Racconti di Francesca Bergonzini


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Balene
La rapiva quella sua voce dolce, fioca, tranquilla.
Chi era? Era un sogno?
Sognava sempre, anche ad occhi aperti, ed era la parte più bella della giornata, per Laura.
Lasciarsi librare nell'aria, senza fretta di tornare giù, poter immaginare ciò che si vuole, senza aver paura che qualcuno senta, veda…
Ma quella volta non era un sogno…
La voce l'aveva sentita veramente ed era davanti a lei, la persona.
Aveva contattato quell'associazione per poter stare in compagnia di persone disabili, come lei.
La psicologa era veramente disponibile e aveva capito, già solo dalla frase: "Mi annoio a casa".
Aveva capito dallo sguardo, dalle mani…
La settimana dopo, Laura, tornò all'associazione, e iniziò a provare a partecipare alle attività. Le persone che conosceva erano anche abbastanza perché tre persone erano dello stesso paese di Laura.
Erano disabili intellettivi e, il primo pomeriggio con loro, fu strano.
Laura era solo disabile motoria e, l'idea di stare con persone più gravi, l'aveva sempre impaurita.
Quel venerdì pomeriggio però non fu così perché solo in due ore, Laura, si accorse, che anche loro potevano fare molte cose, che lei non avrebbe mai immaginato.
Anche il parlare era diverso, ma comunque si capivano fra di loro. Uno cantando, uno con gesti, l'altro guardando una lavagna e indicando con gli occhi, le lettere della frase che voleva dire.
Ci si divideva in gruppi, nell'associazione, e il primo si chiamava AQUILE, così decisero che l'altro, cioè quello con anche Laura, si sarebbe chiamato con la B.
Così si iniziarono a proporre nomi con la B.: bistecca, bar, balene….
Alla fine, dopo le votazioni, si decise per BALENE.
A Laura piacque subito come idea perché le veniva in mente FRESCHEZZA, MARE, insomma cose piacevoli.
I volontari decisero di fare disegni di balene personalizzati: una con gli occhiali, una con la barba, una con la treccia.
Quella che colpì di più Laura era una balena quadrata, nera.
Cercava di pensare a cosa le poteva trasmettere quel disegno e vedeva solo SOLITUDINE.
Forse era quello che provava quella ragazza down, che parlava solo attraverso brontolii e sembrava distante, nel suo mondo.
Brontolava perché non voleva mettersi gli occhiali e continuava a cancellare linee, su quel cartoncino marrone.
Chissà cosa voleva togliere, dimenticare…?
Laura se lo chiedeva, tutte le volte che la fissava.
Le aveva chiesto la gomma e non aveva risposto.
I giorni seguenti Laura si sentiva sempre più dentro quel mondo, che iniziava a piacerle. Conosceva gente nuova e capiva di essere UTILE.
Era felice perché quello era il sogno di Laura: ESSERE UTILE E IMPORTANTE PER QUALCUNO.
Aiutò alcuni a scrivere al computer e spiegò come è fatto un giornale.
Infatti avrebbero voluto creare un giornale dell'associazione, con articoli, giochi, gite.
I pomeriggi all'associazione proseguivano sempre bene, fino al giorno in cui tutto cambiò.
Era sempre un venerdì. Laura arrivò all'associazione con la macchina fotografica: voleva avere un ricordo di quel gruppo che stava conoscendo giorno per giorno.
Ma, appena arrivata, una volontaria, le corse incontro, dicendo: "Oggi c'è una gita!!!".
Una fitta gelida percorse tutta la schiena di Laura.
Odiava le sorprese, le aveva sempre odiate.
Era quello che toglieva l'allegria dal carattere della ragazza.
La gita era interessante perché si andava a vedere una mostra di arte moderna, ma questo non fece cambiare idea a Laura.
"Se me l'avessero detto prima!!!!" pensò arrabbiata.
Poi fu costretta ad unirsi alle altre BALENE, per non fare la figura dell'asociale, come si dice.
La partenza, fu, normale, per gli altri, che ormai erano abituati alle gite, ma drammatica per Laura.
La carrozzina non stava nel pullman e così dovette salire a piedi.
Non sarebbe stato difficoltoso, se non fosse stato alto il gradino……
Così, i volontari, dovettero tirare fuori il gradino in più.
Finalmente Laura, salì con gli altri. L'umore della ragazza era già bassissimo, ma lei, in quell'istante, sentiva solo rabbia. Perchè dev'essere così difficile fare le cose che per gli altri, sono normali??????
La discesa dal pullman fu sempre difficoltosa.
La gita fu interessante e fu un modo per dimenticarsi, almeno in superficie, della rabbia accumulata nella giornata.
Il giorno dopo fu terribile per Laura. La notte si addormentò tardi e pianse per un'ora.
Il motivo era che la ragazza si accorse di non essere solo arrabbiata con loro, ma invidiosa.
Loro erano BALENE, capaci di nuotare, di tuffarsi nell'onda più alta, lei no, lei aveva paura di annegare sotto le onde….
Anche se si accorse di essere invidiosa, comunque, la rabbia, nel cuore di Laura, non svanì e decise, di non andare più all'associazione.
Lei non era adatta alle gite, alle scoperte e alle novità.
Avrebbe voluto fare il giornalino, ma senza bisogno di girare.
Tutti gli articoli che aveva preparato non li avevano neanche guardati…….
E poi non doveva sentirsi in colpa per la decisione di smettere.
Le avevano dato un mese di prova e il mese era finito.
Voleva conoscere gente disabile e l'aveva fatto.
I volontari, però, la facevano sentire solo l'insegnante e basta.
Dopo, oltre che asociale, sembrava solo un'egocentrica.
Lei odiava quella parola e non voleva sentirsela ripetere………
Voleva sentirsi allo stesso livello degli altri e non dare l'impressione di sentirsi più intelligente. Voleva essere una di loro, e non "una per loro".
L'avevano detto i volontari che era utile avere una disabile motoria, in mezzo a disabili intellettivi, ma Laura, non avrebbe mai pensato di servire solo per spiegare cose o per scrivere al computer………
Se si toglieva dall'associazione, tutto tornava come prima, noioso come prima, ma non voleva rimanerci e stare male tutte le volte che si rendeva conto di non essere una vera BALENA.
Il venerdì successivo tutto era sotto sopra nella testa di Laura.
Dire e ammettere di non essere una vera balena, era come farsi del male.
Non avrebbe detto di volere smettere ma l'avrebbe fatto capire.
Le fecero leggere il commento della gita e piacque molto.
Quando fu il momento di comunicare la notizia, Laura era senza voce. Stavano per tirare fuori la creta…
Laura non l'aveva mai usata e le interessava provare.
Subito iniziò a massaggiarla: era morbida, molle…
Doveva fare delle sculture. Cosa può venirci fuori da un banale pezzo di creta?
Ma mentre pensava a questo, osservando bene il pezzo, si accorse che assomigliava a qualcosa…… una foca!!
Ecco il trucco! La soluzione stava già dentro il problema…
Come la risposta che doveva dare. Ma come, quando?!!!!!
Sentiva qualcuno che le correva dietro, che la obbligava a parlare, ma non aveva voce… era intenta a creare.
Il giorno dopo chiamò la psicologa che l'aveva ricevuta il primo giorno all'associazione per sapere se si iscriveva o no.
Perché di nuovo la realtà…..
Perché sempre scelte, sempre misure…
Laura diceva di non sentirsi al loro stesso livello, ma ora non le importava più, voleva solo stare con persone disabili, senza misurare niente…
Dopo il mese di prova, Laura, sapeva la risposta che avrebbe voluto dire, cioè positiva, ma, quando si trovò davanti, per la seconda volta, la psicologa, non riuscì a dire niente, se non rispondere semplici sì o no alle domande.
Per fortuna, l'ultimo quarto d'ora, le fu proposto di rimanere da sola con la dottoressa e così riuscì ad aprirsi e a spiegare meglio cosa ne pensava di quel mese.
Le disse che si era trovata bene con tutti, ma nel gruppo del computer meno, perché non c'erano attività.
Poi, finalmente, Laura, si sfogò, dicendo quello che veramente voleva dire e chiedere: SE ERA EGOCENTRICA.
La dottoressa, subito le disse di no, perché, se aveva paura anche ad esprimersi, non poteva esserlo.
Le disse anche non doveva sentirsi così, in mezzo ai ragazzi perché bisogna esaltare i pregi, per non pensare solo ai difetti.
Laura ascoltava, quasi commossa: non pensava che qualcuno credesse in lei, così tanto.
Invece il terrore della gita che aveva avuto, la psicologa, lo interpretò proprio come stava per dire Laura: PAURA DELLE NOVITA'.
La ragazza, quindi dovette dire che non era solo paura delle novità, ma anche paura delle cose all'ultimo minuto. Le fu spontaneo aggiungere che era la psichiatra da cui andava, che le aveva messo in testa l'idea di programmare tutto.
Da allora odiava le novità. Ne aveva anche molta paura…
Dopo questo incontro, Laura si rese conto di dover restare se stessa e di dover esaltare i suoi pregi, senza aver paura di mostrarsi. Non poteva chiudersi in sé pensando solo alle cose che non poteva fare.
Ora sapeva di essere anche lei, a suo modo …

