimate perché io sto bene
E amen

Per una amica
Forse sei qui anche tu
Fra le mie cose
Riposta insieme ai versi
O nelle trame
Di vecchi libri
Con gradite prose

Forse sei qui anche tu
Nel mio ciarpame
Zeppo di aspirazioni ormai appassite
Di memorie
Di sogni
Di illusioni
Velleità represse
Sempre ardite

Forse sei qui anche tu
Nelle passioni
Che rinnovano il corpo ormai cadente
Ai richiami del tempo

Negli oblii
Nei luoghi frastagliati della mente

Nelle impazienti fughe
Nei rinvii
Nell’andatura noiosa del presente
Negli eventi felici
Negli addii

Per Eluana Englaro
Potrei anche non parlare
Tacere
Per sempre
Non esistere più

Come un grano di sabbia su una spiaggia
Che non determina l’essere
E la spiaggia
E l’onda che getterà la sua rete

Come un filo d’erba su un prato
Che non determina
Il vento
E l’universo
E lo spavento che ingiallirà le foglie

Potrei anche non pensare

Campane
E sia
Lascerò il corpo inerme
Per la luce

All’albore
Che scruta
Che dissolve il tempo
Illumina
Risolve le cognizioni del sonno
E riconduce ai rumori consueti
Ed alle voci

Un indugio mi prende per la mano
Via lontano
Via lontano
Lontano

Le campane che suonano precoci

Socchiudo gli occhi
In un gesto vano

Cos’è questo travaso
Questo discanto
Questo lento sentire
Questo umano travaglio
Questo ritorno mesto e piano
In un mondo
Di cui non ho rimpianto

Via lontano
Via lontano
Lontano

Solo tu puoi guardare gli occhi miei
Fino alla fine
Scrutarne i desideri
Penetrarmi nel ventre
Aprirmi il cuore
Tacer l’orrendo muscolo
Sfibrarne sentimenti dispersi in un cordame
Ostruire i ventricoli
Succhiare
Nell’inutile ormai sbiadito seme

Legarmi mani e piedi ed affogarmi
Nei tuoi pianti insicuri
Nelle rabbie rapprese
Ed i sarcasmi
E le violente risate
Trascinarmi in un ballo
E dilaniarmi
Puoi tu sola coprirmi le ferite
Fagocitare i membri sparsi

Ed amarmi

Per l’Italia
Mi perdo spesso
Fra i colori smorti e la ragna
Precisa
Razionale
Punteggiata
Dai gradi
Dalle scale
Continenti
Nazioni
Cime
Porti

Ma mi sfuggono nessi e relazioni

Khartoum
Shanghai
Zenith
Nadir
Italia
Al-Mamlaka al-’Arabiya as-sa’udiya
Metropoli
In antipodi

A milioni
Genti che marciano
Verso un posto ignoto
Esseri persi
Dentro un contrappunto
Dite a chi giova
Dite a quale scopo
Ci accalchiamo impazienti in un assunto
Senza un motivo certo
O alcun intento

Siamo qui nell’atlante
In questo punto

Mentre leggo
Ecco ora
Nel silenzio trasferisco me stesso
E lo abbandono
Chiuso nella mia stanza attendo
Muovendo un passo verso l’infinito

Da qui odo voci

Il controluce dei mobili non risalta i dettagli
Le poltrone ricamate di fiori
Paiono assenti
Non dicono di sé
Non descrivono un mondo

La natura è una riserva dispersa

Forse non c’è una lingua universale
Che dia senso

Le mie parole sono solo suono
Il libro di lettura
Una risma di carta impaginata

La prima volta che ho visto il mare
Il deserto si perde
Su calanchi
Disseccati da raffiche
Sferzanti contro gabbiani
Spaesati
Stanchi
Su faraglioni
Spersi
Sciabordanti

Ora lo so
E non mi perdo
Nel ciarpume di confuse visioni
Nel trascorso
Disperso in un probabile barlume
Che non è
Né memoria
Né rimorso

Perché non è
Il fiabesco mare
Di fanciullo impaziente di esistere nel tempo

La trepidazione od il trastullo della mia gioventù
Dell’incoscienza

E’ il sublimarsi della sua presenza

Stalker
Tutto è bianco
La brina ha congelato le stoppie
Costrette a spigolosi steli
Le ossidate ramaglie
Nel fossato
Sono in attesa
A prossimi disgeli
I tralicci disperdono gomene
Nel tempo
Abbordano lividi licheni piloni grigi
Di cemento armato
Io sogno scogli grondanti mareggiate

E’ cielo
O terra
Universo
O creato
Solitudine
O poetico abbandono
Quiete perenne
O effimero tumulto

Riposerò per ora
Nell’attesa della guida perduta
O la sentenza
Che definisca sostanza ed apparenza


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