UNA BALENA!
E NON LE AVREBBE LASCIATE…

La finestra mi sorride
Le finestre ci sono sempre state, mi sono sempre piaciute, mi hanno sempre attirato.
Anche se, quando ero piccola, quasi le odiavo, perchè stavo seduta sul balcone a leggere e sentivo i discorsi sussurrati dei vicini, il rumore della palla, e non venivo mai invitata.
Quando nel 2007 sono andata a Campo Tures, in Trentino, il momento più bello della giornata era stare seduta alla scrivania davanti alla finestra.
Immaginavo di essere una dama dell'800, che scriveva, col pennino, una lettera all'innamorato, davanti alla finestra.
Chiudevo gli occhi e, riaprendoli, riuscivo a tenere a bada i pensieri.
Guardavo fuori e vedevo le persone che camminavano sulla ciclabile: una signora con un bambino sul passeggino, un uomo che portava a spasso il cane, ragazzi che correvano...
C'erano anche gli altri, non solo io e miei pensieri.
Appena tornata a casa da Campo Tures mi piaceva guardare i vicini perchè immaginavo di intrufolarmi nelle loro finestre semichiuse ed entrare nelle loro case: una signora stendeva in solaio, un anziano faceva il letto....
Speravo che le loro vite fossero simili alla mia, credevo che le vite degli altri fossero migliori della mia.
Oggi la finestra mi dà luce, magia, mi dona figure: queste figure si proiettano sulle pareti, sul soffitto o sul pavimento di camera mia.
A volte le foglie degli alberi si riflettono sul pavimento: sembra che la natura e il mondo entrino in casa mia, e lo fanno proprio quando sono triste, quasi per dirmi "non sei sola".
Sono sicura che la finestra non mi fa più del male.
Oggi, la finestra, mi sorride.

L'albero assetato (Favola)
C'era una volta un albero che era cresciuto: non era più un seme, o una piccola pianticella fragile.
Era robusto ora, aveva rami altissimi e foglie verdi brillante.
Ripensava felice ai passaggi che era riuscito ad attraversare: prima seme, più piccola piantina, poi giovane pianta.
Non credeva di esserci riuscito!
Ora era un albero adulto.
In quel periodo era autunno, quasi inverno: le sue foglie stavano cadendo, ma a lui piaceva l'autunno perché quelle foglie e quei fiori erano così pesanti da portarsi addosso……..
Anche se certi giorni rimpiangeva le sue grandi foglie verdi e i fiori rosa che teneva stretto stretto.
Ma l'albero sapeva che stava leggero per un po', poi l'estate sarebbe tornata.
Quell'autunno / inverno però, era da tanto che non pioveva…
L'albero iniziava ad avere sete e si chiedeva se ce l'avrebbe fatta, da solo, senza acqua, vento, senza linfa.
Aveva paura che da solo si sarebbe seccato, magari gli uomini l'avrebbero anche tagliato, vedendolo in fin di vita!
Era tristissimo, non credeva più di essere un albero adulto, si sentiva un povero piccolo seme!
Mentre piangeva si accorse che intorno a lui gli altri alberi adulti erano felici.
Così chiese: "ma come fate voi ad essere così felici senza pioggia?".
L'albero più anziano gli rispose, sorridendo: "siamo felici perché c'è il sole…"
"sì ma il sole non dà acqua, noi non possiamo bere, ci secchiamo e……"
"non essere così pessimista, ragazzo!" gli disse l'amico albero.
"sì ma allora?!"
"allora c'è il sole, viviamo sia per mezzo l'acqua e che per mezzo del sole! L'acqua è la nostra ricarica… Il sole è la nostra energia!"
"vuoi dire che quando non piove, non abbiamo carica, ma abbiamo energia!?".
Il giovane albero stava già meglio, non era sicuro di aver capito la frase del nuovo amico, ma era più tranquillo…
"Esatto! Non c'è bisogno che il cielo ci mandi l'acqua ogni giorno, tanto c'è il sole e noi viviamo con tutti e due!".
I giorni passarono e il giovane albero non era più così triste; aveva ancora sete, ma ogni tanto l'acqua arrivava, così stava meglio.
Non aveva mai pensato che il sole potesse dare energia!
Da piccolo non gliel'avevano mai detto e dopo non ci aveva mai pensato.
Solo che in quell'autunno / inverno senza pioggia ci pensava sempre e si sentiva solo.
Da quando, però, aveva parlato con l'albero anziano, aveva capito che non doveva aspettare la pioggia per essere felice.
E non era un piccolo seme solo perché si sentiva solo anche oggi ogni tanto….
Chi è diventato un albero adulto, resta sempre adulto!

Dedicata a Flavia, la mia acqua
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E’ nato prima l’uovo o la gallina?
Non capisco cosa c’entri il dilemma “è nato prima l’uovo o la gallina?” con il mio rifiuto psicologico per la matematica.
E non capisco perchè devo già diffidare di un posto di lavoro, senza aver ancora iniziato, solo perchè sono troppo gentili.
Forse, se riuscissi a risolvere il dilemma, potrei capire perchè odio la matematica.
Stamattina pensavo che fosse nato prima l’uovo, adesso penso che sono nati insieme.
Come la matematica e il mio odio per lei che va insieme alla mia difficoltà nella logica.
Sì, forse Lucia, non voleva farmi del male dicendo che rifiuto la matematica, ma la rifiuto perchè non la capisco, non mi piace e faccio fatica.
Però non posso rifiutare l’idea di un posto di lavoro migliore di questo.
Magari non sarà migliore, ma io voglio crederci.
Ieri sera, alla cena del corso di teatro, a casa di Betti, suo marito Franco, e i loro figli Gaia e Martino, entomologo provetto, ho visto una piccola gallina, che era anche brutta, ma in quel momento mi sembrava bella.
L’ho accarezzata sulla testa e non mi sono di certo chiesta se è venuta prima lei o l’uovo.
Tenevo le mani di Gaia e camminavo in simbiosi con lei: io avanti, lei indietro.
Mi ha regalato un fiore bianco con puntini marroni (anche se adesso che l’ho davanti, quei puntini marroni che credevo di aver visto ieri, non li ha).
Gaia non sa e io non so il suo nome, ma è stato un regalo stupendo.
Ho potuto godermi la loro campagna, prima che piovesse e i fulmini invadessero le vigne e anche il mio cuore.
Anche la finestra, descritta da Betti nello spettacolo di teatro, aveva finalmente un volto, anche se io la immaginavo più grande e a piano terra.
Quella sera tutto prese il suo volto e una rabbia mi invase: potevo vedermi in faccia mentre parlavo come un telegramma, potevo vedermi ridere sforzata per delle barzellette che a me non facevano ridere, potevo vedermi rispondere tante volte, con le solite poche parole, alle domande: “studi adesso?” “vai ancora a scuola?”.
Domande aperte ne ho fatte e mi sono venute anche bene. Cristina ha risposto entusiasta alle mie due domande: “come è andata la fine della festa delle medie?” “com’è il lavoro di telemarketing?”.
Sì, è vero, io non so comunicare bene con la parola, ma almeno posso parlare.
Prima o poi imparerò a farlo in maniera adeguata, senza avere la “FOBIA DELLA PAROLA”.
La gallina e il suo uovo, l’uovo è la casa del pulcino, allora?
Allora io cosa devo fare per risolvere il dilemma... questo dilemma e il dilemma della parola?
Ho tante palestre dove posso esercitarmi in questa ginnastica orale, ma io non sono adatta a nessuna e nessuna è adatta a me.
Forse una soluzione non ci sarà mai, e non c’è soluzione neanche per l’indovinello.
Ognuno interpreta gli indovinelli come vuole e comunica nella maniera più adatta a se stesso.
Io non diventerò oratrice, ma almeno il corso di teatro, mi ha permesso di parlare di me a un pubblico per tre minuti e chissà che quei tre minuti non possano diventare ore......
Gaia comunica con la creatività, indossando scarpe con cordoni di diverso colore, e affermando di voler diventare grafica pubblicitaria, Carolina comunica con la sua stravaganza...
Martino ha comunicato la sua passione per gli insetti facendoci vedere un grande scarafaggio e un insetto stecco.
Tutti noi eravamo schifati, ma anche interessati.
Ognuno comunica in un modo originale.
Insomma, non so se è nato prima l’uovo o la gallina, o se è nata prima la matematica o il mio odio per lei.
So solo che il teatro mi è servito e che mi servirà anche tentare il nuovo lavoro.
La parola “fobia” prima o poi si staccherà e rimarrà soltanto “la parola”.

La donna in rosso
Era seduta sulla panchina della stazione e stava per partire, se il treno fosse arrivato.
Doveva andarsene da quel posto, non ce la faceva più.
Sì, se ne doveva prima possibile da lì.
Non sapeva neanche dove doveva andare, ma la cosa importante era che doveva lasciare quelle persone, quel mondo, quella vita.
Era vestita di rosso pensando che qualcuno l'avrebbe notata, in mezzo a quel trambusto.
Non sapeva neanche se voleva essere notata, in realtà voleva starsene da sola a guardare la gente felice, ridere.
Quanto male si faceva, lei, donna sola e triste.
La scelta di andarsene, per ora, era la più giusta.
Peccato che non poteva, o se poteva, dove sarebbe andata?
Cos'avrebbe fatto della sua vita, già distrutta per metà?
Il treno era arrivato… doveva salire.
Lentamente si alzò dalla panchina e salì in carrozza.
Non c'era nessuno nel suo scomparto…
Così poteva pensare.
Quando alla cassa aveva dovuto pagare il biglietto, aveva detto il nome di una destinazione a caso, leggendo nell'elenco.
Non aveva lasciato nessun biglietto a casa, solo una frase una frase di una sua poesia; una domanda:
"Come si può resistere così?"
Non si era portata neanche un libro con lei, perché non riusciva a leggere, scriveva meno, non riusciva neanche a riempire una pagina del suo diario.
Erano pagine buttate al vento, che nessuno avrebbe letto, a cosa serviva?
Si era portata con lei solo il lettore cd per ascoltare musica rock.
In questi casi, questa musica andava bene, infatti, la donna, tirò un sospiro di sollievo.
Si immaginava un angelo che la salvava e la portava in un mondo dove non c'era bisogno di scappare per sentirsi a casa.
Casa……. Parola fantastica ma terrificante perché lei non era mai sentita a casa…… mai, in nessun posto.
Si ricordò di un libro di poesie intitolato Domus.
Giri di chiave, porte, stanze… solo queste parole la rassicuravano.
Forse era stata un'assurdità partire per quel viaggio senza metà….
<<Posso sedermi?>> .
Una signora sorridente si era già seduta di fianco a lei, senza neanche aspettare la risposta della silenziosa donna.
Come avrebbe voluto che quella donna fosse l'angelo che aspettava…
Si tolse le cuffie del lettore cd e salutò la signora.
<<Musica? Cosa ascolta?>> chiese, sempre sorridendo.
<<Rock, ma questa è lenta, mi rilassa>>.
La signora questa volta non rispose, sembrava che aspettasse lei una spiegazione.
<<Sono agitata, troppo agitata. Sono scappata e sto scappando da me stessa>> iniziò a raccontare la donna in rosso.
-Chissà se sta zitta come fanno tutti quando tento di parlare di me- pensò lei.
<<Il viaggio è lungo e io … ho le orecchie>> disse solo la dolce signora.
La donna in rosso, in realtà, aveva solo voglia di starsene da sola, ma era talmente tanta la voglia di far uscire lacrime assieme a qualcuno…. che iniziò a raccontare.
Partì dalla sua infanzia, bella, solo per l'amicizia con un bambino che giocava con lei al suo gioco preferito: la famiglia.
Era bello fingere di essere quello che sarebbe mai diventata: madre, moglie, casalinga.
Poi raccontò delle scuole, forse gli unici momenti felici.
Raccontò anche dell'adolescenza: depressioni, dottori, solitudine, delusioni, odi.
La parte più difficile da raccontare era la parte recente: si sentiva abbandonata da tutti, non poteva più andare dai dottori se aveva bisogno, lavorava solo per poco tempo, poi lasciavano a casa….
Usciva con molte persone, ma non sentiva a casa.
Ecco di nuovo la parola casa.
Ma lei ce l'aveva una casa e stava scappando.
Perché?
La donna ascoltava, senza dire una parola e la donna in rosso era già terrorizzata.
-Starà pensando anche lei che spreco e ho sprecato la mia vita!!!!!- pensava arrabbiata e delusa di aver parlato con una sconosciuta, che non commentava neanche!
<<Che vita intensa e coraggiosa hai avuto! Vivi ancora….>> .
Quell'esclamazione lasciò senza fiato la donna.
Non l'aveva mai vista sotto questo punto di vista.
<<Davvero dice che la mia vita è stata intensa?! Tutti mi dicono che spreco la vita>>.
Stava ridendo, proprio come faceva a dieci anni con il suo amico d'infanzia….

La donna sorridente non c'era più.
Non si è mai saputo se era un sogno o veramente un angelo, ma comunque la donna in rosso decise di tornare a casa.
Non sapeva se si sarebbe mai sentita a casa, ma la casa e una vita, l'aveva.  

Il sogno che non restò un sogno
Nilda aveva settantacinque anni ma non si considerava vecchia.
Il suo sogno era andare in crociera.
Il problema era che, anche se avesse avuto i soldi per partire, non avrebbe saputo a chi lasciare i suoi amati gatti.
Così Nilda restava in casa e lasciava che il suo sogno restasse un sogno.
Le sue giornate giravano intorno alle cinque, l'ora del the: ora sacra per lei.
Quella mattina, Birillo, il gatto preferito di Nilda, non mangiò la solita carne in scatola.
<<Cos'hai?>> gli chiese lei accarezzandolo.
Non mangiò per tutta la settimana, così Nilda, decise di portarlo dal veterinario.
La diagnosi della dottoressa Carla fu mal di denti.
Nilda non avrebbe mai pensato che il suo gatto preferito si potesse ammalare..
<<Ha solo questo gatto?>> le chiese la giovane dottoressa Carla, mentre puliva i denti al gatto.
<<No, ne ho cinque!>>
<<Cinque!>> si meravigliò lei.
Nilda non rispose.
Era una donna permalosa e pensava che aveva detto così perché la considerava troppo vecchia per badare a tanti animali.
Non la sopportava e non avrebbe neanche voluto pagare la pulizia dei denti…
Ma non sapeva che quella ragazza sarebbe diventata sua amica.
Quando Nilda tornò a casa gli altri gatti le corsero incontro, sfregandosi contro le gambe della padrona.
Erano le cinque, l'ora sacra del the.
Nilda tirò fuori dalla dispensa la scatola con dentro le bustine di the e la sua tazza preferita con disegnati i posti che avrebbe voluto visitare: Egitto, Parigi, Messico.
<<Che bello sarebbe andarci!>> pensò, mentre apriva la busta con dentro, l'infuso.
Era quasi un rito per l'anziana signora aspettare che il the uscisse dalla bustina, vedere le foglioline tritate trasformarsi in liquido arancione…
Questi erano eterni istanti e tutto culminava nel piacere di sentire il caldo nella pancia e nel corpo…
Così presa da quei momenti non si accorse che dentro la scatola delle bustine, c'era qualcosa di diverso..
A Nilda parve di scorgere un foglietto bianco con delle scritte e numeri.. era impossibile che dentro ci fosse un foglio, invece c'era..
Tirò fuori gli occhiali, uno strumento a cui la donna non poteva rinunciare.
Per molti era un simbolo dell'età ma per lei no, siccome anche i giovani hanno gli occhiali.
Ora che aveva lo strumento per vedere, Nilda, lesse le minuscole righe e numeri:
"Hai vinto una crociera sul Nilo" 329867
La prima reazione della signora fu una sonora risata, poi si arrese:
<<E' impossibile, è una truffa!!!>>.
Per tre giorni quel biglietto rimase sul tavolo, finchè vide in tv quella pubblicità:
"Ora, con una tazza di the si può fare una crociera da sogno!
Se trovate un biglietto vincente, basta dire il codice sul biglietto a questo numero………., entro una settimana."
Nilda, davanti alla tv, quasi svenne, e Teo, un altro gatto in braccio a lei, quasi cadde dal divano.
Voleva chiamare subito il numero che c'era scritto per dire il codice, ma le tornò il solito dubbio: i gatti?
Era come se in un secondo il sogno si fosse realizzato e annientato subito dopo, come una bella e grande bolla di sapone che scoppia.
Cercò nell'elenco telefonico dei numeri di pensioni per gatti, ma tutti costavano come una crociera, considerando che aveva cinque gatti da portare.
Ormai il suo sogno di viaggiare era solo un sogno, ancora una volta.
C'era la veterinaria Carla ma non avrebbe mai preso i gatti nel suo studio per una settimana.
Decise di tentare e di chiederlo davvero…
Se avesse detto di no, aveva una settimana di tempo per trovare qualcun altro…
Il mattino dopo andò da Carla e disse:
<<Sono la signora che ha fatto la pulizia dei denti a un gatto….>>
<<Ah, sì quella che ne ha cinque… Si è ammalato un altro gatto?>> la interruppe lei.
<<No, però chiedevo se poteva tenermeli tutti e cinque per una settimana…. sono da sola e vado in Egitto…>>.
<<Egitto! Che bello, vorrei andarci anche io.. amo i viaggi, ma li faccio con la mente..>>.
Parlarono per un bel po' fino a che alla dottoressa, non le venne un'idea..
<<Non ho mai tenuto animali di altri in studio ma per lei lo farò gratis… se mi porterà souvenir dall'Egitto…>>
<<Come! Non vuole soldi?!>>
<<No, mi pagherà così!>>.
Nilda non avrebbe mai creduto che Carla fosse così gentile..
Così potè finalmente partire in crociera per l'Egitto, sicura che i suoi gatti sarebbero stati bene.
Al suo ritorno portò i promessi souvenir a Carla.
Da quel momento Nilda e Carla diventarono amiche con le stesse passioni: gli animali e i viaggi.
Si trovarono spesso anche per il the alle cinque.
Chissà… magari un giorno avrebbero vinto un altro biglietto e insieme sarebbero partite per un altro viaggio….!         

Uno sguardo, una scritta, una finta perla
In un minuto avevo capito che erano persone fatte per me. Tre. Tre il numero perfetto. Il numero di persone a cui potevo aggiungere l'aggettivo vere.

Uno sguardo
Mi ricordo la velocità con cui si è seduta vicino a me, pur vedendomi.
Vedendomi disabile.
I suoi occhi scuri o chiari, non so, ma pieni, pieni di tutto.
Anche lei, seduta su una sedia del pronto soccorso, aspettava suo fratello che si era fatto male a un braccio. Io aspettavo il mio che si era fatto male a un dito.
Tutte e due aspettavamo.
Avevamo molte cose in comune: il cattivo rapporto con i fratelli, i lividi dappertutto, le poche amiche.
Non mi ricordo altro.
Non posso però dimenticare il destino che, per la prima volta, girava dalla mia parte.
Quando suo fratello, uscì dalla sala visite, con un braccio ingessato, noi due parlavamo ancora, come se ci conoscessimo da sempre.
Sua madre la chiamò per tornare a casa.
Entrarono nell'ascensore.
Una fitta di rabbia, mi percorse la schiena…L'indirizzo, potevo chiedere il suo indirizzo!!!!!
Proprio mentre urlavo tutto questo a me stessa, cercando di trattenere le lacrime, l'ascensore si aprì di nuovo.
Mi ricordo che mia madre disse ridendo :"Si vede che non deve andare via…".
Era quello che pensavo io, ma neppure in quegli eterni istanti, in cui i miei occhi incontrarono di nuovo i suoi, le chiesi l'indirizzo.
Ora sono ancora qui, a rimpiangere quell'istante perduto, ma non dimenticherò il suo sguardo pieno di tutto.

Una scritta
La seconda persona che mi sono lasciata scappare, l'avevo incontrata all'ASL, nella sala d'aspetto dalla psichiatra da cui andavo.
Siccome mi ricordavo del primo incontro perduto, provai a farmi avanti io.
Mi ricordo che, quando pronunciai, sottovoce, quella frase, la psichiatra, che mi guardava dalla segreteria, con una sigaretta in mano, mi sorrise.
Dissi: " Belle scarpe".
Il viso pensieroso della ragazza, seduta sulla sedia vicino a me, e gli occhi attenti su un'agenda, si sollevarono e rispose, anche lei timida, "Grazie".
Questa fu l'occasione per chiedere il suo nome, che ora non ricordo.
Ma la conversazione, purtroppo finì lì, anche se senza parole, avevano già scoperto molte cose in comune: la timidezza ma soprattutto il coraggio che, sembrano parole contrastanti, ma non è così.
Noi due avevamo il coraggio di chiedere aiuto a qualcuno.
Pochi ce l'hanno e molti odiano i dottori, noi due no.
Mentre tutti questi pensieri mi frullavano in testa, non mi ero resa conto che la ragazza, aveva tirato fuori di nuovo la sua agenda…
Stava scrivendo qualcosa… Il mio cuore palpitava……
Anche se era impossibile, speravo che mi scrivesse il suo indirizzo.
Ma sapevo bellissimo che non me lo poteva scrivere…
Ci conoscevamo da cinque minuti…
No, invece dell'indirizzo, stava scrivendo il mio nome, decorato.
Quello è l'unico ricordo che ho di lei.
Non la rividi più, come la ragazza del pronto soccorso.
Quando entrai nello studio della psichiatra, mi chiese :
"Hai il suo indirizzo?".
Fu la cosa che mi fece più deprimere, perché anch'io avrei voluto chiederglielo, ma non potevo, siccome non la conoscevo nemmeno.
Ma forse non importava…

Una finta perla
La finta perla rotonda rossa ce l'ho nel cassetto marrone, in camera mia.
Ecco il terzo tesoro che non perderò mai.
L'avevo trovata su una sedia.
Ricollego la finta perla a lei, perché l'ho trovata lo stesso giorno, in cui ho incontrato quella ragazza.
Ero nell'aula di concorso pubblico.
Il test doveva ancora cominciare e io non mi ricordavo niente.
Una ragazza mi si avvicinò e mi chiese se sapevo qualcosa, forse perché aveva visto che ero agitata.
Lei infatti era calma, al contrario di me, e stava leggendo degli appunti.
Quello che le dissi, in quei pochi istanti, me lo ricordo meglio, rispetto alle altre volte, perché è successo dopo.
Le raccontai che avevo già provato a fare un concorso per lavorare con i computer e non ero passata.
"Anche io non sono passata in tanti, ma ci riprovo" mi disse.
"Io ho fatto la scuola ad indirizzo turistico ed è brutto fare cose che non c'entrano" continuai io.
Lei mi rassicurò subito dicendo che avrei trovato di sicuro qualcosa che c'entrava, prima o poi.
"Le lingue non le so" dissi io.
"Quando devi parlare poi ti viene in mente e ti passa la timidezza".
Non mi posso dimenticare questa frase.
Mi raccontò anche dove abitava e un po' la sua storia.
Mi sembra che facesse l'università di storia dell'arte.
Il test ormai cominciava e infatti ci consegnarono le biro (bisognava usare per forza le loro), i fogli e le buste per inserire i test.
La ragazza fece appena in tempo a dirmi:
"Ti posso suggerire…", quando sparì.
Eravamo talmente in tanti che ci avevano dovuto dividere in due gruppi: il primo gruppo con le persone il cui cognome, aveva una lettera bassa, il secondo gruppo con le persone che avevano un cognome con la lettera alta.
Così non rividi più neanche lei.
Magari è stato meglio così, ma non posso non stare male, se penso a quello che ho provato nei momenti in cui sono stata in compagnia di queste persone: PACE E FELICITA', parole di cui ora ho quasi dimenticato il significato.
Ma quando nella mente, mi riappaiono quello sguardo, quella scritta, e quella finta perla, tutto mi sembra reale e non mi sembra di aver perso, nessun istante della mia vita.         

Carla e la farfalla consigliera (favola)
Carla era un piccolo bruco che non aveva amici e non usciva neanche quando, la domenica mattina, tutti andavano ad ascoltare la farfalla del paese, chiamata Consigliera.
Tutti le chiedevano qualsiasi cosa avessero in mente, qualsiasi quesito a cui non riuscivano a trovare risposta.
Carla non voleva andare da lei perché non aveva niente da chiedere.
Era senza amici, punto e basta.
Cosa le avrebbe potuto dire una farfalla?!
Solo perché lei non era più un piccolo bruco strisciante come lei, non era detto che sapesse cosa fare per Carla…
Le giornate di Carla però erano noiose e il suo sogno sarebbe stato quello di uscire ma non poteva andare dalla farfalla… La sua domanda non poteva interessarle…
La domenica successiva, stanca della sua vita noiosa, il piccolo bruco uscì, insieme agli altri.
Il mondo, visto da fuori, era diverso da come se l'era immaginato Carla: non era così pericoloso, era luminoso, e pieno di foglie per terra.
E' vero, le avevano detto che era autunno e le foglie cadevano.
Ma perché Carla non era mai uscita per vedere questa meraviglia?!
Ora che era fuori doveva restarci.
Intanto, gli adulti erano già dalla Farfalla Consigliera.
Doveva andarci anche lei, solo così avrebbe capito se la sua domanda era assurda o no.
Davanti a lei, Farfalla Consigliera, era ancora più bella: ali giganti, colorate con ogni tinta, così regale, leggera, sorridente…
Come avrebbe voluto essere come lei…
Odiava strisciare e sporcarsi tutta!
Mentre ammirava la farfalla, non si accorse che era già in mezzo agli adulti che la guardavano stupiti e bisbigliavano : "C'è anche Carla oggi!! E' uscita!! Chissà se ha una domanda per la Farfalla Consigliera!!".
Il bruco non ascoltava, pensava solo alla sua domanda e spintonava gli adulti per arrivare per prima davanti alla donna che aveva tutte le risposte.
"Cosa ti preoccupa, piccola?" chiese dolcemente la farfalla.
"Non ho amici, cosa posso fare?".
"Ah bella domanda!" sorrise lei.
"Come, bella domanda…?" si preoccupò Carla.
"Prima di diventare farfalla anche io non avevo amici e credevo di non poter mai diventare farfalla".
"Davvero!".
Carla non capiva come poteva essersi sentita come lei, una bellissima farfalla..
"Sì, quindi non ti preoccupare" continuò la farfalla "basta che esci come oggi e che non hai paura a parlare troppo se incontri qualcuno".
Carla era senza parole: era proprio per quello che non aveva amici!
Aveva sempre paura di parlare troppo di sé.
Si era quasi dimenticata del perché della prima amicizia, finita male.
Aveva conosciuto un bruco da piccola e non appena raccontava qualcosa, lui non sembrava interessato.
Carla non capiva perché si comportava così ed era convinta che la sua vita, forse troppo solitaria, non era interessante per gli altri.
Non riusciva a parlare di sé con nessuno, al contrario di prima.
Dopo il suggerimento di Farfalla Consigliera, Carla, ci voleva riprovare.
Si guardò intorno e, senza neanche ringraziare la sua salvatrice, vide, in fondo alla folla, un piccolo bruco…
Carla era felicissima e strisciò, più velocemente possibile, dal bruco.
"Ciao, io sono Carla, tu chi sei?" iniziò fiduciosa la piccola.
"Cosa vuoi?!!!!!!!!!" rispose freddissimo lui.
Carla rimase di pietra e strisciò, piangendo, via di lì.
Passò le settimane seguenti sempre chiusa nella sua tana.
Odiava Farfalla Consigliera e il bruco.
Ma non si accorse che pensava come le aveva detto Farfalla Consigliera, cioè che non avrebbe mai avuto amici e che non sarebbe mai diventata farfalla.
Chissà come aveva fatto lei a cambiare idea?
Ma non voleva chiederlo a lei, voleva scoprirlo da sola.
Lo scoprì la settimana dopo, quando si organizzò una gara di scrittura.
A Carla piaceva scrivere e decise di partecipare perché era meno arrabbiata.
Partecipò e vinse.
Da quel giorno la vita del piccolo bruco cambiò perché le fu proposto di partecipare a un giornale…
Lei, proprio lei che credeva di avere una vita solitaria…
Conobbe altri bruchi che non erano antipatici come quel bruco, ascoltavano contenti ciò che raccontava…
L'aveva già trovata la risposta e se ne accorse solo quando si vide spuntare delle piccole ali.
Ora che aveva aiutato sé stessa era pronta per amici.       

Il segreto del bosco
Mi ricordo di quel giorno in cui ho conosciuto un pittore che dipingeva solo oggetti del bosco: rami, bacche, frutti di bosco.
Mi diceva: "Ci sono io lì dentro".
Ho un suo quadro in camera mia e, quando lo guardo, mi chiedo cos'abbia voluto dire, con quelle poche parole.
Il segreto del bosco.
In quel periodo ero in vacanza in montagna e, passando per una bocciofila, ero rimasta colpita da dei forti colori.
Mi sono avvicinata e ho visto che erano quadri.
Quadri strani, che attiravano l'attenzione.
Mi ero appena fermata a guardarli, quando una voce dolce, mi chiese:
"Ti piacciono?" "Sì molto" risposi, ma non avevo ancora capito che la persona che avevo davanti, era proprio il pittore…
Io ho sempre amato l'arte, l'arte astratta, che va capita.
Ancora non capivo il significato di quei quadri, ma mi incuriosivano, come se dentro quelle tele ci fossero grovigli, respiri.
Il pittore mi guardava, come se non avesse mai visto una persona così interessata alle sue opere.
Erano in mostra per tutto il mese d'agosto.
Mentre continuavo ad osservarli, lui iniziò a raccontare di come aveva cominciato a dipingere: per scherzo.
Poi aveva visto che era una passione e ha continuato.
Mi disse che stava in vacanza in montagna un mese, perché qui trovava quella pace che in pianura non c'era.
La pace, cos'è la pace? Quella cosa che tutti sognano, ma che forse non esiste neanche.
Esiste nei sorrisi, nei desideri, ma non si può tenere stretta come una peluche, quando si è bambini.
E' questo il dramma della felicità e della pace.
Ma quel pittore, era come se volesse dirmi che, se guardavo bene, la potevo scorgere tra le pieghe buie delle pennellate…
Sì perché un po' di luce infondo.….. c'era.
Ecco il segreto del bosco: vedere la luce, tra il buio dei rami.
Il bosco fa paura, ma è anche tranquillità e pace.
Nelle favole è stato sempre associato al male, ma in fondo tutti dobbiamo attraversare un bosco.
Adesso è il mio periodo e guardando quel quadro, capisco adesso che il pittore voleva dirmi che si ritorna sempre al punto di partenza, basta capire che la luce fa parte del buio.
Quel pittore non l'ho più visto, ma non mi dimentico ciò che mi ha insegnato.
Quell'agosto in montagna rivive ogni volta che guardo il suo quadro
"I FRUTTI DI BOSCO".     

Un pettirosso nel regno dei nani (favola)
Nel bosco ci sono villaggi di fate e nani piccoli come mignoli, io mi chiamo Elena e sono una di loro, una bambina.
Quell'estate, quando more, mirtilli, uva spina, crescevano, i miei trovarono un pettirosso che dormiva sotto una foglia.
Lo credevano una minaccia, così grande rispetto a loro.
Il povero pettirosso era arrivato in quel posto solo per vedere cos'erano quei piccoli esseri con il berretto rosso.
Io avrei voluto fare amicizia col pettirosso, ma non potevo, ero una nana bambina e, per gli adulti, non potevo conoscere una creatura più grande di me. Mi avrebbe fatto male…
Decisi di andare da lui, direttamente.
Mi avvicinai all'animale e sussurrai, timida, la mia domanda:
"Chi sei, che animale sei?". Sapevo che si chiamava pettirosso perché me l'avevano detto gli adulti, ma non sapevo che poteva volare…
"Sono un uccello, un pettirosso, e mi chiamo così perché ho la pancia rossa. Mi è venuta da quando ho preso paura da piccolo…"
"Come mai hai quelle cose attaccate…? Cosa sono?" chiesi io, un po' meno timida all'uccello.
"Sono ali, servono per volare, per alzarsi in aria e vedere le cose dall'alto. Stavo volando, quando ho visto questo piccolo posto e mi sono fermato a dormire".
Quante volte avrei voluto volare anch'io, andare via da questo posto…
Dev'essere così bello volare…
Ero così arrabbiata con gli adulti del mio regno, "Regno dei nani", perché non mi facevano mai conoscere niente di nuovo, mi dicevano di restare a casa mia, per non correre rischi, ma che rischi potevo correre?!
Andavo tutti i giorni a trovare l'uccellino e gli diedi il nome Cip.
Cip rimase per molto nel bosco a farmi compagnia perchè non sapeva nemmeno dove andare, era volato qui e si era perso……
Ma un giorno gli venne voglia di volare e di cercare di nuovo la sua famiglia.
Quel giorno cambiò la mia vita perchè decisi di partire col pettirosso.
I miei genitori non c'erano e nemmeno le fate si accorsero della mia partenza.
"Monta sopra a me, non mi fai male, sei piccola" mi disse Cip, così salii
in groppa al mio destriero volante!.
Finalmente il mio sogno si sarebbe avverato e avrei visto altri posti, non solo il bosco e gli avrei visti volando!!!
Il mio cuore fece un gran salto, quando mi accorsi che eravamo già in mezzo alle nuvole: tutto era piccolo, ancora più piccolo della realtà e le nuvole erano panna montata………
Cip non era stanco, anzi era contento di aver realizzato il mio sogno.
Guardando giù vedemmo villaggi, città, fiumi…
Intanto al bosco immaginavo la scena dei miei genitori che mi cercavano, al ritorno al bosco.
"Sarà dal pettirosso…" starà proponendo mia madre Sofia.
Ma quando andrà a vedere scoprirà che non c'è neanche Cip.
Sapevo che sarei dovuta tornare a casa, ma non volevo.
Era bello essere libera, in compagnia di un amico.
Nel bosco invece non avevo amici!!
"Facciamo così", mi propose il pettirosso: "ti riporto a casa così io cerco i miei genitori, poi ti vengo a trovare spesso, anche con loro".
Era una bella idea, ma avrei dovuto aspettare le sue visite ogni volta e io odiavo aspettare.
Alla fine, però, decisi di tornare a casa perché sapevo che tutti sarebbero stati in pensiero, non vedendomi tornare.
Quando arrivai mi accorsi che erano veramente tutti in pensiero per me.
"Dove sei stata Elena?!" mi chiese felice e arrabbiata la mamma.
"In giro con Cip, qui è noioso….."
"Cip!!!!! Allora non ti ha fatto male?"
"No, lui è mio amico".
Sapevo che in quel momento, i nani adulti, avevano finalmente la prova che le creature diverse da noi o più grandi non sono sempre pericolose.
Il pettirosso ne era una prova.
Loro avevano capito questo e io avevo capito che non dovevo scappare, ma almeno, avevo realizzato il sogno di volare.
Il mondo fuori dal bosco non era di certo noioso e c'erano un sacco di cose da scoprire.
I miei, da quel giorno, ogni tanto, mi davano il permesso di uscire dal bosco.
Cip veniva a trovarmi spesso e ritrovò anche la sua famiglia.
Quando me la presentò nel "Regno dei nani" si fece festa e ora tutti gli adulti sapevano della mia amicizia con il pettirosso.
Da allora l'uccello protettore del "Regno dei nani" è il pettirosso.


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